• Why is Italy forbidding NGO planes from departing from Sicily?

    NGO planes are forbidden from departing from five Italian airports near migrant routes on the Mediterranean, officials said this week. Here’s more background on the decision.

    NGO planes that patrol Mediterranean waters for migrant vessels in distress will no longer be able to depart from airports in Sicily, Italy’s civil aviation authority announced this week.

    Here’s some background on the specifics of the decision.
    No flights from Sicilian airports

    Italy’s National Entity for Civil Aviation (#ENAC) — a department of the Ministry of Transport, which is headed by Matteo Salvini — signed five ordinances barring NGO planes from departing the Sicilian airports of Palermo (Punta Raisi and Bocca di Falco), Lampedusa, Pantelleria and Trapani.

    According to the ordinance, these civil airplanes not only violate “the regulative legal framework of the Search and Rescue missions” but also risk “compromising the safety of migrant people who are not assisted by the current protocols approved by the Maritime Authority.”

    ENAC, in the ordinance, further stated that “anyone who takes part in Search and Rescue operations outside the legal provisions of the framework currently in place is punished with sanctions listed in the navigation code, and additional sanctions such as the administrative detention of the airplane.”
    Nadir rescue

    While the new ordinance was announced, German NGO Resquship vessel Nadir rescued a dinghy carrying 57 migrants in international waters.

    https://www.infomigrants.net/en/post/56955/why-is-italy-forbidding-ngo-planes-from-departing-from-sicily

    #sauvetage #Seabird #avions #criminalisation_de_la_solidarité #Méditerranée #mer_Méditerranée #migrations #réfugiés #Colibrì #Pilotes_Volontaires #Italie #aéroports

    • Migranti, il ministero di Salvini vuole fermare gli aerei delle ong. Le ordinanze emanate dall’Enac: “Elusione del quadro normativo”

      Non solo le navi, più volte sottoposte a fermi amministrativi per aver disobbedito alla guardia costiera libica. Adesso il governo prova a impedire alle ong di usare gli aerei che monitorano il Mediterraneo centrale per segnalare imbarcazioni in difficoltà, ma anche per documentare respingimenti o il comportamento dei libici, più volte filmati mentre intimidiscono gli equipaggi delle navi umanitarie o addirittura mentre sparano nel bel mezzo di un soccorso. Lo strumento per fermare velivoli come il Seabird della ong Sea Watch potrebbero essere alcune ordinanze emanate dell’Ente nazionale per l’Aviazione civile (Enac), controllato dal Ministero dei Trasporti di Matteo Salvini. “Interdizione all’operatività dei velivoli e delle imbarcazioni delle ONG sullo scenario del Mare Mediterraneo centrale”, titolano i provvedimenti, che in base a non meglio precisate “segnalazioni trasmesse dal Comando generale della Guardia costiera” accusano i velivoli delle ong di “sostanziale elusione del quadro normativo di riferimento” e minacciano sanzioni e sequestri.

      “Chiunque effettua attività in ambito Search and Rescue al di fuori delle previsioni del quadro normativo vigente è punito con le sanzioni di cui al Codice della navigazione, nonché con l’adozione di ulteriori misure sanzionatorie quali il fermo amministrativo dell’aeromobile“, dice il primo dei due articoli che compongono le ordinanze emanate dall’Enac nei giorni scorsi per tutti gli aeroporti siciliani e delle due isole minori, compreso quello di Lampedusa, il principale scalo utilizzato dai due velivoli operativi, il Seabird di Sea Watch e il Colibrì della ong svizzera Pilots Volontaires. Le ordinanze emanate dalle direzioni territoriali della Sicilia Occidentale e Orientale di Enac sono già in vigore e fin dalle prossime ore potrebbero abbattersi sugli aerei umanitari, impedendo loro di decollare e quindi di sorvolare il Mediterraneo.

      Questo il ragionamento: “Ritenuto che alla luce della normativa nazionale e sovranazionale citata, solo il Comando Generale della Guardia Costiera deve essere riconosciuto unica Autorità Marittima nazionale competente in ambito SAR”, “preso atto delle segnalazioni trasmesse dalla predetta Autorità marittima circa le reiterate attività effettuata da velivoli e natanti, riconducibili alla proprietà di Soggetti anche extra U/E, che si traduce nel prelievo – da imbarcazioni di fortuna – di persone migranti provenienti da rotte nordafricane”, vista la già citata “sostanziale elusione del quadro normativo “che si traduce per la Guardia Costiera nazionale in un aggravio dei propri compiti istituzionali di intervento in mare” e addirittura, si legge, nel rischio di “compromettere l’incolumità delle persone migranti non assistite secondo i protocolli vigenti ed approvati dall’Autorità marittima”, gli aerei che non rispettano le regole rischiano il fermo amministrativo. Come nel caso delle navi, il fermo potrà essere impugnato davanti ai tribunali amministrativi. Ma nel frattempo si resta a terra.

      I legali delle ong sono già al lavoro per contrastare le ordinanze, che almeno nella forma sembrano piuttosto vaghe. Non è chiaro infatti a quali violazioni si riferiscano. Gli aerei non portano materialmente a termine le operazioni SAR e qualora segnalino barche in pericolo sono poi i comandanti delle navi a interagire e ricevere istruzioni dal centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo competente per l’area SAR interessata. L’accusa potrebbe essere la stessa mossa sempre più spesso alle navi umanitarie, quella di interferire con la guardia costiera libica in zona SAR di sua competenza. Ma le ordinanze non citano i decreti del governo Meloni, quelli voluti dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, la cui supposta violazione motiva i recenti fermi proprio con l’accusa di aver disobbedito ai libici. Accusa che più volte è stata dimostrata infondata, anche grazie ai video che smentiscono la versione dei libici. E che nessuno avrà modo di registrare se gli aerei resteranno a terra. Peggio, i migranti in pericolo segnalati dai velivoli potrebbero non essere intercettati. “In passato ci è capitato di avvistare persone in mare dopo che la loro barca si era già capovolta, e di riuscire a farle soccorrere”, racconta al Fatto un componente dell’equipaggio del Seabird. “In alcuni casi è stato chiarissimo: senza un aereo in grado di avvistarli non avrebbero avuto scampo”.

      Le ordinanze di Enac, dichiara la ong Sea Watch, “hanno il chiaro scopo di fermare i nostri aerei da ricognizione, ovvero gli unici occhi della società civile nel Mediterraneo. Occhi fondamentali per documentare le quotidiane violazioni dei diritti umani che vi avvengono, comprese quelle perpetrate dalla cosiddetta guardia costiera libica attraverso le motovedette e le risorse generosamente elargite dal Governo italiano. Fermare gli aerei ONG vuol dire rendere cieca la società civile e i cittadini italiani ed europei rispetto a quanto avviene nel Mediterraneo come risultato delle politiche migratorie dei loro governi. Un atto vigliacco e cinico di chi usa la criminalizzazione delle ONG come strumento di propaganda politica in vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Non fermeremo le nostre operazioni anche a costo di mettere in pericolo i nostri aerei. Questo attacco che calpesta il diritto internazionale non ci impedirà di continuare a dare fastidio a chi vorrebbe che quanto avviene quotidianamente nel Mediterraneo rimanesse segreto e senza foto e video a documentarlo”.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/05/07/migranti-il-ministero-di-salvini-pronto-a-fermare-gli-aerei-delle-ong-ordinanze-dellenac-elusione-del-quadro-normativo/7539355

  • La première yodleuse diplômée veut transmettre la tradition

    La Valaisanne #Dayana_Pfammatter Gurten est la première yodleuse ayant obtenu un master dans son art en Suisse. Selon elle, l’enseignement du #yodel dans une haute école ne l’académise pas pour autant – contrairement à ce que certains craignaient. Ce qui importe à la chanteuse, c’est de transmettre la tradition.

    #Dayana_Pfammatter_Gurten vient du village de montagne de Mund, au-dessus de Brigue, et elle incarne un nouveau chapitre de la musique folklorique suisse. Âgée de 31 ans, elle est depuis peu titulaire d’un master en musique, avec pour branche principale le yodel. Elle est la première à avoir achevé le cursus lancé en 2018 par la Haute école de Lucerne. « Nombreux sont ceux qui pensent que j’y yodlais toute la journée », dit-elle. Or, la matière des cours qu’elle a suivis pendant cinq ans et demi dans cette école spécialisée de Suisse centrale est très vaste : elle couvre le travail de la voix et du corps, mais aussi la rythmique, la théorie et l’histoire de la musique.

    La yodleuse a joué dans un groupe folklorique avec d’autres étudiants en musique ayant différentes orientations et a appris la composition et l’arrangement. « Ainsi, j’ai pu engranger un tas de connaissances », note-t-elle. Pour ce qui est du yodel, Dayana Pfammatter s’y est frottée dès l’enfance, car on yodlait au sein de sa famille. Elle a aussi appris très tôt à jouer du #schwyzerörgeli, cet accordéon typique de la musique folklorique suisse. Après l’école, la Valaisanne a fait un apprentissage d’assistante en pharmacie, mais elle est toujours restée fidèle au yodel.

    Vivre du yodel

    Elle a suivi des formations de l’Association fédérale de yodel (AFY) et a repris, à seulement 23 ans, les rênes du club de yodel Safran, dans son village de Mund. C’est lors d’une formation continue qu’elle a appris l’existence du nouveau cursus de la Haute école de Lucerne, permettant de choisir le yodel comme branche principale : une première en Suisse. Dayana Pfammatter a présenté sa candidature et a été retenue. « Pour moi, c’était l’occasion d’obtenir un diplôme en pédagogie de la musique », relate-t-elle.

    Et de fait, depuis l’obtention de son master début 2024, toute sa vie professionnelle est axée sur le yodel. Elle enseigne le chant dans une école de musique et le yodel pour son propre compte. Elle donne également des concerts. Pour l’instant, elle a mis de côté son plan de sécurité, qui consistait à garder un pied en pharmacie. Il faut dire qu’elle est submergée par les demandes de cours de yodel. « C’est beau de pouvoir transmettre ses connaissances à 100 %», souligne-telle.

    Une évolution scrutée de près

    Le yodel, qui était jadis un moyen de communiquer d’une montagne à l’autre, n’a pas été inventé en Suisse. Mais ce chant alpin sonore, qui comporte souvent plusieurs voix et se caractérise par des changements brusques entre la voix de poitrine et la voix de tête, est pratiqué en Suisse avec passion depuis le XIXe siècle. Portée par des chœurs locaux et des associations, la scène du yodel est extrêmement vivante. Tous les trois ans, des chœurs s’affrontent lors de la Fête fédérale des yodleurs, un événement dont la dernière édition a attiré 10 000 musiciens et plus de 200 000 visiteurs.

    Le yodel fait partie du patrimoine culturel suisse, et de l’identité de certaines parties de la population. Par conséquent, son évolution entre tradition, ouverture et culture populaire, est scrutée de très près. Ainsi, dans le milieu de la musique folklorique traditionnelle, certains ont émis des doutes quand, il y a six ans, le yodel est devenu une branche académique. Ce n’est pas un chant artistique, ont-ils avancé, mais une coutume qui présente des particularités régionales et se transmet en chantant.

    Conservation du #patrimoine

    Si ces doutes subsistent, du moins on ne les exprime plus devant Dayana Pfammatter. Cela est lié à sa personne. La Valaisanne est bien implantée dans le monde du yodel suisse. Avec sa sœur, elle a donné par le passé des concerts « dans les bastions du yodel », comme elle le souligne. L’AFY l’engage régulièrement pour donner des cours et comme jurée dans les fêtes de yodel. Dès l’automne, elle sera responsable de la formation des chefs de chorale dans deux associations régionales.

