• Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

    1.Malgrado le pause indotte dal maltempo, continuano, e continueranno, gli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, e si avvicina il collasso del sistema di accoglienza già minato dai decreti sicurezza di Salvini e dal Decreto “Cutro” (legge n.50/2023). Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera, meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “Decreto Cutro”) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

    Sul concetto di paese terzo “sicuro” non c’è ancora un accordo a livello europeo. Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni proprio su questo punto, ma le previsioni della legge 50/2023, in materia di trattenimento ed espulsioni, non hanno ottenuto quella “copertura europea” che il governo italiano sperava. Per questo motivo sulle “scelte detentive” più recenti del governo Meloni con riferimento ai richiedenti asilo potrebbe intervenire prima la Commissione europea e poi la Corte di giustizia dell’Unione europea. Come sta già avvenendo per la previsione “manifesto”, di dubbia applicabilità, della garanzia finanziaria introdotta dalla legge 50 del 2023 e specificata dal Decreto legge 19 settembre 2023, n. 124, contenente Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonche’ in materia di immigrazione. Una garanzia finanziaria che assieme ad altri requisiti, come la disponibilità di alloggio e documenti validi, potrebbe evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri. Secondo Amnesty International,“Si tratta di un provvedimento illegale. Non è pensabile che persone in fuga dal proprio paese possano disporre in Italia di un alloggio o di un conto in banca e quindi attivare una polizza fideiussoria. Subordinare la libertà delle persone richiedenti asilo a condizioni di fatto impraticabili configura una misura per porre coloro che arrivano in Italia automaticamente in detenzione. La detenzione automatica è arbitraria e vietata dal diritto internazionale”.

    Dunque, ciascun caso dovrà essere esaminato singolarmente, come adesso precisa la Commissione europea sull’ultimo “escamotage propagandistico” inventato dal Governo Meloni, la garanzia finanziaria che dovrebbero prestare (attraverso fideiussione) i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri., Come se riuscissero ad avere immediatamente, subito dopo lo sbarco, la disponibilità finanziaria e i documenti di identità necessari per stipulare il contratto di fideiussione, Una norma manifesto, odiosa ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che abbattono il diritto di asilo e rendono solo cartacee le garanzie di difesa, anche per il ricorso generalizzato alle videoconferenze, e per le difficoltà per i difensori, che vogliano davvero assolvere al loro ruolo, di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo che devono assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda.

    2. Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa, al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana. Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

    I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

    La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre, per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

    In Sicilia si prevede anche l’apertura di “strutture di transito”, già appaltate, come quella che dovrebbe sorgere a Porto Empedocle, dove l’area di transito, che verrà ulteriormente potenziata, resta provvisoria, fino a quando non verrà realizzato l’hotspot a valle di contrada Caos a Porto Empedocle che sarà, come quello di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa. Altre “sezioni chiuse” per richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri”, per cui si prevede un rimpatrio “veloce” potrebbero essere attivate nei centri Hotspot di Pozzallo e Lampedusa. Mentre i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri,” in caso di arrivi massicci e di indisponibilità di posti negli Hotspot, potrebbero finire anche nei centri di permanenza per i rimpatri, come i famigerati lager di Pian del Lago (Caltanissetta) e di Trapani (MIlo), da anni spazi di trattamenti disumani, di tentativi di fuga e di abusi sulle persone trattenute. Se non si tratta di annientamento fisico (Vernichtung), ma ci sono stati anche i morti, si può documentare in molti casi l’annientamento psichico degli “ospiti”, che dopo il diniego, in caso di mancato rimpatrio, potrebbero passare mesi su mesi rinchiusi in queste strutture, magari sotto psicofarmaci, come coloro che sono sottoposti al rimpatrio con accompagnamento forzato, tra i richiedenti asilo denegati che non abbiano fatto ricorso con effetto sospensivo o lo abbiano visto respingere.

    La normativa europea impone invece il rilascio delle persone trattenute nei centri di detenzione quando è evidente che non ci sono più prospettive di rimpatrio forzato nel paese di origine (Direttiva rimpatri 2008/115/CE, art.15.4), per la mancata collaborazione degli Stati di origine che non effettuano i riconoscimenti e non forniscono i documenti di viaggio.

    Altri “centri chiusi” potrebbero essere attivati a Messina (probabilmente nei locali del Centro di accoglienza ubicato all’interno della vecchia e fatiscente Caserma Gasparro) fantasiosamente denominato “CIPSI”, Centro di primo soccorso ed identificazione, ed a Catania, dove si sono recentemente sperimentate diverse strutture provvisorie, “tensostrutture”, nelle quali i potenziali richiedenti asilo, che diventano tali con la semplice manifestazione di volontà, anche prima della formalizzazione della domanda da parte delle autorità di polizia, sono stati trattenuti per giorni in condizioni di totale privazione della libertà personale, in assenza di convalida giurisdizionale.

    3. Il fallimento del sistema italiano dei centri di detenzione amministrativa è ormai documentato da anni, e sarà ancora più evidente con l’aumento dei termini di trattenimento fino a 18 mesi (12 per i richiedenti asilo).

    Con riguardo ai nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri” non sembra eludibile una rigorosa verifica della legittimità del trattenimento in sede di convalida del giudice ordinario, e non del giudice di pace, come invece sembrerebbe prevedere la legge 50/2023 (ingiustamente definita ancora oggi “Decreto Cutro), trattandosi di richiedenti asilo che chiedono di fare valere un loro diritto fondamentale, e deve essere prevista una completa base legale con la indicazione precisa delle modalità di trattenimento -che ancora manca- conformi alla normativa europea (Direttiva procedure 2013/32/UE e Direttiva Accoglienza 2013/33/UE). Rimane a tale riguardo una grave violazione del principio di legalità in materia di misure detentive, che la Corte Costituzionale non ha ancora rilevato.

    In ogni caso il trattenimento amministrativo non può essere finalizzato esclusivamente al’esame della domanda di protezione, o per accertare il diritto all’ingresso nel territorio, come sembrerebbe affermare la legge 50/2023, perchè proprio nelle circostanze di limitazione della libertà personale che si riscontrano nei centri “chiusi” risulta più difficile avere contatti con organizzazioni che difendono i diritti umani e raccogliere prove per dimostrare la fondatezza della propria richiesta. Dal tenore della legge sembrerebbe che le strutture detentive riservate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri” siano strutture extra-territoriali, come se le persone trattenute non avessero ancora fatto ingresso nel territorio nazionale, circostanza che legittimerebbe l’aggiramento dei principi costituzionali e delle Convenzioni internazionali. Si tratta invece di luoghi che non possono sottrarsi alla giurisdizione italiana, unionale e internazionale dove i diritti e le garanzie non possono essere riconosciuti solo sul piano formale per venire poi negati nelle prassi applicate dalle autorità di polizia. Dunque è il tempo delle denunce e dei ricorsi, mentre l’opinione pubblica sembra ancora rimanere ostaggio delle politiche della paura e dell’odio. Fondamentale l’accesso civico agli atti e la possibilità di ingresso di giornalisti ed operatori umanitari indipendenti, se occorre con gruppi di parlamentari, in tutti i centri in cui si pratica la detenzione amministrativa.

    4. Vanno comunque garantiti diritti di informazione ed accesso alle procedure ordinarie, e quindi nel sistema di centri aperti di accoglienza (CAS, SAI, CPSA) per tutti i richiedenti asilo che adducano a supporto della domanda gravi motivi di carattere personale, pure se provengono da paesi terzi ritenuti sicuri.

    L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
    In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

    I piani sui rimpatri “veloci” del governo Meloni non sono dunque applicabili su vasta scala, presentano caratteri fortemente discriminatori, ed avranno costi umani ed economici insostenibili. Se si spera negli accordi bilaterali e nel sostegno di Frontex, si dovrà comunque fare i conti con i ricorsi ai Tribunali in Italia ed in Europa, e con un ulteriore aggravamento delle crisi di legittimazione dei governi africani che accettano lo scambio della propria gente con una manciata di denaro.

    Una particolare attenzione dovrà rivolgersi alle persone vulnerabili per età, salute, genere e orientamento sessuale, ma anche per le ferite o per le torture subite durante il transito in Libia o in Tunisia. Una serie di condizioni che potrebbero di per sè legittimare il riconoscimento di uno status di protezione, a prescindere del paese di origine dal quale si è partiti.

    In ogni caso, dopo le decisioni di diniego da parte delle Commissioni territoriali, che potrebbero essere orientate da indirizzi politici, dovranno garantirsi tempi di esecuzione delle misure di allontanamento forzato che non cancellino la portata sostanziale del diritto al ricorso.

    Gli accordi bilaterali, come quelli con l’Egitto e la Tunisia, che prevedono procedure “semplificate”di rimpatrio, magari in aeroporto, senza la compiuta identificazione individuale,e senza un diritto effettivo di ricorso, vanno sospesi.

    Il provvedimento giudiziale che convalida la proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza delle ragioni addotte a sostegno della richiesta (Cass. n. 5200/2023). Non si può continuare oltre con le decisioni di rigetto”fotocopia” o con le espulsioni ed i respingimenti con accompagnamento forzato adottati prima della convalida giurisdizionale. I termini di trattenimento amministrativo in assenza di una convalida giurisdizionale sono inderogabili. Come si rilevava al tempo dei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) e dei Centri Hotspot, lo stesso vale oggi per i “centri di transito” e per i centri per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, nelle more delle procedure accelerate in frontiera.

    Occorre ricordare che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, proprio con riferimento a cittadini tunisini, nel dicembre 2016, nel caso Khlaifia e altri c. Italia, e poi ancora quest’anno, nel caso J.A. c.Italia, ha condannato il nostro Paese per violazione, tra gli altri motivi, dell’articolo 5 della Convenzione per aver trattenuto per un periodo prolungato persone appena arrivate in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorso. Con riferimento alle nuove strutture detentive che il governo Meloni si accinge ad aprire, resta da verificare il rispetto dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo e dei diritti fondamentali, a partire dal diritto di asilo costituzionale, sanciti dalla Costituzione italiana. Sarà anche l’occasione per verificare la legittimità costituzionale di molte disposizioni del decreto “Cutro” che, fin dalla entrata in vigore del provvedimento, hanno evidenziato sotto questo profilo gravi criticità, prima ancora che riuscissero ad avere concreta applicazione.

    https://www.a-dif.org/2023/09/26/oltre-le-sigle-la-detenzione-amministrativa-si-diffonde-nelle-procedure-in-fr

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    • Turning the Exception into the Rule

      Assessing Italy’s New Border Procedure

      Having promised its electorate a strong stance towards immigration, in January 2023 Italy’s new government adopted a reform that heavily curtailed immigrant rights to speed up return procedures. However, between September and October, several judgments issued by the Catania Tribunal declared it in violation of EU law (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf). In particular, when requested to review the detention of asylum applicants, the judges found the new Italian asylum border procedure contrary to the Procedures Directive 2013/32 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032) and the Reception Conditions Directive 2013/33 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32013L0033).

      The judgments led to a backlash, with PM Meloni and other members of the government accusing them of being politically motivated. One minister even published a video on social media showing a judge of the Catania Tribunal taking part in a pro-migrant rights demonstration in 2018, thus accusing her of partiality.

      Such political attacks (https://www.associazionemagistrati.it/doc/4037/lanm-sul-caso-catania.htm) must always be condemned, for they pose a significant threat to judicial independence and thus Italian democracy. Yet, they are particularly unwarranted given that the Catania Tribunal’s judges were correct in finding the new Italian border procedures incompatible with EU law.

      Detention as the Rule for Asylum Seekers

      The 2023 reform (https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2023-03-10&atto.codice) of Italy’s asylum system included the introduction of an accelerated border procedure which allows for the detention (https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-bestia-tentacolare) of asylum seekers „exclusively to determine the applicant’s right to enter the territory“ (Art. 6 bis, Law Decree 142/2015).

      This new procedure is applied when an asylum application is made „at the border or in a transit zone“ by a person who either a) evaded or attempted to evade border controls, or b) hails from a safe country of origin, which were determined by a Ministerial Decree in 2019 (https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2019/10/decreto_paesi_sicuri.pdf), later updated in 2023 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg).

      Another Ministerial Decree (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg) identified the „border and transit zones“ where the border procedure can be used, without providing a clear definition of these concepts nor explaining the distinction between them. Instead, it lists 16 provinces where the procedure applies (Trieste, Gorizia, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi, Caltanissetta, Ragusa, Syracuse, Catania, Messina, Trapani, Agrigento, Cagliari, and South Sardinia).

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/09/21/23A05308/sg). This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.

      [voir aussi: https://seenthis.net/messages/1018093]

      Following a recent increase in migrant flows from Tunisia, the Italian authorities extensively relied on the new border procedure to detain several Tunisian citizens on the ground that they come from a “safe country of origin” (https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-protezione-dei-cittadini-stranieri-provenienti-da-cd-paesi-sic). However, on September 29 (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf) and October 8 (https://www.questionegiustizia.it/data/doc/3650/2023-tribunale-catania-8-10-2023-non-convalida-oscurato.pdf), the Catania Tribunal issued a series of similar rulings in which it annulled the detention orders because they were in conflict with EU law. In the following sections, we analyze and expand the three main arguments advanced by the Tribunal, showing that they were largely correct in their findings that the new Italian border procedure exceeds what is permissible under EU law.

      The ‘Border’ under EU Law

      The first argument made by the Catania Tribunal regards the correct initiation of a border procedure. According to the judge, the procedure was not applied „at the border“, as understood by EU law (Art. 43 Directive 2013/32). Indeed, the applicants arrived and made their asylum application in Lampedusa (province of Agrigento) but the detention was ordered several days later in Pozzallo (Ragusa province) when the applicants were no longer „at the border.“ Because the border procedure (involving detention) was utilized at a later stage and in a different place, it was not appropriately initiated.

      In support of the Catania Tribunal’s conclusion, we should recall that Article 43 the Procedures Directive requires a spatial and temporal link between the border crossing and the activation of the border procedure (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032). Although the Directive does not define the terms „border“ or „transit zone“, it clearly distinguishes these areas from other „locations in the proximity of the border or transit zone“ (Article 43(3)), where applicants can be exceptionally accommodated but never detained. The distinction between the border and other places in its vicinity suggests that the procedure provided for in Art. 43 can only be applied in narrow and well-defined areas or in pre-identified transit zones (such as the Hungarian transit zones examined by the Court in FMS and Commission v Hungary).

      Other EU law instruments support this narrow interpretation of the “border” concept. Regulation 1931/2006 defines a „border area“ as a delimited space within 30 km from the Member State’s border. In the Affum case, the Court also called for a narrow interpretation of the spatial concept of „border.“ There, the Court clarified that the Return Directive allows Member States to apply a simplified return procedure at their external borders in order to „ensure that third-country nationals do not enter [their] territory“ (a purpose which resonates with that of Art. 8(3)(c) Reception Directive). However, such a procedure can only be applied if there is a „direct temporal and spatial link with the crossing of the border“, i.e. „at the time of the irregular crossing of the border or near that border after it has been crossed“ (par. 72).

      By contrast, under the Italian accelerated procedure, the border has blurred contours. The new procedure, relying on the “#fiction_of_non-entry” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/654201/EPRS_STU(2020)654201_EN.pdf), can be carried out not only „at“ the border and in transit zones or in areas territorially „close“ to the border, but in entire provinces in southern and northern Italy. This far exceeds the narrow definition of border or border area derived from EU law.

      The Regulation of Detention under EU Law

      The second argument of the Catania Tribunal turned on the lack of motivation for the detention orders. The applicants were detained solely because they were from Tunisia, did not submit a valid passport nor pay the bail. As such, the orders lacked any case-by-case assessment of the applicant’s individual circumstances, and they did not apply the proportionality and necessity principles, as prescribed by EU law under art. 8(2) Directive 2013/33 and art. 52 and 6 of the Charter.

      Indeed, even if a border procedure is correctly initiated, Italy’s new provisions on the detention of asylum seekers do not meet the requirements of Article 8(2) of the Reception Directive. According to the CJEU, this authorizes asylum seekers‘ detention “only where, following an assessment carried out on a case-by-case basis, that is necessary” and where other less coercive measures cannot be applied effectively. (ex multis, FMS, par. 258; VL, par. 102; M.A., par. 82).

