• Stocker l’#eau en #sous-sol, mieux que les #mégabassines

    Les #eaux_souterraines s’épuisent partout dans le monde. Une catastrophe qui ne cesse de s’accélérer d’après une étude publiée dans la revue Nature, qui déconseille la création de #réserves_d’eau en surface telles que les mégabassines. Des chercheurs de l’université de Santa Barbara (Californie) y présentent la plus grande évaluation de niveaux des eaux souterraines dans le monde, s’étendant sur près de 1 700 #aquifères, ces sols ou roches #réservoirs contenant des #nappes_d’eau_souterraine.

    L’étude tire la sonnette d’alarme quant à l’épuisement des ressources en eau : le niveau diminue dans 71 % des réserves mesurées. Surtout, le #déclin perçu dans les années 1980 puis 1990 s’est largement accéléré depuis les années 2000. Scott Jasechko, co-auteur de l’étude et professeur agrégé à la Bren School of Environmental Science & Management, présente toutefois des motifs d’espoir par l’action humaine. Le chercheur prend l’exemple de la ville de #Tucson, en Arizona, où l’eau provenant du fleuve Colorado est utilisée pour reconstituer l’aquifère dans la vallée voisine d’#Avra.

    « Moins cher, moins perturbateur et moins dangereux »

    D’après lui, les #stockages_souterrains réalisés dans ces réserves déjà existantes sont bien plus efficaces et moins onéreux que les stockages d’eau en surface. « Le remplissage intentionnel des aquifères nous permet de stocker ces réserves jusqu’au moment où nous en avons besoin, indique Scott Jasechko. On peut dépenser beaucoup d’argent pour construire des infrastructures pour retenir l’eau à la surface. Mais si on a la bonne géologie, stocker de grandes quantités d’eau sous terre est moins cher, moins perturbateur et moins dangereux. »

    Ce type d’intervention a toutefois participé à diminuer le débit du #Colorado. Épuisé par les activités humaines, le fleuve n’a la plupart du temps plus assez d’eau pour atteindre son embouchure dans le golfe de Californie. D’après l’étude, la seule autre solution pour contenir l’épuisement des réserves d’eau souterraines est une réglementation institutionnelle (délivrance de permis, frais d’utilisation) pour en restreindre l’accès.

    https://reporterre.net/Stocker-l-eau-en-sous-sol-mieux-que-les-megabassines

    • Rapid groundwater decline and some cases of recovery in aquifers globally

      Groundwater resources are vital to ecosystems and livelihoods. Excessive groundwater withdrawals can cause groundwater levels to decline1,2,3,4,5,6,7,8,9,10, resulting in seawater intrusion11, land subsidence12,13, streamflow depletion14,15,16 and wells running dry17. However, the global pace and prevalence of local groundwater declines are poorly constrained, because in situ groundwater levels have not been synthesized at the global scale. Here we analyse in situ groundwater-level trends for 170,000 monitoring wells and 1,693 aquifer systems in countries that encompass approximately 75% of global groundwater withdrawals18. We show that rapid groundwater-level declines (>0.5 m year−1) are widespread in the twenty-first century, especially in dry regions with extensive croplands. Critically, we also show that groundwater-level declines have accelerated over the past four decades in 30% of the world’s regional aquifers. This widespread acceleration in groundwater-level deepening highlights an urgent need for more effective measures to address groundwater depletion. Our analysis also reveals specific cases in which depletion trends have reversed following policy changes, managed aquifer recharge and surface-water diversions, demonstrating the potential for depleted aquifer systems to recover.

      https://www.nature.com/articles/s41586-023-06879-8

      via @freakonometrics

  • La siccità e le politiche israeliane assetano i contadini palestinesi

    La crisi idrica ha stravolto l’economia del villaggio di #Furush_Beit_Dajan, in Cisgiordania: la tradizionale coltivazione di limoni ha lasciato spazio a serre di pomodori. E lo sfruttamento intensivo rischia di impoverire ulteriormente la terra

    Il telefono squilla incessantemente nello studio di Azem Hajj Mohammed. Il sindaco di Furush Beit Dajan, un villaggio agricolo nel Nord della Cisgiordania, ha lavorato tutta la notte per cercare di identificare due uomini del vicino villaggio di Jiftlik che, sfruttando l’oscurità, si sarebbero allacciati illegalmente alla rete di distribuzione idrica. Secondo la regolamentazione di epoca ottomana, gli abitanti di Furush Beit Dajan hanno diritto al 10% dell’acqua estratta dal pozzo artesiano situato a Nord del villaggio, mentre il 90% spetta a Jiftlik. Ma quando la pressione dell’acqua è bassa, alcuni residenti che ritengono di non riceverne abbastanza si allacciano illegalmente ai tubi, generando tensioni in questa comunità dove l’agricoltura è la principale fonte di reddito per nove abitanti su dieci.

    “Devo individuare rapidamente i responsabili e trovare una mediazione prima che il furto sfoci in un conflitto tra famiglie e che intervenga l’esercito israeliano -spiega il sindaco in un momento di pausa tra due chiamate-. Nessuno vuole autodenunciarsi. Dovrò visionare i filmati delle telecamere di sorveglianza, trovarli e andare a parlarci”, dice a un suo collaboratore. Il viso è segnato dalle occhiaie, dalla fatica e dallo stress accumulati per amministrare un villaggio la cui esistenza affoga in un paradosso: nonostante sorga su una ricca falda, l’acqua è centellinata goccia per goccia. Le restrittive politiche israeliane in materia, aggravate dalla siccità nella Valle del Giordano, hanno causato una profonda crisi idrica che ha stravolto l’economia del luogo, portando i contadini a optare per l’agricoltura intensiva.

    Se Azem Hajj Mohammed è così preoccupato è perché l’accesso all’acqua garantisce la pace sociale a Furush Beit Dajan. Il villaggio si era costruito una reputazione e una posizione sul mercato agricolo palestinese grazie alle floride distese di alberi di limone, piante molto esigenti in termini di fabbisogni idrici. “Il profumo avvolgeva il villaggio come una nuvola. L’acqua sgorgava liberamente, alimentava i campi e un mulino. I torrenti erano così tumultuosi che i bambini rischiavano di annegare”, ricorda l’agricoltore ‘Abd al-Hamid Abu Firas. Aveva diciannove anni quando nel 1967 gli israeliani consolidarono il loro controllo sul territorio e le risorse idriche in Cisgiordania dopo la Guerra dei sei giorni. Da allora, l’acqua ha iniziato a ridursi.

    Nel 1993 gli Accordi di Oslo hanno di fatto conferito a Israele la gestione di questa risorsa, che oggi controlla l’80% delle riserve idriche della Cisgiordania. Le Nazioni Unite stimano che gli israeliani, compresi i coloni, abbiano accesso in media a 247 litri d’acqua al giorno, mentre i palestinesi che vivono all’interno dell’Area C, sotto controllo militare, si devono accontentare di venti litri. Solo un quinto del minimo raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità.

    Il progressivo esaurimento delle falde e le crescenti esigenze idriche delle vicine colonie israeliane di Hamra e Mekhora hanno spinto gli agricoltori a una scelta radicale: abbandonare le varietà di limoni autoctone per sostituirle gradualmente con le coltivazioni verticali e pomodori in serra, che presentano un rapporto tra produttività e fabbisogno idrico più alto. Secondo l’istituto olandese di Delft, specializzato su questi temi, per produrre una tonnellata di pomodori sono necessari mediamente 214 metri cubi d’acqua. La stessa quantità di limoni ne richiederebbe tre volte di più. L’acqua, tuttavia, ci sarebbe. La vicina colonia di Hamra -illegale secondo il diritto internazionale e costruita nel 1971 su terreni confiscati ai palestinesi- possiede una coltivazione di palme da dattero di 40 ettari: per produrre una tonnellata di questi frutti servono 2.300 metri cubi d’acqua, quasi dieci volte la quantità necessaria per la stessa quantità di pomodori.

    Le distese di campi di limoni hanno lasciato il posto a quelle che Rasmi Abu Jeish chiama le “case di plastica”. Il paesaggio è radicalmente mutato: il bianco delle serre ha sostituito il verde delle piante. Dei suoi 450 alberi di limone, il contadino ne ha lasciati in piedi soltanto 30 per onorare la tradizione familiare. Il resto dei suoi 40 dunum di terre (unità di misura di origine ottomana corrispondente a circa mille metri quadrati) sono occupate da serre.

    La diminuzione dell’acqua per l’irrigazione ha generato un cambiamento nei metodi di produzione, portando gli agricoltori ad aumentare le quantità di pomodori prodotte per assicurarsi entrate sufficienti. “Le monocolture rendono i contadini più vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi, più inclini a usare pesticidi e fertilizzanti per assicurarsi entrate stabili. Sul lungo termine questo circolo vizioso rende il terreno infertile e inutilizzabile per l’agricoltura”, avverte Muqbel Abu-Jaish, del Palestinian agricultural relief committees, che accompagna gli agricoltori del villaggio nella gestione delle risorse idriche.

    Senza l’ombra degli alberi di agrumi, anche le temperature registrate all’interno del villaggio sono aumentate, rendendo la vita ancora più difficile d’estate, quando nella Valle del Giordano si superano i 40 gradi. La mancanza di accesso all’acqua e la politica espansionistica dei coloni israeliani, aggravate dalla crisi climatica, hanno portato così l’agricoltura a contribuire soltanto al 2,6% del Prodotto interno lordo della Cisgiordania.

    Il cambiamento di produzione è stato affrontato con più elasticità dalla nuova generazione di agricoltori, non senza difficoltà. “Nonostante questa situazione abbiamo deciso di continuare. Il lavoro è diminuito molto ma qui non abbiamo altre possibilità. È come se senza l’acqua fosse sparita anche la vita. Dobbiamo adattarci”, racconta Saeed Abu Jaish, 25 anni, la cui famiglia ha ridotto i terreni coltivati da 15 a due dunum convertendoli interamente alla coltivazione di pomodori in serra. Oggi il villaggio fornisce circa l’80% dei bisogni del mercato palestinese di questo prodotto.

    Le difficoltà sono accentuate dall’impossibilità di costruire infrastrutture, anche leggere, per la raccolta e lo stoccaggio di acqua piovana. Tutto il villaggio si trova in Area C, sotto controllo amministrativo e militare israeliano, dove ogni attività agricola e di costruzione è formalmente vietata. Quando, nel 2021, il sindaco di Furush Beit Dajan ha fatto installare un serbatoio d’acqua per uso agricolo l’esercito israeliano si è mobilitato per smantellarlo nel volgere di poche ore. Come era accaduto ad altri 270 impianti idrici negli ultimi cinque anni.

    Il sindaco non può nemmeno avviare lavori di ammodernamento della rete idrica, risalente al mandato britannico terminato nel 1948. Dei nove pozzi da cui dipendeva il villaggio, la metà si sono prosciugati, mentre il flusso d’acqua di quelli restanti è diminuito inesorabilmente, passando da duemila metri cubi all’ora prima del 1967, a soli 30 metri cubi oggi, secondo il sindaco Azem Hajj Mohammed.

    Le restrizioni sull’erogazione dell’acqua in Cisgiordania hanno anche un’altra conseguenza, cruciale sul lungo periodo, in questo territorio conteso. Una legge risalente all’epoca ottomana e incorporata dal sistema legislativo israeliano permette infatti allo Stato ebraico di dichiarare “terra di Stato” tutti i campi palestinesi lasciati incolti per almeno tre anni. La carenza d’acqua, i costi, e la disperazione spingono così i contadini palestinesi ad abbandonare il loro terreni che, senza la possibilità di essere irrigati, non producono reddito e pesano sulle finanze familiari. “Non vedo possibilità di miglioramento nell’attuale status quo, con gli Accordi di Oslo che conferiscono il controllo dell’acqua ad Israele. Il numero di coloni aumenta costantemente mentre l’acqua diminuisce. Senza un cambiamento, la situazione non può che peggiorare”, analizza Issam Khatib, professore di Studi idrici e ambientali dell’Università di Birzeit.

    Adir Abu Anish ha 63 anni e coltiva ormai soltanto un sesto dei 50 dunum che possiede. Oltre alle serre di pomodoro, si è concesso di piantare delle viti che afferma essere destinate a seccarsi in un paio d’anni. Il torrente da cui si approvvigionava è contaminato dalle acque reflue provenienti dalla vicina città di Nablus, un caso di inquinamento che il sindaco ha portato in tribunale. All’ombra del suo vigneto, Abu Anish sospira: “Di solito i genitori lasciano in eredità ai loro figli possedimenti e ricchezze. Noi lasciamo campi secchi”.

    https://altreconomia.it/la-siccita-e-le-politiche-israeliane-assetano-i-contadini-palestinesi

    #sécheresse #crise_hydrique #Palestine #Israël #Cisjordanie #agriculture #serres #citrons #tomates #agriculture_intensive #eau #Jiftlik #accès_à_l'eau #réserves_hydriques #Hamra #Mekhora #irrigation #températures #colonies_israéliennes #paysage #puits #terres_d'Etat #Accords_d'Oslo #Nablus

  • Les efforts de nos parlementaires afin d’intégrer la France d’en haut :

    
- Pourquoi un député au bout de seulement cinq ans de cotisation retraite touche une retraite moyenne de 1 500 €/mois alors qu’un employé pour 42 années de cotisation touchera 896 euros en moyenne ?

    – Pourquoi, au bout de deux mandats de six ans chacun, un sénateur peut-il toucher plus de 3 700 € par mois de retraite ?

    – Pourquoi la retraite des élus n’est-elle pas prise en compte dans l’écrêtement (8 200 €) des indemnités d’élus.

    – Pourquoi une cotisation retraite d’élu rapporte-t-elle en moyenne 6,50 € pour un euro cotisé pendant vingt ans alors qu’un salarié du régime général touche entre 0,87 et 1,57 € pour un euro cotisé pendant quarante-deux ans ?

    – Pourquoi un élu peut-il cumuler ses différentes retraites (jusqu’à 5 retraites) ?

