#révolution_

  • Henri (Enric) Mèlich (1925-2021)
    https://www.partage-noir.fr/henri-enric-melich-1925-2021

    Henri (Enric) Mèlich est né le 5 novembre 1925 en Catalogne, à Espugues de Llobregat, près de Barcelone, dans une famille libertaire. Il est encore enfant à la fin de la guerre et lors de la « Retirada » il suit ses parents en France, dans le Lot et Garonne, puis en avril 1939 à Quillan dans l’Aude chez une tante mariée avec un français. Il commence à travailler avec son père sur plusieurs chantiers de bucheronnage. Contrairement à son frère ainé (anarchiste pacifiste), il s’engage en (...) Partages

    / Henri (Enric) Mèlich, #CNT, Révolution espagnole (1936-1939), #CRAS_Toulouse

    #Partages_ #Henri_Enric_Mèlich #Révolution_espagnole_1936-1939_
    https://cras31.info/IMG/pdf/dossiers-noirs-dune-certaine-resistance.pdf
    https://editionsacratie.com/a-chacun-son-exil-itineraire-dun-militant-libertaire-espagnol
    http://www.autrefutur.net/Henri-Melich-1925-2021
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/dossiers-noirs-dune-certaine-resistance.pdf

  • La rivoluzione palestinese del 7 ottobre

    «Mi diressi verso Suha che prese Hanin, dicendo: “Non stare via troppo a lungo”. L’abbracciai, insieme alla piccola: “Non ti preoccupare… come gli uomini della Comune, noi invadiamo il cielo!” (…) Avevamo superato lo scoglio dell’autocontrollo, non avevamo versato neppure una lacrima, nessuno di noi aveva pianto».

    (da “Non metterò il vostro cappello” di Ahmed Qatamesh)

    Quando non si ha più niente, si è pronti per condividere tutto.

    La rivoluzione per la liberazione della Palestina del 7 ottobre ha mostrato come esseri umani – espropriati da oltre 75 anni di ogni elemento essenziale all’esistenza – possano condividere l’impossibile, ovvero mettere in ginocchio una potenza nucleare, non solo militarmente ma anche mozzandone la fiducia nel teismo colonialista e razzista.

    La rivoluzione del 7 ottobre ha reinventato leggi fisiche. Ha insegnato che ci si può tirare fuori dalla fossa più profonda del pianeta – quella dove i palestinesi sono stati sepolti dai sionisti e dagli occidentali – senza alcun punto d’appoggio.

    Unico appiglio – interiore e politico, sarebbe meglio dire con Alì Shariati di «spiritualità politica» – è la coscienza assoluta che servare vitam per servire il colone, sopravvivere cioè sottovivere, è il più grande errore che il colonizzato possa compiere nei propri confronti e verso i figli che verranno.

    I nuovi venuti al mondo debbono temere più della morte la vita scuoiata, spogliata fino a tendini e nervi di ciò che umano. Vale in particolar modo per gli oppressi palestinesi, ma anche per i giovani sottomessi dal presente liberista in Occidente.

    L’esistenza schiacciata ritrova significato soltanto nel sollevarsi contro il carnefice. Alzandosi dalla polvere, sorvola muri di segregazione e valichi d’acciaio, abbraccia cieli proibiti, si congiunge carnalmente con le nuvole più morbide per fecondarle e donare inattese stirpi ribelli a ogni terra.

    I guerriglieri di Gaza sui deltaplani sono diventati folate di vento e grida che hanno sovvertito il tempo, hanno dipinto un’immagine di liberazione tra le più elevate della recente storia dell’umanità.

    Un quadro immortale di gioia che nessun palestinese, nessuna donna, nessun uomo schiavizzato dal totalitarismo liberale, si leverà mai dallo sguardo.

    Un’autentica preghiera visiva da recitare con gli occhi di fronte a ogni sopruso subito.

    L’atterraggio sul suolo violentato dai colonizzatori è una nascita per i combattenti. E non si viene alla luce senza coprirsi di sangue. Non ci si libera da un’eterna brutalità senza violenza. Lo sa chiunque conosca la storia dalla parte dei reclusi nell’inferno terreno. In un istante, qualsiasi legame con la vile morale liberale viene bruciato e gli ultimi in rivolta, come abili ramai, maneggiando quel fuoco possono forgiare una naturale e istintiva verità senza diseguaglianze.

    «Quest’uomo nuovo comincia la sua vita d’uomo dalla fine; si considera come un morto in potenza. Sarà ucciso: non è soltanto che ne accetta il rischio, è che ne ha la certezza; quel morto in potenza ha perso sua moglie, i suoi figli; ha visto tante agonie che vuol vincere piuttosto che sopravvivere» ha lasciato scritto incontestabilmente Frantz Fanon.

    Nella gioia nichilista e al contempo creatrice di un futuro imprevedibile senza catene né limiti, il luminoso incantevole sorriso dei rivoluzionari traspare dalla keffiyeh arrotolata sul viso, e invita alla danza sopra i carrarmati nemici. I mostri che travolgevano bambini e insorti, adesso sono schiacciati dai salti di un intero popolo sprigionato.

    E la rivoluzione palestinese prosegue, nonostante i bombardamenti e l’ennesima, incessante strage di gazawi, con la Knesset che trema per i razzi lanciati dalle macerie, con il segretario di stato americano e l’eletto primo boia tra i boia sionisti rinchiusi in un bunker.

    Avanza di giorno in giorno nelle piazze delle città arabe, del Sudamerica e degli stati che il dispotismo capitalista si ostina a denominare Europa. Unite da quella che una volta ho definito «lotta contro questa vita».

    Le parole d’ordine dei movimenti seguono lo straripare palestinese. Scuotono, irridono vie e strade dominate dal profitto di pochi prescelti. Non hanno alcun riflesso della falsa pacificazione imposta ovunque, uccidendo in nome della democrazia e dei valori superiori d’Occidente. Chiedono la liberazione totale della Palestina. Senza concessioni ai sionisti.

    Ne vale la pena rispetto al massacro che gli oppressori compiono a Gaza senza tregua?

    Ne vale la pena davanti al profilarsi deciso della quarta fase del processo secolare e mai finito della Nakba, per citare Joseph Massad, ovvero l’azione terminale che ha come obiettivo lo sterminio ultimo dei palestinesi?

    Sì, perché l’atto storico della Resistenza Palestinese ha una potenza offensiva culturale, oltre che militare, sinora mai vista. L’accelerazione improvvisa dello scontro è una concreta possibilità di salvezza, in confronto a una sentenza di morte di massa in quotidiana esecuzione da decenni. Per loro, e per noi che abitiamo altre sponde del mediterraneo.

    Una sovversione che va oltre la logica utilitarista e tatticista della guerra e non può essere volgarmente chiamata “guerra”.

    Come per i rari urti che fanno irrompere una nuova concezione dell’umano, va adoperata la parola “rivoluzione”.

    A ogni latitudine, questo moto spinge donne e uomini condannati per sempre all’infimo rango a ritrovare la lotta per «una vita profonda».

    Superando il concetto marxista di «arcano della produzione», colgono, svelano l’arcano della distruzione su cui si regge il liberismo. Impulsivamente, animati da una «luxuria mentis» temeraria, vogliono fermarlo.

    Come le migliori rivoluzioni, quella palestinese del 7 ottobre ha l’effetto di far cadere, una a una, le maschere dei nemici.

    A cominciare dal trucco pesante delle garanzie democratiche che si scioglie, scoprendo il volto autoritario e discriminatorio dell’Unione Europea.

    In tanti lo avevamo già scorto nella guerra contro i migranti e gli ultimi sui gradini della scala sociale.

    Ora, per chiunque, è difficile negare la mostruosità repressiva delle dodici stelle di Bruxelles e Strasburgo, sempre più simili a dodici stelle di David.

    *

    Quando non si è più niente, si perde tutto e non si persuade più nessuno.

    Israele e l’Occidente, con il minuscolo stato italiano, sono scossi da una paura incontrollabile. Neanche i detentori delle leve del potere provano a dare credibilità all’interminabile messinscena dell’invincibilità e della democrazia.

    Nello stato d’occupazione, i coloni con doppia nazionalità non sono rassicurati nemmeno dalla rappresaglia su Gaza con ospedali rasi al suolo, bombe a grappolo e fosforo bianco. Finalmente si mettono in fila negli aeroporti per abbandonare la terra che hanno usurpato.

    La république, dopo la lucente e giovanissima insurrezione dell’estate, ha il giusto sentore di poter essere la prossima a venire sommersa dall’onda della rivoluzione del 7 ottobre. Vieta le mobilitazioni in solidarietà con la Palestina e arresta ed espelle Mariam Abu Daqqa, voce nitida del Fronte Popolare. Ormai non si nasconde più: è basata sul suffragio dei mercati e sulla libertà, eguaglianza e fraternità tra banchieri, predatori e assassini in nome dell’extraprofitto.

    La Deutsche Republik militarizza le scuole, i quartieri popolati da immigrati, fa passare l’ultimo libro di Adania Shani dalla premiazione a Francoforte all’indice, proibisce di indossare la keffiyeh e sventolare la bandiera della Palestina. Dal 19 ottobre, a Berlino, manifestanti arabi e tedeschi hanno fatto intendere che non staranno a lungo immobili.

    La repubblica italiana intimidisce inutilmente gli studenti che sostengono la Resistenza Palestinese. Manganella chi contesta gli amici d’Israele a Livorno e Roma. Si prepara all’imminente stagione repressiva, dispensando allarmi bomba fasulli e chiudendo le frontiere laddove possibile. Atti utili a stabilire una condizione d’emergenza che renderà lecito punire il movimento che di minuto in minuto prende forma.

    Questa paura legalizzata di perdere tutto conduce i media dei regimi liberisti dell’Unione Europea a tentare di ridurre la rivoluzione palestinese del 7 ottobre a un’azione terroristico-religiosa, a tracciare parallelismi demenziali con l’11 settembre, il Bataclan, l’Isis e chi ha più benzina da versare sul falò psicotico dello scontro di civiltà, più ne butti.

    Peccato per loro che buona parte dei giovani abbia capito, in ogni angolo del pianeta, che c’è soltanto uno scontro di civiltà: quello tra dominanti e incatenati, tra sfruttatori e sfruttati.

    Una propaganda arabofoba, islamofoba, misoxena, pericolosa, da contrastare con intelligenza, ma assolutamente stantia e prevedibile.

    Se le parole del potere sono logore, in disfacimento, non sono da meno le frasi di tanti «professori di morale» che affermano di schierarsi con i palestinesi. Però dopo aver condannato «i nazisti» di Hamas equiparandoli ai «nazisti» di Tel Aviv, e aver classificato la rivoluzione del 7 ottobre come «un pogrom». Coloro che sono stati visionari interpreti del marxismo occidentale ricorrono dunque alla stessa espressione usata da Rishi Sunak, il primo ministro inglese, fautore della deportazione e dell’assassinio su vasta scala dei migranti che attraversano il canale della Manica.

    Davvero i «disorientatori» della sinistra pacificata non comprendono che nello stato d’insediamento coloniale israeliano non esistono “civili”?

    Davvero non sanno che coloni, armati fino ai denti, assaltano regolarmente le case dei palestinesi e li uccidono?

    Davvero non conoscono la storia fondamentale e preziosa di Hamas al punto di lasciarsi sgocciolare dalla bocca una simile infamia?

    Davvero non immaginano che la Resistenza Palestinese è unita dal 2021 nelle sue diverse componenti e che Hamas è la parte prevalente?

    Davvero non si rendono conto che la Palestina dell’ottobre 2023 rappresenta per le nuove generazioni ciò che il Vietnam (e i Vietcong avevano un’etica guerriera non meno intransigente rispetto a quella della Resistenza Palestinese) ha rappresentato nella loro epoca?

