la vera storia del naufragio di Cutro

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  • Segregare e punire: il disegno politico brutale dentro il “decreto Cutro”

    Nonostante la pletora di emendamenti il quadro del provvedimento governativo appare definito: centri informali chiusi, procedure accelerate, smantellamento della protezione speciale, ostacoli alla conversione dei permessi di soggiorno in permessi per attività lavorativa. “Una strategia illegale e sconsiderata”, osserva Michele Rossi

    Per comprendere il testo del decreto legge 10 marzo 2023 (https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=19&id=1375360&part=doc_dc-allegatoa_aa), il cosiddetto “decreto Cutro”, occorre applicare con grande concentrazione le parole d’ordine gramsciane circa il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà (A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, 2014). Pessimismo dell’intelligenza perché siamo certamente di fronte al più violento e invasivo tentativo di sovvertimento di alcuni fondamentali istituti costituzionali, democratici e sociali della recente storia repubblicana.

    Non deve in tal senso ingannare il fatto il decreto legge riguardi “solo” migranti e “solo” norme che disciplinano l’immigrazione. È evidente che sottesa a tale disciplina risulta ben visibile un’idea di società e pur producendo un certo accanimento su uno specifico gruppo sociale -i migranti-, l’intento, nemmeno troppo malcelato, è di intervenire sui rapporti tra gruppi sociali: un’operazione di “ortopedia sociale” (M. Focault, Sorvegliare e Punire, Einaudi, 2014) volta a separare, segmentare, disgiungere le comunità, annichilirne la tensione, individuale e collettiva all’integrazione, alla coesione, allo stesso contatto interculturale. Il decreto opera -purtroppo con conseguenze drammatiche- innanzitutto sulle persone migranti, ma colpendo loro, frammenta il corpo sociale intero, con pesanti ripercussioni su tutti. Non si tratta nemmeno più di modelli di accoglienza, addirittura il paradigma securitario credo non basti a interpretarne la ratio e la filosofia di fondo, vedremo, ma di produrre condizioni di tale aleatorietà da rendere ordinario l’arbitrio, la deterrenza sistematica sino all’avveramento della profezia: non è possibile nessuna integrazione, solo marginalità e segregazione.

    Del resto, come proveremo ad argomentare, per immaginare un tale impianto andava raccolto e finalizzato un lungo periodo di semina culturale e nei fatti, la nuova costruzione normativa non poteva che ergersi su fondamenta feroci, una de-soggettivazione del migrante e la criminalizzazione della solidarietà sociale. Nonostante la pletora di emendamenti, frutto di una ben organizzata e accurata strategia, il quadro normativo e anche simbolico e culturale appare definito e spaventoso: centri informali chiusi, procedure accelerate, smantellamento della protezione speciale, ostacoli alla conversione dei permessi di soggiorno in permessi per attività lavorativa. In poche parole: segregare e punire. Una strategia illegale e sconsiderata, che ha chiaramente una pesantissima ricaduta sociale su persone, territori e comunità.

    Impotenza e aggressività
    Il “decreto Cutro” emendato, con le sue novazioni normative, non è infatti preciso ma piuttosto confuso e lo è forse, volutamente. Vuole, questo è chiaro, rendere non più esigibili che quei diritti che non può permettersi di negare apertamente, come (forse) vorrebbe. Per questo sembra più orientato a creare caos, paura e incertezza che a prescrivere e normare un qualsivoglia governo del fenomeno. La lettura consegna abbastanza nitido il tentativo di rendere organico un sistema di deterrenza: non puoi arrivare, se arrivi non puoi stare, se stai verrai recluso, non avrai il permesso di soggiorno e non potrai muoverti, se e quando potrai muoverti non troverai accoglienza, se la troverai avrai pochi servizi e sconterai il tempo che avrai passato ad attendere, non potrai lavorare regolarmente e renderti autonomo, se anche lavori non potrai convertire il permesso in lavoro: preparati ad essere sempre marginale e per te oltre allo sfruttamento, nessuna garanzia e nessun futuro.

    In estrema sintesi, e semplificando (ma nemmeno troppo) questo è il suo contenuto: si rivolge allo straniero e -con l’aggressività dell’impotenza (i promessi blocchi navali non sono stati in effetti realizzati)- promette sofferenza, spaventa, annichilisce il diritto ma anche la speranza. In questo senso la sua banalità non deve ingannare: è tanto più pericoloso quanto studiato frutto di una meticolosa applicazione.

    Dove possiamo colpire siccome non possiamo fermare? Dove possiamo ostacolare siccome non possiamo negare? Stupisce però che il governo abbia applicato la sua logica senza nessuna remora circa le conseguenze, in termini di sofferenza, illegalità, marginalità e quindi del prezzo di un tale impianto sulle vite individuali e sulla società tutta che questa operazione comporterà. Il messaggio sociale, culturale e simbolico è tanto più nascosto nelle pieghe di mille emendamenti quanto più è forte anche in questo senso, e suona come un monito: “Attenzione, siamo disposti a tutto”. Un monito che traduce un senso del potere sulla vita delle persone incondizionato e feroce.

    La “banalità” degli emendamenti
    In tal senso non deve nemmeno ingannare che una ipotesi così invasiva e violenta avvenga attraverso decine e decine di singoli emendamenti, che con il loro aspetto tecnico e procedurale parrebbero offrire una qualche forma di rassicurazione: “Non si può operare un tale sovvertimento attraverso emendamenti”; ossia cancellazioni e aggiunte di commi, frasi, parole. Lo strumento garantisce una operazione meno organica e meno frontale -come fu nel 2018 con i “decreti sicurezza”- e rischia di attenuare l’attenzione pubblica, di distrarla, specie i non addetti ai lavori. È piuttosto da ritenersi che anche questa sia una precisa strategia, già peraltro testata nei mesi scorsi nel processo di conversione del cosiddetto “decreto sbarchi”, in cui una serie di emendamenti che reintroducevano aspetti salienti dei “decreti sicurezza” del 2018 furono presentati in commissione Affari costituzionali dal parlamentare leghista Igor Iezzi, per poi essere dichiarati inammissibili per estraneità di materia e senza i requisiti di necessità e urgenza. Calare attraverso un’azione ordinaria contenuti che ordinari non sono, prevenire una reazione nella società civile, anticiparla sul tempo, farlo senza essere (troppo) visibili, lasciare conseguenze irreparabili.

