• Confine Serbia-Ungheria: aumenta la militarizzazione e la violenza della polizia

    Una sparatoria (probabilmente tra “trafficanti”) diviene il pretesto per un’ulteriore stretta repressiva

    La zona di confine tra la Serbia e l’Ungheria è da molti anni un luogo di sosta forzata e di transito delle persone migranti. E’ qui, tra la cittadina ungherese di #Röszke e quella serba di #Horgos, che nell’autunno del 2015 venne costruita da Orban la prima barriera “anti-rifugiati” che divenne in poco tempo uno dei simboli della politica dell’Unione europea, replicata poi in molteplici forme.

    Questo territorio al nord della Serbia rimane oggi uno dei punti più caldi delle rotte balcaniche settentrionali, essendo – al pari del confine tra Bosnia-Erzegovina e Croazia – uno snodo fondamentale per l’accesso all’Europa e quindi per le politiche di controllo e respingimento. Diversi report e costanti attività di monitoraggio hanno descritto nel dettaglio la violenza e la brutalità della polizia nei confronti di persone in movimento sia sul lato serbo che su quello ungherese.

    Nel rapporto trimestrale del 2023 riferito ai mesi di luglio, agosto e settembre 1, la Ong #KlikAktiv di Belgrado ha indicato le tendenze in atto. Il report è frutto di osservazioni durante le visite agli insediamenti informali ai confini esterni dell’UE con la Serbia e della raccolta di testimonianze e foto delle condizioni di vita, e fornisce anche informazioni sul contesto, compreso il quadro giuridico e le scelte politiche relative alla gestione della migrazione. In particolare, l’organizzazione punta l’attenzione sui respingimenti da e verso la Serbia, sulla violenza della polizia serba e sulla morte delle persone lungo il percorso. Una parte è dedicata anche alle sparatorie avvenute in quei mesi nell’area settentrionale del Paese e delle reti di passatori (smugglers) sospettate di esserne all’origine. Sono illustrati anche alcuni dati: la maggior parte delle persone incontrate dall’Ong proveniva da Siria e Afghanistan (94%); il punto di “ingresso” più comune in Serbia è dalla Bulgaria (con il 40% che a settembre è entrato solo attraverso la Macedonia settentrionale), mentre i tragitti più utilizzati per uscire dal Paese sono quelli verso la Bosnia-Erzegovina e l’Ungheria, con quest’ultima che ha anche il primato dei respingimenti. Klikaktiv ha, infine, continuato a rilevare un numero significativo di minori non accompagnati negli insediamenti informali presenti nella zona di confine, perfino ragazzini di età inferiore ai 14 anni provenienti soprattutto dalla Siria.

    Un episodio emblematico è quello raccontato da No Name Kitchen, che opera a Subotica supportando centinaia di persone che vivono fuori dai campi ufficiali negli edifici abbandonati.
    L’Ong tramite la pagina facebook ha denunciato un violento pushback nei confronti di quattro ragazzi marocchini. Racconta di aver incontrato il gruppo fuori dal campo di #Subotica la notte del 25 ottobre, dopo essere stati informati della gravità delle condizioni fisiche di uno dei giovani: «La polizia lo ha colpito molto violentemente causandogli una ferita aperta sulla fronte e una grave commozione cerebrale. Anche gli altri tre amici indossavano bende in testa. M. e i tre amici sono stati arrestati e brutalmente attaccati da tre poliziotti ungheresi, dopo aver attraversato il villaggio serbo di #Martonoš».

    «L’estrema violenza usata in questa repressione ci lascia senza parole – scrivono le attiviste -. Il gruppo ha segnalato di essere stato picchiato in mezzo alla foresta alle 23 da due poliziotti maschi. Usavano soprattutto manganelli per infliggere ferite. Mentre il gruppo stava soffrendo terribilmente, il terzo poliziotto ha iniziato a filmare la scena».

    No Name Kitchen spiega che il ragazzo per la quantità di botte ricevute in testa ha perso conoscenza ed è stato trasportato in un ospedale nella città ungherese di Szeged dove è stato rapidamente curato e rilasciato senza ulteriori visite mediche nonostante i sintomi indichino un potenziale trauma cerebrale. Insieme al gruppo di amici è stato illegalmente rispedito in Serbia senza che nessuno si preoccupasse delle sue condizioni di salute.

