• Sulle tracce del marmo della discordia

    Le montagne sventrate, le falde inquinate, il viavai di camion, i morti sul lavoro, le infiltrazioni criminali, la mancata distribuzione di una ricchezza collettiva. Carrara è schiacciata dai signori del marmo. Non sono cave: sono miniere. La roccia estratta qui non nisce in sculture e non alimenta più la liera artigianale locale. Parte per l’Asia oppure, in gran percentuale, finisce nei dentifrici, nella carta e in altre decine di prodotti. È il business del carbonato di calcio. Un’attività dominata dalla multinazionale svizzera #Omya che qui possiede un grosso stabilimento industriale.


    https://www.wereport.fr/articles/sulle-tracce-del-marmo-della-discordia-area
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    • A Carrara, sulle tracce del marmo della discordia

      Le montagne sventrate, le falde inquinate, il via vai di camion, i morti sul lavoro, la mancata distribuzione di una ricchezza collettiva. Carrara è schiacciata dai signori del marmo. Non sono cave: sono miniere. La roccia estratta qui non finisce in sculture e non alimenta più la filiera artigianale locale. Parte per l’Asia oppure, in gran percentuale, finisce nei dentifrici, nella carta e in altre decine di prodotti. È il business del carbonato di calcio. Un’attività dominata dalla multinazionale svizzera Omya che qui possiede un grosso stabilimento industriale.

      Sembra un ghiacciaio ma è un bacino minerario. Tutto è bianco sporco. Le rocce, le strade, la polvere. Le montagne sono divorate dalle ruspe. Decine di camion, carichi di blocchi o di detriti, scendono a valle da stradine improvvisate. Persino la nostra Panda 4X4 fatica sul ripido pendio sterrato. Stiamo salendo alla cava Michelangelo, una delle più pregiate del bacino marmifero di Carrara, in Toscana. Qui viene estratto lo statuario, il marmo venduto anche a 4.600 franchi la tonnellata. In questa grossa cava lavorano circa una dozzina di persone.

      Riccardo, 52 anni di cui trenta passati a estrarre roccia, sta manovrando un blocco con il filo diamantato. Il sole che batte a picco sul marmo dà l’effetto di un forno. «D’estate è così mentre d’inverno è freddo e umido» ci racconta questo figlio e nipote di cavatori. Riccardo spiega con orgoglio il suo lavoro. Poi conclude: «Spero che mio figlio faccia qualcos’altro nella vita».

      Un lavoro rischioso

      La situazione nelle cave è sicuramente migliorata rispetto a qualche anno fa, ma il lavoro qui resta rischioso. L’ultimo decesso è dello scorso mese di luglio: Luca Savio, 37 anni, papà di un piccolo bambino, è stato travolto da un blocco in un deposito. Aveva un contratto di lavoro di sei giorni. A maggio, Luciano Pampana, un operaio di 58 anni, è invece morto schiacciato sotto una pala meccanica. «Qui i servi della gleba versano sangue» ha esclamato don Raffaello, il parroco di Carrara che nella sua omelia dopo questa morte si è scagliato contro il business del marmo: «Le Apuane sono sfregiate e pochi si arricchiscono!»

      «Le Apuane sono sfregiate e pochi si arricchiscono!».

      Don Raffaele, parroco di Carrara
      Fine della citazione

      I sindacati hanno indetto un giorno di sciopero e chiesto la chiusura delle cave non in regola. Negli ultimi dodici anni vi sono stati undici incidenti mortali, di cui sei tra il 2015 e il 2016. «È decisamente troppo se si calcola che in tutta la provincia i cavatori sono circa 600» esclama Roberto Venturini, segretario della Fillea Cgil di Massa Carrara che ci accompagna nella visita. Per il sindacalista vi è un solo modo per rendere compatibile questa attività con l’ambiente e con una cittadinanza che sempre meno tollera le cave: «Bisogna rallentare la produzione e aumentare il numero di dipendenti».
      «Monocoltura del marmo»

      Carrara e la vicina Massa sono un microcosmo rappresentativo delle attuali problematiche dell’economia: l’automatizzazione, la maledizione delle risorse, la concentrazione delle ricchezze, il conflitto tra ambiente e lavoro. Un conflitto, questo, che è emerso in queste zone già negli anni 80 attorno al polo chimico situato nella piana, verso il mare. Nel 1987 ci fu il primo referendum consultivo d’Europa con cui i cittadini si espressero a favore della chiusura dello stabilimento Farmoplant della Montedison. Ciò che avvenne, però, solo un anno dopo, a seguito dell’esplosione di un serbatoio di Rogor, pesticida cui già il nome dà inquietudine.

      In pochi anni, a catena, tutti gli stabilimenti cessarono le attività lasciando come eredità terreni inquinati e una schiera di disoccupati. Oggi la zona industriale si è trasferita dal mare alle montagne.

      L’unico settore che tira è quello estrattivo tanto che qui si parla di “monocultura del marmo”, in comparazione a quei paesi che hanno fatto di un prodotto destinato all’esportazione la sola attività economica. E così in pochi ci guadagnano mentre alla collettività rimangono le briciole e gli effetti nocivi.

      I ricavi crescono, gli impieghi no

      Nello scorso triennio il settore, dal punto di vista del ricavo, è cresciuto all’incirca del 5% all’anno. Difficile trovare un altro comparto in così rapida crescita. I profitti, però, sono sempre più concentrati.

      Gli addetti sono sempre meno e una crescente percentuale dell’attività di trasformazione è ormai svolta all’estero: dall’inizio degli anni duemila gli impieghi diretti sono diminuiti di oltre il 30%, passando da quasi 7’000 a circa 4’750 unità. Negli ultimi anni nelle cave sempre più meccanizzate sono stati persi più di 300 posti di lavoro; altri 300 sono scomparsi nelle attività di trasformazione e nella lavorazione.

      Ma anche attorno a queste cifre vi è scontro. Da un lato gli ambientalisti, dall’altro i rappresentanti del mondo imprenditoriale con i primi che tendono a sminuirne l’impatto economico e i secondi che mettono in valore l’effetto occupazionale del settore. La sola certezza, qui, è che quel marmo che ha plasmato l’identità ribelle dei carrarrini e fatto conoscere la città nel mondo intero è oggi sinonimo di conflitto.
      «Una comunità arrabbiata e ferita»

      «Dal marmo il territorio si aspetterebbe molto di più», ci spiega Paolo Gozzani, segretario della Cgil di Massa e Carrara. Il quale aggiunge: «Questa è una comunità arrabbiata e ferita che vede i signori del marmo come un potere arrogante, che si accaparra la ricchezza derivata da questa materia prima senza dare al territorio la possibilità di migliorarsi da un punto di vista sociale, dei servizi e senza fare in modo che, attorno al marmo, si sviluppi una vera e propria filiera».

      Un’opinione condivisa da Giulio Milani, uno scrittore che ha dedicato un libro alla devastazione territoriale di questa terra, dalla chimica al marmo: «L’industria del marmo c’è sempre stata in questa zona, ma negli ultimi anni è diventata una turboindustria che sta mettendo in crisi il territorio».

      Milani s’interroga sul presente e sul futuro dei suoi tre figli in un luogo che ha già sofferto per le conseguenze dell’inquinamento della chimica: «Tutte le volte in cui piove i fiumi diventano bianchi come latte a causa della marmittola, la polvere di marmo; a Carrara vi sono state quattro gravi alluvioni in nove anni legate al dissesto idrogeologico del territorio. Per questo parlo di costi sociali di questa attività. Dobbiamo ormai considerare che questo è diventato un distretto minerario vero e proprio e noi ci viviamo dentro».

      A supporto di questa situazione vi è la netta presa di posizione del procuratore capo di Massa, Aldo Giubilaro, che lo scorso mese di maggio ha illustrato l’entità di un’operazione effettuata presso diverse società attive nella lavorazione del marmo dalla quale è emerso uno spaccato di irregolarità ambientali diffuse: «Salvo rari casi, sicuramente encomiabili, sembra essere una regola per le aziende del lapideo al piano, quella di non rispettare le normative sull’impatto ambientale con conseguenze decisamente deleterie per chi vive in questa zona (…). Non si tratta solo di un problema ambientale, ma riguarda anche e soprattutto la salute dei cittadini che vivono in questa provincia, purtroppo maglia nera per il numero di tumori in tutta la Toscana» ha affermato questo magistrato noto per aver più volte criticato l’omertà del settore.
      Il carbonato svizzero

      Lasciata la cava, con la nostra Panda 4X4 ridiscendiamo a valle. Ai lati della strada diversi ravaneti, le vallate dove una volta si riversavano i detriti derivati dalla scavazione.