      Italy’s norms contain no reference to the principles of necessity and proportionality nor to the need for a case-by-case assessment (Art. 6 bis D. Lgs. 142/2015). In so far as the Italian provisions allow for an automatic application of detention whenever the border procedure is activated, they are incompatible with Art. 8(2) of the Reception Directive. In light of the primacy and direct effect of EU law, Italian public authorities are required to give direct application to the principles of proportionality and necessity and to carry out an individual assessment, even if not directly foreseen by Italian law.
      The Possibility of Bail

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      Concluding Thoughts

      Several aspects of the new law foresee a system in which the border procedure is systematically applied, rendering detention the rule, instead of the exception. This follows from the geographic expansion of the “borders areas and transit zones”, the automatic (indiscriminate) application of the safe country of origin concept, the lack of a proportionality assessment, and the practical impossibility of applying the only alternative measure foreseen.

      More and more Italian courts are annulling detention orders, on the grounds that the Italian border procedure is in conflict with EU law. While the Italian government considers this an unacceptable form of judicial activism, this blog has shown that the judges’ concerns are well-founded.

      Member States’ courts are “EU law judges”, they must give precedence to EU law and general principles and set aside any incompatible national law. The recent personal attacks against some of the judges show that the government struggles to come to terms with this thick form of judicial review which takes seriously European and human rights standards.

      https://verfassungsblog.de/turning-the-exception-into-the-rule
      #exception #justice #détention #rétention #détention_administrative #décret #procédure_accélérée #garantie_financière #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros #tribunal_de_Catane #procédure_frontière #directive_procédures #zone_de_transit #proximité #distance #zone_frontalière #directive_retour #frontière_extérieure #fiction_de_non-entrée

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      La partie sur les frontières ajouté à cette métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
      https://seenthis.net/messages/795053

  • Une #université a tué une #librairie

    Une université vient de tuer une librairie. Le #libéralisme a fourni l’arme. Les codes des marchés ont fourni la balle. Et l’université, après avoir baissé les yeux, a appuyé sur la détente.

    Cette université c’est “mon” université, Nantes Université. Cette librairie c’est la librairie Vent d’Ouest, une librairie “historique”, présente dans le centre de Nantes depuis près de 47 années et travaillant avec l’université depuis presqu’autant de temps.

    Une université vient de tuer une librairie. Nantes Université travaillait, pour ses #commandes d’ouvrages (et une université en commande beaucoup …) avec principalement deux #librairies nantaises, Durance et Vent d’Ouest. Pour Vent d’Ouest, cela représentait une trésorerie d’environ 300 000 euros par an, 15% de son chiffre d’affaire. Une ligne de vie pour les 7 salariés de la libraire. Et puis Vent d’Ouest perd ce marché. Du jour au lendemain. Sans même un appel, une alerte ou une explication en amont de la décision de la part de Nantes Université.

    À qui est allé ce marché ? Au groupe #Nosoli, basé à Lyon, qui s’auto-présente comme le “premier libraire français indépendant multi-enseignes” (sic) et qui donc concrètement a racheté les marques et magasins #Decitre et #Furet_du_Nord (et récemment Chapitre.com) et dont le coeur de métier est bien davantage celui de la #logistique (#supply_chain) que celui de la librairie.

    Pourquoi Nosoli a-t-il remporté ce #marché ? Et pourquoi Nantes Université va devoir commander à des librairies Lyonnaises des ouvrages pour … Nantes ? Parce que le code des #marchés_publics. Parce que l’obligation de passer par des #appels_d’offre. Parce le code des marchés publics et des appels d’offre est ainsi fait que désormais (et depuis quelques temps déjà) seuls les plus gros sont en capacité d’entrer dans les critères définis. Parce que les critères définis (par #Nantes_Université notamment) visent bien sûr à faire des #économies_d’échelle. À payer toujours moins. Parce que bien sûr, sur ce poste de dépenses budgétaires comme sur d’autres il faut sans cesse économiser, rogner, négocier, batailler, parce que les universités sont exangues de l’argent que l’état ne leur donne plus et qu’il a converti en médaille en chocolat de “l’autonomie”. Parce qu’à ce jeu les plus gros gagnent toujours les appels d’offre et les marchés publics. C’est même pour cela qu’ils sont gros. Et qu’ils enflent encore. [mise à jour] Mais ici pour ce marché concernant des #livres, ce n’est pas le critère du #prix qui a joué (merci Jack Lang et la prix unique) mais pour être parfaitement précis, c’est le critère du #stock qui, en l’espèce et malgré le recours en justice de la librairie Vent d’Ouest, et bien qu’il soit reconnu comme discriminatoire par le ministère de la culture (en page 62 du Vade Mecum édité par le ministère sur le sujet de l’achat de livres en commande publique), a été décisif pour permettre à Nosoli de remporter le marché. [/mise à jour]

    Alors Nosoli le groupe lyonnais a gagné le marché de Nantes Université. Et les librairies nantaises Durance et Vent d’Ouest ont perdu. Et quelques mois après la perte de ce marché, la librairie Vent d’Ouest va fermer.

    On pourrait s’en réjouir finalement, ou même s’en foutre totalement. Après tout, Nantes Université va faire des #économies. Après tout une librairie qui ferme à Nantes et 7 salariés qui se trouvent sur le carreau c’est (peut-être) 7 personnes du service logistique du groupe Nosoli qui gardent leur emploi. Et puis quoi, une librairie qui ferme à Nantes mais il y en a 6 qui ont ouvert sur les deux dernières années à Nantes. Alors quoi ?

    Alors une université vient de tuer une librairie. Et quand on discute avec les gens qui, à Nantes Université, connaissent autrement que comptablement la réalité de ce qu’était le #marché_public passé avec Durance et Vent d’Ouest, et quand on échange avec celles et ceux qui ont l’habitude, à l’université ou ailleurs, de travailler avec le groupe Nosoli, on entend toujours la même chose : rien jamais ne remplacera la #proximité. Parce qu’avec Durance et Vent d’Ouest les échanges étaient souples, réactifs, pas (trop) systématiquement réglementaires, parce que les gens qui dans les bibliothèques de l’université commandaient les ouvrages connaissaient les gens qui dans les librairies les leur fournissaient, et qu’en cas de souci ils pouvaient même s’y rendre et les croiser, ces gens. Et on entend, en plus de l’aberration écologique, logistique, et sociétale, que les commandes avec le groupe Nosoli sont usuellement et comme avec tout grand groupe logistique … complexes, lentes, difficilement négociables et rattrapables, sans aucune souplesse, sans aucune écoute ou connaissance des besoins fins de l’université “cliente”. Voilà ce que l’on entend, entre autres choses plus âpres et plus en colère.

    Une université vient de tuer une librairie. Et ça fait tellement chier. C’est tellement anormal. Tellement schizophrène. Le même jour que celui où j’ai appris l’annonce de la fermeture définitive de la libraire Vent d’Ouest, j’ai aussi reçu un message de Nantes Université m’informant que, champagne, l’université venait – comme 14 autres universités – de remporter un appel à projet de plus de 23 millions d’euros. La cagnotte lancée par la libraire Vent d’Ouest après la perte du marché de Nantes Université lui avait rapporté quelques milliers d’euros qui lui avaient permis de retarder sa fermeture de cinq mois.

    Vivre à l’université, travailler à Nantes Université, c’est être tous les jours, à chaque instant et sur chaque sujet, confronté au même type de #schizophrénie. D’un côté on collecte des dizaines de millions d’euros dans de toujours plus nébuleux appels à projets, et de l’autre on gère la misère et la détresse. Et on ferme sa gueule. Parce que ne pas se réjouir de l’obtention de ces 23 millions d’euros c’est être un pisse-froid et c’est aussi mépriser le travail (et l’épuisement) des équipes qui pilotent (et parfois remportent) ces appels à projets. Oui mais voilà. À Nantes Université on organise des grandes fêtes de rentrée et on donnez rendez-vous à la prochaine #distribution_alimentaire, la #fête mais la #précarité. Et l’on fait ça tous les jours. Toutes les universités françaises organisent ou ont organisé des #distributions_alimentaires, et toutes les universités françaises remportent ou ont remporté des appels à projet de dizaines de millions d’euros. Mais les financements qui permettraient de recruter des collègues enseignants chercheurs ou des personnels techniques et administratifs en nombre suffisant, et de les recruter comme titulaires, pour garantir un fonctionnement minimal normal, ces financements on ne les trouve jamais. Mais les financements qui permettraient d’éviter de fermer une librairie avec qui l’université travaille depuis des dizaines d’années et d’éviter de mettre 7 personnes au chômage, on ne les trouve jamais. Mais les financements qui permettraient à tous les étudiant.e.s de manger tous les jours à leur faim, on ne les trouve jamais. Mais les financements qui permettraient à l’UFR Staps de Nantes Université de faire sa rentrée on ne les trouve jamais. Mais les financements qui permettraient aux collègues de la fac de droit de Nantes Université de ne pas sombrer dans l’#épuisement_au_prix et au risque de choix mortifières pour eux comme pour les étudiant.e.s on ne les trouve jamais. Mais les financements qui permettraient aux collègues de l’IAE de Nantes Université de ne pas s’enfoncer dans le #burn-out, ces financements on ne les trouve jamais. Il n’y a pas d’appel à projet à la solidarité partenariale. Il n’y a pas d’appel à projet à la lutte contre la #misère_étudiante. Il n’y a pas d’appel à projet pour permettre à des milliers de post-doctorants d’espérer un jour pouvoir venir enseigner et faire de la recherche à l’université. Il n’y pas d’appel à projet pour sauver l’université publique. Il n’y en a pas.

    Il n’y a pas d’appel à projet pour la normalité des choses. Alors Nantes Université, comme tant d’autres, est uniquement traversée par des #régimes_d’exceptionnalité. #Exceptionnalité des financements obtenus dans quelques appels à projets qui font oublier tous les autres appels à projet où l’université se fait retoquer. Exceptionnalité des #crises que traversent les étudiant.e.s, les formations et les #personnels de l’université. Exceptionnalité des mesures parfois prises pour tenter d’en limiter les effets. Dans nos quotidiens à l’université, tout est inscrit dans ces #logiques_d’exceptionnalité, tout n’est lisible qu’au travers de ces #matrices_d’exceptionnalité. Exceptionnalité des financements. Exceptionnalité des crises. Exceptionnalité des remédiations.

    Une université vient de tuer une librairie. Cela n’est pas exceptionnel. C’est devenu banal. Voilà l’autre danger de ces régimes d’exceptionnalité permanents : ils inversent nos #représentations_morales. Ce qui devrait être exceptionnel devient #banal. Et ce qui devrait être banal (par exemple qu’une université publique reçoive des dotations suffisantes de l’état pour lui permettre d’exercer sa mission d’enseignement et de recherche), est devenu exceptionnel.

    Une université vient de tuer une librairie. Dans le monde qui est le nôtre et celui que nous laissons, il n’est que des #dérèglements. Et si celui du climat dicte déjà tous les autres #effondrements à venir, nous semblons incapables de penser nos relations et nos institutions comme autant d’écosystèmes dans lesquels chaque biotope est essentiel aux autres. Nantes Université a tué la libraire Vent d’Ouest. Le mobile ? L’habitude. L’habitude de ne pas mener les combats avant que les drames ne se produisent. L’habitude de se résigner à appliquer des règles que tout le monde sait pourtant ineptes. L’habitude du renoncement à l’attention à l’autre, au plus proche, au plus fragile, dès lors que l’on peut se réjouir de l’attention que nous portent tant d’autres. L’#habitude d’aller chercher si loin ce que l’on a pourtant si près.

    Une université vient de tuer une librairie. Le libéralisme a fourni l’arme. Les codes des marchés ont fourni la balle. L’habitude a fourni le mobile. Et l’université, après avoir baissé les yeux, a froidement appuyé sur la détente.

    https://affordance.framasoft.org/2023/09/une-universite-a-tue-une-librairie

    #ESR #enseignement_supérieur

  • Mediterraneo nero. Archivio, memorie, corpi

    L’importanza di una riflessione sul Mediterraneo nero è legata alle profonde trasformazioni, in termini culturali, sociali ed economici, che avvengono non solo in Europa, ma nel mondo intero. Oggi è necessario leggere il Mediterraneo in una prospettiva globale e transnazionale, ma anche quale archivio di memorie, pratiche e immagini che stanno ridiscutendo le geografie culturali. Centro di questo sistema epistemologico è il corpo, il rapporto di prossimità e distanza non solo con l’Europa, ma anche con una parte specifica del suo passato: il colonialismo e lo schiavismo. Connettendo passato e presente, l’autore si sofferma sulle memorie orali delle migrazioni raccolte in Italia: voci di etiopi, eritrei, somali e di persone che potremmo definire ‘seconde generazioni’ a proposito delle traversate mediterranee. L’obiettivo è quello di contribuire a una nuova riflessione sul rapporto tra il Mediterraneo nero e la riscrittura/reinvenzione dell’Europa e dell’identità europea.

    http://www.manifestolibri.it/shopnew/product.php?id_product=801

    #Méditerranée_noire #Méditerranée #livre #mémoire #corps #proximité #distance #passé #colonialisme #esclavage #passé_colonial #mémoire_orale #deuxième_génération #identité #identité_européenne #Gabriele_Proglio

    Et plein d’autres ressources intéressantes de ce chercheur (historien) sur son CV :
    https://www.unisg.it/docenti/gabriele-proglio
    –---

    ajouté à la métaliste sur l’#Italie_coloniale / #colonialisme_italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

    ping @olivier_aubert @cede

    • The Horn of Africa Diasporas in Italy

      This book delves into the history of the Horn of Africa diaspora in Italy and Europe through the stories of those who fled to Italy from East African states. It draws on oral history research carried out by the BABE project (Bodies Across Borders: Oral and Visual Memories in Europe and Beyond) in a host of cities across Italy that explored topics including migration journeys, the memory of colonialism in the Horn of Africa, cultural identity in Italy and Europe, and Mediterranean crossings. This book shows how the cultural memory of interviewees is deeply linked to an intersubjective context that is changing Italian and European identities. The collected narratives reveal the existence of another Italy – and another Europe – through stories that cross national and European borders and unfold in transnational and global networks. They tell of the multiple identities of the diaspora and reconsider the geography of the continent, in terms of experiences, emotions, and close relationships, and help reinterpret the history and legacy of Italian colonialism.

      https://link.springer.com/book/10.1007/978-3-030-58326-2#toc

    • Libia 1911-1912. Immaginari coloniali e italianità

      L’Italia va alla guerra per conquistare il suo ’posto al sole’ senza realmente sapere cosa troverà sull’altra sponda del Mediterraneo. Il volume analizza la propaganda coloniale e, in particolare, la stretta relazione tra la costruzione narrativa della colonia libica e le trasformazioni dell’italianità. All’iniziale studio degli immaginari sulla Libia precedenti il 1911, segue una disamina di quelle voci che si mobilitarono a favore della guerra, partendo dai nazionalisti di Enrico Corradini con i riferimenti all’Impero romano, al Risorgimento, al mito della ’terra promessa’. L’archivio coloniale è indagato anche attraverso lo studio delle omelie funebri per i soldati caduti durante la guerra, con immagini che vanno dal buon soldato al figlio della patria. Un altro campo d’analisi è quello dell’infanzia: i discorsi dei docenti sul conflitto, del «Corriere dei Piccoli» e della letteratura per ragazzi lavorano per «costruire» i corpi dei piccoli italiani. Non manca, infine, lo studio della letteratura interventista: Gabriele D’Annunzio, Giovanni Pascoli, Filippo Tommaso Marinetti, Matilde Serao, Ezio Maria Gray, Umberto Saba, Ada Negri, Giovanni Bevione.

      https://www.mondadoristore.it/Libia-1911-1912-Immaginari-Gabriele-Proglio/eai978880074729
      #imaginaire_colonial #italianité #Libye

  • La (re)localisation du monde

    Et si le monde d’après-Covid était en gestation depuis plusieurs années déjà ? Si le phénomène actuel de #relocalisation ne datait pas de mars 2020, mais plutôt des années 2010 ? C’est la thèse de cet essai original et accessible, qui décrit le monde qui vient et ses acteurs, en s’appuyant sur une riche infographie et cartographie.