    Il pretesto “perfetto”

    E’ in questo contesto, nel quale la mobilità umana viene pesantemente repressa, che un nuovo scontro tra gruppi di migranti, probabilmente smugglers, ha portato alla morte di tre persone e al ferimento di un’altra. Le uniche notizie sono legate ad un comunicato diramato dal ministero dell’interno serbo, dove si legge che la polizia ha poi fatto irruzione in alcuni edifici abbandonati nell’area di Horgos, sequestrando armi e munizioni, trovando inoltre 79 persone di varie nazionalità che sono state trasferite nei campi di ricezione. L’operazione – che ha coinvolto le unità anti-terrorismo, la gendermerie e gli elicotteri della polizia – ha portato all’arresto di quattro cittadini afghani e due turchi sospettati di possesso illegale di armi ed esplosivi.

    La sparatoria e le morti sono diventate così il nuovo pretesto per portare un’ulteriore stretta e militarizzazione nell’intera zona di confine. Il presidente serbo Vucic ha infatti dichiarato che potrebbe far intervenire l’esercito per risolvere la situazione se le forze di polizia non si dimostreranno all’altezza, avvertendo così il suo stesso Ministro degli Interni Gasic: “[…] non è la prima volta che parlo con il Ministro degli Interni. O farete le cose che dovete fare, o direte che non siete in grado di farle. Mettetevi in guardia, farò intervenire l’esercito e faremo piazza pulita, li arresteremo e li metteremo dietro le sbarre”, ha detto intervenendo in televisione. Dopo la sparatoria è stato stipulato un accordo di cooperazione tra lo stesso Gasic e il Ministro degli Interni ungherese Pinter, in un incontro al valico di frontiera di Reska, dove hanno discusso della lotta “all’immigrazione irregolare” e dell’utilizzo di ufficiali ungheresi a supporto dei colleghi serbi. “Per combattere la criminalità organizzata e la migrazione irregolare, è stato proposto di istituire un gruppo di lavoro congiunto tra i membri dei ministeri degli Interni di Serbia e Ungheria”, riporta il comunicato congiunto 2.

    Le autorità hanno inoltre comunicato a tutte le organizzazioni umanitarie che sono attive nei campi profughi dislocati nella zona che temporaneamente non potranno lavorare al loro interno. Alcuni testimoni affermano che i successivi controlli di polizia hanno portato a fermi e diversi episodi di violenza.

    https://www.youtube.com/watch?v=l43XWHlj8uw&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.meltingpot.org%

    «Negli ultimi mesi le operazioni poliziesche sono diventate dei veri e propri “rastrellamenti” nelle strade, nelle stazioni e nei negozi della regione di Subotica e Sombor.»

    Gli ultimi aggiornamenti di No Name Kitchen sono del 2 novembre, quando le attiviste hanno visitato il campo ufficiale a Subotica e lo hanno trovato completamente vuoto. Il campo solitamente ospita più di 300 persone tra uomini, donne, ragazzi e famiglie, e la polizia l’ha sgomberato il 31 ottobre deportando con la forza le persone. «Ci è stato detto che durante lo sgombero ci sono stati pestaggi e violenza. Non sappiamo dove siano state portate queste persone, ma sembra che la chiusura di tutti i campi serbi faccia parte dell’ultima azione promossa dallo Stato per reprimere l’immigrazione irregolare al confine tra Serbia e Ungheria».

    «Recentemente – osserva l’organizzazione – è stato pubblicato un video che mostra le forze militari e di polizia che rastrellano ostelli e insediamenti informali alla ricerca di bande di smuggler e persone migranti. La clip di 7 minuti è accompagnata da musica che ricorda un videogioco di guerra. Le forze militari armate con il volto coperto vengono filmate mentre arrestano e sfrattano le persone dagli edifici».