    « Les gens me connaissent, dit-elle. Ils savent que je ne plie pas. » Durant ses études, Dayana Pfammatter a étudié la musique folklorique expérimentale contemporaine, tout en approfondissant les mélodies traditionnelles du yodel : « Nous avons écouté de vieux enregistrements grésillants et avons transcrit ces chants afin qu’ils ne disparaissent pas. » Conserver la tradition et la transmettre dans le cadre de ses cours lui tient à cœur, et elle porte une attention particulière à la relève. Forte de ce qu’elle a appris en éducation musicale précoce à la Haute école, elle enseigne aussi le yodel aux écoliers.
    Le boom des cours de yodel en Suisse

    Dayana Pfammatter a une prédilection pour le yodel naturel, la forme la plus ancienne de cet art : des vocalises pures, sans paroles. « Le yodel naturel résonne dans mon âme », dit-elle. Il la touche profondément et lui donne souvent des frissons. Elle n’est pas la seule à éprouver cela. Tandis qu’après la Seconde Guerre mondiale, en Suisse, les populations progressistes et urbaines ont longtemps considéré le yodel comme un art trop patriotique et poussiéreux, il jouit à nouveau d’une immense popularité depuis quelques années. Les cours de yodel sont pris d’assaut, y compris dans les villes. Dayana Pfammatter ne s’en étonne guère : « À notre époque stressée et agitée, nombreux sont ceux qui aspirent à retrouver leurs racines et à se retrouver eux-mêmes. »

    Certains méditent ou font du yoga, d’autres yodlent, dit-elle : « Le yodel est quelque chose de très naturel, d’archaïque. Il aide les gens à s’ancrer. » À côté de ses cours et de sa pratique quotidienne, Dayana Pfammatter dirige toujours le club de yodel de Mund, qui aura l’honneur d’accueillir l’an prochain la rencontre cantonale de yodel. Elle doit donc préparer et organiser plein de choses. De plus, elle continue à se produire dans de petits groupes. Son récital de master, qu’elle a donné au début de l’année à Bettmeralp accompagnée par deux musiciennes de Suisse orientale, a eu tant de succès que les trois femmes envisagent un nouveau projet. Et puis, Dayana Pfammatter a encore une autre passion : le mouton au nez noir du Valais. « Grâce à mes animaux, je suis très liée à la nature et à mon pays », dit-elle.

    https://www.swisscommunity.org/fr/nouvelles-et-medias/revue-suisse/article/la-premiere-yodleuse-diplomee-veut-transmettre-la-tradition

    #Suisse #musique #chant

  • Migrant centres in Albania 20 May opening postponed

    Army engineers at work but facilities not finished.

    The opening of new Italian-run migrant centres in Albania, which was scheduled for 20 May, has been postponed, according to reports Wednesday.
    The Italian military engineers working on the Shengjin and Gjader sites, according to the agreement between Rome and Tirana, have not yet finished setting up the facilities.
    Meanwhile, the contract for the management of the facilities for 24 months was awarded to the Medihospes cooperative with a bid of 133.8 million euro.
    Italy is to set up two migrant hotspots and a centre to hold migrants awaiting repatriation for a total expenditure of almost 34 million euro a year.
    The agreement, signed by Premier Giorgia Meloni and her Albanian counterpart Edi Rama in Rome in November, provides for the reception and processing of up to 3,000 migrants and refugees rescued by Italian ships per month.
    People with special needs such as the elderly, children or pregnant women, migrants and refugees who have been rescued by NGO-run ships and people who land directly on Italian soil are to be excluded from the deal.
    Since taking office in autumn 2022 the Meloni government has been reaching out to third countries in a bid to stem irregular migration by sea to Italy, which in 2023 rose by around 50% over the previous year.
    The Italian opposition has slammed the Albania deal as creating a new Guantanamo and allegedly breaching the Italian Constitution, charges the government rejects.
    The Italian Bishops Conference (CEI) and the Council of Europe have also criticized the agreement.
    Some other EU countries have said it is a model that could be emulated, as has European Commission President Ursula von der Leyen.

    https://www.ansa.it/english/news/world/2024/05/08/migrant-centres-in-albania-20-may-opening-postponed_2ebbb364-2fdc-49ac-bdde-be4

    #migrations #externalisation
    –-

    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • La #contamination des cours d’#eau par les #pesticides stagne en #Bretagne

    L’interdiction de certains #pesticides n’a pas entraîné de baisse de l’#écotoxicité des #cours_d’eau bretons entre 2012 et 2021. C’est ce que montre l’analyse statistique réalisée par Akwari Coop pour Splann !. Les molécules retirées de la vente ont été remplacées par des substances nouvelles, jusqu’à leur propre interdiction. Une stagnation qui échappera au nouveau plan #Ecophyto_2030.

    L’écotoxicité est la mesure de l’impact des #substances_toxiques sur les organismes vivants dans divers écosystèmes. L’#indice_pesticides_dans_les_cours_d’eau (#IPCE) a été développé dans le cadre du plan Ecophyto pour mesurer la #contamination chronique des cours d’eau.

    S’appuyant sur sa méthodologie, le data scientist Vincent Berionni, docteur de l’École Polytechnique dans le domaine de la modélisation en sciences physiques et fondateur de la société Akwari Coop, a analysé les données de 161 pesticides sur 7.100 stations de mesures en France, dont 463 en Bretagne (Loire-Atlantique comprise) entre 2011 et 2021.

    « Derrière cette apparente stabilité se cache un véritable chassé-croisé des pesticides », observe Vincent Berrioni, qui a accepté de réaliser pour Splann ! un zoom sur la situation bretonne.

    Ce « jeu de chaises écotoxico-musicales » est largement induit par l’évolution de la réglementation. L’#Isoproturon, #herbicide utilisé notamment sur le #blé tendre d’hiver, a été retiré du marché français en 2016. Le #Nicosulfuron, un autre herbicide, en 2022. L’#Epoxiconazole, un #fongicide connu comme #perturbateur_endocrinien, en 2019. Ce sont les trois substances dont la contribution à l’écotoxicité des cours d’eau bretons a le plus baissé.

    Mais dans le même temps, la présence de #Métolachlore s’est envolée. La présence de ses #métabolites est d’ailleurs généralisée dans les cours d’eau bretons, comme nous l’avions documenté en décembre avec l’aide d’Akwari. Or, l’autorisation de cet herbicide vient elle-même d’être retirée. « Pour que rien ne change, les labos s’empressent déjà de pousser le #Diméthénamide-P et la #Pendiméthaline à la rescousse », se désole Vincent Berionni.

    L’évolution de l’écotoxicité provoquée par les pesticides est très contrastée selon les sous-bassins hydrographiques de Bretagne. Des territoires ayant connu une hausse moyenne de 10 à 20 % sur 10 ans (de la #pointe_de_Bloscon au #Trieux) côtoient des secteurs où l’écotoxicité baisse de plus de 20 % (du Trieux à la #Rance). Il faut noter que les zones où l’écotoxicité est en forte croissance ne sont pas forcément les plus contaminées.

    De nombreux facteurs entrent en jeu, comme la #météo. Les pluies provoquent un phénomène de #ruissellement des pesticides plus ou moins important selon les secteurs et les années. Des pluies abondantes peuvent favoriser la pousse d’#adventices et un usage renforcé d’herbicide pour les éliminer.

    Les molécules dépendent aussi des cultures et des pratiques culturales. « L’augmentation de la surface cultivée en #bio, même si elle représente une proportion faible du total, peut avoir un impact tendanciel à la baisse de l’écotoxicité », relève Vincent Berionni. Pour rappel, 77 % de l’eau distribuée au robinet en Bretagne est prélevée en surface.

    Cette stagnation préoccupante de l’écotoxicité s’observe aussi à l’échelle nationale. Elle sortira pourtant bientôt des radars officiels.

    Le #plan_Ecophyto 2030 présenté par le gouvernement le 3 mai 2024 entérine en effet l’abandon du #Nodu (« #Nombre_de_doses_unités ») au profit d’un nouvel #indicateur, le #HRI-1, plébiscité par la #FNSEA mais dénoncé par nombre de scientifiques. Ce changement débouchera sur des #baisses_artificielles car il ne prendra plus en compte les doses d’usage, prévenaient dès février 14 des 18 membres du comité scientifique et technique du plan Ecophyto.

    https://splann.org/pesticides-ecotoxicite-rivieres-bretagne
    #statistiques #chiffres

  • Pour une politique écoféministe

    Dans son livre « Pour une politique écoféministe. Comment réussir la #révolution_écologique », qui paraît aujourd’hui aux éditions le passager clandestin et aux Éditions Wildproject, la chercheuse et activiste australienne #Ariel_Salleh déconstruit le système « productif-reproductif » capitaliste et patriarcal à partir d’un #matérialisme_incarné, pour déjouer la #domination croisée de la Nature et des femmes. Extraits choisis.

    https://www.terrestres.org/2024/05/10/pour-une-politique-ecofeministe

    #écoféminisme #féminisme #écologie #patriarcat #production #reproduction #capitalisme #livre

    • Pour une politique écoféministe

      La moitié de la population mondiale pratique au quotidien des valeurs dites féminines – qui s’avèrent être aussi des valeurs écologiques. Loin de tout essentialisme, Ariel Salleh met en évidence le rôle majeur des femmes, mais aussi des paysan·nes et des peuples autochtones, dans le soin et le maintien des milieux de vie, un travail vital mais invisible aux yeux du capital. Là où le prolétariat de Marx a échoué, elles et ils sont en mesure de constituer une nouvelle classe révolutionnaire – le moteur manquant d’une véritable révolution écologique.

      Engagée dans les luttes contre l’exploitation des terres aborigènes dans les années 1970, Ariel Salleh priorise le rôle des femmes des Suds. Selon elle, l’écoféminisme est la synthèse de quatre révolutions – écologique, féministe, socialiste et décoloniale – qui ne pourront pas aboutir les unes sans les autres.

      Un manuel politique pour refonder le mouvement écologiste.

      https://www.lepassagerclandestin.fr/catalogue/boomerang/pour-politique-ecofeministe

  • Italie : quand le #profit fait dérailler les trains

    Le secteur des #chemins_de_fer italien est souvent cité comme l’exemple par excellence du succès des politiques de #libéralisation_du_marché. Dans les années quatre-vingt-dix, la division des rôles entre le gestionnaire du réseau (#Rfi, #Rete_ferroviaria_italiana) et le gestionnaire des transports (#Trenitalia) est réalisée avec un double objectif : d’une part, la mise en œuvre des politiques communautaires européennes visant à accroître la #compétitivité, d’autre part la transformation du secteur ferroviaire vers un mode de gestion d’entreprise privée, afin de le rendre rentable. Une vision qui établit une différence manifeste avec toute autre perspective concevant la #mobilité comme un #service_public à garantir, même en l’absence de profit. Par Giorgio De Girolamo, Lorenzo Mobilio et Ferdinando Pezzopane, traduit par Letizia Freitas [1].

    Dans la droite ligne de cette approche, les #conditions_de-travail du personnel ferroviaire et la dimension réglementaire de la Convention collective nationale accusent un retard considérable comparées à d’autres services publics (si l’on tient compte également de la taille de #Fs, #Ferrovie_dello_Stato, l’entreprise ferroviaire publique au statut de société anonyme par actions au capital détenu à 100% par l’État italien, Rfi et Treniralia sont des filiales de FS, ndlr). La recherche constante de #réduction_des_coûts s’est imposée, au détriment des travailleurs de Trenitalia et de Rfi.

    Responsable des infrastructures, Rfi a progressivement réduit sa #masse_salariale, passant de 38 501 employés en 2001 à 29 073 en 2022, un quart de moins en une vingtaine d’années. Une diminution principalement motivée, non pas par une absence de besoin en main d’œuvre, mais par l’#externalisation du travail de #construction et de #manutention, confié à d’autres entreprises à travers un système d’#appels_d’offre et de #sous-traitance.

    Actuellement – selon les estimations des syndicats – 10 000 travailleurs externalisés opèrent sur les chemins de fers italiens. Il apparaît évident que cette gestion de la manutention rend la #sécurité accessoire et les #accidents, non pas des évènements tragiques et occasionnels, mais de tristes et amères certitudes. La stratégie de Rfi basée sur des #coûts_réduits et la rapidité d’exécution des travaux repose sur une dégradation structurelle des conditions de travail, qui se répercute sur la sécurité de tous les travailleurs FS, leur santé et la sécurité du service fourni. Avec des conséquences qui se transforment trop souvent en actualités dramatiques, comme dans le cas de #Brandizzo (accident ferroviaire dans lequel un train de la ligne Turin-Milan, a tué cinq ouvriers qui travaillaient sur les rails, le 31 aout 2023, ndlr).

    Dans cette phase de renouvellement de la Convention collective nationale de travail (Ccnl) – arrivée à échéance le 31 décembre 2023 – une assemblée autogérée de conducteurs de train et de chefs de bord s’est mise en place, avec un rôle de premier plan inédit. Cette assemblée a proposé – à travers deux grèves, dont l’une d’une durée de 24 heures, le 23 et le 24 mars, et une participation supérieure à 65 % au niveau national (et des pics à 90 % dans certaines régions) – une plateforme de renouvellement de la Ccnl alternative à celle formulée par les syndicats signataires.