    Deterrenza e paura reali
    Infine va osservato come il decreto legge che si avvia a essere convertito in legge dello Stato e a sfidarne l’ordinamento, rechi il nome della località dove si è consumata l’ennesima tragedia del mare: Cutro. È sintomatico e paradossale al tempo. Sintomatico perché, riferendosi al luogo di una strage sulla quale il governo ha una responsabilità per l’assenza dei soccorsi, rende manifesta, plastica, l’assenza di ogni limite alla politica di deterrenza imbracciata. In questo senso il nome suona sinistro perché riporta alla mente il mancato soccorso, i morti, lo spostamento delle bare senza interloquire con i familiari, il mancato omaggio della presidente del Consiglio alle vittime, i superstiti lasciati e abbandonati nel Cara di Sant’Anna, piantonati dalle forze dell’ordine. La stessa località è stata però anche -ed in questo senso che il decreto si intitoli Cutro appare invece paradossale- di una grande, continua e spontanea manifestazione di accoglienza dei cutresi e di tante comunità, paesi, amministrazioni della Calabria: dalla veglia delle vittime alla solidarietà ai superstiti, al blocco stradale per impedire il trasferimento coatto delle bare, alla manifestazione nazionale dell’11 marzo e a uno striscione, che, rivolto ai migranti tutti, vittime e superstiti, recitava: “La vostra speranza è la nostra speranza”. Quella speranza che il decreto vuole colpire e che i cittadini di Cutro e della Calabria hanno invece scelto per riconoscere nei migranti ciò che ci unisce. Ed è questo che il decreto, in ultima istanza, vuole intaccare.

    Carichi residuali
    Molto diverse da queste parole, sulla spiaggia di Steccato di Cutro, mentre ancora erano in corso le operazioni di recupero dei corpi delle vittime, quelle del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che non riconosce “speranza” nei migranti ma una mancanza, precisamente di responsabilità. Lui non si rivolge direttamente ai migranti come invece faranno i cutresi, parla in prima persona, ma traccia un distinguo, morale, un solco incolmabile tra chi come lui, il ministro dice,“educato alla responsabilità” non avrebbe messo in mare, nelle mani degli scafisti i figli e chi lo ha fatto. Questa affermazione ben rappresenta a mio parere, lo spirito che informa il decreto che sopra abbiamo provato a interpretare. La strage, si intende, è colpa di chi, irresponsabile e non educato alla responsabilità, ha messo i figli in mare. La frase ha provocato, per la violenza e brutalità che esprime, forti reazioni; ma non è evidentemente un’esternazione sconsiderata. Le parole del ministro “disumanizzano” i migranti, che lo faccia a fronte dei corpi delle vittime, le rende solo più odiose, ma a ben vedere che cosa vuole trasmettere il ministro? Che non c’è società comune possibile senza “educazione”, senza il rispetto dei figli, senza responsabilità, non c’è futuro possibile “con” i rifugiati, essi non sono persone ma una categoria indistinta, non “educata” alla responsabilità, una minaccia quindi che va contenuta con ogni mezzo. Pochi mesi prima si era infatti rivolto a loro definendoli “carico residuale”. Ci siamo “noi”, categoria morale, e “loro” categoria immorale, che non hanno i medesimi attributi di umanità, che hanno la colpa della strage. Altri esponenti del governo avrebbero infatti parlato in quei giorni di mancato “rispetto di sé e della vita”. E come si può costruire una comunità con chi non ha rispetto “per sé e per la vita”, “responsabilità verso i figli” che appaiono essere i presupposti necessari per una convivenza civile?

    Privare
    Forse più queste affermazioni che singoli emendamenti riescono a restituire, perché ne sono coerente espressione, il disegno complessivo del decreto. Ma appunto vi è coerenza e continuità, le esternazioni pubbliche rompono la patina burocratica e banale del lavoro tecnico di scrittura di commi, articoli e rimandi. Tuttavia quegli emendamenti non potrebbero essere stati scritti se non avendo in mente “carichi residuali”, “non-persone” cui attribuire vigliaccamente la colpa della loro stessa morte per mancanze strutturali che li rendono definitivamente e senza appello, “altro” da noi, corpi estranei, da espellere, impossibilitati a vivere in comunità. Sironi, in un importantissimo saggio sulla tortura (Sironi, Françoise, Psychopathologie des violences collectives, Odile Jacob, 2007), scrive “privare i migranti del riconoscimento dei fattori storici e politici in cui prende corpo la migrazione, significa negare ai migranti quelle dimensioni cruciali nelle negoziazioni identitarie e nelle più ampie trasformazioni sociali che li implicheranno in qualità di nuovi cittadini”. È esattamente questo il punto. Esternazioni e decreti concordano invece su questa linea: negare i fattori storici e politici in cui la migrazione prende corpo. Per prima cosa infatti dobbiamo affermare che il decreto del 10 marzo 2023 lascia invariate due premesse: non sono possibili arrivi legali e canali sicuri e il solo modo di regolarizzarsi resta, nei fatti, l’asilo politico. Però non ci sono “veri” rifugiati e le liste dei Paesi sicuri aumentano irragionevolmente. Una scelta che nega la realtà attuale: guerre, persecuzioni, regioni non più abitabili, più di 100 milioni di rifugiati globali, il trionfo delle organizzazioni del traffico che prosperano sulla chiusura dei confini europei, i sanguinosi patti con Libia e Turchia.

    Segregare: l’assalto alla libertà dei richiedenti asilo
    Costretti a una migrazione forzatamente illegale, quindi a manifestarsi come presenza indesiderata e minacciosa dell’equilibrio sociale, economico, finanche “etnico” del Paese di approdo, il migrante è anche costretto a chiedere asilo, costituendo questa l’unica via -per poi dover sottostare a una complessa procedura burocratica di legittimazione della propria presenza e a un esito assai incerto rispetto il riconoscimento di una forma di protezione-.

