• Il campo di #Nea_Kavala nel nord della Grecia

    Dove «le persone non hanno spazio per esistere»

    Il Nord della Grecia è spesso dimenticato ma, non meno delle isole, è un luogo in cui si consuma l’ipocrisia europea dei campi come strumento di gestione del fenomeno migratorio. Un esempio è ciò che accade nel campo di Nea Kavala, vicino a Polykastro, a nord di Salonicco, nonostante la situazione sia critica ovunque.

    Durante l’estate 2023, come in altri stati europei, gli arrivi di persone in movimento si sono moltiplicati. Ad ora, secondo l’UNHCR 2, la popolazione migrante ufficialmente in ingresso in Grecia è stata di 42.343 persone, quando l’anno scorso gli arrivi ufficiali registrati sono stati di poco meno di 20.000 in tutto l’anno. Inoltre la Grecia, sotto pressione per le alluvioni avvenute a inizio Settembre, ha dovuto svuotare campi inizialmente pensati per richiedenti asilo per poter far stare la popolazione greca senza più un’abitazione, come ad esempio è avvenuto nel campo di Klidi Sintiki.

    Di conseguenza, da inizio Luglio 2023 la popolazione del campo di Nea Kavala 3 è aumenta drasticamente, raggiungendo quasi la massima capacità di più di 1.500 persone distribuite in 280 container. Nonostante il governo greco stia affrontando il fenomeno migratorio da diversi anni, viene sempre considerato come un’emergenza e le soluzioni governative adottate sono precarie e non rispettose dei diritti umani. Non solo vengono messi fino a otto persone, incuranti delle nazionalità, negli stessi container di 24 mq pensati per massimo 6 persone, ma vengono anche mischiate persone sane con malate, famiglie con uomini singoli… ovviamente alimentando tensioni che si potrebbero evitare.

    Vivere in un campo in Grecia non è una questione temporanea di qualche giorno, ma possono volerci mesi e anni in base a quante decisioni negative si ricevono, e in base alla propria nazionalità e un po’ a fortuna, dato che la modalità di esaminare le richieste di asilo in Grecia presenta molte carenze e incongruenze. Le persone vedono la Grecia come passaggio, il loro obiettivo finale non è quello di rimanere, ma di ottenere i documenti di viaggio per poter chiedere asilo in un altro paese europeo, evitando così di percorrere la rotta balcanica. Nonostante gli accordi di Dublino, le persone spesso riescono a essere poi accolte in altri paesi europei in quanto riescono a dimostrare che le condizioni di vita nei campi greci sono inumane e degradanti.

    Per descrivere com’è il campo di Nea Kavala mi risuonano le parole di Shahram Khosravi in Io sono confine:

    «E’ il campo stesso a produrre il profugo, o la sua condizione (…) Nessuna delle mie esperienze passate- la fustigazione, il carcere, un anno di vagabondaggi illegali- era riuscita a privarmi della mia dignità. E’ stato il campo a togliermela. Fino ad allora avevo perso uno stato di riferimento con i suoi diritti di cittadinanza, ma non avevo perso la voglia di vivere, la forza di volontà e il coraggio. ll campo mi ha tolto tutto questo».

    Tra i vari effetti collaterali del sovraffollamento c’è stato anche il mancato inizio della scuola. Mentre a Settembre i bambini greci hanno iniziato a frequentarla, per chi vive nel campo di Nea Kavala si è dovuto aspettare fino a fine Ottobre. Oltre ad essere una discriminazione, i bambini nel campo non fanno nulla. Le ONG presenti sul territorio cercano di offrire lezioni e spazi gioco, ma non è abbastanza per coprire il bisogno e per poter garantire continuità educativa.

    Il campo è comunque pensato per non essere visto dalla popolazione, per essere lontano. 6 km lo separano dal centro di Polykastro in cui si trovano tutti i servizi (guardia medica, supermercato, fermata del bus, scuole…) e non c’è un servizio di trasporto pubblico disponibile. L’unica possibilità è utilizzare un taxi o una bicicletta, ma nel primo caso è costoso, nel secondo, la domanda è così alta che non ce ne sono abbastanza per tutti, nonostante l’ONG Open Cultural Center offra un servizio di noleggio 4.

    Il campo è circondato da un muro di cemento alto 3 metri (intervallato da porte di metallo), telecamere e sicurezza che controlla in entrata e in uscita e sembra più simile ad una prigione che ad un rifugio. Ma il problema non è solo questo, è la stessa esistenza e la funzione dei campi.

    Da Settembre il governo greco ha iniziato a impedire l’entrata al campo a chi avesse ottenuto i documenti o a chi, dopo 3 decisioni negative, avrebbe dovuto lasciare la Grecia. In Grecia, quando la richiesta di asilo viene accolta in modo positivo, si ottengono documenti che permettono di viaggiare in Europa e si finisce di ricevere alcuni benefici riservati ai richiedenti asilo, come ad esempio il pocket money o il cibo.

    I programmi che aiutano l’inclusione sono pochi o inesistenti, quindi le persone si ritrovano spaesate e senza sapere cosa fare. Fino a prima di Settembre, alle persone veniva almeno lasciata la possibilità di rimanere nel campo per qualche settimana in più, in modo da potersi organizzare per muoversi in un altro paese o per cercare un’ altra soluzione abitativa in Grecia.

    Attualmente invece, non solo si nega la possibilità di restare nel campo per qualche tempo, ma l’impossibilità di rientrare nel campo è comunicata senza preavviso, e senza dare l’opportunità di entrare per prendere i propri beni personali. Sono appena tornata da qualche mese lì, e nonostante diverse volte ho assistito a scene di totale disrispetto dei diritti umani fuori dal campo, ne ho una stampata in testa. Perché si tratta di persone.

    Quel pomeriggio avevamo organizzato una caccia al tesoro con i bambini che vengono al centro dell’ONG, era stato molto bello e divertente per tutti. Come ogni giorno, a fine giornata, i bambini risalgono sul pullman che Open Cultural Center mette loro a disposizione per tornare al campo di Nea Kavala. Appena arrivati tutti scendono di corsa, i più grandi si mettono in autonomia in fila per i controlli mentre i più piccoli corrono in braccio ai genitori che li aspettano e si preparano a rientrare insieme. Mi fermo a scambiare due chiacchiere con Said, perchè è il primo giorno che la piccola Nura è venuta al centro, e discutiamo di come sia andata. Lo saluto, lui si gira, fa per rientrare e la security controlla il documento ma dice no, non siete più nella lista, non potete entrare. Ma come, ci deve essere un errore, sono uscito 10 minuti fa per prendere la bambina. No, avete ottenuto i documenti e non avete più diritto a star qui.

    In realtà Said e Sana, sua moglie, hanno i documenti, ma non hanno ancora lasciato la Grecia perchè la piccola Roya, appena nata, non li ha. E’ quindi impossibile per loro andarsene. Said cerca di spiegarlo alla security ma niente da fare. Gli viene anche detto che potrebbero lasciarlo entrare, ma ci sono telecamere e se qualcuno dovesse vedere poi l’operatore della security perderebbe il posto di lavoro.

    Nel frattempo Nura intuisce qualcosa e inizia a piangere, perché la mamma e la sorella son dentro, ma niente da fare li han lasciati fuori dal campo. Fra l’altro Said è in infradito e maniche corte, nonostante faccia freddo, perchè pensava di essere uscito per soli 5 minuti, non per sempre. In tutto ciò io guardo la scena, cerco di supportare Said ma sono abbastanza scioccata, non ci credo che quello che vedo sta succedendo davvero.

    Alla fine Said, impotente, decide di passare la notte in un Hotel a Polykastro, nonostante sia costoso, perchè fa già tanto freddo per dormire all’aperto nei prati vicino al campo, soprattutto con una bambina di 4 anni. Prima di salutarci, lui che per tutto il tempo era stato fermo e deciso e sorridente per non far preoccupare la piccola, inizia a piangere e mi dice, ma lo sai che in Afghanistan facevo il traduttore per l’esercito greco? È per questo che me ne sono dovuto andare quando sono arrivati i Talebani.

    Lascio Said, Sana e Nura quando ormai si è fatto buio. Io, con il mio carico di privilegio bianco ed europeo e il passaporto in tasca, torno a casa, sono disgustata.

    Mi chiedo per quanto ancora le politiche EU e i governi continueranno a violare sistematicamente i diritti e la dignità delle persone in movimento. Mi chiedo fino a che punto sapranno spingersi, fino a quando sarà così buio.

    https://www.meltingpot.org/2023/12/il-campo-di-nea-kavala-nel-nord-della-grecia

    #Grèce #camps_de_réfugiés #réfugiés #asile #migrations #Polykastro #containers

  • #Container Séisme en Turquie : le port d’Iskenderun contraint de fermer Le Marin
    https://lemarin.ouest-france.fr/secteurs-activites/shipping/seisme-en-turquie-quais-effondres-au-port-diskenderun-contraint

    La direction générale des affaires maritimes de Turquie a indiqué que des quais s’étaient effondrés dans le port d’Iskenderun après le séisme de magnitude 7,8 qui a touché le pays et la Syrie dans la nuit du 5 au 6 février. Un séisme suivi de dizaines de répliques, dont une de magnitude 7,5.

    Au fond du golfe d’Alexandrette (son ancien nom), Iskenderun, sur la Méditerranée, se situe à une centaine de kilomètres de l’épicentre du tremblement de terre, dont le bilan s’élevait déjà à plus de 2 300 morts en début de soirée. Plusieurs images du port ont circulé dans la matinée sur les réseaux sociaux, sur Twitter notamment, montrant pour certaines une grosse faille dans l’asphalte, pour d’autres des conteneurs écroulés. Le groupe turc Limak, qui gère le terminal à conteneurs - l’un des plus importants de Méditerranée orientale avec une capacité supérieure à un million de conteneurs EVP - a annoncé sa fermeture. Les armateurs, Maersk comme Hapag-Lloyd, ont commencé à proposer des solutions alternatives sur Mersin et Port-Saïd.

    Vers 11 h 30 (13 h 30 heure locale), une réplique a provoqué une nouvelle chute de conteneurs, celle-ci entraînant un incendie, ensuite maîtrisé par les pompiers.

    Les autres ports de la région n’auraient pas subi de dommages, ont précisé les affaires maritimes. La compagnie pétrolière et gazière d’État Botas a de son côté indiqué ne pas avoir constaté de dommages sur ses pipelines, rapportent nos confrères de Tradewinds. Le terminal pétrolier de Ceyhan, d’où sort le brut de la Caspienne et d’Irak, a néanmoins été en partie paralysé par une perte de son alimentation électrique.

    #transport #transport_maritime #mondialisation #séisme #Turquie #photographie

  • En #Arizona, le mur de #conteneurs à la #frontière avec le #Mexique en cours de #démantèlement

    Sur une route poussiéreuse de l’Arizona, un pick-up fonce et emporte au loin un grand caisson métallique. A la frontière entre les Etats-Unis et le Mexique, un mur de conteneurs, installé pour plusieurs dizaines de millions de dollars il y a seulement quelques mois, était en cours de démantèlement ce week-end.

    Sur une route poussiéreuse de l’Arizona, un pick-up fonce et emporte au loin un grand caisson métallique. A la frontière entre les Etats-Unis et le Mexique, un mur de conteneurs, installé pour plusieurs dizaines de millions de dollars il y a seulement quelques mois, était en cours de démantèlement ce week-end.

    Dans les mois précédant la fin de son mandat, le gouverneur républicain de l’Arizona, dans le sud-ouest des Etats-Unis, avait ordonné qu’une gigantesque enfilade de conteneurs soient placés à la frontière avec le Mexique, afin, selon lui, d’endiguer l’immigration illégale.

    Mais après avoir été poursuivi devant la justice par l’Etat fédéral pour avoir placé les conteneurs sur des terres fédérales, dans la forêt nationale de #Coronado, le gouverneur #Greg_Ducey, remplacé depuis par la démocrate #Katie_Hobbs, a accepté en décembre de les retirer.

    « Je n’arrive pas à croire que le gouverneur Ducey puisse penser que c’était une bonne idée », souligne à l’AFP Debbie McGuire une ancienne habitante de l’Arizona venue assister aux opérations de démantèlement.

    « C’est complètement absurde de mettre des conteneurs qui n’allaient jamais réussir à empêcher les gens de passer », dit-elle. « C’est ridicule et un gaspillage complet de l’argent du contribuable ».

    L’édification du mur de conteneurs a commencé mi-2022 et a rapidement fait face à une puissante fronde. Ses détracteurs estiment que l’assemblage n’est rien d’autre qu’une manoeuvre politique cynique qui endommage l’#environnement et n’a aucun impact sur le nombre de traversées illégales de la frontière.

    Relief escarpé

    Ils affirment que le mur de conteneurs, qui s’étire sur près de sept kilomètres à travers les terres fédérales, empiète sur une zone importante de conservation environnementale.

    Le relief y est également tellement escarpé que selon eux, les passeurs de migrants n’ont jamais vraiment utilisé cette zone.

    En pratique, les conteneurs étaient inadéquats pour empêcher les migrants de les franchir : leur forme rigide faisait qu’ils n’étaient pas toujours alignés en fonction du relief, laissant des trous béants entre les boîtes.

    « C’est une #mascarade et un #gaspillage de l’#argent_public », estime Bill Wilson, un habitant de la ville voisine venu voir vendredi le démantèlement du mur de conteneurs.

    Le septuagénaire dénonce aussi « une #stratégie_politicienne ».