    La caccia ai migranti è diventata la norma, di fatto impedendo la circolazione delle persone migranti anche all’interno del territorio serbo, attraverso una politica di deportazioni dal nord al sud, verso i campi al confine con la Macedonia e il Kosovo, rallentando il viaggio delle persone e alimentando così il circuito economico connesso al movimento dei migranti, che coinvolge – tra gli altri – gli apparati dello stato stessi e i network di smuggling. Dall’altra parte, le guerre intestine tra le organizzazioni di smuggling forniscono il pretesto perfetto per la repressione governativa, che però si abbatte in modo generalizzato sulle persone migranti senza scalfire le organizzazioni criminali che si propone di colpire. Dopo diverse inchieste giornalistiche firmate da Balkan Insight negli ultimi mesi, la credibilità delle autorità serbe è a pezzi agli occhi dell’opinione pubblica, perché è stata dimostrata più volte la complicità tra gli apparati di polizia e le bande di smuggler, svelando un sistema dove economicamente tutti ci guadagnano, sulla pelle delle persone migranti 3.

    https://www.meltingpot.org/2023/11/confine-serbia-ungheria-aumenta-la-militarizzazione-e-la-violenza-della-
    #Serbie #Hongrie #militarisation_des_frontières #frontières #migrations #asile #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #violence

    • The Third Quarterly Report in 2023

      The report covers trends observed in the field during our team’s visits to the informal settlements at the EU’s external borders with Serbia during July, August and September 2023, including testimonies and quotes of refugees, as well as the photos of the living conditions. The report also provides information on the context, including important legal framework and political trends regarding migration management in the country. We particularly shed light on push backs to and from Serbia, violence by the Serbian police and deaths of refugees on the route. We also wrote about recent shootings in the northern area of the country and smuggling networks suspected to be behind them.

      Some of the key trends identified in the reporting period were:

      - Majority of all Klikaktiv’s beneficiaries were from: Syria and Afghanistan (94% combined). Most common entry point: Bulgaria (with 40% who entered through North Macedonia in September) Most common attempted exit points: to Hungary and to Bosnia and Herzegovina.

      – Push backs from the EU Member States have continued in the reporting period - majority of which happened from Hungary to Serbia. Push backs by the Serbian police were reported by people on the move on the border with Bulgaria in joint operation with Austrian police, and on the border with North Macedonia together with German police.

      - Klikaktiv continued to note a significant number of unaccompanied boys in informal settlements in the border area, particularly those younger than 14 years old, mostly from Syria.

      - Although in smaller numbers compared to refugees from Syria and Afghanistan, we continued to meet Turkish citizens who came to Serbia legally and tried to continue to the EU irregularly.

      These trends are further elaborated on in the report, as well as other information and cases from the field.

      You can download the full report here: https://drive.google.com/file/d/1nQiQvm4atW8ltpjTFTTBGeMseJvzsEO_/view

      https://klikaktiv.org
      #rapport #push-backs #refoulements

  • À la frontière serbo-hongroise, les exilés entre deux feux

    C’est le « game » : franchir la #clôture anti-migrants que la Hongrie a érigée à la frontière serbe en 2015, puis espérer échapper à la violence des patrouilles hongroises. Environ un millier d’exilés attendent leur tour à #Subotica, dans des squats ou dans la forêt, en jouant au chat et à la souris avec la police serbe. Reportage.

    « J’ai déjà tenté dix fois de passer en Hongrie, ça n’a pas marché », confie Arman. « Mais je n’abandonne pas ! » Assis sur un vieux tapis poussiéreux, sous une tonnelle bricolée avec du bois et une grande bâche bleue de récupération, le jeune Afghan d’une vingtaine d’années, qui espère rejoindre le Royaume-Uni, décortique des pistaches en écoutant de la musique sur une petite enceinte portable avec deux de ses amis. C’est là qu’ils ont trouvé un refuge temporaire, entre les lignes de chemin de fer et un vieux bâtiment abandonné de la gare de Subotica, au nord de la Serbie, à la frontière avec la Hongrie. Pour le moment, en cette fin de matinée chaude et ensoleillée, Arman et ses deux compagnons de route patientent. Mais le soir venu, c’est sûr, ils tenteront une fois de plus le « game ».

    Le « game », c’est-à-dire quitter la ville de Subotica, atteindre la forêt qui jouxte la frontière, puis tenter de franchir le « mur anti-migrants », formule du Premier ministre hongrois, Viktor Orbán : il s’agit d’une double barrière de plus de trois mètres de haut, dont l’une est surmontée de barbelés Concertina, longue de 175 kilomètres, dotée de caméras et de détecteurs de mouvements, et surveillée par de multiples patrouilles de la police hongroise. Quelque 800 millions d’euros ont été nécessaires pour ériger ce dispositif construit à la fin de l’été 2015, alors que des milliers d’exilés cherchaient à se réfugier en Europe, fuyant la guerre en Syrie ou la violence et la pauvreté dans leur pays.