    Car notre monde globalisé est en train de s’éteindre au profit d’un monde localisé, suscité par trois révolutions. La première est industrielle : la robotique et le numérique sont entrés dans nos usines, les rendant capables de produire à la demande et à des coûts similaires à ceux des pays émergents. La deuxième est énergétique : l’essor exponentiel des renouvelables multiplie les sources locales d’énergie. La troisième concerne les #ressources : de plus en plus réemployées, elles offrent des matières premières de #proximité.

    Ce monde plus durable, fondé sur des grandes aires de production régionales, redessine les rapports de force économiques et géopolitiques, faisant apparaître de nouveaux maîtres du jeu. En se basant sur des données économiques internationales et de nombreux entretiens, Cyrille P. Coutansais rend compte de cette fascinante mutation de nos #systèmes_productifs, de nos #modes_de_vie et de #consommation.

    https://www.youtube.com/watch?time_continue=35&v=kINvJ2i9j7E&feature=emb_logo

    https://www.cnrseditions.fr/catalogue/relations-internationales/la-relocalisation-du-monde

    #relocalisation #globalisation #mondialisation
    #livre #géographie #ressources_pédagogiques

  • Ville du quart d’heure, ville des GAFA ?
    https://metropolitiques.eu/Ville-du-quart-d-heure-ville-des-GAFA.html

    Que cache le retour en grâce récent du thème de la ville du quart d’heure ? Mettant les discours à l’épreuve des faits, Marco Cremaschi souligne la menace d’un nouveau clivage social rendu possible par l’emprise croissante des GAFA sur les villes. Le mirage de la ville du quart d’heure fait florès en France. L’impulsion est venue du confinement du printemps 2020, qui a replacé au centre des #Débats le rêve de proximité tout en imposant un clivage entre les personnes travaillant à domicile (confinées dans Débats

    / #numérique, proximité, #urbanisme, #temps, #services_urbains

    #proximité
    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_cremaschi2.pdf

  • Quand le #Militantisme déconne : injonctions, pureté militante, attaques… (8/8)
    https://framablog.org/2021/08/27/quand-le-militantisme-deconne-injonctions-purete-militante-attaques-8-8

    La question compliquée et parfois houleuse du #militantisme nous intéresse depuis longtemps à Framasoft, aussi avons-nous demandé à #Viciss de Hacking Social, de s’atteler à la tâche. Voici déjà le huitième et dernier segment [si vous avez raté les épisodes … Lire la suite­­

    #Claviers_invités #Contributopia #Désinformation #Internet_et_société #Libr'en_Vrac #autodétermination #autonomie #besoins_fondamentaux #compétence #Internet #justice_transformatrice #motivation #proximité

  • Quand le #Militantisme déconne : injonctions, pureté militante, attaques… (7/8)
    https://framablog.org/2021/08/20/quand-le-militantisme-deconne-injonctions-purete-militante-attaques-7-8

    La question compliquée et parfois houleuse du #militantisme nous intéresse depuis longtemps à Framasoft, aussi avons-nous demandé à #Viciss de Hacking Social, de s’atteler à la tâche. Voici déjà le septième épisode [si vous avez raté les épisodes précédents] de … Lire la suite­­

    #Claviers_invités #Contributopia #Désinformation #Internet_et_société #Libr'en_Vrac #autodétermination #autonomie #besoins_fondamentaux #compétence #Internet #motivation #proximité

  • Quand le #Militantisme déconne : injonctions, pureté militante, attaques… (4/8)
    https://framablog.org/2021/07/30/quand-le-militantisme-deconne-injonctions-purete-militante-attaques-4-8

    La question compliquée et parfois houleuse du #militantisme nous intéresse depuis longtemps à Framasoft, aussi avons-nous demandé à #Viciss de #Hacking_Social, de s’atteler à la tâche. Voici déjà le quatrième épisode [si vous avez raté les épisodes précédents] de … Lire la suite­­

    #Claviers_invités #Contributopia #Internet_et_société #Libr'en_Vrac #autonomie #besoins_fondamentaux #compétence #déconnant #injonction #proximité

  • L’#Inserm met en évidence de nouvelles #pathologies liées aux #pesticides

    Les liens sont de plus en plus évidents entre usage des pesticides et certains #cancers, en particulier chez les agriculteurs et chez les enfants. C’est ce que montre une nouvelle étude de l’Inserm, huit ans après celle qui faisait référence jusqu’à présent.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/070721/l-inserm-met-en-evidence-de-nouvelles-pathologies-liees-aux-pesticides
    #santé #maladie #industrie_agro-alimentaire #agriculture #rapport

    • Pesticides et santé – Nouvelles données (2021)

      Ce document présente la synthèse issue des travaux du groupe d’experts réunis par l’Inserm dans le cadre de la procédure d’expertise collective pour répondre à la demande de cinq directions de l’État, la Direction générale de la prévention des risques, la Direction générale de la santé, la Direction générale du travail, la Direction générale de la recherche et de l’innovation, ainsi que le secrétariat général du ministère de l’Agriculture et de l’Alimentation. Ce travail s’inscrit dans le cadre de l’actualisation du rapport d’expertise collective Inserm intitulé Pesticides : Effets sur la santé, publié en 2013.

      Ce travail s’appuie essentiellement sur les données issues de la littérature scientifique disponible en date du premier trimestre 2020. Plus de 5 300 documents ont été rassemblés à partir de l’interrogation de différentes bases de données (PubMed/ Medline, Scopus, Cairn...) et des recherches complémentaires ont été effectuées par les experts ou en collaboration avec le Pôle expertise collective. Le Pôle expertise collective de l’Inserm, rattaché à l’Institut thématique Santé publique, a assuré la coordination de cette expertise.

      Les pesticides regroupent l’ensemble des produits utilisés pour lutter contre les espèces végétales indésirables et les organismes jugés nuisibles. Qu’il s’agisse de pesticides autorisés aujourd’hui ou utilisés par le passé (dont certains sont rémanents), ils suscitent des inquiétudes concernant leurs effets possibles sur la santé humaine et plus largement sur l’environnement. Afin de mieux apprécier leurs effets sanitaires, l’Inserm a été saisi en 2018 par cinq directions générales ministérielles en vue d’actualiser l’expertise collective intitulée « Pesticides : Effets sur la santé » publiée en 2013.

      L’expertise collective de 2021 dresse un bilan des connaissances dans le domaine au travers d’une analyse critique de la littérature scientifique internationale publiée depuis 2013. Plus de 5 300 documents ont été rassemblés et analysés par un groupe d’experts multidisciplinaire. L’expertise commence par une analyse sociologique de la montée des préoccupations concernant les pesticides et une présentation des connaissances sur l’exposition aux pesticides de la population française, puis elle aborde une vingtaine de #pathologies dont les #troubles_du_développement_neuropsychologique_et_moteur de l’enfant, les #troubles_cognitifs et anxio-dépressifs de l’adulte, les #maladies_neurodégénératives, les cancers de l’#enfant et de l’adulte, l’#endométriose et les #pathologies_respiratoires ainsi que thyroïdiennes. Une dernière partie est consacrée à des pesticides ou familles de pesticides particuliers : le #chlordécone, le #glyphosate et les #fongicides_inhibiteurs_de_la_succinate_déshydrogénase (#SDHi). La présomption d’un lien entre l’exposition aux pesticides et la survenue d’une pathologie est appréciée à partir des résultats des #études_épidémiologiques évaluées et est qualifiée de forte, moyenne ou faible. Ces résultats sont mis en perspective avec ceux des #études_toxicologiques pour évaluer la plausibilité biologique des liens observés.

      Exposition en milieu professionnel

      En considérant les études sur des populations qui manipulent ou sont en contact avec des pesticides régulièrement, et qui sont a priori les plus exposées, l’expertise confirme la présomption forte d’un lien entre l’exposition aux pesticides et six pathologies : #lymphomeslymphomes_non_hodgkiniens (#LNH), #myélome multiple, cancer de la #prostate, #maladie_de_Parkinson, troubles cognitifs, #bronchopneumopathie chronique obstructive et #bronchite chronique. Pour les LNH, il a été possible de préciser des liens (présomption forte) avec des substances actives (#malathion, #diazinon, #lindane, #DDT) et avec une famille chimique de pesticides (#organophosphorés), et pour la maladie de Parkinson et les troubles cognitifs avec les #insecticides organochlorés et les organophosphorés, respectivement. Il s’agit essentiellement de pesticides pour lesquels les études se sont appuyées sur des biomarqueurs permettant de quantifier l’exposition. Les études toxicologiques confirment que les mécanismes d’action de ces substances actives et familles de pesticides sont susceptibles de conduire aux effets sanitaires mis en évidence par les études épidémiologiques.

      Des liens ont été identifiés pour d’autres pathologies ou événements de santé avec une présomption moyenne. C’est le cas notamment pour la maladie d’#Alzheimer, les troubles anxio-dépressifs, certains cancers (#leucémies, système nerveux central, vessie, rein, sarcomes des tissus mous), l’#asthme et les #sifflements_respiratoires, et les pathologies thyroïdiennes.

      Exposition pendant la #grossesse ou l’#enfance

      Les études épidémiologiques sur les cancers de l’enfant permettent de conclure à une présomption forte de lien entre l’exposition aux pesticides de la mère pendant la grossesse (exposition professionnelle ou par utilisation domestique) ou chez l’enfant et le risque de certains cancers, en particulier les leucémies et les tumeurs du système nerveux central.

      Les études de cohortes mères-enfants ont permis de caractériser les liens entre l’exposition professionnelle ou environnementale (c’est-à-dire en population générale) des mères pendant la grossesse et les troubles du développement neuropsychologique et moteur de l’enfant. Il est difficile de pointer des substances actives en particulier, mais certaines familles chimiques de pesticides sont impliquées, avec un niveau de présomption fort, notamment les #insecticides organophosphorés et les #pyréthrinoïdes dont l’usage a augmenté en substitution aux insecticides organophosphorés. Le lien entre les #organophosphorés et l’altération des #capacités_motrices, cognitives et des fonctions sensorielles de l’enfant est confirmé et les nouvelles études sur les #pyréthrinoïdes mettent en évidence un lien entre l’exposition pendant la grossesse et l’augmentation des #troubles_du_comportement de type internalisé tels que l’#anxiété chez les enfants. Les données expérimentales sur des rongeurs suggèrent une #hyperperméabilité de la barrière hémato-encéphalique aux #pyréthrinoïdes aux stades les plus précoces du développement, confortant la plausibilité biologique de ce lien. De plus, comme le montrent les études récentes d’expologie, ces insecticides, qui ont été à la fois utilisés en #agriculture mais également dans les sphères domestiques, induisent une contamination fréquente des environnements intérieurs.

      Exposition des #riverains des #zones_agricoles

      Les populations riveraines des zones agricoles peuvent être concernées par la dérive des produits épandus sur les cultures. En effet, des études suggèrent une influence de la #proximité aux zones agricoles sur la #contamination par les pesticides du lieu de vie, variable selon les substances, leur mode d’application et la manière d’estimer l’exposition. Des études écologiques ou cas-témoins avec géolocalisation reposant sur la caractérisation de l’activité agricole au voisinage des adresses de résidences suggèrent un lien entre l’exposition des riverains des terres agricoles et la maladie de #Parkinson, et également entre la #proximité_résidentielle à des zones d’#épandages de pesticides (rayon <1,5 km) et le comportement évocateur des troubles du spectre autistique chez l’enfant. Cependant, ces études présentent des limites importantes liées à l’évaluation fine de l’exposition ou à l’absence de données individuelles, ce qui rend le niveau de présomption faible.

      Focus sur le chlordécone, le glyphosate et les inhibiteurs de la succinate déshydrogénase

      Le chlordécone, #insecticide utilisé aux #Antilles_françaises dans le passé, persiste de nos jours dans les milieux naturels insulaires. La consommation des denrées alimentaires contaminées a entraîné une contamination de l’ensemble de la population. La présomption forte d’un lien entre l’exposition au chlordécone de la population générale et le risque de survenue de #cancer_de_la_prostate a été confirmée. En considérant l’ensemble des données épidémiologiques et toxicologiques disponibles, la causalité de la relation est jugée vraisemblable.

      Concernant l’herbicide glyphosate, l’expertise a conclu à l’existence d’un risque accru de LNH avec une présomption moyenne de lien. D’autres sur-risques sont évoqués pour le #myélome multiple et les #leucémies, mais les résultats sont moins solides (présomption faible). Une analyse des études toxicologiques montre que les essais de #mutagénicité sur le glyphosate sont plutôt négatifs, alors que les essais de #génotoxicité sont plutôt positifs, ce qui est cohérent avec l’induction d’un stress oxydantstress oxydant. Les études de cancérogenèse expérimentale chez les rongeurs montrent des excès de cas, mais ne sont pas convergentes. Elles observent des #tumeurs différentes, pour les mâles ou les femelles, qui ne se produisent qu’à des doses très élevées et uniquement sur certaines lignées. D’autres mécanismes de #toxicité (effets intergénérationnels, perturbation du microbiote...) sont évoqués qu’il serait intéressant de considérer dans les procédures d’évaluation réglementaire.

      Pour les fongicides SDHi, qui perturbent le fonctionnement mitochondrial par l’inhibition de l’activité SDH, un complexe enzymatique impliqué dans la respiration cellulaire et le #cycle_de_Krebs, il n’existe à ce jour pratiquement aucune donnée épidémiologique portant sur les effets possibles de ces substances sur la santé des agriculteurs ou de la population générale. Les études toxicologiques ou mécanistiques montrent que certains SDHi pourraient être considérés comme des #perturbateurs_endocriniens au moins chez les modèles animaux utilisés (poissons). Alors que les SDHi ne présentent aucune génotoxicité, certains montrent des effets cancérogènes chez les rongeurs mais ce résultat est discuté sur la base d’un mécanisme de cancérogenèse non extrapolable aux humains. Des recherches sont nécessaires pour améliorer l’évaluation du potentiel cancérogène des SDHi, et plus généralement des composés non génotoxiques, et pour combler les lacunes dans les données humaines par le renforcement de la biosurveillance et l’exploitation des cohortes existantes.

      En conclusion

      L’expertise souligne l’importance de réévaluer périodiquement les connaissances dans ce domaine. La confirmation et la mise en évidence de présomptions fortes de liens entre certaines pathologies et l’exposition aux pesticides doivent orienter les actions publiques vers une meilleure protection des populations. Ces questions relatives aux liens entre une exposition aux pesticides et la survenue de certaines pathologies s’inscrivent dans une complexité croissante, la littérature faisant apparaître une préoccupation concernant les effets indirects de certains pesticides sur la santé humaine par le biais des effets sur les #écosystèmes. L’#interdépendance en jeu mériterait d’être davantage étudiée et intégrée, au même titre que les aspects sociaux et économiques afin d’éclairer les prises de décisions lors de l’élaboration des politiques publiques.

      https://www.inserm.fr/information-en-sante/expertises-collectives/pesticides-effets-sur-sante

      Pour télécharger l’étude :


      https://www.inserm.fr/sites/default/files/2021-07/Inserm_ExpertiseCollective_Pesticides2021_RapportComplet_0.pdf

      #toxicologie #thyroïde #autisme

  • Territoires des #déchets. Agir en régime de proximité

    Du #compostage_collectif urbain aux ressourceries de #ville, les initiatives pour ancrer le traitement des déchets dans la ville se multiplient en s’appuyant sur l’investissement des usagers.
    Mais si la réglementation communautaire et nationale promeut la #proximité et l’#autosuffisance comme principes directeurs de la #gestion_des_déchets ménagers pour optimiser le #bilan_carbone, cet ouvrage montre que paradoxalement trop de proximité peut remettre en cause l’autosuffisance des territoires pourtant visée.
    En confrontant les politiques menées en #France et dans divers projets européens (#Suède, #Catalogne, #Belgique), ce livre propose d’analyser en profondeur les expériences de la proximité dans le traitement des déchets : expériences des gestionnaires, des usagers, des militants écologistes.


    https://pufr-editions.fr/produit/territoires-des-dechets
    #géographie #livre #ressources_pédagogiques #urban_matter #géographie_urbaine #urbanisme #TRUST #master_TRUST #déchets_ménagers

  • #Marseille privatopia : les #enclaves_résidentielles à Marseille : logiques spatiales, formes et représentations

    Marseille : privatopia ?