    L’Arizona partage quelque 600 kilomètres de frontière avec le Mexique, passant par des aires protégées, des parcs nationaux, des zones militaires et des réserves amérindiennes.

    Les arrivées illégales de migrants venant de pays d’Amérique du sud et centrale sont un thème récurrent dans les attaques des républicains contre Joe Biden, qui a promis d’augmenter les expulsions immédiates.

    Plus de 230.000 arrestations ont encore été enregistrées en novembre à la frontière sud des Etats-Unis, un niveau record.

    Jusqu’à l’arrivée à la Maison Blanche en 2017 de Donald Trump - qui avait fait campagne sur le slogan « Construisons le mur » - il n’existait pas réellement de barrière physique entre l’Arizona et le Mexique.

    A présent, de larges portions de la frontière sont dotées d’une grille qui s’élève par endroits jusqu’à neuf mètres de haut.

    Dans la forêt nationale de Coronado, qui ne peut être atteinte que par des petites routes de terre, la frontière n’était démarquée avant l’arrivée des conteneurs que par un grillage barbelé.

    https://www.courrierinternational.com/depeche/en-arizona-le-mur-de-conteneurs-la-frontiere-avec-le-mexique-

    #containers #frontières #barrières_frontalières #USA #Etats-Unis #walls_don't_work #asile #migrations #réfugiés #murs

  • Cocaïne : près de 110 tonnes saisies en 2022 à Anvers, nouveau record Ambroise Carton - RTBF
    https://www.rtbf.be/article/cocaine-pres-de-110-tonnes-saisies-en-2022-a-anvers-nouveau-record-11133894

    Près de 110 tonnes de cocaïne ont été saisies par les autorités belges en 2022 dans le port d’Anvers, première porte d’entrée en Europe pour cette drogue expédiée d’Amérique latine, soit un nouveau record, ont annoncé mardi les douanes belges.


    C’est la première fois que la barre des 100 tonnes est dépassée. Les saisies s’élevaient à 89,5 tonnes l’année précédente. A Rotterdam (Pays-Bas), les interceptions pour cette même drogue ont baissé à 52,5 tonnes contre environ 70 en 2021, a-t-il été précisé lors d’une conférence de presse associant les deux pays voisins à Beveren (Belgique), près d’Anvers.

    #ue #union_européenne #drogue #drogues #cocaïne #crack #mafia #santé #addiction #société #cocaine #police #trafic #criminalité #héroïne #Anvers #Rotterdam #containers #marché

    • La fillette de 11 ans tuée dans une fusillade « venait de la famille la plus riche de la pègre anversoise » : voici ce que l’on sait :
      https://www.lalibre.be/regions/flandre/2023/01/10/qui-est-la-fillette-de-11-ans-tuee-dans-une-fusillade-a-anvers-elle-venait-d

      Tuée dans la fusillade du lundi 9 janvier, Firdaous, une filette d’à peine 11 ans, serait de la plus grande famille anversoise impliquée dans le trafic de drogue.

      Alors qu’une fusillade éclatait du côté de Merksem, la jeune Firdaous a perdu la vie. L’annonce de ce décès a choqué toute la Flandre ce lundi soir.

      Selon nos confrères de HLN, la petite Firdaous est issue d’une famille de barons de la drogue. Sa mère, Naziha, serait la sœur aînée d’Othman, Younes et Nordin El B. Les frères de Naziha ne sont pas inconnus de la police et des services de renseignements. Ils ont déjà eu affaire à la justice à plusieurs reprises dans le cadre d’enquêtes sur le monde de la drogue. Depuis le piratage du service de chat Sky ECC, les enquêteurs affirment qu’il est clair qu’Othman et Younes tirent les ficelles de la scène de la drogue anversoise depuis Dubaï, indiquent nos confrères flamands.


      Cependant, la famille de Naziha semble hors de tout cela. Le voisinage décrit une famille sympathique et irréprochable. A part le fils aîné, Mohamed El J., soupçonné d’être lié à son célèbre oncle Othman, possible cause de l’attaque de lundi soir. Bart de Wever avait d’ailleurs qualifié la famille du baron Othman de « la plus riche de la pègre anversoise »

      « Il y aura certainement une réaction »
      Othman E.B., l’oncle de l’enfant tuée par balle à Merksem lundi soir, affirme mardi au journal Gazet van Antwerpen que sa famille répondra au drame sans recourir à la violence. « Nous allons rechercher les auteurs avec la police et la justice », a déclaré le trentenaire recherché pour trafic de drogue, supposément depuis Dubaï. . . . . .

  • Comment l’Europe est devenue une plaque tournante du marché de la cocaïne Miroslav Mares - RTS
    https://www.rts.ch/info/monde/13642897-comment-leurope-est-devenue-une-plaque-tournante-du-marche-de-la-cocain

    Le marché mondial de la cocaïne a changé. Le Vieux Continent n’est plus seulement un marché sur lequel les criminels écoulent leurs produits, il est le nouvel eldorado des trafiquants. A tel point, qu’il y a un mois, l’agence européenne de la police criminelle reconnaissait faire face à un phénomène d’une ampleur à laquelle elle ne s’attendait pas.

    Fin novembre, après des mois d’enquête, Europol a démantelé un « super-cartel ». A partir des Emirats arabes unis, il contrôlait près d’un tiers du commerce de la cocaïne en Europe. Des arrestations de dizaines de suspects ont eu lieu en France, en Espagne, en Belgique, aux Pays-Bas et à Dubai.

    Ce coup de filet emblématique démontre un déplacement du marché des drogues. Le Vieux Continent est non seulement une des destinations principales de la cocaïne, mais aussi une escale pour l’acheminer ailleurs dans le monde.

    Plus de 30 tonnes de cocaïne ont été saisies. Depuis cinq ans, ces mises sous séquestre augmentent de façon exponentielle, explique Laurent Laniel, analyste à l’Observatoire européen des drogues et de la toxicomanie, dans l’émission de Tout un monde mardi : « Entre 2017 et 2021, chaque année a été un record de saisies ».

    Expansion et nouveaux canaux de distribution
    Selon l’Observatoire européen, la croissance s’effectue en direction de l’Europe orientale et du Nord. Historiquement ces zones ne sont pas de gros marchés : « Il y a une augmentation des cas de pays rapportant la présence de crack, de cocaïne fumée. Ceci indique que la disponibilité de la drogue est très forte », indique Laurent Laniel.

    D’autres indicateurs, tels que l’analyse des eaux usées, montrent la présence de cocaïne dans un plus grand nombre de villes européennes.

    Pour élargir leur réseau de vente, les dealers adaptent leurs techniques marketing. Aujourd’hui, il est possible de se procurer les produits au travers des réseaux sociaux. Les dealers affichent toute une gamme de produits : dès 30 euros, il est possible de trouver de la marchandise, sans doute de qualité douteuse, « mais si tu payes 100 euros, alors là, tu as le super truc, » affirme l’analyste.

    Une métamorphose liée à la volonté des cartels colombiens
    Depuis les années 2000, les cartels colombiens se sont tournés vers l’Europe pour diversifier leurs canaux de distribution. Selon David Weinberger, co-directeur de l’Observatoire des criminalités internationales à l’Institut de relations internationales et stratégiques à Paris, le but des criminels colombiens était de court-circuiter les trafiquants mexicains : « Pour atteindre les Etats-Unis, ils avaient l’obligation de passer par le Mexique, ce qui les obligeait à diminuer leurs profits. »

    Désormais, ils sont présents dans d’autres zones du monde, notamment en Océanie, où la consommation par habitant est la plus importante au monde, localisée principalement en Australie et en Nouvelle-Zélande.

    Les nouvelles techniques de dissimulation
    En Europe, la drogue arrive majoritairement dans les ports d’Anvers, de Rotterdam ou de Valence. Le commerce de containers y est si dense que la surveillance systématique est illusoire.

    Les méthodes de dissimulation de la cocaïne sont aussi très sophistiquées, affirme Laurent Laniel. Il est possible de la cacher de manière chimique, de la faire se confondre avec d’autres matériaux, par exemple du plastique, du charbon de bois. Les trafiquants arrivent également à la mélanger avec de la peinture ou du plâtre.

    C’est seulement une fois les laboratoires démantelés que la police et les douanes arrivent à comprendre quel a été le subterfuge qui a permis d’introduire des tonnes de cocaïne sur le sol européen.

    Le marché européen contrôlé par plusieurs groupes
    La N’drangheta, la mafia calabraise, a la haute main sur une partie du trafic de cocaïne. Selon David Weinberger, c’est un marché fluide, pas tenu par un seul groupe mais par une multitude de gangs, notamment albanais ou turcs.

    Dans une logique de marché globalisé, ceux qui acheminent la drogue la moins chère et la plus pure possible arrivent à occuper le terrain et à grignoter celui des autres criminels.

    Cela peut aboutir à une augmentation de la violence, à des règlements de comptes, voire à des assassinats comme celui d’un journaliste néerlandais l’an dernier.
    A tel point qu’en Belgique et surtout aux Pays-Bas - où règne la Mocro Mafia, une organisation d’origine marocaine - des personnalités comme le Premier ministre et même une princesse ont été placés sous protection.

    #ue #union_européenne #drogue #drogues #cocaïne #crack #mafia #santé #addiction #société #cocaine #police #trafic #criminalité #héroïne #Australie #Nouvelle-Zélande #Océanie #Anvers #Rotterdam #Valence #containers #marché

    • Le géant maritime MSC aurait été infiltré par un gang de trafiquants de drogue RTS - Katja Schaer/jop
      https://www.rts.ch/info/economie/13644414-le-geant-maritime-msc-aurait-ete-infiltre-par-un-gang-de-trafiquants-de

      Une affaire de trafic de drogue embarrasse le plus grand transporteur maritime au monde. Selon une enquête de Bloomberg parue vendredi, l’entreprise MSC, établie à Genève, serait infiltrée par des trafiquants et participerait indirectement à un gigantesque trafic de cocaïne.

      Selon une estimation de l’ONU, l’Europe occidentale à elle seule compterait 4,5 millions de consommateurs et consommatrices de cocaïne, soit 1,5% de la population de plus de 15 ans. Le Vieux Continent serait ainsi en passe de devenir le premier marché mondial, devant l’Amérique du Nord. De quoi générer des montant vertigineux et constituer des organisations criminelles tentaculaires.


      Dans ce contexte, les enquêteurs de l’agence de presse américaine ont décortiqué les affaires qui ont concerné MSC ces trois dernières années, et plus particulièrement son porte-conteneurs Gayane, bloqué à Philadelphie en juin 2019 après la découverte d’un volume record de 20 tonnes de cocaïne destinées au port de Rotterdam.

      Dans l’oeil du cyclone aux Etats-Unis
      Le navire entier avait alors été saisi et l’affaire avait permis de démontrer la complicité d’une partie de l’équipage. Selon l’enquête, ces marins de MSC n’étaient pas à l’origine du trafic, mais ils auraient communiqué avec les fournisseurs de drogue, via des téléphones cryptés, et auraient coordonné le chargement de drogue sur le navire. Sur 22 membres d’équipage, huit d’entre eux ont ensuite plaidé coupable et ont été condamnés.

      Mais d’après Bloomberg, l’affaire fait encore l’objet d’un bras de fer juridique entre MSC et le gouvernement américain, qui estime que la complicité des marins rend l’entreprise partiellement responsable de ce trafic, et voudrait la sanctionner à hauteur de 700 millions de dollars.

      En 2019, plusieurs autres saisies ont eu lieu : 1,6 tonne de cocaïne a été trouvée sur le MSC Carlotta dans le New Jersey (USA), puis 2,4 tonnes ont été saisies par les autorités péruviennes sur le même bateau. Cette année encore, 450kg de poudre blanche ont été saisies au port de Gênes, en Italie, à bord du MSC Adélaïde.

      MSC « particulièrement exposée »
      Bloomberg précise que l’armateur se défend de toute participation, s’estimant victime et non complice. Par communiqué de presse, le groupe rappelle que les transporteurs ne sont ni responsables ni formés pour lutter contre le crime organisé, même s’ils s’efforcent de déjouer les techniques des criminels.

      Mais surtout, MSC s’oppose à l’affirmation de Bloomberg selon laquelle la société entière serait infiltrée par un gang. Elle estime en outre avoir subi « un préjudice financier et réputationnel conséquent ».

      En définitive, l’enquête de Bloomberg https://www.bloomberg.com/news/features/2022-12-16/how-world-s-top-shipping-company-became-hub-for-drug-trafficking?leadSour montre surtout comment les gangs et cartels viennent se greffer au transport maritime international pour garantir leurs chaînes d’approvisionnement. Et MSC serait particulièrement exposé, parce qu’il couvre des trajets de l’Amérique du Sud à l’Europe du Nord, décrits comme les « autoroutes » de la cocaïne. Il est aussi le premier employeur de marins issus du Monténégro, pays d’origine du « Gang des Balkans », spécialisé dans le trafic de cocaïne.

      #transport_maritime #msc #mer #transport #conteneurs #containers #container #drogue #capitalisme #alexis_kohler

  • Le plus grand porte-conteneurs du monde livré à Evergreen (Traduction : Jamais vert)
    https://lemarin.ouest-france.fr/secteurs-activites/shipping/44098-le-plus-grand-porte-conteneur-du-monde-livre-evergreen
    Construit en Chine par Hudong-Zhonghua shipbuilding, filiale du groupe CSSC, le navire de 400 mètres de long sur 61,5 de large, pour un tirant d’eau de 17 mètres, est le premier de la classe A de la compagnie à être doté de cette capacité, qui dépasse de tout juste 12 EVP celle des six premiers navires de la série construits en Corée par Samsung heavy industries.