    Une initiative qui ouvre des pistes de réflexion sur la place centrale du #transport_public_ferroviaire dans un monde se voulant plus durable. Un horizon qui rend également possible une convergence avec les revendications des mouvements écologistes. Cette convergence des mouvements sociaux serait en mesure, et ce ne serait pas la première fois, de redonner de la force à une négociation collective affaiblie.

    Nous en avons discuté avec Lorenzo Mobilio, Rsu (Rappresentanza sindacale unitaria) di Napoli-Campi Flegrei et membre de la coordination nationale de l’Union syndicale de base (Usb) qui participe à ce processus d’assemblée.

    La #grève du rail des 23 et 24 mars, d’une durée de 24 heures, n’est pas la première grève du secteur. En novembre 2023, la restriction du droit de grève demandée par le ministre Matteo Salvini avait fait scandale. Elle avait été réitérée en décembre par ordonnance, puis a été récemment annulée par le Tar Lazio (Tribunale amministrativo regionale de Lazio) pour excès de pouvoir. Ce conflit démarre donc dès 2023. Pourriez-vous préciser les processus qui ont conduit à cette grève, et ses implications en termes de participation ?

    Le mouvement de grève actuel dans le secteur ferroviaire est né de la création en septembre 2023 de l’assemblée nationale PdM (personale di macchina, conducteurs de train) et PdB (personale di bordo, personnel de bord).

    En septembre nous avons fait naître cette assemblée et nous avons conçu des étapes intermédiaires, comme un questionnaire qui a reçu plus de 3 000 réponses. À partir de ce questionnaire, nous avons mis en place une plateforme pour recueillir les revendications, puis nous l’avons transmise à tous les syndicats, qu’ils soient ou non signataires. Seuls Confederazione unitaria di base (Cub), Unione sindacale di base (Usb) et Sindacato generale di base (Sgb) ont répondu à l’appel. Chacun de ces syndicats a ensuite créé sa propre plateforme, ainsi que des assemblées autonomes qui ont tenté de négocier pour faire émerger un projet unique, à même de rassembler toutes les sensibilités présentes autour de la table

    L’assemblée du PdM et du PdB, a alors décidé de lancer la première action de grève de 2024, centrée sur le renouvellement de la convention collective nationale. La première grève a donc eu lieu le 12 février et n’a duré que 8 heures, c’est la règle dans le secteur ferroviaire. En revanche les suivantes peuvent durer vingt-quatre heures. Le premier jour de grève a été très suivi, avec une participation de 50 à 55 % dans toute l’Italie. C’est un nombre significatif si l’on considère que la grève avait été lancée par une nouvelle entité (l’assemblée PdM et PdB), déclarée par trois syndicats, et que de nombreux collègues, en vertu de la loi 146/1990 (définissant les règles sur l’exercice du droit de grève dans les services publics essentiels et sur la sauvegarde des droits protégés par la Constitution, ndlr) considèrent la grève comme un outil peu adéquat.

    Après le 12 février, l’objectif de l’assemblée a été de déterminer une nouvelle date pour une grève de 24 heures. Nous avons retenu un jour férié, car il n’y a pas de service minimum à assurer pour les trains régionaux et les trains de marchandises. En revanche, c’est le cas pour les trains interurbains et à grande vitesse, mais avec un service minimum plus réduit par rapport à un jour de semaine. Un choix qui, selon nous, garantirait une plus grande participation, et en effet les chiffres ont été plus élevés que ceux du 12 février. Le taux de participation était de 65 à 70 % sur tout le territoire national, avec des pics à 90 % dans certaines régions, comme la Campanie.

    Les grèves des derniers mois ont déjà produit des résultats. Il est bon de rappeler que les négociations pour le renouvellement de la Ccnl ont débuté en août 2023. Nous avons vu que les syndicats signataires ont commencé à réviser certaines de leurs demandes, en les adaptant – bien qu’encore très partiellement – à ce qui est ressorti de l’assemblée du PdM et du PdB.

    Sur votre plateforme, il est fait référence aux shifts désormais insoutenables que les conducteurs de train et les chefs de bord sont contraints d’effectuer. Il est clair que des shifts fatigants, ou plutôt épuisants, représentent un problème de sécurité non seulement pour les travailleurs, mais aussi pour les voyageurs. De quoi parle-t-on ?

    Tout d’abord, il est utile de rappeler que les conducteurs de train et les chefs de bord sont justement responsables de la sécurité du trafic ferroviaire et du convoi. Pourtant ces dernières années, l’entreprise nous a considérés uniquement comme des travailleurs à exploiter jusqu’à la limite de la durée du travail établie par la législation européenne. La loi sur la durée du travail et les directives européennes prévoient une durée de travail maximale de 13 heures, avec 11 heures de repos.

    À ce jour, la réglementation établit une durée de travail quotidienne maximale de 10 heures et jusqu’à 11 heures pour les trains de marchandises. Ces derniers temps, l’entreprise a essayé de nous pousser à travailler jusqu’à la limite. En oubliant qu’il fallait veiller à garantir au personnel garant de la sécurité un certain repos physique et psychologique, afin qu’un train puisse circuler en toute sécurité.

    Ils ne tiennent même pas compte du fait que lorsque vous allez dormir hors site, le temps de repos réel est bien inférieur à 8 heures, avec peut-être 5 heures de sommeil effectif.

    Nos shifts se succèdent sur 24 heures, pour une moyenne de 38 heures de travail hebdomadaire. Cela signifie qu’il peut y avoir des semaines au cours desquelles nous travaillons 44 heures, d’autres pendant lesquelles nous travaillons 30 heures, mais nous ne pouvons pas aller en deçà. Malgré ce que déclarent certains ministres, nous n’avons pas de repos le week-end. En réalité, nous avons droit au repos le week-end une seule fois par mois, car il est généralement calculé sur une base de 6 jours travaillés et parfois nous n’avons même pas deux jours de repos complets à la fin de notre service.

    Au fil des années, nos conditions de travail se sont dégradées et les résultats sont visibles : on constate une augmentation des sauts d’arrêt en gare, qui ne sont donc pas desservis, des passages alors que la signalisation est rouge et d’autres symptômes de distraction. Tout cela se produit lorsqu’il n’y a qu’un seul conducteur de train pendant la journée, alors que la nuit, heureusement, il y en a encore deux. Par nuit, nous entendons la plage horaire allant de minuit à 5 heures du matin. Si un train part à 5 heures, il n’y a qu’un seul conducteur, qui pour pouvoir prendre son poste à cette heure-là, se sera certainement réveillé au moins à 3 h 30. Ce shift – étant de jour – peut durer jusqu’à 10 heures et donc, vous vous réveillez à 3h30 du matin en travaillant peut-être jusqu’à 14h00 ou 14h30. De plus, au lieu d’embaucher, l’entreprise préfère avoir recours aux heures supplémentaires.

    En termes d’horaires, nous avons demandé de travailler 36 heures par semaine au lieu de 38. Pour le travail de jour, nous souhaitons la suppression du maximum de 10 heures par jour, contre un maximum de 8. Nous avons prescrit un maximum de 6 heures de travail la nuit – la nuit s’entendant de minuit à 6h00 et non 5h00- avec un nombre maximum de quatre nuits par mois, des périodes de repos hebdomadaires de 58 heures, deux jours complets de repos et un repos entre un shift et le suivant d’une durée de 16 heures contre 14 actuellement.

    Un autre problème à ne pas sous-estimer : les horaires des repas prévoient seulement 30 minutes pour manger, en comptabilisant le temps nécessaire pour se rendre au restaurant en gare. Par conséquent, de nombreux collègues apportent leur propre repas et ne mangent pas sur site. Dans le cadre des revendications, nous avons demandé une augmentation du temps pour se restaurer qui tiennent compte des horaires d’ouverture des restaurants.

    En référence à la question de la sécurité : comme vous le mentionniez, les trains de jour circulent actuellement avec un seul conducteur, une situation qui, ces dernières années, a conduit à une série d’accidents dus à des malaises soudains. Que proposez-vous ?

    Au sujet du double conducteur, il y a eu une vive discussion sur ce qu’il fallait intégrer à la plateforme. Certains proposaient un retour au double conducteur, d’autres étaient partisans de créer une figure intermédiaire entre le conducteur et le chef de bord, qui serait habilitée à conduire. Ces derniers jours, la question de la sécurité est redevenue centrale, car un conducteur a perdu la vie alors qu’il conduisait.

    Je crois qu’il est important de rappeler que le délai pour porter secours aux conducteurs et au personnel de bord en cas de malaise, a été établi par l’entreprise selon les délais généraux qui prévoient l’arrivée d’une ambulance en 8 minutes en ville et dans les centres urbains, en 20 minutes dans les espaces extra-urbains. Ce sont des délais calculés pour des cas fondamentalement différents. En 20 minutes, le temps nécessaire pour sauver un être humain d’une crise cardiaque, il est peu probable qu’une ambulance parvienne à secourir du personnel dans un train situé en dehors d’un centre-ville.

    Pour cette raison, la présence d’un second conducteur ou d’un autre travailleur autorisé à conduire est cruciale, car en cas de malaise cela permettrait au train d’être amené en toute sécurité jusqu’à la gare, sans interruption soudaine et en réduisant les délais d’intervention du personnel médical.

    Toujours sur le plan de la sécurité et du travail, il nous semble important de souligner que l’espérance de vie des conducteurs de train est actuellement, selon diverses études – dont celle menée par l’Université Sapienza de Rome – égale à 64 ans, donc inférieure à l’âge de départ à la retraite fixé à 67 ans. Quels raisonnements avez-vous conduit sur les aspects liés à la sécurité sociale ?

    Ce nombre provient d’une étude réalisée par la revue des conducteurs de train In Marcia, l’Université Sapienza de Rome, la Région Toscane et l’Asl Toscane (Azienda sanitaria locale de Toscane). Cette étude indépendante, publiée en 2010, a révélé que l’espérance de vie des conducteurs de train était, en effet, de 64 ans. Précédemment en tant que catégorie professionnelle, nous avions droit à la retraite à 58 ans. En 2012, avec la loi Fornero, nous avons été regroupés avec toutes les autres catégories. On n’a même pas reconnu la pénibilité de notre travail, ce qui nous aurait octroyé une réduction de trois ans sur l’âge de départ à la retraite.

    Aucun syndicat n’a appelé à la grève en 2012. De ce fait, depuis il n’y a pas eu d’évolution, la pénibilité de notre travail n’a pas été reconnue et la loi nous permettant de prendre notre retraite à 58 ans n’a pas été rétablie. Aucun gouvernement n’a pris en charge ces questions. Notre exigence – minimale, nous tenons à le préciser – est d’entrer dans la catégorie des métiers pénibles.

    Qu’en est-il du versant économique de la #convention_collective ?

    Sur l’aspect de la #rémunération, nous n’avons pas voulu porter de revendications excessives. Nous avons déjà vécu des renouvellements contractuels avec des syndicats qui, avant la hausse de l’inflation, sont restés sur des augmentations barémiques du salaire minimum de l’ordre de 30 euros bruts par mois. Cependant, la rémunération des conducteurs de train et des chefs de bord se compose de nombreux éléments supplémentaires (et variables, ndlr), ce qu’on appelle les compétences complémentaires, qui une fois additionnées, créent une différence pouvant atteindre 500 euros par mois.

    En réalité, ces compétences complémentaires stagnent depuis près de vingt ans : elles n’ont été ni augmentées ni réévaluées avec l’inflation. Alors que d’autres entreprises, y compris semi-publiques, ont appliqué des augmentations et des ajustements à l’inflation, sans passer par un renouvellement contractuel. Nous n’avons rien eu de tout cela et, bien qu’il y ait une renégociation de la convention en cours qui dure depuis août 2023, ni les syndicats signataires ni l’entreprise n’ont encore parlé de rémunération

    Cela peut sembler être une grosse somme, mais ces compétences font partie de notre salaire et n’ont pas été ajustées depuis vingt ans. C’est le minimum qu’on est en droit d’exiger.