    Il quadro che si sta delineando appare infatti molto peggiore anche di quello tracciato nel 2018 dai famigerati “decreti sicurezza”, perché entra in gioco oggi -ancor più violentemente- il tema della limitazione della libertà personale dei richiedenti asilo. Se, ad esempio, nel 2018 la riforma sovvertiva il sistema di accoglienza affermando la centralità dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), ridotti a mero parcheggio, senza servizi di integrazione e senza nemmeno il rispetto degli standard minimi europei; essi oggi rischiano di essere “superflui”, perché comunque aperti, ovvero senza limitazione della libertà personale dei richiedenti. Oggi il Governo Meloni preconizza, con la nozione vaga di “punti caldi/punti di crisi” (hotspot), centri di detenzione informale in cui condurre sia le procedure di identificazione sia l’esame, accelerato, delle domande di asilo. Non più quindi luoghi di transito ma di detenzione informale. Come osserva Gianfranco Schiavone va infatti ricordato che “l’ordinamento italiano continua a non prevedere alcun intervento dell’autorità giudiziaria sul presupposto della detenzione negli hotspot e sulla condizione della stessa”. Il governo sceglie la direzione opposta, intendendo sfruttare al massimo questa mancanza di garanzia, gli hotspot divengono da luoghi di identificazione e transito, centri informali di detenzione, utili sia all’identificazione sia all’esame, accelerato, della domanda d’asilo.

    Segregare: l’estensione indebita della frontiera
    È attraverso questa risignificazione dei vaghi e opachi “punti di crisi/punti caldi” che il governo, ignorando il dettato costituzionale sul trasferimento delle funzioni amministrative ai Comuni, si appresta a estendere indebitamente la nozione di “frontiera” sin dentro città e paesi, anche molto lontano da porti e confini terrestri e, in questo spazio sospeso e indefinito, a tracciare il solco e innalzare i muri che separeranno italiani e stranieri, presenze legali e “illegali”, dentro e fuori. Gli emendamenti al “decreto Cutro” prevedono un ampiamento delle casistiche cui applicare la procedura accelerata di esame della domanda di asilo (o procedura “di frontiera”) tale da ricomprendere nei fatti ogni casistica possibile. Il decreto prevede anche la moltiplicazione degli hotspot sul territorio nazionale. Sino ad oggi le procedure di esame accelerato, in frontiere erano limitate a pochissime fattispecie. È un cambio di paradigma: negli hotspot non solo la procedura di identificazione ma anche l’esame della domanda d’asilo, con la possibilità di estenderne -evidentemente- i tempi di permanenza. È la genesi di un nuovo sistema concentrazionario. Infatti ritorna anche, dal testo dei “decreti sicurezza”, l’impossibilità per i richiedenti asilo di accedere al sistema pubblico di accoglienza integrata e diffusa (Sai, già Sprar). Tale sistema ritorna quindi in versione Siproimi, a essere esclusivo per i soli, pochi, cui verrà riconosciuta la protezione internazionale. Tramonta l’idea di costruire la protezione e l’integrazione sin da subito, attraverso la prossimità relazionale del contatto nelle comunità e attraverso la libertà di movimento dei richiedenti asilo.

    Punire: la spietata logica dei grandi centri chiusi
    Una recente e fondamentale inchiesta di Altreconomia, condotta da Luca Rondi e Lorenzo Figoni, ha squarciato il velo sulle condizioni di vita dentro i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). L’articolo s’intitola significativamente “Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani”. I Cpr, pur teatro di un crescente numero di gesti autolesivi, suicidi, violenze e danneggiamento delle strutture, sono stati recentemente oggetto di uno stanziamento economico imponente (quasi 46 milioni di euro) per potenziarne -sempre seguendo la logica della paura e della deterrenza percorsa dal governo- il funzionamento e anche in questo caso, la diffusione sul territorio nazionale. Si intravede un’ipotesi: segregare il migrante sin dal suo arrivo e in caso di diniego passare direttamente da hotspot a Cpr. L’inchiesta di Altreconomia, dati alla mano, mostra l’abuso di psicofarmaci dentro le strutture, utilizzati sistematicamente per disciplinare migranti costretti all’inattività forzata, senza personale cui rivolgersi e nessuna attività da svolgere.

    In un’intervista rilasciata al giornalista Franz Baraggino e pubblicata su ilfattoquotidiano.it, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, ha commentato: “Avere più Cpr non serve a niente, se non a dare il messaggio simbolico del ‘li teniamo chiusi qui’, nient’altro”. Lo stesso Garante ha aggiunto che “in quei posti le persone cambiano e quando ritornano nelle nostre comunità, come il più delle volte accade, sono peggiorate […] i comportamenti di insofferenza acuta sono il prodotto di uno spazio dove non sei nulla, non fai nulla e nulla avviene, salvo rimuginare sul proprio destino, che è un destino di fallimento, quello del rimpatrio”. Complessivamente nei Cpr transitano circa 10mila persone all’anno, il 2% del totale degli irregolari, e contribuiscono per il solo 50% (circa 3.000) ai complessivi 6.000 rimpatri che avvengono in media ogni anno. Senza accordi bilaterali, il rimpatrio è per molti più una minaccia che una realtà. A fronte dell’inefficacia dello strumento, a fronte dei suoi costi e della sofferenza che genera, il governo invece investe su questa forma di detenzione per le persone “espulse”, per un’irregolarità appositamente creata.

    Sin dagli anni 90 del secolo scorso la letteratura scientifica è concorde sull’individuare nei centri di detenzione amministrativa, siano strutture adibite al rimpatrio come i nostri Cpr o le strutture di confinamento e segregazione dei richiedenti asilo come gli hotspot, luoghi con alta incidenza di problemi psichiatrici psicologici, di perdita della salute organica e delle risorse psico-sociali per affrontare la vita lavorativa e sociale una volta usciti dal centro (Loutan, Louis, et al. “Impact of trauma and torture on asylum-seekers.” The European Journal of Public Health 9.2 (1999): 93-96.). Allora perché farne sistema? La domanda è chiaramente retorica.