      Sotto numerosi camion sono in fila per scaricare le loro benne cariche di sassi. Il rumore degli scarichi e della frantumazione è incessante. Siamo di fronte a quello che è chiamato «il mulino»: i sassi qui vengono frantumati in scaglie.

      Una volta effettuata l’operazione, i camion imboccano la Strada dei marmi – sei chilometri di gallerie costati 138 milioni di franchi pubblici e destinati solo al trasporto del marmo – che sbuca verso il mare, a pochi passi da un grosso stabilimento industriale. È la fabbrica della Omya Spa dove le scaglie di marmo vengono lavorate fino a renderle carbonato di calcio, un prodotto sempre più richiesto.

      Questa farina di marmo la si trova dappertutto, nei dentifrici, nella carta e in altre decine di prodotti. La Omya Spa è una filiale della Omya Schweiz, che ha sede nel Canton Argovia. Pur essendo un’impresa familiare, poco nota al grande pubblico e non quotata in borsa, stiamo parlando di una vera e propria multinazionale: con 180 stabilimenti in 55 paesi Omya è il leader mondiale del carbonato di calcio. In Toscana ha campo libero. Nel 2014 il gruppo elvetico ha acquistato lo stabilimento del principale concorrente, la francese Imerys. Non solo: Omya ha preso importanti partecipazioni in quattro aziende attive nell’estrazione che la riforniscono di materia prima.

      Le polveri del boom

      A Carrara e dintorni si respirano le polveri di questo boom. Si stima che i blocchi di marmo rappresentino soltanto il 25% del materiale estratto: il restante 75% sono detriti. Una volta le scaglie erano considerate un rifiuto fastidioso, che impediva l’avanzata degli scavi e che veniva liberato nei ravaneti.

      Poi, nel 1987, arrivò Raul Gardini che con la sua Calcestruzzi Spa entrò nel business delle cave e ottenne un maxi contratto per la desolforazione delle centrali a carbone della Enel: un’attività in cui il carbonato di calcio era essenziale. L’industriale Raul Gardini morì suicida sulla scia di Tangentopoli, ma a Carrara rimase e si sviluppò questa nuova attività.

      Il business del carbonato di calcio ha dato un’accelerata all’attività estrattiva e ha permesso di tenere aperte cave che altrimenti sarebbero già state chiuse. Lo abbiamo visto alle pendici del Monte Sagro, all’interno del Parco delle Apuane, marchio Unesco: questa montagna, come ci ha mostrato Eros Tetti, dell’associazione Salviamo le Apuane, continua ad essere scarnificata per alimentare proprio il commercio del carbonato.

      La corsa alla polvere di marmo tocca anche il versante lucano. A Seravezza, un paesino a mezz’ora di auto da Carrara, abbiamo incontrato un gruppo di cittadini che si batte contro l’aumento incontrollato dell’attività di scavo: «Il comitato – ci spiegano i promotori – nasce proprio in risposta alla riapertura di tre cave di marmo sul Monte Costa. Siamo preoccupati per il nostro territorio e ci siamo interrogati sugli effetti che questi siti estrattivi avranno sulla nostra cittadinanza».
      Le parti nobili partono all’estero

      Se gran parte della roccia viene sbriciolata, la parte nobile – i blocchi di marmo – partono per il mondo. Così, interi e grezzi. Verranno poi lavorati direttamente all’estero, dove la manodopera costa meno.

      Se prima la regione di Massa e Carrara era un centro mondiale dell’arte e dell’artigianato legato al marmo, oggi la filiera legata all’estrazione è praticamente scomparsa. Ce lo racconta Boutros Romhein, un rinomato scultore siriano, da 35 anni a Carrara dove, oltre a realizzare enormi sculture, insegna agli studenti di tutto il mondo i segreti di questa nobile roccia: «Non ci sono ormai più artigiani sulla via Carriona, che parte dalle cave e va fino al mare. Una volta era un tutt’uno di piccole e grandi aziende che producevano sculture o materiale per l’architettura. Oggi possiamo dire che non c’è più nessuno».

      Una percezione confermata dai dati. Nel 2017 l’esportazione dei blocchi di marmo italiano è aumentata del 37%. È stata, in particolare, la provincia di Massa Carrara a realizzare il fatturato estero più alto con un export del valore di circa 212 milioni di euro. In calo, invece, i lavorati di marmo: per la provincia, nel 2017, la diminuzione è stata del 6,6%. I blocchi partono interi per gli Stati Uniti, la Cina, l’India e per i Paesi arabi.
      Il marmo dei Bin Laden

      Significativo di questa dinamica mondiale è lo sbarco a Carrara della famiglia saudita dei Bin Laden. Già grandi acquirenti di marmo per le loro attività edili, i Bin Laden sono ora entrati direttamente nell’attività estrattiva.

      Nel 2014 la famiglia saudita ha investito 45 milioni di euro per assicurarsi il controllo della società Erton che detiene il 50% della Marmi Carrara, il gruppo più importante del comprensorio del marmo, che attraverso la Società Apuana Marmi (Sam) controlla un terzo delle concessioni. Quattro famiglie carraresi si sono così riempite le tasche e messo parte delle cave nelle mani della CpC Holding, società controllata dalla Saudi Binladin Group.
      Un bacino minerario vero e proprio

      A Carrara siamo davanti non più a un’economia di cava, ma ad un bacino minerario vero e proprio. Così come nelle Ande e in Africa, nelle zone cioè dove l’estrazione di minerali è più selvaggia, il lato oscuro di questo business – mischiato alla pesante eredità lasciata dall’industria chimica e al fatto di non aver saputo sviluppare alternative economiche al marmo – hanno generato tutta una serie di effetti negativi: inquinamento, malattie, disoccupazione e disagio sociale.

      Nella graduatoria sulla qualità di vita 2017 curata dal dipartimento di statistiche dell’Università La Sapienza di Roma, la provincia di Massa-Carrara figura al 98esimo posto su 110. Se guardiamo i dettagli di questa classifica, la provincia è addirittura penultima per il fattore ambiente, 107esima per disagio sociale, 103esima per il superamento quotidiano della media di polveri sottili disperse nell’aria e 95esima per gli infortuni sul lavoro.

      Anche se non è possibile fare un legame diretto con il marmo, in questa terra vi è inoltre un’incidenza di malattie oncologiche fra le più elevate in Italia. In particolare vi un indice molto elevato nei mesoteliomi pleurici, la cui causa è quasi certamente dovuta alle tipologie di lavorazioni svolte in passato e all’eredità di prodotti tossici tuttora da smaltire. Per quanto riguarda il lavoro: nel 2017, Massa Carrara è stata la seconda provincia d’Italia con l’incremento più grande di disoccupazione (+36,7%). Il business del marmo e del suo derivato, il carbonato di calcio, sembra anch’esso continuare a crescere.


      https://www.tvsvizzera.it/tvs/cultura-e-dintorni/economia-mineraria_a-carrara--sulle-tracce-del-marmo-della-discordia/44377160
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    • “La terra bianca. Marmo, chimica e altri disastri” di #Giulio_Milani

      Mi balena in mente un quadro, come un’epifania, intercettato anni fa nel vivaio del d’Orsay, perché quelle opere respirano e non venitemi a dire che non assorbono luce e non emettono ossigeno. Sono creature folte e sempre assetate. Le spigolatrici di Jean-François Millet incastra tre donne su un lenzuolo di terra. Sono chinate, sono ingobbite, sono stanche e senza volto. La fatica rivendica il possesso feudale di quelle facce. Ma malgrado le loro schiene lontane da ogni verticale, malgrado tutte le ore inarcate e incallite, quelle lavoratrici sanno che il suolo non sputa. Che dal ventre di semi e raccolte dipende la loro vita. E anche quella che non conoscono. Non esiste(va) legame più forte. Perché il tempo presente fa pensare all’imperfetto.

      Il libro di Giulio Milani La terra bianca (Laterza, 2015) è l’ennesimo emblema della frattura, l’ulteriore dolente puntata di una serie d’inchieste sullo stupro più o meno inconsapevole subito dal nostro Paese.

