Guerra al desiderio migrante. Deportazioni da Ventimiglia e Como verso gli hotspot – Progetto Melting Pot Europa

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  • La Corte europea condanna l’Italia a pagare per i maltrattamenti ai migranti : costretti a denudarsi, privati della libertà e malnutriti

    La causa avviata da quattro esuli sudanesi: dovranno ricevere in tutto 36 mila euro dallo Stato

    VENTIMIGLIA. Spogliati «senza alcuna ragione convincente». Maltrattati e «arbitrariamente privati della libertà». Ecco perché, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a risarcire quattro migranti sudanesi con cifre che vanno dagli 8 ai diecimila euro ciascuno. La sentenza della prima sezione della Corte (presieduta da Marko Bošnjak) è datata 16 novembre, ma riguarda episodi accaduti nell’estate del 2016. Dopo aver avviato le pratiche per far attribuire ai loro clienti lo status di rifugiato, nel febbraio 2017 gli avvocati (Nicoletta Masuelli, Gianluca Vitale e Donatella Bava, tutti di Torino) avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Strasburgo.
    I quattro erano arrivati in Italia in momenti diversi: due «in un giorno imprecisato di luglio» del 2016 a Cagliari, un altro il 14 luglio a Reggio Calabria, uno il 6 agosto sempre a Reggio Calabria e l’ultimo l’8 agosto «in un luogo imprecisato della costa siciliana». Il più giovane ha 30 anni, il più vecchio 43.

    In comune, i quattro hanno che sono stati tutti trasferiti nello stesso centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa a Ventimiglia. Sono stati «costretti a salire su un furgone della polizia», trasportati in una caserma dove sono stati «perquisiti», obbligati a consegnare «i telefoni, i lacci delle scarpe e le cinture» e poi «è stato chiesto loro di spogliarsi». Sono rimasti nudi dieci minuti, in attesa che gli agenti rilevassero le loro impronte digitali.
    Concluse le procedure, la polizia ha fatto salire i quattro (assieme a una ventina di connazionali) su un pullman. Destinazione: l’hotspot di Taranto. Secondo quanto ricostruito nella sentenza, i migranti sono stati «costretti a rimanere seduti per l’intero viaggio» e potevano andare in bagno soltanto scortati e lasciando la porta spalancata, rimanendo «esposti alla vista degli agenti e degli altri migranti».
    Il 23 agosto, i quattro (con un gruppo di compatrioti) sono risaliti su un pullman diretti a Ventimiglia, dove hanno incontrato un rappresentante del governo sudanese che li ha riconosciuti come cittadini del suo Paese. A quel punto, è stata avviata la procedura per il rimpatrio. In aereo, dall’aeroporto di Torino Caselle. Ma sul velivolo c’era posto soltanto per sette migranti, così il questore aveva firmato un provvedimento di trattenimento e i quattro sono stati accompagnati al Centro di identificazione ed espulsione di Torino.
    Uno, però, è stato prelevato pochi giorni dopo dalla polizia. Per lui, era pronto un posto sull’aereo per il rimpatrio. Lui non voleva, arrivato a bordo ha incominciato a dare in escandescenze assieme a un altro migrante finché il comandante del velivolo ha deciso di chiedere alla polizia di farli sbarcare entrambi, per problemi di sicurezza. Appena rientrato al Cie, l’uomo ha ribadito la sua intenzione di ottenere la protezione internazionale. Lo stesso hanno fatto gli altri tre. Tutti hanno ottenuto lo status di rifugiato.

    La sentenza della Corte condanna l’Italia a pagare per varie violazioni. Una riguarda «la procedura di spogliazione forzata da parte della polizia», che «può costituire una misura talmente invasiva e potenzialmente degradante da non poter essere applicata senza un motivo imperativo». E per i giudici di Strasburgo «il governo non ha fornito alcuna ragione convincente» per giustificare quel comportamento. Poi, ci sono le accuse dei quattro di essere rimasti senz’acqua e cibo nel trasferimento Ventimiglia-Taranto e ritorno. Il governo aveva ribattuto fornendo «le copie delle richieste della questura di Imperia a una società di catering», che però «riguardavano altri migranti». Per la Corte, quella situazione «esaminata nel contesto generale degli eventi era chiaramente di natura tale da provocare stress mentale». E ancora, le condizioni vissute in quei giorni «hanno causato ai ricorrenti un notevole disagio e un sentimento di umiliazione a un livello tale da equivalere a un trattamento degradante», vietato dalla legge. I giudici di Strasburgo ritengono, poi, che i quattro siano «stati arbitrariamente privati della libertà», pur se in una situazione di «vuoto legislativo dovuto alla mancanza di una normativa specifica in materia di hotspot», già denunciata nel 2016 dal garante nazionale dei detenuti.