    Franchir le « mur » ne garantit cependant pas de pouvoir continuer la route vers l’Union européenne. « Quand les policiers hongrois nous attrapent, avant de nous renvoyer en Serbie, ils confisquent ou détruisent nos téléphones », témoigne Arman. « Ils se montrent souvent violents, particulièrement quand ils découvrent que nous sommes afghans. » Des pratiques de refoulements (ou « pushback ») qui ont valu à la Hongrie une condamnation de la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) en décembre 2020, mais qui n’étonnent plus Maria Marga, chargée des programmes de Collective Aid, une organisation qui soutient les exilés à Subotica. Présente depuis 2019, l’équipe sur place recueille très régulièrement des témoignages d’exilés refoulés par la police hongroise, souvent violemment, « et ce en dépit des lois internationales et du principe de non-refoulement », souligne la responsable associative.

    En attendant de passer la frontière, la plupart des exilés survivent dans des campements informels faits de tentes et d’abris de fortune dans des « jungles » au cœur de la forêt. Le Centre de réception, ouvert en 2015 par les autorités à l’entrée sud de la ville, qui héberge actuellement plus de 400 personnes pour une capacité de 220 places, reste sous-doté pour accueillir les exilés présents à la frontière, estimés à un millier. Rencontré à proximité du camp, Naïm, un adolescent de quatorze ans, semble un peu perdu. « Je suis là depuis trois jours, il n’y a pas de place dans le camp, alors je dors ici », indique Naïm en désignant la terre battue qui jouxte le centre. L’adolescent a quitté il y a six mois Deir Ez Zor, dans l’est de la Syrie, puis a transité par la Turquie, la Bulgarie avant d’atteindre le nord de la Serbie. Malgré ses quatorze ans, il passera la nuit dehors.

    Naïm n’est pas le seul à dormir à l’extérieur du camp. D’autres exilés squattent où ils peuvent en ville ou bien s’abritent dans la forêt située à une dizaine de kilomètres au nord de Subotica. Selon Maria Marga, « les expulsions de campements et de squats menées par la police serbe ont été constantes ces trois derniers mois ». Dans un récent rapport, le réseau d’associations Border Violence Monitoring Network (dont Collective Aid est membre) a recensé 27 opérations d’expulsions menées au cours du seul mois de juillet 2023, dont certaines ont été émaillées de violences de la part des forces de l’ordre, de destructions de tentes et de vols d’affaires appartenant à des exilés. « Ces expulsions accentuent la précarité des exilés, qui se retrouvent isolés et éprouvent des difficultés à se procurer nourriture et eau », déplore Maria Marga.
    Frontex en renfort

    Début août, les autorités serbes ont mobilisé plus de 800 policiers et gendarmes pour une vaste opération destinée à démanteler des réseaux de passeurs : treize personnes ont été arrêtées et des armes ont été saisies. Maria Marga souligne que la communication des autorités serbes n’évoque pas « les 300 personnes exilées qui ont aussi été arrêtées avant d’être envoyées par bus dans des camps, dont celui de Preševo, à 500 kilomètres, tout au sud de la Serbie ». L’objectif de ce type d’opérations, selon elle : éloigner ces personnes de la frontière avec la Hongrie. « Ces expulsions visent simplement à plonger les exilés dans un climat d’hostilité et d’insécurité », conclut la responsable associative.

    L’agence Frontex a recensé 145 600 franchissements irréguliers de frontières en 2022 dans la région des Balkans occidentaux, en augmentation de 136% par rapport à 2021, selon les données collectées par ses services. Pour les autorités européennes, la « route des Balkans » empruntées par de nombreux exilés venus du Proche et du Moyen-Orient est présentée comme une priorité. En octobre dernier, la Commission européenne a ainsi acté le renforcement du rôle de Frontex en Serbie, en Bosnie-Herzégovine, au Monténégro et en Albanie, et débloqué 39,2 millions d’euros destinés à « sécuriser » les frontières de ces pays via l’achat de systèmes de surveillance mobiles, de drones ou d’appareils biométriques.