    Punire: lo smantellamento della protezione speciale
    Largamente anticipati da un sinistro rumore di fondo che ha ricordato il precedente assalto alla protezione umanitaria (2018), un rumore di fondo sorretto dalla mistificazione che affermava essere la protezione speciale una anomalia solo italiana; gli emendamenti al “decreto Cutro” hanno infine smantellato anche tale protezione. Non potendo privarla dei riferimenti a convenzioni e norme internazionali (Cedu), il governo -altro esempio di logica deliberatamente punitiva- ha scelto di confondere le competenze per il rilascio, ostacolandone l’ottenimento, che rimane sulla carta possibile ma nei fatti arduo. Se sino a oggi il percorso di ottenimento appariva ragionevole e chiaro, ora non lo è più, precipitato nel conflitto di competenze tra questure e commissioni territoriali. Preme sottolineare che questa ennesima e antieconomica previsione colpirà in special modo coloro che per varie ragioni stanno compiendo passi decisivi per un percorso di integrazione sociale e lavorativa, cui ha dato principio nonostante gli ostacoli precedenti.

    Conclusione
    Abbiamo provato a ricostruire il messaggio culturale, simbolico e -almeno per alcune misure- le conseguenze concrete, di quanto previsto dal decreto legge del 10 marzo 2023 e dei suoi numerosissimi emendamenti che ne definiranno la conversione in legge, prevista entro i primi dieci giorni di maggio. Per quanto molti dei suoi contenuti siano di difficile applicazione ed è prevedibile un’imponente mole di controversie legali, abbiamo creduto importante analizzarne gli intenti, cercando di osservarne il disegno per comprendere quale intenzioni ed obiettivi hanno mosso il legislatore in una così radicale sfida all’ordinamento giuridico, ai diritti, a istituti sociali e conquiste culturali.

    Tra queste, certamente colpisce, a 45 anni dalla “Legge Basaglia”, il ritorno a strutture concentrazionarie per segregare un determinato gruppo sociale, oggi i migranti, privati della loro libertà per la colpa di sfidare con determinazione, disperazione o -come riconosciuto dai cutresi- speranza, il divieto imposto dall’Europa e dall’Italia a poter vivere in pace e sicurezza. Per articolare in legge questo che è un discorso politico e culturale “estremo” che nega sia ai migranti il riconoscimento delle cause in cui si è prodotta la migrazione, sia alla società italiana la propria storia e le sue conquiste democratiche e sociali (tra esse ricordiamo solo la chiusura dei manicomi, delle classi speciali), il governo investe su un decisivo salto di qualità in strumenti e pratiche di segregazione, confinamento e marginalizzazione dei migranti, sino al punto di limitare la libertà personale. Un salto di qualità atto a impedire il contatto, la solidarietà e orientato a impedire l’integrazione sociale e lavorativa, la convivenza interculturale basata sui diritti.

    Vincolato da Costituzione, trattati internazionali, norme superiori, il governo propone allora un disegno “banalmente” tecnico nella forma (gli emendamenti) quanto feroce nella sostanza. Tanto più feroce quanto più impotente a fronte dei cambiamenti epocali che stiamo collettivamente attraversando, cercando nella deterrenza e nella minaccia ai gruppi sociali più fragili, la misura della propria forza e assumendo una postura punitiva, inutile se non a produrre evitabili sofferenze individuali, tensioni sociali improduttive e costi economici e sociali per le generazioni future.

    L’iniziale citazione di Antonio Gramsci è stata trattata solo per metà, quella relativa al pessimismo dell’intelligenza. In conclusione è il tempo invece della seconda parte, l’ottimismo della volontà. C’è ragione di credere che un disegno -quello tracciato dal decreto- così povero di futuro e così meschinamente abbarbicato sulla deumanizzazione dei migranti, sia rigettato dalla società, sia reso inapplicabile nella quotidianità, nelle relazioni interpersonali e sociali, prima ancora che nelle aule dei tribunali, iniziando una grande stagione dove italiani e migranti insieme affermino uniti l’inviolabilità dei diritti di tutti e tutte e la libertà di costruire insieme il futuro che ci attende.

    https://altreconomia.it/segregare-e-punire-il-disegno-politico-brutale-dentro-il-decreto-cutro
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    • Italy: New law curtails migrants’ rights

      For migrants in Italy getting special protection status can be life-changing. But lawmakers have now approved a law severely restricting access.

      Italy’s parliament recently greenlighted a controversial decree to crack down on irregular migration. Known as the Cutro decree — in reference to the southern town in Calabria where more than 90 people died in a shipwreck last February — the legislation severely limits a special protection status Italian authorities can grant to migrants who do not qualify for asylum.

      Italy has recorded more than 42,000 irregular arrivals since the beginning of 2023, almost four times as many as in the same period last year and the Italian government claims special protection incentivizes migrants to start dangerous trips to the country.

      “Special protection creates attractive conditions for immigration and we will eliminate it,” said Nicola Molteni of the right-wing League party, whose currently serving as the undersecretary at the Interior Ministry.

      Agriculture Minister Francesco Lollobrigida, from Prime Minister Giorgia Meloni’s far-right Brothers of Italy party, recently sparked controversy, warning against the “ethnic replacement” of Italians by migrants, a notion widely regarded as racist.

      Before the decree, people offered special protection status could live in Italy for two years, renew their residence permit and convert it into a working permit. It was granted to asylum seekers who risked being persecuted in their country of origin, those fleeing war and natural disasters, as well as those with family ties or high levels of economic integration in Italy.
      What changes with the new migration rules

      Now, all that has changed. While special protection remains available for those at risk of torture, inhumane treatment or systematic rights violations in their home nation, the new law narrows access by scrapping criteria based on family links or economic integration.

      “If a person is not at terrible risk in their home country, but in the meantime has started a family or had children in Italy, the commission [assessing residence status] will not take this into account,” explains Paolo De Stefani, a professor in international law at the University of Padova.