      Siamo avvezzi ai fuochi campani, allo sfregio dell’agro aversano, all’idea che i rifiuti si sommergano, oppure che s-fumino altissimi a ingozzare le nuvole. Tutto già digerito. Il potere dei media gonfia il clamore e poi lo normalizza. Ci anestetizza. Ma la tragedia ambientale cambia dialetto. E in questo caso parla toscano. Nell’enclave assoluta del marmo.

      «Un’onda pietrificata, una sterminata scogliera di fossili» nella zona di confine tra la bassa Liguria e l’Emilia, che comprende la doppia provincia di Massa Carrara, le Alpi Apuane e una costola di Mar Tirreno.

      Giulio Milani, scrittore e direttore responsabile della casa editrice Transeuropa, ha sempre abitato qui, il bacino delle cave, un poligono colonizzato dalle industrie fin dagli anni Cinquanta. «Ex Farmoplant-Montedison. Ex Rumianca-Enichem. Ex Bario-Solvay. Ex Italiana Coke».

      Una sequela di sposalizi chimici e divorzi malconci che hanno divelto, macellato, svuotato un territorio rendendolo una tra le aree più inquinate d’Italia «anche per le polveri sottili prodotte dal traffico incessante dei mezzi pesanti, tra i quali i sempre più numerosi e caratteristici camion coi pianali per il trasporto di blocchi di marmo grandi alle volte come interi container e, in misura molto maggiore, i ribaltabili carichi fino al colmo di scaglie detritiche per i mille usi non ornamentali della pietra». «Fumi di latte», un impasto pestifero sbriciolato nell’aria, che la gente del luogo ingurgita ogni giorno, pensando non sia immaginabile un ipotetico altrimenti. Perché le cave sono lavoro e senza lavoro si muore. Ma a quanto pare anche a causa del lavoro.

      L’inchiesta di Milani parte da un episodio miliare: Il 17 luglio del 1988 il serbatoio di un pesticida (il Rogor), occultato malamente tra i Formulati liquidi per eludere la legge, scoppia come un attentato nello stabilimento Farmoplant- Montedison, partorendo una nube tossica diluita per 2000 kmq, soprattutto su Marina di Massa e Marina di Carrara. Nessun morto e chissà quante vittime. Perché il disastro più maligno è quello che s’incassa tardi, che s’incista nelle crepe, acquattato nelle vie respiratorie, nell’alcova dei polmoni, tra reni e vescica.

      Dopo proteste di ogni tipo la fabbrica fu chiusa, ma non la scia di condanne pronta a chiedere asilo dentro troppi cittadini. Il motivo? Le pratiche più diffuse da molte di quelle aziende riguardavano lo smaltimento “sportivo” dei rifiuti. Ovviamente tossico-nocivi, tramite la termodistruzione per opera dell’inceneritore Lurgi nel caso della Farmoplant, attraverso interramenti silenziosi e consenzienti in tutti gli altri. Abbuffare le zolle di veleni e poi coprirle di ulivi e ammalarsi d’olio e non capirlo mai per tempo.

      Ma il libro di Milani procede oltre, traccia una geometria spazio-temporale molto complessa, diagonali d’analisi che scavalcano il singolo episodio e pennellano il profilo di una provincia abusata attraverso la Storia, in prima istanza dalla fatica delle cave, dove i dispositivi di protezione sono stati per decenni fantasmi senza guanti. Operai falciati come insetti per un cumulo distratto, schiacciati da un peso sfuggito al controllo. Poi il vespaio furioso dell’industria estrattiva e dei suoi sversamenti. E la smania noncurante di usare la terra come un tappeto. Come un sepolcro ben ammobiliato.

      Milani ci racconta per salti, di uomini capaci di opporsi al male, dello stormo partigiano della Resistenza Apuana, negli echi di guerra nelle steppe di Russia (suo argomento di laurea). «Si erano battuti per tre giorni di seguito. Per tre giorni e due notti si erano sacrificati, a turno, ai piedi di una quota da riconquistare». Poi di altri uomini anni in anni più vicini, intenti a riagguantare la pulizia dei fatti, a denunciare gli illeciti, a spingere forze, a non tacere. Come Marcello Palagi, principale esponente del movimento per la chiusura della Farmoplant; come Alberto Grossi, regista del documentario Aut Out.«Se si altera la morfologia di un luogo non ne vengono modificati solo i caratteri distintivi, ma anche quelli invisibili, come l’alimentazione degli acquiferi e il clima. Sono a rischio le sorgenti, si perdono i fiori, e forse anche la poesia». E lo scempio continua.

      Chi pagherà per ogni verso bruciato, per lo sguardo rappreso in un cucchiaio d’orrore? Per la strage travestita da capitolo ordinario, senza nessun dittatore da offendere? Per le diagnosi neoplastiche di cui smettiamo di stupirci? Sempre noi, che se restiamo fermi avremo solo terre sane dipinte in un museo.

      http://www.flaneri.com/2016/05/25/la-terra-bianca-giulio-milani

      #livre

    • La malédiction du marbre de Carrare

      Le fameux marbre de Carrare n’est pas seulement symbole de luxe. Le site est surtout devenu un des hauts lieux de l’extraction du carbonate de calcium, utilisé notamment dans la fabrication des dentifrices. Une exploitation industrielle qui défigure le paysage et s’accompagne de morts sur les chantiers, de pollution et d’accaparement des ressources par une élite locale et par des acteurs internationaux, dont la famille Ben Laden et la multinationale suisse Omya.


      https://www.swissinfo.ch/fre/economie/pollution--maladies-et-gros-profits_la-mal%C3%A9diction-du-marbre-de-carrare/44416350

    • Gli affari sul marmo delle #Apuane e i riflessi su salute e ambiente

      A Massa e Carrara la “#marmettola” prodotta dalla lavorazione della roccia nelle cave impatta sulle falde. Diverse realtà locali denunciano la gestione problematica delle aziende e le ricadute ambientali del settore. Ecco perché

      Sopra la vallata del fiume Frigido, nel Comune di Massa, c’è una cava inattiva da circa tre anni. Ci avviciniamo in un giorno di sole, risalendo il sentiero che si inerpica nel canale tra cumuli di massi bianchi. Dal tunnel scavato nel marmo si sente l’acqua che scroscia. “Le #Alpi_Apuane sono come un serbatoio, è il famoso carsismo: l’acqua penetra in abbondanza nella roccia, in direzioni che non conosciamo perché non seguono quelle dello spartiacque di superficie, e poi scende formando le sorgenti. Quella che senti, però, alla sorgente del Frigido non arriverà mai”, spiega Nicola Cavazzuti del Club alpino italiano (Cai), che da anni denuncia gli impatti ambientali delle circa ottanta cave attive a Carrara alle quali si aggiungono le quindici di Massa. Tra quest’ultime, molte rientrano all’interno del Parco regionale delle Alpi Apuane.

      L’ultima denuncia risale all’inizio di giugno quando il Cai e altre realtà come il Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) e Italia Nostra hanno presentato un’istanza di accesso civico a una serie di soggetti istituzionali, tra i quali la Regione Toscana, il ministero dell’Ambiente e i carabinieri forestali, per ottenere informazioni sulle azioni intraprese a tutela dell’ambiente, inviando anche un esposto alla procura di Massa. Al centro della denuncia c’è il fenomeno della “marmettola”, la polvere prodotta dall’estrazione e dalla lavorazione del marmo. Per le associazioni, produce un inquinamento “gravissimo, conclamato e ormai cronico delle acque destinate all’uso potabile”.

      Il problema è noto da decenni e anche se oggi viene gestita come un rifiuto e sono aumentate le prescrizioni per evitare che si diffonda nell’ambiente, le realtà del territorio denunciano che spesso è ancora abbandonata sui piazzali delle cave. Così quando piove viene trascinata nei fiumi cementificandone il letto e riducendo l’habitat di microflora e piccoli organismi. “Le situazioni più critiche sono state osservate nel fiume Frigido e nel torrente Carrione”, si legge nelle conclusioni del “#Progetto_Cave” dell’#Agenzia_regionale_per_la_protezione_ambientale_della_Toscana (#Arpat), monitoraggio durato dal 2017 al 2019. In quegli anni l’Arpat ha effettuato una serie di controlli nelle cave di Massa, Carrara e Lucca, anche in merito alla gestione della marmettola, che “hanno evidenziato una diffusa illegalità e dato luogo a un consistente numero di sanzioni amministrative e di notizie di reato all’autorità giudiziaria”. Nel 2018, scrive Arpat, 18 cave su 60 hanno avuto un “controllo regolare”.