    La forte multiplication des « #résidences_fermées_sécurisées » est une tendance observée dans les #villes européennes et françaises, après celles d’Amérique latine, des USA, d’Afrique du sud etc. En #France, elle a surtout été repérée et analysée en contextes péri-urbains (Ile de France, Côte d’Azur, banlieues de Toulouse et Montpellier). Partout où elle se développe, cette tendance est souvent attribuée aux inquiétudes des habitants pour la #sûreté, ou leur #qualité_de_vie, ainsi qu’à des #replis_sociaux, thèmes récurrents dans les médias et discours politiques. Elle est aussi liée au rôle d’une « offre » portée par les majors de l’immobilier. Mais elle est aussi soutenue indirectement, dans le contexte néolibéral, par des pouvoirs publics qui se déchargent ainsi de l’aménagement et de la gestion d’#espaces_de_proximité.

    Nous observons et analysons depuis 2007 cette prolifération des #fermetures à Marseille. Après un premier état des lieux (Dorier et al, 2010), nous avons mené une second #inventaire exhaustif en 2013-2014. Et depuis lors, nous menons une veille ciblée sur certains secteurs. Démarrée au début des années 90, la diffusion des #enclosures atteint des sommets à Marseille où elle n’a quasiment pas été régulée : des #marges et des #enclaves se construisent ainsi dès qu’on s’éloigne du centre historique (Dorier, Dario, 2016). Au point que la #fermeture des #espaces_résidentiels, de leurs #rues et espaces de plein air semble en train de devenir la norme (Dorier, Dario, 2018)

    Depuis 25 ans, Marseille n’a cessé de se cloisonner de plus en plus et ce processus est venu aggraver les #inégalités d’#accès_aux_équipements et aux « #aménités » urbaines. Le #parc bâti du centre ville paupérisé s’est dégradé jusqu’à l’effondrement et au risque de péril imminent de centaines d’immeubles, qui ont du être évacués en urgence depuis novembre 2018, comme on le voit sur la carte de droite (voir aussi page dédiée). Pendant ce temps, les quartiers du sud et de l’est, ainsi que les zones en rénovation, se sont transformées en mosaïques résidentielles clôturées, sous le double effet de la #promotion_immobilière et de ré-aménagements voulus par les associations de #copropriétaires. Ils dessinent des espaces pour classes moyennes à aisées, sous forme de #lotissements et d’#ensembles_immobiliers majoritairement fermés et sécurisés, chacun doté de ses propres espaces « communs » privés : parkings, voirie privée, jardins.

    Cette « #Privatopia » tourne d’abord le dos au centre historique, à ses ilots anciens décrépis où l’action publique s’est illustrée par son inefficience pendant des décennies. La fermeture se diffuse d’abord dans les zones favorisées, puis dans les périphéries ouvertes à l’urbanisation, enfin dans les zones de rénovation urbaine : la création de nouvelles résidences fermées est devenue un moyen pour valoriser des opérations immobilières et y attirer des classes moyennes, face aux copropriétés dégradées et aux ensembles HLM appauvris. Lorqu’un bailleur rénove un ensemble de logements sociaux, celui-ci est également « résidentialisé », même si, avec des années de recul sur cette pratique, on sait désormais que clôturer ne résoud pas les problèmes socio-économiques des quartiers, ni même les problèmes de sécurité. Au contraire, la fragmentation physique pourrait bien alimenter les tendances aux séparatismes sociaux en tous genres.

    D’après nos enquêtes, en dehors des formes d’entresoi spécifique de quartiers particulièrement aisés, comme la colline Périer, et ses « gated communities » surplombant la mer, la fermeture est d’abord fortement associée au « tout voiture » qui caractérise encore Marseille et à la concurrence pour le stationnement résidentiel : les premiers espaces à être clôturés sont les parkings. Elle est également liée à 25 années de désengagement croissant de la municipalité dans la gestion de proximité (propreté, entretien des espaces verts, sécurisation publique des rues) ainsi qu’un encouragement de l’urbanisation privée par des ventes de parcelles publiques ou des zones d’aménagement favorisant la promotion immobilière. La fermeture résidentielle traduit l’affirmation d’une économie résidentielle, le rôle des promoteurs, syndics, copropriétés étant crucial : la « sécurisation » (privée) est supposée faire augmenter la valeur marchande des biens immobiliers… Enfin, la fermeture traduit une accentuation des replis sociaux : à Marseille la clôture « a posteriori » de rues qui étaient auparavant ouvertes au passage représente 55% des cas observés.

    Certains espaces du 8ème, 9ème, 12ème , nord du 13ème arrondissements (Les Olives), caractéristiques de cette urbanisation privée, deviennent un assemblage désordonné de copropriétés et d’enclaves de moins en moins accessibles et traversantes. La fermeture se diffuse par mimétisme, les ensembles résidentiels forment des « agrégats », qui bloquent les circulations : une véritable situation de thrombose dans certains quartiers, anciens comme récents (les Olives, Ste Marthe). Le comble, c’est que dans ces quartiers, les plus favorisés, au cadre de vie « a priori » le plus agréable, les déplacements à pied ou en vélo tiennent désormais de l’exploit. Les détours imposés par les barrières qui enserrent chaque rue ou jardin privé de résidence obligent à prendre la voiture pour accompagner un enfant à l’école du coin, acheter le pain… La ville perd de plus en plus en cohérence, et, avec cette juxtaposition de résidences sécurisées certains quartier ressemblent plus à une mosaïque de co-propriétés qu’à… une ville. Cela a été mis en évidence et modélisé par la toute récente thèse de Julien Dario (2019), réalisée dans le cadre de ce projet.

    A Marseille, depuis 2007, nous avons opté pour une étude empirique, directe, sur le terrain. Nous pu ainsi vérifier l’hypothèse qu’aux initiatives spontanées de fermeture de rues et de lotissements a posteriori, longtemps après leur construction, s’ajoutent des stratégies nouvelles. Elles associent promotion privée et action publique, et sont destinées à faire évoluer le peuplement de quartiers de la ville, à travers la production de logement « de qualité » attirant des classes moyennes et supérieures. Promoteurs et décideurs semblent juger utile de les rassurer à travers la livraison d’ensembles qui sont quasiment tous fermés dès la construction … En 12 ans, de 2008 à 2020 une série d’études, de masters et thèses ont permis de décrire et quantifier ce processus, d’observer la progression d’une fragmentation urbaine qui s’accroît aux échelles fines et d’évaluer ses impacts.

    Nos études se sont focalisées sur les fermetures massives des aires privilégiées (Colline Périer, Littoral Sud, Nord-Est avec la technopole de Chateau Gombert), et la transformation résidentielle de certains territoires périphériques en zones d’investissements immobiliers rentables, attirant des classes moyennes et supérieures (Littoral Nord, Sainte Marthe, grand centre ville/Euromed, franges du parc National des Calanques comme la ZAC de la Jarre). les résidences fermées deviennent ainsi un outil de plus value foncière… et de recompositions urbaines, valorisant toutes les zones ayant un attrait environnemental, tout en en restreignant l’accès.

    La diffusion d’un modèle

    Notre méthodologie a permis de prendre la mesure du phénomène à l’échelle d’une ville entière, et sur la durée, ce qui n’a pas été réalisé ailleurs en France. A deux reprises (2008-2009 et 2013-2014), la commune entière a été arpentée, chaque ensemble résidentiel fermé a été géolocalisé dans un SIG, inventorié, décrit, photographié, afin d’établir un corpus exhaustif : 1001 résidences ou lotissements étaient enclos en 2009, plus de 1550 en 2014. L’ensemble des clôtures ont été datées à partir d’enquête directe ou par photo-interprétation. Cette démarche est relatée dans deux rapports de recherche (Dorier et al., 2010 et 2014), 13 masters et une thèse (Dario, 2019).

    Le recours au SIG (Système d’information géographique) a permis de tracer leur histoire, en croisant les localisations avec des images aériennes anciennes, le cadastre, la chronologie des programmes immobiliers. En 2011 et 2012, la première étude du LPED est actualisée à travers plusieurs mémoires d’étudiants sous la direction d’E.Dorier et S.Bridier. Ceux-ci observent une accélération des dynamiques d’enclosures dans les quartiers sud (Dario J. 2010, Toth P.2012), leur multiplication et leur diffusion dans les quartiers nord (Balasc et Dolo 2011, Dolo 2012, Robillard 2012). La propagation se fait beaucoup par mimétisme : plus de la moitié des ensembles fermés sont collés les uns aux autres, par grappes, transformant la physionomie et les usages possibles de l’espace urbain et développant des « marges » urbaines cloisonnées. On peut le vérifier, à travers l’exemple d’une marge Nord-Est de Marseille, sur les franges ville-espaces péri-urbains Les Olives : une juxtaposition désordonnée de lotissements fermés.

    Nous avons aussi beaucoup observé, recueilli de nombreux témoignages auprès de résidents, de riverains, de syndics, d’agences, de techniciens de l’urbanisme… Nous avons séjourné dans plusieurs de ces résidences. Nous poursuivons la veille sur certains contextes sensibles à haut potentiel spéculatif immobilier, comme la frange du massif des calanques ou sainte Marthe, ou encore des espaces où les fermetures sont conflictuelles. Par des analyses d’archives, des enquêtes fines sur des contextes urbains, des entretiens avec acteurs et habitants, des analyses de périmètres de la politique de la ville, le suivi de conflits de voisinages nous avons ensuite analysé les facteurs historiques et les impacts associés à cette dynamique d’enclosures, les inégalités sociales, les impacts sur la circulation, les inégalités environnementale (D.Rouquier 2013, J.Dario, 2019 et la thèse en cours de P. Toth, consacrée aux 8ème et 9ème arrondissements).

    Au final, on met à jour une dynamique de transition libérale, individualiste et sécuritaire, associée au règne de la voiture dans la ville (beaucoup de clôtures ont au départ pour justification le seul parking), qui freine d’autres évolutions souhaitables (transition écologique, inclusion sociale). Si le phénomène se banalise, on constate aussi une complexité territoriale du processus et son épaisseur historique. Dans des contextes de fortes recompositions urbaines (spatiales, foncières, sociales, démographiques), et dans les périmètres de nouvellement urbain, la fermeture d’espaces résidentiels est utilisée comme outil de diversification de l’habitat et de mixité sociale. Le processus n’a pas partout les mêmes motifs ni les mêmes impacts socio-environnementaux. D’où l’intérêt d’approches qualitatives par observations sensibles, entretiens avec des acteurs et habitants, dépouillements d’archives historiques (histoires de rues).

    Les quartiers sud

    En observant le facteur de proximité dans la diffusion, ainsi que le potentiel de valorisation immobilière des terrains vacants ou susceptibles de l’être, plusieurs scénarios de prospective ont été mis au point par Julien Dario pour anticiper l’évolution des espaces susceptibles d’être fermés, transmis à la Ville dans le cadre d’un contrat, comme aide à la décision (Dario 2011, 2014 et 2019). Dans les quartiers sud, on est frappé par la perspective de 53% de taux d’évolution spontané probable de la fermeture dans les 8ème et 9ème arrondissements, si aucune intervention publique ne vient réguler la tendance. Les surfaces touchées par les enclosures (résidences et périmètres d’entreprises) déjà localement très importantes pourraient y atteindre le tiers de la surface totale urbanisée. Des études de cas à échelle fine ont permis d’anticiper plusieurs conflits liés à ces processus (progressifs ou brutaux) en lien avec des dynamiques sociale locales.

    Les cas des lotissements « Coin Joli » et « Barry » (analysés ici par J.Dario entre 2011 et 2019) montrent comment certains dispositifs informels préfigurant l’enclosure sont mis en place progressivement, informellement, parfois subrepticement : enrochements, systèmes physiques fixes contraignants (plots métalliques) permettant encore le passage prudent de deux roues et piétons ; panneaux de sens interdit « privés » et informels apposés à l’extrémité de certaines rues. On passe d’une délimitation par panneautage à une fermeture symbolique et partielle, avant d’évoluer vers l’enclosure, qui peut être conflictuelle en privant de passage les riverains, en réduisant les perméabilités urbaines.

    Les quartiers nord : diffusion des ensembles résidentiels fermés dans les contextes de rénovation urbaine

    Un fait remarquable est la diffusion des enclaves résidentielles fermées au cœur et en bordure des zones urbaines sensibles (ZUS) telles qu’elles ont été définies par l’Agence Nationale de la Rénovation Urbaine (ANRU). Bénéficiant de la TVA réduite, les promoteurs sont incités à y produire une nouvelle offre de logement privée, afin de permettre une diversification et l’installation de classes moyennes. Mais les enclosures, supposées rassurer les candidats à l’accession à la propriété, et maintenir un niveau de prix élevé ne favorisent pas les relations sociales … et nos études montrent qu’en fait de « mixité », apparaissent de nouvelles formes de fragmentations et même de tensions résidentielles (Dorier et al, 2010, 2012), qui s’accompagnent, par ailleurs de formes d’évitement fonctionnel (Audren, 2015, Audren Baby-Collin, Dorier 2016 , Audren, Dorier, Rouquier, 2019). Le secteur du Plan d’Aou dans le 15ème arrondissement de Marseille, où la restructuration résidentielle est achevée a été analysé à l’aide d’étudiants (Balasc et Dolo 2011). Dans ce secteur cohabitent des zones de logements HLM en fin de réhabilitation, des lotissements anciens qui se sont fermés ou sont en cours de fermeture, des projets immobiliers récents, conçus sécurisés. La juxtaposition de ces différents types d’habitats aux profils sociaux différenciés engendre plus une fragmentation qu’une mixité Fonctionnelle, malgré la proximité. Les interrelations sont faibles entre les ensembles et les espaces. (Dorier, Berry-Chikahoui et Bridier, 2012)

    une crise des urbanités

    Tandis que cette transformation des espaces de copropriétés et rues privées de Marseille se poursuit, des pans entiers de vieux quartiers populaires se délabrent. En 2019, notre cartographie de ces ensembles résidentiels privés fermés ainsi que des HLM « résidentialisés » et enclos (dans les projets de rénovation urbaine) tranche avec la géographie des constructions déclarées en péril et brutalement évacuées de leurs habitants, suite à l’effondrement de deux immeubles vétustes du quartier Noailles, près du Vieux port de Marseille. Notre carte révèle des politiques de l’habitat à plusieurs vitesses, où des décennies de laisser-faire public face à la ville privée s’expriment d’un côté par la dégradation du bâti, et de l’autre par la multiplication de formes de repli et d’entre soi urbain ayant des impacts sur les circulations et sur l’accès aux équipements. A ce stade, des rééquilibrages publics sont indispensables. Quelques initiatives publiques pour maintenir des traverses piétonnières ont été lancées dans certains quartiers très touchés, elles sont compliques par les évolutions législatives (qui facilitent la clôture des espaces privés) ainsi que par la dévolution de la compétence en matière de voirie à la Métropole. Rétablir des accès et servitudes de passage pour les piétons est compliqué dans les espaces privés : il faut passer par une DUP, puis par l’achat d’une bande de terrain par la collectivité pour tracer un cheminement piétonnier. Des interventions seraient possibles dans certains cas où les clôtures ont été posées sur des rues non privées, ou hors de la légalité. Mais la collectovité ne s’auto-saisit pas des cas d’infraction. Les actions au cas par cas risquent de ne pas suffire à endiguer cette véritable crise d’urbanité.

    (observations menées conjointement à nos études sur le mal logement et des évacuations à Marseille).

    le projet ci-dessous a fait l’objet d’une exposition art-science, présentée à l’Espace Pouillon, campus centre Saint Charles de l’Université Marseille Privatopia 8-24 octobre 2020.

    Depuis 2014, une collaboration avec l’artiste peintre Anke Doberauer (photos et tableaux) a été rendue possible grâce à une résidence commune à la Fondation Camargo (2014). La jeune cinéaste Marie Noëlle Battaglia a également réalisé en 2020 un documentaire « En remontant les murs » inspiré par nos recherches, et en lien avec l’équipe (avant première le 18 octobre 2020, dans le cadre du festival Image de ville). Ces collaborations ont déjà donné lieu à des présentations croisées, comme celle du 3 avril 2019 organisée par le Goethe Institut à la Friche de la belle de mai, et pourraient déboucher sur une exposition et un ouvrage commun.