      People fleeing natural disasters or seeking treatment for severe medical conditions will also see their access to special protection restricted. Most importantly, however, it will not be possible for them to convert it into a work permit.

      Language courses and legal advice will also be scrapped in reception centers.

      Things will change, too, for unaccompanied minors. They are still entitled to special protection permits until they turn 18; they can extend it for one more year, but cannot convert it into a work permit.

      “This means killing the prospects of integration for people arriving in Italy at a very young age,” said De Stefani. “What type of educational path will be imagined for those with such prospects?”

      In contrast with the otherwise restrictive nature of the law, the law offers a new possibility for victims of forced marriage to apply for special protection.

      Migrants fear for their future

      While those who already benefit or who have already requested special protection will not be affected by the new legislation, many agree the climate towards migrants has become more harsh.

      Sarja Kubally, a Gambian national currently under special protection, says Italy has not been the same since a new government headed by the far right came to power.

      “I am thinking of leaving, I am happy here, but now I am afraid of staying with this situation,” he told DW.

      Although Kubally is confident he himself will get a work permit, he fears others will miss out on opportunities he benefited from.

      “Special protection really changes your life. It allows you to work, to study. You can do many things and give back,” Kubally said. “If someone needs help, you need to help them, not make it even harder for them. We should put humanity first.”

      The uncertainty for Ali, who asked not to use his real name for security reasons, is far greater. The Pakistani national, who spent four years in Greece where he maintains local authorities did not accept his asylum claim, has been living in Italy since 2021. He now has a three-year work contract and is learning Italian, but his asylum request was recently rejected. He is now appealing the decision. Should his bid be turned down again, Ali will not be able to apply for special protection under the new rules.

      “I lost four years of my life in Greece, but here in Italy I am well integrated, I have a job, I want to stay here,” Ali told DW. “Well-integrated people should be allowed to stay. I haven’t thought about [what I would do if I couldn’t access special protection]. Going back to Pakistan is unthinkable.”

      Less special protection, more precariousness

      Italy has always provided special protection, except from 2018-2020 when former Interior Minister Matteo Salvini scrapped it temporarily . Though Prime Minister Giorgia Meloni claims otherwise, Italy is not the only country which offers this type of protection. Though different terminology is used, 18 other states in Europe provide similar special protections.

      Critics warn restricting access to special protection will push more migrants into an undocumented life outside the law and rob vulnerable people of fundamental rights — especially as the move follows another decree which limits the work of nonprofit rescue ships operating in the Mediterranean, and Italy last month declaring a six-month state of emergency to curb migration flows.

      Valeria Carlini, a spokesperson for the Italian Council for Refugees, says the law will not only harm people seeking protection but also local societies, where migrants have begun building a life and contributing to the socioeconomic fabric.

      Law professor De Stefani believes the legislation ultimately undermines integration — especially for irregular migrants — and aims to put an emergency band-aid on migration flows. “People will have poorer conditions in Italy and eventually seek better protection and living standards in other European countries,” he said.

      Like many of her predecessor governments, Meloni has been demanding more solidarity and better coordination among EU countries to tackle migration flows.

      “This law might be seen as the latest maneuver to pressure Europe into seriously tackling migration issues, but it is betting with someone else’s life,” said De Stefani.

      https://www.infomigrants.net/en/post/48834/italy-new-law-curtails-migrants-rights

    • La doppia morte dei naufraghi di #Cutro

      1.

      In un documento redatto dall’associazione di magistrati Area sul “#decreto_Cutro” appena prima dell’esame della Camera dei Deputati, si legge questo interrogativo: «cosa spinge il legislatore a credere che blocchi navali o i finanziamenti di regimi autoritari possano fermare persone che hanno attraversato il deserto per fuggire a guerre, violenza insopportabile, distruzione, persecuzione, ripetute discriminazioni e che cercano protezione in quei Paesi che hanno fatto della protezione internazionale e del rispetto della dignità una regola fondamentale e immutabile della loro civiltà?» (https://www.areadg.it/comunicato/non-chiamiamolo-decreto-cutro). Nel frattempo il decreto legge è stato convertito, senza alcuna modifica da parte della Camera ove il Governo ha posto la fiducia, nella legge 5 maggio 2023 n. 50.

      Dopo la tragedia di Cutro (94 morti di cui 36 bambini, ma vi sono altri dispersi) chiunque si sarebbe aspettato che il Governo, seppure dalla sua posizione di chiusura, mettesse mano alla legislazione vigente focalizzandosi su due questioni generali irrisolte: la prima questione riguarda come riformare la normativa in materia di ingressi per lavoro in modo da aprire canali di ingresso regolare, come lo stesso Governo ha più volte annunciato di voler fare; la seconda riguarda la possibilità di introdurre procedure di ingresso protette/sicure, finora non esistenti, per consentire a una parte dei rifugiati che intendono arrivare in Italia di poterlo fare attraverso canali appunto protetti. In entrambi i casi le due diverse auspicate normative, oltre a salvare vite umane, avrebbero avuto il non secondario effetto di sottrarre alla criminalità organizzata delle quote di merce umana. Eppure la legge n. 50/2023 non è intervenuta su nessuna di queste due questioni fondamentali: né sugli ingressi per lavoro, né sugli ingressi per asilo.