    Non sono ignoranti, se non nell’anima. Semplicemente gli piacciono i palestinesi – ritorniamo ancora a Fanon – quando sono «inferiorizzati», quando sono vittime da contare sul pallottoliere della morte. Perché i palestinesi devono restare, all’immancabile bagno di sangue quotidiano, un’occasione per sentirsi occidentali differenti e buoni.

    Hanno quindi terrore della rivoluzione del 7 ottobre che porta tanti tra i nostri figli a rifiutare e sputare sull’idea razzista, suprematista – da loro sempre magnificata – di fittizia identità europea. La vera progenitrice, persino più del nazionalismo genocida statunitense, del colonialismo israeliano.

    Hanno accettato di essere «uomini viventi miseramente», asserirebbe Pierre Clastres, e non riescono a nuotare in quest’alluvione sovversiva.

    Il loro linguaggio rifugge la logica disgiuntiva della realtà (o – o, o sto con una parte o sto con l’altra parte), reitera l’ipocrita e noto meccanismo del distanziarsi.

    «I professori di morale» oggi, dopo il 7 ottobre, non sono più niente.

    Lo dimostra l’abusato florilegio di congiunzioni negative. «Né con Hamas, né con Israele, né con chi uccide, ma con la Palestina», è l’insensata formula. Quasi che i militanti di Hamas provenissero da una galassia lontana e non godessero, come detto, dell’appoggio consistente del popolo palestinese.

    Lo imparino nella sinistra legalitaria: Allāhu akbar non è il grido di battaglia dei terroristi. È un richiamo consapevole all’inconsistenza del reale e delle nostre pietose ossessioni.

    La Rivoluzione Palestinese è solo iniziata il 7 ottobre.

    È una cesura col passato meravigliosamente e tragicamente irreversibile.

    Le donne e gli uomini della Comune invadono il cielo.

    https://www.osservatoriorepressione.info/la-rivoluzione-palestinese-del-7-ottobre
    #7_octobre_2023 #révolution_palestinienne #révolution #survivre #sousvivre #soumission #oppression #Gaza #totalitarisme_libéral #violence #brutalité #révolte #morale_libérale #subversion #France #Allemagne #Italie #peur #propagande

  • Communalisme au Rojava : réalité ou propagande ?
    https://ricochets.cc/Communalisme-Rojava-vaour-syrie-kurde-occalan-PKK-Reseau_Ecologie_Sociale_

    Compte rendu de l’Intervention de Salwa, syrienne, sur l’actualité du Rojava et l’effectivité ou non de la démocratie horizontale, lors des 5e Rencontres d´écologie sociale et communalisme les 30 septembre et 1er octobre 2023 à Vaour, Tarn, organisées par le Réseau d´Ecologie Sociale et Communalisme. ** L`intervention a consisté en une présentation de points d’histoire, de context géopolitique, social et idéologique, pouvant jeter le doute sur (...) #Les_Articles

    / Révoltes, insurrections, débordements..., Révolution , #Guerres, #Féminisme, #International

    #Révoltes,_insurrections,_débordements... #Révolution_

  • La #révolution et le #djihad. #Syrie, #France, #Belgique

    Après le soulèvement de la population syrienne contre la dictature de #Bachar_al-Assad en 2011, sa répression sanglante a conduit nombre de révolutionnaires à s’engager dans la #lutte_armée. L’intervention de groupes se réclamant de l’#islam_politique et les ingérences étrangères ont ensuite rendu le #conflit singulièrement opaque. Jusqu’à l’émergence en 2014 de l’#État_islamique, qui a fait de la #religion le noyau d’une #politique_de_la_terreur. Ce qui a conduit une petite minorité dévoyée des jeunes Européens ayant rejoint la révolution à perpétrer, en France et en Belgique, de terribles #attentats-suicides en 2015 et 2016.
    Pour tenter d’éclairer ces enchaînements tragiques, les interprétations idéologiques centrées sur la « #radicalisation » de l’islam politique ont trop souvent prévalu. D’où l’importance de ce livre, qui s’appuie à l’inverse sur les #témoignages des acteurs – ; révolutionnaires syriens et « #migrants_du_djihad » – ; recueillis par l’auteur entre 2015 et 2023 au Moyen-Orient et en Europe. On y découvrira comment des gens ordinaires ont vécu leurs #engagements, marqués par le dépassement des organisations partisanes et le rapprochement improbable entre islamistes et gauches. Ces témoignages mettent en récit le sens de leurs actions, de la mobilisation pacifique initiale à la guerre révolutionnaire. Ils éclairent le rôle du #symbolisme_religieux dans la #révolution_syrienne et dans les motivations des quelque 2 500 jeunes Français et Belges issus de l’#immigration_postcoloniale, nouveaux « internationalistes » l’ayant rejointe à la faveur des #printemps_arabes. Au total, un regard sans équivalent sur la confrontation singulière, dans la lutte contre la #dictature, de deux forces utopiques antagoniques, celle positive de soutien à la cause révolutionnaire, et celle négative animant le #fascisme d’un #Etat_théocratique.

    https://www.editionsladecouverte.fr/la_revolution_et_le_djihad-9782348078316
    #livre #internationnalisme

    • La mosaïque éclatée ; une histoire du mouvement national palestinien (coédition Institut des Etudes Palestiniennes), Nicolas Dot-Pouillard, Actes Sud, 256pp, 2016.


      https://www.actes-sud.fr/node/56808

      Les accords d’Oslo signés par Arafat et Rabin en septembre 1993 constituent un tournant décisif dans l’histoire du mouvement national palestinien : l’OLP s’installe en Cisjordanie et dans la bande de Gaza. Or ces accords laissent en suspens toutes les questions de fond (l’avenir de Jérusalem, le droit au retour des réfugiés, les frontières du futur État palestinien, etc.), et les gouvernements israéliens successifs ne vont pas manquer d’en tirer profit pour accélérer la judaïsation de Jérusalem et la colonisation de la Cisjordanie.

      Dès lors, le mouvement national palestinien se divise sur la faisabilité de l’option dite des deux États, mais aussi sur le bilan de l’Autorité nationale, la restructuration de l’OLP, les formes de résistance, armée ou non violente, et les alliances régionales à établir, avec l’Iran ou avec les pays du Golfe. Il connaît en conséquence bien des recompositions idéologiques, entre nationalisme et islamisme.

      Nicolas Dot-Pouillard insiste dans ce livre solidement documenté sur les principaux débats stratégiques et tactiques qui agitent la scène politique palestinienne dans sa diversité géographique, éclairant les positions des différentes forces en présence, du Fatah au Hamas, en passant par le Jihad islamique et la gauche.

  • Démocratie, démocratie parlementaire, démocratie communale
    https://www.lutte-ouvriere.org/documents/archives/cercle-leon-trotsky/article/democratie-democratie-6501

    Sommaire

    #1789 : la bourgeoisie prend le pouvoir au nom du peuple, mais veut gouverner sans lui
    Constitution de #1791 : beaucoup d’élections, peu d’électeurs
    La révolution populaire commence dans les communes
    Les sans-culottes imposent la 1ère République.
    Élections à la Convention : un suffrage pas si universel que ça
    L’Assemblée bourgeoise sous la surveillance de la population parisienne
    Le mouvement populaire réprimé, retour au suffrage restreint

    Du 1er au 2nd empire : les fractions bourgeoises se disputent le monopole du pouvoir et ses avantages
    Naissance de l’appareil d’État bourgeois moderne
    La continuité du pouvoir bourgeois
    #Février_1848 : les ouvriers parisiens imposent la république aux républicains bourgeois
    La #république_bourgeoise, dictature sur la classe ouvrière
    Coup d’État de #Louis-Napoléon_Bonaparte : par peur du prolétariat, la bourgeoisie choisit le retour à l’Empire
    #Second_Empire : parlement et suffrage universel sous contrôle
    L’État au service du développement... et des profits capitalistes
    Pillage de l’État, surexploitation des travailleurs

    La démocratie parlementaire construite sur le massacre des Communards
    La #Commune_de_Paris : contre le pouvoir bourgeois, le pouvoir ouvrier
    La commune, structure de base d’un régime vraiment démocratique
    La #république_parlementaire, le régime idéal pour la bourgeoisie
    La bourgeoisie se rallie au #suffrage_universel, mais l’encadre
    3e République, État Français, 4e et 5e Républiques : la continuité de l’appareil d’État bourgeois
    La fabrication des majorités électorales
    Un parlement ligoté...
    ... et toujours sous haute surveillance
    La #bureaucratie d’État aux commandes
    Les gouvernements passent, les hauts fonctionnaires restent
    #Démocratie_bourgeoise : la #corruption permanente
    La #bourgeoisie domine toute la société
    L’État, un instrument aux mains des trusts
    L’information et la culture sous contrôle... ou sous influence
    La dictature des propriétaires des moyens de production
    De la dictature économique à la dictature politique

    La forme normale de la dictature du prolétariat : la démocratie la plus large
    Contre la dictature de la bourgeoisie, la dictature du prolétariat
    Contre la démocratie bourgeoise, la #démocratie_ouvrière
    L’exemple de la #révolution_russe et des #soviets : la démocratie pour les plus larges masses

    Les municipalités, institutions potentiellement les plus démocratiques
    Les communes placées sous le contrôle de l’État
    Le nouveau régime des lois de décentralisation de 1982
    Un marché très profitable pour les trusts
    Un mode de scrutin qui défavorise les minorités
    Le contrôle des #préfets, modifié, a été maintenu
    #Décentralisation, mais pas démocratisation
    Des possibilités d’intervention de la population
    Quand le PS et le PC se servaient des municipalités comme tribunes
    Mesurer la pénétration de nos idées dans la #classe_ouvrière
    Notre objectif : que la population résolve elle-même ses problèmes
    Un exemple : l’éducation scolaire de base des enfants des quartiers populaires
    Pour que ce soit la population qui commande, décide et exécute ses décisions

  • Power and progress : ou pourquoi innovation et prospérité ne riment jamais vraiment
    https://seenthis.net/messages/1016604

    Livre sans doute intéressant. #merci @biggrizzly

    commentaire :

    L’absence de liaison entre progrès technologique et progrès social fait partie des débats et du travail scientifique depuis « La Situation de la classe ouvrière en Angleterre en 1844 » de Friedrich Engels. Ensuite il y a les études sur la croissance capitaliste de Rosa Luxemburg et « L’Impérialisme, stade suprême du capitalisme » de Lénine pour ne mentionner que les oeuvres classiques écrite par les critiques de l’industralisation de gauche.

    Si les auteurs Acemoglu et Johnson ont écrit leur livre avec l’intention de contribuer au combat pour l’abolition des élites qui dirigent et profitent systématiquement des avancées technologiques, c’est sans doute un livre important. Sans une analyse de ce type ce n’est qu’une paroi rocheuse à dynamiter pour en ramasser les blocs d’information nécessaires pour la construction de notre monde à nous.

    Les remarques sur le sort des paysans en URSS dans l’article référencé font croire qu’on n’échappera pas au boulot de tailleur de pierre.

    Description:
    A thousand years of history and contemporary evidence make one thing clear. Progress depends on the choices we make about technology. New ways of organizing production and communication can either serve the narrow interests of an elite or become the foundation for widespread prosperity.

    The wealth generated by technological improvements in agriculture during the European Middle Ages was captured by the nobility and used to build grand cathedrals while peasants remained on the edge of starvation. The first hundred years of industrialization in England delivered stagnant incomes for working people. And throughout the world today, digital technologies and artificial intelligence undermine jobs and democracy through excessive automation, massive data collection, and intrusive surveillance.

    It doesn’t have to be this way. Power and Progress demonstrates that the path of technology was once—and may again be—brought under control. The tremendous computing advances of the last half century can become empowering and democratizing tools, but not if all major decisions remain in the hands of a few hubristic tech leaders.

    With their breakthrough economic theory and manifesto for a better society, Acemoglu and Johnson provide the vision needed to reshape how we innovate and who really gains from technological advances.