    Per la Corte, ce n’è abbastanza per condannate l’Italia a risarcire i quattro: uno dovrà ricevere 8 mila euro, un altro 9 mila e altri due diecimila «a titolo di danno morale».

    https://www.lastampa.it/cronaca/2023/11/18/news/litalia_condannata_a_pagare_per_i_maltrattamenti_ai_migranti-13871399

    Le périple des 4 Soudanais en résumé :
    – 4 personnes concernées, ressortissants soudanais
    – 2 arrivés à Cagliari en juillet 2016, un le 14 juillet à Reggio Calabria, un le 16 août 2016
    – Transfert des 4 au centre d’accueil de la Croix-Rouge à Vintimille avec un fourgon de la police —> dénudés, humiliés
    – Transfert (avec 20 autres) vers l’hotspot de Taranto
    – 23 août —> transfert à Vintimille par bus, RV avec un représentant du gouvernement soudanais qui a reconnu leur nationalité soudanaise, début procédure de renvoi vers Soudan en avion
    – Transfert à l’aéroport de Torino Caselle, mais pas de place pour les 4 dans l’avion
    – Transfert au centre de rétention de Turin
    – Personne ne part, les 4 arrivent à demander l’asile et obtenir le statut de réfugié
    – Novembre 2023 : Italie condamnée par la Cour européenne des droits de l’homme

    #justice #condamnation #Italie #frontières #frontière_sud-alpine #CEDH #cour_européenne_des_droits_de_l'homme #mauvais_traitements #privation_de_liberté #nudité #violences_policières #Taranto #hotspot #CPR #rétention #détention_administrative #réfugiés_soudanais #Turin #migrerrance #humiliation

    voir aussi ce fil de discussion sur les transferts frontière_sud-alpine - hotspot de Taranto :
    Migranti come (costosi) pacchi postali


    https://seenthis.net/messages/613202

    • Denudati, maltrattati e privati della libertà: la CEDU condanna nuovamente l’Italia

      Le persone migranti denunciarono i rastrellamenti avvenuti a Ventimiglia nell’estate 2016

      La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) ha nuovamente condannato l’Italia a risarcire con un totale di 27mila euro (più 4.000 euro di costi e spese legali) quattro cittadini sudanesi per averli denudati, maltrattati e privati della libertà nell’estate 2016 durante le cosiddette operazioni per “alleggerire la pressione alla frontiera” di Ventimiglia, quando centinaia di persone migranti venivano coattivamente trasferite negli hotspot del sud Italia 1 e, in alcuni casi, trasferiti nei CIE e quindi rimpatriati nel paese di origine 2.

      C’è da dire che la Corte avrebbe potuto condannare l’Italia con maggiore severità, soprattutto per quanto riguarda le deportazioni in un paese non sicuro come il Sudan. Tuttavia, si tratta dell’ennesima conferma che l’Italia nega i diritti fondamentali alle persone migranti e che i governi portano avanti operazioni nei quali gli abusi e i maltrattamenti delle forze dell’ordine non sono delle eccezioni o degli eccessi di un singolo agente, ma qualcosa di strutturale e quindi sistemico. E quando queste violazioni sono denunciate, nemmeno vengono condotte indagini per fare luce sulle responsabilità e indagare i colpevoli.

      La sentenza della CEDU pubblicata il 16 novembre 3 riguarda nove cittadini sudanesi arrivati in Italia nell’estate del 2016 i quali hanno denunciato diversi abusi subiti dalle autorità italiane, un tentativo di rimpatrio forzato e uno portato a termine.

      Nel primo caso i ricorrenti hanno avanzato denunce in merito al loro arresto, trasporto e detenzione in Italia, uno di loro ha anche affermato di essere stato maltrattato.

      I quattro ricorrenti del primo caso hanno ottenuto la protezione internazionale, mentre i cinque ricorrenti del secondo caso hanno affermato di aver fatto parte di un gruppo di 40 persone migranti che erano state espulse subito dopo il loro arrivo in Italia.