      Sulla materia degli ingressi per lavoro il decreto legge n. 20/2023, poi convertito in legge, è intervenuto su due aspetti: la programmazione generale degli ingressi e la formazione all’estero. Sul primo punto la nuova disciplina prevede «la predisposizione ogni tre anni – salva la necessità di un termine più breve – del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione» e «la definizione con dPCM annuale delle quote di ingresso, con possibilità di adottare ulteriori decreti in corso d’anno, sulla base dei criteri generali adottati nel documento programmatico». Ciò, peraltro, era già contemplato, con minime differenze, dalla normativa e l’unica modesta innovazione riguarda la modifica all’art. 21 del TU Immigrazione secondo cui «può essere autorizzato l’ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato, anche a carattere stagionale, di stranieri cittadini di Paesi con i quali l’Italia ha sottoscritto intese o accordi in materia di rimpatrio». Nulla viene modificato in relazione al problema di fondo che produce da oltre vent’anni l’irregolarità in Italia, ovvero l’impossibile incontro a distanza tra offerta e domanda di lavoro che costringe i lavoratori stranieri a entrare in Italia irregolarmente, o a entrarvi regolarmente – se provenienti da paesi per i quali non è richiesto il possesso di un visto – e poi rimanere a soggiornare irregolarmente e lavorare in nero in attesa che un provvedimento di emersione o un decreto flussi, come quello emanato dal Governo il 26 gennaio 2023 per 82.705 posti di lavoro (a fronte di 240.000 domande presentate) permetta loro di regolarizzare ex post la loro posizione di soggiorno. Paradossalmente la nuova norma non prevede neppure l’abrogazione della preventiva verifica dell’indisponibilità di lavoratori italiani o stranieri già presenti in Italia prevista quale condizione per il rilascio dei nulla-osta al lavoro richiesti da datori di lavoro per l’assunzione dei persone chiamate a svolgere le prestazioni indicate nel decreto sulle quote: si genera così ancora una volta una palese contraddizione in quanto la programmazione è (o meglio dovrebbe essere) fondata sull’analisi del fabbisogno del mercato del lavoro effettuata dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali previo confronto con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. È quindi irragionevole che l’assunzione dall’estero per la medesima mansione sia condizionata da un’ulteriore verifica da parte del centro per l’impiego della indisponibilità di altri lavoratori che siano già in Italia. La mancanza di modifiche sostanziali, coperta da modificazioni solo linguistiche, è visibile in modo evidente nell’art. 23 TU immigrazione che prevede la possibilità di realizzare attività di istruzione e di formazione professionale e civico-linguistica nei Paesi di origine finalizzata all’inserimento lavorativo mirato nei settori produttivi italiani. Si tratta anche in questo caso, di una previsione che esisteva già, solo con diversa epigrafe. L’unica modifica significativa riguarda la possibilità che il Ministero del lavoro promuova «la stipula di accordi di collaborazione e intese tecniche con soggetti pubblici e privati operanti nel campo della formazione e dei servizi per il lavoro nei Paesi terzi di interesse per la promozione di percorsi di qualificazione professionale e la selezione dei lavoratori direttamente nei Paesi di origine» (art. 23 comma 4 bis); l’ingresso dei lavoratori che hanno effettuato i corsi avverrebbe in tal caso in deroga ai limiti quantitativi previsti dalla programmazione delle quote di ingresso. Si apre così la possibilità di una selezione delle braccia da parte di grandi agenzie che decideranno di organizzare corsi di formazione per reperire la propria mano d’opera all’estero, ma non la possibilità per i lavoratori stranieri che hanno effettuato con successo dei corsi di formazione all’estero (magari nell’ambito di programmi di cooperazione allo sviluppo, del tutto esclusi) di ottenere un visto di ingresso per ricerca di lavoro in presenza dei requisiti economici, posseduti dagli stessi lavoratori o forniti da terzi, necessari a mantenersi in Italia per un primo periodo. Se così fosse stato la legge avrebbe dato avvio a una pagina nuova che non si è voluto in alcun modo aprire. Il messaggio è chiaro: nessuna riforma del sistema degli ingressi doveva essere effettuata.

      Se sul versante degli ingressi per lavoro il Governo ha finto di aumentare i canali di ingresso regolari, per ciò che riguarda gli ingressi per asilo non ha neppure finto: nulla infatti è stato proposto se non dichiarazioni di elogio all’esperienza dei corridoi umanitari, realizzati però non dal Governo ma da enti umanitari. Le persone morte nella strage di Cutro, come in molte altre tragedie, erano in larga parte stranieri che fuggivano da situazioni di persecuzione e violenze in Afghanistan, Siria, Iraq e altri paesi e che cercavano asilo in Europa. La loro partenza dalla Turchia e la scelta della rotta marittima erano legate alla necessità di evitare, almeno per i soggetti più deboli (quali donne e minori), la via terrestre, ovvero la famigerata rotta balcanica segnata da continue violenze e respingimenti, dalla Grecia fino alla Slovenia. Sotto questo profilo la strage di Cutro rappresenta una tragica sintesi dell’ecatombe in atto lungo le rotte migratorie, sia via mare che via terra. Un decreto legge che nasce quale risposta a quella strage, come detto in premessa, avrebbe dovuto affrontare il nodo di come introdurre procedure e criteri in base ai quali i cittadini stranieri con bisogno di protezione internazionale possano entrare in Italia in modo regolare e protetto, autonomamente o usufruendo di programmi pubblici. Anche su questo versante erano state avanzate diverse interessanti proposte, ma sono state tutte rigettate.

      C’è una terza questione che la legge n. 50/2023 non affronta: la materia dei soccorsi in mare considerata la tardività e inefficacia dimostrata nel caso specifico e, in particolare, la non chiarita ragione per cui, pur informate dei fatti, le autorità competenti sono intervenute agendo attraverso modalità riconducibili a un’operazione di polizia e non a quelle di un operazione di ricerca e soccorso, come richiesto dalla normativa internazionale (https://www.asgi.it/notizie/naufragio-cutro-associazioni-depositano-esposto-collettivo-in-procura). A ben guardare però la materia del soccorso in mare è già regolata da precise norme di diritto internazionale recepite dall’Italia e non c’è bisogno di alcuna nuova disciplina per evitare le tragedie come quella di Cutro, che, semmai, avvengono a causa di prassi e forzature finalizzate e eludere o indebolire gli obblighi di soccorso. Di fronte a una tragedia avvenuta in un’area geografica non presidiata dall’intervento di ONG il Governo italiano non ha potuto coprire le proprie carenze gettando la colpa sulle odiate organizzazioni umanitarie. Alla caccia di qualcosa di roboante da dare in pasto all’opinione pubblica ha scelto, dunque, di introdurre nuove disposizioni penali eccezionalmente severe nel caso di morte o lesioni come conseguenza dei delitti di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. La premier Meloni ha scenograficamente annunciato ai media «la volontà di colpire gli scafisti non solo quando li troviamo sulle barche, ma andandoli a cercare lungo tutto il globo terracqueo» (la Repubblica 10 marzo 2023) dimenticando che coloro che guidano le imbarcazioni spesso hanno poco a che fare con le organizzazioni criminali e che in ogni caso, anche quando vi sono connessi, sono gli ultimi anelli della catena (Dal mare al carcere: la criminalizzazione dei cosiddetti scafisti).