    Les transports publics sont également au cœur des revendications des mouvements écologistes, qui demandent d’y investir beaucoup plus de ressources, notamment en raison des effets positifs sur l’emploi « vert ». En Italie pour tout le secteur, filière industrielle comprise, une étude de Cassa Depositi e Prestiti (Caisse des Dépôts et Consignations) estime un potentiel de 110 000 emplois par an. Les mobilisations de ces mouvements dans des pays comme l’Allemagne les ont amenés à se joindre aux syndicats – notamment avec Ver.di, le premier syndicat du secteur des services – pour le renouvellement des conventions collectives. Partagez-vous l’idée d’un lien étroit entre les transports publics et la transition écologique et pensez-vous qu’une convergence de deux luttes différentes -seulement en apparence­- pourrait servir les deux causes ?

    Nous pensons que le transport ferroviaire pourrait avoir un impact très positif sur l’environnement, en particulier le transport de marchandises, car on peut encourager le transport ferroviaire de marchandises, ce qui réduirait le fret routier. Ce n’est pas ce à quoi on assiste. Il y a encore trop peu d’entreprises dans ce domaine, qui par ailleurs entrent sur le marché avec la même logique de réaliser du profit sur le dos des travailleurs, avec une réglementation moins exigeante que la nôtre.

    Pour le transport de passagers, il est tout aussi important de réaliser des investissements afin de diminuer le nombre de voitures sur les routes, mais dans des régions comme la Campanie, la Sicile, la Sardaigne, etc. nous connaissons le mauvais état du réseau ferroviaire – on pense de manière complètement irrationnelle à construire des infrastructures à la fois nuisibles à l’environnement et inutiles dans l’état actuel des chemins de fer siciliens, comme le pont sur le détroit (projet de pont suspendu sur le détroit de Messine visant à relier la Sicile et la Calabre, ndlr).

    En tant qu’Usb, notre plateforme est plus large que celle de l’assemblée. Parmi nos revendications figure la protection de la fonction du service ferroviaire en tant que service public.

    « Cela signifie investir des ressources dans des zones où il n’y a aucun retour économique : quand votre priorité est d’assurer une mission de service public, vous dépensez cet argent quand même. »

    Lorsque le secteur ferroviaire est orienté vers la privatisation, la gestion privée devient incompatible avec une logique de service public et d’écologie. Le privé essaie d’économiser là où il le peut, en heures de travail, en sécurité, et exprime en amont une préférence pour le transport routier parce qu’il coûte moins cher. Pour l’Usb il pourrait donc facilement y avoir cette convergence. Dans nos revendications, elle existe déjà implicitement. Les opportunités futures ne manqueront pas pour l’expliciter et la mettre en œuvre.

    https://lvsl.fr/italie-quand-le-profit-fait-derailler-les-trains
    #transport_ferroviaire #Italie #trains #infrastructure

  • Copains comme cochons : élus, éleveurs ou écrivains, qui sont les lobbyistes du porc en #Bretagne ?

    La Bretagne concentre la majorité de la production porcine de France. Un leadership qu’un conglomérat d’éleveurs, de politiques et d’alliés parfois inattendus compte préserver contre vents et marées. À travers quatre #infographies réalisées en partenariat avec La Revue dessinée, nous montrons les liens qu’entretiennent ces acteurs et les structures qui servent à défendre leurs intérêts. Une #cartographie inédite et pourtant non exhaustive d’un #lobby capable de tordre le bras au gouvernement.

    #Philippe_Bizien, un poids lourd de la filière

    L’enquête publiée par Splann ! en juillet 2022 sur l’extension de la #porcherie #Avel_vor, à #Landunvez (29), met en évidence l’#influence de son gérant sur toute la filière. Propriétaire de l’une des plus grandes exploitations porcines de France, d’où peuvent sortir chaque année jusqu’à 26.000 cochons, Philippe Bizien cumule de nombreuses autres fonctions. Il dirige plusieurs poids lourds de l’#agro-industrie : président de la société #Evel’Up (numéro 2 du porc en France) il est aussi à la tête de différentes structures défendant les intérêts des éleveurs et des méthaniseurs, en Bretagne.

    Ni les recours juridiques contre l’extension d’Avel vor menés par des associations environnementales, gagnés en première instance en 2019 et en appel en 2021, ni la condamnation de Philippe Bizien et de sa société pour #homicide_involontaire en 2022, ni, enfin, l’ouverture d’une #enquête impliquant Avel vor pour #mise_en_danger_de_la_vie_d’autrui par le pôle environnemental du parquet de Brest en 2023, n’ont eu raison de son ascension au sein du lobby du cochon.

    En 2023, il hérite d’une fonction nationale : il devient président de la section porcine de la #Coopération_agricole (anciennement #Coop_de_France), le très puissant syndicat défendant les intérêts des coopératives françaises auprès des pouvoirs publics français et des institutions européennes. Il cumule ainsi cinq mandats – donc cinq indemnités – et bénéficie d’un accès privilégié aux politiques et aux représentants de l’État.

    En janvier 2024, une délégation composée des députés Renaissance #Didier_Le_Gac et #Antoine_Armand, s’est rendue dans l’élevage de Philippe Bizien dans le cadre « d’une mission confiée par #Marc_Fesneau pour ancrer favorablement l’élevage en France », selon les mots de Didier Le Gac. Un soutien réaffirmé par le député Antoine Armand sur le réseau X, faisant fi des polémiques lié à la porcherie landunvezienne « On les suspecte. On les dénigre et parfois on les harcèle. Mais comme ici dans le Finistère, ils et elles nourrissent la France, sont engagés dans la transition écologique et façonnent nos paysages. »

    De puissants relais locaux

    Au-delà des liens de sang qui unissent, jusqu’en 2014, le gérant d’Avel vor au maire de Landunvez, – qui n’est autre que son père – lequel signe les autorisations d’agrandir la porcherie, c’est tout le secteur porcin qui tire les ficelles de la politique locale du pays de Landunvez.

    À la lumière de cet organigramme, les liens entre élus locaux et Evel’Up, la coopérative porcine présidée par Philippe Bizien, sont flagrants.

    À quelques dizaines de kilomètres de Landunvez, la commune de #Saint-Renan est administrée depuis 2014 par #Gilles_Mounier (divers droite), qui était cadre d’Evel’Up jusqu’en en 2021. Il a abandonné ce poste lors de son accès à la vice-présidence du conseil départemental du Finistère, en tant que chargé du développement durable et des territoires. Son épouse est toujours responsable communication au sein d’Evel’Up.

    À #Saint-Renan, les liens entre Evel’Up et la mairie ne datent pas d’hier puisque le prédécesseur de Gilles Mounier au poste de maire, #Bernard_Foricher, était aussi salarié de cette coopérative porcine (qui portait alors le nom de #Pigalys).

    Gilles Mounier n’est pas le seul à être passé de la direction d’Evel’Up à une carrière politique. Un peu plus au nord de Landunvez, la commune de #Kernouës est administrée par #Christophe_Bèle, directeur pendant 20 ans de la coopérative porcine Pigalys, devenue #Aveltis puis… Evel’Up.

    Ces deux soutiens historiques de la puissante filière porcine dans le #Finistère siègent désormais ensemble au sein de la commission locale de l’#eau et du syndicat des eaux du Bas-Léon. Ils occupent ainsi des postes stratégiques pour la gestion de l’eau du pays d’Iroise, à l’heure où le secteur porcin pèse lourd sur la qualité et la quantité d’#eau_potable disponible pour les habitants du territoire.

    La famille élargie

    À l’échelle nationale, le lobby porcin est aussi discret qu’organisé. Parmi ses principaux représentants, on trouve le député Les Républicains (LR) de #Loudéac-Lamballe (22), conseiller régional de Bretagne et vice-président de l’Assemblée nationale jusqu’en 2022, #Marc_Le_Fur. Surnommé le « #député_du_cochon », il s’attaque depuis plusieurs années aux associations qui critiquent l’élevage en déposant en 2022 par exemple, un amendement dit « anti-L214 » visant à « supprimer la réduction d’impôts pour les dons aux associations dont les adhérents sont reconnus coupables d’actes d’intrusion sur les propriétés privées agricoles ».

    Dans sa croisade contre « les normes excessives » il est aidé par #Jacques_Crolais, son ancien attaché parlementaire, directeur de l’#UGPVB (#Union_des_groupements_des_producteurs_de_viande_de_Bretagne) jusqu’en avril 2024, poste qu’il vient de quitter pour prendre la direction… d’Evel’Up.

    Autre député défendant ardemment la filière porcine : #Didier_Le_Gac, député Renaissance de Brest rural (29), dont fait partie la commune de #Landunvez. Il est l’une des chevilles ouvrières de la cellule de gendarmerie dite « #Demeter » créée à la demande de la #FNSEA, ayant pour but « d’identifier et poursuivre les agressions, intrusions et dégradations sur les exploitations agricoles ». Son lancement a été effectué en grande pompe en décembre 2019 à Saint-Renan (29), commune administrée par Gilles Mounier (dont vous retrouverez la figure dans l’organigramme « de puissants relais locaux ») à quelques kilomètres de la porcherie de Philippe Bizien.

    À cette époque-là et jusqu’en 2023, la FNSEA était présidée par #Christiane_Lambert, éleveuse de porcs dans le Maine-et-Loire, aujourd’hui présidente du #Comité_des_organisations_professionnelles_agricoles_de_l’Union_européenne (#Copa-Cogeca) – le plus important syndicat agricole européen.

    Le 14 mars 2024, Christiane Lambert a reçu la médaille d’officier de la Légion d’honneur sous le haut patronage d’#Erik_Orsenna (dont vous retrouverez la figure dans l’organigramme « La famille étendue ») et de l’ex-ministre de l’agriculture #Julien_Denormandie. Tous deux proches de l’association vitrine des grandes entreprises de l’#agroalimentaire, #Agriculteurs_de_Bretagne, ils viennent de cosigner le livre « Nourrir sans dévaster » (Flammarion).

    Une influence nationale

    De Plouvorn à Plonevez-Porzay en passant par Lamballe, Pouldreuzic, Loc-Equiner… Le lobby porcin s’est fait une place de choix dans de nombreuses institutions locales et nationales. De la Vallée des Saints… jusqu’à l’Académie française.

    Une statue de Saint-Alexis a été installée dans la Vallée des Saints en juillet 2022, le lieu, crée par des militants bretons en 2009 sur la commune de Carnoët, dans les Côtes d’Armor, se veut « une Île de Pâques à la bretonne ».

    La sculpture en granit de 4,25 m de haut a été financée conjointement par Le Crédit Agricole du Finistère, la Sica de Saint-Pol-de-Léon – premier groupement français de producteurs de légumes et d’horticulteurs – et la Brittany Ferries, pour rendre hommage à #Alexis_Gourvennec, considéré comme le père de l’agriculture bretonne moderne.

    Il était l’un des plus gros éleveurs porcins français avec 2.000 truies et 48 employés en 1984. Il a occupé la présidence de la Caisse régionale du Crédit Agricole de 1979 à 1998. Connu pour légitimer le recours à la violence en manifestation, l’entrepreneur léonard a contribué à diffuser sur la péninsule une vision ultra-libérale et productiviste de l’agriculture.

    Par-delà cet hommage en granit, les figures bien vivantes présentes dans cet organigramme, continuent de creuser le sillon d’Alexis Gourvennec.

    La filière porcine s’est par ailleurs organisée pour influencer l’opinion publique et laver l’image de l’agriculture bretonne et de ses pollutions. #Agriculteurs_de_Bretagne, association créée par de grandes entreprises de l’agroalimentaire en 2009 après la mort très médiatisée d’un cheval dans les algues vertes à Saint-Michel-en-Grève (22), assure des missions d’accueil d’écoles dans des exploitations de son réseau ainsi que la diffusion du magazine #Le_P’tit_Agri, destiné aux 7-11 ans. Elle tient également des stands lors de grands événements comme les Vieilles Charrues, à Carhaix (29) ou déploie parfois ses couleurs dans des stades, dont celui de Guingamp (22).