      Le persone sono state difese dall’avv. Gianluca Vitale e dell’avv.te Nicoletta Masuelli e Donatella Bava, tutte del foro di Torino.
      I fatti riportati nella sintesi

      I quattro ricorrenti nel primo caso sono nati tra il 1980 e il 1994. Vivono tutti a Torino, tranne uno che vive in Germania. I ricorrenti nel secondo caso sono nati tra il 1989 e il 1996. Uno vive in Egitto, uno in Niger e tre in Sudan.

      Tutti e nove i richiedenti sono arrivati in Italia nell’estate del 2016. I primi quattro hanno raggiunto le coste italiane in barca, mentre gli altri cinque sono stati salvati in mare dalla Marina italiana. Alcuni sono transitati attraverso vari hotspot e tutti sono finiti a Ventimiglia presso il centro della Croce Rossa.

      Secondo i ricorrenti nel primo caso, il 17 e il 19 agosto 2016 sono stati arrestati, costretti a salire su un furgone della polizia e portati in quella che hanno capito essere una stazione di polizia. Sono stati perquisiti, è stato chiesto loro di spogliarsi e sono stati lasciati nudi per circa dieci minuti prima che venissero prese le loro impronte digitali.

      Sono stati poi costretti a salire su un autobus, scortati da numerosi agenti di polizia, senza conoscere la loro destinazione e senza ricevere alcun documento sulle ragioni del loro trasferimento o della loro privazione di libertà. In seguito hanno scoperto di essere stati trasferiti da Ventimiglia all’hotspot di Taranto.

      Nell’hotspot di Taranto, dal quale non avrebbero potuto uscire, sostengono di aver ricevuto un provvedimento di respingimento il 22 agosto 2016. Il giorno successivo sono stati riportati a Ventimiglia in autobus.

      Secondo i ricorrenti, le condizioni all’hotspot erano difficili come lo erano durante ciascuno dei trasferimenti in autobus durati 15 ore. Erano sotto il costante controllo della polizia, in un clima di violenza e minacce, senza cibo o acqua sufficienti in piena estate.

      Sostengono di non aver incontrato un avvocato o un giudice durante quel periodo e di non aver capito cosa stesse succedendo. Il 24 agosto 2016 sono stati trasferiti da Ventimiglia all’aeroporto di Torino per essere imbarcati su un volo per il Sudan. Poiché non c’erano abbastanza posti sull’aereo, il loro trasferimento è stato posticipato. Sono stati quindi trasferiti al CIE (Centro di identificazione ed espulsione) di Torino e il Questore ha emesso per ciascuno di loro un provvedimento di trattenimento.

      Uno dei ricorrenti (T.B.) sostiene che le autorità hanno tentato di espellerlo nuovamente il 1° settembre 2016. Ha protestato e la polizia lo ha colpito al volto e allo stomaco. Lo hanno poi costretto a salire sull’aereo e lo hanno legato. Tuttavia, il pilota si è rifiutato di decollare a causa del suo stato di agitazione. È stato riportato al CIE di Torino.

      Tutti e quattro i richiedenti hanno ottenuto la protezione internazionale, essenzialmente sulla base della loro storia personale in Sudan e del conseguente rischio di vita in caso di rimpatrio.

      Secondo i ricorrenti del secondo caso, invece, non sono mai stati informati in nessun momento della possibilità di chiedere protezione internazionale. Sostengono inoltre di aver fatto parte di un gruppo di circa 40 migranti per i quali è stato trovato posto sul volo in partenza il 24 agosto 2016 e di essere stati rimpatriati a Khartoum lo stesso giorno.

      Il governo italiano ha contestato tale affermazione, sostenendo che i ricorrenti non sono mai stati sul territorio italiano. Hanno fornito alla Corte le fotografie identificative delle persone rimpatriate in Sudan il 24 agosto 2016, sostenendo che non presentavano una stretta somiglianza con i ricorrenti. Ha sostenuto inoltre che i nomi delle persone allontanate non corrispondevano a quelli dei ricorrenti. In considerazione del disaccordo delle parti, la Corte ha nominato un esperto di comparazione facciale della polizia belga (articolo A1, paragrafi 1 e 2, del Regolamento della Corte – atti istruttori) che, il 5 ottobre 2022, ha presentato una relazione per valutare se le persone rappresentate nelle fotografie e nei filmati forniti dai rappresentanti dei ricorrenti corrispondessero a quelle raffigurate nelle fotografie identificative presentate dal Governo.