    – Pourquoi un élu peut-il travailler en touchant sa (ses) retraite(s) d’élu complète(s) sans plafond de montant alors que le citoyen lambda ne peut le faire sans dépasser la valeur de son dernier salaire ?

    – Pourquoi les élus ont-ils une retraite par capitalisation et ’interdisent-ils résolument aux « autres » qui n’ont droit qu’à une retraite par répartition ?

    – Pourquoi les cotisations retraite des élus peuvent-elles être abondées par les collectivités, ce qui permet à un parlementaire de toucher sa retraite à taux plein avec moins d’annuités de cotisation ?

    – Pourquoi une partie de la pension de retraite des parlementaires est-elle insaisissable (même en cas de fraude ou d’amende) ?

    – Pourquoi un agent public qui voudrait se présenter à une élection législative ne devrait-il pas démissionner de la fonction publique ?
    Un salarié le doit, lui, s’il veut travailler ailleurs !

    – Pourquoi deux ans d’allocations chômage pour un salarié lambda du régime général et cinq ans pour les députés ? 
Ceux-ci ont-ils plus de mal à retrouver un travail ?

    – Pourquoi les députés qui ne se représentent pas peuvent-ils toucher l’allocation différentielle et dégressive de retour à l’emploi ? 
Un salarié qui démissionne n’a, lui, droit à rien !

    – Pourquoi faut-il avoir un casier judiciaire vierge pour entrer dans certaines professions et que ce n’est pas le cas pour être élu

    – Pourquoi la fraude dans la déclaration de patrimoine d’un élu ne vaut-elle pas la prison mais seulement 30 000 € d’amende alors que la simple fraude d’un citoyen pour faux et usage de faux d’un document délivré par l’Administration est punissable de cinq ans d’emprisonnement et de 75 000 € d’amende ?

    – Pourquoi un parlementaire (député ou sénateur) touche-t-il une IRFM (indemnité représentative de frais de mandat) de 5 770 € par mois pour un député et de 6 200 € par mois pour un sénateur, dont l’usage n’est pas contrôlable et pour lequel il n’a de compte à rendre à personne ?

    – Pourquoi, durant son mandat, un élu peut-il s’acheter un bien qu’il nomme souvent « permanence », le payer à crédit avec l’IRFM, qui est de l’argent public, et le garder ou le vendre pour son bénéfice personnel ?

    – Pourquoi les parlementaires cumulards peuvent-ils toucher plusieurs enveloppes de frais de représentation  ?

    – Pourquoi les restaurants trois étoiles (cinq étoiles ?) de l’Assemblée nationale et du Sénat coûtent-ils si peu cher à l’élu ?

    – Pourquoi un élu à revenu égal de celui d’un salarié paye-t-il moins d’impôt sur le revenu ?

    – Pourquoi parle-t-on toujours de réduire le nombre de fonctionnaires mais jamais celui des parlementaires ?

    – Pourquoi les sénateurs se sont-ils versé en 2011, au titre d’un « rattrapage exceptionnel », une prime de 3 531,61 € avant les congés d’été... ?

    – Pourquoi aucun chiffre n’existe sur la présence ou non des sénateurs lors des séances au Sénat ?

    – Pourquoi la pension de réversion d’un élu décédé est-elle de 66 % sans condition de ressources du survivant alors que celle d’un salarié du privé est de 54 % sous condition de ressources du survivant (aucune réversion au-dessus de 19 614,40 brut annuel !

    – Pourquoi la retraite d’un élu est-elle garantie et connue d’avance alors qu’un salarié du régime général n’est sûr de rien ?

    – Pourquoi un député peut-il cumuler plusieurs « réserves parlementaires » sans que cela se sache officiellement ?

    – Pourquoi l’indemnité de fonction d’un député et son IRFM ne sont-elles pas imposables ?

    – Pourquoi un député a-t-il droit au remboursement de frais de taxis parisiens (alors qu’il touche l’IRFM pour ça) ?

    – Pourquoi un ancien sénateur ou un ancien député ont-ils droit à la gratuité à vie en première classe SNCF ?

    – Pourquoi un ancien sénateur et son conjoint ont-ils le droit du remboursement de la moitié de 12 vols Air France par an et à vie ?

    – Pourquoi un sénateur peut-il emprunter jusqu’à 150 000 € à un taux préférentiel ?

    – Pourquoi les anciens ministres, leurs conjoints et leurs enfants ont-ils droit à la gratuité à vie des vols Air France et à la gratuité à vie des transports sur le réseau SNCF ?

    – Pourquoi y a-t-il dans le service des fraudes un service spécial pour les élus ?

    – Pourquoi une fraude d’élu est-elle différente des autres pour bénéficier d’un traitement de faveur ?

    – Pourquoi un élu condamné définitivement ne rembourse-t-il pas les frais d’avocat dépensés pour lui par la collectivité ?

    Il est vrai que ces différences existantes ne sont pas souvent évoquées par la presse par nos élus, les décideurs des modifications législatives !

    Source : http://richessem.eklablog.com/article-413-arnault-ses-mensonges-et-ceux-de-la-presse-sur-les-p

    #privilèges #députés #députées #sénateurs #sénatrices financement des #retraites #fraude #cotisations #cumul #abondement #allocations_chômage #casier_judiciaire #fraude #pension_de_réversion #réserves_parlementaires #IRFM #prêt #taux_préférentiel #SNCF #traitement_de_faveur

    • Pourquoi cette surveillance ultraviolente ?
      Nos chers élus ont peur de perdre les avantages, privilèges qu’elles/ils se sont attribué. Surveillons les !
      
 

      
- Pourquoi un député au bout de seulement cinq ans de cotisation retraite touche une retraite moyenne de  1 500 €/mois alors qu’un employé pour 42 années de cotisation touchera 896 euros en moyenne ?

      – Pourquoi, au bout de deux mandats de six ans chacun, un sénateur peut-il toucher plus de  3 700 € par mois de retraite ?

      – Pourquoi la retraite des élus n’est-elle pas prise en compte dans l’écrêtement  (8 200 €)  des indemnités d’élus.

      – Pourquoi une cotisation retraite d’élu rapporte-t-elle en moyenne 6,50 € pour un euro cotisé pendant vingt ans alors qu’un salarié du régime général touche entre 0,87 et 1,57 € pour un euro cotisé pendant quarante-deux ans ?

      – Pourquoi un élu peut-il cumuler ses différentes retraites (jusqu’à 5 retraites) ?

      – Pourquoi un élu peut-il travailler en touchant sa (ses) retraite(s) d’élu complète(s) sans plafond de montant alors que le citoyen lambda ne peut le faire sans dépasser la valeur de son dernier salaire ?

      – Pourquoi les élus ont-ils une retraite par capitalisation et ’interdisent-ils résolument aux « autres » qui n’ont droit qu’à une retraite par répartition ?

      – Pourquoi les cotisations retraite des élus peuvent-elles être abondées par les collectivités, ce qui permet à un parlementaire de toucher sa retraite à taux plein avec moins d’annuités de cotisation ?

      – Pourquoi une partie de la pension de retraite des parlementaires est-elle insaisissable (même en cas de fraude ou d’amende) ?

      – Pourquoi un agent public qui voudrait se présenter à une élection législative ne devrait-il pas démissionner de la fonction publique ?
      Un salarié le doit, lui, s’il veut travailler ailleurs !

      – Pourquoi deux ans d’allocations chômage pour un salarié lambda du régime général et cinq ans pour les députés ? 
Ceux-ci ont-ils plus de mal à retrouver un travail ?

      – Pourquoi les députés qui ne se représentent pas peuvent-ils toucher l’allocation différentielle et dégressive de retour à l’emploi ? 
Un salarié qui démissionne n’a, lui, droit à rien !

      – Pourquoi faut-il avoir un casier judiciaire vierge pour entrer dans certaines professions et que ce n’est pas le cas pour être élu

      – Pourquoi la fraude dans la déclaration de patrimoine d’un élu ne vaut-elle pas la prison mais seulement 30 000 € d’amende alors que la simple fraude d’un citoyen pour faux et usage de faux d’un document délivré par l’Administration est punissable de cinq ans d’emprisonnement et de 75 000 € d’amende ?

      – Pourquoi un parlementaire (député ou sénateur) touche-t-il une IRFM (indemnité représentative de frais de mandat) de 5 770 € par mois pour un député et de 6 200 € par mois pour un sénateur, dont l’usage n’est pas contrôlable et pour lequel il n’a de compte à rendre à personne ?

      – Pourquoi, durant son mandat, un élu peut-il s’acheter un bien qu’il nomme souvent « permanence », le payer à crédit avec l’IRFM, qui est de l’argent public, et le garder ou le vendre pour son bénéfice personnel ?

      – Pourquoi les parlementaires cumulards peuvent-ils toucher plusieurs enveloppes de frais de représentation  ?

      – Pourquoi les restaurants trois étoiles (cinq étoiles ?) de l’Assemblée nationale et du Sénat coûtent-ils si peu cher à l’élu ?

      – Pourquoi un élu à revenu égal de celui d’un salarié paye-t-il moins d’impôt sur le revenu ?

      – Pourquoi parle-t-on toujours de réduire le nombre de fonctionnaires mais jamais celui des parlementaires ?

      – Pourquoi les sénateurs se sont-ils versé en 2011, au titre d’un « rattrapage exceptionnel », une prime de 3 531,61 € avant les congés d’été... ?

      – Pourquoi aucun chiffre n’existe sur la présence ou non des sénateurs lors des séances au Sénat ?

      – Pourquoi la pension de réversion d’un élu décédé est-elle de 66 % sans condition de ressources du survivant alors que celle d’un salarié du privé est de 54 % sous condition de ressources du survivant (aucune réversion au-dessus de 19 614,40 brut annuel !

      – Pourquoi la retraite d’un élu est-elle garantie et connue d’avance alors qu’un salarié du régime général n’est sûr de rien ?

      – Pourquoi un député peut-il cumuler plusieurs « réserves parlementaires » sans que cela se sache officiellement ?

      – Pourquoi l’indemnité de fonction d’un député et son IRFM ne sont-elles pas imposables ?

      – Pourquoi un député a-t-il droit au remboursement de frais de taxis parisiens (alors qu’il touche l’IRFM pour ça) ?

      – Pourquoi un ancien sénateur ou un ancien député ont-ils droit à la gratuité à vie en première classe SNCF ?

      – Pourquoi un ancien sénateur et son conjoint ont-ils le droit du remboursement de la moitié de 12 vols Air France par an et à vie ?

      – Pourquoi un sénateur peut-il emprunter jusqu’à 150 000 € à un taux préférentiel ?

      – Pourquoi les anciens ministres, leurs conjoints et leurs enfants ont-ils droit à la gratuité à vie des vols Air France et à la gratuité à vie des transports sur le réseau SNCF ?

      – Pourquoi y a-t-il dans le service des fraudes un service spécial pour les élus ?

      – Pourquoi une fraude d’élu est-elle différente des autres pour bénéficier d’un traitement de faveur ?

      – Pourquoi un élu condamné définitivement ne rembourse-t-il pas les frais d’avocat dépensés pour lui par la collectivité ?

      Il est vrai que ces différences existantes ne sont pas souvent évoquées par la presse par nos élus,
      les décideurs des modifications législatives !

      Faites tourner... l’omettra de leurs copains journalistes protège leur abattement fiscal 30% de leurs revenus. Il faut le savoir !!!

      #privilèges #députés #députées #sénateurs #sénatrices financement des #retraites #fraude #cotisations #cumul #abondement #allocations_chômage #casier_judiciaire #fraude #pension_de_réversion #réserves_parlementaires #IRFM #prêt #taux_préférentiel #SNCF #traitement_de_faveur

  • Lecture de : La guerre des métaux rares. La face cachée de la transition énergétique et numérique, de Guillaume Pitron

    Une perspective nationaliste navrante, mais une somme d’informations capitales.