    Présidente de ce lobby jusqu’en 2022, #Danielle_Even, éleveuse de porcs dans les Côtes-d’Armor, a été propulsée sur la scène médiatique par l’académicien, businessman et conseiller des présidents Mitterrand et Macron, Erik Orsenna, lequel a invité « sa voisine », en 2013, sur le plateau de l’émission de Michel Drucker « Vivement Dimanche ». « La Bretagne, grâce au porc, sera le nouveau Qatar ! », lance-t-il alors. Depuis, il est présent pour soutenir le lobby à de nombreuses reprises comme lors des remises de légion d’honneur à #André_Sergent, éleveur de porcs et président de la chambre d’agriculture du Finistère, ou à Christiane Lambert, ancienne présidente de la FNSEA et actuelle présidente de la Copa-Cogeca.

    https://splann.org/enquete/les-travers-du-porc/lobby-porc-bretagne

    #élevage #porc #France #infographie #élevage_porcin
    #industrie_agro-alimentaire

  • 10 mai 2024 :

    🆘 from ~11 people stranded on an islet on the #Evros river, near #Didymoticho!

    We received information about this group, but can’t reach them. The relative who alerted us to them lost contact two hours ago and is worried. @Hellenicpolice
    have been alerted: assist them now!

    https://twitter.com/alarm_phone/status/1788934414317056326

    #limbe #zone_frontalière #île #Evros #asile #migrations #réfugiés #frontières #fleuve_Evros #Turquie #Grèce #Thrace #îlots

    –-

    ajouté à la métaliste sur #métaliste sur des #réfugiés abandonnés sur des #îlots dans la région de l’#Evros, #frontière_terrestre entre la #Grèce et la #Turquie :
    https://seenthis.net/messages/953343

  • Migranti, la nuova mossa del governo per i rimpatri : ampliata la lista dei Paesi sicuri. E scoppia la polemica

    Nei centri in Albania anche chi arriva da Bangladesh, Sri Lanka, Egitto e Camerun. Albano: “I giudici dovranno verificare se sono davvero luoghi non pericolosi”

    Un tassello dietro l’altro il governo prova a riempire la cornice dell’ancora vuoto progetto Albania nel tentativo di non farlo fallire prima del tempo. E così, dopo l’assegnazione dell’appalto da 133 milioni di euro per la gestione dei centri al colosso dell’accoglienza Medihospes del discusso Camillo Aceto, oggi un decreto ministeriale della Farnesina pubblicato in gazzetta ufficiale come d’incanto fa lievitare la lista dei cosiddetti Paesi sicuri, quelli – per intenderci – in cui potranno essere rimpatriati con le procedure accelerate di frontiera i migranti soccorsi nel Mediterraneo che da lì provengono.

    La lista, fino a ieri composta da 15 paesi, ne contiene ora ben 21: tra i sei nuovi ingressi alcuni Paesi d’origine di un numero consistente di migranti che arrivano in Italia via mare. Innanzitutto il Bangladesh, ma anche Sri Lanka, Camerun ed Egitto, a cui di aggiungono due Paesi sudamericani, Colombia e Perù da cui, in aereo, arrivano in Italia ogni anno migliaia di persone che poi chiedono asilo.

    Il Bangladesh , cosi come già l’anno scorso, è in cima alla lista dei Paesi d’origine dei migranti che arrivano in Italia grazie ad una triangolazione dall’Africa che riescono a raggiungere in aereo: 3425 quelli sbarcati nei primi 4 mesi del 2024, più di 1000 gli egiziani.

    Numeri consistenti che adesso, con il loro inserimento nella lista dei Paesi sicuri, consentiranno alle autorità italiane di portarli direttamente nei centri albanesi in attesa del probabile rimpatrio nel caso in cui la loro richiesta di asilo(come avviene nella maggior parte dei casi) dovesse essere respinta. Nel 2023 sono stati più di 12.000 gli arrivi dal Bangladesh e 11.000 dall’Egitto.

    I giudici della sezione immigrazione nutrono forti perplessità sul fatto che alcuni dei paesi inclusi nell’elenco, su tutti l’Egitto, possano essere considerati sicuri. La presidente di Magistratura democratica, Silvia Albano, spiega: “Il decreto ministeriale è fonte normativa secondaria e deve rispettare tanto le fonti sovraordinate, come la Costituzione e la normativa della UE, quanto la legge ordinaria”; quindi “i giudici dovranno verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale, possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge”.

    #pays_sûrs #liste #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #externalisation #renvois #expulsions

    #Bangladesh #Sri-Lanka #Cameroun #Egypte #Colombie #Pérou

    –-
    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais... :
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • La visionneuse de #Panoramax passe en version 3.0 !

    Pourquoi contribuer à la base de #photographies de Panoramax ?

    Contribuer à Panoramax, c’est participer au développement d’un #géo-commun, une ressource numérique souveraine, libre et réutilisable. Chaque photo géolocalisée publiée sur Panoramax est utilisable par tous et pour des usages variés, par exemple par une collectivité territoriale qui a besoin d’observer l’état de la voirie ou par un opérateur de télécommunications pour préparer une intervention.

    Chaque contributeur peut envoyer ses séquences d’images, les modifier et les consulter tout comme l’ensemble des vues - 360° ou non - versées par la communauté. Le floutage obligatoire des visages et plaques d’immatriculation est automatisé sur la plateforme.

    https://panoramax.openstreetmap.fr
    #alternative #google_street_map #streetmap #street_map #OSM #3D #crowdsource

    • A fond ! Sur ma watch list dès que possible.

      Première impression de la bande annonce... c’est bien joué, mais les textes sont dits sans le niveau requis pour les langues utilisées.
      Je trouvais que dans Le Jeune Karl Marx , cette erreur n’était pas commise.

    • Vu hier soir... film très lent. Je ne sais pas trop quoi en penser.
      Intéressant, comment Kropotkin explique sa mission de proposer une nouvelle #cartographie_anarchiste de la région... et l’absurdité de la présence de 4 heures différentes dans la petite ville de Saint-Imier : l’heure de l’usine, celle de la municipalité, celle de la poste et celle de la gare (si je ne me trompe pas).

  • Au procès de Nuremberg,un acte d’accusation en cartes et graphiques
    https://www.visionscarto.net/cartes-graphiques-au-proces-nuremberg

    par RJ Andrews Data storyteller, RJ Andrews accompagne les organisations pour résoudre des problèmes complexes à l’aide de métaphores visuelles et de graphiques d’information. Ses livres sont disponibles sur le site de Visionary Press. Cet article, traduit par Isabelle Saint-Saëns, a été initialement publié en anglais, dans Chartography, sous le titre « This Chart Kills Fascists - Information graphics from the Nuremberg trials » (12 avril 2024). En regardant la série Masters of the (...) Billets

    #Billets_

  • La Fleur de Buriti

    A travers les yeux de sa fille, Patpro va parcourir trois époques de l’histoire de son peuple indigène, au cœur de la #forêt brésilienne. Inlassablement persécutés, mais guidés par leurs rites ancestraux, leur amour de la nature et leur combat pour préserver leur liberté, les #Krahô n’ont de cesse d’inventer de nouvelles formes de #résistance.

    https://www.youtube.com/watch?v=sWDHI-T50c8


    https://www.advitamdistribution.com/films/la-fleur-de-buriti
    #peuples_autochtones #Brésil #film #documentaire #film_documentaire #persécution #massacre_de_Krahô #Amérique_latine

  • #Mattermost

    Mattermost est un logiciel et un service de #messagerie_instantanée libre auto-hébergeable. Il est conçu comme un #chat_interne pour les organisations et les entreprises, ainsi qu’un logiciel de #gestion_de_projets, et est présenté comme une alternative à Slack8 et Microsoft Teams.

    https://mattermost.com

    #logiciel #alternative #slack #discord #chat

  • Nicolas Schmit veut revoir certains accords migratoires

    Les accords de plusieurs millions d’euros que l’UE a signés avec les pays voisins pour réduire l’immigration irrégulière doivent être « révisés », estime Nicolas Schmit, tête de liste des socialistes européens pour les élections de juin.

    « Je suis assez réticent à l’égard de ces accords qui doivent encore faire la preuve de leur efficacité. Nous dépensons actuellement d’énormes sommes d’argent, en donnant cet argent à différents régimes ou gouvernements, comme le gouvernement tunisien. Nous savons que les autorités tunisiennes traitent très mal les réfugiés », explique Nicolas Schmit à Euronews lors d’une interview exclusive filmée mardi matin.

    « Nous avons toujours des problèmes en Libye, où il y a deux gouvernements. Nous avons des questions pour l’Egypte. Je suis donc assez réticent à ce genre d’accords », poursuit-il.

    « Je pense que nous devons les revoir et voir ce qui peut être fait, comment nous pouvons le faire différemment parce que nous ne savons pas exactement comment l’argent est utilisé ».

    Nicolas Schmit, l’actuel commissaire européen en charge de l’Emploi et des Droits sociaux, rompt ouvertement avec la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, qui, au cours de l’année écoulée, a encouragé la politique de signature d’accords avec les pays voisins, tels que la Tunisie, la Mauritanie et l’Égypte, dans le but de stimuler leurs économies fragiles et de réduire le nombre de départs d’immigrants clandestins.

    Cette stratégie, qui prévoit des millions de fonds européens et des projets d’investissement, bénéficie d’un large soutien des dirigeants de l’UE dont l’Italienne Giorgia Meloni, le Grec Kyriakos Mitsotakis, le Belge Alexander De Croo et l’Espagnol Pedro Sánchez, qui ont tous, à un moment donné, rejoint Ursula von der Leyen lors de ses voyages officiels.

    Mais ces accords ont été fortement critiqués par les ONG humanitaires et les spécialistes des migrations, qui affirment qu’ils sont mal conçus, qu’ils manquent de transparence et qu’ils reposent sur un vote de confiance de la part de gouvernements autocratiques. Les nombreux rapports faisant état de violations des droits de l’homme en Tunisie et en Égypte ont jeté une ombre sur ces textes.

    Le dernier chapitre en date de cette politique concerne le Liban, où la présidente de la Commission a annoncé la semaine dernière un programme d’aide d’un milliard d’euros destiné à soulager les difficultés financières du pays frappé par la crise et à empêcher une vague de réfugiés de se diriger vers Chypre. L’enveloppe, entièrement constituée de subventions, sera progressivement mise en place jusqu’en 2027.

    « Personne ne sait exactement comment l’argent annoncé sera dépensé au Liban, étant donné la situation du gouvernement libanais, qui est, d’une certaine manière, un gouvernement très faible », analyse Nicolas Schmit.

    Au cours de son entretien avec Euronews, Le Luxembourgeois de 70 ans a fustigé le « modèle rwandais » que le Royaume-Uni a mis en place pour transporter les migrants par avion vers le pays africain et traiter leurs demandes d’asile sur place. Si les demandes sont approuvées, les réfugiés se verront accorder l’asile au Rwanda, et non sur le sol britannique.

    Dans son manifeste, le Parti populaire européen (PPE) présente une ébauche de projet similaire au « modèle rwandais » visant à externaliser partiellement le traitement des demandes. Ursula von der Leyen, tête de liste du PPE, nie la comparaison et insiste sur le fait que tout projet serait compatible avec le droit international.

    « Je suis absolument contre ce que nous appelons le modèle rwandais, qui va à l’encontre des droits fondamentaux sur lesquels l’Europe s’est construite », insiste Nicolas Schmit. « Déléguer le traitement des réfugiés au Rwanda ou à d’autres pays est une question de non-respect de la dignité humaine ».
    Pas question de travailler avec CRE

    Nicolas Schmit et Ursula von der Leyen se trouvent dans une position particulière car tous deux travaillent au sein de la Commission mais ils font campagne respectivement pour le PSE et le PPE.

    La présidente de l’institution demeure la favorite selon les sondages. Son parti devrait rester la première force politique au Parlement à l’issue des élections de juin.

    Toutefois, ces dernières semaines, Ursula von der Leyen a fait sursauter l’opinion publique en raison de ses ouvertures vers le groupe des Conservateurs et réformistes européens (CRE), qui regroupe notamment Fratelli d’Italia (Italie), Droit et Justice (Pologne), Vox (Espagne), l’Alliance néo-flamande N-VA (Belgique), le Parti démocratique civique (République tchèque) et les Démocrates de Suède (Suède).

    Le CRE devrait progresser de manière significative après le mois de juin, et pourrait devenir le troisième groupe le plus important, ce qui donnerait à cette formation eurosceptique et anti-Pacte vert un plus grand poids dans la prise de décision.

    Pour être reconduite par les dirigeants, Ursula von der Leyen devra être confirmée par une majorité au Parlement. Les socialistes ont prévenu que si la responsable allemande cherchait à obtenir des voix au sein de CRE, elle perdrait leur soutien.