    Author(s): Daron Acemoglu; Simon Johnson; Publisher: Hachette Book Group, Year: 2023; ISBN: 2022059230,9781541702530,9781541702554

    Le texte publicitaire de l’éditeur en dit long sur l’ a priori des auteurs : L’expression « choices we make about technology » est du bullshit libéral. Sous les régimes capitalistes « nous », c’est à dire la société, ne prenons pas de décisions essentielles par rapport au technologies. Dans le meilleur des cas « nous » entrons en négatiations avec les élites au pouvoir dans leurs folle course vers des offensives de plus en plus meurtrières.

    #exploitation #travail #technologie #progrès #manifest_destiny #exceptionnalisme_américain #numérisation #révolution_industrielle #capitalisme #destinée_manifeste

  • Power and progress : ou pourquoi innovation et prospérité ne riment jamais vraiment
    https://maisouvaleweb.fr/power-and-progress-ou-pourquoi-innovation-et-prosperite-ne-riment-jama

    Les données connues sur le temps de travail sont à ce titre édifiantes : alors que les chasseurs-cueilleurs vivaient en moyenne de 21 à 37 ans, et travaillaient 5 heures par jour, les paysans au moyen-âge travaillent 10 heures par jour, et leur espérance de vie atteint 19 ans seulement. Ils sont plus petits, moins bien nourris, vivent dans des sociétés encore plus patriarcales.

  • Conférence Mondiale de la Jeunesse, pour un internationalisme révolutionnaire !
    https://ricochets.cc/Conference-Mondiale-de-la-Jeunesse-pour-un-internationalisme-revolutionnai

    Appel à entrer dans le réseau internationaliste et révolutionnaire La Jeunesse Écrit l’Histoire lors de la conférence du 3-4-5 novembre 2023 à Paris #Les_Articles

    / Révolution

    #Révolution_
    https://youthwritinghistory.com/en/welcome

  • Italie, septembre 1920 : l’occupation des usines
    https://www.lutte-ouvriere.org/publications/brochures/italie-septembre-1920-loccupation-des-usines-159715.html

    Ce texte est la traduction d’une brochure éditée en Italie en septembre 2020 par le groupe l’Internazionale (Union communiste internationaliste)

    SOMMAIRE

    Le mouvement socialiste
    – La diffusion des idées socialistes
    – Le #socialisme en #Italie

    La #guerre et la crise de la #Deuxième_Internationale
    – La guerre et les socialistes
    – Un coup totalement inattendu  ?

    La ville de l’industrie et de la lutte des classes
    #Turin, ville ouvrière d’avant-garde

    Le développement des luttes et des organisations ouvrières
    – La croissance des #syndicats et du #Parti_socialiste après la guerre
    – Vers l’occupation des usines
    – Trois faits importants

    L’occupation des usines
    – Le début
    – Les travailleurs s’organisent
    – Les dirigeants réformistes retrouvent l’initiative
    – La révolution mise aux voix
    – Vers la fin

    Les prémisses de la révolution
    – Les conditions d’une #révolution_prolétarienne étaient-elles réunies  ?
    – Une crise profonde
    – Que signifie qu’il manquait un #parti_révolutionnaire  ?
    – Ce qui manqua concrètement
    – La révolution, il faut «  la vouloir faire  »

  • Poutine et le nationalisme grand russe, Denis Paillard
    http://alencontre.org/europe/russie/poutine-et-le-nationalisme-grand-russe.html

    L’invasion de l’Ukraine par les armées russes marque la volonté de Vladimir Poutine de rétablir la “Grande Russie” dont le noyau historique dur réunirait les Russes, les Biélorusses et les Ukrainiens. Sur ce plan il est pleinement l’héritier d’une longue tradition qui va de l’Empire tsariste à la #Russie d’aujourd’hui, en passant par Staline et les dirigeants de l’URSS après la mort de Staline : autocratie et #nationalisme_grand_russe ont toujours été présents, certes sur différents modes.

    Le discours de Vladimir Poutine sur l’#Ukraine s’inscrit dans cet héritage impérial : l’unité de la Grande Russie a été cassée lors de la révolution de 1917. Dans sa déclaration du 22 février 2022 (précédant de deux jours l’invasion), il explique que l’Ukraine en tant que république est une conséquence désastreuse de la politique suivie par Lénine après la #révolution_de_1917 (...)

  • « L’affaire Médine illustre la dérive constante d’une certaine gauche face à l’antisémitisme en France », Sébastien Ledoux

    Voici donc que l’un des principaux partis politiques de gauche, Europe Ecologie-Les Verts (EELV), vient d’accueillir dans son université d’été au Havre (Seine-Maritime) le chanteur Médine, qui s’est illustré récemment par des propos tenus dans un tweet plus que douteux concernant l’essayiste Rachel Khan, « ResKHANpée » – allusion à la déportation de ses grands-parents juifs dans les camps, pendant la seconde guerre mondiale. Dans la pratique abjecte des jeux de mots à partir d’un nom renvoyant à la mémoire de la Shoah, on pense évidemment au « Durafour crématoire » que l’ancien président du Front national, Jean-Marie Le Pen, avait lancé en 1988. Car celui de Médine, quoi qu’il en dise [le rappeur a justifié ses propos en plaidant la « maladresse »], se situe bien précisément dans cet héritage idéologique.

    La politique est faite de symboles, et celui-là est désastreux : il illustre la dérive constante d’une certaine gauche face à l’antisémitisme en France, le parti La France insoumise (LFI) ayant également soutenu le chanteur Médine à la suite de la polémique créée par ce tweet.

    Depuis les années 1980 et la place prise par la Shoah dans la société française (politiques mémorielles, enseignement, musées mémoriaux, productions audiovisuelles, littérature), le discours antisémite s’est notamment exprimé à travers des allusions à la Shoah. Il visait soit à en remettre en question l’existence (négationnisme, conspirationnisme), soit à en relativiser l’importance, soit à en dénoncer l’omniprésence de la mémoire et l’occultation d’autres mémoires comme celle de l’esclavage colonial, soit à en tourner en dérision les victimes et leurs descendants.

    Dieudonné, que Médine a soutenu pendant des années, en a aggloméré les différentes formes depuis les années 2000 entre formulations abjectes (« Shoananas »), l’invitation du négationniste Faurisson lors d’un spectacle, la dénonciation d’un « lobby juif » qui imposerait la mémoire de la Shoah et empêcherait toute production audiovisuelle sur l’esclavage colonial (lors d’une conférence de presse tenue à Alger en 2005, par exemple). La popularité de Dieudonné et de ses arguments conduit à mener un combat de formation et d’éducation contre l’antisémitisme, auprès de la jeunesse, qui engage tout représentant politique responsable.
    Au tournant des années 1980-1990, la mémoire de la Shoah a eu pour fonction, dans le langage et les pratiques du personnel politique français, de conduire à une prise de position salutaire face à l’extrême droite du Front national, dont la forte mobilisation à la suite de la profanation du cimetière juif de Carpentras, en 1990, a constitué un jalon important.

    Si cette mémoire ne doit pas constituer une forme de sacralité et que ses pratiques doivent être questionnées – je pense ici en particulier à la transmission scolaire de la Shoah –, il est indéniable que cette mémoire est aussi régulièrement utilisée pour dénigrer les juifs, nourrissant un imaginaire antisémite au sein de la population. Or nous ne parlons pas seulement, en 2023, d’imaginaire antisémite : l’antisémitisme tue régulièrement en France. Il tue Ilan Halimi en 2006 dans des conditions atroces, à Bagneux (Hauts-de-Seine), il tue trois enfants âgés de 3, 5 et 8 ans et un parent d’élève de l’école Ozar Hatorah, à Toulouse, le 19 mars 2012, il tue quatre personnes dans l’Hyper Cacher de la porte de Vincennes (Paris 20e), le 9 janvier 2015.

    Défaire les stéréotypes

    Ces crimes antisémites caractérisés commis par des Français ne sont pas l’œuvre de néonazis d’extrême droite, mais de personnes provenant de quartiers populaires issus de l’immigration, réalisés pour ceux de 2012 et 2015, au nom de l’islam, dans une instrumentalisation de la religion musulmane. Il ne s’agit surtout pas de généraliser ces faits en caractérisant comme antisémite l’ensemble d’une population (les « jeunes de banlieue », les « musulmans », etc.). Il s’agit de prendre acte de ces crimes antisémites, d’identifier la construction des imaginaires dont ils découlent comme de leur circulation par des discours, des allusions, des jeux de mots, entre autres sur les réseaux sociaux, et de mener un travail sans relâche pour défaire les stéréotypes antisémites partout où ils s’expriment, y compris (mais pas davantage) dans les populations socialement défavorisées, issues de l’immigration de confession ou de culture musulmane.

    Parce que #Médine représenterait la parole d’une certaine jeunesse française des quartiers populaires qui lutte contre des discriminations raciales, il est soutenu par plusieurs représentants de LFI et EELV [et du PCF], qui portent ainsi la responsabilité d’une grave confusion, là où les enseignants s’attachent chaque jour à éclairer et à éduquer leurs élèves en posant des limites sur ce qui peut être dit ou ne pas être dit dans le cadre de la lutte contre l’antisémitisme et le racisme. Outre son abjection morale, le jeu de mots de Médine marque une transgression verbale récurrente qui participe depuis des années d’un antisémitisme ambiant dont les juifs sont victimes en France.

    La lutte contre l’antisémitisme, contre le racisme, contre l’islamophobie, ne peut se mener dans cette confusion de la pensée où il s’agirait d’excuser une transgression du fait de l’appartenance ethnoreligieuse de l’auteur de celle-ci à un groupe discriminé.

    Le grand historien de la Grèce antique Jean-Pierre Vernant, ancien résistant communiste, qui avait beaucoup travaillé sur l’importance de la commensalité dans la civilisation grecque, avait cette formule forte pour exprimer la ligne claire à adopter dans une démocratie, face aux tenants de discours d’extrême droite relativisant les crimes nazis : « Je suis prêt à expérimenter tous les plats qu’on voudra, même les plus étrangers à mon goût et à mon régime. Mais on ne discute pas recettes de cuisine avec des anthropophages. Je ne souhaite ni partager leur repas ni les inviter à ma table. Le débat, l’échange des idées comme celui de la nourriture obéissent à des règles. »

    Sébastien Ledoux est historien, maître de conférences à l’université d’Amiens, formateur sur les questions de racisme et d’antisémitisme, auteur du Devoir de mémoire. Une formule et son histoire (CNRS Editions, 2016).

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/08/25/l-affaire-medine-illustre-la-derive-constante-d-une-certaine-gauche-face-a-l

    "Je lutte contre l’antisémitisme depuis vingt ans", Médine, 23 août 2023, Paris Normandie.
    https://seenthis.net/messages/1014151

    #gauche #unité_de_la_gauche #antisémitisme #socialisme_des_imbéciles

    • élargissant le boulevard offert à diverses droites antisémites (ou « centristes ») qui ont beau jeu de se présenter en parangons de vertu, tu renvoies à un des multiples articles « de gauche » qui déroulent le tapis rouge (brun) pour Médine depuis des mois. stupides calculs de basse politique, inattention caractérisée et surdité volontaire, mensonges partout. il serait temps d’enquêter plutôt que de se prononcer de manière purement grégaire ou campiste. je suggère donc de lire ce qui suit où il s’agit des paroles de chansons et des propos d’un type qui vient encore de mentir (lui, lutter depuis 20 ans contre l’antisémitisme ? #wtf) avec l’assentiment des falsificateurs degauche https://seenthis.net/messages/1014151#message1014193

      #dieudonno_soralisme

    • Les partis politiques – notamment, LFI, EELV - sont déjà obligés de gérer la communication plus ou moins cohérente de leurs propres membres, sur les réseaux sociaux. En plus de cela, ils doivent aussi endosser les propos de certaines personnalités du monde du spectacle, chargées d’assurer à la fois leur propre com ainsi que celle du parti.