    Extraits :

    « Le monde a de plus en plus besoin de terres rares, de « #métaux rares », pour son #développement_numérique, et donc pour ttes les #technologies_de_l’information_et_de_la_communication. Les #voitures_électriques et #voitures_hybrides en nécessitent deux fois plus que les voitures à essence, etc. »

    « Nos aïeux du XIXe siècle connaissaient l’importance du #charbon, & l’honnête homme du XXe siècle n’ignorait rien de la nécessité du pétrole. Au XXIe siècle, nous ne savons même pas qu’un monde + durable dépend en très grande partie de substances rocheuses nommées métaux rares. »

    « #Terres_rares, #graphite, #vanadium, #germanium, #platinoïdes, #tungstène, #antimoine, #béryllium, #fluorine, #rhénium, #prométhium… un sous-ensemble cohérent d’une trentaine de #matières_premières dont le point commun est d’être souvent associées ds la nature aux métaux les + abondants »

    « C’est là la clé du « #capitalisme_vert » : [remplacer] des #ressources qui rejettent des millions de milliards de tonnes de #gaz_carbonique par d’autres qui ne brûlent pas – et ne génèrent donc pas le moindre gramme de CO2. »

    « Avec des réserves d’or noir en déclin, les stratèges doivent anticiper la guerre sans #pétrole. […] ne plus dépendre des énergies fossiles d’ici à 2040. […] En recourant notamment aux #énergies_renouvelables & en levant des légions de robots alimentés à l’électricité. »

    « La Grande-Bretagne a dominé le XIXe s. grâce à son hégémonie sur la production mondiale de charbon ; une grande partie des événements du XXe s. peuvent se lire à travers le prisme de l’ascendant pris par les Etats-Unis et l’Arabie saoudite sur la production et la sécurisation des routes du pétrole ; .. au XXIe siècle, un État est en train d’asseoir sa domina routes du pétrole ; au XXIe siècle, un État est en train d’asseoir sa domination sur l’exportation et la consommation des métaux rares. Cet État, c’est la Chine. »

    La Chine « détient le #monopole d’une kyrielle de métaux rares indispensables aux énergies bas carbone & numérique, ces 2 piliers de la transition énergétique. Il est le fournisseur unique du + stratégique : terres rares — sans substitut connu & dont personne ne peut se passer. »

    « Notre quête d’un modèle de #croissance + écologique a plutôt conduit à l’exploitation intensifiée de l’écorce terrestre pr en extraire le principe actif, à savoir les métaux rares, avec des #impacts_environnementaux encore + importants que cx générés par l’#extraction_pétrolière »

    « Soutenir le changement de notre #modèle_énergétique exige déjà un doublement de la production de métaux rares tous les 15 ans environ, et nécessitera au cours des trente prochaines années d’extraire davantage de minerais que ce que l’humanité a prélevé depuis 70 000 ans. » (25)

    « En voulant nous émanciper des #énergies_fossiles, en basculant d’un ordre ancien vers un monde nouveau, nous sombrons en réalité dans une nouvelle dépendance, plus forte encore. #Robotique, #intelligence_artificielle, #hôpital_numérique, #cybersécurité, #biotechnologies_médicale, objets connectés, nanoélectronique, voitures sans chauffeur… Tous les pans les + stratégiques des économies du futur, toutes les technologies qui décupleront nos capacités de calcul et moderniseront notre façon de consommer de l’énergie, le moindre de nos gestes quotidien… et même nos grands choix collectifs vont se révéler totalement tributaires des métaux rares. Ces ressources vont devenir le socle élémentaire, tangible, palpable, du XXIe siècle. » (26)

    #Metaux_Rares Derrière l’#extraction et le « #raffinage », une immense #catastrophe_écologique : « D’un bout à l’autre de la chaîne de production de métaux rares, quasiment rien en #Chine n’a été fait selon les standards écologiques & sanitaires les plus élémentaires. En même temps qu’ils devenaient omniprésents ds les technologies vertes & numériques les + enthousiasmantes qui soient, les métaux rares ont imprégné de leurs scories hautement toxiques l’eau, la terre, l’atmosphère & jusqu’aux flammes des hauts-fourneaux – les 4 éléments nécessaires à la vie »

    « C’est ici que bat le cœur de la transition énergétique & numérique. Sidérés, ns restons une bonne h à observer immensités lunaires & paysages désagrégés. Mais il vaut mieux déguerpir avant que la maréchaussée alertée par les caméras ne débarque »

    « Nous avons effectué des tests, et notre village a été surnommé “le village du cancer”. Nous savons que nous respirons un air toxique et que nous n’en avons plus pour longtemps à vivre. »

    « La seule production d’un #panneau_solaire, compte tenu en particulier du silicium qu’il contient, génère, avance-t-il, plus de 70 kilos de CO2. Or, avec un nombre de panneaux photovoltaïques qui va augmenter de 23 % par an dans les années à venir, cela signifie que les installations solaires produiront chaque année dix gigawatts d’électricité supplémentaires. Cela représente 2,7 milliards de tonnes de carbone rejetées dans l’atmosphère, soit l’équivalent de la #pollution générée pendant un an par l’activité de près de 600 000 automobiles.

    « Ces mêmes énergies – [dites] « renouvelables » – se fondent sur l’exploitation de matières premières qui, elles, ne sont pas renouvelables. »

    « Ces énergies – [dites] « vertes » ou « décarbonées » – reposent en réalité sur des activités génératrices de #gaz_à_effet_de_serre . »

    « N’y a-t-il pas une ironie tragique à ce que la pollution qui n’est plus émise dans les agglomérations grâce aux voitures électriques soit simplement déplacée dans les zones minières où l’on extrait les ressources indispensables à la fabrication de ces dernières ?

    .. En ce sens, la transition énergétique et numérique est une transition pour les classes les plus aisées : elle dépollue les centres-villes, plus huppés, pour mieux lester de ses impacts réels les zones plus miséreuses et éloignées des regards. »

    « Certaines technologies vertes sur lesquelles se fonde notre idéal de sobriété énergétique nécessitent en réalité, pour leur fabrication, davantage de matières premières que des technologies plus anciennes. »

    .. « Un futur fondé sur les technologies vertes suppose la consommation de beaucoup de matières, et, faute d’une gestion adéquate, celui-ci pourrait ruiner […] les objectifs de développement durable. » (The World Bank Group, juin 2017.)

    « Le #recyclage dont dépend notre monde + vert n’est pas aussi écologique qu’on le dit. Son bilan environnemental risque même de s’alourdir à mesure que nos sociétés produiront des alliages + variés, composés d’un nombre + élevé de matières, ds des proportions tjrs + importantes »

    « Dans le monde des matières premières, ces observations relèvent le + souvent de l’évidence ; pr l’immense majorité d’entre nous, en revanche, elles sont tellement contre-intuitives qu’il va certainement nous falloir de longues années avant de bien les appréhender & faire admettre. Peut-être [dans 30 ans] nous dirons-nous aussi que les énergies nucléaires sont finalement moins néfastes que les technologies que nous avons voulu leur substituer et qu’il est difficile d’en faire l’économie dans nos mix énergétiques. »

    « Devenue productrice prépondérante de certains métaux rares, la Chine [a] désormais l’opportunité inédite d’en refuser l’exportation vers les États qui en [ont] le plus besoin. […] Pékin produit 44 % de l’#indium consommé dans le monde, 55 % du vanadium, près de 65 % du #spath_fluor et du #graphite naturel, 71 % du germanium et 77 % de l’antimoine. La Commission européenne tient sa propre liste et abonde dans le même sens : la Chine produit 61 % du silicium et 67 % du germanium. Les taux atteignent 84 % pour le tungstène et 95 % pour les terres rares. Sobre conclusion de Bruxelles : « La Chine est le pays le plus influent en ce qui concerne l’approvisionnement mondial en maintes matières premières critiques ». »

    « La République démocratique du Congo produit ainsi 64 % du #cobalt, l’Afrique du Sud fournit 83 % du platine, de l’iridium et du #ruthénium, et le Brésil exploite 90 % du #niobium. L’Europe est également dépendante des États-Unis, qui produisent plus de 90 % du #béryllium . »

    « Les 14 pays membres de l’OPEP, capables depuis des décennies d’influencer fortement les cours du baril, ne totalisent « que » 41 % de la prod. mondiale d’or noir… La Chine, elle, s’arroge jusqu’à 99 % de la prod. mondiale de terres rares, le + convoité des métaux rares ! »

    Aimants — « Alors qu’à la fin de la décennie 1990 le Japon, les États-Unis et l’Europe concentraient 90 % du marché des aimants, la Chine contrôle désormais les 3/4 de la production mondiale ! Bref, par le jeu du chantage « technologies contre ressources », le monopole chinois de la production des minerais s’est transposé à l’échelon de leur transformation. La Chine n’a pas trusté une, mais deux étapes de la chaîne industrielle. C’est ce que confirme la Chinoise Vivian Wu : « Je pense même que, dans un avenir proche, la Chine se sera dotée d’une industrie de terres rares totalement intégrée d’un bout à l’autre de la chaîne de valeur. » Vœu déjà en partie réalisé. Il a surtout pris racine dans la ville de #Baotou, en #Mongolie-Intérieure . »

    « Baotou produit chaque année 30 000 tonnes d’aimants de terres rares, soit le tiers de la production mondiale. »

    « Nos besoins en métaux rares se diversifient et s’accroissent de façon exponentielle. […] D’ici à 2040, nous devrons extraire trois fois plus de terres rares, cinq fois plus de tellure, douze fois plus de cobalt et seize fois plus de #lithium qu’aujourd’hui. […] la croissance de ce marché va exiger, d’ici à 2050, « 3 200 millions de tonnes d’acier, 310 millions de tonnes d’aluminium et 40 millions de tonnes de #cuivre 5 », car les éoliennes engloutissent davantage de matières premières que les technologies antérieures.

    .. « À capacité [de production électrique] équivalente, les infrastructures […] éoliennes nécessitent jusqu’à quinze fois davantage de #béton, quatre-vingt-dix fois plus d’aluminium et cinquante fois plus de fer, de cuivre et de verre » que les installations utilisant des #combustibles traditionnels, indique M. Vidal. Selon la Banque mondiale, qui a conduit sa propre étude en 2017, cela vaut également pour le solaire et pour l’hydrogène. […] La conclusion d’ensemble est aberrante : puisque la consommation mondiale de métaux croît à un rythme de 3 à 5 % par an, « pour satisfaire les besoins mondiaux d’ici à 2050, nous devrons extraire du sous-sol plus de métaux que l’humanité n’en a extrait depuis son origine ».

    .. Que le lecteur nous pardonne d’insister : nous allons consommer davantage de #minerais durant la prochaine génération qu’au cours des 70 000 dernières années, c’est-à-dire des cinq cents générations qui nous ont précédés. Nos 7,5 milliards de contemporains vont absorber plus de #ressources_minérales que les 108 milliards d’humains que la Terre a portés jusqu’à ce jour. » (211-214)

    Sans parler des « immenses quantités d’eau consommées par l’industrie minière, [des] rejets de gaz carbonique causés par le transport, [du] #stockage et [de] l’utilisation de l’énergie, [de] l’impact, encore mal connu, du recyclage des technologies vertes [de] toutes les autres formes de pollution des #écosystèmes générées par l’ensemble de ces activités [et] des multiples incidences sur la biodiversité. » (215)

    « D’un côté, les avocats de la transition énergétique nous ont promis que nous pourrions puiser à l’infini aux intarissables sources d’énergie que constituent les marées, les vents et les rayons solaires pour faire fonctionner nos technologies vertes. Mais, de l’autre, les chasseurs de métaux rares nous préviennent que nous allons bientôt manquer d’un nombre considérable de matières premières. Nous avions déjà des listes d’espèces animales et végétales menacées ; nous établirons bientôt des listes rouges de métaux en voie de disparition. » (216)

    « Au rythme actuel de production, les #réserves rentables d’une quinzaine de métaux de base et de métaux rares seront épuisées en moins de cinquante ans ; pour cinq métaux supplémentaires (y compris le fer, pourtant très abondant), ce sera avant la fin de ce siècle. Nous nous dirigeons aussi, à court ou moyen terme, vers une pénurie de vanadium, de #dysprosium, de #terbium, d’#europium & de #néodyme. Le #titane et l’indium sont également en tension, de même que le cobalt. « La prochaine pénurie va concerner ce métal, Personne n’a vu le problème venir. »

    « La #révolution_verte, plus lente qu’espéré, sera emmenée par la Chine, l’un des rares pays à s’être dotés d’une stratégie d’approvisionnement adéquate. Et Pékin ne va pas accroître exagérément sa production de métaux rares pour étancher la soif du reste du monde. Non seulement parce que sa politique commerciale lui permet d’asphyxier les États occidentaux, mais parce qu’il craint à son tour que ses ressources ne s’amenuisent trop rapidement. Le marché noir des terres rares, qui représente un tiers de la demande officielle, accélère l’appauvrissement des mines, et, à ce rythme, certaines réserves pourraient être épuisées dès 2027. »

    De la question « du #taux_de_retour_énergétique (#TRE), c’est-à-dire le ratio entre l’énergie nécessaire à la production des métaux et celle que leur utilisation va générer. […] C’est une fuite en avant dont nous pressentons l’absurdité. Notre modèle de production sera-t-il encore sensé le jour où un baril permettra tt juste de remplir un autre baril ? […] Les limites de notre système productiviste se dessinent aujourd’hui plus nettement : elles seront atteintes le jour où il nous faudra dépenser davantage d’énergie que nous ne pourrons en produire. »

    « Plusieurs vagues de #nationalisme minier ont déjà placé les États importateurs à la merci de pays fournisseurs prtant bien moins puissants qu’eux. En fait de mines, le client ne sera donc plus (toujours) roi. La géopolitique des métaux rares pourrait faire émerger de nouveaux acteurs prépondérants, souvent issus du monde en développement : le #Chili, le #Pérou et la #Bolivie, grâce à leurs fabuleuses réserves de lithium et de cuivre ; l’#Inde, riche de son titane, de son #acier et de son #fer ; la #Guinée et l’#Afrique_australe, dont les sous-sols regorgent de bauxite, de chrome, de manganèse et de platine ; le Brésil, où le bauxite et le fer abondent ; la Nouvelle-Calédonie, grâce à ses prodigieux gisements de #nickel. » (226-227)

    « En engageant l’humanité ds la quête de métaux rares, la transition énergétique & numérique va assurément aggraver dissensions & discordes. Loin de mettre un terme à la géopol. de l’énergie, elle va au contraire l’exacerber. Et la Chine entend façonner ce nouveau monde à sa main. »

    « Les #ONG écologistes font la preuve d’une certaine incohérence, puisqu’elles dénoncent les effets du nouveau monde plus durable qu’elles ont elles-mêmes appelé de leurs vœux. Elles n’admettent pas que la transition énergétique et numérique est aussi une transition des champs de pétrole vers les gisements de métaux rares, et que la lutte contre le réchauffement climatique appelle une réponse minière qu’il faut bien assumer. » (234-235)

    « La bataille des terres rares (et de la transition énergétique et numérique) est bel et bien en train de gagner le fond des mers. Une nouvelle ruée minière se profile. […] La #France est particulièrement bien positionnée dans cette nouvelle course. Paris a en effet mené avec succès, ces dernières années, une politique d’extension de son territoire maritime. […] L’ensemble du #domaine_maritime français [est] le deuxième plus grand au monde après celui des #États-Unis. […] Résumons : alors que, pendant des milliers d’années, 71 % de la surface du globe n’ont appartenu à personne, au cours des six dernières décennies 40 % de la surface des océans ont été rattachés à un pays, et 10 % supplémentaires font l’objet d’une demande d’extension du plateau continental. À terme, les États pourvus d’une côte exerceront leur juridiction sur 57 % des fonds marins. Attirés, en particulier par le pactole des métaux rares, nous avons mené, en un tps record, la + vaste entreprise d’#appropriation_de_territoires de l’histoire. »

    « Le projet, entonné en chœur par tous les avocats de la #transition_énergétique et numérique, de réduire l’impact de l’homme sur les écosystèmes a en réalité conduit à accroître notre mainmise sur la #biodiversité. » (248)

    « N’est-il pas absurde de conduire une mutation écologique qui pourrait tous nous empoisonner aux métaux lourds avant même que nous l’ayons menée à bien ? Peut-on sérieusement prôner l’harmonie confucéenne par le bien-être matériel si c’est pour engendrer de nouveaux maux sanitaires et un #chaos_écologique – soit son exact contraire ? » (252)

    Métaux rares, transition énergétique et capitalisme vert https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2023/01/23/metaux-rares-transition-energetique-et-capitalisme-vert_4727 (Lutte de classe, 10 janvier 2023)

    #écologie #capitalisme #impérialisme

  • California is getting drenched. So why can’t it save water for the drought? : NPR
    https://www.npr.org/2023/01/07/1147494521/california-weather-storm-water

    On the different challenges with capturing rainwater

    Because the water falls at a very fast rate and it creates a hazard, we do tend to treat stormwater as a nuisance and try to get it off the landscape as quickly as possible.