    Une préoccupation déjà visible sur le terrain, comme en témoigne Maria Marga, qui constate « la présence depuis le début de l’année de policiers italiens, allemands ou néerlandais, tous avec leurs uniformes nationaux, mais portant un brassard Frontex ». Ce nouveau déploiement de l’agence, accusée par ailleurs d’avoir couvert les refoulements pratiqués par les garde-côtes grecs, inquiète la responsable associative. « À ce stade, les nouvelles missions des agents de Frontex sont peu claires : sont-ils ici pour soutenir les actions de la police serbe et patrouiller aux frontières ? Ou pour collecter des données ? »

    Alors que la nuit tombe sur Subotica, Arman et ses deux amis se mettent en route vers la Hongrie. Ce soir peut-être, le « game » le rapprochera un peu plus du Royaume-Uni, ou l’ancrera un peu plus longtemps en Serbie.

    https://www.courrierdesbalkans.fr/Exiles-a-la-frontiere-serbo-hongroise
    #Serbie #Hongrie #frontières #asile #migrations #réfugiés #game #the_game #route_des_Balkans #Balkans #murs #barrière_frontalière #forêt #campements #militarisation_des_frontières #Frontex

  • 3,000 migrants in camps along Serbo-Hungarian border

    Serbian police have discovered two irregular migrant camps near Subotica, at the northern border with Hungary, according to Serbia’s interior ministry. According to the NGO Asylum Protection Center, some 3,000 refugees are currently located along this border.

    Serbian police have discovered two makeshift camps with a strong concentration of migrants near Subotica, in the northern part of the country next to the border with Hungary, Serbia’s interior ministry said on Monday, July 18.

    Several dozen migrants mainly hailing from India, Pakistan and Syria were moved to a hosting center in the area, the ministry added.

    Thousands of migrants who take the so-called Balkan route settle temporarily in Serbia in areas bordering Hungary and Croatia as they wait to cross the border and continue their journey to European Union countries.

    According to Rados Djurovic, the director of Serbian NGO Asylum Protection Center, some 3,000 refugees are currently located along the border with Hungary.

    About 1,000 migrants cross into Serbia every day

    Djurovic said that about 1,000 migrants cross into Serbia every day, including 400 from North Macedonia and Kosovo, and 600 from Hungary.

    He added that Hungarian authorities send them back to Serbia. The same source said police officials are working to contain new flows along the Balkan route while fighting a growing number of trafficking organizations and rising crime involving rival groups of migrants and those who smuggle them.

    Gangs in the area are reportedly often involved in clashes and dramatic episodes of violence. One person died and several others were injured in a recent fight between rival groups in Subotica.

    Meanwhile, Slovenia over the past few days started to dismantle barbed wire at the border with Croatia. The fence was set up during the 2015-2016 migrant crisis. According to those working in the field, this could contribute to a rising number of migrants arriving in the region, in the hope of crossing this way towards Western Europe.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/42024/3000-migrants-in-camps-along-serbohungarian-border

    #Subotica #frontières #route_des_balkans #Balkans #asile #migrations #réfugiés #Hongrie #Serbie #campement #encampement

  • #Serbie : à #Subotica, le juteux #business des #refoulements de réfugiés et des #passeurs

    Des milliers de personnes survivent dans la #forêt ou des #squats autour de Subotica, dans le nord de la #Serbie. Une sanglante rixe a opposé des réseaux de passeurs le 2 juillet. La cause ? Les violents refoulements depuis la Hongrie voisine alimentent le business et les trafics.

    Amer Afridi, originaire du Pakistan, est actuellement hébergé au Centre d’accueil de Subotica, dans le nord de la Serbie. Il y a trois ans, il a quitté ses parents pour tenter sa chance en Autriche. Il essaie tous les jours de traverser la frontière hongroise, mais sans avoir recours à un passeur. « Je leur ai déjà donné trop d’argent, 7000 euros pour venir jusqu’ici », raconte le jeune homme.

    Au cours des sept dernières années, le trafic de migrants dans le nord de la Serbie, autour de Subotica, est devenu un commerce très lucratif. Par rapport aux années précédentes, quand ce trafic était surtout assuré par des acteurs locaux, des passeurs-migrants qui connaissent bien les conditions en Serbie comme en Hongrie y participent de manière active depuis 2019. D’après les militants de l’accueil, cette évolution serait la conséquence des fréquents refoulements violents de migrants au-delà des frontières extérieures de l’UE. Le prix pour ceux qui fuient la guerre et la pauvreté, et pour qui atteindre la « porte de l’Europe » est souvent le seul moyen de survivre, varie de 7000 à 10 000 euros.