      LFI, en particulier, a recours à cette forme de pratique : s’afficher au côté d’icônes de la culture populaire en espérant rafler la mise électorale de la cohabitation. Le PS s’y prend tout autrement, parce qu’il ne s’agit pas de la même part de marché électoral : il joue à l’aide de son ancrage municipal (il ne lui reste plus que ça) sur la gentrification, les loisirs, la culture, le bio, l’ouverture « sociétale », etc.

      Pour LFI s’il est vital, semble-t-il, de brandir cette forme de compagnonnage culturel « populaire », le jeu s’avère parfois délicat car l’icône s’avère être plus ou moins contrôlable. Le discours de la vedette n’est pas toujours celui qu’on souhaite faire passer. On se raccroche alors comme on peut aux branches pour que l’argumentaire tienne la route.

      Suite à la provocation méprisante et raciste d’une personnalité proche des sphères du pouvoir visant Médine, ce dernier a fourni une réponse qui me semble, sans guère d’ambiguïté, racistes et antisémites. LFI a décidé de maintenir le cap derrière son icône alors que (si j’ai bien compris) une partie d’EELV s’en dissocie.

      À la limite, peut importe la position : que ce soit pour marquer sa différence ou pour s’en différencier, ce qui compte c’est qu’on en parle. Ça peut paraître cynique, mais c’est la logique fondamentale de la com. Une fois qu’on est engagé, il est difficile de s’en dégager. Et c’est parfois dans la douleur, en tordant plus ou moins la réalité, comme semble le faire actuellement LFI, pour convaincre que Médine est un gars vraiment tout à fait sympathique.

      Ce qui pose problème, au-delà de ces péripéties stratégiques douteuses d’appareils politique, c’est le fait que les sous-entendus ou les propos ouvertement antisémites (passés) de Médine soient populaires.

      Et là, force est de reconnaître qu’on arrive en terrain glissant. Alors essayons de rester factuel.

      Je garde en mémoire qu’à 3 ou 4 reprises en 23 ans de boulot dans le service public, j’ai eu à combattre – dans mon milieu professionnel et militant - l’idée que Dieudonné n’était qu’un joyeux drille qui aimait juste provoquer tout le monde et amuser la galerie (par contre, dans ce milieu, personne ne connaissait Soral).

      Pour compléter ce rappel de mémoire, il m’est arrivé d’entendre – toujours dans ce même milieu professionnel - des allusions ou des propos témoignant de préjugés islamophobes, négrophobes, homophobes, transphobe, sexistes, discriminatoires contres les gens du voyages, contre les allocataires du RSA, etc.

      On pourrait, aussi évoquer, les tensions raciales internes entre communautés, elles-mêmes « discriminées », telles que celles observées en milieu professionnel faisant intervenir des Africains, des Antillais, des Maghrébins (eux-mêmes parfois divisés entre Arabes et Kabyles), des Pakistanais, des « Chinois », etc.

      Souvent, ces tensions recoupaient ou se superposaient à des rapports de pouvoir hiérarchique ou de rancune personnelle entre collègues.

      Comme je travaillais dans le service public de proximité, des réflexions stigmatisantes pouvaient aussi venir à la suite de rapports conflictuels avec certains membres de la population. Des personnes exprimaient, parfois des comportements ou des allusions racistes à l’encontre du personnel ou, plus rarement, c’était l’inverse. Bien entendu tout cela n’était jamais affirmé ouvertement, car susceptible de tomber sous le coup de la loi, surtout pour le personnel, mis dans l’obligation de respecter l’égalité de traitement non discriminatoire.

      De telles tensions, dont les ressorts racistes ou discriminants, se déroulaient presque toujours de façon impulsive et rarement argumentée, provenaient parfois de personnes issues de classes populaires, mais ce n’était pas une généralité, loin de là. La plupart du temps, ces personnes ne s’estimaient nullement discriminantes ou racistes.

      Arrêtons-là ce constat, dans lequel il n’y a, malheureusement, rien de bien original.

      Bien entendu, à ce stade du constat, justement, il faut veiller à bien circonscrire les termes de chacune de ces observations et surtout s’abstenir de les généraliser au travers d’un seul prisme d’analyse pour en faire une sorte de réalité sociologique transcendante et absolue.

      Les expressions racistes occasionnelles ne doivent pas masquer le fait que la réalité sociale est beaucoup plus complexe que ce qu’en donne à voir les schémas grossiers des bateleurs racistes de plateau TV, du type Zemmour, qui montent en épingle tel ou tel événement pour s’en servir politiquement.

      Les populations des quartiers vivent aussi en permanence dans l’entente intercommunautaire. Et on éprouve de la honte à devoir le rappeler.

      La rengaine bien connue qui stigmatise uniquement l’antisémitisme « des populations, issues de l’immigration », est elle-même, clairement raciste.

      Ce discours n’est pas seulement le fait de l’extrême droite. Il sort souvent sans crier gare, de la part de n’importe quelle personne, a priori insoupçonnable, dès lors que cette personne déclenche le fonctionnement de cette machine à débiter des théories globalisantes abstraites, à partir de quelques observations médiatiques ou, pire, en s’appuyant sur de soit-disant restitutions de seconde mains, plus ou moins fiables, voire carrément sur des rumeurs. Et à partir du moment où la machine à débiter du concept globalisant est lancée, il devient difficile de l’arrêter. En tous cas, moi, je n’y arrive pas, malgré tous mes efforts. C’est pourquoi les « débats » de ce type sont généralement, non seulement déprimant car en-dehors même de la logique du débat, mais s’avèrent totalement improductifs, si ce n’est à relancer avec encore plus d’entrain la prochaine séquence de machine à globaliser du concept et à reproduire à l’infini la machinerie infernale.

      Il faut surtout rappeler que les idéologie racistes et discriminantes, quelles qu’elles soient, loin de représenter une particularité des quartiers populaires, sont les produits de toute l’organisation sociale existante, elle-même étant entièrement déterminée par l’économie capitaliste, à laquelle personne n’échappe. Dans une société en crise, basée sur la concurrence, la surenchère idéologique raciste et discriminante fait rage.

      L’éducation semble être l’approche la plus appropriée pour favoriser la remise en cause des préjugés racistes. J’ai pourtant les plus grands doutes sur la capacité de l’institution à pouvoir réellement atteindre ce but, notamment en raison de la crise qui la touche de plein fouet. Plus fondamentalement, je ne pense pas que des idéologies toxiques telles que le racisme puissent être révoquées réellement à l’issue d’une démarche morale ou éducative, quelle que soit la valeur des personnes impliquées dans ce travail. Cela, d’autant plus, s’il s’agit d’une démarche provenant d’un institution d’État. Le point de vue matérialiste, évoqué ci-dessus, concernant les conditions de production idéologique, m’incitent fortement à émettre cette opinion. Les échecs cumulés des nombreuses associations antiracistes confirment par les faits que les bonnes intentions ne suffisent pas à combattre les pires préjugés ; et cela encore plus, si elles sont instrumentalisées par des visées politiciennes, comme avec SOS racisme.

      Tout du moins, plutôt que de s’en tenir à une posture critique surplombante qui peut sembler assez insupportable, acceptons humblement de reconnaître que, quelle que soit la nature d’où il provient – instituions, associations, organisations politiques ou syndicales – le travail de terrain des personnes luttant au jour le jour contre le racisme, aussi méritoire, soit-il, est de l’ordre du replâtrage et de l’urgence ; admettons qu’il n’a aucun effet sur la résolution du problème sur le long terme.

      Ce n’est qu’en période de crise que les choses peuvent vraiment changer, lorsque les conditions ordinaires sont nécessairement perturbées parce qu’il devient impossible qu’elles perdurent, lorsque de nouvelles rencontres sociales sont créées par les circonstances inhabituelles, quand de nouveaux brassages humains se constituent… Ce sont dans ces conditions - extraordinaires, au sens propre du terme - que les préjugés idéologiques tels que le racisme peuvent être renversés ou, au contraire, s’amplifier.

      Pendant les luttes sociales, des moments de solidarités actives permettent justement de rompre concrètement, par les pratiques, nombre de préjugés, qui semblaient pourtant solidement implantés dans l’esprit des personnes. Ce n’est qu’une simple constatation personnelle empirique, vérifiée encore pendant les blocages des camions ordures de l’hiver dernier. La plupart des récits ou de retour d’expériences de révoltes ou de révolutions historique décrivent également l’extraordinaire sensation de remise en cause fondamentale et d’émancipation des rapports humains, ressentis à ces moments-là.

      Mais comme je l’ai déjà indiqué, l’histoire a montré que les crises pouvaient aussi accoucher du pire.

      Je me garderais bien de prédire si la prochaine poussée de crise sociale engendrera une telle remise en cause des préjugés racistes ou si ce sera l’inverse.

    • #AFA, #Révolution_permanente, #LFI, #PCF, #EELV (l’acclamation debout de M. au Havre fait écho à une tolérance de longue durée de l’antisémitisme en leur sein), à l’exception de la gauche de droite PS, une très large unité de la gauche vient de se réaliser dans la défense de l’antisémite Médine.

      est-il incontrôlable ? l’avenir le dira. lorsque, tout à la joie de s’être enfin refait une virginité grâce aux attaques de droite et, surtout, à l’appui de la gauche, il est possible qu’il se risque à mentir de nouveau ouvertement ("je lutte contre l’antisémitisme depuis 20 ans", mais berdol, commentent-on ne pas voir...), il s’agisse d’une promesse qu’il se fait à lui même pour les temps à venir.

      au passage, le silence « contraint » des alliés redouble une démonstration : ni pensée critique, ni attention au texte, ni vérité. l’unité de la gauche est de la même eau que ce dont relevait le socialisme réel, l’eau tiède (perso, je le trouve glaçante) où se complait cette gauche, c’est le mensonge déconcertant. façon farce cette fois (≠Ciliga), aussi sinistre soit-elle.

      pas la peine de se rassurer à bon compte. il ne s’agit pas exclusivement de la gauche des appareils et de leur logique de com, pas la peine de renvoyer simplement à la direction de LFi ou de EELV ces calculs, à de rares exception près, personne à gauche ne dit rien ni ne veut savoir quoi que ce soit des écrits et propos de M. de 2017 à 2022, et par là d’un style de pensée et d’expression dont les pénibles effets ne se limitent pas à l’antisémitisme. je les ai partiellement documenté ici (désintérêt manifeste) signalé ailleurs (désabonnements). on préfère une molle doxa toxique « on est tous frères » (musulmans ?).

  • Kropotkine - 1789-1793 : La Grande révolution
    https://www.partage-noir.fr/kropotkine-1789-1793-la-grande-revolution

    On a peine à évaluer l’apport de Kropotkine à la connaissance de la Grande Révolution. Comment un spé­cialiste de sciences naturelles et de géo­graphie, militant politique par ailleurs, et russe de surcroît aurait trouvé le temps et la capacité d’étudier la princi­pale révolution française ? Pourtant les faits sont là, La Grande Révolution est un ouvrage essentiel, salué à sa sor­tie en 1909 et qui reste largement vala­ble. Itinéraire - Une vie, une pensée n°3 : « Kropotkine »

    / #Pierre_Kropotkine, Révolution Française (1789)

    #Itinéraire_-_Une_vie,une_pensée_n°3:« _Kropotkine » #Révolution_Française_1789_
    https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k82693k/f2.item
    https://cartoliste.ficedl.info/article917.html
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/itineraire_kropotkine2.pdf

  • Manif(s) à République : Adama non grata et alors ? | Libé | 08.07.23

    https://www.liberation.fr/societe/au-rassemblement-interdit-pour-adama-traore-on-voudrait-nous-empecher-de-

    Reportage. Note : malins les #Révolution_Permanente, c’est du #manifjacking - ou de la #convergence_des_luttes bien menée.