    « Il n’y a aucun moyen - je suis très clair là-dessus - il n’y a aucun moyen d’avoir un arrangement, un accord ou quoi que ce soit avec l’extrême droite », assure Nicolas Schmit à Euronews.

    Il accuse le PPE de faire une « distinction très spéciale » entre l’extrême droite « décente » et l’extrême droite « paria » et a mis en garde contre les conséquences imprévisibles de cette ligne de plus en plus floue, affirmant que le CRE défendait une conception « fondamentalement différente » de l’Europe.

    « Lorsque je regarde l’extrême droite dite décente, qui sont ces gens ? Ce sont des Vox. Ce sont des admirateurs de Franco. Des admirateurs de Mussolini. C’est le parti PiS (Droit et Justice) qui était sur le point d’abolir l’État de droit en Pologne et qui a été sanctionné par la Commission. Où est donc l’extrême droite décente ? Il n’y en a pas », explique-t-il.

    « C’est pourquoi il n’est pas possible d’avoir un arrangement qui se contente d’acheter des votes parce que l’extrême droite est intelligente. Ils ne donneront pas leurs voix pour rien. Ils demanderont des concessions sur la manière dont la politique européenne sera définie », assure Nicolas Schmit.

    Cette interview fait partie d’une série en cours avec toutes les têtes de liste pour les élections européennes. L’interview complète de Nicolas Schmit sera diffusée sur Euronews le week-end du 17 mai.

    https://fr.euronews.com/my-europe/2024/05/07/les-accords-de-lue-sur-limmigration-avec-legypte-et-la-tunisie-doivent-

    #UE #Tunisia #Egypt #Nicolas_Schmit #Ursula_von_der_Leyen

    ping @cdb_77

  • Migration : les États membres s’efforcent de transférer les procédures d’immigration à des États non membres de l’UE

    Un groupe d’États membres de l’UE, emmené par la #République_tchèque et le #Danemark, prépare une #lettre à la #Commission_européenne demandant que les migrants qui tentent d’atteindre l’UE soient transférés vers des États tiers sélectionnés avant d’atteindre les #côtes de l’Union — une procédure qui, selon les experts, risque d’être difficile à appliquer dans le cadre de la législation européenne actuelle sur l’immigration.

    Selon la lettre obtenue par les journaux tchèques, les signataires appellent à la conclusion d’#accords avec des pays tiers vers lesquels les États membres de l’UE pourraient envoyer les migrants interceptés en mer. L’ensemble de l’UE pourrait alors adopter un modèle similaire à celui conclu en novembre 2023 entre l’#Italie et l’#Albanie.

    « Là, une solution permanente pourrait être trouvée pour eux », peut-on lire dans la lettre, comme le rapporte le journal Hospodářské noviny.

    Selon ce plan, les migrants qui se dirigent vers l’Europe sans les documents nécessaires n’atteindraient même pas les côtes de l’UE, peut-on également lire dans la lettre.

    Le plan prévoit également le transfert des personnes qui se trouvent déjà dans un pays de l’UE, mais qui n’y ont pas obtenu l’asile, suggérant que ces migrants pourraient être emmenés dans un pays tiers, où ils resteraient jusqu’à ce qu’ils puissent être expulsés.

    Cette lettre a été rédigée à l’initiative du Danemark et de la République tchèque, et soutenue par plusieurs États membres. Une telle approche est soutenue par la majorité des Vingt-Sept, dont les #Pays-Bas, les États baltes et l’Italie, a appris Euractiv.

    L’Italie a été le premier État membre à signer un accord bilatéral avec un pays tiers — l’Albanie — sur l’externalisation des procédures de migration.

    « L’#externalisation et la #relocalisation des demandes d’asile ont une triple fonction : lutter plus efficacement contre les organisations criminelles dédiées au #trafic_d’êtres humains, comme outil de #dissuasion contre les départs illégaux, et comme moyen de soulager la pression migratoire sur les pays de première entrée, comme l’Italie, la Grèce, l’Espagne, Chypre ou Malte », a déclaré à Euractiv Italie le sous-secrétaire d’État au ministère italien de l’Intérieur, le député de la Lega Nicola Molteni (Identité et Démocratie).

    La #Hongrie est également favorable à une externalisation, mais n’a pas encore signé la lettre. Comme l’a confié un diplomate à Euractiv République tchèque, Budapest est « toxique » et pourrait nuire à la pertinence de la lettre.

    Le débat sur l’externalisation a battu son plein peu après l’approbation par le Parlement européen du nouveau pacte européen sur la migration et l’asile, et les États membres devraient formellement approuver le paquet législatif le 14 mai.

    L’externalisation des procédures d’immigration sera également abordée lors de la conférence internationale sur l’immigration qui se tiendra à Copenhague lundi (6 mai).

    « La conférence sera une bonne occasion de présenter les propositions du groupe de travail dirigé par le Danemark, avec la représentation de la majorité des États membres de l’UE, pour compléter le pacte sur la migration et l’asile après les élections européennes avec de nouvelles mesures, en particulier dans la dimension de la migration extérieure [y compris l’externalisation], basée sur un nouveau type de partenariat aussi complet », a déclaré Hana Malá, porte-parole du ministère tchèque de l’Intérieur, à Euractiv République tchèque.

    Les partenariats avec les États membres ne faisant pas partie de l’UE sont également soutenus par la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen.

    « Parallèlement à la mise en œuvre du Pacte sur les migrations, nous poursuivrons nos partenariats avec les pays d’origine et de transit afin de nous attaquer ensemble aux causes profondes des migrations », a-t-elle déclaré.

    Cependant, certains émettent des doutes quant à l’externalisation. C’est notamment le cas des libéraux français.

    Pour le député français Sacha Houlié, qui fait partie de l’aile gauche du parti majoritaire du président Emmanuel Macron, Renaissance (Renew Europe), l’externalisation des processus migratoires est aux antipodes du pacte sur la migration et l’asile adopté par le Parlement européen.

    « Envoyer des personnes dans des pays qui n’ont rien à voir avec leur pays d’origine, comme l’Albanie ou le Rwanda, pose un problème moral et éthique », a fustigé M. Houlié.

    L’externalisation de la gestion des migrations a également été qualifiée d’« inacceptable » par l’eurodéputé italien Brando Benifei, chef de la délégation du Parti démocrate (Partido Democratico, Socialistes et Démocrates européens) au sein de l’hémicycle européen.
    Critiques des ONG

    Les organisations de défense des droits de l’Homme se montrent particulièrement critiques concernant l’externalisation des procédures d’immigration, y compris l’accord italo-albanais.

    « Il est grand temps que les institutions européennes reconnaissent que l’accord entre l’Italie et l’Albanie créerait un système illégal et nuisible, auquel il faut mettre fin. Au lieu d’accroître la souffrance des individus, les autorités devraient garantir l’accès à une procédure d’asile efficace, à un accueil adéquat et à des itinéraires sûrs et réguliers », a souligné l’organisation Amnesty International en février.

    Selon l’expert en migration Vít Novotný, la proposition d’externaliser le traitement des demandes d’asile risque d’être difficile à mettre en œuvre, car les règles européennes, même dans le cadre du nouveau pacte migratoire, sont basées sur des procédures d’asile se déroulant uniquement sur le territoire de l’Union.

    « Le changement est concevable, la porte est là, mais le chemin juridique est long », a déclaré M. Novotný du Centre Wilfried Martens pour les études européennes à Euractiv République tchèque, soulignant que cette situation est encore spéculative.

    Il a expliqué que les propositions sur le retour des demandeurs déboutés pourraient être beaucoup plus faciles à obtenir un consensus et que l’initiative pourrait aider à résoudre le problème de longue date des déportations.

    Toutefois, il est essentiel de trouver des pays partenaires adéquats — un problème qui, selon M. Novotný, persiste.

    « La question est de savoir dans quelle mesure l’UE a essayé de trouver de tels pays. Il est possible qu’elle n’ait pas suffisamment essayé », a-t-il affirmé.

    « Maintenant que même l’Allemagne parle de solutions similaires, ce qui était impensable il y a seulement un an ou deux, il y a peut-être plus de chances de trouver un ou plusieurs pays de ce type. Mais pour l’instant, je ne fais que spéculer », a-t-il ajouté.

    M. Novotný a également rappelé les efforts de l’UE en 2018, lorsque le président du Conseil européen de l’époque, Donald Tusk, a déclaré que l’UE avait essayé de se mettre d’accord avec l’Égypte pour reprendre les personnes secourues en mer.

    « Et [le président Abdel Fattah] al-Sisi avait répondu très fermement à l’époque qu’il n’y avait pas moyen. Maintenant, cela se fait de manière un peu plus diplomatique, ce qui est probablement une meilleure façon de réussir », a conclu l’expert.

    https://www.euractiv.fr/section/all/news/migration-les-etats-membres-sefforcent-de-transferer-les-procedures-dimmigr

    #UE #Union_européenne #EU #asile #migrations #réfugiés #Europe #externalisation #pays_tiers

    • A Copenhague, une #conférence sur les #partenariats pour l’immigration

      Les représentants de plusieurs gouvernements européens se sont retrouvés, lundi, au Danemark, pour discuter des partenariats avec des pays tiers, dans le but de réduire l’immigration en Europe.

      La première ministre danoise, Mette Frederiksen (à gauche), avec la commissaire européenne chargée des affaires intérieures et des migrations, Ylva Johansson, lors d’une conférence internationale sur les migrations, à Copenhague, le 6 mai 2024. MADS CLAUS RASMUSSEN / AFP

      En janvier 2023, le gouvernement danois annonçait renoncer, temporairement, à sous-traiter le droit d’asile au Rwanda. A l’époque, le ministre de l’immigration et de l’intégration, Kaare Dybvad, faisait valoir que son pays souhaitait avancer avec ses partenaires européens, reconnaissant qu’une solution danoise ne réglerait pas le problème auquel faisait face l’Union européenne. « Nous nous sommes aussi rendu compte qu’après nous avoir envoyés balader, de plus en plus de pays semblaient intéressés par ce que nous avions à proposer », explique-t-on aujourd’hui au ministère.

      Lire aussi | Article réservé à nos abonnés Pacte européen sur la migration et l’asile : « Le régime d’asile actuel est inhumain par nature ; il doit être réformé en profondeur »

      Lundi 6 mai, Copenhague accueillait une conférence internationale sur l’immigration. Plus de 250 responsables politiques et représentants d’organisations internationales, dont le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, l’Organisation internationale pour les migrations ou Europol, y ont évoqué différents types de « solutions durables », sous forme de « partenariats » avec des pays tiers, destinés à endiguer les arrivées et à accélérer les retours.

      Le ministre de l’intérieur italien, Matteo Piantedosi, ses homologues autrichien et tchèque, Gerhard Karner et Vit Rakusan, de même que le ministre de l’immigration néerlandais, Eric van der Burg, ont fait le déplacement. La Belgique, l’Allemagne et la Suède étaient, quant à elles, représentées par leurs secrétaires d’Etat à l’intérieur et à l’immigration.

      « Une base solide »

      Venue accueillir les délégués, la première ministre sociale-démocrate danoise, Mette Frederiksen, a constaté que « le système actuel de l’immigration et de l’asile s’était de facto effondré », rappelant que le nombre d’arrivées en Europe « était comparable à 2015 ». « Le pacte européen sur la migration et l’asile est une base solide sur laquelle nous pouvons nous appuyer. Mais nous avons également besoin de partenariats plus larges et plus égaux, et d’un engagement en faveur d’une solution durable à long terme », a-t-elle déclaré, en ouverture de la conférence.

      Au cours de la journée, il a notamment été question de la loi, adoptée le 23 avril, par le Parlement britannique, qui va permettre au Royaume-Uni d’expulser des demandeurs d’asile vers le Rwanda. Un modèle très controversé, imaginé par le Danemark, qui avait été le premier pays à légiférer, dès 2021, avant de signer un accord de coopération bilatérale avec Kigali en septembre 2022, puis de suspendre son projet d’y délocaliser la prise en charge des demandeurs d’asile et des réfugiés.

      Lire aussi | Article réservé à nos abonnés Transférer les demandeurs d’asile au Rwanda : l’obstination du gouvernement de Rishi Sunak

      Copenhague, cependant, n’y a pas renoncé, selon M. Dybvad, qui estime qu’« une coopération européenne commune avec un ou plusieurs pays tiers en dehors de l’Europe devrait réduire l’incitation à y venir ». D’après le gouvernement danois, un tel système serait « plus humain et plus juste », car il réduirait le pouvoir des trafiquants et permettrait d’accorder l’asile à ceux « qui en ont vraiment besoin ».