    Rapports de recherche-action :

    Dorier E. Dario J. Rouquier D. Bridier S. , (2014), Bilan scientifique de l’étude « Marseille, ville passante », Contrat de collaboration de recherche : « Développement urbain durable à Marseille » n°12/00718, 13 cartes, 18 croquis, 24 tableaux. juin 2014, 90 p.

    Dorier E. (dir), BERRY-CHIKHAOUI I., BRIDIER S., BABY-COLLIN V., AUDREN G., GARNIAUX J. (2010), La diffusion des ensembles résidentiels fermés à Marseille. Les urbanités d’une ville fragmentée, rapport de recherche au PUCA, Contrat de recherche D 0721 ( E.J. 07 00 905), 202 p, 35 cartes et croquis, 30 graphiques, 68 illustrations photographiques.

    Ces rapports ont donné lieu à de nombreuses restitutions publiques auprès des services de l’Urbanisme de la Ville, la Communauté urbaine, l’Agence d’Urbanisme (Agam), le département.

    Articles scientifiques :

    Dorier E. Dario J., 2018, « Gated communities in Marseille, urban fragmentation becoming the norm ? », L’Espace géographique, 2018/4 (Volume 47), p. 323-345. URL : https://www.cairn.info/journal-espace-geographique-2018-4-page-323.htm (traduction texte intégral ) texte intégral (ENG.) DORIER DARIO Espace geo anglais EG_474_0323

    Dorier E. Dario J., 2018, « Les espaces résidentiels fermés à Marseille, la fragmentation urbaine devient-elle une norme ? » l’Espace géographique, 2018-4 pp. 323-345.

    Dorier E., Dario J., 2016, « Des marges choisies et construites : les résidences fermées », in Grésillon E., Alexandre B., Sajaloli B. (cord.), 2016. La France des marges, Armand Colin, Paris, p. 213-224.

    Audren, G., Baby-Collin V. et Dorier, É. (2016) « Quelles mixités dans une ville fragmentée ? Dynamiques locales de l’espace scolaire marseillais. » in Lien social et politiques, n°77, Transformation sociale des quartiers urbains : mixité et nouveaux voisinages, p. 38-61 http://www.erudit.org/revue/lsp/2016/v/n77/1037901ar.pdf

    Audren, G., Dorier, É. et Rouquier, D., 2015, « Géographie de la fragmentation urbaine et territoire scolaire : effets des contextes locaux sur les pratiques scolaires à Marseille », Actes de colloque. Rennes, ESO, CREAD, Université de Rennes 2. Actes en ligne.

    Dorier E, Berry-Chickhaoui I, Bridier S ., 2012, Fermeture résidentielle et politiques urbaines, le cas marseillais. In Articulo– – Journal of Urban Research, n°8 (juillet 2012).

    Thèses

    Audren Gwenaelle (2015), Géographie de la fragmentation urbaine et territoires scolaires à Marseille, Université d’Aix Marseille, LPED. Sous la dir. d’Elisabeth Dorier et de V.Baby-Collin

    Dario Julien (2019) Géographie d’une ville fragmentée : morphogenèse, gouvernance des voies et impacts de la fermeture résidentielle à Marseille, Sous la dir. d’Elisabeth Dorier et de Sébastien Bridier. Telecharger ici la version complète. Cette thèse est lauréate du Grand prix de thèse sur la Ville 2020 PUCA/ APERAU/ Institut CDC pour la Recherche, Caisse des Dépôts

    Toth Palma (soutenance prévue 2021), Fragmentations versus urbanité(s) : vivre dans l’archipel des quartiers sud de Marseille Université d’Aix Marseille, LPED , Sous la direction de Elisabeth Dorier

    Posters scientifiques :

    Dario J. Rouquier D. et Dorier E., 2014, Les Ensembles résidentiels fermés à Marseille, in SIG 2014, Conférence francophone ESRI, 1-2 octobre 2014 – http://www.esrifrance.fr/iso_album/15_marseille.pdf

    Dario J. Rouquier D. et Dorier E, 2014, Marseille, fragmentation spatiale, fermeture résidentielle, LPED – Aix-Marseille Université, poster scientifique, Festival international de géographie de Saint Dié, oct 2014. https://www.reseau-canope.fr/fig-st-die/fileadmin/contenus/2014/conference_Elisabeth_Dorier_poster_LPED_1_Marseille.pdf

    Dario J. Rouquier D. et Dorier E., 2014, Marseille, Voies fermées, Ville passante, LPED – Aix-Marseille Université, poster. http://www.reseau-canope.fr/fig-st-die/fileadmin/contenus/2014/conference_Elisabeth_Dorier_poster_LPED_2_Marseille.pdf

    Contributions presse et médias

    Dorier E. Dario J. Audren G. aout 2017, collaboration avec le journal MARSACTU. 5 contributions à la série « Petites histoires de résidences fermées », collaboration journal MARSACTU / LPED, aout 2017. https://marsactu.fr/dossier/serie-petites-histoires-de-residences-fermees

    Dorier E. et Dario J. 23 aout 2017, interview par B.Gilles, [Petites histoires de résidences fermées] Les beaux quartiers fermés de la colline Périer, interview pr B.Gilles, MARSACTU, https://marsactu.fr/residences-fermees-dorier

    Dorier E. Dario J. 30 janv. 2017, interview par L.Castelly, MARSACTU : https://marsactu.fr/discussion-ouverte-residences-fermees

    Dorier E. , et Dario.J. 20 mars 2014, interview in MARSACTU , société : 29% de logements sont situes en residences fermees à Marseille

    Dorier E. Dario J., 4 oct 2013, « Hautes clôtures à Marseille », in Libération, le libé des géographes. (1 p, 1 carte) http://www.liberation.fr/societe/2013/10/03/hautes-clotures-a-marseille_936834
    Dorier E. , 7 avril 2013, « Le phénomène des résidences fermées est plus important à Marseille qu’ailleurs », Marsactu, talk quartiers, archi et urbanisme, http://www.marsactu.fr/archi-et-urbanisme/le-phenomene-des-residences-fermees-est-plus-important-a-marseille-quailleu

    Dorier E. Dario J., 10 fev 2013, « Fermetures éclair » in revue Esprit de Babel, Fermetures éclair

    télévision

    M6, Résidences fermées à Marseille – étude du LPED. Journal national, octobre 2013 : https://www.youtube.com/watch?v=hDM

    FR3, 19/20, Résidences fermées à Marseille – étude du LPED, 24 mai 2013, https://www.youtube.com/watch?v=o-O

    FR 5 (minutes 38 à 50) : « En toute sécurité », documentaire de B.Evenou, http://www.france5.fr/emission/en-t

    podcast radio

    Collaboration entre chercheurs et cinéaste, janvier 2021 : https://ecoleanthropocene.universite-lyon.fr/documenter-la-geographie-sociale-grand-entretien-a

    Collaboration entre chercheurs et artiste peintre, octobre 2020 : Sonographies marseillaises – Radio Grenouille et Manifesta 13 « Ce monde qui nous inspire #4 Marseille ville privée ? »

    https://urbanicites.hypotheses.org/688

    #sécurisation #privatisation #espace_public #classes_sociales #urban_matter #géographie_urbaine #TRUST #master_TRUST #immobilier #foncier #rénovation_urbaine #urbanisme #fragmentation_physique #inégalités #tout_voiture #voiture #automobile #stationnement_résidentiel #parkings #proximité #promotion_immobilière #urbanisation_privée #détours #barrières #mosaïque #
    #cartographie #visualisation

  • « Il y a une telle impunité que les artistes se croient au-dessus de tout, comme s’ils faisaient partie d’une société à part : le monde de l’art »

    https://www.streetpress.com/sujet/1612782917-metoo-harcelement-sexuel-beaux-arts-etudiantes-professeur-ag

    Le monde de l’art... Je me grille définitivement tout de suite ou j’essaie de m’y faire une place ? Je ne plaisante pas, c’est une question permanente dans mon esprit.

    Il y a quelques années maintenant chez un ami avocat, j’ai croisé un peintre catégorie « art contemporain ». Quand je lui ai demandé de quel catégorie d’art contemporain il se réclamait, il m’a répondu « de celle qui se vend. »

    Il y un truc que les gens comprennent mal de moi, c’est que je suis une personne qui essaie à chaque instant de ne pas sortir d’une ligne de conduite. J’ai des croyances, des certitudes, sur ce que la société doit être pour qu’on y soit bien. Féminisme, écologie par exemple. Mais pas seulement. J’ai un rapport à l’argent très compliqué. C’est simple, on se déteste lui et moi. Et moi plus que lui je pense car à chaque fois que je m’en éloigne, il revient à la charge. Bref...

    Donc un « artiste » s’était présenté à moi comme le font les représentants de commerce. T’imagines si je n’en avais jamais rencontré d’autres avant lui ? Déjà que d’être un working class hero c’est pas facile, alors si en plus il faut devenir un enfoiré pour en sortir, ça désabuse vite fait.

    Bon, lui c’est pas le pire. Lui il m’a seulement parlé de pognon. Un cran au-dessus il y en a une ribambelle d’autres qui t’expliquent leur technique en long, en large et en travers. C’est une façon comme une autre de combler le vide de leur message. Je les apprécie à leur juste valeur, du peintre sur parquet vernis jusqu’au sculpteur sur chewing-gum mastiqué. Mais bon, déjà ceux-ci ne parlent plus d’argent, c’est appréciable.

    Il y a l’immense marécage de ceux qui peignent des culs, des teuchs et des teubs. « C’est ce qui ce vend le mieux. » m’a dit un jour l’un de ceux qui les exposent. Je comprend bien. Ça vous explique pourquoi on voit des culs partout : c’est vendeur.

    Je vais pas être courtois ; ça participe à l’abrutissement des masses. J’ai mis des siècles à le comprendre mais yo la tengo maintenant. Si t’es seulement cap’ de peindre des culs, ton travail ne m’éduque pas à penser à autre chose qu’à mon propre cul. Et à être malheureux plus tard quand je serai trop frippé.

    Et puis voilà, on a fait presque tout le tour, il reste les autres. Les autres qui sont un peu tout ça mais beaucoup autre chose. Et là, tu peux tranquillement écrire au féminin. Et comme je suis feignant et que j’ai pas envie de donner de leçons essaie de comprendre tout seul le lien entre mon verbiage et la citation du départ

    François Isabel, artiste.

    PS : En France, une étudiante sur 10 est victime d’agression sexuelle

    • Le monde de l’art... Je me grille définitivement tout de suite ou j’essaie de m’y faire une place ? Je ne plaisante pas, c’est une question permanente dans mon esprit.

      Ne t’en fait pas ce n’est pas en critiquant le coté mercantil de l’art que tu va te grillé dans l’art, à mon avis c’est un lieu commun de la profession pour exhibé sa pureté sacrée (l’art est à la croisée du religieux et du mércantilisme) mais en fait l’art dans un monde capitaliste est de l’art capitaliste et c’est pas une activité détachée du matérialisme, c’est une activité qui fait semblant d’en être détaché. Il y a beaucoup de mondes de l’art, ou de milieux artistiques et ils ne sont pas tous aussi spéculatifs les uns que les autres, même si il s’agit tout de même d’un milieu marchand. Il y a une idéalisation de l’art et de la culture comme si c’etait une activité noble et qui élevait l’esprit, mais il ne s’agit peut être au fond que de signes appartenance de classe (art spéculatif, art institutionnel, art brut, art naïf, art et de propagande capitaliste. Dans un monde patriarcale, l’art dominant sera de la propagande patriarcale, d’ou ton impression que le cul fait vendre, mais c’est pas vraiment le cul qui fait vendre, c’est l’humiliation sexuelle des groupes dominés qui l’est. Je te recommande cet entertiens de G. de Lagagnerie que j’ai mis plusieurs fois sur seenthis mais qui m’a beaucoup apporté en prescision sur ces questions
      https://www.youtube.com/watch?v=FH5liBXAMIY

    • Pour le coté faussement détaché de l’argent de l’art, je suis toujours épatée par la question que les gens me posent systématiquement lorsque je dit que je suis artiste.
      Immanquablement on me demande si j’en vie, et là selon les réponses
      A- Oui, on me questionne sur ce que c’est comme art et on poursuit sur le sujet avec intérêt.
      B-Non, la personne n’en a plus rien à fiche et change de sujet, car si tu fait pas d’argent avec ton art alors il n’a aucune valeur et plus la peine de perdre du temps à en discuté.
      Et c’est pas le milieu qui réagit ainsi, c’est la grande majorité de la population. En somme c’est que la grande majorité ne s’interesse qu’à la création artistique « de celle qui se vend. » mais ils te le dirons de manière plus détourné que ton exemple.

    • Merci @mad_meg :)

      C’est vrai que j’ai commencé par l’aspect capitaliste du « monde de l’art » et que je n’ai abordé que le coté mercantile de ceux qui peignent des zizis et des zezettes. Mais j’aurais peut-être du insister sur les peintres en zizis. C’est surtout ceux-là qui m’agacent. Je me retiens d’écrire des noms, ça ne serait pas correct, il ont le droit de manger après tout.
      J’imagine que la vocation leur est venue tôt, sur les bancs de l’école en dessinant des bites à la point du compas sur leur table. Ils ont transformé ce loisir en activité lucrative. Moi, pauvre naze, j’envoyais des poèmes à une fille de ma classe, ça n’a jamais rapporté un centime la poésie.
      Souvent ce sont les mêmes qui te disent qu’ils n’aimaient pas l’école. En fait ils devraient plutôt dire qu’ils n’avaient pas le temps de l’aimer, leur bite les occupait beaucoup trop.
      Ce sont les mêmes que tu retrouves dans tous les milieux/mouvements politico-culturels, les mêmes qui se disent « hors systèmes » ou « esprits libres ». Tu parles... Ce sont juste des obsédés derrière un masque d’artiste militant. Je les déteste vicéralement parce qu’ils prennent la place d’autres bien moins tarés.

      ça fait 4 ans que je fréquente un peu certains auxquels je pense. Je commence à les voir s’empoisonner d’avoir trop mangé le foie de leurs amis. C’est bien. Karma !

    • les dessinateurs de kiki vendent bien ; mais à qui ?

      ça serait intéressant de savoir qui c’est qui aime tant les images de kiki qu’ils/elles les affichent qui dans leur salons et qui dans leur bureaux.

      et encore plus hilarant de savoir ce que ça dit d’eux

    • Ca a l’air interessant @val_k
      je colle ici le texte pour archivage

      Laurent Cauwet
      La domestication
      de l’art
      Politique et mécénat

      Les poètes et les artistes sont comme tout le monde, ils doivent se nourrir et se loger, ils ont besoin d’argent. Mais la marchandisation générale a bouleversé la relation qu’ils avaient nouée avec le pouvoir politique et les mécènes depuis le temps des Médicis. La culture – le ministère de la Culture, mais pas seulement – est devenue une entreprise, explique Laurent Cauwet. Les poètes et les artistes sont ses employés, qui ont des comptes à rendre à leur employeur. « La prolétarisation des savoir-faire de l’art et de la pensée oblige à pratiquer avec plus ou moins de subtilité l’autocensure et le formatage des œuvres commandées. » L’entreprise culture, qui prône un humanisme universel, va exporter le bon art et la bonne parole dans les quartiers populaires pour éduquer la plèbe – dès lors, on peut se demander « quelle peut être la place d’un artiste ou d’un poète, rémunéré par ce même État qui rémunère les policiers qui insultent, frappent, emprisonnent et tuent ? »

      Le mécénat privé est l’autre face de l’entreprise culture : Vuitton (LVMH, Bernard Arnault) et son « grand oiseau blanc » au bois de Boulogne, « cadeau aux Parisiens » ; Benetton et son projet Imago Mundi, collection de petites œuvres commandées à des artistes du monde entier, mais pas aux ouvrières d’Asie, d’Afrique et d’Europe de l’Est qu’il exploite, ni aux indiens Mapuches de Patagonie qu’il chasse de leurs terres ; la fondation Cartier s’opposant à ce que Frank Smith lise un texte où il est question de Gaza (« On ne peut pas aborder un tel sujet à la fondation »), etc.

      La culture, qu’elle soit une commande publique ou un investissement privé, est devenue une « entreprise » de pacification tout à fait profitable.