    Au rassemblement interdit pour Adama Traoré : « On voudrait nous empêcher de marcher ? C’est non ». Malgré la décision de la préfecture de Paris, la marche contre les violences policières a bien eu lieu place de la République. Les manifestants, venus de banlieue comme de la capitale, dénoncent une « censure injustifiée ».


    « Ils ne veulent pas entendre nos morts. Mais on va avoir le dernier mot », clame Assa Traoré, place de la République, aux alentours de 15 heures ce samedi. Une marche en l’honneur d’Adama, son frère, décédé à la gendarmerie de Persan après une interpellation en 2016, était initialement prévue dans le Val-d’Oise, avant d’être interdite par la préfecture du département, une interdiction confirmée par la justice administrative vendredi, dans le sillage des émeutes liées à la mort de Nahel M., tué par un policier à Nanterre le 27 juin. En guise de contre-attaque, la militante a publié, vendredi soir, des vidéos sur les réseaux sociaux appelant à un rassemblement sur la place parisienne, elle aussi interdite par les autorités ce samedi matin. Mais cela n’a pas empêché l’événement de se dérouler, et la foule - 2 000 personnes selon l’AFP - de dénoncer les violences policières (les « Acab ! Acab ! » et « Tout le monde déteste la police ! » fusant allégrement). Des « marches citoyennes » contre les violences policières se tenaient en même temps dans plusieurs autres villes de France.

    « Ils verbalisent ceux qui portent des t-shirts Adama. S’attaquer au symbole de notre lutte est une honte », dénonce Assa Traoré. Depuis le début de l’après-midi, gendarmes et policiers traquent les profils susceptibles de participer au rassemblement illégal. C’est le cas d’Issa, vêtu d’un haut « Justice pour Adama ». A peine arrivé, il se voit infliger une amende de 135 euros. Mais cet habitué des marches en mémoire d’Adama ne se laisse pas démonter, il traîne encore un peu. Puis, nouveau contrôle : « Soit vous restez sur place et vous êtes à nouveau verbalisés, soit vous quittez les lieux. » « Mes nerfs sont tendus, peste l’intéressé, retranché dans les sous-sols du métro. Je reviendrai quand il y aura plus de monde. » Philomène, Lisa et Noah, venus au nom de Révolution permanente, ont quant à eux rodé leur stratagème. On leur intime de partir ? « Nous sommes aussi là pour soutenir la Palestine et l’Ukraine », rétorquent-ils, en référence aux deux autres rassemblements prévus, et autorisés, place de la République. Elles ont l’autorisation de rester.

    Pour « la liberté de la démocratie »

    Lorsque les contestataires affluent en masse, les forces de l’ordre réduisent les contrôles. Assa Traoré, postée sur la fontaine, déplore une « liberté de la démocratie » absente et s’oppose à « la police raciste ». A ses côtés, des élus insoumis, parmi lesquels les députés Eric Coquerel, Mathilde Panot ou Louis Boyard. A 15 h 20, la militante du Comité Adama embarque tout le monde le long du boulevard Magenta.

    Certains chantent, d’autres tapent des mains. Sadia, animateur socioculturel venu de Pierrefitte-sur-Seine (Seine-Saint-Denis), est ici pour ses enfants : « J’ai vécu des violences policières, mon aîné de 22 ans aussi, mes gosses de 5 et 7 ans vont en vivre… Et on voudrait nous empêcher de marcher ? C’est non. Je serais venu dans le Val-d’Oise si j’avais pu, et je suis là aujourd’hui. » Un peu plus loin, Juliette et Denis, deux voisins du quartier de Belleville, n’avaient pas envisagé de se rendre à Persan. « Là, on était obligés de venir. C’était important pour nous, deux « mines pâles », de montrer qu’on dénonce toute cette censure injustifiée », sourit Juliette.

    En haut du boulevard Magenta, le cortège s’arrête, bloqué par une lignée de CRS. Assa Traoré grimpe sur un abribus et, armée d’un haut-parleur, annonce la fin de la marche : « Vous avez eu le dernier mot, on a marché pour la liberté. » Applaudissements dans tous les sens. Escortée par une dizaine de personnes, elle file ensuite en vitesse. Des CRS la suivent. « Des élus autour d’elle, vite », demande Eric Coquerel, son écharpe tricolore en évidence. Elle est alors récupérée par un scooter. Ouf de soulagement dans son staff. Une procédure judiciaire a été engagée à son encontre pour organisation d’« une manifestation non déclarée ». Son frère, Youssouf Traoré, a quant à lui été interpellé pour « violence sur personne dépositaire de l’autorité publique ».

  • Veira Da Silva

    https://vimeo.com/536895887


    Dans l’intimité d’un peintre d’aujourd’hui
    Film de Max-Pol Fouchet - réalisation Gérard Pignol 1977

    à 45:48 Apropos du tableau « Les couteaux » Veira Da Silva : là ce sont les armes qui se battent en duel … Je l’ai rêvé souvent Pourquoi ils ne mettent pas les armes les unes contre les autres dans un désert …


    Image :
    Le Désastre
    Information sur l’artiste
    Maria Helena Vieira da Silva (Lisbonne, 1908- Paris, 1992)
    Date de l’œuvre
    1942

    –—


    25 abril 1974, La poésie est dans la rue

    #Portugal #peinture #peintresse #révolution_des_œillets #Lisbonne #télévision

    Petit #shameless_autopromo depuis un Joomla hacké récupération et nettoyage des données pour un #SPIP4.2.3 Le site a ainsi été remonté en deux jours https://maxpolfouchet.com merci #SPIP !

    J’en profite pour faire l’annonce de la projection du 1er juillet à Vézelay, qui célébrera la naissance de Max-Pol Fouchet il y a 110 ans

  • Drapeaux de l’Armée révolutionnaire insurrectionnelle makhnoviste, 1919-1921
    https://www.partage-noir.fr/drapeaux-de-l-armee-revolutionnaire-insurrectionnelle

    Un prétendu drapeau de l’armée de #Nestor_Makhno porte, encadrant une tête de mort, le slogan en ukrainien Mort à tous ceux qui barrent la route à la liberté des travailleurs. Sa photo paraît en 1926 dans un ouvrage publié à Moscou : Zel’man Ostrovskii, Evreiskie pogromy, 1918-1921. Celui-ci dénonce les pogroms survenus en #Ukraine pendant la guerre civile, qui ont fait quelque 50 000 morts, et les attribue aux ennemis des bolcheviques, notamment aux régiments makhnovistes. Makhno lui-même y a répondu par plusieurs articles dans Le Libertaire et Dielo Trouda, démentant les accusations d’antisémitisme au sein de ses partisans, sans nier les exactions de certains compagnons. #Bulletin_du_CIRA_79_-_Printemps_2023

    / Nestor Makhno, [Source : Centre international de recherches sur l’anarchisme (CIRA) de (...)

    #[Source :_Centre_international_de_recherches_sur_l’anarchisme_CIRA_de_Lausanne] #Révolution_russe_1917-1921_
    https://anarchiststudies.noblogs.org/post/2022/06/30/death-to-all-who-stand-in-the-way-of-freedom-for-the-worki
    https://www.cira.ch/media/bulletins/cira-bull-071.pdf
    https://makhno.home.blog/2023/05/12/faux-drapeau
    https://makhno.home.blog
    https://fr.theanarchistlibrary.org/library/makhno-nestor-la-lutte-contre-l-etat-et-autres-ecrits#toc6
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/pages_de_cira-bull-079.pdf

  • Lucía Sánchez Saornil, 1895-1970
    https://www.partage-noir.fr/lucia-sanchez-saornil-1895-1970-1395

    De la militance anarchiste au féminisme, de l’exil à la clandestinité, d’après Guillaume Goutte. #Les_brochures_du_« groupe_de_lectures »_du_CIRA

    / #Lucía_Sánchez_Saornil , [Source : Centre international de recherches sur l’anarchisme (CIRA) de Lausanne], #CNT, Révolution espagnole (1936-1939), #Espagne

    #[Source :_Centre_international_de_recherches_sur_l’anarchisme_CIRA_de_Lausanne] #Révolution_espagnole_1936-1939_
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/20_gtl_sanchezsaornil-2022_web-2.pdf

  • Les Milices ouvrières catalanes en 1936
    https://www.partage-noir.fr/les-milices-ouvrieres-catalanes-en-1936

    Barcelone, 19 juillet 1936. Comme dans presque toute l’Espagne, la garnison locale se soulève sous la pression des géné­raux putschistes. Cernés dans un dédale de rues et d’avenues héris­sées de barricades, les artilleurs catalans, parfois trompés sur les objectifs réels du Prononciamen­to nationaliste, ne tardent pas à perdre toute cohésion. Fils du peuple, mêlés aux militants syn­dicalistes, ils deviendront l’épine dorsale de l’artillerie des milices ouvrières de l’été 1936. #Gavroche_n°85_-_Janvier-Février_1996

    / Révolution espagnole (1936-1939), [Source : Fragments d’Histoire de la gauche radicale], #Gavroche_-_Revue_d'histoire_populaire, (...)

    #Révolution_espagnole_1936-1939_ #[Source :_Fragments_d’Histoire_de_la_gauche_radicale] #CNT
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/gavroche-n085.pdf

  • ★ De l’autocratie tsariste à la dictature bolchevique - PARTAGE NOIR

    Le 16 janvier 1905, les ouvriers des usines Poutilov cessent le travail pour protester contre le renvoi de quatre des leurs. La grève s’étend rapidement à toutes les usines de la région. Le pope Gapone qui dispose d’une grande influence suggère que la foule porte au tsar une pétition comportant une série de revendications politiques et sociales. Le dimanche 22 janvier, un cortège de 150 000 personnes, hommes, femmes et enfants arborant des icônes et chantant des cantiques, se dirige vers le palais d’Hiver. Nicolas II n’est même pas dans son palais. Il est resté dans sa résidence de Tsarkoïe Selo aux environs de Saint Pétersbourg. La foule est accueillie par la fusillade des cosaques. Un millier de personnes sont tuées, plusieurs milliers blessées. Les manifestants se dispersent tant bien que mal dans une gigantesque panique. A la suite de ces événements restés tristement célèbres sous le nom de « dimanche rouge » de Saint Pétersbourg, la vénération traditionnelle envers le tsar Père du Peuple » est brisée. L’autocratie déconsidérée ne se remettra pas de ce choc. Le phénomène révolutionnaire ne cessera de s’étendre jusqu’au coup fatal de 1917 (...)

    #Kropotkine #Bakounine #Makhno #Anarchisme
    #Russie #tsarisme #Révolution_russe #bolchevisme #marxisme #dictature #répression #Lénine #Trotsky #Tchéka...

    ★ via @partagenoir

    ⏩ Lire l’article complet…

    ▶️ https://www.partage-noir.fr/de-l-autocratie-tsariste-a-la-dictature-bolchevique

  • Reprenez à votre compte les idées du courant communiste révolutionnaire (Nathalie Arthaud, fête de LO, 15 mai 2016)
    https://journal.lutte-ouvriere.org/2016/05/18/nathalie-arthaud-dimanche-15-mai-rejoignez-nous-dans-le-comb

    S’approprier l’expérience du mouvement ouvrier

    Crise économique, chômage de masse, guerres, terrorisme, crise des migrants, crise écologique : les dirigeants actuels, qu’ils soient à la tête des multinationales, des grandes banques ou des États, sont non seulement incapables d’apporter quelque solution que ce soit mais, pire, ils poussent l’humanité entière vers le précipice.

    Les capitalistes qui dominent l’économie la mènent dans le mur. Comme les milliards qu’ils extraient de la production et de l’exploitation des travailleurs ne leur suffisent pas, ils les jouent au casino de la finance. Autrement dit, plus nous travaillons, plus nous faisons d’efforts et de sacrifices, plus la spéculation augmente. Plus nous risquons le krach généralisé. Y a-t-il plus fou que cette économie ? Il ne s’agit pas seulement du sort des travailleurs, il s’agit de l’avenir de toute la société, en particulier de celui qu’elle réserve à la jeunesse.