    Le porte-conteneurs Ever Alot de 24 004 EVP – un record – a été livré le mercredi 22 juin à l’armateur taiwanais Evergreen.

    Il est le premier dans le monde à dépasser la barre des 24 000 EVP. Huit autres sisterships doivent être livrés par les chantiers jumeaux de Shanghai, Jiangnan et Hudong-Zhonghua. Ces navires équipés de scrubbers sont dotés de moteurs WinGD - 11X92B.

    Avant la classe A d’Evergreen, c’est HMM qui détenait le record de capacité avec le HMM Algeciras de 23 964 EVP. MSC exploite des navires jusqu’à 23 756 EVP, et CMA CGM 23 112 EVP avec la série ouverte par le Jacques Saadé. https://lemarin.ouest-france.fr/secteurs-activites/shipping/40206-le-cma-cgm-sorbonne-dernier-de-la-serie-livre

    #containers #portes_containers #pollution #Chine #union_européenne #ue #navires #samsug #cma_cgm

  • Encore un porte-conteneurs de 12 000 EVP échoué
    Un plan pour sortir l’« Ever Forward », enkysté au large de Baltimore Le Marin.Ouest.France
    https://lemarin.ouest-france.fr/secteurs-activites/shipping/42950-un-plan-pour-sortir-l-ever-forward-enkyste-au-large-de-ba

    #Evergreen, un an après l’accident à Suez de l’#Ever Given est confronté au difficile renflouement de l’#Ever Forward, un porte-conteneurs de taille moindre qui s’est échoué le 13 mars après son escale à Baltimore.


    Alors qu’il faisait route vers Norfolk, le porte-conteneurs de 12 000 EVP (contre 20 400 EVP pour l’Ever Given, avec lequel il a été hâtivement assimilé), sous pavillon de Hong Kong, s’est retrouvé coincé sur un haut fond de la célèbre baie de Chesapeake dans la soirée du 13 mars. Les premières opérations de sauvetage ont échoué.
    https://www.youtube.com/watch?v=HJmK9IUS9fA

    Les inspections sous-marines n’ont pas permis de constater de dégâts substantiels sur la coque, ni de pollution. Un plan plus complexe a été élaboré avec Donjon Smit, coentreprise entre Donjon marine et la filiale américaine du néerlandais Smit (qui avait déjà mené l’an passé le renflouement de l’Ever Given). Choisi par Evergreen et ses assureurs, le duo pourrait prendre une semaine avant d’aboutir, menant ses opérations sous la supervision des gardes-côtes américains. Ces derniers ont mis en place un périmètre de sécurité de 500 mètres autour du navire, qui ne fait pas obstacle à la navigation.

    L’objectif est de déballaster le navire et de draguer le sol vaseux de la baie autour du porte-conteneurs afin de laisser de l’espace entre l’hélice et le safran et le fond marin. Il conviendra ensuite d’attendre une pleine mer pour sortir le porte-conteneurs de 334 mètres de long en faisant de nouveau appel à tous les remorqueurs portuaires disponibles dans la zone.

    Les explications sur l’accident ne sont pas claires. Une tempête de fin d’hiver passée le 12 mars a pu modifier les niveaux des marées. Mais selon Sal Mercogliano, un historien maritime de l’université Campbell en Caroline du Nord, qui publie des vidéos sur l’accident, le navire allait trop vite et est sorti du chenal. Il s’est échoué par 7,50 mètres d’eau alors qu’il affichait un tirant d’eau de 13 mètres.

    L’Ever Forward est affecté à une des lignes Asie - côte-est des Etats-Unis via Panama de l’Ocean alliance (Evergreen, #CMA #CGM et #Cosco-OOCL ).

     #transport_maritime #pollution #transport #porte-conteneurs #transports #conteneurs #mondialisation #mer #container #environnement

    • Une start-up israélienne lève plus de 12 millions $ pour du poisson imprimé en 3D Ricky Ben-David
      https://fr.timesofisrael.com/une-start-up-israelienne-leve-plus-de-12-millions-pour-du-poisson-

      La société alimentaire israélienne Plantish, qui propose des filets de saumon à base de plantes imitant, selon elle, l’apparence, le goût et la texture du poisson, a levé plus de 12 millions de dollars, la plus importante du secteur des alternatives aux produits de la mer.


      Selon une information donnée par Plantish ce mercredi, les quelque 12,5 millions de dollars proviendraient du fonds d’investissement israélien State Of Mind Ventures, avec la participation de Pitango Health Tech, VC Unovis – de New York et spécialisé dans les protéines alternatives –, TechAviv Founder Partners, un fonds dédié aux créateurs israéliens qui a soutenu des entreprises telles que la société de logistique de drones Flytrex, la société de création Nas Academy et la société d’investissement israélienne OurCrowd.

      La start-up avait déjà levé 2 millions de dollars en financement de pré-amorçage en juin 2021 auprès de TechAviv Founder Partners et d’investisseurs providentiels, dont le célèbre chef hispano-américain José Andrés ou le célèbre créateur de contenu israélo-palestinien Nuseir Yassin, de Nas Daily.

      Basée à Rehovot, la start-up déclare avoir mis au point un filet de saumon entièrement végétalien, sans arêtes, de même valeur nutritive que le véritable poisson, riche en protéines, acides gras oméga 3 et oméga 6 et vitamines B, mais sans mercure, antibiotiques, hormones, microplastiques et toxines souvent présents dans les spécimens océaniques ou aquacoles.

      Le produit Plantish peut être cuit ou grillé de la même manière que le saumon traditionnel, précise l’entreprise.

      Plantish a dévoilé son prototype de saumon à base de plantes en janvier, annonçant développer une technologie de fabrication additive (le nom industriel de l’impression 3D) en instance de brevet. L’objectif est de fabriquer des alternatives au poisson à base de plantes, à faible coût et à grande échelle.


      La société a déclaré avoir opté pour une production entière plutôt que hachée, en dépit de la complexité de l’opération, afin de mieux répondre à la demande des clients.

      « Environ 80 % du poisson est consommé entier, sous forme de poisson entier ou de filets », explique Plantish.

      Plantish a été fondée à la mi-2021 par Ofek Ron, ex directeur général de l’organisation israélienne Vegan Friendly, qui en est le PDG. Hila Elimelech est docteure en chimie et experte en technologie de fabrication additive, responsable de la R&D, le docteur Ron Sicsic est directeur scientifique, Ariel Szklanny est docteur en bioingénierie et directeur de la technologie tandis qu’Eyal Briller est l’ex directeur « produits » de la société américaine de viande à base de plantes Impossible Foods.

      Les fonds serviront à renforcer l’équipe et poursuivre la R&D pour le développement de nouveaux produits, avec en projet de proposer ce saumon à base de plantes dans les restaurants, comme première étape, a expliqué Plantish.

      La start-up a déclaré que son « saumon » à base de plantes serait lancé dans quelques lieux éphémères d’ici la fin de 2022, le lancement officiel étant programmé pour 2024.

      « Nous avons déjà vu ce phénomène sur le marché de la viande, maintenant c’est au tour du poisson », a déclaré Ron dans un communiqué de l’entreprise.

      « En particulier le saumon, qui représente 50 millions de dollars sur le marché des produits de la mer valorisé à un demi-milliard de dollars. Jusqu’à présent, le problème venait de la difficulté à reproduire la texture et la saveur du poisson. »

      Ron a ajouté que la société offrait « une délicieuse alternative au saumon, à la fois plus sûre pour vous et meilleure pour la planète. Pas d’antibiotiques, pas d’hormones, pas de mercure, pas de captures accidentelles et pas de compromis ».

      L’objectif de l’entreprise, a-t-il précisé, est de devenir « la marque numéro 1 de produits de la mer au monde, le tout sans faire de mal à un seul poisson ».

      « Parvenir à produire des produits de la mer entiers est la prochaine grande étape dans notre quête d’excellence et de développement durable », a déclaré Merav Rotem Naaman, associée générale chez State Of Mind Ventures.

      « Lorsque nous avons rencontré l’excellente équipe de Plantish, nous savions qu’elle avait la passion, la vision et la capacité de mener à bien la tâche apparemment impossible de produire une véritable alternative au poisson. »

      Plantish est l’une des quelque 90 entreprises dans le monde qui évoluent dans le domaine de l’industrie des produits de la mer à base de plantes. Une dizaine d’autres développent des produits de la mer cultivés ou des poissons fabriqués à partir de cellules animales, selon un rapport du Good Food Institute de juin 2021.

      La société d’études de marché IMARC Group a indiqué que les entreprises spécialisées dans les alternatives au poisson et autres produits de la mer avaient connu une croissance de l’ordre de 30 % entre 2017 et 2020. Cette tendance devrait se poursuivre dans les années à venir, avec la montée des préoccupations concernant l’épuisement des ressources ou la surpêche et la maturation des entreprises du secteur, passant du stade du développement à celui de la commercialisation.

      Plantish fait partie de la quarantaine de startups israéliennes du secteur des protéines alternatives à avoir connu une croissance d’environ 450 % en 2021, selon le dernier rapport du Good Food Institute (GFI) publié cette semaine.

      Le secteur des protéines alternatives est un sous-segment de l’industrie de la technologie alimentaire, qui comprend également la nutrition, l’emballage, la sécurité alimentaire, les systèmes de transformation et les nouveaux ingrédients. Il comprend des substituts à base de plantes pour la viande, les produits laitiers et les œufs, les produits laitiers, viandes et produits de la mer cultivés, les protéines issues des insectes et les produits et procédés de fermentation.

      #lignées_cellulaires #matière_première #protéines #protéines_alternatives #startups #technologie_alimentaire #recherche_&_développement #impression_3d #imprimante_3d #imprimantes_3d #fabrication additive #soleil_vert

    • Une saison de sole « catastrophique » à Boulogne-sur-Mer Darianna MYSZKA
      https://lemarin.ouest-france.fr/secteurs-activites/peche/42944-une-saison-de-sole-catastrophique-boulogne-sur-mer

      Après une bonne saison 2021, la raréfaction de la sole se fait à nouveau ressentir en Manche-est.

      En février, les pêcheurs côtiers de Boulogne ont débarqué à la criée 5 055 kg de sole commune contre 38 753 kg en 2021. Cette baisse de 86 % inquiète les professionnels pour qui la situation est « catastrophique ». Sur toute l’année 2021, les fileyeurs boulonnais avaient capturé 156 tonnes de soles, soit une augmentation de 128 % par rapport à l’année précédente. Ces résultats faisaient pressentir aux pêcheurs un début de la régénération de la ressource, liée notamment à l’interdiction totale de la pêche électrique entrée en vigueur au 1er juillet 2021.


      Mais l’année 2022 démarre mal. Mathieu Pinto, patron boulonnais de l’Ophélie, pêche en ce moment entre 100 et 150 kg de sole par marée et son collègue calaisien Josse Martin, patron du fileyeur Mirlou, seulement 20 kg. « On devrait en avoir entre 500 et 600 », regrette Mathieu Pinto. Étrangement, en janvier (hors saison), les pêcheurs boulonnais travaillaient mieux que d’habitude, avec plus de 8 tonnes débarquées à la criée au lieu de 4 l’année précédente. « Beaucoup de raisons peuvent expliquer cette diminution », indique Raphaël Girardin, chercheur à l’Ifremer, précisant qu’il est trop tôt pour rendre des conclusions, l’institut travaillant avec un an de recul.

      Par ailleurs, afin de trouver le poisson, les fileyeurs s’éloignent davantage des côtes françaises, parfois jusqu’à 4 heures de route de Boulogne. L’augmentation du prix du gasoil rend leur activité encore plus difficile. Pour partir en mer, Mathieu Pinto dépense tous les quatre jours 1 500 euros. Les prix de la sole, eux, restent toujours les mêmes, environ 14 euros/kilo.

      #peche_electrique #ifremer #gasoil #pêche #sole #poisson #mer

    • La Suisse va importer davantage de beurre d’ici la fin de l’année Alors qu’elle peut le produire
      https://www.rts.ch/info/suisse/12959263-la-suisse-va-importer-davantage-de-beurre-dici-la-fin-de-lannee.html

      La Suisse ne manque pas de lait mais elle manque de beurre, et elle va en importer 2000 tonnes supplémentaires d’ici la fin de l’année. L’Office fédéral de l’agriculture augmente les contingents d’importation pour 2022.
      Il a pris cette décision à la demande de l’Interprofession du lait, a-t-il annoncé lundi. La demande en beurre est forte : les Suisses consomment en moyenne 40’000 tonnes de beurre par an. Une demande en hausse depuis 2020, en raison de la pandémie. Les mesures sanitaires poussent en effet les Suisses à cuisiner davantage à la maison. Elles limitent aussi le tourisme d’achat.


      Production insuffisante
      Le problème, c’est que la production nationale ne suffira pas, cette année encore, à satisfaire la demande. La Confédération augmente donc pour la deuxième fois en quelques mois le contingent d’importations du beurre en provenance de l’Union européenne.

      Pourtant la Suisse aurait les capacités laitières pour satisfaire la demande. Mais il est aujourd’hui plus avantageux financièrement de fabriquer du fromage. Or, quatre fromages sur dix produits dans le pays sont exportés, dont de nombreux pâtes mi-dure à faible valeur ajoutée. « Et leur quantité est en augmentation », déplore mardi la secrétaire syndicale d’Uniterre Berthe Darras dans La Matinale de la RTS.