      « L’art reste avant tout une industrie qui participe à la pacification sociale. » Zones Subversives, janvier 2018

      « L’écoute du monde par l’art est devenu un bruit où résonnent les discours de politiques économiques et culturelles qui aliènent l’art et perdent le monde. » Diacritik, septembre 2017
      Laurent Cauwet

      Laurent Cauwet est responsable de la cellule éditoriale Al Dante (publication de livres, journaux d’interventions poétiques et/ou politiques, organisations de rencontres, festivals et autres manifestations, ouverture de l’espace culturel autonome Manifesten/ Marseille...) depuis 1994.

    • Je repasse par ici et ton dernier message me pose pas mal de question @fsoulabaille
      Je croi pas qu’il y a eu une époque dans laquelle les artistes étaient des femmes, et je parle de croyances car ca me semble pas possible d’avoir de certitude sur ce point. Je ne croie pas à un matriarcat originel. Je me demande si cette image, fort belle, est vraiment comparable à ce qu’on appelle de l’art en occident dans la période moderne. Définir ce qu’est l’art est en soi une question insoluble. Admettons que ca soit des silhouettes de mains de femmes. Dans ce cas ca pourrait très bien etre les traces faites par des femmes juste après qu’on les aient excisées et j’y verrai pas l’expression d’une age ou les femmes étaient artistes même si les traces de leur souffrances sont très décorative, mystérieuses et émouvantes pour nous aujourd’hui.

    • @mad_meg Sincèrement, j’admire ton pessimisme. J’ai beau me forcer je n’y arrive pas :) J’ai toujours envie de croire à d’autres sociétés moins horribles.
      Sinon, je pense aussi qu’à aucune période les artistes étaient uniquement des femmes. Ces mains par exemple sont un mélange de maines de femmes et d’hommes (à priori car on n’en a aucune certitude). Je pensais faire un peu d’humour sur les artistes non domestiquéEs, c’est tout.

  • Vers un #tournant_rural en #France ?

    En France, la seconde moitié du XXe siècle marque une accélération : c’est durant cette période que la population urbaine progresse le plus fortement pour devenir bien plus importante que la population rurale. À l’équilibre jusqu’à l’après-guerre, la part des urbains explose durant les « trente glorieuses » (1945-1973).

    Dans les analyses de l’occupation humaine du territoire national, l’#exode_rural – ce phénomène qui désigne l’abandon des campagnes au profit des centres urbains – a marqué l’histoire de France et de ses territoires. En témoigne nombre de récits et d’études, à l’image des travaux de Pierre Merlin dans les années 1970 et, plus proches de nous, ceux de Bertrand Hervieu.

    Ce long déclin des campagnes est documenté, pointé, par moment combattu. Mais depuis 1975, et surtout après 1990, des phénomènes migratoires nouveaux marquent un renversement. Le #rural redevient accueillant. La #périurbanisation, puis la #rurbanisation ont enclenché le processus.

    La période actuelle marquée par un contexte sanitaire inédit questionne encore plus largement. N’assisterait-on pas à un #renversement_spatial ? La crise en cours semble en tous cas accélérer le phénomène et faire émerger une « #transition_rurale ».

    Si cette hypothèse peut être débattue au niveau démographique, politique, économique et culturel, elle nous pousse surtout à faire émerger un nouveau référentiel d’analyse, non plus pensé depuis l’#urbanité, mais depuis la #ruralité.


    https://twitter.com/afpfr/status/1078546339133353989

    De l’exode rural…

    Dans la mythologie moderne française, l’exode rural a une place reconnue. Les #campagnes, qui accueillent jusque dans les années 1930 une majorité de Français, apparaissent comme le réservoir de main-d’œuvre dont l’industrie, majoritairement présente dans les villes a alors cruellement besoin. Il faut ainsi se rappeler qu’à cette époque, la pluriactivité est répandue et que les manufactures ne font pas toujours le plein à l’heure de l’embauche en période de travaux dans les champs.

    Il faudra attendre l’après-Seconde Guerre mondiale, alors que le mouvement se généralise, pour que la sociologie rurale s’en empare et prenne la mesure sociale des conséquences, jusqu’à proclamer, en 1967 avec #Henri_Mendras, « la #fin_des_paysans ».

    L’#urbanisation constitue le pendant de ce phénomène et structure depuis la géographie nationale. Dans ce contexte, la concentration des populations à l’œuvre avait déjà alerté, comme en témoigne le retentissement de l’ouvrage de Jean‑François Gravier Paris et le désert français (1947). Quelques années plus tard, une politique d’#aménagement_du_territoire redistributive sera impulsée ; elle propose une #délocalisation volontaire des emplois de l’#Ile-de-France vers la « #province », mais sans véritablement peser sur l’avenir des campagnes. Le temps était alors surtout aux métropoles d’équilibre et aux grands aménagements (ville nouvelle – TGV – création portuaire).

    https://www.youtube.com/watch?v=JEC0rgDjpeE&feature=emb_logo

    Pour la France des campagnes, l’exode rural se traduisit par un déplacement massif de population, mais aussi, et surtout, par une perte d’#identité_culturelle et une remise en cause de ses fondements et de ses #valeurs.

    Le virage de la #modernité, avec sa recherche de rationalité, de productivité et d’efficacité, ne fut pas négocié de la même manière. Les campagnes reculées, où se pratique une agriculture peu mécanisable, subirent de plein fouet le « progrès » ; tandis que d’autres milieux agricoles du centre et de l’ouest de la France s’en tirèrent mieux. L’#exploitant_agricole remplace désormais le #paysan ; des industries de transformation, notamment agroalimentaires, émergent. Mais globalement, le rural quitta sa dominante agricole et avec elle ses spécificités. La campagne, c’était la ville en moins bien.

    Ce référentiel, subi par les populations « restantes », structurait la #vision_nationale et avec elle les logiques d’action de l’État. Cette histoire se poursuivit, comme en témoignent les politiques actuelles de soutien à la #métropolisation, heureusement questionnées par quelques-uns.

    … à l’exode urbain !

    Le recensement de 1975 marque un basculement. Pour la première fois, la population rurale se stabilise et des migrations de la ville vers ses #périphéries sont à l’œuvre.

    Le mouvement qualifié de « périurbanisation » puis de « rurbanisation » marquait une continuité, toujours relative et fixée par rapport à la ville. La « périurbanisation » exprimait les migrations en périphéries, un desserrement urbain. La « rurbanisation », la généralisation du mode de vie urbain, même loin d’elle. Le processus n’est pas homogène et il explique pour une grande part la #fragmentation contemporaine de l’#espace_rural en y conférant des fonctions résidentielles ou récréatives, sur fond d’emplois agricoles devenus minoritaires. Ainsi, la banlieue lyonnaise, l’arrière-pays vauclusien et la campagne picarde offrent différents visages de la ruralité contemporaine.

    Parallèlement, dans les territoires les plus délaissés (en Ardèche, dans l’Ariège, dans les Alpes-de-Haute-Provence par exemple), un « #retour_à_la_terre » s’opère. Si le grand public connaît ces nouveaux résidents sous l’appellation de « #néo-ruraux », des moments successifs peuvent être distingués.

    La chercheuse Catherine Rouvière s’intéressa à ce phénomène en Ardèche ; elle le décrypte en 5 moments.

    Les premiers, avec les « #hippies » (1969-1973), marquèrent culturellement le mouvement, mais peu l’espace, à l’inverse des « néo-ruraux proprement dits » (1975-1985) qui réussirent plus largement leur installation. Plus tard, les « #travailleurs_à_la_campagne » (1985-1995) furent les premiers à faire le choix d’exercer leur métier ailleurs qu’en ville. Enfin, les politiques néolibérales engagèrent dans ce mouvement les « personnes fragiles fuyant la ville » (1995-2005) et mirent en action les « #altermondialistes » (2005-2010). Le départ de la ville est donc ancien.

    https://www.youtube.com/watch?v=NcOiHbvsoA0&feature=emb_logo

    Jean‑Paul Guérin, voit déjà en 1983 dans ce phénomène d’exode urbain une opportunité pour les territoires déshérités de retrouver une élite. Ce qu’on qualifie aujourd’hui d’émigration massive avait ainsi été repéré depuis près de 30 ans, même si l’Insee l’a toujours méthodiquement minoré.

    Vers une transition rurale ?

    Présenter ainsi l’histoire contemporaine des migrations françaises de manière symétrique et binaire est pourtant trompeur.

    Tout comme l’exode rural est à nuancer, l’exode urbain engagé il y a des décennies mérite de l’être aussi. Les relations ville-campagne sont bien connues, la ruralité se décline dorénavant au pluriel et de nouveaux équilibres sont souvent recherchés. Malgré cela, la période actuelle nous oblige à poser un regard différent sur cette histoire géographique au long cours. La crise de la #Covid-19 marque une accélération des mouvements.

    Aujourd’hui, quelques auteurs s’interrogent et proposent des ajustements. En appelant à une Plouc Pride, une marche des fiertés des campagnes, Valérie Jousseaume nous invite ainsi collectivement à nous questionner sur la nouvelle place de la ruralité.

    https://www.youtube.com/watch?v=agAuOcgcOUQ&feature=emb_logo

    Et si, au fond, cette tendance témoignait d’un basculement, d’une transition, d’un tournant rural, démographique, mais aussi et surtout culturel ?

    La période rend en effet visible « des #exilés_de_l’urbain » qui s’inscrivent clairement dans un autre référentiel de valeurs, dans la continuité de ce qui fut appelé les migrations d’agrément. Celles-ci, repérées initialement en Amérique du Nord dans les années 1980 puis en France dans les années 2000, fonctionnent sur une logique de rapprochement des individus à leurs lieux de loisirs et non plus de travail.

    L’enjeu pour ces personnes consiste à renoncer à la ville et non plus de continuer à en dépendre. Dans la ruralité, de nombreux territoires conscients de ce changement tentent de s’affirmer, comme la Bretagne ou le Pays basque.

    Pourtant ils versent souvent, à l’image des métropoles, dans les politiques classiques de #compétitivité et d’#attractivité (#marketing_territorial, politique culturelle, territoire écologique, créatif, innovant visant à attirer entrepreneurs urbains et classes supérieures) et peu s’autorisent des politiques non conventionnelles. Ce phénomène mimétique nous semble d’autant plus risqué que dès 1978, Michel Marié et Jean Viard nous alertaient en affirmant que « les villes n’ont pas les concepts qu’il faut pour penser le monde rural ». Mais alors, comment penser depuis la ruralité ?

    https://www.youtube.com/watch?v=YOEyqkK2hTQ&feature=emb_logo

    Il s’agit d’ouvrir un autre référentiel qui pourrait à son tour servir à relire les dynamiques contemporaines. Le référentiel urbain moderne a construit un monde essentiellement social, prédictif et rangé. Ses formes spatiales correspondent à des zonages, des voies de circulation rapides et de l’empilement. Ici, l’#artificialité se conjugue avec la #densité.

    Le rural accueille, en coprésence, une diversité de réalités. Ainsi, la #naturalité se vit dans la #proximité. Ce phénomène n’est pas exclusif aux territoires peu denses, la naturalisation des villes est d’ailleurs largement engagée. Mais l’enjeu de l’intégration de nouveaux habitants dans le rural est d’autant plus fort, qu’en plus de toucher la vie des communautés locales, il se doit de concerner ici plus encore qu’ailleurs les milieux écologiques.

    Le trait n’est plus alors celui qui sépare (la #frontière), mais devient celui qui fait #lien (la #connexion). La carte, objet du géographe, doit aussi s’adapter à ce nouvel horizon. Et la période qui s’ouvre accélère tous ces questionnements !

    L’histoire de la civilisation humaine est née dans les campagnes, premiers lieux défrichés pour faire exister le monde. La ville n’est venue que plus tard. Son efficacité a par contre repoussé la limite jusqu’à dissoudre la campagne prise entre urbanité diffuse et espace naturel. Mais face aux changements en cours, à un nouvel âge de la #dispersion, la question qui se pose apparaît de plus en plus : pour quoi a-t-on encore besoin des villes ?

    https://theconversation.com/vers-un-tournant-rural-en-france-151490
    #villes #campagne #démographie #coronavirus #pandémie

    –—

    ajouté à la métaliste « #géographie (et notamment #géographie_politique) et #coronavirus » :
    https://seenthis.net/messages/852722

  • (néo-)municipalisme et humanisme

    Message aux seenthisien·nes...

    Je vais animer un atelier avec des étudiant·es de master en urbanisme autour du #municipalisme et de l’#humanisme...

    Un thème qui est relativement nouveau pour moi...

    Je suis donc preneuse de vos suggestions, surtout bibliographiques sur ce thème...

    J’ai déjà quelques éléments, mais je suis sure que votre bibliothèque est plus riche que la mienne :-)

    #néo-municipalisme #ressources_pédagogiques #municipalisme

    • Tout dépend quelle tradition du municipalisme : liberal, libertaire, socialiste, communalisme ou inter-municipalisme ? cf https://m.uneseuleplanete.org/Qu-est-ce-que-le-municipalisme. D’un point de vue historique "Municipalités de tous pays, unissez vous ! L’Union Internationale des Villes ou l’Internationale municipale(1913-1940),
      Renaud Payre, Pierre-Yves Saunier : https://halshs.archives-ouvertes.fr/halshs-00002762/document

    • Ok ! Je me suis permis de le préciser car comme le municipalisme a eu tendance à devenir un nouveau buzzword, on oublie parfois que ces stratégies politiques ont eu longues histoires qui ne se résume pas à la pensée de Murray Bookchin (même si sa pensée continue de beaucoup nous inspirer) !

    • @monolecte ça sera sous forme d’atelier, et pas de cours... mais il devrait y avoir un temps fort de présentation/discussion organisé par les étudiant·es lors de la Biennale des villes en transition (premier weekend d’avril, à Grenoble et distanciel) :-)

    • Du coup, en train de lire...

      Guide du municipalisme. Pour une ville citoyenne, apaisée, ouverte

      De plus en plus, nos villes sont devenues le lieu où sévissent la spéculation, les exclusions de toutes sortes et la ségrégation sociale. Pourtant, de l’Espagne aux États-Unis et à l’Afrique du Sud, en passant par le Chili, le Rojava syrien, la Serbie, la Pologne ou la France, des groupes renversent cette logique et inventent une nouvelle manière de vivre ensemble. Ce mouvement de démocratie radicale, qui s’ancre au niveau local mais se connecte au monde, place les citoyens au centre des décisions publiques et de la sauvegarde de l’intérêt général. Il réintroduit la démocratie directe en s’appuyant sur des valeurs sociales, féministes, écologiques et solidaires pour ouvrir le champ politique et en faire un espace d’émancipation et de transformation.

      Le municipalisme s’impose comme une alternative politique aux traditionnelles formes d’organisation et de pouvoir fondées sur la verticalité, la centralisation et le patriarcat. Ce guide est le fruit de la collaboration de plus de 140 maires, conseillers municipaux et militants du monde entier, tous investis dans le mouvement municipaliste mondial.

      Coordonné par la Commission internationale de Barcelona En Comú, il présente :

      – les bases théoriques du municipalisme et le rôle qu’il peut jouer, notamment dans la féminisation de la politique et la lutte contre l’extrême droite  ;

      – les outils pour préparer une candidature municipaliste, développer un programme participatif, rédiger un code éthique ou financer une campagne politique  ;

      – des exemples de politiques de transformation mises en œuvre dans des municipalités du monde entier en matière de logement, d’espace public ou de démocratie participative  ;

      – un répertoire des 50 principales plateformes municipales dans le monde.

      https://www.eclm.fr/livre/guide-du-municipalisme

    • POLICY ROUNDTABLE 17 RADICAL DEMOCRACY IN THE CITY COUNCIL

      Debate on the challenges, limits and opportunities of participatory procedures to develop real democracy at the local level.