    Les jeunes des classes populaires sont ballottés de petits boulots en périodes de chômage, de stages non rémunérés en missions d’intérim. Pour espérer un emploi durable et un salaire à peu près correct, tout ce que l’État leur propose est de s’engager dans la police ou l’armée. Autrement dit, ils ont le choix de servir de chair à patron ou de chair à canon !

    Bien sûr, la fraction de la #jeunesse qui fait des études supérieures peut espérer mieux en décrochant un emploi de cadre, d’ingénieur, de médecin ou d’enseignant. Mais le problème est collectif. Le problème, c’est que même ceux qui peuvent tirer leur épingle du jeu le font au milieu d’un océan de misère et d’injustice.

    Alors, aux uns et aux autres, je veux dire qu’il y a un autre avenir. Ne cédez pas au #conformisme ! Exprimez votre révolte ! Depuis plus de deux mois, quelques dizaines de milliers de lycéens et d’étudiants ont exprimé leur #révolte. Une fraction de ces jeunes est en train de se politiser. Elle a découvert les brutalités policières, les manoeuvres du gouvernement, les tergiversations et les retournements des directions syndicales et ce que vaut la #démocratie_bourgeoise.

    À ceux-là j’ai envie de dire : Vous avez envie de changer le monde ? Tirez toutes les leçons politiques de la situation actuelle, attelez-vous à comprendre les mécanismes et les rapports de classe qui régissent la société. Confortez vos convictions en découvrant les luttes passées des opprimés, de Spartacus aux grèves de mai-juin 1936. Enrichissez-vous de l’expérience du #mouvement_ouvrier et des idées de #Marx et #Engels, de #Lénine, de #Rosa_Luxemburg, de #Trotsky.

    Reprenez à votre compte les idées du courant communiste révolutionnaire. Ce capital politique résume les expériences de plus d’un siècle de luttes ouvrières vivantes. Des défaites, des victoires et des révolutions ! C’est ce capital qui permettra demain de renverser le vieux monde et de mettre fin à ses inégalités et à toutes les vieilleries qui vont du racisme à la misogynie, en passant par l’obscurantisme.

    Rejoignez-nous dans le combat révolutionnaire, pour que les générations futures puissent construire une société de justice, de #fraternité, enfin débarrassée des classes sociales et de l’#exploitation !

    #communisme_révolutionnaire #révolution_sociale #marxisme

  • Retraites etc. : des analyses et questions vitales pour la suite du soulèvement
    https://ricochets.cc/Retraites-etc-des-analyses-et-questions-vitales-pour-la-suite-du-souleveme

    A l’approche du 1er mai, voici plusieurs analyses intéressantes de la situation présente, des points de vue importants, à méditer sérieusement pour la suite, pour contribuer à franchir d’autres caps vers la chute du régime et l’ouverture à un avenir désirable. Des analyses sur l’auto-organisation de la lutte (qui reste largement à (re)construire), sur le 1er mai, sur les suites possibles, sur la nécessité de sortir du cadre des institutions et des "partenaires sociaux". Les forces révolutionnaires et « (...) #Les_Articles

    / Révoltes, insurrections, débordements..., Révolution , #Luttes_sociales

    #Révoltes,_insurrections,_débordements... #Révolution_
    https://lundi.am/Vertige-et-momentum-pour-un-1er-mai-revolutionnaire
    https://www.contretemps.eu/mouvement-retraites-auto-organisation-syndicats
    https://lundi.am/Oublier-Macron-5427
    https://rebellyon.info/Communique-du-local-Camarade-Toulouse-ou-24799
    https://paris-luttes.info/appel-a-actions-nous-sommes-tous-16939
    https://rebellyon.info/La-devanture-du-domicile-d-une-deputee-de-24801
    https://www.ouest-france.fr/economie/transports/autoroute/tarn-un-collectif-sabote-une-pelleteuse-sur-le-chantier-de-la-future-au
    https://sansnom.noblogs.org/archives/16369#more-16369
    https://sansnom.noblogs.org/archives/16384
    https://sansnom.noblogs.org/archives/16322
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    https://www.acrimed.org/Repression-BFM-TV-audiences-et-compagnie-revue-de

  • Macron et ses complices, déjà un an ...de trop ! Finissons-en
    https://ricochets.cc/Macron-et-ses-complices-deja-un-an-de-trop-Finissons-en.html

    Après un premier mandat, les macronistes assènent leurs mesures anti-sociales et anti-écologiques depuis déjà un an. C’est beaucoup trop. Impossible d’attendre 100 jours pour les dégager tous. Impossible de se contenter du retrait de la « réforme » retraites. Après les casserolades de ce lundi 24 avril, organisons-nous pour la suite, pour le 1er mai, pour ce que nous allons faire après le 1er mai pour la chute du régime, et pour se préparer à d’autres possibles, où on prendrait nos vies en main, sans le (...) #Les_Articles

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    #Révoltes,_insurrections,_débordements... #Révolution_

  • Lire Lénine en 2023

    https://www.lesbonscaracteres.com/livre/pages-choisies-tome-1

    https://www.lesbonscaracteres.com/livre/pages-choisies-tome-2

    https://www.lesbonscaracteres.com/livre/pages-choisies-tome-3

    Présentation des Pages choisies de Lénine | Les bons caractères
    https://www.lesbonscaracteres.com/article/presentation-des-pages-choisies-de-lenine

    En ce centenaire de la #révolution_russe de 1917, la plupart des commémorations seront le fait de ses adversaires. Nous avons voulu remettre à la disposition du public les écrits de celui qui fut son principal dirigeant, Lénine, sous une forme qui les rende accessibles aux lecteurs d’aujourd’hui. C’est pourquoi nous rééditons ces Pages choisies, traduites, introduites et annotées par Pierre Pascal. Elles ont été publiées entre 1926 et 1929 par la maison d’édition d’un Parti communiste qui, se voulant encore internationaliste dans l’esprit du bolchevisme, ne s’appelait pas encore français.

    Les changements survenus durant le siècle écoulé depuis la révolution russe ne sont pas là où les laudateurs du capitalisme prétendent les voir et ne rendent pas obsolètes l’œuvre et le combat de Lénine.

    Les rapports sociaux n’ont pas changé sur le fond depuis les débuts du capitalisme. La vie d’un prolétaire, en Russie en 1900, en Chine ou même en France aujourd’hui, reste conditionnée par le fait qu’il ne possède rien, qu’il doit vendre sa force de travail, qu’il n’a aucun contrôle sur le produit de son activité, qu’il est à la merci de crises économiques dont il n’est en rien responsable, que sa situation est semblable à celle de millions d’autres autour de lui. L’amélioration temporaire survenue pour une partie des prolétaires dans un petit nombre de pays riches, dont une relative sécurité de l’emploi, est en train de disparaître. Le prolétariat vit toujours dans l’insécurité permanente, comme du temps de Marx, comme du temps de Lénine. Mais, précisément, la similitude des conditions matérielles unit les travailleurs à travers le temps et l’espace. Leurs revendications immédiates se retrouvent ainsi souvent à l’identique, de pays en pays, de génération en génération. Leurs formes de lutte et d’organisation, les obstacles qu’ils rencontrent et jusqu’aux problèmes politiques qu’ils affrontent ont un air de famille. Aussi la lecture de certains textes de Lénine procure un sentiment de familiarité au militant d’aujourd’hui, pourvu qu’il se situe sur le même terrain de classe.

    La mondialisation, dont les pauvres penseurs contemporains rebattent les oreilles d’un patient public, n’a rien non plus pour faire vieillir Lénine. Elle était déjà à l’œuvre de son temps. Quoi de plus mondialisé en effet que la guerre de 1914-1918 ? L’impérialisme, ses fondements, ses conséquences et les possibilités révolutionnaires qui en découlent ont été analysés par Lénine en 1915. Le fait de déceler une issue révolutionnaire dans l’évolution du capitalisme, de voir dans la monstrueuse centralisation des trusts et des États un pas en avant vers le socialisme, de décrire le capitalisme enfantant nécessairement le communisme, met Lénine bien au-dessus de tous les critiques contemporains de la mondialisation, étriqués, protectionnistes, réactionnaires honteux ou avoués.

    Quant aux progrès technologiques de ces dernières décennies, certes nombreux, variés et spectaculaires, ils n’ont en rien transformé les rapports sociaux. Tout au plus peut-on dire que les stupidités circulent plus vite de nos jours et espérer qu’il en sera de même pour les mouvements de révolte lorsqu’il s’en produit.

    La classe ouvrière internationale, dont Lénine pensait après Marx qu’elle était la seule classe sociale capable de mettre à bas le capitalisme, représente désormais la majorité écrasante de la population mondiale. Elle est, depuis longtemps, la seule classe productive. Le programme que fixait Lénine, organiser les travailleurs pour les rendre capables de prendre la tête d’une révolution populaire, reste d’actualité.

    En fait, le véritable et profond changement intervenu depuis l’époque de la révolution russe réside dans la disparition du mouvement ouvrier organisé. Lénine s’était formé dans le cadre de la deuxième Internationale qui avait elle-même bénéficié, en particulier par l’intermédiaire d’Engels, de l’acquis des générations précédentes. La question de la mission révolutionnaire de la classe ouvrière, de sa constitution en parti et de son activité politique indépendante ne se posait pas pour lui. En devenant marxiste, en rejoignant le mouvement ouvrier organisé dans la l’Internationale, Lénine faisait corps avec ce programme, même dans un pays où la classe ouvrière était très minoritaire. C’est sur la base de ce parti pris, c’est avec la certitude d’avoir derrière lui non seulement la tradition théorique marxiste mais aussi le mouvement ouvrier vivant, des travailleurs en chair et en os, organisés, actifs, sous de multiples formes, dans de nombreux pays, que Lénine militait et polémiquait avec les autres courants.

    La trahison de la social-démocratie en 1914, puis la dégénérescence de l’État ouvrier issu de la révolution russe de 1917 entraînant celle des partis communistes, ont rompu la continuité révolutionnaire. La théorie révolutionnaire, les idées de Marx, de Lénine, de Rosa Luxemburg et de Trotsky, produits d’un mouvement ouvrier vivant et puissant, sont désormais presque suspendues dans le vide, ne peuplant plus que les bibliothèques. Pour tenter de se les approprier, il faut d’abord commencer par étudier le contexte qui les a vus naître.

    Les notes de Pierre Pascal, la propre expérience militante du lecteur et un effort d’imagination permettent de se représenter quelque peu les militants ouvriers pour qui Lénine écrivait. Et donc de mieux comprendre ce qu’il voulait dire. Cet effort n’est certes pas facile à faire. Mais il est indispensable pour qui veut travailler à renouer le fil du mouvement ouvrier révolutionnaire, pour qui veut garder ses idées vivantes afin que les travailleurs puissent s’en emparer à nouveau. C’est, en tout cas, dans ce but que cette réédition a été entreprise.

    Avatars des œuvres de Lénine

    Les écrits de Lénine, la partie imprimée de son travail de militant révolutionnaire, nous sont connus presque exclusivement par les éditions d’État de l’Union soviétique. Celle-ci ayant disparu il y a un quart de siècle, on n’édite plus les Œuvres complètes de Lénine, ni même, sauf exception, ses textes les plus importants.

    Mais surtout, la présentation des œuvres de Lénine par l’intermédiaire des éditions d’État soviétiques était, depuis des décennies, celle qui convenait à la bureaucratie.

    Sous Staline on avait supprimé des œuvres « complètes » tout ce qui mettait en cause Staline lui-même et la bureaucratie. Tout ce qui sous la plume de Lénine, mettait en valeur le rôle de ses adversaires, à commencer par Léon Trotsky, avait également disparu.

    Sous Khrouchtchev et après, les éditions d’État avaient progressivement réintroduit les passages caviardés, mais une chose n’avait pas changé : les introductions historiques, quand elles existaient, et les notes explicatives visaient plus à camoufler l’esprit de l’œuvre de Lénine qu’à l’éclairer.