    So, when we have the option to hold that water back a little bit and let it percolate into the ground, this is a tremendous opportunity. However, sometimes that water is not suitable for drinking. That’s an additional bottleneck because you can’t treat the water as quickly as it’s falling or as quickly as it’s running off. And, of course, the level of treatment you need might vary from place to place, and it does create quite a logistical challenge in order to deal with that water.

    #eau #réserves #stockage

    • Les eaux de pluies, une fois en contact avec le sol, sont majoritairement polluées par les intrants agricoles... surtout en agriculture chimique (raisonnée, toussa).
      Et ça entraine aussi le sol lui même... ce qui est une perte colossale.
      Ils doivent bien savoir cela. On essaye en général de protéger les « bassins versants » des intrants (par des lois) pour permettre que la filtration par le sol n’entraine déjà pas trop de chimie vers les nappes.

  • La Décolonisation britannique, l’art de filer à l’anglaise

    Le 24 mars 1947, Lord Mountbatten est intronisé Vice-roi des Indes dans un faste éblouissant. Alors que l’émancipation de 410 millions d’indiens est programmée, la couronne britannique tente de sauver les apparences en brillant de tous ses feux. Cinq mois de discussions entre les forces en présence aboutissent à un découpage arbitraire du territoire entre le Pakistan et l’Inde avec des conséquences désastreuses. Des violences qui sont reléguées au second plan par l’adhésion des deux nouveaux États souverains à la grande communauté du Commonwealth. Un arrangement qui ne va pas sans arrière-pensées. Mais déjà la Malaisie et le Kenya s’enflamment à leur tour. Dans les deux cas, la violence extrême de la répression qui s’abat est occultée par une diabolisation « de l’ennemi » et par une machine de propagande redoutable qui permet aux autorités de maîtriser le récit des événements.
    En 1956, la Grande-Bretagne échoue à rétablir son aura impériale après avoir été obligée d’abandonner le canal de Suez par les deux nouveaux maîtres du monde : l’URSS et les États-Unis. Le nouveau Premier ministre, Harold Macmillan, demande un « audit d’empire », pour évaluer le poids économique du maintien des colonies, car il sait que le pays n’a plus les moyens de poursuivre sa politique impérialiste. Il est prêt à y renoncer, à condition de restaurer le prestige national.
    Une décision mal vue par l’armée. En 1967 au Yémen, des unités britanniques renégates défient le gouvernement et s’adonnent à une répression féroce, obligeant la Grande-Bretagne à prononcer son retrait. En Rhodésie du Sud, c’est au tour de la communauté blanche de faire sécession et d’instaurer un régime d’apartheid. Incapable de mettre au pas ses sujets, signe de son impuissance, la couronne est condamnée à accepter l’aide du Commonwealth pour aboutir à un accord qui donne lieu à la naissance du Zimbabwe.
    Après la perte de sa dernière colonie africaine, l’Empire britannique a vécu et le dernier sursaut impérialiste de Margaret Thatcher aux Malouines n’y change rien. Jusqu’à aujourd’hui, la décolonisation demeure un traumatisme dans ces pays déstabilisés par leur ancien maître colonial tandis qu’au Royaume-Uni, la nostalgie prend le pas sur un travail de mémoire pourtant nécessaire.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/61716_0
    #film #film_documentaire #documentaire
    #colonisation #décolonisation #Inde #Pakistan #violence #Lord_Mountbatten #frontières #déplacement_de_populations #partition_de_l'Inde #Malaisie #torture #Commonwealth #Kenya #Mau_Mau #camps_d'internement #Kimathi #serment_Mau_Mau #travaux_forcés #Aden #Rhodésie_du_Sud #réserves #îles_Malouines

    ping @postcolonial

  • Covid-19 : confinement prolongé pour deux semaines en Nouvelle-Calédonie
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2021/10/01/covid-19-confinement-prolonge-pour-deux-semaines-en-nouvelle-caledonie_60966

    Covid-19 : confinement prolongé pour deux semaines en Nouvelle-Calédonie. Longtemps épargné par l’épidémie, l’archipel est durement touché par le variant Delta, qui a fait près de 130 morts en trois semaines.
    Le confinement, en vigueur depuis le 7 septembre en Nouvelle-Calédonie, est prolongé de deux semaines, en raison d’une circulation « encore trop élevée » du coronavirus, a annoncé vendredi 1er octobre le président du gouvernement local. Louis Mapou, indépendantiste, a précisé que, jusqu’au 10 octobre inclus, l’actuel confinement strict – fermeture des écoles et des commerces non essentiels, couvre-feu de 21 heures à 5 heures, déplacements soumis à une attestation – serait maintenu. Ensuite, « si les indicateurs évoluent favorablement, des adaptations pour une reprise progressive de l’économie » seront appliquées jusqu’au 17 octobre avant une probable mise en place du passe sanitaire.
    Pendant plus de dix-huit mois, la Nouvelle-Calédonie a pu se targuer d’être une des rares terres de la planète épargnée par la pandémie de Covid-19. Cet apanage s’est effondré le 6 septembre, avec la détection de trois cas locaux du variant Delta, dont la contagiosité a eu raison de l’étanchéité du sas sanitaire aux frontières. Depuis, l’épidémie flambe. Dix personnes ont succombé à la maladie au cours des dernières vingt-quatre heures, portant à 129 le nombre total de morts depuis le début de la crise liée au variant Delta.« Quatre-vingt-seize pour cent des morts étaient non vaccinés, leur moyenne d’âge est de 71 ans et le plus jeune avait 40 ans ; 56 % sont des Kanak, 22 % des Wallisiens et Futuniens et 22 % sont issus des autres communautés », a précisé M. Mapou. Grâce au confinement, le taux d’incidence du virus, qui atteignait 1 200 pour 100 000 habitants il y a dix jours s’établit actuellement à 588, mais la crise « va encore durer de longues semaines », a averti le chef de l’exécutif collégial.En tout, 7 619 personnes ont été jusqu’à présent contaminées et 4 300 d’entre elles ont guéri.
    Alors que près de 300 patients sont hospitalisés, dont 56 en réanimation, le centre hospitalier territorial est saturé et son personnel mis à rude épreuve. A cet égard, M. Mapou a rendu hommage aux soignants et aux « moyens colossaux mobilisés par l’Etat ». Patrice Faure, haut-commissaire de la République, a annoncé qu’un « deuxième contingent de 103 soignants » de la réserve sanitaire arriverait la semaine prochaine en provenance de l’Hexagone et s’ajouterait aux 174 personnels déjà dépêchés dans l’archipel. « La solidarité nationale durera autant que nécessaire », a-t-il affirmé.Les deux responsables ont une nouvelle fois exhorté la population à se faire vacciner, dans les nombreux centres ouverts à travers le territoire. Actuellement, 34 % de la population dispose d’un schéma vaccinal complet et environ 65 % a reçu au moins une dose.

    #Covid-19#migrant#migration#france#nouvellecaledonie#sante#reservesanitaire#circulationtherapeutique#personnelmedical#variant#crisesanitaire

  • Variant Delta du Covid-19 : en Polynésie française, les soignants contraints de pratiquer une « médecine de guerre »
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2021/08/22/variant-delta-en-polynesie-francaise-les-soignants-contraints-de-pratiquer-u

    Variant Delta du Covid-19 : en Polynésie française, les soignants contraints de pratiquer une « médecine de guerre » Avec un taux d’incidence supérieur à 2 800 cas pour 100 000 habitants, la Polynésie française est le territoire des outre-mer le plus touché par le Covid-19. Au centre hospitalier de Tahiti, les médecins se voient contraints de trier les patients.

    En un mois, la Polynésie est passée de quelques dizaines de cas à près de 8 000, pour une population de 280 000 habitants. Et surtout, la diffusion du variant Delta, avec un taux d’incidence de près de 2 800 cas pour 100 000 habitants, a fait monter les hospitalisations en flèche : aucune à la mi-juillet, contre 329 le samedi 21 août dans l’ensemble de la Polynésie, dont 40 en réanimation.(...°
    Mais il manque aussi des soignants. Quinze infirmiers de la réserve sanitaire sont arrivés de métropole il y a une semaine, et huit volontaires de Nouvelle-Calédonie jeudi. C’est encore trop peu, d’autant que la plupart ne sont pas spécialisés en réanimation, le service qui en a le plus besoin. Le président de la Polynésie française, Edouard Fritch, a lancé un nouvel appel à la France pour obtenir d’autres renforts. Le ministère de la santé a annoncé, samedi, que sept infirmières et infirmiers et trois médecins anesthésistes-réanimateurs rejoindraient Papeete mercredi 25 août. Des renforts jugés encore insuffisants. La dispersion des îles et atolls sur une surface grande comme l’Europe rend, par ailleurs, les évacuations sanitaires vers l’hôpital longues et complexes. « Il y a beaucoup de décès avant qu’on arrive dans les îles », déplore le docteur Vincent Simon, chef du SAMU. Il reçoit plus de 400 appels par jour, contre 150 à 200 en temps normal.

    #Covid-19#migrant#migration#france#polynesie#outremer#sante#circulationtherapeutique#personnelsoignant#systemesante#variant#reservesanitaire

  • Covid-19 : des renforts sporadiques de soignants pour faire face à la troisième vague
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2021/04/16/covid-19-des-renforts-sporadiques-de-soignants-pour-faire-face-a-la-troisiem

    Quand elle est venue en mars 2020 en renfort à l’hôpital Raymond-Poincaré de Garches, au début de l’épidémie de Covid-19, Eugénie Fadon allait « dans l’inconnu, du lieu, de l’équipe, de la maladie ». Un an après, cette infirmière d’Hendaye (Pyrénées-Atlantiques) rentre tout juste d’un deuxième séjour dans l’établissement des Hauts-de-Seine. Cette fois, elle se dit marquée par la « souffrance psychologique des soignants. Il y a un gros manque d’effectifs, une fatigue physique et morale du personnel impressionnante, décrit la soignante de 43 ans, qui a du coup décidé de prolonger d’une semaine sa mission dans le service de réanimation. Ils ne voient pas le bout du tunnel. Nous, au Pays basque, on est épargnés… »
    L’hôpital marin d’Hendaye où elle travaille, ne compte, à ce jour, aucun patient atteint du Covid-19. La coopération entre l’établissement basque, qui dépend de l’Assistance publique-Hôpitaux de Paris (AP-HP), et la région francilienne s’est nouée à la faveur de la première vague, avec la venue d’une quinzaine d’infirmiers d’Hendaye à Garches. Et à l’automne 2020, ils sont allés prêter main-forte à l’hôpital Bicêtre, au Kremin-Bicêtre (Val-de-Marne). Pour cette troisième vague, une dizaine d’aide-soignants et d’infirmiers ont rejoint l’établissement de Garches et celui de Clamart (Antoine-Béclère), dans les Hauts-de-Seine. La semaine du 19 avril, quatre autres se rendront à Bicêtre. (...)
    Depuis le 1er mars, précise l’AP-HP, 243 soignants (hors intérimaires) sont venus en soutien de ses établissements, dont près d’un tiers d’autres régions. Le dépouillement des uns entraîne le soulagement des autres. En une quinzaine de jours, l’hôpital de Garches a pu augmenter « d’un peu moins d’un tiers ses capacités en réanimation », explique Djillali Annane, chef du service, passant de quinze lits de réanimation lourde, hors soins critiques, à dix-huit lits. Tous ont été occupés en quelques heures.
    Face à une situation où « plus que jamais, les dimanches ressemblent aux lundis et les nuits ressemblent aux jours », l’enjeu, « c’est de pouvoir continuer de disposer au moins du renfort qu’on a actuellement. Idéalement, il faudrait pouvoir ouvrir encore des lits supplémentaires mais il n’y a pas les personnes pour et on ne les aura pas, on voit bien qu’on est au maximum de ce qu’on peut faire », résume Djillali Annane. Selon les jours, son service peut également compter sur l’appui de trois ou quatre étudiantes infirmières anesthésistes, quelques intérimaires ainsi que des infirmières anesthésistes du bloc opératoire dont l’activité a été à nouveau réduite.
    Ces renforts de personnels, le médecin réanimateur les réclamait « pratiquement depuis fin décembre ». Lors de la première vague, la forte disparité entre régions avait permis à de nombreux soignants de territoires peu touchés d’affluer vers ceux sous tension, Ile-de-France et Grand-Est en tête. Depuis, la plus grande homogénéité de l’épidémie rend ce levier plus compliqué à activer.Ces dernières semaines, il a fallu à nouveau se résoudre, d’une part au report des cours des étudiants soignants et, d’autre part, à la déprogrammation des activités opératoires afin de libérer du temps infirmier. Mais aussi des bras parmi les personnels médicaux : cinq médecins anesthésistes de l’hôpital de Garches épaulent ainsi leurs collègues de réanimation sur la permanence de soins, notamment les week-ends. Dans le département voisin de Seine-Saint-Denis, à l’hôpital Avicenne, à Bobigny, le professeur Yves Cohen désespère de voir arriver des médecins pour faire face à l’afflux de patients : « On a demandé des renforts mais pour l’instant on les attend… Et on vient de recevoir un mail pour que nos médecins aillent aider les régions d’outre-mer, c’est un peu absurde », lâche-t-il dans un soupir.Son service de réanimation compte aujourd’hui quarante-deux lits, tous occupés, contre seize en temps normal ; six ont été récemment ouverts en poussant les murs en cardiologie. Même si, depuis dix jours, une dizaine de paramédicaux en provenance d’écoles IADE (infirmiers anesthésistes diplômés d’Etat) et Ibode (infirmiers de blocs opératoires) ont rejoint les effectifs, il faudrait quatre médecins réanimateurs de plus pour ouvrir huit lits supplémentaires.
    « S’il y a des manques en Ile-de-France, qui dispose d’un bassin de population très important et d’une offre de soins énorme, ce n’est pas logique du tout… », pointe François-René Pruvot, président de la commission médicale d’établissement du CHU de Lille.Selon lui, les régions et les départements devraient être autosuffisants. « A l’intérieur d’un département, et c’est d’ailleurs l’autorité des directeurs des agences régionales de santé [ARS], on doit pouvoir redistribuer du personnel qui n’est pas complètement délocalisé de sa géographie », plaide-t-il. Les renforts venus d’autres régions devraient selon lui se cantonner aux situations de crise aiguë, « comme on a connu en première vague, avec une montée épidémique brutale, pour des durées très courtes, à l’image des secours sanitaires dépêchés à l’étranger », poursuit le chirurgien, qui réfute le terme de troisième vague mais parle de « persistance épidémique très haute ».
    Derrière ces problématiques de personnels disponibles, la question centrale qui se pose selon lui est celle des réserves sanitaires opérationnelles : « Tout hôpital devrait-il prévoir une réserve en son sein ? Probablement que les groupements hospitaliers de territoires constitueraient plutôt le bon échelon », avance François-René Pruvot, dont l’établissement n’a pas reçu de renforts venus d’autres départements. (...)Pour affronter la troisième vague, presque 2 500 professionnels, toutes catégories de soins critiques confondues, y étaient réclamés. « Or, pour la semaine du 19 avril, on est sur une base d’environ 500 volontaires pour l’ensemble de la France métropolitaine, indique Catherine Lemorton, responsable de la réserve au sein de l’agence de sécurité sanitaire Santé publique France. Cela ne fait pas sens de saupoudrer un infirmier ou un aide-soignant là-bas, on s’est mis d’accord avec le ministère pour que la réserve se concentre sur toutes les autres régions, pendant que l’ARS essaie de trouver des moyens pour l’Ile-de-France [IDF]. »