      « Partenariats stratégiques »

      L’accord migratoire, signé entre l’Italie et l’Albanie, en janvier, a également été évoqué ainsi que les « partenariats stratégiques », passés par l’Union européenne, avec la Turquie, la Tunisie, le Maroc, l’Egypte et la Mauritanie. « Il n’est pas possible de penser que nous pouvons gérer l’immigration seuls au sein de l’UE », a observé Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, vantant le partenariat avec la Tunisie, qui a permis de « réduire d’environ 80 % les départs depuis que l’accord a été signé », en juillet 2023.

      Pour autant, pas question de sous-traiter l’asile à un pays tiers : « Ce n’est pas possible dans le cadre du pacte sur la migration » et « cela ne semble pas être un gros succès au Royaume-Uni », a-t-elle asséné. Le ministre autrichien de l’intérieur, M. Karner, n’est pas de cet avis : « Nous n’avons pas besoin d’une, mais de plusieurs solutions », martèle-t-il, affirmant qu’une des priorités, pour la prochaine Commission européenne, devra être de « modifier le cadre réglementaire », notamment « le critère de connexion », qui interdit aux pays européens d’envoyer un demandeur d’asile dans un pays où il n’a aucune connexion.

      Conseiller du ministre des affaires étrangères mauritanien, Abdoul Echraf Ouedraogo plaide, lui, pour « une réponse holistique ». La seule solution durable est de « s’attaquer aux facteurs structurels à l’origine de l’immigration, notamment aux inégalités de développement », dit-il, rappelant, par ailleurs, que les pays européens manquent de main-d’œuvre et auraient tout intérêt à faciliter les voies légales d’immigration vers l’UE.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2024/05/07/a-copenhague-une-conference-sur-les-partenariats-pour-l-immigration_6232022_

  • En #Tunisie, la #répression s’accentue sur les migrants subsahariens et les associations qui les soutiennent

    Originaires d’Afrique de l’Ouest ou de l’Est, plusieurs centaines d’hommes, de femmes et d’enfants ont été expulsées vers les frontières du pays.

    Il était 2 heures du matin, vendredi 3 mai, lorsque les agents des forces de l’ordre se sont présentés devant le campement de migrants, installé en face du siège de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), dans le quartier des berges du Lac à Tunis. « On était tous couchés, on dormait. D’un coup, il a fallu fuir », se souvient Simon, un exilé camerounais de 21 ans qui préfère utiliser un nom d’emprunt. Lui a réussi à échapper à la police. « Mais ceux qui n’y sont pas parvenus ont été arrêtés. Nous sommes toujours sans nouvelle de certains d’entre eux », dit-il, toujours à la rue.

    Ils étaient des centaines, originaires principalement de pays d’Afrique de l’Ouest, à dormir dehors dans l’attente d’une assistance de l’OIM pour un retour volontaire dans leur pays. « On veut juste rentrer chez nous, assure Simon qui a déposé en décembre 2023 une demande pour être rapatrié au Cameroun. On ne comprend pas pourquoi ils ont fait ça. On était calmes, on n’a agressé personne, on n’a rien fait de mal. »

    Plus loin, au bout de la rue, plusieurs centaines d’exilés – des hommes, des femmes et même des enfants majoritairement originaires du Soudan et de pays d’Afrique de l’Est en proie à la guerre – étaient installées dans les allées d’un jardin public en attendant d’obtenir une protection internationale.
    Des expulsions collectives

    D’autres avaient planté leurs tentes à quelques centaines de mètres de là, devant le siège du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés. Des dizaines de personnes exilées, installées dans la Maison des jeunes depuis à la fermeture du camp de Choucha en 2017, ont également été délogées, dans la banlieue de La Marsa.

    Au total, près de 80 mandats de dépôt ont été émis à l’encontre des personnes arrêtées au cours du week-end et au moins plusieurs centaines d’entre elles ont été expulsées vers les frontières du pays, selon plusieurs ONG. Cette évacuation coordonnée et de large ampleur fait suite à d’autres opérations similaires dans la région de Sfax la semaine passée.

    Lundi 6 mai, au cours d’un conseil de sécurité, le président Kaïs Saïed a reconnu pour la première fois des expulsions collectives de la part des autorités tunisiennes, précisant que « 400 personnes » ont été renvoyées vers « la frontière orientale », en « coordination continue » avec les pays voisins.

    « Nous assistons à une répression tous azimuts des populations noires migrantes qui continuent de subir des abus systématiques de leurs droits », dénonce Salsabil Chellali, directrice du bureau de Human Rights Watch à Tunis. Elle souligne que, de manière générale, les arrestations et les expulsions menées par les autorités se font « sans aucune évaluation au cas par cas du statut » des exilés, « en dehors de tout Etat de droit et cadre légal », simplement car « ces personnes sont identifiées comme noires et comme venant de pays africains ».
    « Hordes de migrants clandestins »

    Depuis le discours du président Kaïs Saïed, en février 2023, au cours duquel il avait désigné les « hordes de migrants clandestins » comme complice d’un complot visant à modifier l’identité arabo-islamique du pays, les autorités tunisiennes ont opéré un virage sécuritaire dans la gestion des migrants africains subsahariens.

    La répression à leur encontre s’est élargie ces derniers jours aux organisations de la société civile. Saadia Mosbah, présidente de Mnemty, une association de lutte contre les discriminations raciales, a été arrêtée lundi 6 mai sur la base de la loi relative à la lutte contre le terrorisme et à la répression du blanchiment d’argent et placée en garde à vue.

    Activiste tunisienne noire et figure de la lutte antiraciste en Tunisie, Mme Mosbah s’était montrée très critique envers les politiques anti-migrants du président Kaïs Saïed depuis plus d’un an. Un autre membre de l’association a été entendu dans le cadre de l’enquête, mais a été laissé en liberté. Leurs bureaux ont été perquisitionnés.

    L’organisation Terre d’asile Tunisie (TAT), section tunisienne de France terre d’asile, a elle aussi reçu la visite des fonctionnaires de police dans ses bureaux de Tunis et de Sfax. Son ancienne directrice, Sherifa Riahi, a été entendue puis placée en garde à vue sur la base de la même loi utilisée contre Mme Mosbah, confie au Monde une source sous couvert d’anonymat. Quatre personnes ont été entendues, « sans que cela donne lieu à une arrestation ».

    Le président et le vice-président du Conseil tunisien des réfugiés (CTR) ont eux aussi été arrêtés, placés sous mandat de dépôt à l’issue de leur garde à vue. Ils sont accusés d’« associations de malfaiteurs dans le but d’aider des personnes à accéder au territoire tunisien », selon une déclaration du parquet, alors que le CTR assiste le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés dans l’enregistrement des demandeurs d’asile, avec l’aval des autorités en l’absence de loi encadrant le droit d’asile en Tunisie.
    « Faire peur aux associations »

    Le président du Conseil tunisien des réfugiés (CTR) et l’un de ses collègues ont eux aussi été arrêtés. Selon la radio privée Mosaïque FM, ils sont accusés d’aide à l’hébergement de migrants en situation irrégulière, alors même que cette organisation assiste le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés dans l’enregistrement des demandeurs d’asile, avec l’aval des autorités en l’absence de loi encadrant le droit d’asile en Tunisie.

    « C’est un nouveau cap franchi dans la répression, s’alarme Salsabil Chellali. Les autorités veulent faire peur aux associations qui mènent des actions pour atténuer un tant soit peu la souffrance des migrants et demandeurs d’asile et de mettre fin à toute assistance qu’ils peuvent recevoir en Tunisie. Ça ne fait qu’exacerber les conditions vulnérables dans lesquelles ils sont. »

    Dans son discours lundi soir, M. Saïed a fustigé des associations qui « reçoivent d’énormes sommes d’argent de l’étranger ». « Il n’y a pas de place pour des associations qui pourraient remplacer l’Etat », a-t-il affirmé, qualifiant par ailleurs les dirigeants de ces associations de « traîtres » et d’« agents ».

    M. Saïed a aussi répété « aux chefs d’Etat » et « au monde entier », comme il l’a fait de nombreuses fois, que « la Tunisie n’est pas une terre pour installer ces gens et qu’elle veille à ce qu’elle ne soit pas également un point de passage pour eux vers les pays du nord de la Méditerranée ».

    Tout en refusant d’accueillir les migrants, les autorités tunisiennes continuent pourtant de les empêcher de rejoindre l’Europe moyennant un soutien financier et logistique de l’Union européenne. Entre le 1er janvier et le 15 avril, 21 270 migrants ont ainsi été interceptés en mer par la Garde nationale, contre 13 903 sur la même période en 2023, selon les chiffres communiqués par son porte-parole, Houssem Jebabli, à l’agence de presse Nova.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/05/08/en-tunisie-la-repression-s-accentue-sur-les-migrants-subsahariens-et-les-ass
    #migrations #anti-migrants #expulsions #expulsions_collectives #réfugiés #arrestations

    ping @_kg_

    • Nella Tunisia di Saied adesso viene colpito chi aiuta i migranti

      Perquisizioni nelle sedi di importanti organizzazioni umanitarie e arresti di attivisti, mentre Italia e Ue continuano a elargire fondi. Continuano le deportazioni dei cittadini stranieri nelle zone desertiche al confine con Algeria e Libia

      Fin dove si spingerà Kais Saied? Chi lavora in ambito migratorio a Tunisi si pone questa domanda da tempo. Il 21 febbraio 2023 il presidente della Repubblica ha accusato le persone di origine subsahariana e sudanese di stare compiendo una sostituzione etnica nel paese. Successivamente, nel luglio dello stesso anno, sono arrivate le strette di mano con la premier Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per la firma del memorandum d’intesa, mentre il ministero degli Interni attuava vere e proprie deportazioni di migliaia di migranti verso le zone desertiche ai confini con Algeria e Libia.

      Le deportazioni continuano ancora oggi. Saied, invece, ha rivolto l’attenzione verso tutti coloro che si occupano di migrazioni: «La Tunisia non sarà una terra d’insediamento per questi immigrati e non è neanche un punto di passaggio per loro. Ci sono degli individui che hanno ricevuto dei soldi nel 2018 per portare qui queste persone. Enormi somme di denaro sono arrivate dall’estero a favore degli immigrati africani e a profitto di reti e associazioni che pretendono falsamente di proteggere queste persone», ha dichiarato il presidente durante il Consiglio di sicurezza del 6 maggio scorso.

      SAIED È PASSATO presto dalle parole ai fatti. Nell’ultima settimana quattro persone di tre organizzazioni diverse sono state poste in custodia cautelare con capi di accusa che vanno dall’associazione a delinquere con il fine di aiutare le persone a entrare illegalmente in Tunisia al riciclaggio di denaro e appropriazione indebita. Si tratta di due esponenti del Centro tunisino per i rifugiati (Ctr) che lavora a stretto contatto con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), all’interno di un quadro giuridico estremamente precario in quanto il paese manca di una legislazione sul diritto d’asilo; della ex presidente di Terre d’Asile in Tunisia Sherifa Riahi e di Saadia Mosbah, uno dei volti più conosciuti della società civile locale per la sua attività di sensibilizzazione contro il razzismo e presidente dell’associazione Mnemty.

      I dettagli della messa in applicazione di queste disposizioni rappresentano un precedente a cui la società civile tunisina potrebbe abituarsi molto presto. I locali di Terre d’Asile sono stati perquisiti a Sfax, Sousse e Tunisi. La stessa sorte è capitata all’ufficio di Mnemty e all’abitazione di Mosbah. Nonostante un quadro altamente frammentato e a rischio per chi decide di andare contro le disposizioni presidenziali, le reazioni non sono mancate. Romdhane Ben Amor, portavoce del Forum tunisino per i diritti economici e sociali, ha dichiarato che «la Tunisia sta aggravando la crisi e promuove l’idea che non ci sia una soluzione». Si è espresso duramente anche Bassem Trifi, presidente della Lega tunisina dei diritti umani, organizzazione che vinse il premio Nobel per la pace nel 2015.