      Speakers

      Elvira Vallés, Zaragoza City Council
      Bernardo Gutiérrez, MediaLab Prado, Madrid
      Gala Pin, Councilor for Participation and Districts, Barcelona City Council
      Brad Lander, Deputy Leader for Policy, New York City Council
      Áurea Carolina de Freitas, Councilor, Belo Horizonte City Council

      http://2017.fearlesscities.com/radical-democracy-in-the-city-council

      https://www.youtube.com/watch?v=xm7xOTsKpK8&feature=youtu.be

      #démocratie_radicale

    • Un #MOOC sur le municipalisme
      https://nos-communes.fr/actualites/mooc-sur-le-municipalisme

      Quelques captures d’écran :

      #Jonathan_Durand_Folco :

      « Dans [le] contexte [actuel] de crises et de revendications, c’est comme si il y avait une intuition qui est le fait que pour reconstruire la démocratie, on devait commencer à se réapproprier l’#espace_public comme tel et par la suite non seulement occuper des #places mais aussi à occuper les institutions. On pourrait dire que le relai organique de ces mouvements par la suite sera d’aller voir au plus près des conseils municipaux pour essayer de transformer les institutions de l’intérieur. Pour essayer de non seulement gouverner autrement, mais de pouvoir s’auto-gouverner et avec un certain relai revendications pour essayer de changer les choses par la suite »

      #Corinne_Morel_Darleux sur les limites du niveau local :

      « La #proximité dans un village ou dans une petite ville notamment est aussi source de #conflits, de #promiscuité, elle est aussi source de blocages politiques. Il faut les prendre en compte et ne pas sacraliser le local »

      #Magali_Fricaudet : Municipalisme et droit à la ville

      Les 4 caractéristiques du municipalisme :
      – la #radicalité_démocratique —> « comment est-ce qu’on gouverne en obéissant », comment est-ce qu’on applique la #démocratie_directe des #assemblées, mais aussi des mécanismes de contrôle de l’exercice du pouvoir, soutenir l’#expertise_citoyenne, travailler sur un #code_éthique des élus pour contrôler leur mandat
      – la #féminisation de la politique —> féminiser la politique c’est aussi changer l’approche de la politique et remettre en cause, par la pratique, le #patriarcat et ses valeurs (#compétitivité, exercice d’un #pouvoir basé sur le culture du chef et l’#autorité), c’est faire de la politique en écoutant
      – la #transition_écologique (#relocalisation_de_l'économie, les #remunicipalisations), comment changer le #paradigme_économique à partir du #local, contribution à la relocalisation, encourager l’#agriculture_urbaine et la gestion des #biens_communs
      – les #droits et les droits dans leur #universalité —> c’est la question des #migrants, quand on parle de #droits_universels on parle de #droits_pour_tous. Référence au #document_local_d'identité qui donne droit à toustes aux #droits_essentiels, aux équipements publics
      #universalité_des_droits —> « on gouverne pour les gens et par les droits ». Il s’agit de partir des droits et pas de la « machine qui prend en charge les gens »

    • "Collectivités locales, reprendre la main, c’est possible !"

      Le nouveau rapport de l’AITEC « Collectivités locales, reprendre la main, c’est possible ! Politiques publiques de #transition démocratique et écologique : #résistances et #alternatives locales à la libéralisation » se fonde sur une enquête approfondie menée en 2017 auprès d’élu-e-s, d’agents territoriaux, et d’acteur-trice-s du monde associatif. Il met en avant des politiques publiques locales alternatives, plus démocratiques, plus justes et plus durables, à rebours de la libéralisation des marchés, du tout-privé et d’une économie hors-sol.

      L’aspiration modeste est de dresser un paysage non exhaustif des contraintes réglementaires que rencontrent les collectivités locales progressistes pour porter des politiques publiques locales de transition démocratique et écologique. Ce rapport propose des pistes pour saisir les opportunités permettant de créer un “écosystème” d’alternatives afin de renouveler ou inventer des formes de gouvernance locale plus démocratiques, justes et durables.

      Les politiques néolibérales d’austérité et de libéralisation des échanges commerciaux et financiers ont poussé dans le sens d’une transposition des règles du marché dans la sphère publique. Elles placent les grandes entreprises, souvent transnationales et fortes de moyens techniques et financiers importants, en partenaires idéaux des pouvoirs publics. Ces politiques participent de l’assèchement des systèmes de solidarités publics et de l’asphyxie de l’économie de proximité : remise en cause de l’universalité des services publics, difficultés de relocalisation de l’économie, gestion comptable déshumanisée des politiques publiques, etc. Elles étouffent les possibilités de développer les politiques nécessaires pour répondre aux défis sociaux et environnementaux auxquels nous faisons face localement et globalement.

      Pour autant, ces contraintes n’éliment pas la motivation de certaines collectivités à faire émerger tout un panel de solutions pour contre-carrer les ambitions de lucrativité et d’accaparement portées par les tenants de la doxa néolibérale. Trois entrées d’alternatives ont pu être identifiées :

      1. Premièrement, il s’agit de (re)démocratiser des services publics : remunicipaliser les services publics, investir dans des sociétés coopératives d’intérêt général (SCIC), ne pas s’enfermer dans des contrats de partenariats publics-privés etc. Cela permet de pouvoir garder la main publique sur les services et donc le contrôle des dépenses et des orientations, d’inclure les citoyen-ne-s dans les processus de contrôle et de décision, et d’orienter les (ré)investissements pour l’amélioration et l’accessibilité du service ;

      2. Deuxièmement, il s’agit d’aller vers une commande publique responsable : privilégier les achats publics locaux en prenant en compte les notions de cycle de vie ou de circuit-court, bien connaître l’offre territoriale pour adapter la demande publique aux capacités des TPE/PME et entreprises de l’économie sociale et solidaire (ESS), etc. Cela permet de prendre en compte l’impact social et environnemental de l’achat public tout en relocalisant l’économie et en soutenant les acteurs socio-économiques locaux ;

      3. Troisièmement, il s’agit de travailler avec et pour le tissu socio-économique du territoire : structurer l’offre des acteur-trice-s économiques locaux (familiaux, artisanaux, agricoles ou éthiques), faciliter l’accès au foncier et aux équipements publics pour les acteur-trice-s de l’ESS, soutenir des initiatives de coopératives citoyennes (d’habitant-e-s, d’énergies renouvelables, etc.), etc. Cela renforce l’offre locale face aux grands groupes, tout en allant vers une (re)démocratisation des rapports socio-économiques locaux.

      https://aitec.reseau-ipam.org/spip.php?article1663

      #rapport #AITEC

    • Le « municipalisme libertaire » de Bookchin : un chemin vers la reconquête démocratique ?

      Débat entre #Pinar_Selek, sociologue et militante féministe, et #Aurélien_Bernier, essayiste et défenseur de la démondialisation. Tous deux discutent des thèses de Murray Bookchin concernant le « #communalisme », et des expériences qu’elle nourrissent.

      Citation de Bookchin pour commencer le débat :

      https://www.youtube.com/watch?v=ejksnPBJVtU

    • Agir ici et maintenant. Penser l’#écologie_sociale de Murray Bookchin

      L’effondrement qui vient n’est pas seulement celui des humains et de leur milieu, mais bien celui du capitalisme par nature prédateur et sans limites. Historiquement désencastré du social et nourri par l’exploitation et la marchandisation des personnes, il étend désormais son emprise sur toute la planète et sur tous les domaines du vivant. C’est en se désengageant d’un constat fataliste et culpabilisant que nous retrouverons une puissance d’agir ici et maintenant. Quoi de mieux, pour cela, que de relire Murray Bookchin et d’appréhender toutes les expérimentations et pratiques qui se développent après lui, aujourd’hui, autour de nous ?

      Floréal M. Romero dresse ici le portrait du fondateur de l’écologie sociale et du municipalisme libertaire. Il retrace son histoire, son cheminement critique et politique. De l’Espagne au Rojava, en passant par le Chiapas, l’auteur propose, à partir d’exemples concrets, des manières d’élaborer la convergence des luttes et des alternatives pour faire germer un nouvel imaginaire comme puissance anonyme et collective.

      Essai autant que manifeste, ce livre est une analyse personnelle et singulière de la pensée de Bookchin qui trouve une résonance bien au-delà de l’expérience de l’auteur. Il apporte des conseils pratiques pour sortir du capitalisme et ne pas se résigner face à l’effondrement qui vient.

      https://www.editionsducommun.org/products/agir-ici-et-maintenant-floreal-m-romero

    • L’illusion localiste. L’arnaque de la décentralisation dans un monde globalisé

      Rapprocher le pouvoir du citoyen , instaurer la « démocratie participative, soutenir le développement territorial et l’économie « de proximité…

      A l’approche des élections municipales, on assiste à une surenchère des mots d’ordre localistes et décentralisateurs. On les retrouve dans tous les discours politiques, de la gauche à l’extrème-droite en passant par la droite et les socio-démocrates.

      La participation des habitants et les promesses de changement « par en bas » sont dans tous les programmes. Les démarches et les listes « citoyennes », plus ou moins instrumentalisées par les partis traditionnels, se multiplient. Même le président de la République s’affiche localiste : en réponse à la crise de « Gilets jaunes », il promet une nouvelle phase de décentralisation pour la deuxième moitié de son mandat. A en croire nos élites, c’est donc par l’action municipale ou régionale que les problèmes économiques, sociaux, environnementaux ou démocratiques pourraient être résolus...

      Ce livre s’attache à déconstruire ce mensonge. Car la mondialisation, elle, ne rapproche pas le pouvoir du citoyen, mais l’éloigne considérablement. Les décisions économiques sont concentrées aux mains des grandes firmes et de leurs actionnaires, et s’imposent aux peuples par delà les principes démocratiques. Les droits sociaux sont en régression permanente à cause de la concurrence internationale. Et la classe politique n’en finit plus de se discréditer en obéissant aux injonctions des marchés.

      La « mondialisation heureuse » ayant fait long feu, c’est le « localisme heureux » qu’à présent on cherche à nous vendre. Le terroir et les circuits courts pour compenser les ravages de la mondialisation. Le régionalisme pour masquer le désengagement de l’État, la destruction ou la privatisation des services publics.

      Cette « illusion localiste » doit être dénoncée. Non pas que l’action de proximité soit négligeable, car s’engager dans la vie locale est tout à fait nécessaire. Mais pour sortir du piège de la mondialisation, cela ne suffit pas. Plutôt que d’opposer l’action locale et celle de l’État, mieux vaudrait les articuler.

      http://www.editions-utopia.org/2019/11/04/lillusion-localiste

    • Un séminaire en ligne (et en italien) avec #Iolanda_Bianchi, qui a écrit une thèse de doctorat sur Barcelone:

      Città, beni comuni, partecipazione: Esiste il modello Barcellona? Seminario online di formazione con Iolanda Bianchi

      PRESENTAZIONE
      Barcellona è stata al centro delle mobilitazioni popolari contro le politiche di austerità che si svilupparono in Spagna a partire dal 2011 (il cosiddetto movimento degli indignados - M-15). Nel 2015 fu eletta al governo della città una coalizione civica «Barcelona en comú» guidata da Ada Colau, un’attivista per il diritto all’abitare. Da allora il governo locale si è impegnato a mettere in campo politiche volte a correggere le distorsioni dello sviluppo urbano di segno neoliberale, sui temi della regolamentazione degli alloggi turistici (a partire dal piano PEUAT del 2017), della vivibilità dello spazio pubblico (la pedonalizzazione di isolati urbani, i cosiddetti «superblocchi» o «supermanzanas»), della gestione dei beni comuni. Queste iniziative sono state segnate da successi come da fallimenti. Alla luce di questa esperienza, in questo seminario discutiamo del cosiddetto «modello Barcellona» di neo-municipalismo, in connessione con le esperienze italiane di campagne per il diritto alla città e all’abitare in cui noi in prima persona siamo stati coinvolti in questi anni.

      IOLANDA BIANCHI è una studiosa di processi politici in una dimensione urbana. Ha conseguito il dottorato di ricerca in urbanistica e politiche pubbliche presso l’Università Autonoma di Barcellona e l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. La sua ricerca si focalizza sulle forme alternative di soddisfacimento dei bisogni e dei diritti primari alla scala urbana, osservate dal punto di vista delle collaborazioni tra società civile e istituzioni pubbliche. Attualmente è ricercatrice post-dottorato «Juan de la Cierva» presso l’IGOP, l’Istituto di Governo e Politica Pubblica dell’Università Autonoma di Barcellona. E’ autrice di numerosi articoli scientifici in riviste internazionali e italiane.

      https://www.facebook.com/events/409241853637821

    • Hello,

      La Fondation Roi Baudouin a initié pas mal de travaux, réflexions, projets visant à développer au niveau communal des analyses et/ou des projets qu’on pourrait qualifier « d’inspiré.e.s par un certain humanisme ». Je discerne un lien avec les études en urbanisme et je trouve (un peu « vite fait »...) par exemple 2 documents qui me semble potentiellement inscrits dans la liaison entre les thématiques Commune/Humanisme/Urbanisme (mais les « ismes », dont le municipal, sont sous-jacents, non spécifiquement étudiés). Cela pourrait être utile par exemple comme fond documentaire pour un tel atelier ? ;-)

      – La pauvreté des enfants au niveau local : cartographie communale
      https://www.kbs-frb.be/fr/cartographie_pauvreteinfantile
      – Communes Alzheimer Admis – Un guide pour vous inspirer
      https://www.kbs-frb.be/fr/Virtual-Library/2011/295136

  • « Mitsu », qui évoque la proximité, élu caractère de l’année au Japon
    https://www.lemonde.fr/international/article/2020/12/15/mitsu-qui-evoque-la-proximite-elu-caractere-de-l-annee-au-japon_6063465_3210

    Dans un Japon confronté à une inquiétante troisième vague de contaminations au Covid-19, le kanji − caractère chinois utilisé en japonais − mitsu a été choisi comme décrivant le mieux l’année écoulée. Dévoilé lundi 14 décembre depuis la célèbre terrasse du temple Kiyomizu-dera, au fil du pinceau de Seihan Mori, le supérieur de la célèbre enceinte bouddhiste des hauteurs de Kyoto (Ouest), ce caractère porte les sens de proximité et de densité. Tout au long de 2020, il a figuré dans les slogans appelant à respecter les gestes barrières. Le plus connu reste san mitsu. Imaginé en mars par le ministère de la santé, il détaillait « trois » (san) habitudes à suivre pour éviter la contamination : éviter les lieux confinés, les sites encombrés et les contacts rapprochés. Preuve de son importance, san-mitsu a été désigné le 1er décembre « mot de l’année » par la maison d’édition Jiyû Kokuminsha − qui publie chaque année le Dictionnaire du vocabulaire contemporain − en partenariat avec le site éducatif U-Can.

    #Covid-19#migrant#migration#japon#sante#culture#communication#distance#proximite#densite

  • Les #migrations amènent-elles un « #grand_remplacement » culturel ?
    Ce texte résume la présentation de #Hillel_Rapoport au Collège de France le 20 janvier 2020 de l’article « Migration and Cultural Change », co-écrit avec Sulin Sardoschau et Arthur Silve : https://sistemas.colmex.mx/Reportes/LACEALAMES/LACEA-LAMES2019_paper_274.pdf

    La #mondialisation n’est pas qu’économique, elle est également culturelle. Elle concerne le commerce, les mouvements de capitaux et les migrations tout autant que les #modes_de_consommation, les #croyances et les #valeurs. Ces différentes dimensions de la mondialisation sont étroitement liées : la #mondialisation_économique et la #mondialisation_culturelle sont complémentaires. S’il paraît évident que le #commerce est un vecteur de #diffusion_culturelle, qu’en est-il des migrations ? Les hommes étant porteurs et transmetteurs de culture, ils contribuent par leurs mouvements au changement culturel global. Mais pour aller vers quoi ? La création d’un « village mondial », une américanisation du monde, une polarisation culturelle conduisant à un « choc des civilisations », voire un « grand remplacement », non pas démographique mais, plus insidieusement, culturel ?

    Notre article apporte des éléments de réponse empiriques à ce débat. Nous reprenons la définition usuelle de la #culture (ensemble de valeurs et croyances apprises et transmises) et reformulons la question de recherche de la manière suivante : les migrations rendent-elles les pays d’origine et d’accueil culturellement plus proches les uns des autres et, si oui, qui converge vers qui ?

    Des bases de données très fournies

    Nous évaluons la #proximité_culturelle entre deux pays en construisant des #indicateurs standardisés à partir du « #World_Values_Survey » (WVS), une enquête internationale réalisée tous les cinq ans depuis le milieu des années 80 et qui pose un ensemble de questions identiques à un échantillon représentatif d’individus dans un grand nombre de pays. Les questions (plusieurs dizaines) portent sur les #valeurs que les gens souhaitent transmettre à leurs enfants, leurs priorités dans la vie, leur degré de confiance (envers les autres, leurs gouvernements, les médias) ou encore leur degré de religiosité.