      Système dénoncé
      Ce système est ainsi dénoncé par certains producteurs et syndicats agricoles. Pour eux, à défaut de pouvoir produire plus de lait, la Suisse doit revaloriser la filière du beurre, en rendant son prix plus attrayant. Et privilégier, quel que soit le produit laitier, le marché indigène, insiste Berthe Darras.

      Sujet radio : Valentin Emery

      Adaptation web : Jean-Philippe Rutz

      #Suisse #Lait #Beurre #exportation #mondialisation #transports

  • Don’t install #PostgreSQL - Using containers for local development.
    https://www.perrygeo.com/dont-install-postgresql-using-containers-for-local-development.html

    #Docker #containers provide a robust way to run postgres in local development, with very few compromises. A container-based workflow makes it easier to maintain multiple parallel database, and to move data freely between systems. For my money, there’s no need to apt install postgres again.

  • * Trafic de drogue : le géant du transport par containers MCS cesse ses activités en provenance d’Amérique du Sud
    https://www.rtbf.be/article/trafic-de-drogue-le-geant-du-transport-par-containers-mcs-cesse-ses-activites-e

    La plus grande firme de containers au monde met ses activités en provenance d’Amérique du Sud à l’arrêt à cause du trafic de drogue. MSC Brésil a prévenu tous ses clients que dorénavant, et pour une période indéterminée, elle interrompait ses activités dans cette partie du monde. La raison : les menaces que font peser les actions criminelles sur l’entreprise, ses clients et ses partenaires commerciaux. Les activités criminelles dont il est question concernent bien sûr le trafic de drogue : les cartels utilisent la chaîne logistique du transport par containers.

    MSC a pris cette décision après la découverte de 200 kilos de drogue dans le port d’Aden, au Yémen, selon le média brésilien Jornal Da Band https://www.band.uol.com.br/noticias/jornal-da-band/ultimas/maior-empresa-de-conteiner-do-mundo-interrompe-parte-das-atividades-no- . En été 2019, un navire de MSC en route vers l’Europe s’est échoué aux Etats-Unis. Les autorités américaines ont découvert une importante quantité de drogue cachée dans ce navire, une vingtaine de tonnes de cocaïne ont été saisies. La firme MSC a dû payer une caution de 50 millions de dollars pour libérer le navire.

    Au Brésil, les marchandises qui passent par le port de Santos, dans l’Etat de São Paulo, représentent 34% de la balance commerciale du pays. Environ 150 millions de tonnes y transitent chaque année.

    La décision de MSC aura des conséquences en Europe, évidemment, et notamment dans le port d’Anvers, qui a transporté en 2021 près de 14 millions de tonnes de marchandises venant d’Amérique du Sud, selon Gazet Van Antwerpen https://www.gva.be/cnt/dmf20220119_96745239 . Cela concerne du bois, et aussi des produits alimentaires tels que du café, du sucre et des bananes notamment, explique à ce journal le patron belge de MSC Marc Beerlandt. De la drogue est parfois cachée dans ces marchandises. Il explique qu’il continuera à expédier des containers pour ses clients belges, mais qu’il interrompt les activités de transbordement.

    Conscientes qu’Anvers est une plaque tournante importante de la drogue provenant d’Amérique du Sud, les autorités belges ont intensifié les contrôles en utilisant notamment des caméras thermiques https://www.rtbf.be/article/plus-de-65-tonnes-de-cocaine-interceptees-au-port-d-anvers-en-2020-un-nouveau-r .

    #Transport #Containers #Logistique #Anvers #drogue #cocaïne #mondialisation #cocaïne #drogue #drogues #mafia #santé #cocaine #société #trafic #criminalité

  • L’embouteillage maritime mondial cause une pénurie de produits Cynthia Racine/oang
    https://www.rts.ch/info/economie/12362600-lembouteillage-maritime-mondial-cause-une-penurie-de-produits.html

    Sandales, montres-bracelets, capsules de café et autres produits, en provenance d’Asie notamment, manquent sur les étalages des supermarchés en Suisse. La cause en est un embouteillage persistant dans le commerce mondial, dû avant tout aux conséquences de la pandémie.
    De nombreux conteneurs sont actuellement bloqués, tant dans les ports de départ comme dans le port chinois de Yantian (Shenzen), que dans les ports d’arrivée européens.

    Et certains produits commencent à faire défaut dans les supermarchés. Aldi Suisse a ainsi signalé il y a quelques jours avoir mis en place un nouveau service de notification pour les produits concernés par cette pénurie.


    Le boom du commerce en ligne
    Les raisons de cet engorgement du commerce sont diverses, mais la pandémie a joué un rôle central : les consommateurs et consommatrices partout dans le monde, privés de voyages et de restaurants, se sont repliés sur le commerce en ligne, grand utilisateur du fret maritime.

    Il y a eu aussi ce printemps le blocage du canal de Suez, dont les conséquences se font encore sentir aujourd’hui. Et il y a donc embouteillage dans quasiment tous les ports du monde.

    Fermeture des ports en raison du Covid
    Carlos Cordon, professeur de gestion de la chaîne d’approvisionnement à l’IMD, rappelle que les ports ont vécu des fermetures en raison du Covid, entraînant des étranglements à l’arrivée des porte-conteneurs.

    « Dans le port de Los Angeles, par exemple, il y avait une quantité énorme de bateaux en train d’attendre pour être déchargés », a-t-il illustré jeudi dans La Matinale de la RTS.

    Autre raison à ce blocage du commerce mondial, les compagnies fabriquant les conteneurs avaient anticipé un recul de la consommation mondiale. Elles en ont donc moins fabriqué.

    Des conteneurs dix fois plus chers
    « Depuis presque une année, on a un gros problème, il n’y a pas suffisamment de conteneurs dans le monde », a expliqué Carlos Cordon. « Il y a une année et demie, un conteneur pouvait valoir moins de 1000 francs. Et aujourd’hui, il peut coûter jusqu’à 10’000 francs ».

    Le risque est évidemment de faire augmenter le prix du produit transporté pour le consommateur final.

    Selon les experts, cette situation pourrait perdurer jusqu’en 2022. De son côté, Aldi dit ne pas être en mesure d’estimer comment la situation va évoluer pour le moment.

     #transport_maritime #container #containers #pénuries #ports #commerce #spéculation #approvisionnement #transports #transport_maritime #consommation #commerce #navires #penurie #pénuries #capitalisme #bateaux #navires

  • Feu vert pour le chantier du canal Seine-Nord Europe, un projet pharaonique

    Permis de creuser ! Ce lundi, une nouvelle, passée un peu inaperçue, a été annoncée du côté de Compiègne, en France. Corinne Orzechowski, préfète du département de l’Oise, a signé un arrêté d’autorisation environnementale pour des aménagements dans la vallée de l’Oise https://www.canal-seine-nord-europe.fr/Actualites/L-autorisation-environnementale-pour-le-secteur-1-a-ete-sign . Avec ce feu vert de madame la Préfète, cela veut dire que les travaux pour la phase 1 du percement du canal Nord-Seine-Europe peuvent débuter.
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    Pour la région des Hauts-de-France, c’est le « chantier du siècle ». Le creusement d’un canal à grand gabarit entre les bassins de la Seine et de l’Escaut.
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    Le projet, d’une longueur totale de 106 kilomètres, traversant la fertile campagne picarde va donc commencer sa première phase. 18 kilomètres près de Compiègne. Ensuite, les autres secteurs suivront, et les autorités françaises d’estimer à 2028 une mise en service complète. Aux entrepreneurs maintenant de creuser, mais aussi d’élargir certaines parties de l’ancien canal, d’aménager des infrastructures (3 ponts-canaux, 7 écluses, 4 plateformes multimodales, des quais commerciaux, deux réservoirs d’eau, 59 ouvrages de franchissement routier et ferroviaire…). D’une largeur de 54 mètres et d’une profondeur de 4,5 mètres, le travail est titanesque.
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    Avant de creuser, des fouilles archéologiques ont été menées sur tout le tracé du canal. Selon le journal le Parisien, c’est ainsi le plus grand chantier archéologique jamais mené en Europe qui a été ouvert. Des fouilles qui ont permis de faire revenir à la surface et dans la mémoire des hommes des traces des batailles de la première guerre mondiale (comme celle de Noyon), mais aussi des centaines de sites archéologiques. Voie et villas romaines, monuments funéraires, des traces allant principalement de la Préhistoire à Moyen-Age.

    la suite dithyrambique : https://www.rtbf.be/info/monde/detail_transport-fluvial-feu-vert-pour-le-chantier-du-canal-seine-nord-europe-u

    #péniche #transports #trafic #travaux #chantiers #container #transport_fluvial #péniche #eau #gaspillage #Oise #chantier #massacre des #terres_agricoles #projet de l’#ue #union_européenne

  • #mdr Débloquage de 12% du transport maritime mondial

    . . . . . Selon la société néerlandaise Smit Salvage mandatée par l’exploitant du navire Evergreen Marine Corp, basé à Taïwan, pour aider à dégager le navire, l’opération pourrait prendre « des jours voire des semaines ». Evergreen a sollicité Smit Salvage et l’entreprise japonaise Nippon Salvage pour mettre en place « un plan plus efficace » de sauvetage du navire. Les premiers experts devraient arriver jeudi. . . .

    Source : https://www.letemps.ch/monde/canal-suez-pourrait-bloque-jours-voire-semaines

    #capitalisme #suez #transport #container #suez #mondialisation

  • Numéro spécial de la #revue Society and Space autour des #hotspots
    "Governing Hotspots"

    Articles in this issue:

    Governing mobility in times of crisis: Practicing the border and embodying resistance in and beyond the hotspot infrastructure

    Five years into its implementation, those arriving and caught up in the hotspot system are still being warehoused where they are not wanted, pushed back to where they came from and constantly moved around at will. With the introduction of fast track asylum procedures and geographical movement restrictions on the islands, hotspots have become spaces where exceptional rules apply and where mobility is explicitly targeted.

    By Antonis Vradis, Evie Papada, Anna Papoutsi, Joe Painter

    #mobilité #frontière #résistance #îles

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    Hotspots and the geographies of humanitarianism

    This article focuses on the humanitarian geographies of the hotspots. It argues that hotspots are humanitarian in both idea and practice by raising two fundamental questions that form the basis for the article: what is humanitarianism, and who is it for?

    By Polly Pallister-Wilkins

    #humanitarisme

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    Containment beyond detention: The hotspot system and disrupted migration movements across Europe

    This article deals with the ways in which migrants are controlled, contained and selected after landing in Italy and in Greece, drawing attention to strategies of containment aimed at disciplining mobility and showing how they are not narrowed to detention infrastructures.

    By Martina Tazzioli, Glenda Garelli

    #Italie #containment #détention

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    Pop-up governance: Transforming the management of migrant populations through humanitarian and security practices in #Lesbos, Greece, 2015–2017

    This paper intervenes in recent debates on humanitarianism and security in migration by introducing the notion of ‘pop-up governance’. It reflects on our two year-long fieldwork on Lesbos, Greece at the peak of Europe’s migrant reception crisis (2015–2017).

    By Evie Papada, Anna Papoutsi, Joe Painter, Antonis Vradis

    #sécurité

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    Hotspot geopolitics versus geosocial solidarity: Contending constructions of safe space for migrants in Europe

    This article examines how contending constructions of safe space for migrants reflect the geopoliticization of humanitarianism and its geosocial discontents. It documents the ways in which Hotspots have made migrants unsafe, even as they have been simultaneously justified in humanitarian terms as making both Europe and refugees safer.

    By Katharyne Mitchell, Matthew Sparke

    #solidarité #safe_space

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    Hotspots of resistance in a bordered reality

    Drawing on ethnographic research and discourse analysis, conducted in Lesvos, Samos, and Athens (from March to September 2016), we examine how resistance to a bordered reality took place, as islands in the north Aegean, as well as Greek and European territories, were being remapped according to the logic of the hotspot.

    By Aila Spathopoulou, Anna Carastathis

    #Samos #Athènes

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    To oblivion and beyond: Imagining infrastructure after collapse

    Following Lauren Berlant and Dominic Boyer, we take the current moment as an opportunity to reconsider infrastructure and to work toward a perspective that would see it as a resource from which to construct more creative and equitable futures.

    By Daniel Carter, Amelia Acker

    https://www.societyandspace.org/journal-issues/volume-38-issue-6

  • #CoronaCapitalism and the European #Border_Regime

    As the coronavirus pandemic continues to affect people’s lives all over the world, the violence against migrants and refugees has intensified. This article explores #CoronaCapitalism and the Border Regime in a European context. Corporate Watch uses the term “border regime” as a shorthand to mean all of the many different institutions, people, systems and processes involved in trying to control migrants.

    This article only shares the tip-of-the-iceberg of migrant experiences during the coronavirus pandemic and we know there are many other untold stories. If you would like to share your news or experiences, please contact us.

    Mass Containment Camps

    As the world descended into lockdowns in an attempt to prevent the spread of the virus, tens of thousands of people have been confined in camps in the Western Balkans and Greece, as well as smaller accommodation centres across Europe. New and existing camps were also essentially locked down and the movement of people in and out of camps began to be heavily controlled by police and/or the military.