    #Covid-19#migrant#migration#france#sante#circulationtherapeutique#personnelmedical#deplacementinterne#systemesante#reservesanitaire

  • Les pays en développement pris dans l’étau de la #dette

    http://www.cadtm.org/Les-pays-en-developpement-pris-dans-l-etau-de-la-dette-19453

    Mise à jour ds infos sur la dette des pays en voie de développement, avec les dossiers et les infos toujours nec plus ultra du CADTM

    La pandémie du coronavirus et les autres aspects de la crise multidimensionnelle du capitalisme mondialisé justifient en soi la suspension du remboursement de la dette. En effet il faut donner la priorité à la protection des populations face aux drames sanitaires, économiques et écologiques.

    En plus de l’urgence, il est important de prendre la mesure des tendances plus longues qui rendent nécessaire la mise en œuvre de solutions radicales en ce qui concerne la dette des pays en développement. C’est pour cela que nous poursuivons l’analyse des facteurs qui renforcent dans la période présente le caractère insoutenable du remboursement de la dette réclamée aux pays du Sud global. Nous abordons successivement l’évolution à la baisse du prix des matières premières, la réduction des réserves de change, le maintien de la dépendance par rapport aux revenus que procure l’exportation des matières premières, les échéances du calendrier de remboursement des dettes des PED qui implique d’importants remboursements de 2021 à 2025 principalement à l’égard des créanciers privés, la chute des envois des migrant-e-s vers leur pays d’origine, le reflux vers le Nord des placements boursiers, le maintien de la fuite des capitaux [1]. Les reports de paiement accordés en 2020-2021 en raison de la pandémie par les États créanciers membres du Club de Paris et du G20 ne représentent qu’une petite partie des remboursements que doivent effectuer les Pays en développement.

  • En pleine pandémie, des millions d’américains privés d’eau potable
    https://www.bastamag.net/Etats-Unis-covid-Trump-eau-potable-pollutions-petrole-clean-water-act

    Selon plusieurs études et enquêtes, les services d’eau américains sont comparables à ceux des régions du monde les plus défavorisées. La dégradation des infrastructures, la pollution des nappes phréatiques et des réserves naturelles, ainsi que la forte augmentation du prix de l’eau mettent désormais en péril la vie de plusieurs millions de personnes. Au moins 30 millions d’américains vivent dans des zones où l’eau ne respecte pas les normes de salubrité imposées. Et plus de 2 millions de foyers n’ont pas (...) #Décrypter

    / A la une, Pollutions , #Accès_à_l'eau

    #Pollutions_

  • L’épidémie de Covid-19 plonge la Guyane dans une situation critique
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2020/06/27/l-epidemie-de-covid-19-plonge-la-guyane-dans-une-situation-critique_6044384_

    « J’étais de garde le week-end des 13 et 14 juin, quand la vague est arrivée sur l’hôpital de Cayenne », relate le docteur LoÏc Epelboin, infectiologue à l’unité de maladies infectieuses et tropicales du centre hospitalier de Cayenne. « On a cru qu’on n’y arriverait pas. En quarante-huit heures, on est passé de 26 lits à plus de 70 lits dédiés aux patients Covid », explique-t-il. Pour faire face, d’autres services ont été mobilisés, et six patients ont été évacués vers les Antilles. Venu en Guyane en 2007 pour son internat, ce médecin métropolitain de 41 ans est resté sur le territoire, parce qu’il s’y « sentait plus utile qu’à Paris », où il a commencé ses études.
    « On a beau s’y être préparé, la situation est très tendue », résume l’infectiologue. Vendredi 26 juin, la Guyane cumulait 3 270 cas de Covid-19, soit un triplement en deux semaines, sur un territoire de 283 000 habitants. S’il y a eu six décès en sept jours, le taux de mortalité reste bas – dix décès au total – par rapport au nombre de cas. « On a bénéficié des premières études et des expériences de nos collègues de métropole », explique Loïc Epelboin. Dans une zone qui fait figure de désert médical (deux fois moins de généralistes que la moyenne nationale pour 100 000 habitants, trois fois et demie moins de spécialistes), les équipes se serrent les coudes. « De nombreux collègues d’autres services sont venus nous aider », témoigne M. Epelboin, qui évoque aussi les renforts de la réserve sanitaire, des médecins venus des Antilles et de l’Hexagone, ou attendus bientôt.

    #Covid-19#migrant#migration#france#guyane#antilles#metropolesante#reservesanitaire#personnelsoignant

  • Coronavirus : l’épidémie de Covid-19 redémarre en Guyane, partiellement reconfinée
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2020/06/12/l-epidemie-de-covid-19-redemarre-en-guyane-partiellement-reconfinee_6042627_

    Le 10 juin, le préfet a annoncé le reconfinement partiel de 14 communes touchées par l’épidémie – dont les principales agglomérations – avec une interdiction de circuler du samedi 21 heures au lundi 5 heures du matin, et une autorisation de circuler pendant une heure dans un rayon d’un kilomètre autour de son domicile, comme avant le 11 mai. Le reste de la semaine, le couvre-feu a été élargi de 21 heures à 5 heures du matin dans ces mêmes communes, Saint-Georges et Camopi, à la frontière brésilienne, restant confinées. Les militaires guyanais sont mobilisés jusqu’au 10 juillet pour appuyer les forces de l’ordre dans le contrôle des frontières fluviales avec le Brésil et le Suriname, à l’ouest, où le nombre de cas a augmenté suite aux élections générales du 25 mai. Jusqu’à présent, on compte en Guyane deux décès dus au Covid-19, la population étant très jeune – la moitié des habitants a moins de 25 ans. Ce jeudi, 70 volontaires de la réserve sanitaire sont arrivés sur place pour relever les équipes déjà sur le territoire. Médecins, infirmiers, aides-soignants, sages-femmes ou administratifs, ils vont renforcer les hôpitaux, les centres de santé de l’intérieur et les équipes mobiles investies dans le dépistage sur le terrain.
    « Notre objectif, c’est de nous préparer à un afflux de patients, en soutenant les professionnels locaux déjà fatigués, qui prennent en charge des patients dont certains ont déjà subi le confinement et voient leur état de santé se dégrader », explique Clara de Bort, directrice générale de l’agence régionale de santé (ARS), venue accueillir les volontaires à l’aéroport. « J’ai fait appel à la réserve sanitaire avant que la limite ne soit atteinte, pour dire aux soignants de Guyane que nous venons les renforcer, qu’il faut tenir », ajoute-elle.

    #Covid-19#migrant#migration#guyane#bresil#suriname#france#frontiere#reservesanitaire#circulation#sante#epidemie

  • Pour sortir du #confinement, un plan d’urgence anticapitaliste

    Par bien des aspects, la #crise_sanitaire en cours est un révélateur de l’incapacité du #capitalisme européen à résoudre les grands problèmes de l’humanité. L’#Italie, la #France et l’#Espagne sont les pays où le virus frappe le plus fort car le #système_sanitaire a été ravagé par les politiques austéritaires depuis au moins une décennie. En France, ce sont 69.000 lits qui ont été supprimés à l’hôpital entre 2003 et 2017, 4.000 en 2018. Par souci d’économie, les réserves stratégiques de masques et de respirateurs ont été supprimées (près d’un milliard de masques dans les années 2000 - supprimé par Xavier Bertrand en 2011). Toujours par souci d’économie, la recherche publique sur les coronavirus n’a pas été soutenue et un temps précieux a été perdu dans la possibilité de trouver des traitements efficaces. La rigueur budgétaire et la recherche du profit sont les principaux responsables de la situation dans laquelle nous nous trouvons.

    Confinement ou immunité collective ?

    Face à la pandémie, les gouvernements hésitent entre deux solutions. La première, minoritaire, défendue par les gouvernement britanniques et néerlandais est l’acquisition d’une immunité de groupe. Cette immunité à l’avantage d’éviter les nouvelles épidémies. Selon les connaissances que nous avons du virus (R0 ~ 2.5), cela nécessite que 60% de la population entre en contact avec le virus et en soit immunisée. Ce processus est très bien décrit par le groupe de modélisation de l’équipe ETE (Laboratoire MIVEGEC, CNRS, IRD, Université de Montpellier) (http://alizon.ouvaton.org/Rapport2_Immunisation.html). Une fois ce taux atteint, la population dans son ensemble (y compris les personnes non immunisées) est protégée contre une nouvelle épidémie.

    Cependant, sans mesure de contrôle, les projections montrent qu’entre 81 et 89% de la population pourrait être infectée. Soit entre 20% et 30% de plus que le seuil pour atteindre l’immunité collective. Cela représente potentiellement 20 millions de personnes infectées en plus dans un pays comme la France.

    Nous ne connaissons pas précisément le taux de létalité du virus. Les chiffres dont nous disposons sont tous biaisés, et a priori largement surestimés, par l’absence de tests systématiques dans la population. Plus on dépiste, plus on détecte des personnes contaminées présentant peu ou pas de symptômes, plus ce taux est bas. Mais aussi bas soit ce taux, lorsqu’il est multiplié par des dizaines de millions de personnes, les morts se compteraient très probablement en centaines de milliers. Par ailleurs, l’austérité budgétaire et l’affaiblissement des systèmes de santé doivent être intégrés dans l’équation. La létalité du Covid-19 est visiblement provoquée par un choc cytokinique qui nécessite une prise en charge en soin intensifs avec respirateurs. Plus la pénurie de respirateurs est grande, plus la mortalité est haute, plus les équipes médicales doivent choisir qui maintenir en vie et qui sacrifier par manque de moyens. C’est sûrement ce qui explique les taux de mortalité très élevés par rapport à d’autres pays en Italie, en Espagne et dans une moindre mesure en France (bien que cela pourrait s’aggraver au pic de l’épidémie) qui sont mal équipés en nombre de lits en « soins aigus ».

    Dans la plupart des pays, ces chiffres ne sont pas assumables par les gouvernements en place. Et ce sont ces projections qui ont poussé partout le pouvoir à confiner les populations malgré la crise économique majeure et les conséquences sociales dramatiques que cela entraine.

    En effet, la distanciation sociale permet de ralentir la progression du virus, d’aplatir le pic, et donc de diminuer l’afflux de malades en détresse à l’hôpital. Ce processus est décrit de façon très intuitive dans le Washington Post (https://www.washingtonpost.com/graphics/2020/world/corona-simulator). La distanciation sociale peut recourir à plusieurs mécanismes, de la fermeture des écoles jusqu’au confinement total. L’étude publiée le 16 mars par l’Imperial College COVID-19 Response Team (https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/sph/ide/gida-fellowships/Imperial-College-COVID19-NPI-modelling-16-03-2020.pdf) réalise des projections du nombre de lits occupés en soins intensifs en fonction de plusieurs scénarios de confinements. Si cette étude est forcément incomplète, notamment car les courbes dépendent du moment où les mesures sont mises en œuvre, cela nous montre que les mesures de confinement, dans le cas où aucun traitement ne serait trouvé, devraient s’étaler jusqu’à la fin de l’année 2021 pour que la population atteigne les 60% d’immunisés. Dans le cas contraire, tout relâchement du confinement pourrait correspondre à un nouveau développement incontrôlé de l’épidémie dans la population.