      La marmettola finisce anche nelle falde. Secondo un articolo scientifico del 2019, redatto da docenti e ricercatori dell’università di Firenze, dell’Aquila e del Cnr, si è “accumulata negli acquiferi” con effetti “non ancora noti nel dettaglio” ma che potrebbero modificare “l’idrodinamica delle reti carsiche riducendone la capacità di accumulo”.

      A Forno, frazione di Massa dove nasce il Frigido, il problema è esploso il 19 novembre 2022. “La sorgente è diventata bianca e per dieci giorni l’erogazione dell’acqua è stata sospesa -racconta Cavazzuti-. È un problema costante, tanto che negli anni Novanta è stato costruito questo impianto di depurazione”, dice indicando le sue grandi vasche. Pochi metri più a monte, tra i massi di un fosso in secca, si è accumulato uno strato di marmettola. Le immagini di fiumi e torrenti di colore bianco sono una costante sui giornali locali. Quelle del Carrione che attraversa Carrara, scattate il 13 aprile 2023, sono arrivate anche sulla scrivania del ministero dell’Ambiente che ha chiesto all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) di valutare se si tratti di danno ambientale.

      A Forno, frazione di Massa dove nasce il Frigido, il problema è esploso il 19 novembre 2022. “La sorgente è diventata bianca e per dieci giorni l’erogazione dell’acqua è stata sospesa -racconta Cavazzuti-. È un problema costante, tanto che negli anni Novanta è stato costruito questo impianto di depurazione”, dice indicando le sue grandi vasche. Pochi metri più a monte, tra i massi di un fosso in secca, si è accumulato uno strato di marmettola. Le immagini di fiumi e torrenti di colore bianco sono una costante sui giornali locali. Quelle del Carrione che attraversa Carrara, scattate il 13 aprile 2023, sono arrivate anche sulla scrivania del ministero dell’Ambiente che ha chiesto all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) di valutare se si tratti di danno ambientale.

      Il problema della marmettola si è aggravato con l’introduzione di strumenti più efficienti, come il filo diamantato, che ha reso possibile la lavorazione dei blocchi anche a monte. Le nuove tecnologie hanno anche generato un’impennata della quantità di materiale estratto, che oggi ammonta a quattro milioni di tonnellate all’anno. “Le montagne spariscono davanti ai nostri occhi”, commenta Grossi. Nonostante Carrara sia famosa per il suo marmo, secondo dati forniti dal Comune alla sezione locale di Legambiente, nel 2022 solo il 18,6% del materiale è stato estratto in blocchi (utilizzato quindi per uso ornamentale). “Il danno alla montagna viene inferto per ricavare detriti di carbonato di calcio che dagli anni Novanta è diventato un affare perché impiegato per vari usi industriali, dall’alimentazione alle vernici -denuncia Paola Antonioli, presidente di Legambiente Carrara che da 15 anni raccoglie i dati comunali-. Purtroppo non possiamo collegare i dati alle rispettive cave, perché l’amministrazione li ha secretati fornendoli solo in modo anonimo. Ma è importante saperli: alcune aziende estraggono il 90% di detriti e vorremmo che venissero chiuse”. Il Piano regionale cave del 2020 ha affrontato il nodo fissando il quantitativo minimo di blocchi, introducendo però delle deroghe. Per Antonioli “la norma è stata stravolta e le cave che non rispettano i parametri non sono mai state chiuse”.

      Per gli imprenditori del marmo il territorio non può fare a meno di un settore che, secondo un report di Confindustria con dati del 2017, vale il 15% del Pil provinciale per un fatturato totale di quasi un miliardo, di cui 560 milioni di export e rappresenta il 7% degli occupati. Per gli ambientalisti però il marmo grezzo che parte per l’estero, in particolare per la Cina, è sempre di più e i lavoratori sono sempre meno. Dal 1994 al 2020, secondo Fondo Marmo, ente che riunisce industriali e sindacati, il numero di dipendenti è sceso del 36%. Il calo più marcato riguarda i lavoratori impiegati “al piano”: meno 50,9%. Laboratori e segherie, invece, sono crollati del 55%.

      Gli incidenti sul lavoro però non si fermano. Nonostante l’Inail abbia certificato un calo del rischio infortunistico, la provincia di Massa Carrara vanta il primato per gli incidenti mortali nel settore tra il 2015 e il 2019, sette in totale. Anche il 2023 ha già avuto la sua vittima nel bacino apuano, anche se in provincia di Lucca: il 13 maggio Ugo Antonio Orsi, 55 anni, è rimasto schiacciato da un masso che si è staccato dal costone in una cava a Minucciano, in Garfagnana. “Questa è una storia di sfruttamento di beni comuni che arricchiscono le tasche di pochi privati. Ammesso che si possa compensare un simile danno, quasi nulla viene risarcito alla comunità -commenta Paolo Pileri, docente di Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano-. Comparando i canoni di concessione e il contributo di estrazione incassato ogni anno dal comune di Carrara con la quantità di blocchi prodotti, ho calcolato che per ogni tonnellata di marmo rimangono al territorio circa 25 euro a fronte di un prezzo di vendita che va da 800 a 8mila euro. Preciso che si tratta di dati parziali, ottenuti grazie al lavoro di attivisti locali, che non sono resi accessibili così che tutti possano conoscere la situazione. Un pezzo di Paese viene così distrutto per alimentare un modello di sviluppo tossico”.

      https://altreconomia.it/gli-affari-sul-marmo-delle-apuane-e-i-riflessi-su-salute-e-ambiente

  • « L’Opus Dei est devenue une multinationale financière »  Elodie Blogie | Le Soir (30.01)

    http://plus.lesoir.be/137079/article/2018-01-30/philippe-lienard-lopus-dei-est-devenu-une-entreprise-de-conquete-du-pouv

    Si l’institution catholique est en déclin, son pouvoir économique est immense
    ELODIE BLOGIE Entretien

    Philippe Liénard, juriste de formation, franc-maçon revendiqué (auteur de nombreux ouvrages sur ce thème), publie un livre sur l’Opus Dei. Il tente d’y faire la lumière sur le pouvoir réel de « l’Œuvre ».

    L’Opus Dei est plutôt sur le déclin...
    On observe une chute des vocations de prêtres, car cela implique des contraintes qui ne sont plus compatibles avec une vie au XXI e siècle : porter le cilice, faire cinq prières par jour, etc. Mais c’est précisément car il y a une chute des vocations que l’Opus Dei a multiplié les centres de formation. On en trouve 80 en France, une vingtaine en Belgique. Il y a une volonté de formater la jeunesse. On trouve par exemple deux résidences à Bruxelles, un à Liège, un près de Walcourt, etc. Cela représente quelques centaines de jeunes. Ce qu’on demande à ces enfants en termes de pression scolaire, d’obligations spirituelles est lourd. Or formater la jeunesse, c’est formater l’avenir.

    Au-delà des fantasmes, vous dites que le pouvoir de l’Opus Dei est surtout financier.
    L’Opus Dei est devenue aujourd’hui une multinationale financière très bien structurée. Selon ses statuts, l’Œuvre doit être « pauvre ». Or, l’Opus Dei n’ayant rien mais possédant beaucoup, il y avait une incohérence. La réponse est à chercher du côté de cette galaxie de personnes morales, d’associations, de fondations que l’Opus Dei a développée partout, en Espagne, en France, beaucoup en Suisse, mais aussi en Belgique. Ensuite, à travers ses coopérateurs, l’Opus Dei a pu engranger des sommes extraordinaires. Ces coopérateurs ne sont pas membres ; ils vivent dans la société civile, sont mariés, pères de famille, chefs d’entreprise, mais sont proches des idées de l’Opus Dei et y versent des dons.

    Vous citez les noms d’Etienne Davignon, de Maurice Lippens. Sur quoi vous fondez-vous pour soupçonner qu’ils sont des coopérateurs ?
    Dans les deux cas, je peux développer les sources et faire la démonstration. Je ne le fais pas dans ce livre car je ne voulais pas en faire un livre à scandale. J’ai beaucoup de respect pour ces deux messieurs. S’ils veulent attaquer le livre, ils peuvent le faire. Mais dans l’ouvrage, j’use du conditionnel et de beaucoup de précautions : je ne dis rien qui offre le profil d’une certitude absolue.