    The Border Violence Monitoring Network (BVMN) has been trying to track what is happening across the Balkans. They write that in Bosnia-Herzegovina, “more than 5,000 people were detained in existing temporary refugee reception centres. They include about 500 unaccompanied minors and several hundred children with families. Persons in need of special care, patients, victims of torture, members of the LGBTQ population, persons diagnosed with mental disorders, and victims of domestic violence have also been locked down into ‘EU-funded’ camps.” Police officers guard the centres and emergency legislation enables them the right to ‘physically force persons trying to leave the centres to return.’

    120,000 people are locked down in containment camps across Greece and the Greek Islands. Disturbing accounts of refugee camps are ever-present but the pandemic has worsened already unbearable conditions. 17,000 refugees live at Moira Refugee Camp where there are 210 people per toilet and 630 people per shower. Coronavirus, uncertainty over suspended asylum applications and the terrible living conditions are all contributing to escalating violence.

    In detention centres in Drama and Athens in Greece, the BVMN report that, “Respondents describe a lack of basic amenities such as running water, showers, or soap. Cramped and overcrowded conditions, with up to 13 inmates housed in one caravan with one, usually non-functioning, toilet. Requests for better services are met with violence at the hands of officers and riot police. On top of this, there have been complaints that no special precautions for COVID-19 are being taken, residents inside told BVMN reporters that sick individuals are not isolated, and are dismissed as having ‘the flu’.”

    While movement restrictions were lifted for Greek residents on 4th May, lockdown is still extended for all camps and centres across Greece and the Islands. This decision triggered thousands of people to protest in Athens. Emergency legislation adopted at the start of March in Greece effectively suspended the registration of asylum applications and implied immediate deportation for those entering the Greek territory, without registration, to their countries of origin or to Turkey.

    Detention and the deportation regime

    While major country-wide lockdowns are an unusual form of restriction of movement, for decades European states have been locking people seeking safety in detention centres. Immigration Removal Centres are essentially prisons for migrants in which people are locked up without trial or time-limit. In the UK the detention system is mostly run for profit by private companies, as detailed in our UK Border Regime book.

    Despite preparing for a pandemic scenario in January 2020, it took public pressure and legal action before the British government released nearly 1000 people from detention centres. As of the end of May, 368 people were still locked up in the profit-making detention centres and many more are living in ‘accommodation centres’ where they have been unable to access coronavirus testing.

    During the pandemic, people have been revolting in several detention centres across France and Belgium. Residents at a refugee centre in Saxony-Anhalt in Germany went on a hunger strike in April to protest against a lack of disinfectant. Hunger strikes have also taken place at detention centres in Tunisia, Cyprus and France.

    Women in a police holding centre for migrants in Greece went on hunger strike in June. In a statement, they wrote: “We will continue the hunger strike until we are free from this captivity. They will either set us free or we shall die”.

    People staged a rooftop protest at a detention centre in Madrid at the start of the outbreak. This was before all the detention centres in Spain were, for the first time in their history, completely emptied. To put this into context, Spain had 6,473 detainees in 2019. Legal challenges have been leveraging the EU Returns Directive which allows detention pending deportation for up to 18 months, but stipulates that if “a reasonable prospect of removal no longer exists…detention ceases to be justified and the person concerned shall be released immediately”.

    With a worldwide reduction in flights, deportations became unfeasible, however, many are afraid that the deportation machine will restart as things “return to normal”.

    Worsening life in the ‘jungle’

    People living in squats and other improvised accommodation have also faced sweeping operations, with people being rounded up and taken to containment camps.

    For those that remained on the street, pandemic restrictions took their toll. In Greece, movement amidst the pandemic was permitted via letters and text messages. For people who did not have the right paperwork, they were fined 150 euros, sometimes multiple times.

    Similarly, in the French city of Calais, people who did not have the right paperwork were commonly denied access to shops and supermarkets, where they may have previously used the bathrooms or bought food to cook. With many volunteer groups unable to operate due to movement restrictions, the availability of food dramatically reduced overnight. Access to services such as showers, phone charging and healthcare also rapidly reduced.

    People in Calais also faced a rise in evictions: 45 evictions were recorded in the first two weeks of lockdown. These expulsions have continued throughout the pandemic. On Friday 10th July 2020, a major police raid in Calais forced more than 500 people onto buses to be taken to ‘reception centres’ across the region.

    In Amsterdam in the Netherlands, some migrants were forced to live in night shelters and made to leave during the daytime – facing constant risks of contracting COVID-19 and police harassment in the city. They protested “I would stay at home if I had one”.

    Many migrant solidarity groups working on the ground lost huge numbers of volunteers due to travel restrictions and health concerns. Access to material donations such as tents, which are commonly collected at the end of festivals, also reduced. A constant supply of these resources is needed because the police routinely take the migrants’ tents away.

    Militarisation of borders

    The pandemic has seen an increase in military forces at borders and camps, persistent police violence and the suspension of ‘rights’ or legal processes. Using ‘State of Emergency’ legislation, the health crisis has been effectively weaponised.

    In March at the beginning of the pandemic in Europe, FRONTEX, the European Border and Coast Guard Agency deployed an additional 100 guards at the Greek Land Border. This is in addition to the agency’s core of 10,000 officers working around Europe.

    In their 2020 Risk Analysis Report, FRONTEX wrote that “the closing of internal borders is binding border guard personnel, which some border authorities have long stopped planning for”. This illuminates a key complexity in border control. For years, Europe has shifted to policing the wider borders of the Schengen Area. As the virus spread between countries within that area, however, states have tried to shut down their own borders.

    Police forces and militaries have become increasingly mobilised to “protect these national borders”. In Slovenia, this meant the military was granted authority to ‘process civilians’ at the border through the government’s activation of Article 37a of the Defence Act. While in Serbia, the army was deployed around border camps to ensure mass containment. 400 new border guards were also dispatched to the Evros land border between Greece and Turkey in addition to an increase in fencing and surveillance technologies.

    Escalating Police Violence

    Although migrants are no strangers to police brutality, national states of emergency have enabled an escalation in police violence. In mid-April an open letter was published by the Eritrean community of the Calais jungle reporting escalating police brutality. It describes the actions of the CRS police (Compagnies républicaines de sécurité); the general guard of the French police, infamous for riot control and repression:

    “They don’t see us as human beings. They insult us with names such as monkey, bitch etc. And for the past few weeks, they have started to threaten our lives by beating us as soon as the opportunity arises. When for example they found a group of two or three people walking towards the food distribution, or in our tents, when we were sleeping. They accelerate in their vehicles while driving in our direction, as if they wanted to crush us. They also took people with them to places far from Calais, and beat them until they lost consciousness.”

    The statement continues with a chronological list of events whereby people were beaten up, hit, gassed, had their arms broken, and were struck on the head so hard they lost consciousness and were taken to hospital by ambulance.

    With fewer people on the streets during the pandemic, police evictions that were not previously possible due to street-level resistance became successful. This was evidenced in the eviction of the Gini occupation at the Polytechnic University in Exarchia, Greece, a location that the police have not dared enter for decades. Dozens of migrant families were rounded up and taken to a detention centre.

    Violent pushbacks across borders

    There has also been an increase in illegal and violent pushbacks. Pushbacks are the informal expulsion (without due process) of individuals or groups to another country. This commonly involves the violent removal of people across a border.

    For example, on April 22nd in North Macedonia, a group of people from Palestine, Morocco and Egypt were pushed back into Greece. Two men were approached by officers in army uniforms and forced onto a bus where officers began to beat them with batons and guns. So much force was used that one man’s arm was fractured. The other members of the small group were later found and abruptly woken by officers. One man was stamped on and kicked across his body and head. Their shoes were removed and they were told to walk the 2km back to the border where they were met with the other group that had been taken there.

    A group of 16 people in Serbia (including one minor) were told they were being taken to a new camp for COVID prevention. They were then forced into a van and driven for nine hours with no stops, toilet or water. They were released at a remote area of hills and told to leave and cross the border to North Macedonia by the officers with guns. When found attempting to cross again days later they were told by police officers, “Don’t come again, we will kill you”.

    In Croatia, police have also started tagging people that they have pushed back with orange spray paint.

    There are also reports that Greek authorities are pushing people back to Turkey. According to the Border Violence Monitoring Network, many people shared experiences of being beaten, robbed and detained before being driven to the border area where military personnel used boats to return them to Turkey across the Evros river. In mid April in Greece, approximately 50 people were taken from Diavata camp in the morning and removed to a nearby police station where they were ordered to lie on the ground – “Sleep here, don’t move”. They were then beaten with batons. Some were also attacked with electric tasers. They were held overnight in a detention space near the border, and beaten further by Greek military officers. The next day they were boated across the river to Turkey by authorities with military uniforms. Another group were taken to the river in the dark and ordered to strip to their underwear.

    As pushbacks continue, people are forced to take even more dangerous routes. In Romania in mid-April, a group were found drowning in the Danube River after their boat capsized. One person was found dead and eight are still missing, while the survivors suffered from hypothermia.

    Danger at Sea

    During the pandemic, increasing numbers of disturbing accounts have been shared by migrants experiencing violence at sea. Between mid March and mid May, Alarm Phone (a hotline for boat people in distress) received 28 emergency calls from the Aegean Sea.

    On the 29th April, a boat carrying 48 refugees from Afghanistan, Congo and Iran, including 18 children, tried to reach Lesvos Island in the early hours of the day. They were pushed back to Turkish waters:

    “We were very scared. We tried to continue towards Lesvos Island. It was only 20 minutes more driving to reach the Greek coast. The big boat let a highspeed boat down, which hunted us down. There were six masked men in black clothes. They stopped us and made many waves. With a long stick they took away our petrol and they broke our engine. They had guns and knives. Then they threw a rope to us and ordered us to fix it on our boat. Then they started pulling us back towards Turkey. After a while they stopped and cut the rope. They returned to the big boat and took distance from us. It was around 6am.

    Then two other boats of the Greek coastguard arrived which were white and grey and drove very fast towards us, starting to make circles around our boat. They created big waves which were pushing us in the direction of Turkish waters. Our boat was taking in water and the kids were screaming. Our boat started breaking from the bottom. We were taking out the water with our boots. We threw all our belongings in the sea to make our boat lighter. Many of us had no life vests. A pregnant lady fainted. The Greeks continued making waves for a long period. A Turkish coastguard boat arrived and stood aside watching and taking photos and videos for more than six hours. Only after 13:30 o’clock the Turkish coastguard boat finally saved us. We were brought to Çanakalle police station and detained for five days.”

    During two months of lockdown, civil monitoring ships (volunteers who monitor the Aegean sea for migrants arriving via boat) were not permitted. In Italy, ports were closed to rescue ships, with many feared lost at sea as a result. Allegations have also emerged that Greece has been using inflatable rafts to deport asylum seekers. These are rafts without motors or propellers that cannot be steered.

    The Maltese Army also hit the headlines after turning away a boat of migrants by gunpoint and giving them the GPS coordinates for Italy. This is after recent reports of sabotaging migrant vessels, and pushing back migrant boats to Libya resulting in 12 people dying. The Maltese government recently signed a deal with the Libyan government to “to coordinate operations against illegal migration”. This includes training the Libyan coastguards and funding for “reception camps”.

    The threat of the virus and worsening conditions have also contributed to a record number of attempts to cross the Channel. The courage and commitment to overcome borders is inspiring, and more successful crossings have taken place during the pandemic. Between March 23rd (when the UK coronavirus lockdown began) and May 11th at least 853 migrants managed to cross the Channel in dinghies and small boats.

    State Scapegoating and the empowerment of the far right

    Far-right politicians and fascist activists have used the pandemic as an opportunity to push for closed borders.

    The election of a new Far Right government in Slovenia in March brought with it the scapegoating of refugees as coronavirus vectors. News conglomerate, NOVA24, heavily publicised a fake news story that the first COVID-19 patient in Italy was a Pakistani person who came via the Balkan route.

    Meanwhile, Hungary’s Government led by Vicktor Orbán moved to deport resident Iranians after claiming they were responsible for the country’s first coronavirus outbreak.

    In Italy, Matteo Salvini, the populist leader of the opposition Lega party tried to blame the movement of migrants from Africa across the Mediterranean as a “major infection threat” shortly before the country was overwhelmed with the pandemic and its rising death toll.

    The racist scapegoating ignores data that proves that initially the virus was transmited predominatnly by tourists’ and business people’s globe-trotting in the service of global capitalism and the fact that those whose movement is restricted, controlled and perilous, who do not have the power and wealth, are the most likely to suffer from the worst effects of both the virus itself and the shut downs.

    The Aftermath of Asylum suspension

    Access to asylum has drastically shifted across Europe with the suspension of many face-to-face application processing centres and appeal hearings. This ‘legal limbo’ is having a severe impact on people’s lives.

    Many people remain housed in temporary accommodation like hotels while they wait for their claim to be processed. This accommodation is often overcrowded and social-distancing guidelines are impossible to follow there. One asylum seeker in South London even shared to The Guardian how two strangers were made to share his double bed for a week in one room. One of the people was later taken to hospital with coronavirus.

    Closed-conditions at Skellig Accomodation Centre, a former hotel in Cahersiveen, Co. Kerry, Ireland enabled the rapid spread of the virus between the 100 people living there. Misha, an asylum seeker confined there, said she watched in horror as people started falling sick around her.

    “We were sharing bedrooms with strangers. We were sharing the dining room. We were sharing the salt shakers. We were sharing the lobby. We were sharing everything. And if you looked at the whole situation, you cannot really say that it was fit for purpose.”

    People were ordered to stay inside, and meanwhile coronavirus testing was delayed. Protests took place inside and locals demonstrated in solidarity outside.