      Il rapporto ha concluso, per quanto riguarda uno dei ricorrenti nel caso, W.A., che i due individui raffigurati in tali fonti corrispondevano al massimo livello di affidabilità. Per quanto riguarda gli altri quattro richiedenti, non vi era alcuna corrispondenza affidabile.
      La decisione della Corte

      Le sentenze sono state emesse da una Camera di sette giudici, composta da: Marko Bošnjak (Slovenia), Presidente, Alena Poláčková (Slovacchia), Krzysztof Wojtyczek (Polonia), Péter Paczolay (Ungheria), Ivana Jelić (Montenegro), Erik Wennerström (Svezia), Raffaele Sabato (Italia), e anche Liv Tigerstedt, Vice Cancelliere di Sezione.

      La Corte, ha ritenuto, all’unanimità, che vi è stata:

      1) una violazione dell’articolo 3 per quanto riguarda l’assenza di una ragione sufficientemente convincente per giustificare il fatto che i ricorrenti siano stati lasciati nudi insieme a molti altri migranti, senza privacy e sorvegliati dalla polizia e le condizioni dei loro successivi trasferimenti in autobus da e verso un hotspot, sotto il costante controllo della polizia, senza sapere dove stessero andando;

      2) una violazione dell’articolo 3, in quanto non è stata svolta alcuna indagine in merito alle accuse del ricorrente di essere stato picchiato da agenti di polizia durante un tentativo di rimpatrio;

      3) la violazione dell’articolo 5, paragrafi 1, 2 e 4 (diritto alla libertà e alla sicurezza) per quanto riguarda tre dei quattro ricorrenti in relazione al loro fermo, trasporto e detenzione arbitrari.

      La Corte ha stabilito che l’Italia deve pagare ai ricorrenti nel caso A.E. e T.B. contro Italia 27.000 euro per danni morali e 4.000 euro, congiuntamente, per costi e spese.

      In particolare:

      Per quanto riguarda i restanti reclami dei ricorrenti in A.E. e T.B. contro l’Italia, la Corte ha riscontrato che le condizioni del loro arresto e del trasferimento in autobus, considerate nel loro insieme, devono aver causato un notevole disagio e umiliazione, equivalenti a un trattamento degradante, in violazione dell’Articolo 3.

      Inoltre, i successivi lunghi trasferimenti in autobus dei ricorrenti sono avvenuti in un breve lasso di tempo e in un periodo dell’anno molto caldo, senza cibo o acqua sufficienti e senza che sapessero dove erano diretti o perché. Erano sotto il costante controllo della polizia, in un clima di violenza e di minacce. Queste condizioni, nel complesso, devono essere state fonte di angoscia.

      Infine, la Corte ha riscontrato una violazione dell’Articolo 3 per quanto riguarda il richiedente (T.B.) che ha affermato di essere stato picchiato durante un altro tentativo di allontanamento. Due degli altri richiedenti hanno confermato il suo racconto durante i colloqui relativi alle loro richieste di protezione internazionale; uno ha dichiarato in particolare di aver visto un altro migrante che veniva riportato dalla polizia dall’aeroporto con il volto tumefatto. Anche se T.B. aveva detto, durante un colloquio con le autorità, di essere in grado di identificare i tre agenti di polizia responsabili dei suoi maltrattamenti, non è stata condotta alcuna indagine.

      La Corte ha notato che il Governo le aveva fornito una copia di un’ordinanza di refusal-of-entry nei confronti di uno dei richiedenti, A.E., datata 1 agosto 2016, e la Corte ha quindi dichiarato inammissibile il suo reclamo sulla sua detenzione. D’altra parte, ha rilevato che gli altri tre ricorrenti nel caso, ai quali non erano stati notificati ordini di refusal-of-entry fino al 22 agosto 2016, erano stati arrestati e trasferiti senza alcuna documentazione e senza che potessero lasciare l’hotspot di Taranto. Ciò ha comportato una privazione arbitraria della loro libertà, in violazione dell’Articolo 5 § 1.

      Inoltre, era assente una legislazione chiara e accessibile relativa agli hotspot e la Corte non ha avuto alcuna prova di come le autorità avrebbero potuto informare i richiedenti delle ragioni legali della loro privazione di libertà o dare loro l’opportunità di contestare in tribunale i motivi della loro detenzione de facto.