    Nos indicateurs permettent de mesurer la proximité culturelle entre deux pays et d’examiner l’effet des migrations internationales sur l’évolution de cette dernière. Les données sur les migrations proviennent des bases de la Banque Mondiale ou de l’OCDE. La périodicité des observations est de cinq années, correspondant aux différentes vagues du WVS.

    Mais que tester exactement ? On peut chercher à répondre à la question factuelle de la #convergence ou de la #divergence culturelle amenées par les migrations internationales, mais il est encore plus intéressant de comprendre quels sont les facteurs explicatifs derrière tel ou tel résultat.

    Quel pays converge culturellement vers l’autre ? Une question délicate

    Nous construisons pour cela un modèle théorique en partant de l’hypothèse que les individus migrent à la fois pour des motifs économiques (gain économique individuel escompté de la migration) et pour des motifs culturels (désir d’évoluer dans un environnement plus proche de leurs valeurs). Les migrants représenteront un échantillon d’autant plus culturellement représentatif du pays d’origine que le motif économique primera sur le motif culturel, et d’autant plus sélectionné culturellement dans le cas inverse. On identifie par ailleurs trois canaux dynamiques de transmission culturelle une fois la migration réalisée : la « #dissémination » (lorsque les immigrés diffusent leur culture auprès des populations natives du pays d’accueil), l’« #assimilation » (lorsque les immigrés absorbent la culture du pays d’accueil), et les « #rémittences_culturelles » (lorsque les émigrés transfèrent la culture du pays hôte vers le pays d’origine).

    Nos résultats montrent que la migration tend à promouvoir la #convergence_culturelle, ce qui est compatible dynamiquement avec les motifs de dissémination et de rémittences culturelles. Mais qui converge vers qui ? Il est difficile techniquement et délicat conceptuellement de répondre à cette question : imaginez que vous regardez le ciel et voyez deux étoiles à deux moments du temps : vous pouvez dire si elles se sont rapprochées ou éloignées, mais pas laquelle s’est rapprochée ou éloignée de l’autre, parce que la carte du ciel (qui dépend de la position de la terre) a elle-même bougé. C’est ici qu’il est utile, et même indispensable, de disposer d’un modèle théorique pour aller plus loin.

    Notre modèle théorique permet de tester nos prédictions empiriques

    La convergence culturelle induite par les migrations, que nous observons, provient-elle de la transformation culturelle des pays d’accueil, transfigurés (ou défigurés) qu’ils seraient par l’absorption des normes et valeurs culturelles importées par les immigrants, comme le soutiennent les tenants de la théorie du grand remplacement culturel ? Ou sont-ce les pays de départ qui se transforment par adoption de valeurs et normes issues des traditions et cultures des pays de destination de leurs émigrants, ce que soutiennent les sociologues à travers le concept de « #social_remittances ».

    Notre modèle théorique permet de prédire l’intensité de la convergence (ou de la divergence) selon l’importance relative des motifs économiques et culturels de la migration. Si le motif économique est dominant dans la décision de migrer, on peut s’attendre à ce que les migrants représentent un échantillon culturellement assez représentatif de la population du pays de départ. Dans ce cas, la migration est un facteur de convergence culturelle puisqu’elle consiste à mixer dans le pays de destination deux populations culturellement différentes. Si le motif culturel est dominant, les individus culturellement proches de la population du pays de destination seront surreprésentés parmi les émigrants. La migration est alors un facteur de divergence culturelle au sein de la minorité car elle renforce le groupe ou le type culturellement dominant dans le pays de destination.

    Ce que montrent les prédictions dynamiques du modèle, c’est que plus le motif culturel est important, plus la convergence sera forte si le mécanisme sous-jacent de #transmission_culturelle est de type « rémittences culturelles » et faible si le mécanisme sous-jacent est de type « dissémination » ; inversement, plus le motif économique est prévalent, plus on s’attend à ce que la convergence soit forte en cas de dissémination et faible en cas de rémittences culturelles. Il s’agit là de prédictions que l’on peut tester indifféremment à partir de ces deux mécanismes, ceux-ci pouvant donc être différenciés empiriquement.

    La migration concourt bien à la convergence culturelle des pays de départ vers les pays d’accueil

    Notre travail empirique a donc consisté à tester ces différentes prédictions et le résultat principal est que la migration concourt bien à la convergence culturelle des pays de départ vers les pays d’accueil. Autrement dit, le mécanisme de transmission dominant provient des rémittences culturelles. Il s’agit là d’un résultat robuste, significatif statistiquement et important quantitativement. Tous les tests empiriques pointent dans la même direction : c’est le mécanisme de « rémittences culturelles » qui ressort chaque fois vainqueur ; à chaque fois, on trouve une convergence culturelle plus forte lorsque les gains économiques sont plus faibles et/ou lorsque les gains culturels sont plus forts. Ces résultats disqualifient donc le mécanisme de dissémination et les thèses « épidémiologiques » fondées sur l’idée que les immigrés disséminent leur culture vers les populations natives des pays d’accueil (thèses qui, dans leur version complotiste, culminent dans les théories du #grand_remplacement_culturel).

    http://icmigrations.fr/2020/06/08/defacto-020-03
    #culture #changement_culturel

  • Les questionnements autour de la proximité sont d’actualité. Quelles sont les perspectives qu’offrent les sciences humaines ? #espace #distance #proximité #shs #géographie

    https://sms.hypotheses.org/19070

    La proximité est désormais reconnue à l’échelle internationale par les chercheurs, les décideurs politiques et les professionnels comme un outil pertinent d’analyse de la dimension territoriale des phénomènes économiques et sociaux. Mais sait-on que cette notion est développée et popularisée par des chercheurs réunis depuis 25 ans dans le groupe « Dynamiques de proximité » ?

    Dès le départ, ce groupe se donne comme perspective centrale d’établir des ponts solides entre l’économie industrielle (recherches sur l’innovation, la production…) et l’économie spatiale et régionale, en considérant qu’un croisement d’approches qui s’ignoraient encore serait fertile. Il s’agit pour ce collectif de chercheurs en sciences sociales d’intégrer le rôle de l’espace dans l’analyse, en le considérant non pas comme obstacle, mais comme une ressource (...)

  • La proximité affichée avec un chat ou un chien est au centre de la vie sociale de nombreuses personnes. Notamment grâce aux réseaux sociaux qui diffusent largement ces images
    #chats #chiens #proximité #VieSociale #RéseauxSociaux

    https://sms.hypotheses.org/20965

    Quelles relations entretenons-nous avec les animaux, notamment les animaux de compagnie ? Sont-ils au cœur de notre vie sociale ? Pensez à votre téléphone : s’il est encore une fois inondé de photos d’animaux mignons, c’est la faute à cette amie, celle qui poste tout le temps des photos de son chat, et qui en parle comme si c’était son bébé.

    La proximité affichée avec un chat ou un chien occupe en réalité une place grandissante dans notre quotidien, notamment grâce aux réseaux sociaux qui véhiculent largement ces images. Malgré cela, il n’existe en France que très peu de travaux sur le sujet, alors même que le lien entre un adulte et son animal revêt des formes très variées. Émilie Morand et François de Singly, ont donc décidé d’étudier cette relation entre un adulte et un animal domestique (...)

  • L’économie du viol : prostitution et aménagement du territoire en Allemagne (2/3)
    https://www.50-50magazine.fr/2019/10/17/leconomie-du-viol-prostitution-et-amenagement-du-territoire-en-allemag

    Les villes allemandes sont attrayantes, elles ont des centres urbains touristiques et vivants, des centres industriels et administratifs, des zones commerciales en périphérie. La prostitution s’adapte à chaque tissu urbain. Dans les banlieues et les zones industrielles, la densité d’établissement de consommation de viols tarifés est forte : entre une concession automobile et un magasin de bricolage, lieux souvent fréquentés par les hommes, ces eros centers ou « clubs » font partie du paysage. Ils ont des enseignes lumineuses explicites, des fenêtres décorées et lumineuses, une sonnette à l’entrée, ainsi qu’une caméra de surveillance. Souvent la porte porte la mention « entrée interdite aux femmes », très paradoxale alors qu’il n’y a que des femmes à l’intérieur…

    Les clients fréquentent d‘autant plus les bordels qu‘ils sont en déplacement professionnel et ne risquent pas d‘y rencontrer leurs voisin.nes. La camaraderie qui se noue lors de voyages d‘affaire se consolide souvent au bordel. Les chefs d‘entreprise peuvent y inviter leurs cadres, les cadres d‘un même service s‘y retrouver pour décompresser.

    Les entreprises installées sur la même zone s‘accommodent de ce voisinage, nouent même des relations commerciales privilègiées avec les Clubs. Tel négociant en vins propose à un „club érotique“ du voisinage des bouteilles customisées portant le nom du bordel. Souvent les studios de tatouage, les salles de musculation sont des voisins compréhensifs et coopérants : leurs clients sont les mêmes, même si les tatouages sont très répandus et ne sont pas le signe distinctif du prostitueur, Il y a beaucoup de prostitueurs tatoués. Et une des légitimations de l‘achat de sexe est l‘augmentation du taux de testostérone dans le sang lors d‘une activité sportive. La proximité géographique des salles de sport et des bordels est donc fréquente.

    #prostitution #viol #masculinité #boys_club #fraternité #sport

  • #Biorégions_2050

    Biorégions 2050 est le résultat d’un atelier de #prospective sur l’#Île-de-France #post-effondrement, téléchargeable gratuitement. Nous sommes presque en 2050. L’Île-de-France a subi une #fragmentation forcée résultant du #Grand_Effondrement. À partir de 2019, les effets du #dérèglement_climatique sont devenus de plus en plus perceptibles, obligeant une partie de la population francilienne – la plus aisée – à quitter la région. En raison d’une #crise_économique liée à l’interruption erratique des flux de la #mondialisation, la carte des activités a dû être redessinée et la capacité d’autoproduction renforcée. Le tissu des bassins de vie s’est redéployé autour de localités plutôt rurales et s’est profondément relocalisé. La vie quotidienne a retrouvé une forme de #convivialité de #proximité, à base d’#entraide et de #solidarité. Les #hypermarchés ont disparu, démontés pour récupérer le #fer et l’#aluminium. Certains #centres_commerciaux ont été transformés en #serres de #pépinières. Le #périphérique a été couvert de verdure et transpercé de radiales cyclistes et pédestres qui conduisent aux #biorégions limitrophes. La fin des #moteurs_thermiques, liée à la pénurie de #pétrole et à des décisions politiques, a induit une atmosphère nouvelle. L’#ozone_atmosphérique et les #microparticules ne polluent plus l’#air. Les #cyclistes peuvent pédaler sans s’étouffer. Mais les épisodes de #chaleurs_extrêmes interdisent encore la circulation sur de grandes distances par temps estival.


    http://fr.forumviesmobiles.org/publication/2019/03/27/bioregions-2050-12915
    #pollution #climat #changement_climatique #collapsologie #effondrement #scénario

    Le pdf :
    http://fr.forumviesmobiles.org/sites/default/files/editor/bioregions_2050.pdf

  • Une France qui se tient sage

    Aveugles et hostiles à l’intelligence d’un mouvement qui retourne contre le néo-pouvoir les #valeurs qu’on lui inculque (#disruption, #mobilité, #agilité) et qui renvoie la #police à sa #violence archaïque (#blindés, #voltigeurs et #police_montée), les médias auront été les meilleurs #chiens_de_garde du #pouvoir et de la police, mais aussi les révélateurs du mépris des #élites et des journalistes pour les gilets jaunes, ces ploucs défavorisés : Cnews invitant #Patrick_Sébastien qui connaît ces gens-là, Le Monde les traitant d’« #invisibles » (mais aux yeux de qui ?), des philosophes contrits qui auraient préféré voir surgir un autre #peuple, plus jeune et plus mixte, congédiant ce peuple-ci comme beauf et FN. Et tous ces #experts nous expliquant que la #révolte a lieu grâce au changement d’#algorithme de #Facebook accentuant le rôle des « groupes », comme si les gens n’étaient pas capables de s’assembler tout seuls, et qu’il fallait bien une intelligence supérieure pour les sortir de leur bêtise. Merci M. Zuckerberg d’illuminer nos campagnes. Or le #mouvement est d’abord un mouvement de #rond-point, de #proximité et de #rencontres, qui provoque une extraordinaire redistribution des rôles.

    Le récit raconté par les médias était répugnant. La #TV s’est encore une fois ridiculisée face à #Internet. D’un côté cette image terrifiante présentée comme sécurisante au JT de 20 h, le 15 décembre, de manifestants devant l’Opéra qu’on empêche de rejoindre les Champs sous l’œil de la police montée prête à charger. De l’autre la profusion sauvage des « vidéos de #violences_policières », qui à force deviennent un genre en soi. Au Burger King à Paris, une femme est matraquée au sol, à Biarritz, en marge de tout mouvement de foule, une autre est frappée au visage par un tir de flash-ball. D’abord on empêche de manifester, puis on parque dans une fan zone, ensuite on gaze, et la semaine suivante on interdit les casques, masques et lunettes, indices de « radicalisation ». Des #CRS caparaçonnés en Robocop visent la tête nue de gilets jaunes auxquels on retire le droit de se protéger. Résultat : 170 personnes à l’hôpital à Paris le 8 décembre. 24 plaintes de photographes et journalistes. #Intimidation totale des manifestants. Et la honte : Paris se refermant sur lui-même comme un château-fort face aux hordes de manants.

    Les médias n’agissent pas que par obéissance, mais par perplexité et bêtise, parce qu’il leur manque une case : la case politique. Habitués à commenter des stratégies électorales, ils ne comprennent pas quand émerge un #fait_politique, ils ne le voient pas. Ils répètent que le mouvement n’est pas politique (alors qu’il n’est pas partisan, ce n’est pas la même chose). À la place, on le moralise (la violence, c’est mal !), on le judiciarise. On le scinde : les bons manifestants (qui se tiennent sages) et les mauvais (qui cassent). On parle de casseurs en mélangeant les pilleurs qui en profitent et les manifestants en colère qui se demandent jusqu’où ils sont prêts à aller. Pire encore : on militarise le conflit. Les médias ont parlé de scènes de guerre (quand parfois brûlaient juste une poubelle et un sapin de Noël), fantasmé la guerre civile, épouvantail agité par un État irresponsable qui comptait bien monter les uns contre les autres (« il va y avoir des morts ! »). La police a sorti les chiens, joué aux cow-boys avec ses LBD40, des flash-balls augmentés. Un quart de Paris a été transformé en ville morte, 46 stations de métro fermées le 15 décembre. Il fallait y être pour voir les gilets jaunes transformés en âmes errantes cherchant un endroit où se retrouver. Et on s’étonne de la colère du peuple alors qu’on le traite en ennemi ?

    Le contrechamp logique est la vidéo inouïe des lycéens de Saint-Exupéry à #Mantes-la-Jolie, qui dit l’ambition de ce pouvoir de plus en plus autoritaire. Une France qui se tient sage comme une image. La #banlieue ressemblait soudain aux pires fantasmes de BFM, TF1 ou LCI : à la Syrie. Une voix sinistre se félicitait en sifflotant : « Voilà une classe qui se tient sage, faudra balancer à leurs profs, je pense ils ont jamais vu ça. » Des #images « choquantes » ont dit les médias : ça n’engage à rien. Même ce planqué de Blanquer l’a dit. Alors qu’elles sont monstrueuses, inadmissibles, inexcusables. Les journalistes ont appris à l’école à ne pas donner leur avis, à recueillir les propos, citer les réseaux sociaux et réciter les éléments de langage. Des lycéens ont été agenouillés comme attendant une balle dans la tête, et jetés au milieu des poubelles, comme des détritus. Quelle leçon le petit coq français sur son fumier va-t-il encore vouloir donner au monde en matière de droits de l’homme ?


    https://www.cahiersducinema.com/produit/edito-n751-janvier-2019-une-france-qui-se-tient-sage

    #médias #gilets_jaunes #presse #journalisme #catégorisation #bons_manifestants #mauvais_manifestants #casseurs
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