    Asylum seekers in Glasgow have been protesting their accommodation conditions provided by the Mears Group, who Corporate Watch profiled in 2019. Mears Group won a £1.15 billion contract to run the refugee accommodation system in Scotland, Northern Ireland and much of the north of England. Their profiteering, slum landlord conditions and involvement in mass evictions have been met with anger and resistance. The pandemic has only worsened the experiences of people forced to live in Mears’ accommodation through terrible sanitation and medical neglect. Read our 2020 update on the Mears Group here.

    In the UK, the Home Office put a hold on evictions of asylum seekers during lockdown. The Red Cross stated this spared 50,000 people from the threat of losing their accommodation. Campaigners and tenants fear what will happen post-corona and how many people will face destitution when the ban on evictions lifts this August.

    In addition, a face-to-face screening interview is still needed for new asylum claims. This creates an awful choice for asylum seekers between shielding from the virus (and facing destitution) or going to the interviews in order to access emergency asylum support and begin the formal process. While meagre, the £37.75 per week is essential for survival. One of the reasons the Home Office make face-to-face applications compulsory is because of biometric data harvesting e.g. taking fingerprints of asylum seekers. One asylum seeker with serious health problems has had to make three journeys from Glasgow to Liverpool in the midst of the pandemic to submit paperwork.

    Access to food and other support is also very difficult as many centres and support services are closed.

    Barriers to Healthcare

    It is widely recognised that systemic racism has led to the disproportionate deaths of Black, Asian and minority ethnic people throughout the pandemic. Research has shown Black people are four times more likely to die than white people, and Bangladeshi or Pakistani groups are three times more likely. Many people from these communities are migrants, and many work in the National Health Service and social care sector.

    Research by Patients not Passports, Medact, Migrants Organise and the New Economics Foundation has shown that many migrants are avoiding seeking healthcare. 57% of respondents in their research report that they have avoided seeking healthcare because of fears of being charged for NHS care, data sharing and other migration enforcement concerns. Most people are unaware that treatment for coronavirus is exempt from charging. They also often experience additional barriers including the absence of translation and interpretation services, digital exclusions, housing and long distances from care services.

    Undocumented migrants are incredibly precarious. A project worker interviewed for the Patients not Passports Report shared that:

    “One client lived in a care home where she does live-in care and she has been exposed to Corona but has stated that she will not seek treatment and would rather die there than be detained.”

    Elvis, an undocumented migrant from the Philippines, died at home with suspected coronavirus because he was so scared by the hostility of Government policies that he did not seek any help from the NHS.

    For those that do try to access healthcare, issues such as not having enough phone credit or mobile data, not having wifi or laptops for video appointments, and simply not being able to navigate automated telephone and online systems because of language barriers and non-existent or poor translation, are having a very real impact on people’s ability to receive support. Fears of poor treatment because of people’s past experiences of discrimination and racism even if they access the services is another barrier.

    Exploiting Migrant Labour

    The exploitation of migrant labour has always been essential to sustaining capitalist economies. The pandemic generated contradictory responses from politicians and capitalists alike. Germany’s agricultural sector lobbied hard for opening the border after they were closed, leading the country to lift its ban and let in over 80,000 seasonal workers from Eastern Europe. Yet dilapidated living conditions and overcrowding are sparking new COVID-19 outbreaks, such as the 200 workers that contracted the virus at a slaughterhouse in western Germany.

    In mid May, the Italian government passed a law regularising undocumented migrants, whereby undocumented workers have been encouraged to apply for six-month legal residency permits. There are believed to be about 600,000 undocumented workers in Italy but only people doing ‘essential’ work during the pandemic can apply, mostly in the agricultural sector. Thousands of people live in makeshift encampments near fruit and vegetable farms with no access to running water or electricity.

    Working conditions carry risks of violence. On 18 May, five days after Italy’s regularisation law passed, a 33-year old Indian migrant working in a field outside of Rome was fired after asking his employer for a face mask for protection while at work. When the worker requested his daily wage, he was beaten up and thrown in a nearby canal.

    Conclusion

    The coronavirus crisis has exposed and intensified the brutality required to sustain capitalism – from systemic racism, to violent border controls, to slave labour for industrial agriculture, the list goes on. Despite extremely difficult conditions, undocumented migrants have formed strong movements of solidarity and collective struggle in many European countries. From revolts in detention centres to legal actions to empty them, people are continually resisting the border regime. As people reject a ‘return to normal’ post pandemic, the fall of the border regime must be part of a vision for freedom and liberation in a world beyond capitalism.

    https://corporatewatch.org/coronaborderregime
    #capitalisme #covid-19 #coronavirus #frontières #Europe #migrations #violence #asile #réfugiés #camps #camps_de_réfugiés #containment #rétention #campements #technologie #militarisation_des_frontières #Grèce #Turquie #violences_policières #police #refoulements #push-backs #Balkans #route_des_Balkans #santé #accès_aux_soins #travail #exploitation #pandémie #Frontex #confinement #grève_de_la_faim #fermeture_des_frontières

    ping @isskein @karine4 @rhoumour @_kg_ @thomas_lacroix

  • #Grèce : un cas de #coronavirus dans un deuxième camp de migrants

    Le camp de #Malakasa, non loin d’#Athènes, a été placé en « confinement sanitaire total ».

    Un deuxième camp de migrants près d’Athènes a été placé dimanche 5 avril en quarantaine par les autorités grecques après un test au coronavirus qui s’est révélé positif pour un ressortissant afghan, a annoncé le ministère des Migrations.

    Le camp de Malakasa, à quelque 38 km au nord-est d’Athènes, a été placé « en confinement sanitaire total » pour 14 jours, avec interdiction d’y entrer ou d’en sortir.

    Selon le ministère, un Afghan âgé de 53 ans, souffrant déjà d’une maladie, s’est présenté de lui-même au dispensaire du camp après avoir ressenti des symptômes du Covid-19. Il a été emmené dans un hôpital d’Athènes où il a été testé positif au nouveau coronavirus. Sa famille a été placée à l’isolement et un examen complet du camp est en cours, a ajouté le ministère.

    Les camps de migrants qu’abrite la Grèce accueillent des dizaines de milliers de demandeurs d’asile dans des conditions précaires. Un foyer d’infection avait été repéré jeudi dans celui de Ritsona, à 80 km au nord d’Athènes, où 23 personnes ont jusqu’à présent été testées positives. Aucun membre du personnel du camp ne semblait touché par le virus, selon « le Monde ». « Nous alertons depuis des mois sur le manque d’hygiène dans les camps des îles. Face à cette épidémie, il devient urgent de transférer au plus vite les personnes les plus vulnérables vers le continent, vers des hébergements adaptés », estimait Boris Cheshirkov, porte-parole du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés en Grèce, cité par le quotidien du soir.

    https://www.nouvelobs.com/coronavirus-de-wuhan/20200405.OBS27087/grece-un-cas-de-coronavirus-dans-un-deuxieme-camp-de-migrants.html
    #confinement #confinement_sanitaire_total #asile #migrations #réfugiés #covid-19 #camp_de_réfugiés

    Sur le camp de Ritsona :
    https://seenthis.net/messages/838008

    ping @luciebacon

    • Coronavirus : dans le camp de Malakasa en quarantaine, « personne ne manque de nourriture »

      Le camp de Malakasa, situé à 38 kilomètres au nord-est d’Athènes, a été placé en “confinement sanitaire total” pour 14 jours après qu’un cas de coronavirus y a été détecté. Les autorités grecques et l’OIM doivent assurer l’approvisionnement des résidents en nourriture et produits d’hygiène. Des tests sont également effectués.

      Plus personne n’entre ni ne sort du camp de Malakasa, en Grèce. Installé près d’un terrain militaire, à quelque 38 kilomètres au nord-est d’Athènes, ce camp – normalement ouvert – a été placé dimanche 5 avril en "confinement sanitaire total" pour 14 jours.

      Un migrant afghan y a été testé positif au Covid-19, a annoncé le ministère des Migrations. Cet homme de 53 ans, souffrant déjà d’une maladie, s’est présenté de lui-même au dispensaire du camp après avoir ressenti des symptômes du Covid-19.

      Il a été emmené dans un hôpital d’Athènes où il a été testé positif au nouveau coronavirus. Sa famille a été placée à l’isolement et un examen complet du camp est en cours, a ajouté le ministère.

      Interrogée par InfoMigrants, Christine Nikilaidou, responsable des informations publiques de l’Organisation internationale des migrations (OIM) – qui gère le camp – confirme que les résidents sont soumis à des tests. Si elle affirme ne pas savoir exactement combien de tests ont déjà été effectués, elle avance que l’entourage proche de l’Afghan malade a été testé en priorité.
      Distribution de nourriture et kits d’hygiène

      L’immense majorité des 1 611 personnes qui vivent dans le camp de Malakasa est originaire d’Afghanistan. En temps normal, les allées de graviers du camp grouillent d’enfants qui courent. Mais, ces jours-ci, le camp semble désert. La pluie tombe en permanence et l’OIM incite les familles à rester à l’intérieur de leur conteneur.

      Dans ces petits bâtiments posés sur le sol, les familles disposent de l’eau courante et de l’électricité mais les murs sont tachés d’humidité et le manque d’espace est criant.

      Jusqu’à la fermeture du camp, les résidents pouvaient aller faire leurs courses dans les commerces de la ville ou à Athènes. Toute sortie étant désormais interdite, l’OIM assure se coordonner avec les autorités grecques pour permettre des distributions de nourriture et de kits d’hygiène aux résidents du camp.

      "Ces distributions commenceront dans quelques jours. Les kits sont prêts mais nous attendons de recevoir les résultats des tests déjà effectués. Nous savons que, pour le moment, tout le monde a des provisions et personne ne manque de nourriture", affirme Christine Nikilaidou.

      Le camp de Malakasa est le deuxième camp de migrant en Grèce à être placé en quarantaine en raison du coronavirus. Un foyer d’infection avait déjà été repéré jeudi dans le camp de Ritsona, à 80 km au nord d’Athènes, où 23 personnes ont jusqu’à présent été testées positives.

      Comme de nombreux autres pays européens, la Grèce a imposé à sa population des mesures de confinement depuis le 23 mars. Les autorités grecques ont annoncé samedi qu’elles seraient étendues pour trois semaines, jusqu’au 27 avril.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/23905/coronavirus-dans-le-camp-de-malakasa-en-quarantaine-personne-ne-manque
      https://seenthis.net/messages/839727

    • Greece Quarantines Second Migrant Camp After COVID-19 Case Confirmed

      Greece has quarantined a second migrant facility on its mainland after a 53-year-old man tested positive for the new coronavirus, the migration ministry said on Sunday.

      The Afghan man lives with his family at the Malakasa camp, just north of Athens, along with hundreds of asylum seekers. He has been transferred to a hospital in Athens and tests on his contacts will continue as authorities try to trace the route of the virus.

      Greece confirmed 62 new cases of COVID-19 later in the day, bringing the total in the country to 1,735 since its first case was reported in February. Seventy three people have died.

      Last week, the Ritsona camp in central Greece was sealed off after 20 tested positive for the new coronavirus. It was the first such facility in the country to be hit since the outbreak of the disease. [L8N2BQ1V9]

      Greece has been the main gateway into the European Union for people fleeing conflict in the Middle East and beyond. More than a million people reached its shores from Turkey in 2015-16.

      At least 110,000 people currently live in migrant facilities - 40,000 of them in overcrowded camps on five islands.

      “The number (of migrants and refugees) is very large, therefore it is a given, mathematically, that there will be confirmed cases,” Migration Minister Notis Mitarachi told Skai TV. “We have an emergency plan in place ... But it is more difficult to implement it on the islands.”

      No cases have been recorded in camps on Greek islands so far.

      The conservative government wants to replace all existing camps on islands with enclosed detention centers, but its plans have been met with resistance from local authorities and residents who want all facilities shut.

      To contain the spread of the virus the government also wants new arrivals isolated from the rest of the migrants but most islands have not designated areas of accommodation, ministry officials said. About 120 people who recently arrived on Lesbos have not yet found a shelter, according to sources.
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      Aid groups have urged Greece to evacuate the camps, warning the risk of the fast-moving virus spreading among people living in squalid conditions is high and containing an outbreak in such settings would be “impossible”.

      The camp in Malakasa, 40 km (25 miles) northeast of Athens, will be put into quarantine for two weeks, the ministry said on Sunday, adding that police guarding the site would be reinforced to ensure the restrictions are implemented.

      A separate, enclosed facility started operating last month for migrants who arrived after March 1, the ministry said.

      Greece has imposed a nationwide lockdown and banned arrivals from non-EU countries as well as Germany, Britain, Italy and Spain. The measures have hit its economy which is relying on tourism for a recovery after a decade-long debt crisis.

      https://www.nytimes.com/reuters/2020/04/05/world/europe/05reuters-health-coronavirus-greece-camp.html?searchResultPosition=5

    • COVID-19 : Διαμαρτυρία μεταναστών στη Μαλακάσα

      Στο προσφυγικό κέντρο της Μαλακάσας μετανάστες διαμαρτύρηθηκαν και ζητούν να υποβληθούν σε τεστ για τον COVID-19. Η κυβέρνηση αποφάσισε τον υγειονομικό αποκλεισμό του κέντρου για 14 ημέρες, αφού ένας 53χρονος Αγφανός βρέθηκε θετικός στον ιό. Στο μεταξύ, ο Εθνικός Οργανισμός Δημόσιας Υγείας συνεχίζει την ιχνηλάτηση με στόχο τον εντοπισμό άλλων κρουσμάτων εντός της δομής φιλοξενίας, ενώ ειδικά συνεργεία απολυμαίνουν τους κοινόχρηστους χώρους.