      2.

      Se non interviene né sui nodi scoperti degli ingressi regolari per lavoro, né sugli ingressi protetti, quali sono dunque le materie affrontate dal decreto legge n. 20/2023 e, poi, dalla legge di conversione n. 50/2023?

      Gli aspetti essenziali, la nuova norma interviene sono tre: a) il ridimensionamento della protezione speciale; b) la destrutturazione del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo con smembramento del SAI (sistema di accoglienza ed integrazione), a cui – analogamente a quanto era avvenuto per lo SPRAR con la legge n. 173/2020 – viene sottratta la possibilità di accogliere i richiedenti asilo; c) l’ampliamento delle ipotesi di trattenimento dei richiedenti asilo nei CPR e soprattutto negli hotspot e una parallela estensione delle procedure di frontiera o procedure accelerate, con una generale contrazione delle garanzie procedurali in sede di esame delle domande di asilo.

      Mi limito, per ragioni di spazio, a un breve approfondimento della problematica della protezione speciale. Il ridimensionamento della terza forma di protezione prevista dall’ordinamento, la cosiddetta protezione speciale, introdotta con la legge n. 132/2018 ma novellata in senso estensivo con la legge n. 173/2020, è stato il tema che maggiormente è emerso nel dibattito pubblico. Il testo del decreto legge n. 20/2023 sembrava mirare solo a restringere l’ambito di applicazione della previgente normativa cassando il paragrafo dell’art. 19 comma 1.1 secondo cui «non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine». In sede di conversione in legge al Senato è emersa una volontà della maggioranza ancor più aggressiva finalizzata a cancellare pressoché in toto questo istituto e ad eliminare la possibilità di esaminare la domanda di riconoscimento della protezione speciale attraverso il canale costituito dall’istanza alla questura e dal parere vincolante della commissione senza audizione, ovvero fuori dalla procedura di esame di una domanda di asilo. Alla fine dell’iter parlamentare alcune delle proposte più estreme sono state ritirate (pur se tutto è stato incanalato nella sola procedura di asilo) ed è rimasto l’obbligo per le Commissioni territoriali che esaminano le domande di asilo di riconoscere una protezione speciale qualora «esistano fondati motivi di ritenere che [la persona interessata] rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all’articolo 5, comma 6 [del TU Immigrazione]». Il nuovo articolo prevede che «il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano».

      In questa situazione pochi dubbi possano esserci in relazione all’obbligo per le Commissioni territoriali di valutare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione speciale per rispetto di uno degli obblighi costituzionali o connessi all’ordinamento internazionale cui l’Italia è vincolata. Tra tali obblighi v’è il rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU e da una rilevante giurisprudenza interna. Si è invece diffusa una fallace informazione secondo cui la protezione speciale è stata cancellata. In particolare si è sostenuto che è stato cancellato il riconoscimento di tale protezione per riconoscimento del diritto alla vita privata e famigliare. Persino nella relazione illustrativa del decreto legge alla Camera dei Deputati si possono leggere affermazioni quali la seguente: «l’articolo 7, modificato al Senato, elimina il divieto di respingimento ed espulsione di una persona previsto nel caso vi sia fondato motivo di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare». In tale frase si sostiene che è legittimo espellere colui che… ha il diritto a non essere espulso. Ha dell’incredibile leggere tali corbellerie in un atto parlamentare e ciò illumina il livello di tensione politica che ha avvolto l’intera vicenda e soprattutto svela l’intenzione dell’Esecutivo: il diritto in questione non può essere cancellato, ma non deve potere essere esercitato.

      È agevole prevedere, sulla base di chiare evidenze, che il Governo farà enormi pressioni affinché le Commissioni territoriali per il riconoscimento del diritto d’asilo (che non sono per nulla indipendenti e soggette solamente alla legge e su cui si esercita una pervasiva influenza politica) restringano al massimo l’ambito di applicazione della protezione speciale rigettando il maggior numero possibile di domande anche in presenza dei presupposti per il riconoscimento. Che lo straniero denegato faccia pure ricorso alla magistratura sapendo che essa deciderà sui ricorsi dopo anni a causa della lentezza dei procedimenti, che diverranno ancor più lenti a causa dell’aumento dei contenziosi. Intanto ciò che conta è portare subito a casa il risultato di una diminuzione del numero dei riconoscimenti di protezione, anche se ciò aumenterà l’irregolarità e la precarietà di vita di migliaia di persone la cui vita è ritenuta irrilevante.

      Con il decreto legge n. 20/2023 e la conseguente legge di conversione i morti del naufragio di Cutro sono morti una seconda volta.

      https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/05/16/la-doppia-morte-dei-naufraghi-di-cutro
      #naufrage #mourir_en_mer #décès #Gianfranco_Schiavone #migrations #asile #réfugiés #Méditerranée #Italie

    • Naufragio di Cutro, ritardi e omissioni della Guardia di finanza. Avvisi di garanzia per tre ufficiali

      Il giallo degli audio spariti e le bugie sulla vedetta di salvataggio. Perquisizioni e sequestri di tablet e cellulari. L’ipotesi di reato: omicidio colposo. Alti tre indagati coperti da omissis. Il legale delle vittime
      “Lo Stato ha responsabilità chiare”

      Alle 23.49 del 25 febbraio il capoturno della sala operativa della Guardia costiera di Reggio Calabria era relativamente tranquillo. Da Vibo Valentia, la Guardia di finanza assicurava che una loro motovedetta, la potente “5006” era già uscita alla ricerca di quel caicco, verosimilmente carico di migranti, segnalato un paio d’ore prima da un aereo di Frontex a tutti i comandi operativi europei ed italiani a cominciare da quello della Finanza a Pratica di mare.