      La Corte ha però respinto come inammissibili tutti i reclami dei nove ricorrenti, tranne uno, in merito al fatto che le autorità italiane non avevano preso in considerazione il rischio di trattamenti inumani se fossero stati rimpatriati in Sudan. In A.E. e T.B. contro Italia, i richiedenti, che avevano ottenuto la protezione internazionale, non erano più a rischio di deportazione e non potevano quindi affermare di essere vittime di una violazione dell’Articolo 3. In W.A. e altri c. Italia, la Corte ha ritenuto che quattro dei cinque ricorrenti, per i quali il rapporto della polizia belga del 2022 non aveva stabilito una corrispondenza affidabile tra le fotografie fornite dalle parti, non avessero sufficientemente motivato i loro reclami.

      La Corte ha dichiarato ammissibile il reclamo del ricorrente, W.A.. Ha osservato che i documenti disponibili erano sufficienti per concludere che si trattava di una delle persone indicate nelle fotografie identificative fornite dal Governo. Ha quindi ritenuto che fosse tra i cittadini sudanesi allontanati in Sudan il 24 agosto 2016. Tuttavia, la Corte ha continuato a ritenere che non vi fosse stata alcuna violazione dell’Articolo 3 nel caso di W.A. .

      In particolare, ha notato che c’erano state delle imprecisioni nel suo modulo di richiesta alla Corte e che, sebbene fosse stato assistito da un avvocato in diversi momenti della procedura di espulsione, aveva esplicitamente dichiarato di non voler chiedere la protezione internazionale e di essere semplicemente in transito in Italia. Inoltre, a differenza dei richiedenti nel caso A.E. e T.B. contro l’Italia, che avevano ottenuto la protezione internazionale sulla base delle loro esperienze personali, W.A. aveva sostenuto di appartenere a una tribù perseguitata dal Governo sudanese solo dopo aver presentato la domanda alla Corte europea. Questa informazione non era quindi disponibile per le autorità italiane al momento rilevante e la Corte ha concluso che il Governo italiano non ha violato il suo dovere di fornire garanzie effettive per proteggere W.A. dal respingimento arbitrario nel suo Paese d’origine.

      – Guerra al desiderio migrante. Deportazioni da Ventimiglia e Como verso gli hotspot, di Francesco Ferri (https://www.meltingpot.org/2016/08/guerra-al-desiderio-migrante-deportazioni-da-ventimiglia-e-como-verso-gl) – 17 agosto 2026
      – Rimpatrio forzato dei cittadini sudanesi: l’Italia ha violato i diritti. Rapporto giuridico sul memorandum d’intesa Italia-Sudan a cura della Clinica Dipartimento di Giurisprudenza di Torino (https://www.meltingpot.org/2017/10/rimpatrio-forzato-dei-cittadini-sudanesi-litalia-ha-violato-i-diritti-um) – 31 ottobre 2017.
      - The cases of A.E. and T.B. v. Italy (application nos. 18911/17, 18941/17, and 18959/17, https://hudoc.echr.coe.int/?i=001-228836) and W.A. and Others v. Italy (no. 18787/17, https://hudoc.echr.coe.int/?i=001-228835)

      https://www.meltingpot.org/2023/11/denudati-maltrattati-e-privati-della-liberta-la-cedu-condanna-nuovamente

    • Taranto : hotspot prigione per minori

      Quattordici minori stranieri non accompagnati sarebbero stati trattenuti illegalmente nell’hotspot di Taranto a giugno. Non è la prima volta che accade. Ma ora la Corte europea dei diritti dell’uomo è chiamata a occuparsene e a giudicare l’Italia. Osservatorio Diritti ha potuto leggere in anteprima il ricorso presentato alla Cedu

      https://www.osservatoriodiritti.it/2017/08/17/hotspot-taranto-minori-stranieri-trattenuti-illegalmente
      #CEDH #MNA

      Avec ce commentaire de Paolo Bernasconi, qu’il a envoyé aux médias tessinois :