    Ces coopérateurs usent de leur position pour faire avancer les idées de l’Opus Dei ?
    En Belgique, l’Œuvre est présente dans le monde judiciaire, dans celui des entreprises, dans la politique aussi, mais de façon marginale, c’est-à-dire uniquement par personne interposée. Dans tous ces cas, les coopérateurs et proches de l’Opus Dei véhiculent évidemment un projet de société particulier et se servent de leur fonction pour le faire aboutir, d’une façon ou d’une autre. L’Œuvre est sortie de son rôle spirituel « pur jus » : c’est devenu une entreprise de conquête d’un pouvoir économique. J’ai chiffré les recettes de l’Œuvre à 100 millions de dollars par jour. L’Opus Dei a compris avant tout le monde que les Eglises avaient une durée de vie et qu’il fallait que l’Œuvre survive à l’Eglise. Or, dans nos sociétés de consommation, le pouvoir de demain appartient à ceux qui ont des sous. Un peu plus de la moitié des entreprises du CAC 40 sont dirigées par des proches de l’Opus Dei. L’entreprise Renault, par exemple, a toujours été dirigée par des proches, voire par des membres, dont certains ne se cachent pas.

    En Belgique, le terreau n’est pas très fertile... Vous comparez – pour mieux les opposer – franc- maçonnerie et Opus Dei. Le lobbying franc-maçon n’a-t-il pas plus de portée que le lobbying opusien ?
    On parle beaucoup de la maçonnerie comme pouvoir d’influence, mais c’est parce que les franc- maçons ne sont pas secrets (contrairement à l’Opus Dei), juste discrets. Si vous connaissiez les difficultés rencontrées par les loges pour payer les factures d’électricité, vous comprendriez qu’on est loin du grand complot mondial. L’Opus Dei, par contre, a développé des structures mondiales. Les tentatives d’être présent sur le terrain politique existent, en Belgique aussi. L’Opus Dei joue-t-il un rôle politique majeur et décisif pour autant ? Non. Mais la Belgique n’est pas une île, elle subit les influences de ses voisins. Il faut comprendre que l’Opus Dei vit dans l’intemporalité. Ils ont tout le temps. Ce qui n’est pas le cas de nos politiques. Je ne connais aucune institution qui ait une telle vision froide, sur le long terme, avec une redoutable efficacité de ramification dans tous les milieux.

    #opus_dei #argent #pouvoir #religion #Michelin #extrême_droite #sexisme #école #France #Suisse #Belgique #Espagne #finance #multinationale #Bilderberg #pouvoir-économique #cac40 #renault #secte #opus_dei #esclavage #traditionalistes

    #etienne-davignon #Commission-européenne #bilderberg #Suez-Tractebel #Brussels-Airlines
    https://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89tienne_Davignon

    • Président de la Table ronde des industriels européens ( #ERT ), de l’AG et du CA de l’ICHEC Brussels Management School de la Société générale de Belgique, Union minière du Haut Katanga (UMHK), de la Compagnie maritime belge, de la Compagnie des wagons-lits, Recticel, SN Airholding.
    • Vice-président d’Accor, Arbed, Tractebel, Fortis Belgique, Umicore, Sibeka.
    • Membre du conseil d’administration de Anglo American Mining, Gilead Sciences, ICI, Pechiney, Foamex, Kissinger Associates, Fiat, Suez, BASF, Solvay, Sofina, Recticel, CMB, Cumerio, Brussels Airlines, BIAC, Petrofina, Real Software.
    • Président de l’Association pour l’union monétaire en Europe depuis 1991, de la Fondation Paul Henri Spaak et d’EGMONT.
    • Membre de la Commission Trilatérale et de la Fondation Ditchley.
    • Membre du directoire du think tank Centre for European Policy Studies.[1] [archive] Ainsi que président de Friends of Europe, un think tank influent.
    • Président du comité de direction du groupe Bilderberg de 1998 à 2010

    #Maurice-Lippens #suez #total #Bilderberg
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Maurice_Lippens
    RAPPEL :
    https://seenthis.net/messages/137701
    https://seenthis.net/messages/628373
    https://seenthis.net/messages/407809
     
     
     
     

  • The Eritrean children who cross borders and deserts alone

    Yobieli is 12 years old. He sits on a small leather stool and fumbles with his hands, interlocking his fingers and pulling them apart. There’s a dark shadow of soft peach fuzz on his upper lip, and his cheeks are childishly smooth. But, his eyes look older. They take in the world around him with the measured calculation of an adult, not the innocent wonder of a child.

    https://www.irinnews.org/feature/2017/07/27/eritrean-children-who-cross-borders-and-deserts-alone
    #Ertythrée #asile #migrations #réfugiés #parcours_migratoires #itinéraires_migratoires #enfants #enfance #MNA #mineurs_non_accompagnés

  • #Télévision grecque, la désillusion

    Après avoir arboré le sigle #NERIT — chaîne ersatz lancée par le gouvernement Samaras après la fermeture brutale d’#ERT en juin 2013 —, l’enseigne du palais de la Radio télévision hellénique affichait à nouveau en juin 2015 les trois lettres symboles de l’audiovisuel public historique.


    https://www.lacite.info/reportage/2016/4/7/ert-grece-lutte
    #Grèce #TV

  • L’euro, ou la haine de la démocratie - Frédéric Lordon - Les blogs du Diplo
    http://blog.mondediplo.net/2015-06-29-L-euro-ou-la-haine-de-la-democratie

    C’est qu’on peut difficilement porter la démocratie en bandoulière, en faire des chartes à enluminures ou des hymnes à la joie, un modèle offert au monde (éventuellement à coup de frappes aériennes), et la bafouer à ce point à domicile.

    (...)

    Car les 80 points de PIB de dette pris depuis 2008 ne sont pas, comme le répète l’éditorialisme en pilotage automatique, « la dette de la Grèce » : c’est la dette de l’impéritie européenne, la dette de la plus gigantesque erreur de politique économique de l’histoire du capitalisme, la dette de l’acharnement idéologique, dit plus brièvement : la dette de la zone euro – et par conséquent la dette dont il n’est que justice que la zone euro se la carre dans le train.

    (...)

    En écrivant en janvier que l’alternative de Syriza était de passer sous la table ou de la renverser( [7] et qu’il n’y aurait pas de tiers terme, en particulier que l’idée d’obtenir quoi que ce soit des institutions européennes, ou pire encore d’engager leur transformation de l’intérieur, était un rêve de singe, il faut bien avouer qu’on n’était pas prêt à parier grand-chose sur l’hypothèse du renversement. Hic Rhodus hic salta [8] comme dit l’adage latin. Et c’est là qu’on voit les vrais hommes politiques. Pour toutes les erreurs stratégiques qu’il a commises jusqu’ici, il se pourrait bien que Tsipras en soit un. C’est qu’il faut une sacrée consistance pour faire face à ce mélange de périls et de chances qui s’offre à lui aujourd’hui – qui s’offre à lui ? non, qu’il a fait advenir en se tenant au plus près de l’essence de la politique : la proposition faite au peuple de décider souverainement.

    Comme Roosevelt se déclarait fier en 1936 d’être devenu objet de haine de l’oligarchie capitaliste qu’il avait décidé de défier carrément, Tsipras peut s’enorgueillir des tombereaux d’injures que lui réserve une oligarchie d’un autre type, le ramassis des supplétifs d’une époque finissante, et qui connaitront le même destin qu’elle, la honte de l’histoire. La première chose que Jean Quatremer a cru bon de tweeter consiste en photos de queues devant les distributeurs à billets. Et d’annoncer avec une joie mauvaise : « La Grèce sera donc en faillite mardi à minuit. Accrochez-vous ! ».