    Mais comment imaginer que la situation que nous vivons depuis une semaine en France se poursuivent pendant des mois ? Ce n’est tenable ni économiquement, ni socialement. Ce n’est pas le propos de cet article (pour cela voir le texte de Mimosa Effe : https://npa2009.org/idees/societe/le-confinement-la-destruction-du-lien-social-et-ses-consequences), mais le #confinement_de_classe que nous vivons actuellement doit s’arrêter. Toute vie sociale est stoppée alors qu’il faut continuer à travailler. Même si nous arrêtions toutes les productions non indispensables, ce serait tout de même des millions de travailleurs.euses qui devraient continuer à faire tourner l’hôpital, l’électricité, l’eau, le traitement des ordures ou l’alimentation – mais aussi tous les autres métiers qui permettent à ces secteurs de fonctionner ! Et cela dans un contexte d’atomisation total de notre camp avec tous les reculs sociaux et l’Etat policier total qui vont avec. A cela s’ajoute les dégâts psychologiques, les violences domestiques faites aux femmes ou la situation criminelle que sont en train de vivre les migrant.e.s, les prisonniers.ères et les sans-abris.

    Nous l’avons vu, le confinement est d’abord imposé par la faillite de notre système de santé et l’impréparation au risque de pandémie qui sont dues à l’austérité imposée par les gouvernements successifs en France et en Europe. Dans la forme qu’il prend, généralisé dans la vie sociale mais pas au travail, de classe, policier, il est la solution que les capitalistes pensent avoir trouvé pour limiter la casse et maintenir au maximum leur place dans la concurrence internationale. Mais la gestion capitaliste de cette épidémie est marquée par l’impossibilité de planifier une quelconque sortie de crise. Un gouvernement anticapitaliste, au service de la population, motivé par la santé plutôt que par les profits, pourrait mettre en place une toute autre politique.

    Existe-t-il une troisième voie ? De toute urgence prendre des mesures anticapitalistes pour sortir du confinement !

    Il ne s’agit pas ici de dire que le confinement pourrait être levé du jour au lendemain. Nous l’avons vu, étant donné les conditions d’impréparation des gouvernements et la dégradation des capacités de l’hôpital public à supporter une telle épidémie, le confinement était la seule solution pour éviter une mortalité élevée. En ce sens, toutes les initiatives syndicales ou de travailleurs.euses pour stopper le travail - et se protéger - dans les productions non-essentielles sont fondamentales. Le slogan « nos vies valent plus que leurs profits » prend ici tout son sens. Il est également fondamental de dénoncer le gouvernement qui nous explique qu’il faut renforcer le confinement mais continuer à travailler, bien au-delà des secteurs essentiels à la lutte contre l’épidémie. Pénicaud, Macron, Philippe sont plus préoccupé.e.s par le maintien des profits que par notre santé. Les scandaleuses mesures contre le droit du travail, les 35h, nos congés, articulées au renforcement de l’Etat policier, ont été prise au moment où la sidération était la plus haute dans la population.

    Mais il est indispensable maintenant de déterminer quelles sont les conditions qui permettraient d’envisager la levée du confinement à très court terme :

    – Il faut de tout urgence pratiquer le dépistage de masse. D’ailleurs, entre les lignes, le Ministre Olivier Veran reconnait lors de sa dernière conférence de presse (https://www.youtube.com/watch?v=wpGjmCkLDHs

    ) que le confinement ne pourra être levé que lorsqu’il sera possible d’effectuer plus de dépistages revenant sur la communication gouvernementale qui affirmait que le dépistage n’était plus un outil en phase 3. Le dépistage de masse permet de n’isoler que les malades et leur entourage. Il permet également une prise en charge précoce des patients considérés comme « à risque » et ainsi de diminuer la létalité du virus. Le problème, c’est que le fournisseur n’arrive pas à suivre la demande en kit de dépistage (https://www.thermofisher.com/order/catalog/product/11732088#/11732088). Il faut donc de toute urgence organiser la production de kits de dépistages en réquisitionnant les entreprises du secteur et en passant outre les brevets.

    – De toute urgence également, il faut injecter des moyens dans la santé et l’hôpital public pour augmenter les capacités de prise en charge des patients en détresse respiratoire. C’est l’inverse des politiques menées jusqu’alors qui font fonctionner l’hôpital comme une entreprise, en flux tendu, incapable de s’adapter à des situations d’urgence. Pour l’instant, le gouvernement a débloqué 2 milliards d’euros pour l’hôpital. Dans le même temps, il injecte 43 milliards dans l’économie et garantit 350 milliards d’euros aux entreprises privées !

    – Pour augmenter le nombre de lits en soins intensifs et protéger celles et ceux qui travaillent il faut réorganiser en profondeur l’appareil industriel pour planifier les productions utiles à résoudre la crise sanitaire : masques, respirateurs, oxygène… En ce sens, il faut soutenir l’action de la CGT qui demande la réouverture et la nationalisation de Luxfer, seule usine d’Europe à produire des bouteilles d’oxygène médical fermées. C’est un bon exemple qui pourrait se poser pour d’autres productions.

    Enfin, l’attention est captée à une échelle assez large sur la mise en place d’un traitement. Le plus prometteur, la chloroquine (ou son dérive l’hydroxy chloroquine) est testée dans plusieurs pays et de nombreux services hospitaliers, y compris en France, ont commencé à l’utiliser sur des malades. Ce médicament semble réduire la charge virale et la durée du portage du virus. Si ce traitement s’avère efficace, la question de la nationalisation de l’industrie pharmaceutique va devenir compréhensible à une échelle très large.C’est peut-être la peur de cette évidence qui motive les grands groupes du secteur à anticiper en proposant de fournir ce traitement gratuitement, que ce soit #Sanofi (https://www.francetvinfo.fr/sante/maladie/coronavirus/coronavirus-sanofi-pret-a-offrir-aux-autorites-francaises-des-millions-) ou #Novartis (https://www.lefigaro.fr/flash-eco/coronavirus-novartis-offre-130-millions-de-doses-de-chloroquine-20200320) !

    Ainsi, nous pouvons affirmer que le confinement aurait pu être largement réduit, voire évité, en généralisant les dépistages, en développant les capacités d’accueil de l’hôpital public et en accélérant les tests sur des traitements antiviraux.

    Ce plan d’urgence n’est possible à court terme que si l’on s’affronte au capitalisme. Il faut reprendre le contrôle, sans indemnité ni rachat, sur l’appareil productif, notamment dans le domaine de la santé, des protections pour les salariés, de l’industrie pharmaceutique et biochimique.

    Macron et son gouvernement, LR et le PS avant lui, portent une lourde responsabilité dans la situation actuelle. L’heure de solder les comptes arrivent. Les réponses anticapitalistes pourraient alors apparaître comme une solution à une échelle inédite jusqu’alors. Pour cela, sans attendre la fin du confinement, il nous faut renforcer les réseaux de solidarité, les réseaux militants pour recommencer à agir dans la situation.

    https://npa2009.org/idees/sante/pour-sortir-du-confinement-un-plan-durgence-anticapitaliste
    #anticapitalisme #anti-capitalisme #austérité #hôpitaux #lits #masques #réserves_stratégiques #stock #respirateurs #recherche #rigueur_budgétaire #immunité_collective #immunité_de_groupe #létalité #taux_de_létalité #tests #dépistage #choc_cytokinique #distanciation_sociale #flattening_the_curve #aplatir_la_courbe #vie_sociale #travail #atomisation #Etat_policier #impréparation #troisième_voie #droit_du_travail #dépistage_de_masse #soins_intensifs #industrie #nationalisation #Luxfer #chloroquine #industrie_pharmaceutique #responsabilité

    ping @simplicissimus @fil @reka

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    Citation sélectionnée pour @davduf :

    Le confinement de classe que nous vivons actuellement doit s’arrêter. Toute vie sociale est stoppée alors qu’il faut continuer à travailler. Même si nous arrêtions toutes les productions non indispensables, ce serait tout de même des millions de travailleurs.euses qui devraient continuer à faire tourner l’hôpital, l’électricité, l’eau, le traitement des ordures ou l’alimentation – mais aussi tous les autres métiers qui permettent à ces secteurs de fonctionner ! Et cela dans un contexte d’atomisation total de notre camp avec tous les reculs sociaux et l’Etat policier total qui vont avec. A cela s’ajoute les dégâts psychologiques, les violences domestiques faites aux femmes ou la situation criminelle que sont en train de vivre les migrant.e.s, les prisonniers.ères et les sans-abris.

    • Le confinement, la destruction du #lien_social et ses conséquences

      Le 19 mars l’Assemblée rejetait l’amendement visant à prolonger le délai d’#avortement pendant la crise sanitaire. Si ce n’est finalement que peu étonnant de la part des députés LREM, ce rejet est révélateur de quelque chose de plus profond. Le confinement de la population va mettre en danger massivement les #femmes et les #classes_populaires de manière générale.

      Quelle que soit la façon dont certains ont essayé de le tourner, le confinement est profondément inégalitaire. Il y a ceux et celles qui ont un logement pour se confiner et les autres qui n’en ont pas, celles et ceux qui ont un logement décent et les autres qui ont un logement insalubre, celles et ceux qui ont une maison avec un jardin et celles et ceux qui doivent se pencher à la fenêtre pour respirer de l’air frais.

      Le message du gouvernement à l’aide de mesures coercitives violentes (oui les amendes sont effectives et en Seine-Saint-Denis elles ont conduit à des arrestations et des garde-à-vue) fait croire à la portée individuelle du confinement sans prise en charge collective de ses répercussions. Face à cela, certainEs ont essayé de mettre en place des réseaux de solidarité dans les immeubles, dans les quartiers, ... Si ces réseaux sont nécessaires et même indispensables, ils ne contrebalancent pas les problèmes qui se posent avec le confinement et qui vont forcément causer là aussi des morts, et parfois ils confortent même dans l’idée qu’il faut nécessairement rester chez soi : promener son chien, faire du jogging serait dangereux. Le propos de cet article n’est pas de dire que le confinement est inutile pour contrer le Covid-19 mais que le confinement n’est pas viable à moyen terme, c’est pourquoi la sortie de crise ne peut venir que de la mise en place d’un plan d’urgence visant à dépister et à soigner ce qui veut dire concrètement donner des moyens aux personnels de santé et des moyens de protection à la population.

      Le confinement face à l’organisation sociale de la dernière phase du capitalisme

      Le confinement dans l’histoire n’a jamais été une partie de plaisir, mais elle pose question dans le capitalisme tel qu’il s’organise aujourd’hui. Depuis les trente dernières années : on peut dire que la tendance à détruire les structures familiales est plutôt lourde. Les foyers composés de personnes seules s’élèvent à 35% des foyers (20% des femmes et 15% des hommes) auxquels se rajoutent presque 9% de familles monoparentales (dont le gros du contingent est composé de femmes). La grande majorité des foyers composés d’une personne seule ont plus de 65 ans (plus de 70%)1. Le problème c’est qu’avec cette épidémie ce sont ces mêmes personnes considérées comme vulnérables qui vont donc se retrouver complètement isolées.

      De l’autre côté, l’on sait aussi qu’un ménage sur douze vit dans un logement surpeuplé, 18% des logements sont considérés comme trop bruyant (donc mal isolés), 22% n’ont pas de système de chauffage efficient et près de 13% ont des problèmes d’humidité.2

      Le confinement produit aussi des rapports au travail qui accentuent ce qui existait auparavant : d’une part il y a ceux qui télétravaillent et ceux qui continuent de travailler dans des conditions de sécurité face au virus alarmantes et avec l’idée que le travail s’accompagne de toute une série de mesures restrictives.3 Mais à cela, il faut encore ajouter que le télétravail n’est pas le même pour tout le monde (que l’on soit cadre ou que l’on fasse un travail administratif) surtout quand l’on se retrouve face à un travail qui s’accompagne de plus en plus d’une perte de sens, d’autant plus qu’il envahit la sphère privée et que les loisirs sont considérablement réduits. Quant aux précaires, aux étudiantEs, à celles et ceux qui travaillaient sans contrat de travail, c’est une situation dramatique qui s’ouvre sans qu’aucune aide ne soit prévue si ce n’est un chômage auxquels ils n’ont pas tous droit.

      De plus, le système capitaliste entraîne une détresse psychologique : la dépression, le suicide ou les tentatives de suicides vont s’accentuer avec la perte de lien social, la perte d’activités émancipatrices et une vie tournée autour du travail.

      Toute la prise en charge associative, comme du service public de ses éléments là, comme de la prise en charge de l’extrême pauvreté va être ou drastiquement réduite voire inexistante.

      Dans le confinement, les femmes trinquent (et meurent !)

      Outre la question de l’avortement dont nous avons parlé plus haut, les femmes vont subir une répercussion violente du confinement. Elles assumeront plus de tâches ménagères qu’à l’ordinaire et de tâches de soin, et on le sait ce sont elles qui dans la plupart des foyers assumeront le suivi de « l’école à la maison » et d’occuper les enfants, sans compter les familles monoparentales ou les mères se retrouveront seules face à l’éducation de leurs enfants.

      Le confinement va augmenter les violences intra-familiales et en particulier les violences conjugales, c’est déjà ce qu’a révélé l’expérience du Wuhan4. Là encore, ces violences seront encore moins prises en charge qu’avant puisque le 3919 ne fonctionne plus pendant cette crise contrairement à ce qu’avait annoncé Marlène Schiappa.5 Au sixième jour du confinement, cette tendance est d’ailleurs aussi relatée par la FCPE ce dimanche.6

      Le manque d’accès à l’avortement pourra provoquer des recherches de solutions mettant en danger les femmes subissant des grossesses non-désirées quand celles-ci ne provoqueront tout simplement pas le suicide.

      Dans le même temps, on pourra noter que les adolescents LGBT confrontés en permanence à l’homophobie pourraient là aussi augmenter les tentatives de suicides et les suicides, alors même que c’est déjà une cause importante de suicides chez les adolescentEs.

      Ajoutons à cela que des secteurs largement féminisés se trouve en première ligne de la gestion de la maladie : infirmières, caissières, ...