    Escroqueries massives
    Dès leur arrivée à Subotica, réfugiés et migrants demandent souvent l’aide de chauffeurs de taxi locaux pour se rendre au centre d’accueil, à Horgoš ou bien dans les forêts où opèrent également les passeurs. Selon un chauffeur de taxi de Subotica qui souhaite garder l’anonymat mais dont l’identité est connue de Radio Slobodna Evropa (RSE), les migrants demandent le plus souvent à se rendre à Horgoš, dans les forêts de Makova Sedmica et Kelebija.

    « Avec mes collègues de l’association, nous mettons le taximètre, comme pour n’importe quel client, mais nous sommes parmi les rares à Subotica à le faire. Avant, certains facturaient le double ou le triple du montant du taximètre pour de se faire un peu plus de sous illicitement. Personnellement, je suis désolé pour ces gens qui sont obligés d’accepter ces prix », confie-t-il. « Avant, c’était massif, ils escroquaient les gens, et en plus avec l’aide de la police... Ils les emmenaient à l’ancienne gare de Palić et leur disaient que c’était la frontière. Ces malheureux étaient obligés de rebrousser chemin, sans savoir où ils étaient. » Il ne sait pas si cette pratique se poursuit encore aujourd’hui.

    Ce chauffeur de taxi ajoute que ses clients sont le plus souvent originaires du Pakistan, d’Afghanistan, d’Inde, du Maroc, de Tunisie, d’Algérie, de Turquie, et qu’il y a désormais nettement moins de Syriens. À son avis, les migrants dans la forêt de Makova Sedmica n’ont causé de problèmes à personne et la sanglante fusillade qui a éclaté le 2 juillet était un règlement de comptes entre des groupes de passeurs. « Ils vont à pied au marché, ils se déplacent dans la forêt et, autant que je sache, ils n’ont jamais agressé personne. Ces migrants ordinaires, ce sont des gens tout à fait honnêtes qui vous regardent comme un sauveur qui pourrait les emmener vers un lieu et c’est tout. »

    Le 2 juillet, un affrontement armé entre deux groupes rivaux de migrants a fait six blessés et un mort. Le jour même, la télévision publique RTS affirme qu’il serait probablement dû à un différend sur le trafic. Le lendemain, la police annonçait avoir arrêté un ressortissant afghan, identifié comme A.N., né en 1996, qu’elle soupçonne du meurtre. Le communiqué de la police n’a pas fourni de détails sur les raisons qui ont conduit à l’incident. Pour sa part, le Centre de protection et d’aide aux demandeurs d’asile (CZA) a expliqué que, selon les informations obtenues auprès des réfugiés, des passeurs originaires du Pakistan et d’Afghanistan y auraient pris part.

    « La contrebande et la traite des êtres humains sont toujours plus que présentes à nos frontières avec l’UE. Cela est dû aux barrières, aux refoulements, à la violence et aux vaines tentatives d’arrêter les migrations intercontinentales vers la zone UE par le recours à la violence à la frontière avec la Serbie », a tweeté le directeur du CZA, Radoš Đurović.

    Le site d’investigation BIRN avait affirmé en juin que certains groupes impliqués dans le trafic d’êtres humains avaient des contacts au sein de la police serbe, qu’ils utilisent pour établir leur domination sur le marché criminel. L’incident de Subotica a provoqué de vives réactions tant des autorités que de l’opposition, qui s’opposent sur le sujet de la sécurité dans la ville. Des organisations d’extrême-droite ont également réagi, notamment la Narodna Patrola (Patrouille populaire) qui a partagé sur sa chaîne Telegram le 11 juillet des images d’une marche de protestation, aux côtés d’un groupe de citoyens.

