“Le aggressioni subite dal centro per migranti gestito dalla cooperativa ‘Un sorriso’, in via Giorgio Morandi, nel quartiere romano di Tor Sapienza, il 10 e l’11 novembre scorso, hanno dato modo alla rabbia dei cittadini del quartiere di uscire; una rabbia che si è rivolta verso la mancanza delle istituzioni nel quartiere, il degrado delle periferie, la mancanza dei servizi, la criminalità micro e non, la prostituzione sulle strade. Queste considerazioni sono assolutamente condivisibili, sono le conclusioni a non esserlo. Che la causa di tutto ciò siano dei minori stranieri o dei rifugiati, è inaccettabile; ed egualmente inaccettabile è che la loro semplice presenza sia vista come segno di degrado, sinonimo implicito di criminalità, insicurezza, abbandono. A questo noi operatori ci stiamo, crediamo invece che l’immigrazione sia una ricchezza, che però va sostenuta e valorizzata: all’interno dei nostri progetti ogni giorno spendiamo energia, professionalità e passione per l’inclusione sociale di chi scappa dal suo Paese, o per chi ha scelto di venire in cerca di un futuro migliore. Questo non toglie niente ai cittadini italiani. Non ci stiamo a chi aizza la cittadinanza contro i migranti per far dimenticare quali siano i problemi reali e la loro origine. Quest’ultima crediamo che sia piuttosto da rinvenirsi in tutti quei piani regolatori di sviluppo metropolitano che si sono susseguiti nel corso degli anni e che non hanno mai preso in considerazione la dignità del vivere in quartieri pensati e strutturati per le esigenze di chi lo abita. Per gli operatori impegnati tutti i giorni a prendersi cura degli ospiti, è stato sconcertante vedere i ragazzi minori terrorizzati durante gli attacchi, mentre cercavano di spegnere le bombe-carta con gli idranti antincendio, barricandosi nella struttura con qualsiasi mezzo, scardinando le porte e le testate dei letti per impedire alle porte esterne di aprirsi. La commozione è stata forte quando, pochi giorni dopo essere stati trasferiti nel quartiere dell’Infernetto sono tornati da noi con valigie e buste alla mano, con la forza e la determinazione di chi capisce di subire una ingiustizia e vorrebbe tornare in quella che fino a poco prima era avvertita come qualcosa che quantomeno si avvicinava all’idea di una “casa”. Ci pervade un senso di grande amarezza nel vedere le stanze dei ragazzi vuote, i corridoi silenziosi, le tazze con i loro nomi sparse dappertutto, gli abiti e le ciabatte lasciati nelle camere come quando si scappa per una scossa di terremoto e non si ha il tempo di capire cosa sta accadendo. Ma questo non è un terremoto, è una questione sociale e politica, ed è dovere nostro e delle istituzioni pensare a delle soluzioni che non la diano vinta alla violenza e alla xenofobia ma che incoraggino al contrario la convivenza e la voglia di risolvere insieme i problemi che tutti nel quartiere subiamo. Noi operatori continuiamo, come ogni giorno da tre anni a questa parte, il nostro lavoro quotidiano di assistenza: attraverso diversi progetti sono attivi un centro di pronta accoglienza per minori stranieri non accompagnati, una casa famiglia per minori in difficoltà, uno centro di accoglienza per richiedenti e titolari adulti di protezione internazionale della rete (sistema di protezione internazionale per richiedenti asilo e rifugiati). Lo facciamo anche se oggi la paura è grande. Le minacce e gli attacchi ricevuti in questi giorni non ci permettono di sentirci sicuri e il lavoro procede in un clima di insicurezza e precarietà, nonostante la presenza costanze delle forze dell’ordine che presidiano il centro. Un sentimento comune a quello che provano anche gli ospiti, come hanno scritto in una lettera aperta subito dopo le giornate degli attacchi”.