      L’isolement des individus entraîne une baisse de la conscience de classe

      Le confinement produit un rapport de force dégradé de manière objective. En ce moment, des lois d’exception sont en train de passer à l’Assemblée diminuant nos droits, sans possibilité de riposte et si la légitimité du gouvernement reste affaiblie, les mesures prises rencontrent au moins une part de consentement. Si c’est le cas, c’est bien parce que la crise que l’on rencontre, a de grosses difficultés à être résolue par le système sans faire des milliers de morts.

      Individuellement, les gens ne peuvent pas se protéger et pour une grande majorité restent donc chez eux de peur (et cette peur est fondée) de devenir malade ou de l’être déjà et de contaminer d’autres personnes. Le problème c’est que sans dépistage massif et traitement le confinement risque de durer longtemps.

      Or, isolément, les gens ne peuvent d’une part pas s’organiser (ce qui dégrade le rapport de force) et de l’autre entraîne une baisse de la conscience de classe dans ce qu’elle a de plus simple car c’est l’organisation du travail qui fonde objectivement cette conscience. De plus, le confinement, repose sur le consentement d’une population à être confinée : c’est d’ailleurs par les réseaux sociaux, mais aussi dans la presse ou dans son entourage une pression sociale à « Restez chez vous », mais aussi à prendre le temps de lire ou de se cultiver.

      De fait cette pression sociale, construit alors le modèle de ceux qui y arriveraient en étant forts, en ayant accès à de la culture ou à des habitudes culturelles. Les vieux qui vivent seuls, les dépressifs, les pauvres, ceux qui n’ont pas accès à la culture se retrouveraient alors mis à l’amende.

      Pour l’instant, cette idéologie ne se fait que sous forme de pression, mais elle pourrait produire autre chose, elle passerait alors du consentement à la collaboration : elle est déjà en partie à l’œuvre de manière minoritaire, elle passe par la délation de celles et ceux qui sortent et la volonté d’un durcissement des mesures coercitives.

      Le confinement ne peut qu’être une mesure à court terme, sinon les effets violents décrits auront des effets durables, surtout si, comme c’est le cas aujourd’hui le mouvement ouvrier ne riposte pas.

      https://npa2009.org/idees/societe/le-confinement-la-destruction-du-lien-social-et-ses-consequences
      #confinés #non-confinés #inégalités #logement #mesures_coercitives #amendes #Seine-Saint-Denis #arrestations #garde_à_vue #rester_chez_soi #isolement #télétravail #chômage #détresse_psychologique #santé_mentale #école_à_la_maison #soins #care #tâches_ménagères #conscience_de_classe #lois_d’exception

  • Total en Ouganda: le tribunal judiciaire se déclare incompétent - Page 1 | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/international/300120/total-en-ouganda-le-tribunal-judiciaire-se-declare-incompetent
    #survie

    La sauvegarde des droits humains relève-t-elle du commerce ? C’est ce que semble indiquer la décision rendue jeudi 30 janvier par le tribunal judiciaire de Nanterre (autrefois appelé TGI). Dans cette affaire portée contre le géant pétrolier Total, plusieurs ONG – les Amis de la Terre France, Survie, AFIEGO, CRED, NAPE/Amis de la Terre Ouganda et NAVODA – reprochaient à la multinationale de ne pas se plier à ses nouvelles obligations légales créées par la loi sur le devoir de vigilance des multinationales de 2017.

    Très exactement, les associations demandaient à Total de réviser son plan de vigilance et de revoir sa mise en œuvre effective concernant un méga-projet pétrolier dont il est l’opérateur principal en Ouganda. Total y travaille sur un vaste projet d’extraction de pétrole – plus de 400 puits sur six champs situés dans un parc national protégé – et le plus grand oléoduc « chauffé » du monde – 1 445 kilomètres pour apporter le pétrole jusqu’à l’océan Indien via la Tanzanie.

    Interrogé en mai 2019 sur le risque environnemental d’opérer dans cette réserve, le groupe Total assurait pouvoir laisser à son départ « un environnement dans un meilleur état que celui qu’il a trouvé ». « Les opérations couvriront moins de 0,1 % de la superficie du parc », ajoutait Total.

    L’Ouganda n’a estimé que récemment, en 2006, ses #réserves_pétrolières. Celles-ci s’élèvent à 1,7 milliard de barils au moins, ce qui pourrait classer le pays aux alentours de la 30e place des producteurs mondiaux. Ces réserves se trouvent cependant dans le parc national de Murchison Falls, grand de 4 000 km2.

    La loi relative au devoir de vigilance permet d’obliger une entreprise à respecter ses obligations, le cas échéant, sous astreinte. « Total pourrait ainsi être contraint de revoir son plan de vigilance afin de réellement prendre en compte les impacts des activités du groupe pétrolier sur les populations locales et l’environnement, estimaient les ONG en 2019. Le juge pourrait aussi exiger la mise en œuvre effective de mesures urgentes pour prévenir des violations ou des dommages imminents. »

    Mais c’est finalement une tout autre décision qui a été rendue jeudi. Le tribunal judiciaire s’est en effet rangé à la position défendue par Total à l’audience le 12 décembre dernier, à savoir que seul le tribunal correctionnel est compétent.

    Dans sa décision, le tribunal indique en effet que « la société #TOTAL SA soulève une exception d’incompétence au profit du tribunal de commerce de Nanterre. Elle considère que les actions relatives au plan de vigilance des sociétés commerciales se rattachant directement à la gestion d’une société commerciale, relèvent de la compétence exclusive du tribunal de commerce ». Total « considère que l’élaboration et l’adoption du plan de vigilance constituent des actes de gestion fondamentaux pour la société », ajoute le tribunal.

    Ce dernier a donc renvoyé l’affaire au tribunal de commerce. Au grand dam des associations, qui craignent notamment que la justice commerciale soit plus favorable aux entreprises. Pour Juliette Renaud, responsable de campagne sur la régulation des multinationales aux Amis de la Terre, « il ne s’agit pas ici d’une question relevant simplement de la gestion de l’entreprise comme l’a argumenté Total : il est absurde que des représentants d’#entreprises élus par leurs pairs soient les plus à même de juger d’une situation si grave où des vies et des #écosystèmes entiers sont menacés ! ».

    [...]

    Et de fait, sur place, la situation n’a pas été facile pour les militants depuis le dépôt de la plainte. De retour en #Ouganda après avoir témoigné en France le 12 décembre, Jealousy Mugisha, leader d’une des communautés ougandaises affectées par le #méga-projet #pétrolier, a été arrêté à l’aéroport et retenu près de 9 heures par les autorités avant d’être libéré. Jealousy Mugisha avait déjà subi de fortes #intimidations la semaine précédant sa venue en France, l’obligeant à se cacher à #Kampala pendant une semaine.

    Le 23 décembre, des hommes inconnus ont tenté de s’introduire une première fois chez Fred Mwesigwa, agriculteur et second témoin ougandais au procès, et une nouvelle fois la nuit suivante, en forçant les portes métalliques et les structures en bois de sa maison. N’étant pas parvenu à forcer les portes, ces hommes ont enfermé Fred Mwesigwa chez lui avec des cadenas. Après ces agressions, il a pu se réfugier dans un lieu tenu secret.

    [...]

    À cette heure, on ne sait même pas combien l’exploitation pétrolière est susceptible de rapporter à l’Ouganda, dont le PIB s’élevait en 2018 à 28,36 milliards de dollars (730 dollars par habitants) – à mettre en regard de la capitalisation boursière de Total, évaluée à 130 milliards d’euros environ début 2019. Le gouvernement ougandais affirme que 80 % des gains iront au pays, mais les ONG sont échaudées par un épisode précédent, lorsque les entreprises ont refusé de payer les taxes normalement dues à l’occasion de rachats de titres.

    Enfin, le #parc_national de #Murchison_Falls compte des espèces protégées et est classé en zone humide d’importance internationale, précieuse pour la conservation des oiseaux, connue pour abriter des espèces rares, vulnérables et menacées. Le parc dans son ensemble abrite plus de 500 espèces d’animaux – différentes antilopes, lions, éléphants, hippopotames, phacochères – dont certaines menacées, comme la girafe de Rothschild.

  • Les garants du grand débat exposent leurs réserves et dénoncent un manque de neutralité (BFMTV)
    https://www.crashdebug.fr/actualites-france/15885-les-garants-du-grand-debat-exposent-leurs-reserves-et-denoncent-un-

    C’est bien qu’ils le disent déjà....

    Depuis plusieurs semaines les cinq garants du grand débat émettent des doutes quant à l’omniprésence de l’exécutif dans la consultation.

    Alors qu’était organisée ce lundi, en présence du Premier ministre Edouard Philippe, la présentation du bilan du grand débat national lancé face à la crise des gilets jaunes, des doutes persistent.

    Si le locataire de Matignon a estimé, au terme des trois mois de consultations, que ces débats indiquaient "clairement la direction à prendre : nous devons baisser, et baisser plus vite, les impôts", les garants de ce grand débat, au nombre de cinq, s’interrogent.

    Nommés en février passé afin de veiller au bon déroulement de la consultation, ils avaient, déjà début mars, pointé du doigt les (...)

    #En_vedette #Actualités_françaises

  • Brazil new President will open Amazon indigenous reserves to mining and farming

    Indigenous People Bolsonaro has vowed that no more indigenous reserves will be demarcated and existing reserves will be opened up to mining, raising the alarm among indigenous leaders. “We are in a state of alert,” said Beto Marubo, an indigenous leader from the Javari Valley reserve.

    Dinamam Tuxá, the executive coordinator of the Indigenous People of Brazil Liaison, said indigenous people did not want mining and farming on their reserves, which are some of the best protected areas in the Amazon. “He does not respect the indigenous peoples’ traditions” he said.

    The Amazon and the environment Bolsonaro campaigned on a pledge to combine Brazil’s environment ministry with the agriculture ministry – under control of allies from the agribusiness lobby. He has attacked environmental agencies for running a “fines industry” and argued for simplifying environmental licences for development projects. His chief of staff, Onyx Lorenzoni, and other allies have challenged global warming science.

    “He intends that Amazon stays Brazilian and the source of our progress and our riches,” said Ribeiro Souto in an interview. Ferreira has also said Bolsonaro wants to restart discussions over controversial hydroelectric dams in the Amazon, which were stalled over environmental concerns.

    Bolsonaro’s announcement last week that he would no longer seek to withdraw Brazil from the Paris climate agreement has done little to assuage environmentalists’ fears.

    http://www.whitewolfpack.com/2018/10/brazil-new-president-will-open-amazon.html
    #réserves #Amazonie #Brésil #extractivisme #mines #agriculture #forêt #déforestation (probablement pour amener ENFIN la #modernité et le #progrès, n’est-ce pas ?) #aires_protégées #peuples_autochtones #barrages_hydroélectriques

    • Un leader paysan assassiné dans l’Amazonie brésilienne

      Le leader paysan, #Aluisio_Samper, dit #Alenquer, a été assassiné jeudi après-midi 11 octobre 2018 chez lui, à #Castelo_de_Sonhos, une ville située le long de la route BR-163 qui relie le nord de l’État de #Mato_Grosso, la principale région productrice de #soja du Brésil, aux deux fleuves Tapajós et Amazone.

      Il défendait des paysans qui s’accrochaient à des lopins de terre qu’ils cultivaient pour survivre, alors que le gouvernement les avaient inclues dans un projet de #réforme_agraire et allait les attribuer à des associations de gros producteurs.


      https://reporterre.net/Un-leader-paysan-assassine-dans-l-Amazonie-bresilienne
      #assassinat #terres #meurtre

    • As Brazil’s Far Right Leader Threatens the Amazon, One Tribe Pushes Back

      “Where there is indigenous land,” newly elected President Jair Bolsonaro has said, “there is wealth underneath it.”

      The Times traveled hundreds of miles into the Brazilian Amazon, staying with a tribe in the #Munduruku Indigenous Territory as it struggled with the shrinking rain forest.

      The miners had to go.

      Their bulldozers, dredges and high-pressure hoses tore into miles of land along the river, polluting the water, poisoning the fish and threatening the way life had been lived in this stretch of the Amazon for thousands of years.

      So one morning in March, leaders of the Munduruku tribe readied their bows and arrows, stashed a bit of food into plastic bags and crammed inside four boats to drive the miners away.

      “It has been decided,” said Maria Leusa Kabá, one of the women in the tribe who helped lead the revolt.

      https://www.nytimes.com/2018/11/10/world/americas/brazil-indigenous-mining-bolsonaro.html

    • Indigenous People, the First Victims of Brazil’s New Far-Right Government

      “We have already been decimated and subjected, and we have been victims of the integrationist policy of governments and the national state,” said indigenous leaders, as they rejected the new Brazilian government’s proposals and measures focusing on indigenous peoples.

      In an open letter to President Jair Bolsonaro, leaders of the Aruak, Baniwa and Apurinã peoples, who live in the watersheds of the Negro and Purus rivers in Brazil’s northwestern Amazon jungle region, protested against the decree that now puts indigenous lands under the Ministry of Agriculture, which manages interests that run counter to those of native peoples.

      Indigenous people are likely to present the strongest resistance to the offensive of Brazil’s new far-right government, which took office on Jan. 1 and whose first measures roll back progress made over the past three decades in favor of the 305 indigenous peoples registered in this country.

      Native peoples are protected by article 231 of the Brazilian constitution, in force since 1988, which guarantees them “original rights over the lands they traditionally occupy,” in addition to recognising their “social organisation, customs, languages, beliefs and traditions.”

      To this are added international regulations ratified by the country, such as Convention 169 on Indigenous and Tribal Peoples of the International Labor Organisation, which defends indigenous rights, such as the right to prior, free and informed consultation in relation to mining or other projects that affect their communities.

      It was indigenous people who mounted the stiffest resistance to the construction of hydroelectric dams on large rivers in the Amazon rainforest, especially Belo Monte, built on the Xingu River between 2011 and 2016 and whose turbines are expected to be completed this year.