    « Les refoulements sont à l’origine de tout »
    Pour Radoš Đurović, la principale cause des problèmes actuels sont les refoulements, que personne ne signale. Pour lui, cela profite aux passeurs et renforce les structures criminelles. « C’est un affrontement entre criminels, et les victimes sont les réfugiés et les migrants qui veulent poursuivre la route mais n’ont nulle part où aller. Tout cela se répercute ensuite sur la scène politique locale », estime-t-il. « La solution passe par une implication plus active des institutions pour loger ces personnes et combattre la criminalité et la contrebande. Il faut donc une police plus active pour les protéger, mais avant tout pour résoudre le problème des refoulements. Il n’est plus possible que ce sujet soit systématiquement passé sous silence lors des rencontres inter-étatiques. »

    D’après lui, des centaines de personnes sont chaque jour refoulées en Serbie, où elles se retrouvent directement confrontées aux passeurs, qui leur proposent du logement ou du transport. Quant à la présence de « patrouilles populaires » à Subotica, Radoš Đurović rappelle que ce n’est pas à elles d’assurer l’ordre public, qui est la compétence exclusive du ministère de l’Intérieur.

    https://www.courrierdesbalkans.fr/Serbie-a-Subotica-le-juteux-business-des-refoulements-de-refugies

    #migrations #asile #réfugiés #frontières #push-backs #taxi #chauffeurs_de_taxi #escroquerie #Horgoš # Horgos #Makova_Sedmica #Kelebija #milices