      (#paywall)
      https://www.repubblica.it/cronaca/2023/06/01/news/naufragio_cutro_indagati_sequestro-402763465

      #justice

    • The Crotone Cover Up

      Italy lied about their role in a shipwreck that killed 94 people – including 35 children – and the EU border agency Frontex helped cover it up

      During the early hours of February 26, 2023 a wooden pleasure boat crashed close to the shore in Cutro, Italy. On board were nearly 200 people, mostly refugees from Afghanistan. At least 94 of them died, including 35 children. Yet the overloaded boat had been spotted by Europe’s border agency Frontex six hours before the wreck, struggling in bad weather. The deaths, which took place so close to the shore, shocked Italy and Europe. But Frontex and the Italian authorities deflected blame onto each other.

      Frontex said that the boat showed “no signs of distress” and that it was up to Italy to decide whether to launch a rescue operation. Italy’s prime minister claimed that they didn’t know the boat “risked sinking” and didn’t intervene because Frontex didn’t send them an ‘emergency communication’. “Do any of you think that the Italian government could have saved the lives of 60 people, including a child of about three years whose body was just found today, and it didn’t?” Prime Minister Giorgia Meloni said shortly after the tragedy.

      A joint investigation by Lighthouse Reports and its partners reveals that both the Italian authorities and the Frontex leadership were aware that the boat was showing signs of distress when the ship was first spotted six hours before the wreck, but nevertheless decided not to intervene – and later tried to conceal how much they knew.
      METHODS

      When images of boat debris on an Italian beach were broadcast around the world, it was hard to imagine that they came from a vessel carrying 200 people. The Summer Love, a wooden boat approximately 25 metres long, was crammed with women, children and men fleeing wars, hoping for a better life. With little video footage available, we decided to make a 3D model of the vessel to better understand and explain the risks people were prepared to take. Crowded below decks, they had little chance of survival when the boat sank as their only exit was one narrow staircase.

      Over time, our reporters won the trust of some of the survivors by spending time with them in the centres they’re now living in. They shared their stories from departing Turkey to the harrowing losses they suffered in the sea. Some shared videos which revealed additional details about the shipwreck, including a tablet with navigation software which confirmed the vessel’s location and direction of travel.

      Crucially, we obtained leaked confidential Frontex mission reports which revealed that a plane operated by the border agency had reported signs of distress to both the agency and Italian authorities. Hours before the flight, operators warned about “strong winds” in the Ionian Sea. Frontex then detected the vessel by tracking multiple satellite phone calls made throughout the day by people on board. A detailed account of the pilot’s calls show that Frontex knew it was a “possible migrant vessel,” with no visible safety jackets and a “significant thermal response” from below deck. According to Frontex’s press office, this is an indication of the presence of an “unusual” number of people on board.

      Bad weather, a lack of life vests and overcrowding constitute signs of distress under Frontex’s and Italy’s own maritime rules; still the maritime authorities did not launch a search and rescue operation. After the wreck, the European border agency concealed the fact that their pilot had signalled strong winds to their control room during the surveillance flight.
      STORIES

      Assad Almulqi was a child when war broke out in Syria. His family fled their city after it was attacked with poisonous gas in 2013. This year, the 22 year-old paid 8,000 euros for a place on the boat from Turkey. His six-year-old brother Sultan was allowed to travel for free.

      He recalls the moment everything went wrong. “It was dark. The ship leaned to one side and half of it went underwater. It sank in seconds.”

      “I got scared, held my brother in my arms and told my uncle that we needed to go upstairs because something not normal was happening. The waves started hitting the windows and water entered the ship.”

      He jumped out when the water reached his knees, holding his brother tightly.

      Assad tried desperately to keep Sultan above the waves as he attempted to signal to rescuers. “We were drowning ourselves to keep his head above the water, but it wasn’t enough to save him.”

      They clung to pieces of the ship, fighting to stay afloat as people around them drowned.

      Also onboard was 23-year old Nigeena who was travelling with her husband Seyar, following their wedding just four months earlier. She clutched his hand as they fought to stay above water. They were almost ashore when a huge wave swept Seyar away. Their boat broke apart 200 metres off the coast of Italy.

      “The wreck is Italy’s fault because they knew from the start that a boat had arrived,” said Nigeena. “Usually when they see an unfamiliar ship it’s their job to check it out. But they didn’t.”

      Lawyers for some of the families of the victims are planning to take a case to the European Court of Human Rights, arguing Italy should be held responsible for the “irremediable violation of migrants’ right to life.”

      https://www.lighthousereports.com/investigation/the-crotone-cover-up

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      En italien (résumé):
      L’insabbiamento sulla strage di Steccato di Cutro

      Un’inchiesta internazionale di #Lighthouse_Reports dimostra il rimpallo delle responsabilità tra Frontex, guardia di finanza e guardia costiera italiana

      https://www.meltingpot.org/2023/06/linsabbiamento-sulla-strage-di-steccato-di-cutro

    • Omissione di soccorso: la vera storia del naufragio di Cutro

      Un’inchiesta internazionale – a cui Domani ha collaborato insieme a Lighthouse Reports, Süddeutsche Zeitung, Le Monde, El Pais e Sky News – mostra attraverso documenti inediti, fonti confidenziali, immagini satellitari, modelli 3d e decine di testimonianze cosa è accaduto quella sera e il rimpallo delle responsabilità tra le tre autorità coinvolte: Frontex, guardia di finanza e guardia costiera. Intanto l’indagine giudiziaria della procura di Crotone va avanti: il primo giugno le prime perquisizioni hanno riguardato tre ufficiali della guardia di finanza. L’obiettivo è individuare le falle nella catena di comando

      (#paywall)
      https://www.editorialedomani.it/fatti/naufragio-cutro-inchiesta-internazionale-wqa2rkss