      Transferring the responsibility of identifying and demarcating indigenous reservations from the National Indigenous Foundation (Funai) to the Ministry of Agriculture will hinder the demarcation of new areas and endanger existing ones.

      There will be a review of the demarcations of Indigenous Lands carried out over the past 10 years, announced Luiz Nabhan García, the ministry’s new secretary of land affairs, who is now responsible for the issue.

      García is the leader of the Democratic Ruralist Union, a collective of landowners, especially cattle ranchers, involved in frequent and violent conflicts over land.

      Bolsonaro himself has already announced the intention to review Raposa Serra do Sol, an Indigenous Land legalised in 2005, amid legal battles brought to an end by a 2009 Supreme Court ruling, which recognised the validity of the demarcation.

      This indigenous territory covers 17,474 square kilometers and is home to some 20,000 members of five different native groups in the northern state of Roraima, on the border with Guyana and Venezuela.

      In Brazil there are currently 486 Indigenous Lands whose demarcation process is complete, and 235 awaiting demarcation, including 118 in the identification phase, 43 already identified and 74 “declared”.

      “The political leaders talk, but revising the Indigenous Lands would require a constitutional amendment or proof that there has been fraud or wrongdoing in the identification and demarcation process, which is not apparently frequent,” said Adriana Ramos, director of the Socio-environmental Institute, a highly respected non-governmental organisation involved in indigenous and environmental issues.

      “The first decisions taken by the government have already brought setbacks, with the weakening of the indigenous affairs office and its responsibilities. The Ministry of Health also announced changes in the policy toward the indigenous population, without presenting proposals, threatening to worsen an already bad situation,” she told IPS from Brasilia.

      “The process of land demarcation, which was already very slow in previous governments, is going to be even slower now,” and the worst thing is that the declarations against rights “operate as a trigger for violations that aggravate conflicts, generating insecurity among indigenous peoples,” warned Ramos.

      In the first few days of the new year, and of the Bolsonaro administration, loggers already invaded the Indigenous Land of the Arara people, near Belo Monte, posing a risk of armed clashes, she said.

      The indigenous Guaraní people, the second largest indigenous group in the country, after the Tikuna, who live in the north, are the most vulnerable to the situation, especially their communities in the central-eastern state of Mato Grosso do Sul.

      They are fighting for the demarcation of several lands and the expansion of too-small areas that are already demarcated, and dozens of their leaders have been murdered in that struggle, while they endure increasingly precarious living conditions that threaten their very survival.

      “The grave situation is getting worse under the new government. They are strangling us by dividing Funai and handing the demarcation process to the Ministry of Agriculture, led by ruralists – the number one enemies of indigenous people,” said Inaye Gomes Lopes, a young indigenous teacher who lives in the village of Ñanderu Marangatu in Mato Grosso do Sul, near the Paraguayan border.

      Funai has kept its welfare and rights defence functions but is now subordinate to the new Ministry of Women, Family and Human Rights, led by Damares Alves, a controversial lawyer and evangelical pastor.

      “We only have eight Indigenous Lands demarcated in the state and one was annulled (in December). What we have is due to the many people who have died, whose murderers have never been put in prison,” said Lopes, who teaches at a school that pays tribute in indigenous language to Marçal de Souza, a Guarani leader murdered in 1982.

      “We look for ways to resist and we look for ‘supporters’, at an international level as well. I’m worried, I don’t sleep at night,” she told IPS in a dialogue from her village, referring to the new government, whose expressions regarding indigenous people she called “an injustice to us.”

      Bolsonaro advocates “integration” of indigenous people, referring to assimilation into the mainstream “white” society – an outdated idea of the white elites.

      He complained that indigenous people continue to live “like in zoos,” occupying “15 percent of the national territory,” when, according to his data, they number less than a million people in a country of 209 million inhabitants.

      “It’s not us who have a large part of Brazil’s territory, but the big landowners, the ruralists, agribusiness and others who own more than 60 percent of the national territory,” countered the public letter from the the Aruak, Baniwa and Apurinã peoples.

      Actually, Indigenous Lands make up 13 percent of Brazilian territory, and 90 percent are located in the Amazon rainforest, the signatories of the open letter said.

      “We are not manipulated by NGOs,” they replied to another accusation which they said arose from the president’s “prejudices.”

      A worry shared by some military leaders, like the minister of the Institutional Security Cabinet, retired General Augusto Heleno Pereira, is that the inhabitants of Indigenous Lands under the influence of NGOs will declare the independence of their territories, to separate from Brazil.

      They are mainly worried about border areas and, especially, those occupied by people living on both sides of the border, such as the Yanomami, who live in Brazil and Venezuela.

      But in Ramos’ view, it is not the members of the military forming part of the Bolsonaro government, like the generals occupying five ministries, the vice presidency, and other important posts, who pose the greatest threat to indigenous rights.

      Many military officers have indigenous people among their troops and recognise that they share in the task of defending the borders, she argued.

      It is the ruralists, who want to get their hands on indigenous lands, and the leaders of evangelical churches, with their aggressive preaching, who represent the most violent threats, she said.

      The new government spells trouble for other sectors as well, such as the quilombolas (Afro-descendant communities), landless rural workers and NGOs.

      Bolsonaro announced that his administration would not give “a centimeter of land” to either indigenous communities or quilombolas, and said it would those who invade estates or other properties as “terrorists.”

      And the government has threatened to “supervise and monitor” NGOs. But “the laws are clear about their rights to organise,” as well as about the autonomy of those who do not receive financial support from the state, Ramos said.

      http://www.ipsnews.net/2019/01/indigenous-people-first-victims-brazils-new-far-right-government

  • Bientôt des cavernes de #stockage de #gaz dans les #Alpes

    Les gaziers suisses prévoient des réserves souterraines de gaz naturel. Des forages de reconnaissance seront réalisés en Valais, près du tunnel de Transitgas qui achemine le gaz d’Allemagne et des Pays-Bas.


    https://www.swissinfo.ch/fre/energie_bient%C3%B4t-des-cavernes-de-stockage-de-gaz-dans-les-alpes/44493186
    #énergie #Suisse #réserves #gazduc
    via @stesummi

  • (1) #Biodiversité : « Le modèle de développement durable a montré sa faillite ces quinze dernière années » - Libération
    https://www.liberation.fr/planete/2018/10/23/biodiversite-le-modele-de-developpement-durable-a-montre-sa-faillite-ces-

    Nos #recherches font état d’une amélioration extraordinaire de la précision et de la qualité des données internationales sur la biodiversité, en quelques décennies. Par ailleurs, les quatre grandes causes de ce déclin ont été identifiées il y a déjà quarante ans : la trop forte exploitation des ressources (surchasse ou surpêche par exemple), la fragmentation de l’habitat des espèces, l’introduction d’espèces invasives et enfin les extinctions en chaîne qui peuvent découler des trois premiers facteurs. A cela s’ajoute aujourd’hui, la pollution et le changement climatique. Nos deux ans de recherches nous montrent que la recherche scientifique dans ce domaine n’est ni pessimiste, ni optimiste, mais réaliste. La crise de la biodiversité s’accélère.

    "Le #modèle_de_développement durable a montré sa faillite ces quinze dernières années car les choix politiques se font, quasiment systématiquement, en faveur des activités humaines et au détriment de la protection de l’environnement. Très souvent, la temporalité écologique (au sens des interactions entre espèces) n’est pas en accord avec celle des humains. Il faut aussi prendre en compte l’aspect évolutif des espèces et écosystèmes sur le long terme. Seulement 0,02% du territoire métropolitain sont des #réserves_biologiques_intégrales, soient les seuls espaces strictement protégés des activités humaines."

  • Au #Canada, des milliers d’autochtones n’ont toujours pas l’#eau_potable chez eux

    Pourtant, le Premier ministre Justin Trudeau s’était engagé à résoudre ce problème qui mine les #réserves des Premières Nations depuis des années.

    Pour boire un verre d’eau, ou même pour prendre une douche, certaines communautés des Premières Nations canadiennes ne peuvent pas se contenter d’ouvrir le robinet. Dans de nombreuses réserves du pays, l’eau courante est contaminée par les algues bleues, ou encore par des bactéries ou du mercure, rappelle dans un récent article le Washington Post.

    Gérés par le Gouvernement fédéral, de nombreux systèmes d’épuration font de ce fait l’objet d’avis de non-consommation de l’eau. Certains sont entrés en vigueur récemment, mais d’autres durent depuis des années : « À Neskantaga, une réserve isolée du Nord de l’Ontario, les résidents font bouillir leur eau depuis 23 ans, décrit le Washington Post, après la panne d’une station de traitement construite en 1993. »

    En novembre 2015, 105 avis préventifs « de longue durée » étaient en vigueur. Depuis, 71 ont été levés, mais 35 nouveaux ont dépassé le délai de 12 mois correspondant à cette définition. En résumé, 69 stations canadiennes fournissent de l’eau non potable depuis plus d’un an. « Et il y a toujours un risque qu’une nouvelle station rejoigne cette longue liste, ou qu’un avis de "courte durée" soit prolongé au-delà de 12 mois », prévient le quotidien américain.

    Pourtant, le Gouvernement Trudeau a déjà dépensé 2 milliards d’euros pour mettre fin à ce fléau digne du « tiers-monde », selon les mots du chef d’une des réserves concernées. Une somme qui reste insuffisante, indiquait dans un rapport de 2017 un comité de surveillance.
    Lourdeurs administratives et manque de personnel

    Tout cet argent ne semble en effet pas suffire pour lever toutes les « lourdeurs administratives » qui empêchent de remettre en état de marche les stations défaillantes. Des études de faisabilité, des mesures, des plans, des remises aux normes... les démarches n’en finissent plus pour que les avis restrictifs prennent fin. « Je sais qu’il y a une volonté politique de la part du Premier ministre, remarque Erwin Redsky, chef d’une réserve indigène de quelques 290 personnes, mais si la bureaucratie ne change pas, rien ne changera ».

    Et quand bien même elles viendraient à bout de la paperasse administrative, les réserves peinent ensuite à trouver du personnel qualifié pour travailler dans ces stations de traitement des eaux ; les opérateurs sont mieux formés, et mieux payés dans les grandes villes. Le Gouvernement soutient en ce sens des programmes visant à inciter ces techniciens à rester dans les réserves.

    Justin Trudeau a promis que les avis de « long terme » interdisant la consommation d’eau courante seraient levés d’ici mars 2021. Mais après des années à se méfier de l’eau du robinet, les autochtones vont-ils vraiment oser la boire ? Dawn Martin-Hill, professeur d’anthropologie et résident de la réserve des Six Nations, assure qu’un « problème plus important mettra plus longtemps à être résolu » : la confiance des habitants en l’eau de leur robinet.


    http://www.slate.fr/story/168854/canada-autochtones-pas-eau-potable
    #eau #peuples_autochtones #eau_de_robinet

  • Une étude décrit l’empiètement des humains sur les #zones_protégées | AFP.com
    https://www.afp.com/fr/infos/336/une-etude-decrit-lempietement-des-humains-sur-les-zones-protegees-doc-15354l3

    Des autoroutes, des forages et mêmes des villes apparaissent au beau milieu de zones qui ne sont protégées que sur le papier, ont averti jeudi des chercheurs après avoir passé en revue des millions de kilomètres carrés d’aires protégées de la planète.

    Un tiers des aires désignées officiellement dans le monde par les États comme « protégées » subissent une « importante pression humaine », conclut le rapport, publié jeudi dans la revue de référence #Science.

  • Australia opens vast swaths of famed marine parks to fishing
    https://news.mongabay.com/2018/03/australia-opens-vast-swaths-of-famed-marine-parks-to-fishing

    Australia is known for protecting its sea life in a 3.3 million square kilometer (1.3 million square mile) system of marine parks that cover 36 percent of the country’s oceans.
    The protection of those parks is now at stake, as the government last week approved five long-awaited management plans covering 44 parks. The new plans open an area almost the size of Japan to commercial and recreational fishing compared to the original plans formed by the previous government when the parks were proclaimed in 2012.
    A coalition of opposition parties attempted to block the new plans in parliament on Tuesday but failed.
    Conservation groups and hundreds of marine scientists have voiced vehement opposition to the government’s new plans.

    #australie #réserves #pêche #cartographie #grande_barrière_de_corail

  • Abolir les réserves n’est pas la solution | Le Devoir

    http://www.ledevoir.com/societe/actualites-en-societe/489297/communautes-autochtones-abolir-les-reserves-est-une-utopie-dit-la-vice-che

    Suicides chez les Autochtones : Abolir les réserves n’est pas la solution

    La vice-chef d’Uashat Mak Mani-Utenam, Virginie Michel, répond au coroner Bernard Lefrançois, qui s’insurge contre le régime « d’apartheid » en place

    16 janvier 2017 |Marie-Michèle Sioui

    Entre les mois de mai 1994 et novembre 2015, 40 des 44 personnes qui se sont suicidées à Uashat Mak Mani-Utenam avaient une dépendance à l’alcool ou aux drogues.
    Photo : Mixwell21 / Wikimedia Entre les mois de mai 1994 et novembre 2015, 40 des 44 personnes qui se sont suicidées à Uashat Mak Mani-Utenam avaient une dépendance à l’alcool ou aux drogues.

    Penser abolir les réserves autochtones pour les guérir de leurs maux est une utopie, a déclaré dimanche Virginie Michel, vice-chef d’Uashat Mak Mani-Utenam, une communauté innue de la Côte-Nord qui a fait l’objet d’une enquête du coroner Bernard Lefrançois en raison d’une vague de suicides survenue en 2015.

    Virginie Michel commentait ainsi les conclusions de l’officier public, qui a dénoncé dans son enquête le manque de services — mais aussi le régime d’« apartheid » que crée la Loi sur les Indiens, « archaïque et désuète » — pour expliquer les suicides de cinq autochtones de la communauté voisine de Sept-Îles entre le 10 février 2015 et le 31 octobre 2015.

    #peuples_autochtones #nations_premières #canada