      AL DI LÀ DELLA CRONACA è importante capire dove si inserisce l’ulteriore stretta autoritaria del presidente Kais Saied. Da inizio anno la Garde nationale ha dichiarato di avere intercettato in mare 21.270 persone, 9mila in più rispetto al 2023. Un dato preoccupante sia per il piccolo Stato nordafricano, diventato un hub strategico di primo piano per le partenze, ma anche per l’Europa e per l’Italia in particolare, impegnate a finanziare in maniera sempre più importante le politiche securitarie della Tunisia.

      Una soluzione per garantire gli interessi delle due sponde del Mediterraneo sono le deportazioni verso il deserto. Da quasi un anno migliaia di persone sono state caricate sui bus e lasciate a loro stesse in aree disabitate lungo i confini del paese con l’Algeria e la Libia. Un meccanismo attuato dal ministero degli Interni su tutto il territorio nazionale, con una particolare attenzione a Sfax, seconda città della Tunisia dove il fenomeno migratorio è più accentuato. L’ultimo caso risale alla mattina del 3 maggio di fronte ai locali dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dell’Unhcr a Tunisi dove centinaia di persone in attesa del rimpatrio volontario o che godevano di qualche forma di “protezione” avevano trovato un rifugio precario costruito con tende di fortuna. Un imponente intervento securitario ha evacuato la zona, arrestato circa 80 persone e deportato almeno altre 200, secondo la ricostruzione di Refugees in Libya.

      ANCHE IN QUESTO CASO urge andare oltre la cronaca. La sensazione che emerge da questo ulteriore restringimento presidenziale è che da ora in avanti occuparsi di migrazione e documentare possibili abusi diventerà sempre più complicato, soprattutto in quelle zone periferiche dove le violazioni avvengono. A partire proprio da Sfax: in questa città da più di un mese sono aumentati i raid della polizia nei confronti della popolazione subsahariana e sudanese.

      https://ilmanifesto.it/nella-tunisia-di-saied-adesso-viene-colpito-chi-aiuta-i-migranti

  • Migranti, la #Medihospes si aggiudica l’appalto da 133 milioni di euro per i centri in Albania

    Il colosso dell’accoglienza in diverse inchieste anche per le condizioni poco dignitose di vita garantite nelle strutture. Il suo amministratore è #Camillo_Aceto, già arrestato a Bari e finito in #Mafia_capitale.

    La gallina dalle uova d’oro dei centri per migranti in Albania è finita nelle mani del businessman italiano dell’accoglienza, quel Camillo Aceto il cui nome, negli ultimi vent’anni, è comparso nelle più disparate inchieste della magistratura da un capo all’altro d’Italia e con le accuse più diverse: dalla truffa nelle forniture di pasti alle mense ospedaliere di Bari che lo vide finire agli arresti nel 2003 all’indagine per infiltrazioni mafiose nella gestione del Cara di Mineo in Mafia capitale a svariate indagini per frode in pubbliche forniture da parte delle varie società in cui ha avuto incarichi dirigenziali e che alla fine sono confluite nella Medihospes.

    Il colosso dell’accoglienza che gestisce più del 60 per cento di centri migranti in Italia, 3.800 posti letto in 26 strutture, si è aggiudicato il bando milionario per la gestione dei centri che il governo italiano intende aprire in Albania per tenervi, in attesa di rimpatrio, alcune migliaia di migranti provenienti dai cosiddetti paesi sicuri che verranno soccorsi da navi militari italiane in acque internazionali. Ben 133.789.967,55 milioni di euro la cifra che Medihospes incasserà per gestire l’accoglienza dei migranti nell’#hotspot di #Shengjin e nel centrio per richiedenti asilo ( con annesso Cpr) che sorgerà nell’area di #Gjader. La prefettura di Roma ha ritenuto l’offerta di Medihospes, con un ribasso del 4,94 per cento sulla base d’asta, più vantaggiosa rispetto a quelle degli altri due concorrenti selezionati tra oltre 30 aziende: il consorzio #Hera e #Officine_sociali. Per due anni, rinnovabili per altri due, Medihospes dovrà provvedere alle esigenze di vitto, alloggio e servizi basici per i migranti che verranno portati in Albania.

    Un’aggiudicazione che continua ad assembrare ombre sull’operazione Albania i cui altissimi costi di partenza (650 milioni) sono già lievitati a quasi un miliardo a fronte di una totale incertezza sui tempi di apertura dei centri. Stando al bando, Medihospes dovrebbe essere pronta per partire il 20 maggio. Peccato che, per quella data, nelle aree di Shengjin e Gjader non ci sarà molto altro oltre alle ruspe. La consegna dei lavori delle opere di urbanizzazione e della realizzazione delle strutture affidata al genio militare è infatti prevista per la fine di ottobre quando la stagione calda degli sbarchi sarà già finita.

    Il ruolo di semimonopolio di Medihospes nel mondo dell’accoglienza viene fuori dal report “Centri d’Italia” 2022 fatto da Action Aid e Open Polis sugli ultimi dati forniti dal Viminale: a quella data la cooperativa sociale gestiva 26 strutture in sei regioni: 24 Cas, il Cpa di Udine e l’hotspot di Messina, 3800 posti letto sempre sovraffollati in condizioni spesso oggetto di denunce.

    Ex amministratore de #La_Cascina, indagata in Mafia capitale, con sedi e iniziative spesso coincidenti con quelle della #Senis_Hospes, poi diventata Medihospes, Camillo Aceto è sempre caduto in piedi mantenendo un ruolo centrale. «Solo con economie di scala e sacrificando i servizi - osserva Fabrizio Coresi di Action Aid - solo soggetti come Medihospes possono riuscire a realizzare un ribasso consistente e rendersi disponibili a gestire centri come quelli in Albania dove i diritti delle persone accolte non sono al centro».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2024/05/07/news/migranti_appalto_albania_medihospes-422857446

    #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #coût #appel_d'offre #externalisation #sous-traitance
    –-

    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Infrastructures mortifères. La frontiérisation de la ligne ferroviaire entre Vintimille et Nice
    https://www.visionscarto.net/infrastructure-frontiere

    Il y a des corps qui dérangent. Il y a des morts dont on ne parle pas. Il y a des victimes pour lesquelles on crée des catégories à part quand on essaie d’en comptabiliser le nombre : un carré pour les « accidents », un rond pour les « suicides », un triangle pour les « clandestins ». C’est ce que l’on peut voir dans un schéma tiré d’un dossier sur les « accidents de personnes » sur la ligne ferroviaire Vintimille-Nice compilé par le syndicat CGT des cheminots de la SNCF et confié par un (...) Billets

    #Billets_

  • A #Lampedusa non nascevano bambini da più di mezzo secolo. Nel 2021 è nata Maria e le hanno dedicato un parco giochi, dove però i bimbi arrivati come lei via mare non possono giocare. Vietato per loro uscire dall’hotspot. Una storia di diritti negati a persone innocenti.

    https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1787832638901825906
    #toponymie #toponymie_migrante #noms_de_rue #migrations #Lampedusa

    • Si battezza Maria, la prima nata a Lampedusa dopo 51 anni

      E’ nata il 31 luglio 2021 a Lampedusa dove i suoi genitori, della Costa d’Avorio, sono giunti con un barcone partito dall’Africa.

      Ora Maria è tornata, dopo due anni e mezzo sull’isola dove oggi verrà battezzata durante la messa serale, nella parrocchia di San Gerlando. La bambina e i suoi genitori sono arrivati a Lampedusa da Cassaro, comune di poco più di 700 abitanti in provincia di Siracusa, dove sono ospiti della rete Sai (sistema accoglienza integrazione) gestita dalla cooperativa Passwork.

      La famiglia è stata accolta dal sindaco delle Pelagie Filippo Mannino che ha voluto la cittadinanza onoraria, deliberata dal Consiglio comunale, per la piccola. Il riconoscimento è stato conferito, mentre in via Roma è stato intitolato a Maria il parco giochi realizzato con i fondi Fami del ministero dell’Interno.

      Mannino, accogliendo ieri la bimba e i genitori, ha chiesto se fossero cattolici e se era possibile un incontro con la comunità dei fedeli di Lampedusa. I genitori di Maria si sono detti disponibili all’incontro e hanno anche manifestato l’intenzione di battezzare la piccola proprio nella sua isola. Stamani è stato contattato il parroco che ha dato il via libera e che ha già trovato la tutina bianca da far indossare a Maria.

      La bimba è stata la prima a nascere, dopo 51 anni, a Lampedusa, dove le donne non partoriscono per mancanza di una struttura sanitarie adeguata. Maria è nata nell’ambulatorio del punto territoriale d’emergenza (Pte). Rita, ivoriana di 38 anni, già madre di due figli rimasti in Costa d’Avorio, faceva parte di un gruppo di migranti salvato e sbarcato nell’isola. La donna, giunta alla fine della gestazione, è stata portata in via precauzionale al poliambulatorio. Al Pte la ha iniziato il travaglio e non essendo stato possibile trasferirla in elisoccorso i sanitari hanno deciso di farla partorire lì.

      Ad assisterla e supportarla oltre ai medici in servizio è stata Maria Raimondo, infermiera di Corleone in servizio all’ambulatorio di Lampedusa: i genitori hanno deciso di dare il nome della donna alla figlia.

      La cittadinanza onoraria e l’intitolazione del parco - partecipa anche per il dipartimento Libertà civili e immigrazione il vice prefetto Carmen Cosentino - sono state decise in quanto Maria è un simbolo di speranza. Nelle motivazioni è scritto: «Maria è il simbolo di chi c’è l’ha fatta ma soprattutto di chi non ce l’ha fatta, di chi nutre la speranza di raggiungere un posto migliore dove mettere radici, dove vivere nella piena libertà e legalità, dove il diritto all’infanzia è una priorità. Ed è per questo che la nostra comunità è in dovere e in diritto di riconoscerle la cittadinanza onoraria, un riconoscimento alla vita, alla solidarietà, al rispetto e tutela dei diritti umani e di tutti i bambini che come Maria sono nati a Lampedusa».

      https://www.ansa.it/sicilia/notizie/2024/05/04/maria-prima-nata-a-lampedusa-dopo-51-anni-si-battezza_1403e10e-4d73-46a1-a322-a

  • L’#urbicide : nouvelle dimension de la #guerre

    Le mot n’apparaît pas dans le dictionnaire. Il n’est pas non plus mentionné par le droit international. Pourtant, le terme est de plus en plus mobilisé pour parler de la guerre à #Gaza ou en #Ukraine. L’urbicide, littéralement le #meurtre_des_villes, est une nouvelle dimension de la guerre.

    L’urbicide, littéralement le meurtre des villes, c’est l’#annihilation d’une ville pour détruire un #symbole. #Gaza, #Marioupol, #Alep, #Hiroshima, #Dresde ou #Guernica, chaque guerre à sa “#ville_martyre” qui la résume, qui synthétise son horreur.

    Et si le mot vient d’un roman de science-fiction des années 60, s’il a pris son sens contemporain avec la #guerre_de_Yougoslavie, j’y reviendrai, les exemples antiques sont peut-être ceux qui nous renseignent le mieux sur la nature et le sens profond de l’urbicide : faire disparaître l’ennemi.

    Deux exemples, l’un grec, l’autre romain. En Grèce, Isocrate raconte comment Thèbe souhaite “rendre invisible” la ville de #Platée. Platée très connue alors pour sa victoire retentissante contre l’empire perse. Comment il s’agissait pour Thèbes de procéder à l’#effacement de la cité, et donc de son #existence_politique : Personne ne devait se souvenir de son passé.

    Autre exemple, Romain celui-ci, plus marquant peut être : c’est #Carthage. L’histoire est bien connue. Rome décide de raser Carthage au sol, et la légende raconte que le sol de la ville est stérilisé avec du sel et labouré afin que plus rien n’y repousse. La ville n’est pas l’objet de la guerre, mais bien le moyen d’annihiler symboliquement son adversaire. Un espace où mettre en scène sa victoire à venir et la négation de son ennemi ;

    D’ailleurs cette #mise_en_spectacle est au cœur des bombardements de la Seconde Guerre mondiale, à Guernica, à Dresde, à Hiroshima, c’est avant tout la #puissance_militaire qui est mise en avant dans la #destruction de la ville. Elle devient le #paysage, le théâtre de la guerre.

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/a-la-source/l-urbicide-une-nouvelle-dimension-de-la-guerre-5470618
    #disparition #destruction #destruction_totale #urban_matters
    #podcast #audio