    On voudrait que quelque archiviste de talent, conscient de ce qui se joue d’historique ces jours-ci, s’attache à collecter tout ce qui va se dire et qui méritera de rester, tout ce que pense et dit l’oligarchie quand, à l’épreuve d’un moment critique, elle jette enfin le masque – car cette fois-ci le masque est bel et bien jeté. « La Grèce, c’est fini » titre le JDD du 28 juin, dirigé par Denis Olivennes, l’un des Gracques à qui l’on doit cette tribune à valeur de document quasi-psychiatrique publiée dans Les Echos, où l’on apprenait qu’il était urgent de « ne [pas laisser] Monsieur Tsipras braquer les banques » [9], textuellement, alors que le refus de restructurer la dette grecque jusqu’en 2012 n’a pas eu d’autres finalités que de sauver les banques allemandes, françaises, etc., ces banques où, précisément, prolifère la racaille Gracque, en effet la vraie racaille dans la société française – pas celle de Sarkozy –, ces « anciens hauts fonctionnaires socialistes » comme ils aiment à se présenter eux-mêmes, et qui en disent assez long sur l’état réel du « socialisme » français – pour ceux qui ne s’en seraient pas encore aperçus.

    #Grèce

    • sinon "Par un paradoxe qui doit tout aux coups de fouet de l’adversité, il se pourrait que cette avalanche de haine, car il n’y a désormais plus d’autre mot, soit le meilleur ciment des gauches européennes, et leur plus puissant moteur. Car la guerre idéologique est déclarée. Et il faudra bien cet état de mobilisation et de colère pour supporter ce qu’il va falloir supporter. Il ne faut pas s’y tromper : sauf à ce que tout l’euro parte en morceaux à son tour, hypothèse qui n’est certainement pas à exclure mais qui n’est pas non plus la plus probable, les yeux injectés de sang d’aujourd’hui laisseront bientôt la place à l’écœurant rire triomphateur des Versaillais quand la Grèce passera par le fond du trou. Car elle y passera. Elle y passera au pire moment d’ailleurs, quand Espagnols et Portugais, sur le point de voter, se verront offrir le spectacle du « désastre grec » comme figure de leur propre destin s’ils osaient à leur tour contester l’ordre de la monnaie unique. Ce sera un moment transitoire mais terrible, où, sauf capacité à embrasser un horizon de moyen terme, les données économiques de la situation n’offriront nul secours, et où l’on ne pourra plus compter que sur la colère et l’indignation pour dominer toutes les promesses de malheur. En attendant que se manifestent les bénéfices économiques, et plus encore politiques, du geste souverain."

    • Que le gouvernement Syriza, à l’encontre de ses propres engagements électoraux, ait accepté de se couler dans la logique du mémorandum et de jouer le jeu de l’ajustement budgétaire n’était pas encore assez : car la Troïka ne demande pas qu’un objectif global, mais aussi la manière. Il n’est pas suffisant que la Grèce s’impose une restriction supplémentaire de 1,7 point de PIB, il faut qu’elle la compose comme il faut. Par exemple l’augmentation du taux d’imposition sur les sociétés de 26% à 29%, ainsi que la taxe exceptionnelle de 12% sur les profits supérieurs à 500 000 euros ont été refusées par la Troïka au motif qu’elles étaient… de nature à tuer la croissance ! – ou quand l’étrangleur déconseille à ses victimes le port du foulard. En revanche la Troïka tient beaucoup à ce qu’on en finisse avec la petite allocation de solidarité servie sur les retraites les plus pauvres – le décile inférieur a perdu jusqu’à 86 % de revenu disponible de 2008 à 2012 [1] … c’est donc qu’il reste 14 bons pourcents : du gras ! Elle refuse la proposition grecque de taxer les jeux en ligne, mais demande la fin du subventionnement du diesel pour les agriculteurs – des nantis. Et tout à l’avenant.

    • On pourrait se perdre à l’infini dans ces détails qui disent tous le délire idéologique additionné d’instincts sociaux meurtriers – au sens presque littéral du terme, car rompre avec le fléau du gouvernement par abstractions macroéconomiques demande de prendre connaissance du tableau des conditions concrètes d’existence de la population grecque à l’époque de l’austérité, entre baisse de l’espérance de vie, explosion du taux de suicide, effondrement de la qualité des soins, etc [2]. On pourrait dire tout ça, donc, mais on n’aurait pas dit l’essentiel, qui tient à une forme de haine politique, comme il y avait jadis des haines religieuses, mais, fait inédit, une haine politique institutionnelle, une haine portée par des institutions. Depuis le premier jour, les institutions européennes n’ont pas eu d’autre projet que de faire mordre la poussière au gouvernement Syriza, d’en faire, par un châtiment exemplaire, une leçon à méditer par tous les autres pays qui pourraient avoir à l’idée eux aussi de ne pas plier, comme s’il fallait annuler l’événement de la première authentique alternance politique en Europe depuis des décennies.

    • Juncker : « égoïsme et populisme ont pris le dessus » en Europe
      29 juin 2015
      http://francais.rt.com/international/3742-juncker-afflige-par-spectacle-europe-crise-gecque

      S’adressant directement au peuple hellénique, ce dernier lui a demandé de voter « oui » et ce « indépendamment de la question posée » de lors du référendum qui doit se tenir en Grèce le samedi 5 juillet. « Un "non" serait désastreux car cela signifierait un "non" à l’Europe », a martelé le président de la Commission. « Il ne faut pas se suicider parce que l’on a peur de la mort », a ainsi conclu Jean-Claude Juncker.

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      Alexis Tsipras
      ‏@tsipras_eu

      We have justice on our side. If we can overcome fear, then there is nothing left to fear. @ErtSocial #ert #Greece

  • Radio et télévision publiques grecques : Syriza face à ses promesses
    http://television.telerama.fr/television/radio-et-television-publique-grecques-syriza-face-a-ses-promesse

    L’avenir de l’#audiovisuel public grec (#ERT) est entre les mains du parlement depuis le 7 avril. “Ce ne sera pas un retour à l’ancien régime” a précisé le gouvernement.

    • Présenter une loi de réouverture de l’ERT est une véritable gageure pour un gouvernement pris en étau entre ses promesses électorales, des créanciers qui comptent sur le remboursement des prochaines échéances et des dirigeants européens dubitatifs sur le changement d’orientation politique promis par Syriza. Dans ce cadre, il est hors de question de procéder de la même façon que le gouvernement précédent : par un licenciement massif des équipes de Nerit, par des recrutements fondés sur la proximité du pouvoir plus que sur les compétences, explique, en substance, un proche du dossier, ou encore en multipliant les consultants onéreux, mais pas forcément efficaces. D’autre part, même si « ERT » devrait redevenir la dénomination officielle, « ce ne sera pas le retour à l’ancien régime », précise un membre du gouvernement, « le budget devra être à l’équilibre et seule la redevance devrait constituer la source de financement ». Cette précision est de taille alors que les tensions sont vives entre le gouvernement d’Alexis Tsipras et les dirigeants européens sur l’état des finances du pays. Enfin, « il y aura des garanties en matière de pluralisme et d’objectivité de l’information ».

      Cela suffira-t-il à rassurer les « résistants », comme se nomment les membres de l’équipe de l’ERT-Open ? « Nous avons aidé à chasser le gouvernement Samaras du pouvoir, relayé les promesses de Syriza. Nous nous attendions à ce qu’ils les tiennent », affirme, amère, Panayotis Kalfayanis, après avoir eu vent de la mouture soumise au Parlement. Pour le Président de PospErt, « le gouvernement applique les mêmes politiques que les autres mais dans un emballage plus joli. » L’objet de ce sévère jugement ? La réintégration des salariés se fera à des conditions qui ne satisfont pas, dans l’état actuel du projet de loi. Ainsi, alors qu’ils ont subi, comme l’ensemble des Grecs, des baisses de salaires au fur et à mesure qu’étaient appliquées les politiques d’austérité, leur ancienneté pourrait ne plus être intégralement reconnue et ils risquent de ne pas retrouver leurs salaires de 2012.

      Dans les locaux de l’Ert-Open, en banlieue d’Athènes, une voix s’élève : « Mais ils ne peuvent pas mieux faire ! Ils ont les Européens sur le dos. On en revient toujours au même problème. »

  • #Pays_Basque, #Israel, #Sécurité, #Répression, #Guardian_Homeland_Security

    Una empresa de seguridad israelí identifica como clientes a la #Ertzaintza y la #Policía_Foral

    La empresa israelí de seguridad privada Guardian Homeland Security identifica como clientes a la Ertzaintza y la Policía Foral, entre otros cuerpos. Uno de los participantes en los cursos, que se ofrecen en Israel, se jacta de que aprenden «técnicas muy depuradas, probadas en combate».
    ...

    http://www.naiz.info/eu/actualidad/noticia/20140211/viajan-la-ertzaintza-y-la-policia-foral-a-israel-para-aprender-tecnicas-de-re

    http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=fUlPItlIwas

  • ERT occupiers evicted by Greek police - video | Media | theguardian.com
    http://www.theguardian.com/media/video/2013/nov/07/ert-occupiers-evicted-greek-police-video

    This is how fascism works, slyly and in darkness...