    On peut en donner un exemple dans l’attribution à Lénine de la notion stalinienne de « socialisme dans un seul pays ». L’œuvre entière de Lénine, toute son activité politique démontrent la stupidité de ce mensonge bureaucratique, pour tout marxiste le « socialisme dans un seul pays » est une contradiction dans les termes.

    Mais l’indigence, voire l’inexactitude volontaire des notes ont eu un effet plus pernicieux. Elles empêchaient souvent de comprendre ce que disait réellement Lénine, à qui il répondait, à qui il s’adressait, dans quelle situation. La difficulté d’en saisir la portée est d’autant plus grande que les écrits de Lénine sont des textes militants, presque toujours polémiques, répondant aux interrogations des membres de son parti, à des problèmes tactiques, aux questions soulevées dans tel ou tel cercle, etc. De ces dialogues, filtrés par les censeurs de la bureaucratie, on n’entendait que l’écho déformé d’un seul interlocuteur…

    Pierre Pascal, lui, a réussi à faire passer dans sa traduction et ses notes la passion révolutionnaire qui animait Lénine et ses camarades. Lire une sélection chronologique des œuvres de ce dirigeant révolutionnaire, c’est suivre la montée des ouvriers russes vers l’organisation, vers la conscience, vers la lutte jusqu’aux explosions révolutionnaires successives de 1905, février et octobre 1917. C’est aussi voir s’opérer la fusion de plusieurs générations d’intellectuels avec le mouvement ouvrier, fusion dont Lénine était à la fois le prototype et l’organisateur. C’est entrevoir la révolution, cette irruption des masses sur le devant de la scène politique, et constater que, du temps de Lénine et des bolcheviks, la politique révolutionnaire était fondée tout entière sur la confiance dans les capacités créatrices des opprimés. C’est donc apercevoir tout ce que les bureaucrates staliniens craignaient comme la peste. Et, ajouterons-nous aujourd’hui, tout ce la société bourgeoise et ses partisans redoutent toujours.

    Il peut sembler paradoxal que Pierre Pascal, plus anarchiste que marxiste au moment même où il rédigeait ses notes et ne retenant au crédit des bolcheviks que les années de révolution, ait su rendre vivante l’œuvre de Lénine. À la lecture des mémoires de Pierre Pascal, étudiant slavisant formé à l’École normale supérieure, happé par la guerre et la révolution, se révèlent une honnêteté intellectuelle, une capacité de révolte, un amour des gens simples hors du commun. Ces qualités et les circonstances de sa vie expliquent comment il s’est rendu capable d’accomplir le travail aujourd’hui réédité.

    Pierre Pascal, la Russie et la Révolution

    Effectuant son service militaire, Pierre Pascal était officier en 1914. Blessé deux fois, il fut envoyé à la mission militaire française à Moscou en 1916. Sa connaissance de la langue et du pays le recommandait particulièrement pour ce poste. La mission militaire faisait la liaison entre les états-majors des deux pays alliés, réglait les questions de commandes de guerre, participait à la défense des intérêts industriels, financiers et commerciaux français, fort nombreux et fort rentables, dans la Russie de Nicolas II.

    Il n’y constata pas seulement la pourriture du régime russe et la situation de cette armée tsariste pour laquelle le terme de chair à canon semblait avoir été inventé. Pascal était aussi aux premières loges pour découvrir les buts de guerre de la France, le cynisme de ses diplomates, la rapacité de ses industriels et le mépris de tous ces nantis pour les petites gens. Dans son carnet de notes 1, il croquait un diplomate français se gaussant des Russes, si naïfs, à qui l’on peut faire gober n’importe quoi. Et Pascal de conclure : « C’est pour cela que, moi, je les aime. » Fréquentant par fonction ministres, généraux, diplomates et industriels, Pascal connaissait néanmoins aussi le prix du pain, la température dans les logements ouvriers, la situation dans les tranchées et les hôpitaux. Avant même la révolution, il était devenu un ennemi de la guerre, des nationalistes, des profiteurs de guerre, à commencer par les Français. Mais, et c’est un trait permanent de sa personnalité, il n’en continuait pas moins son travail, le plus consciencieusement du monde.

    En 1917, après la révolution de février, le travail de la mission militaire française consistait à convaincre, voire à contraindre la Russie à continuer la guerre. Après octobre, la mission se tourna discrètement, puis ouvertement du côté de la contre-révolution, allant jusqu’à préparer le débarquement de troupes d’intervention et conseillant les généraux blancs. La mission fut donc logiquement priée de quitter le pays, mais Pierre Pascal avait choisi son camp depuis un certain temps : resté en Russie, il se mit au service de la révolution en octobre 1918.

    Avec plusieurs autres membres de cette mission, tels le capitaine Sadoul et le soldat Marcel Body, Pierre Pascal participait à un groupe communiste français au sein du Parti bolchevique. Ce groupe a notamment publié un journal hebdomadaire de propagande et d’information, intitulé La troisième internationale destiné aux soldats du corps d’occupation français du sud de la Russie soviétique et aux ouvriers français présents dans le pays. Pascal a souligné dans ses notes que Lénine était l’inspirateur de ce journal.

    La révolution elle-même, le fait que les masses les plus opprimées prenaient leur sort en mains, s’organisaient, décidaient, la puissance du système des soviets qui faisait vivre cela, le dévouement des ouvriers, l’inventivité, le courage des travailleurs russes convainquirent Pierre Pascal. Il fut de ces intellectuels très peu nombreux qui rejoignirent la révolution alors qu’elle était en danger de mort. Il troqua volontiers un avenir d’universitaire à Paris contre une assiette de kacha, une chambre mal chauffée, de longues journées de travail chichement payées et le risque d’être passé par les armes en cas de victoire des Blancs.

    L’empathie pour les opprimés, la joie de les voir monter à l’assaut du ciel avaient conduit Pierre Pascal à la foi révolutionnaire, c’est-à-dire à l’action. L’État ouvrier trouva tout de suite à l’employer au Commissariat du Peuple aux Affaires étrangères. Il fut un des adjoints du commissaire du peuple Tchitchérine, rédigeant chaque jour la dépêche internationale diffusée par radio, traduisant sans relâche. Pierre Pascal participa aux négociations diplomatiques de 1921 et 1922 en tant que traducteur et peut-être un peu plus. Il s’agissait alors de rétablir des liens commerciaux avec les pays capitalistes, sans rien renier des idéaux et de la politique révolutionnaire. Pascal travailla spécialement à la négociation et à la traduction du traité de Rapallo de coopération économique entre l’Allemagne, vaincue et étouffée, et la Russie, socialiste et affamée.

    Dans le même temps Pascal participa aux travaux des premiers congrès de l’Internationale communiste, traduisant et écrivant pour sa presse, ainsi qu’aux premiers pas de sa section française. Il fut le secrétaire du groupe communiste français à Moscou. Outre les milieux de l’Internationale et de l’État, Pierre Pascal fréquentait également à cette époque un groupe de révolutionnaires d’horizons divers, aux caractères bien trempés, décidés comme lui à servir la révolution. Il se lia ainsi à Victor Serge, l’écrivain anarcho-syndicaliste belge d’origine russe, dont il devint le beau-frère, à Boris Souvarine, à Nicolas Lazarevitch, ouvrier anarchiste belge et ami de toute une vie, à Marcel Body.

    Dans Moscou sous Lénine, Alfred Rosmer, dirigeant de l’Internationale communiste, ami et compagnon de Trotsky, en donne le portrait suivant : « Le lieutenant Pierre Pascal, catholique fervent et pratiquant, passé du côté de la révolution non malgré son catholicisme mais à cause de lui – ce qui suffit à faire comprendre qu’il n’est pas un catholique ordinaire ; le caractère spartiate du régime était précisément ce qu’il aimait. Grand travailleur il ne se plaignait ni ne demandait jamais rien. » Pascal assistait aux offices religieux et se sentait bien au contact de la ferveur populaire. Il priait par exemple pour le rétablissement de Lénine, victime d’un attentat en août 1918, et il ne devait pas être le seul dans cette Russie d’après la révolution.

    C’est à cette époque que Pierre Pascal commença à étudier l’histoire du mouvement ouvrier et révolutionnaire russe. Il voulait comprendre en quoi le travail des révolutionnaires avait préparé ou non l’explosion de 1917 qui avait tout d’un phénomène naturel, imprévisible, incontrôlable. Et pourtant, constatait-il encore, cette explosion n’aurait pas été la même, peut-être même n’aurait-elle pas eu lieu sans les bolcheviks. Si Pierre Pascal n’a jamais répondu à cette interrogation, il a permis par son travail de comprendre quelles réponses Lénine y apportait.

    Servant la révolution et l’État ouvrier, Pascal a vécu de l’intérieur l’extrême tension de la guerre civile et du communisme de guerre, l’enthousiasme devant la croissance du mouvement communiste international, suivi de la déception que provoqua son repli et, en 1921, le recul de la NEP. En mars de cette année-là, devant la nécessité de tenir dans un pays dévasté par sept ans de guerre mondiale puis civile, faute de perspectives d’extension à brève échéance de la révolution à d’autres pays, les dirigeants bolcheviques durent céder du terrain. Pour ranimer une économie exsangue, les bolcheviks ne virent d’autre solution, finalement, que de faire appel à l’initiative privée, de réintroduire une forme de profit privé. La NEP, nouvelle politique économique, laissa donc la petite entreprise renaître, le commerce privé reprendre. L’État recommença à garantir les profits des paysans riches et à ouvrir aux capitalistes étrangers des concessions (sociétés mixtes, bien souvent à capitaux totalement privés). Tout cela se faisait sous le contrôle de l’État ouvrier, mais la conséquence immédiate fut l’apparition au grand jour de profiteurs, d’accapareurs, d’exploiteurs au petit pied mais féroces, de jouisseurs jusque dans les organes de l’appareil d’État et les services du parti communiste et de l’Internationale.

    Pierre Pascal a ressenti le retour des profiteurs comme une trahison. Dans ses carnets, il fustigeait les bureaucrates qui utilisaient leur automobile de service pour aller à la campagne, ou ceux qui se groupaient pour payer une institutrice privée à leurs enfants. Mais il voyait surtout dans la NEP le retour de la possibilité d’opprimer les plus faibles, il constatait que le recul pesait avant tout sur les humbles. Il notait par exemple que la patronne de la petite cantine désormais privée où il déjeunait exploitait férocement son employée.

    Malgré ce recul indéniable non seulement l’État ouvrier restait debout, mais ceux qui l’avaient construit n’avaient pas dit leur dernier mot. Pierre Pascal fut le témoin désespéré et désarmé de la lutte contre la montée de la bureaucratie.

    N’épousant pas les méandres de la concurrence entre fonctionnaires, ne voulant pas rentrer dans le moule de la bureaucratie, Pascal fut écarté des postes de responsabilité. L’État ne lui confia bientôt plus que des travaux de traduction et de rares articles pour la presse de l’Internationale. Il fut affecté à l’Institut Marx-Engels, dirigé par le vieux révolutionnaire et savant marxiste Riazanov. Ce dernier, qui lui non plus ne prenait pas part à l’opposition, aidait les oppositionnels en leur procurant du travail. C’est à l’Institut Marx-Engels que, entre autres travaux, Pascal fut chargé à partir de 1925 de préparer une édition française des œuvres de Lénine.

    Les Pages choisies de Lénine

    Dans son introduction générale, en tête du premier volume, Pierre Pascal écrit : « Je ne présenterai pas au lecteur les œuvres de Lénine. La lecture des pages qui suivent lui en dira plus long que n’importe quelle préface. »

    Les œuvres du dirigeant de la première révolution socialiste victorieuse, du premier État ouvrier, étaient publiées par la maison d’édition de la section française de l’Internationale communiste. Le parti voulait mettre à la disposition de ses militants et plus largement du mouvement ouvrier l’expérience politique synthétisée par Lénine. La traduction et les notes visaient à en permettre la compréhension « à tout travailleur de langue française ayant une instruction primaire ». Le tout était réalisé sous la direction de Pierre Pascal, un intellectuel dévoué à la révolution, résidant et travaillant à Moscou. Les lecteurs de l’époque savaient qui étaient l’auteur et même le traducteur, ce qui rendait en effet toute préface inutile pour ces militants du jeune parti communiste. Ils étaient conscients d’avoir entre les mains un manuel de stratégie révolutionnaire.