      Trasmetto questo studio sul hot spot di Taranto poiché tocca il comportamento delle Guardie di confine svizzere della Regione Sud e della Polizia ticinese.
      1. Per cominciare,decine di minorenni non accompagnati,ragazzi e ragazze,vengono respinti sui due piedi senza accompagnarli al Centro di registrazione di Chiasso. Questo spiega anche la diminuzione del numero di domande di asilo e la diminuzione della occupazione del Centro di Rancate, le cui statistiche vengono pubblicate senza commento critico da parte dei media ticinesi.
      2.La valutazione sulla maggior età viene lasciata all’apprezzamento immediato del singolo agente. Talvolta viene effettuata l’analisi dello sviluppo osseo, che le associazioni dei pediatri considerano scientificamente non affidabili. In qualche caso si procede alla analisi dello sviluppo degli organi genitali da parte del medico,che ignora completamente le comparazioni in paesi africani o asiatici.Per l’esecuzione di queste analisi invasive non esiste base legale.La base legale é necessaria per alcolemia e tossicomania nei confronti di persone accusate in procedimenti penali.Ma i rifugiati hanno meno diritti degli accusati di reati.
      3.Ai rifugiati minorenni non accompagnati viene negata anche la protezione prevista per legge svizzera a favore di qualsiasi minorenne non accompagnato,anche quando hanno parecjti in Svizzera,violando anche le Convenzioni sul ricongiungimento familiare.
      4.Gran parte dei minorenni non accompagnati respinti in Italia viene inviata a Taranto,di cui vengono qui descritte le condizioni.Da Taranto parecchi vengono rimandati a casa,specialmente in paesi africani.
      5. Chi sfugge al Centro di Taranto si rifugia nell’autosilo dismesso della Valle dei Mulini,a Como.La Polizia italiana presidia la Stazione di Como,per evitare che si veda l’abbandono dei migranti al quale collaborano anche agenti svizzeri e ticinesi,violando la legge svizzera.

      #Côme #Chiasso #frontières #Suisse #Italie

    • Migranti, odissea Ventimiglia-Taranto: l’inutile e costosa deportazione

      Per ridurre il numero dei migranti presenti sul territorio di Ventimiglia in attesa di passare verso la Francia, da oltre due anni vanno avanti le operazion ideate dall’ex-ministro dell’Interno Alfano e perpetuate da Minniti e Salvini. Queste persone, che il Regolamento di Dublino costringe in Italia, vengono fermate e trasferite all’hotspot di Taranto. “In aperta violazione dell’articolo 13 della Costituzione” denuncia Alessandra Ballerini, esperta di diritto dell’immigrazione che osserva "la totale mancanza di riferimenti normativi che regolino questi trasferimenti”. Abbiamo seguito una di queste ‘deportazioni’ che, oltre a costare uno sproposito, si rivela anche sostanzialmente inefficace. I migranti trasferiti, infatti, nella maggioranza dei casi sono liberi di circolare sul territorio italiano, e in poche ore risalgono l’Italia, verso la frontiera.

      https://video.repubblica.it/edizione/genova/migranti-odissea-ventimiglia-taranto-l-inutile-e-costosa-deportazione/323113/323734
      #migrerrance

    • Da Ventimiglia a Taranto, e ritorno: lo Stato e il gioco dell’oca sui migranti

      Ogni settimana un pullman parte pieno di uomini rastrellati al confine. Che vengono riportati negli hotspot del Sud dove arrivano dopo 23 ore. I sedili vengono foderati di plastica. Le stazioni di servizio chiudono i bagni ai clienti «perché ci sono gli immigrati». Decine di agenti di scorta e mezzi impiegati. Per fare una cosa del tutto inutile


      https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/12/21/news/migranti-214825963/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P5-S1.8-T1

    • La Corte europea condanna l’Italia a pagare per i maltrattamenti ai migranti : costretti a denudarsi, privati della libertà e malnutriti

      Le périple des 4 Soudanais en résumé :
      – 4 personnes concernées, ressortissants soudanais
      – 2 arrivés à Cagliari en juillet 2016, un le 14 juillet à Reggio Calabria, un le 16 août 2016
      – Transfert des 4 au centre d’accueil de la Croix-Rouge à Vintimille avec un fourgon de la police —> dénudés, humiliés
      – Transfert (avec 20 autres) vers l’hotspot de Taranto
      23 août —> transfert à Vintimille par bus, RV avec un représentant du gouvernement soudanais qui a reconnu leur nationalité soudanaise, début procédure de renvoi vers Soudan en avion
      – Transfert à l’aéroport de Torino Caselle, mais pas de place pour les 4 dans l’avion
      – Transfert au centre de rétention de Turin
      – Personne ne part, les 4 arrivent à demander l’asile et obtenir le statut de réfugié
      – Novembre 2023 : Italie condamnée par la Cour européenne des droits de l’homme
      https://seenthis.net/messages/1027766