    Greek riot police cordon off the area outside the entrance to the former state TV station ERT after security forces stormed the building on Thursday. The action was taken to evict dozens of protesters who have occupied the building since June, when the government abruptly shut the broadcaster. Since the closure, former employees have been using the equipment in the building to broadcast over the internet

    #Grèce #Union_Européenne #Télévision #ERT

  • Revue de presse hebdo : grandes oreilles, nouveau roi et corruption
    http://fr.myeurop.info/2013/07/05/revue-de-presse-hebdo-grandes-oreilles-nouveau-roi-et-corruption-11442

    myeurop

    Un nouveau venu discret dans l’#Union_européenne, des oreilles qui traînent, un avion qui ne décolle pas, un roi qui abdique : revue de presse (très parcellaire !) de l’actualité de la semaine.

    « Demo, Hrvatska ! Let’s go, Croatia ! ». lire la (...)

    #Médias #REVUE_DU_WEB #INFO #Belgique #Espagne #Grèce #Italie #Croatie #Egypte #ERT #espion #NSA #Revue_de_presse_européenne #Roi_Albert_II #Snowden

  • La Grèce : la fermeture du l’ERT est à retirer selon une décision dans la Haute Cour Administrative - l’ERT continuera avec un programme réduit.

    http://orf.at/stories/2187581/2187582

    Das höchste griechische Verwaltungsgericht hat die Schließung des öffentlich-rechtlichen Rundfunksenders ERT für nichtig erklärt. In einer einstweiligen Verfügung ordnete das Gericht am Montag den Weiterbetrieb des Senders an, bis über eine geplante Neuordnung des staatlichen Rundfunks entschieden sei. Zeitgleich einigte sich auch die Regierung in Athen in der Causa ERT auf einen Kompromiss.

    [...]

    Handfeste Regierungskrise

    Samaras hatte am vergangenen Dienstag ohne Zustimmung seiner Bündnispartner die sofortige Schließung von ERT mit seinen drei TV-Kanälen sowie diversen regionalen und nationalen Radiostationen verkündet und den Sendebetrieb einstellen lassen. Er begründete die Entscheidung, durch die rund 2.700 Menschen arbeitslos wurden, mit der Intransparenz und der Verschwendung bei dem Sender. Die entlassenen ERT-Mitarbeiter legten mit Unterstützung der Gewerkschaften Beschwerde gegen die Schließung ein.

    #Grèce #Griechenland #Greece
    #ERT #TV #Radio #media #Medien

    #crise #Krise #crisis - #gouvernement #Regierung #government

  • La télé publique grecque sauvée, mais pas les #Médias privés
    http://fr.myeurop.info/2013/06/18/la-tele-publique-grecque-sauvee-mais-pas-les-medias-prives-10309

    Effy Tselikas

    La radio-télévision publique #ERT a rouvert sur décision du Conseil d’Etat, mais sans garantie de survie. En #Grèce c’est toute la #presse_écrite et audiovisuelle aux mains de magnats affairiste qui est malade de ses multiples conflits d’intérêts. Etat des lieux.

    Mardi dernier, le premier ministre (...)

    #Politique #Économie #Europe #Citizen_Kane #magnat #sites_d'information #télévision_grecque #TV

  • Fermeture de la télé publique grecque: un coup d’Etat culturel
    http://fr.myeurop.info/2013/06/12/fermeture-de-la-tele-publique-grecque-un-coup-d-etat-culturel-10002

    Effy Tselikas

    Coup de tonnerre en #Grèce. Sur décision du gouvernement, les chaînes de #télévision et les radios publiques sont fermées. Plus de 2.600 fonctionnaires dont 650 journalistes sont sur le carreau : le gouvernement atteint d’un coup les objectifs fixés par la Troika... Récit.

    Surréaliste ! Même les (...)

    #Société #Politique #Audiovisuel #Audiovisuel_public #austérité #coupes_budgétaires #crise #ERT #radio #service_public

  • Fermeture d’ERT : du jamais vu, « même pendant la dictature »
    http://www.lemonde.fr/europe/article/2013/06/12/fermeture-d-ert-du-jamais-vu-meme-pendant-la-dictature_3428369_3214.html

    Autour de lui, des gens affluent par grappes, journalistes, étudiants, militants politiques, ou simples voisins hébétés, venus aux nouvelles. En début de soirée, tout le monde pensait que les salariés de ERT allaient organiser la résistance, garder l’antenne et le contrôle de la situation, malgré le décret présidentiel autorisant dans l’après-midi la fermeture de l’entité. Mais c’est l’émetteur principal, situé sur le mont Hymette à l’est d’Athènes, qui a été neutralisé, privant d’un seul coup ERT de tout moyen de retransmission.

    Personne ne s’attendait à un lockout mené de manière aussi expéditive sur un groupe audiovisuel, qui connaît, certes, les pesanteurs du service public et des taux d’audience très bas, inférieurs à 10 %, mais qui bénéficie d’un grand respect dans le monde de la culture. Dans les couloirs, c’est la stupeur. Les présentateurs ont le maquillage qui dégouline, les yeux hagards. Les assistantes craquent. Le bouleversement s’est répandu jusque dans le couloir qui mène au bureau du président du principal syndicat de salariés, Panayotis Kalfayanis, où des éclats de voix homériques font trembler les minces parois. L’homme se fait agonir d’injures par un de ses affiliés qui lui reproche de ne pas avoir protégé les émetteurs du mont Hymette

    #ert #Grèce

    • Editorial du Courrier (Suisse) :

      Le taux de chômage en Grèce est monté à 27,4% au premier trimestre 2013. Un record, qui ne comprend pas les 2650 employés de la radio-télévision publique (ERT), brutalement privés de travail mardi à 23h, quand les chaînes ont cessé d’émettre. Hier, à l’occasion d’une grève générale dans le pays, le leader de la gauche, Alexis Tsipras, a une nouvelle fois fait l’analogie avec un coup d’Etat : « La télévision publique s’interrompt seulement dans deux circonstances : lorsqu’un pays est occupé par une puissance étrangère ou en cas de coup d’Etat », a-t-il déclaré.
      Au Venezuela, lors du putsch contre Chavez en 2002, l’une des premières mesures fut de fermer la chaîne nationale Canal 8, un black-out qui permit de diffuser largement le mensonge de la « démission » du président… jusqu’à ce que des citoyens reprennent la télévision publique ! Aujourd’hui, les employés de la ERT résistent, la population se mobilise. Cette résistance passe aussi par Genève, où se trouve le siège de l’Union européenne de radio-télévision grâce à qui les programmes continuent à être diffusés sur internet.
      C’est que la mesure prise par le premier ministre conservateur Antonis Samaras a créé une véritable onde de choc. Contre l’avis des socialistes du PASOK et de la Gauche démocratique, cette décision a provoqué une crise sans précédent au sein du gouvernement de coalition. Mais l’onde s’est étendue au-delà de la Grèce. Même la Commission européenne s’est sentie forcée de prendre ses distances. Un comble, puisque c’est bien la Troïka (Commission européenne, Banque centrale européenne et FMI) qui impose à ce pays de limoger des fonctionnaires par milliers !
      De son côté, le premier ministre justifie la fermeture en promettant la renaissance d’un audiovisuel public « plus resserré et efficace ». Ces dernières années pourtant, grâce à la redevance et à la pub, l’entreprise publique était bénéficiaire. Et puis, d’où vient l’idée que liquider un service public permettrait de mieux le réformer, fût-il « clientéliste » comme une partie des Grecs le pensent ? Côté syndical, on déplore, à l’inverse, « une information impartiale » désormais bâillonnée. Ou plus d’information du tout : dans certaines îles, on ne captait que les chaînes publiques.
      Le silence radio d’ERT a pour seul mérite de matérialiser la violence de l’ultralibéralisme et son mépris des institutions. Car, pour brutale et symbolique qu’elle soit, cette mise à mort n’est qu’un épisode de la destruction systématique du patrimoine grec. Symbolique, d’ailleurs, est l’annulation de la représentation d’un Requiem de Verdi au pied de l’Acropole, qui devait associer des choristes de la ERT. Comme si l’on ne donnait même plus les moyens au pays de s’offrir ses propres funérailles.