    Les introductions et notes de Pierre Pascal sont le résultat d’un travail méticuleux dont il expose les raisons et la méthode dans sa préface. En voici un exemple parmi d’autres, tiré du deuxième volume des Pages choisies : à l’automne 1905, la révolution apporta la liberté de presse de fait aux révolutionnaires russes. Les journaux fleurirent, chaque tendance ayant le sien, s’emparant au besoin d’une imprimerie et y restant le temps nécessaire pour sortir son journal, les armes à la main. Les citations utilisées par Pascal, les exemples choisis pour illustrer cette période montrent qu’il a dépouillé soigneusement ces journaux. Et il ne l’a pas tant fait pour y trouver la trace de Lénine que pour y débusquer la révolution vivante. Prenant lui-même parti pour les opprimés, s’adressant à des militants ouvriers, Pascal dépeignait dans ses notes un mouvement ouvrier en chair et en os, sa vie, ses revendications, sa façon de les exprimer.

    Les notes de Pierre Pascal éclairaient aussi ce dont Lénine ne parlait qu’allusivement, tant c’était évident pour lui et ses lecteurs russes : la barbarie, l’arriération du régime tsariste, la brutalité avec laquelle étaient traités les opprimés. Pascal expliquait, par exemple, que, jusqu’à une date récente, les moujiks pouvaient légalement être fouettés et qu’ils continuaient à l’être dans l’armée. Il décrivait la façon dont on traitait les minorités nationales et, bien sûr, l’oppression multiforme subie par les ouvriers des villes. Cette barbarie était un puissant ferment de révolte, c’est elle qui poussait des générations de jeunes, intellectuels et ouvriers, à la révolution. Sans mention de cette barbarie, inimaginable pour le lecteur occidental, sans idée de la passion révolutionnaire qu’elle suscitait, comment comprendre que des ouvriers écrivaient en 1901 à l’Iskra, la publication de Lénine, pour demander que le journal « leur apprenne à vivre et à mourir » ? Et comment comprendre que Lénine ait tenu cette lettre pour représentative et l’ait publiée ?

    Le travail n’alla pas sans mal. Les carnets de Pierre Pascal nous apprennent qu’il n’avait pas lui-même sélectionné les textes comme il l’aurait souhaité. Il a contourné plusieurs fois cet obstacle en donnant en note des citations de Lénine lui paraissant plus explicites, tirées d’un autre texte, non publié dans la sélection. Mais surtout, en 1925 déjà, l’histoire du parti et de la révolution, les textes de Lénine, les souvenirs des militants étaient devenus une arme dans le combat politique.

    Depuis 1923, la lutte était engagée entre la bureaucratie montante regroupée derrière Staline et l’opposition fidèle à la tradition communiste dont Trotsky était l’âme. Usurpant le pouvoir dans l’État ouvrier, la bureaucratie était contrainte de se prétendre l’héritière de Lénine et, entre autres, de publier ses œuvres. Reniant l’héritage, elle ne pouvait que faire dire aux textes autre chose que ce qu’ils disaient. Et lorsqu’elle ne le pouvait pas, elle les censurait ou les supprimait carrément. La bureaucratie devait mentir sur les événements, transformer l’histoire, la réécrire autant de fois que nécessaire suivant les nécessités politiques du moment. On sait que les staliniens transformèrent ainsi l’histoire de la révolution russe jusqu’à en exclure la plupart des dirigeants bolcheviques, et en particulier Léon Trotsky qui n’apparaissait plus que sous les traits de l’éternel traître.

    Les pressions ne manquèrent pas de s’exercer sur Pierre Pascal. Il fut ainsi convoqué par un responsable de l’Internationale qui lui demanda « d’atténuer doucement les choses de façon à ne pas trop louer Léon Trotsky » dans ses notes pour le deuxième tome. La scène, racontée dans les carnets de Pascal, se passait en février 1927. En novembre, Trotsky était exclu du parti communiste.

    En 1929, alors que le travail préparatoire pour le quatrième volume était achevé, les introductions furent refusées. Pascal écrivait alors : « Traduire les notes tendancieuses de l’édition russe est au-dessus de mes forces ». Le quatrième tome, Le Parti bolchevique au pouvoir, ne fut jamais publié. Les trois premiers volumes, tirés à 5 000 exemplaires, « dont la moitié encore dans les stocks des libraires », disait Pascal, furent peu diffusés, et évidemment jamais réédités par un parti communiste français qui se stalinisait à grande vitesse.

    Pierre Pascal et l’opposition

    En 1921, Pierre Pascal avait traduit, en dehors de son travail officiel, la plate-forme de l’Opposition ouvrière. Cette tendance du parti communiste russe s’élevait alors contre une politique conduisant à surexploiter les ouvriers. Pascal qualifiait la plate-forme de « critique impitoyable et fort éloquente, avec des exemples concrets, du mal bureaucratique ». Sa traduction dactylographiée a été retrouvée, bien des années plus tard, dans les archives du syndicaliste révolutionnaire Pierre Monatte.

    Par la suite, bien qu’ayant perçu assez rapidement les germes de dégénérescence du régime soviétique, Pierre Pascal n’a pas fait partie de l’opposition à Staline. Il n’a pas été trotskyste, comme son beau-frère, camarade et collègue de travail Victor Serge. Il n’a pas rejoint les anarchistes qu’il affectionnait pourtant. Mais il n’a jamais hurlé avec les loups, jamais levé la main pour voter quelque chose qu’il savait faux et encore moins pour condamner qui que ce soit. Et il a refusé de traduire des textes dont la stupidité ou la malhonnêteté le révoltaient.

    On sait aussi que Pierre Pascal a fait passer des articles décrivant la vie des travailleurs soviétiques pour publication dans des revues oppositionnelles françaises (La Révolution prolétarienne de Pierre Monatte ou le Bulletin communiste de Boris Souvarine). Les conditions de vie des travailleurs soviétiques, plus encore que la situation politique, le préoccupaient constamment, comme l’attestent ses carnets.

    Concernant Trotsky, la position de Pascal était complexe. Son honnêteté intellectuelle l’obligeait à reconnaître son rôle éminent, dans ses carnets privés comme dans les notes des Pages choisies. Dans ces dernières, Pascal replaçait dans leur contexte les polémiques entre Lénine et Trotsky d’avant 1917, polémiques parfois vives dont les staliniens faisaient évidemment une arme dans leur lutte contre l’opposition. Il suffisait aux censeurs de souligner les invectives échangées sans donner au lecteur les moyens de comprendre pour transformer Trotsky en ennemi de Lénine. Pascal, lui, présentait les tenants et aboutissants des débats. À plusieurs reprises, il a même donné des citations de Trotsky qui, loin de montrer une opposition, prouvaient son profond accord avec Lénine sur des questions essentielles. Cela en un temps, 1925-1929, où calomnier Trotsky était devenu le meilleur moyen de faire carrière, voire simplement de trouver du travail.

    Mais, en même temps, Pascal pensait que Trotsky et les autres dirigeants de l’opposition étaient du même bois que Staline. Il les tenait tous pour des petits-bourgeois se croyant désignés pour diriger le peuple mais n’oubliant jamais leur confort personnel. Tout au plus, pensait-il dans ses moments les plus désespérés, les bolcheviks avaient eu, grâce à Lénine et dans une moindre mesure à Trotsky, le génie de laisser exploser la révolution en 1917 et d’en tirer toutes les conséquences en permettant à la classe ouvrière de prendre le pouvoir et de construire son État. Mais, après quelques années, d’après Pierre Pascal, la vie avait repris son cours normal et des politiciens qu’il qualifiait de sociaux-démocrates avaient pris les rênes de l’État. L’oppression d’une part, la morgue des puissants d’autre part, étaient réapparus. Pascal a d’ailleurs longtemps pensé que Trotsky allait finir par faire la paix avec Staline, comme d’autres oppositionnels de renom l’avaient fait.

    Mais, là encore, son honnêteté, son profond attachement aux travailleurs lui ont servi de garde-fou. Dans ses carnets, il notait également la résistance de Trotsky et de ses camarades, la renaissance permanente de l’opposition dans les usines, et le fait que cette opposition se rangeait derrière Trotsky.

    Pierre Pascal était un révolté bien plus qu’un #révolutionnaire et encore moins un #militant conscient, comprenant les ressorts de l’évolution qui rejetait en arrière la société issue de la révolution. La poussée révolutionnaire de 1917 l’avait, comme des millions d’autres, porté au-delà de lui-même. Mais, la sincérité et la foi ne suffisaient pas pour résister au reflux de la vague révolutionnaire, à la montée de la bureaucratie. Il fallait pour cela une confiance dans la classe ouvrière qui dépasse la simple empathie, une confiance étayée par le marxisme, des liens militants avec les travailleurs. Il fallait pour cela être communiste, ce qui voulait dire rejoindre le combat de #Trotsky.

    Pascal s’en tint volontairement éloigné. Cependant il fut, jusqu’au bout, profondément solidaire du peuple de l’abîme et, en un certain sens, de l’État que les travailleurs avaient construit, puis de ce qui en subsistait dans la conscience des hommes.

    De plus en plus isolé, dans une lourde ambiance de répression policière, #Pierre_Pascal vécut encore quelques années à Moscou, vivant de traductions. Rentré en France en 1933, il réintégra l’université et devint un maître dans les études russes. Il ne se fit jamais une gloire – ni une honte – de son passé communiste et ne rejoignit en aucun cas la cohorte des repentis qui font commerce de leur expérience de jeunesse.

    Il y eut des intellectuels entraînés par la révolution et se dévouant jusqu’au bout à son service, tel John Reed ; ceux qui accomplirent un bout de chemin avec elle, puis finirent par la combattre, comme Boris Souvarine ; ceux qui, après avoir calomnié la révolution, se vendirent au stalinisme triomphant, comme Louis Aragon. Pascal, qui voyait dans le ralliement d’un Romain Rolland la « preuve qu’il ne reste plus rien de l’idéal de 1917 », a donné l’exemple d’un homme honnête. Il a servi la révolution puis s’est retiré discrètement, sans renier le passé ni entraver le travail de ceux qui continuaient malgré tout. Souhaitons que cette réédition permette aux jeunes générations de découvrir le nom de Pierre Pascal et son travail, et d’accéder au mieux, grâce à lui, aux écrits de Lénine.

    Paul Galois
    Février 2017

    #marxisme #léninisme #militant_révolutionnaire #communisme_révolutionnaire

  • Reraites etc. : 100 jours pour dégager Macron et sa bande c’est trop long
    https://ricochets.cc/Reraites-etc-100-jours-pour-degager-Macron-et-sa-bande-c-est-trop-long.htm

    Avec sa com mal recyclée des 100 jours, le tyran espère faire mariner/temporiser les gens jusqu’aux vacances d’été. Comme généralement les révoltes se calment avec l’été et les vacances, il se dit sans doute que ça tuera la contestation. Mais pour les contestataires, supporter 100 jours de plus de tyrannie c’est beaucoup trop long, on doit donc les dégager avant l’été, il reste deux mois. ...Et en même temps commencer à démanteler le capitalisme et les institutions anti-démocratiques en place, pour prendre (...) #Les_Articles

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    https://lenumerozero.info/SAINT-ETIENNE-INGOUVERNABLE-6236
    https://www.francetvinfo.fr/faits-divers/police/violences-policieres/souleymane-le-manifestant-qui-avait-ete-violente-et-agresse-par-des-pol