      Οι υγιείς μετανάστες και πρόσφυγες διαμένουν σε χώρο πλήρως απομονωμένο, ενώ η αστυνομία έχει ενισχύσει την παρουσία της στην περίμετρο του χώρου φιλοξενίας. Μετά την Ριτσώνα, η παλιά δομή της Μαλακάσας είναι το δεύτερο προσφυγικό κέντρο που μπαίνει σε καραντίνα με στόχο να περιοριστεί η εξάπλωσης της πανδημίας.


      https://gr.euronews.com/2020/04/06/covid-19-diamartyria-metanaston-sti-maklakasa

      –-> Commentaire de Vicky Skoumbi reçu via mail via la mailing-list Migreurop :

      Aujourd’hui, c’était le deuxième jour d’une quarantaine de quatorze jours pour l’ancien camp de réception de Malakasa – celui qui se trouve juste à côté du nouveau camp fermé destinés à ceux qui sont arrivés après le 1 mars. A cet ancien camp géré par l’OIM mis sous quarantaine suite au recensement d’un cas de coronavirus -voir mail précédent- les migrants ont organisé une protestation juste derrière les barbelés pour réclamer un dépistage généralisé dans le camp –voir la vidéo sur https://gr.euronews.com/2020/04/06/covid-19-diamartyria-metanaston-sti-maklakasa

      Jusqu’à maintenant les seules personnes dépistées ont été la famille du malade et quelques contacts. 1.611 personnes habitent dans le camp, la plupart en containers de six personnes, mais il y a 133 personnes qui sont logés dans des espaces communs et 116 dans des abris de fortunes- voir photo.

      Pour les personnes qui ne sont pas logés en containers, il y 30 toilettes chimiques et 16 douches, tandis que chaque container dispose de sa propre toilette et d’une douche.

      D’après le quotidien grec Journal de Rédacteurs (Efimerida tôn Syntaktôn : https://www.efsyn.gr/ellada/ygeia/237999_poly-liga-kai-poly-arga-ta-metra-kai-sti-malakasa) les autorités ont fait trop peu et trop tard. Trois jours avant que le malade de 53 ne soit transféré à Athènes, un cas suspect d’une femme enceinte présentant tous les symptômes n’a pas été dépisté et aucune mesure n’a été prise.

    • How my dream of freedom died in Greece’s ‘holding pens’

      Ahmed fled Syria only to end up in the Malakasa refugee camp, where more than 1,000 people are being denied basic human rights.

      When Ahmed landed in darkness on the Greek island of Lesbos he was convinced that the road ahead could not be as hard as the one he had just travelled.

      But, instead of the volunteers and blankets that have met hundreds of thousands of asylum seekers before him, he was greeted by a jeering crowd of locals and had to be rescued by police. “It was the worst feeling I’ve ever had,” he said. “I felt that my dream of Greece was a false one.”

      Ahmed was among the more than 2,000 refugees who have arrived in Greece since the beginning of March, when the country suspended all access to asylum.

      Their experiences, from seeing their children drowned at sea to being attacked by angry islanders, separated from family and dumped in remote detention camps, offer a month-long, nightmarish vision of what Europe would look like with no asylum rights.

      Greece shut off access after Turkey opened its borders in February and encouraged refugees to cross in a bid to pressure the European Union for more aid money in support of its military involvement against Russia and the Assad regime over the Syrian enclave of Idlib.

      Born in Syria’s capital, Damascus, Ahmed fled his home to escape military service with the regime. The 30-year-old told his story from inside the Malakasa detention camp in central Greece.

      He spent the past four years in Turkey, where he met and married his wife, Hanin. Their precarious life and their wedding were documented in a Guardian photo essay last year.

      But the couple were unable to make ends meet and Hanin, by now pregnant, made the journey by dinghy to Lesbos six months ago, with Ahmed promising to follow. She arrived safely and gave birth to their daughter, who is now two months old. Ahmed has yet to meet his child.

      His first week on Lesbos was spent camping in a fenced-off area of the port city of Mytilene before he was shipped off, along with 450 other new arrivals, on a Greek navy vessel.

      Amelia Cooper, a case worker at the Lesbos Legal Centre who spoke to some of those detained at the port, said: “The suspension of the right to seek asylum was followed by deliberate attempts to isolate new arrivals and prevent their access to lawyers, journalists and members of the European parliament.”

      In the middle of last month, Greek authorities began work on two sites, one in Malakasa, where 1,340 people have been sent, and another near the border with Bulgaria in Serres, which is housing 600 people. A video of Malakasa shows white tents behind a chainlink fence topped with razor wire. A Greek contractor who posted the video on 28 March, with construction work still going on, acts as narrator: “The money is flowing. These illegal strays are good business.”

      “These sites are fundamentally different,” said Belkis Wille from Human Rights Watch. “They are open-air prisons, filled with people who have been denied their basic rights and are being held as de facto detainees without any legal framework.”

      Most people in Malakasa and Serres are thought to be holding a deportation order from the Greek police. Refugees say they were forced to sign this Greek-language document despite being unable to read it. Under European law everyone is entitled to an individual assessment of their claim for protection but these documents declare that the accused must be deported for illegally entering Greece.

      For the past four years, the larger flow of people across the eastern Aegean has been reduced by an arrangement between the EU and Ankara that saw Turkey get €6bn in aid in return for restricting crossings. Under this deal, Greece has returned 2,000 new arrivals. Since early March, Turkey has stated that even this deal is dead.

      Ahmed said the uncertainty of the situation was unbearable: “I lived through four years of war in Syria. This month is worse than those four years: can you imagine?”

      Conditions at the Serres site, where tents are packed tightly together behind fences on a dry riverbed, are even worse than at Malakasa. Detainees say they have no electricity to even charge a phone. The Serres police union said in a statement that the site was “totally unsuitable”.

      Spyros Leonidas, mayor of the nearest village, Promaxonas, said the camp was “unfit for animals, let alone people”. “There are newborns and pregnant women among the people. And there is no hot water,” he said.

      The fate of those in detention remains unclear.

      The Greek government has said that the suspension of asylum will be lifted , and the EU home affairs commissioner, Ylva Johansson, said last week she had received assurances that those who arrived in March would be able to apply for asylum.

      However, Greece’s migration and asylum minister, Notis Mitarakis, subsequently said that people who had been issued with deportation orders would not be granted an asylum process.

      None of the detainees reached by the Observer had been notified of any change in their access to asylum. The Greek asylum service is closed until 10 April 10 because of the Covid-19 crisis.

      Vassilis Papadopoulos, a lawyer and former senior official at the migration ministry under the previous government, said that Ahmed and the other detainees were “being made an example of” to show there was a tough new policy.

      “What happened in March brought the numbers [of crossings] down so they’re going to keep doing it, even if they say something different,” he added.

      https://www.theguardian.com/world/2020/apr/05/how-my-dream-of-freedom-died-on-the-road-to-greeces-gulag

      –-> commentaire de Vicky Skoumbi reçu via mail, le 06.04.2020:

      Dans un article du Guardian sont décrites les conditions de vie inhumaines et les violations systématiques de droits fondamentaux dans les centres fermés de Malakassa et Serres. Ces centres ont été créés récemment pour que ceux et celles qui sont arrivés après le 1 mars y sont détenus en vue d’une expulsion ou d’un renvoi forcé vers la Turquie. Il s’agit de véritables prisons à ciel ouvert, où le manque d’eau courante et l’absence totale de toute mesure d’hygiène créent les conditions idéales pour une propagation généralisée de coronavirus. Le camp à l’endroit dit Klidi de Serres, construit au milieu de nulle part sur le lit d’une rivière asséchée, expose les personnes qui y sont détenus même au risque d’inondation. Vu l’extrême urgence de la situation- en Grèce les derniers jours des très fortes pluies sont tombées- j’aimerais vous rappeler l’appel à fermer immédiatement ce camp (en grec) et dont la traduction en français se trouve en PJ. Merci de partager.

      #Malakassa #Serres #Klidi

    • Coronavirus en Grèce : deux camps de réfugiés en quarantaine

      Ritsona et Malakasa, deux camps de réfugiés de la région d’Athènes, ont été mis en quarantaine après le dépistage de plusieurs cas de coronavirus. Les ONG craignent la propagation du virus dans des lieux pas du tout adaptés aux règles d’hygiène ni de distanciation sociale.

      « Les paniers repas distribués ne sont pas suffisants et ne couvrent pas les besoins nutritionnels de la population », explique Parwana, une réfugiée afghane, dans une vidéo publiée sur le groupe facebook (https://www.facebook.com/watch/?ref=external&v=969395506808816) d’une initiative solidaire. « Nous manquons également de médicaments, alors que des personnes vulnérables qui ont besoin de suivre des traitements résident dans le camp. »

      Depuis jeudi, le camp de Ritsona, au nord-est d’Athènes, où vit cette adolescente, a été mis en quarantaine après le dépistage de 23 cas de coronavirus parmi les demandeurs d’asile. Les tests ont été effectués après qu’une résidente du camp, une Camerounaise de 22 ans, a été détectée positive au lendemain de son accouchement le 28 mars dans un hôpital athénien. Les 23 demandeurs d’asile atteints du virus ont été mis à l’isolement pour éviter la contamination des autres résidents.

      L’accès au camp est désormais interdit, sauf au personnel de l’agence sanitaire publique et de l’Organisation International des migrations (OIM) en charge du camp. Les demandeurs d’asile ne peuvent plus sortir et reçoivent des paniers repas et des objets de première nécessité distribués par l’OIM, alors qu’en temps normal ils reçoivent une assistance financière du Haut-Commissariat aux Réfugiés (UNHCR) et peuvent aller faire leurs courses à la ville la plus proche, qui se trouve à huit kilomètres...

      À Ritsona, les conditions de vie ne sont pas les plus mauvaises parmi les 30 camps établis en Grèce continentale : quelque 2700 personnes logent dans 195 conteneurs et 222 dans des petits appartements qui disposent d’une cuisine, d’une douche et de toilettes. La quarantaine, l’absence d’activités, les paniers repas peu fournis, le manque de médicaments, les difficultés à voir un médecin et le report des rendez-vous pour la demande d’asile rendent toutefois le quotidien des demandeurs d’asile de plus en plus éprouvant.

      Malakasa, « une bombe à retardement »

      Dimanche, un deuxième camp a été mis en quarantaine, celui de Malakasa à 38 km au nord-est d’Athènes. Un Afghan de 53 ans qui s’était présenté de lui-même dans la clinique du camp, toussant et avec de la fièvre, a été diagnostiqué positif au coronavirus après avoir été transporté dans un hôpital athénien.

      La famille du réfugié a été mise à l’isolement et le camp bouclé par des renforts de police. Selon Human Rights Watch (HRW), les conditions sont déplorables dans ce centre où ont notamment été transférées toutes les personnes arrivées après le 1er mars sur les îles grecques en face de la Turquie. La Grèce avait alors suspendu le droit d’asile face à la menace d’Ankara de laisser passer les réfugiés en Europe. D’après HRW, qui a recueilli plusieurs témoignages, dans chaque tente vivent jusqu’à dix demandeurs d’asile. Les mesures de distanciation sociale et les gestes barrières ne peuvent donc pas être appliqués. Dans un communiqué du 26 mars, le syndicat de la police d’Athènes et de l’Attique dénonce aussi le manque d’hygiène à Malakasa. « C’est une bombe à retardement, tous les moyens sanitaires de base manquent… »

      https://www.courrierdesbalkans.fr/deux-camps-de-refugies-en-quarantaine-en-Grece

    • Via Migreurop

      Il me semble qu’en ce qui concerne le camp de Malakasa, il y a une erreur due au fait qu’actuellement à Malakasa il y a deux camps, un camp fermé destiné à ceux qui sont arrivés après le 1 mars et où en effet les conditions sont terribles, et un camp plus ancien, le camp ouvert géré par l’OIM où la grande majorité est dans de containers pour 6 personnes avec toilette et douche. Comme je vous ai écrit dans un mail précédent
      1.611 personnes habitent dans le camp, la plupart en containers de six personnes, mais il y a 133 personnes qui sont logés dans des espaces communs et 116 dans des abris de fortunes
      Et c’est bien ce camp ouvert qui a été mis en quarantaine, il ne faudrait pas confondre les deux camps
      Merci de transmettre

    • Il me semble qu’en ce qui concerne le camp de Malakasa, il y a une erreur due au fait qu’actuellement à Malakasa il y a deux camps, un camp fermé destiné à ceux qui sont arrivés après le 1 mars et où en effet les conditions sont terribles, et un camp plus ancien, le camp ouvert géré par l’#OIM où la grande majorité est dans de #containers pour 6 personnes avec toilette et douche.
      1’611 personnes habitent dans le camp, la plupart en containers de six personnes, mais il y a 133 personnes qui sont logés dans des espaces communs et 116 dans des abris de fortunes
      Et c’est bien ce camp ouvert qui a été mis en quarantaine, il ne faudrait pas confondre les deux camps

      –-> Commentaire de Vicky Skoumbi, reçu via la mailing-list Migreurop, le 08.04.2020

    • Greece’s Malakasa migrant camp: What life is like during the coronavirus lockdown

      On April 5, the Malakasa camp near Athens was placed in “full sanitary isolation” for 14 days, after a migrant tested positive for the novel coronavirus. Greek authorities and the UN migration agency are providing the camp’s residents with both food and hygiene products. But residents told us: “We feel like we’ve been completely abandoned.”