      http://www.lecourrier.ch/110438/requiem_pour_la_grece

    • En avant lente

      La démocratie, c’est d’abord la conjoncture joyeuse et émouvante. Et si possible en plus, une civilisation dont le faisceau de circonstances participe pleinement à la construction du fait politique. Depuis déjà la cinquième journée consécutive, des centaines d’employés poursuivent l’occupation du siège de l’ERT à Agia Paraskevi. À part l’immense manifestation permanente de soutien, ce rassemblement se transforme également en un grand événement culturel. Ainsi, l’orchestre de la radiotélévision publique grecque a donné un concert plus qu’émouvant, durant plus de six heures vendredi 14 juin au soir. Oubliant les crispations ou les tristesses, une partie de la Grèce au moins, retrouve sa conjoncture joyeuse, et ce n’est pas rien, indépendamment dirions-nous, de toute portée politique immédiate.

      http://greek-crisis.org/@xternS/photos/affc.php?img=Tn95fHJkd1xcXF5ACx4o

      http://www.greekcrisis.fr/2013/06/Fr0251.html

    • La mort « provisoire » de l’audiovisuel public en Grèce

      Depuis le 11 juin au soir, toutes les chaînes et radios affiliées au groupe ERT S.A. ont cessé d’émettre suite à une décision gouvernementale publiée dans le Journal du Gouvernement le même jour, et signée par le ministre des Finances, Ioannis Stournaras, et le premier ministre adjoint, Siméon Kedikoglou. Plus précisément la décision gouvernementale de fermeture d’ERT S.A. touche : 5 chai­nes de télévision : ET1, NET, ET3, ERT WORLD (satel­lite), ERT HD (numé­ri­que), – sept sta­tions radiophoniques à Athènes : 1er, 2e, 3e, Kosmos, ERA Sport, Filia, 5e Programme (emis­sion mon­diale), – trois sta­tions radiophoniques à Thessalonique : 95,8, 102 et 3e Programme, - 19 sta­tions radiophoniques dans l’ensem­ble du pays, – trois ensem­bles musi­caux : Orchestre Symphonique Nationale, Orchestre de Musique Contemporaine, Chorale d’ERT, – un maga­zine papier : Radiotiléorasi.

      http://rebellyon.info/La-mort-provisoire-de-l.html

    • Trial for NERIT, station might be used in PM address

      The symbol of the New Hellenic Radio Internet and Television (NERIT), the name of the organization that is to replace the defunct state broadcaster ERT, appeared on television screens on Monday over multi-colored stripes, after several days of black screens following ERT’s surprise closure.

      According to reports in some media on Monday that could not be independently verified, Prime Minister Antonis Samaras is planning to address to the nation ahead of a critical scheduled meeting with his coalition partners at 7.30 p.m. which would be aired on the new channel.

      Dismissed employees of ERT continued on Monday with a pirate broadcast that was carried over the internet and re-transmitted via satellite by the European Broadcasting Union.

      http://www.ekathimerini.com/4dcgi/_w_articles_wsite1_1_17/06/2013_504331

    • Greece : ‘Find a solution’

      A year to the day since the elections that put them in power, the three parties of the coalition led by Antonis Samaras are to hold talks on a possible reopening of public broadcaster ERT, in what amounts to “a last-ditch bid to avoid early general elections.”

      If a compromise cannot be found, Samaras’ partners, the socialists of the PASOK and the Democratic Left (DIMAR), who are staunch opponents of the ERT closure, could withdraw their support from the coalition, explains Greek daily To Ethnos.

      Also on June 17, the Greek Council of State will rule on an appeal against the closure submitted by ERT employees. The judges may opt to order a temporary resumption of the broadcaster’s activities until a definitive ruling can be established — a possibility that will allow the coalition a little more time.

      According to a June 15 poll to forecast the results of early general elections, the conservative New Democracy party, which is led by Samaras would take 29.5 per cent of the vote, closely followed by the radical left SYRIZA on 27.5 per cent. The neo-Nazi Golden Dawn would be ranked third with 11.5 percent, while PASOK would take just 6.5 per cent.

      http://www.presseurop.eu/en/content/news-brief/3887241-find-solution

  • Silence Radio en Grèce
    http://blogs.mediapart.fr/blog/mehdi-zaaf/110613/silence-radio-en-grece

    Peu après l’annonce, des milliers de grecs se sont orientés vers le siège de la télévision publique pour manifester leur soutien, où plusieurs bataillons de la police anti-émeute (MAT) les attendaient.

    Le gouvernement n’aura même pas attendu minuit pour couper le signal. Peu avant 23h (heure locale) le signal analogique des chaînes du groupe sont peu à peu coupés à Athènes, Thessalonique, Patras et dans le reste du pays. Il faudra quelques minutes de plus au gouvernement pour arrêter la diffusion de la télévision par internet, dernier recours pour suivre la couverture en direct des journalistes qui assistent, impuissants, aux dernières heures de la Télévision Nationale.

    Comme si cela ne suffisait pas, les différents journalistes de la chaîne rapportent par Twitter que même leurs lignes téléphoniques sont coupées. Les policiers, pendant ce temps, entrent dans le siège afin de faire sortir les employés de la chaîne, bien décidés à continuer à diffuser.

    La fermeture d’ERT, applaudie par l’Aube Dorée, a été fermement condamnée par les partis politiques de l’opposition (Syriza, KKE, Grecs Indépendants) ainsi que par le Pasok et la Gauche Démocratique qui n’ont pas voté le décret, bien que faisant partie de la coalition gouvernementale. Il semblerait bien que cette mesure décidée unilatéralement par Nouvelle Démocratie puisse mettre en péril le gouvernement au pouvoir depuis moins d’un an. A voir si le Pasok et DimAr iront jusqu’au bout de leur acte en retirant leur participation au gouvernement, ce qui signifierait la chute immédiate de celui-ci.

    #Grèce #ert #coup_d'état #junte

  • #Ert : pourquoi le gouvernement grec veut fermer sa radiotélévision publique ? | smyrnaios.net
    http://smyrnaios.net/archives/984

    Au milieu de 150 chaînes privées, l’ERT c’est trois chaînes publiques, quatre radios nationales, 21 radios régionales qui émettent parfois dans des zones où on ne capte guère d’autres sources d’infos, et la chaîne de télévision que regarde la diaspora grecque dans le monde entier.

    Le gouvernement est dans l’impasse en raison de son choix de suivre la politique d’austérité radicale et aveugle demandée par le FMI, l’UE et la BCE.

    Mais il ne peut licencier autant de fonctionnaires aussi vite qu’il le voudrait. Le statut intermédiaire des employés d’ERT fait d’eux des victimes idéales. Il tente tout simplement la dissolution de cette entreprise publique. Pourtant ERT n’est pas déficitaire.

    Mais l’autre raison capitale est la volonté du gouvernement néo-conservateur actuel de détruire le service public et de privatiser les biens communs.

    Les premiers bénéficiaires de cette décision seront les propriétaires des chaines de télévision privées qui récupèreront mécaniquement l’audience et la publicité du groupe public.

    #ert #Grèce #troïka #privatisations

  • Hommage à #Iñigo_Cabacas (http://www.inigocabacas.com), tué par la balle d’un #flashball (ou équivalent) utilisé par la #Ertzaintza (police basque) après le match de football Bilbao-Schalke 04 ...

    Una multitudinaria manifestación silenciosa ha recorrido esta tarde Bilbo en recuerdo al aficionado del Athletic Iñigo Cabacas, muerto por un pelotazo de la Ertzaintza. Los asistentes a la marcha y los familiares del joven han reiterado la demanda de justicia. Al inicio del encuentro del Athletic se ha guardado un minuto de silencio y los jugadores han saltado al terreno con camisetas en recuerdo del basauriarra. El primer gol se lo han dedicado a él.

    http://www.gara.net/azkenak/04/334806/eu/Una-multitudinaria-marcha-silenciosa-exige-justicia-para-Inigo-Cabacas