    • Guerra al desiderio migrante. Deportazioni da Ventimiglia e Como verso gli hotspot

      Nelle ultime settimane centinaia di migranti sono stati coattivamente trasferiti da Ventimiglia e Como verso gli hotspot del sud Italia. Una doppia motivazione ufficiale accompagna le operazioni. Da un lato, il trasferimento di massa viene presentato in ragione della necessità di alleggerire la pressione sulla frontiera, dopo le tensioni delle ultime settimane. Allo stesso tempo, vengono evocate motivazioni di identificazione: all’interno degli hotspot, infatti, i funzionari della polizia provvedono ad effettuare il fotosegnalamento e a verificare la posizione giuridica dei migranti. Evidentemente, il significato di questi trasferimenti – descritti molto spesso in termini di deportazioni – va ben oltre le necessità logistiche e di identificazione richiamate dal governo.
      Geografia del controllo

      Con riferimento alla necessità di alleggerire la pressione alla frontiera, è evidente come non sia il numero delle persone attualmente presenti nelle zone di confine a delineare, di per sé, un’emergenza. La situazione emergenziale è il prodotto del regime di governo dei confini, degli interventi repressivi, delle politiche alloggiative inefficaci, strutturalmente precarie, funzionali al controllo della mobilità e alla reiterazione di un immaginario caotico e confuso.
      In relazione, invece, della necessità di identificare, appare per lo meno paradossale che siano chiamati in causa i lontanissimi hotspot del sud Italia. A partire (almeno) dall’inizio del 2016, infatti, i migranti che sbarcano in Italia sono identificati e fotosegnalati all’interno degli hotspot “ufficiali” o di quelli “mobili” predisposti nelle aree di sbarco non ufficialmente catalogate come hotspot. I trasferimenti verso sud non sembrano quindi necessari ai fini identificativi: le impronte e l’identificazione sono già state rilevate all’arrivo e, più in generale, per accertare la posizione giuridica di un migrante non è evidentemente necessario trasportalo a più di mille chilometri di distanza. Le identificazioni, infatti, possono avvenire – e avvengono quotidianamente – nelle questure di tutto il territorio nazionale. In aggiunta, è proprio il Ministero degli Interni a parlare, con frequenza, della necessità di applicare l’approccio hotspot anche al di fuori degli hotspot “classici”, e della previsione di hotspot mobili (equipe formate da funzionari della polizia, funzionari delle agenzie europee, mediatori, ecc) che operano in maniera diffusa sul territorio.

      Alla luce di questi elementi, la reale natura della deportazione dai luoghi di frontiera verso il sud appare più chiara: è una scelta politica punitiva nei confronti di chi rifiuta di essere confinato nei luoghi e nei tempi delineati dalle politiche pubbliche di gestione dei flussi migratori. Non siamo davanti ad un’eccezione legata ai contesti specifici delle zone di confine: le proteste e i comportamenti poco collaborativi attraversano tutta la filiera dell’accoglienza, a cominciare dal tentativo diffuso di sottrarsi al rilascio delle impronte all’interno degli hotspot, arrivando fin dentro i CIE, oggetto di proteste e sabotaggi senza soluzione di continuità. Rifiuto e disobbedienze sono, quindi, elementi strutturali e ciò che sta avvenendo in queste settimane a Ventimiglia e Como – deportazioni comprese – rappresenta un messaggio politico chiaro, diretto nei confronti di chi prova incessantemente ad attraversare le frontiere, violando i dispositivi di controllo, e di chiunque, in altri luoghi, mette in discussione le prassi ed esercita a vario titolo desideri ritenuti indegni.
      Sguardi dal margine

      Decine di pullman, scortati dalle forze di polizia, attraversano l’Italia trasportando centinaia di migranti lungo un percorso tortuoso ed inutile: è una messa in scena potente e inquietante. Al di là del chiaro segnale punitivo nei confronti di chi con il proprio corpo prova a disobbedire, attraversando una frontiera che gli è vietata, le deportazioni rappresentano una dichiarazione di guerra ad un’idea semplice: che i migranti siano soggetti portatori di legittimi desideri.

      Da questo punto di vista, se è comunemente accettato, nella retorica dominante, che i migranti possano manifestare necessità e bisogni, mostrandosi come corpi bisognosi di assistenza e cura, appare quasi eversiva l’idea che si sottraggano all’immaginario diffuso che li qualifica come mere vittime, manifestando desideri e volontà non contemplate non solo nelle procedure codificate e nella legge, ma anche nel discorso pubblico sulle migrazioni.