      For the next 14 days, no one is allowed to enter or leave Greece’s Malakasa migrant camp. Located on a vast military field, 38 kilometers northeast of Athens, the camp has been placed in “full sanitary isolation” after an Afghan migrant living there tested positive for COVID-19, Greece’s ministry of migration announced earlier this week.

      The 53-year-old man, who was already suffering from another illness, visited the camp clinic after experiencing COVID-19 symptoms. The man was then taken to a hospital in Athens where he tested positive for the coronavirus. The ministry said that his family had been placed in quarantine, and that officials were screening the camp to get a full overview of the gravity of the situation.

      Christine Nikilaidou, a spokewoman for the UN migration agency (IOM), told InfoMigrants that all camp residents were currently being tested. She could not specify exactly how many tests had been carried out so far, but she said that the people who had been in contact with the ill Afghan had been given priority.

      ‘Feel completely abandoned’

      The vast majority of the 1,611 people living in the Malakasa camp are from Afghanistan. Under normal circumstances, the gravel paths that run through the camp are full of children playing with each other. But after the lockdown went into force, the camp feels totally deserted. For days, rain has been pouring down non-stop, and the IOM has told all camp residents to stay inside.

      Although residents live in fitted shipping containers that contain both running water and electricity, the space inside them is cramped and the walls are often stained with mold from the humidity.

      Souad* lives with her husband and three children in one of the containers. On Sunday, she abruptly woke to the sound of loudspeakers. “I went to the window and saw police cars driving through the camp and a voice announcing that we had been placed in lockdown and wouldn’t be allowed to go out anymore,” she told InfoMigrants.

      Souad, who comes from a Middle Eastern country she did not want to identify, said that aside from that, the camp’s residents have not received much information about the situation. “We are completely isolated and no one has told us what we should do, we feel like we’ve been completely abandoned. My husband has health problems related to high blood pressure and diabetes, and we don’t have enough medication,” she said.

      Food distribution and hygiene kits

      Prior to the lockdown, camp residents would either do their grocery shopping in Malakasa village, or in Athens. But after the camp went into lockdown and all outings were banned, IOM and Greek authorities are in charge of providing the camp’s residents with both food and hygiene products.

      “These distributions will start in a few days. The kits are ready but we are waiting to receive the results of the tests that we’ve already carried out. We know that for the moment, everyone has provisions, and no one is running out of food,” Nikilaidou said.

      Souad confirmed that her family has enough food to last them for at least another few days, but said their biggest concern is the lack of access to medication and protective gear, such as gloves and masks. “They don’t let us out and they don’t provide us with what we need to protect ourselves from COVID-19. All they did was give each family a bottle that contained a cleaning liquid, that’s all I have with my husband and my three children to deal with the virus,” she said.

      Malakasa is the second migrant camp in Greece to have been placed in full lockdown due to the coronavirus. Last Thursday, an outbreak was detected in the Ritsona camp, 80 kilometers north of Athens, where 23 people have tested positive so far.

      Like many other European countries, Greece went into lockdown on March 23. On Saturday, April 4, the government announced the lockdown would be extended for another three weeks, until April 27.

      https://www.infomigrants.net/en/post/24010/greece-s-malakasa-migrant-camp-what-life-is-like-during-the-coronaviru

    • “Flattening the Curve” is a deadly delusion - Joscha Bach - Medium
      https://medium.com/@joschabach/flattening-the-curve-is-a-deadly-delusion-eea324fe9727

      What all these diagrams have in common:
      • They have no numbers on the axes. They don’t give you an idea how many cases it takes to overwhelm the medical system, and over how many days the epidemic will play out.
      • They suggest that currently, the medical system can deal with a large fraction (like maybe 2/3, 1/2 or 1/3) of the cases, but if we implement some mitigation measures, we can get the infections per day down to a level we can deal with.
      • They mean to tell you that we can get away without severe lockdowns as we are currently observing them in China and Italy. Instead, we let the infection burn through the entire population, until we have herd immunity (at 40% to 70%), and just space out the infections over a longer timespan.

      The Curve Is a Lie
      […]
      The Curve with numbers


      The brown line near the bottom: that’s our limited supply of ventilators and intensive care beds! The red curve does not contain all cases of COVID-19, but only those 6% that will die if we cannot put them on a ventilator for something like four weeks. In this scenario, it means that the maximum number of cases needing care on the same day, without any kind of mitigation, is around 3 million! It’s clear that we need to desperately flatten this curve, because it means that for much of the year, the vast majority of cases will not even get assessed for intubation and critical care.

      How far would we need to spread a normal distribution to make sure that it fits below the limit of our medical resources?
      The “flattening the curve” idea suggests that if we wash our hands and stay at home while being sick aggressively enough, we won’t have to stop the virus from becoming endemic and infecting 40% to 70% of all people, but we can slow the spread of the infection so much that out medical system can deal with the case load. This is how our normally distributed curve looks like when it contains 10.8 million patients, of which no more than 170,000 are ill at the same time:


      Dampening the infection rate of COVID-19 to a level that is compatible with our medical system means that we would have to spread the epidemic over more than a decade! (Far to the left, you see our unmitigated distribution for comparison.) I am pretty confident that we will have found effective treatments until then, but you get the idea: reducing the infectivity of the new corona virus to a manageable level is simply not going to be possible by mitigation, it will require containment.

      My curves are not correct!
      My back-of-the-envelope calculation is not a proper simulation, or a good model of what’s going on either. Don’t cite it as such! In reality, the spread of a disease does not follow a normal distribution. It is going to be left-skewed, with a long tail.

  • Le plus grand porte-conteneurs du monde prend la mer à Tianjin 10 Juillet 2018 - French.xinhuanet.com
    http://french.xinhuanet.com/2019-07/08/c_138209629.htm

    TIANJIN, 8 juillet (Xinhua) — Le MSC Gulsun, le plus grand porte-conteneurs du monde en termes de capacité de transport, a pris la mer depuis la ville portuaire de Tianjin, dans le nord de la Chine, lundi, en direction du nord-ouest de l’Europe.

    Avec une charge maximale de 224.986,4 tonnes, le MSC Gulsun est capable de transporter 23 756 EVP (ou équivalents vingt pieds), selon Jonathan Zhu, directeur général de Greater China de la MSC Mediterranean Shipping Company, l’exploitant du navire.

    Le navire mesure 399,9 mètres de long et 61,5 mètres de large, et doit arriver dans le nord-ouest de l’Europe avant de passer par divers ports, dont Qingdao, Shanghai, Algésiras, Dantzig, Kaliningrad et Rotterdam.

    Le navire a été construit par Samsung Heavy Industries, la filiale de construction navale de Samsung Group de la République de Corée.

    #containeurs #containers #transport_maritime #mer #commerce_mondial #route_de_la_soie ou route de la pollution ? #chine #europe

  • Vous prenez la Tesla, vous la plongez dans l’eau entre 3 jours et une semaine ! #MDR

    Une voiture électrique Tesla prend feu alors qu’elle était en train de charger à Anvers - Belga - 2 Juin 2019
    https://www.rtbf.be/info/economie/detail_une-voiture-electrique-tesla-prend-feu-a-anvers-alors-qu-elle-etait-en-t

    Une voiture électrique de la marque Tesla est partie en fumée dans la nuit de samedi à dimanche alors qu’elle était reliée à une station de recharge à Anvers. Celle-ci a d’ailleurs également pris feu, ont indiqué les pompiers.


    Illustration Turbo.fr

    Un problème technique au véhicule pourrait expliquer cet incendie, qu’ont pu rapidement circonscrire les pompiers. Pour éviter que la voiture ne reprenne feu, elle a été immergée dans un conteneur rempli d’eau. « Il faut beaucoup de temps pour refroidir correctement la batterie d’une telle voiture électrique. L’expérience de nos corps de pompiers et d’autres nous apprend qu’immerger complètement le véhicule dans l’eau est le moyen le plus efficace », expliquent les hommes du feu anversois.

    La procédure en vigueur prévoit que la voiture reste durant 24 heures dans le conteneur rempli d’eau. Le véhicule en sera ensuite sorti et les pompiers utiliseront une caméra thermique pour voir si la batterie est complètement refroidie. Si ce n’est pas le cas, il retournera dans l’eau. _ « Lors de précédents incendies, il a parfois fallu entre trois jours et une semaine pour que la batterie soit complètement refroidie  », _ a-t-on jouté de même source.

    #tesla #piege_à_cons #elon_musk #baudruche #batteries #électricité #Actualités_High-Tech #High_Tech #voiture_électrique #incendie

  • Delays in app delivery to #kubernetes
    https://hackernoon.com/delays-in-app-delivery-to-kubernetes-5d0511094f38?source=rss----3a8144ea

    Delays in App Delivery to KubernetesDelivering enterprise applications to KubernetesEnterprises around the world are waking up to the #containers and Kubernetes trend. There are numerous benefits of delivering an application as container packages to Kubernetes but at the same time, the process of app containerization and the subsequent app deployment to Kubernetes can hit many roadblocks. Since the idea of using Kubernetes and containers for app delivery is fairly recent, the transition from traditional delivery systems to these modern delivery systems is a bumpy ride.Major roadblocks while achieving continuous deliveryTo modernize, breaking down large applications into smaller microservices is just a start. The main challenge is in continuously delivering these microservices as (...)

    #continuous-delivery #devops #docker

  • Getting started with Dockerizing your Node.js Application
    https://hackernoon.com/getting-started-with-dockerizing-your-node-js-application-bab6b2451cde?s

    Photo by chuttersnap on UnsplashThere has been a conscious move within SaaS companies towards microservice architectures. To facilitate that, we generally use #docker setups. Well, let us not skip steps and see why people recommend this.To better understand #containerization and Docker, let’ use the example of the actual thing it is modeled after, Shipping Containers.Why use Shipping Containers?Well, shipping containers revolutionized the transportation industry by standardizing and making it simple to transport large quantities of goods. This could be over sea or land. Now with these standard containers, we are able to ship multiple things in one container or even ship large quantities of a single thing in multiple containers. Some of the key features here are:Standardized: These shipping (...)

    #software-development #devops #nodejs

  • #docker Swarm, Kubernetes’s clever little borther
    https://hackernoon.com/docker-swarm-kubernetess-clever-little-borther-49ac3d0a853?source=rss---

    Docker Swarm, Kubernetes’s clever little brotherIs kubernetes suitable for any container based project?There is no doubt that kubernetes is one of the most talked about technologies in the domain of #cloud and #containers. Kubernetes provides a complete solution to managing containers, but there are cases where it is not the best solution.The main disadvantage of kubernetes is its complexity and learning curve. This complexity is due to several reasons:We need to know both the “language” of Docker and the “language” of kubernetes.There are a lot of “moving parts” in the infrastructure (kube-apiserver, etcd, kube-scheduler, kube-controller, kubelet, kube-proxy etc..)There are many types of objects (Service, Pod, Deployment, ReplicaSet)A vast amount of features that we do not necessarily need.In (...)

    #devops #tutorial

  • Health Checks for Services, #containers and Daemons
    https://hackernoon.com/health-checks-for-services-containers-and-daemons-7f326a66430e?source=rs

    https://medium.com/media/a6b1fc7512f3bfedaf47f154db36270b/hrefJon Christensen and Chris Hickman of Kelsus discuss health checks for services, containers, and daemons. They use them to keep Kelsus’s distributed systems and services functioning.Some of the highlights of the show include:Health Checks: A first line of defense when running any software in production from an operational standpoint to detect errors and identify when a service needs to be recreatedHealth checks involve something hitting an endpoint to execute application code and determine if it’s responding on that port and back to itTwo main types of health checks: Shallow: Use service code to create new endpoint; goes through frontend, routes to your code, executes code, and returns a response that signifies success. Deep: (...)

    #docker #daemon #aws #container-health-checks

  • All your #containers are belong to us — deploying to Microsoft #azure
    https://hackernoon.com/all-your-containers-are-belong-to-us-deploying-to-microsoft-azure-2e9aa4

    All your containers are belong to us — deploying to Microsoft AzureAzure Container Instances enables #deployment of #docker containers onto Azure infrastructure without provisioning any virtual machines or adopting a higher-level service.Follow me on Twitter, happy to take your suggestions on topics or improvements /ChrisIt becomes more and more common today to develop as well as deliver your application in one or more containers. One of the most common containerization software’s out there is Docker. It’s a great tool making it very easy to create image as well as containers and also monitor the same. Wouldn’t it be great if we could continue using Docker and bring our app to the cloudIn this article we will do the following:Explain, why we might need the cloudClone application source code (...)

    #devops

  • Stretching the Mold: How Alibaba Enhances #database Flexibility
    https://hackernoon.com/stretching-the-mold-how-alibaba-enhances-database-flexibility-78ec97fcfd

    From hybrid cloud flexibility to containerization, supporting the 11.11 Global Shopping Festival has taken relentless innovation from Alibaba’s database team.For Alibaba Group, preparing to support peak data traffic during the annual 11.11 Global Shopping Festival is a yearlong challenge, at the center of which demand for database flexibility has been a perennial feature.As a widely used data storage system, Alibaba’s database consumes IO and CPU resources to perform operations involved with its SQL requests, including physical read, logical read, and sorting and filtering. With different services’ SQL requests consuming different resources according to their execution plans, the demand for resource specification varies by service.To improve overall utilization, Alibaba must abstract (...)

    #containers #cloud-computing #docker #database-flexibility