      È con queste lenti che vanno lette le deportazioni di queste settimane: come un messaggio politico generalizzato nei confronti di un’opzione – quella del conflitto e della resistenza – rimossa dall’apparato di sapere dominante in tema di immigrazione e politiche pubbliche. Da questo punto di vista, i corpi ancora situati – nonostante le politiche pubbliche repressive, le notevoli difficoltà logistiche, la pressione della polizia e la criminalizzazione della solidarietà – lungo i confini, che rivendicano il diritto alla mobilità, e lo esercitano concretamente, rappresentano a loro volta un messaggio politico inequivocabile. Non si tratta, evidentemente, di comportamenti disperati messi in scena da soggetti vulnerabili e/o marginali. Si tratta di un rifiuto collettivo di occupare i margini assegnati dalla storia e dalle politiche pubbliche.
      La dignità del desiderio

      Le deportazioni non hanno, evidentemente, un’efficacia reale: molte delle persone trasportate negli hotspot, infatti, ripartono appena possibile per le stesse zone di confine dalle quali sono state prelevate. Si tratta di una geografia del controllo simbolica e materiale, che lancia messaggi e proclami, da nord a sud, che ostacola e allontana i migranti – in maniera tutt’altro che definitiva – dalla realizzazione dei progetti migratori soggettivi.

      Il tentativo di transito verso un altro paese può avere chiaramente a che fare con il desiderio di ricongiungersi con le comunità nazionali o con le reti affettive e familiari, con la ricerca di opportunità di lavoro, e così via. Può, allo stesso tempo, eccedere ogni categorizzazione e classificazione, essendo situato, appunto, nel campo del desiderio, che è per sua natura complesso, molteplice, dai contorni sfumati. Dovremmo ricordarcene, ogni volta che leggiamo i percorsi migratori come mera risultante algebrica della relazione tra le motivazioni della fuga dai contesti di origine (la fame, la miseria, la guerra, ecc) e i fattori di attrazione verso determinate destinazioni (affinità linguistiche e culturali, opportunità lavorative, ecc). Esiste una geografia del desiderio migrante, non diluibile nelle categorie umanitarie – richiedente asilo, migrante economico, ecc – che non va necessariamente indagata, interpretata, compresa, che segue traiettorie che possono essere anche imprevedibili e, perché no, incomprensibili. Esiste concretamente, è visibile nelle pratiche di resistenza attuate dalle e dai migranti, ed ha una chiarissima dignità politica, al di là delle ragioni di fondo e della nostra comprensione delle stesse.

      Siamo davanti, dunque, a una sfida nella sfida, che riguarda migranti e attivisti: è necessario denunciare l’arbitrarietà, l’inutilità e la portata punitiva delle deportazione e, contemporaneamente, affermare la legittimità politica del desiderio, rivendicando il diritto alla mobilità (anche) come forma di disobbedienza nei confronti del regime di governo delle migrazioni e come esercizio effettivo dell’irriducibile e non classificabile volontà soggettiva.

      C’è un ampio campo di tensione, che da diverse settimane a questa parte attraversa le aree di frontiera. È delineato dalla relazione tra migranti, attivisti, polizia e istituzioni italiane, francesi, svizzere e austriache, lungo, dentro e contro i confini e le forme di controllo sulla mobilità e sul transito. Lo stesso campo di tensione mette indubbiamente in crisi l’idea che i confini della cittadinanza europea siano equi e giusti, in un’ottica -finalmente – di apertura e solidarietà. Qui è situata la vera posta in gioco delle deportazioni in corso: è un tentativo muscolare di ricondurre all’interno del binomio bisogno/assistenza il discorso pubblico sulle migrazioni, riassorbendo tutto ciò che eccede da questa lettura. È proprio qui, dal rifiuto collettivo da parte dei migranti di occupare i margini assegnati, che è possibile ripartire per leggere in maniera politicamente orientata i conflitti delle ultime settimane ed affermare, in tante e tanti, che il desiderio è una legittima opzione politica e, allo stesso tempo, un esercizio irrinunciabile di dignità.

      https://www.meltingpot.org/2016/08/guerra-al-desiderio-migrante-deportazioni-da-ventimiglia-e-como-verso-gl