  • LE CORONAVIRUS, DOUBLE PEINE POUR LES RÉFUGIÉS DANS LES BALKANS

    À Zagreb, dans le quartier de Dugave, des barbelés ont été récemment installés autour de l’hôtel Porin, le centre d’accueil pour les demandeurs d’asile. La construction de cette clôture, pour un budget de 90 694 euros, était prévue de longue date. Le contexte de la pandémie a permis d’accélérer sa réalisation sans faire de vagues. « Les ouvriers sont venus avec leur matériel et ont commencé à monter la clôture », expliquent des pensionnaires de Porin dans une lettre ouverte. « Ce qui était jusqu’à présent une prison symbolique est en train de devenir une véritable prison fermée. La construction de la clôture a lieu dans le silence, elle n’a pas été annoncée aux gens qui vivent dans le camp, on ne leur a pas expliqué ce que ça signifierait exactement pour leur vie quotidienne, et il n’y a pas eu la moindre protestation des ONG locales. Le timing est idéal : la menace sanitaire nécessite l’état d’urgence, l’occasion idéale de détourner l’attention des politiques répressives et restrictives qui sont menées à l’arrière-plan. »
    « Même si nous ne pouvons pas empêcher la construction de la clôture, nous pouvons au moins élever la voix et ne pas laisser ça se passer dans l’ignorance totale », conclut la lettre. « Nous voulons dire que nous avons bien vu les ouvriers, nous avons bien vu qu’ils construisaient une clôture. On nous déshumanise à nouveau, on nous humilie, nous sommes en colère et nous en avons plus qu’assez de tout ça, nous en avons assez d’être les prisonniers d’une Europe raciste, des barbelés, de la violence et d’être traités comme si nous n’étions pas des êtres humains. »
    L’un des pensionnaires de Porin, présentant des symptômes de coronavirus, a été placé à l’isolement dans le centre de détention de Ježevo. « Pourquoi cette personne, qui bénéficie en tant que réfugié de la protection internationale et donc de droits quasiment égaux à ceux des citoyens croates, n’a-t-elle pas été placée en isolement dans l’un des bâtiments prévu à cet effet mis à disposition par la ville de Zagreb ? », demande l’Initiative Bienvenue.
    Pourquoi ? Parce que les réfugiés et les migrants, même quand ils bénéficient sur le papier de la protection internationale et des droits afférents, demeurent dans les faits des êtres humains de seconde zone. C’est que confirment de jour en jour les mesures prises contre eux dans les Balkans et le reste de l’Europe. Il y a quelques jours, des tentes ont été installées à Lipa, près de Bosanski Petrovac, afin d’y reloger une partie des migrants qui séjournent actuellement dans des bâtiments abandonnés ou dans les rues de Bihać.
    SEULS DANS LE FROID
    « Dans une période particulièrement critique pour le monde entier, au lieu de chercher des moyens d’aider, d’apaiser tout le monde, de réveiller la solidarité, de survivre, les autorités de Bosnie-Herzégovine et du canton d’Una-Sana construisent des camps », déplore la journaliste Nidžara Ahmetašević, membre active du groupe Soutien aux réfugiés en Bosnie-Herzégovine. « Bien entendu, ils sont encouragés par ce qui se fait en UE et par la manière dont de nombreux États membres traitent les gens. C’est si inhumain qu’on ne peut le comparer qu’avec ce qui a été fait en Bosnie-Herzégovine au début des années 1990. La Krajina est une région désertée. Il y a suffisamment de locaux pour fournir à ces gens un logement décent, des hôtels qui vont rester vides un certain temps, des écoles qui ne vont certainement pas rouvrir avant la prochaine année scolaire. Faire ce genre de choses a pour but non seulement d’humilier ces malheureux, mais également de montrer à tous les habitants de Bosnie-Herzégovine ce qui les attend s’ils ne vivent pas selon les règles des dominants. Finir seuls et abandonnés dans le froid. »
    “C’est peu dire qu’ils ne nous facilitent pas la tâche pour nous nourrir, il faudrait dire qu’ils nous affament”
    Ces jours-ci, de nombreuses supérettes de Bihać ont interdit l’entrée aux migrants, compliquant encore plus leur approvisionnement en nourriture en ces temps difficiles. « C’est peu dire qu’ils ne nous facilitent pas la tâche pour nous nourrir, il faudrait dire qu’ils nous affament », commente Faris, un jeune Afghan qui loge dans un bâtiment abandonné en ville où il dort à même le béton depuis des mois. Dans les camps, il n’y a pas de place pour tout le monde. Les réfugiés et migrants qui logent dehors dépendent de l’aide de quelques bénévoles épuisés depuis longtemps et qui, avec la fermeture des frontières, ne peuvent plus recevoir d’aide d’autres pays. Depuis peu, le couvre-feu est également en vigueur, il est de plus en plus difficile de sortir de chez soi, de circuler en ville et d’apporter l’aide nécessaire.
    Tandis que l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) se targue sur sa page Facebook « de procéder à une désinfection supplémentaire quotidienne du matériel dans les centres d’accueil, d’organiser des opérations de nettoyage, de faire respecter la distance de sécurité entre les gens lors de la distribution de nourriture et autre produits, de faire en sorte que les draps et couvertures soient envoyés plus régulièrement à la laverie, et d’organiser des réunions d’information pour le personnel sur les dernières consignes de l’OMS », des vidéos nous arrivent du camp de Bira, géré par l’OIM, où les migrants sont regroupés à l’extérieur dans le froid glacial pendant la désinfection du camp.
    « Je ne suis pas bien dehors, mais ce n’est pas mieux dans les camps », raconte Faris. « Mes amis du camp me disent qu’ils ont faim, qu’on leur donne de moins en moins à manger. Ils n’ont pas non plus le droit de sortir à cause du virus, si bien qu’ils ne peuvent rien acheter ni recevoir de la part des bénévoles dehors. La nourriture qu’on leur donne n’est pas bonne pour l’immunité, c’est toujours du pain avec un truc à tartiner, ou bien des pâtes sans sauce. »
    L’eau chaude et le savon, les contacts physiques à éviter et l’utilisation de désinfectant sont des thèmes secondaires par rapport aux estomacs vides, aux matraques de la police, aux doigts gelés... Depuis un an, les migrants qui se dirigent vers Bihać par la nationale sont souvent arrêtés dans le village de Velečevo, dans la commune de Ključ. Il y a quelques jours, la Croix-Rouge de Ključ a annoncé qu’une petite fille de sept ans se trouvait depuis déjà dix jours dans cette localité avec ses parents venus d’Iran. Arrivés avec un groupe d’une trentaine de migrants, ils logeaient dans une petite tente, dépourvue des conditions de base, hygiéniques et autres, pour un séjour long.
    UNE MEILLEURE SOLUTION ?
    Des citoyens serbes ont aussi pu ressentir intimement la réalité des camps : à cause de la pandémie, la Serbie a en effet logé les Serbes rapatriés de l’étranger dans les camps de Morović et de Subotica. Ce dernier camp était précisément utilisé ces dernières années pour loger les migrants. « Il y a dix lits superposés dans chaque chambre, elles sont petites, nous sommes les uns sur les autres », témoigne un ressortissant serbe confiné dans ce centre. « Les salles de bains et les sanitaires sont collectifs. Au moins deux ou trois WC et douches sont en mauvais état. Il y a des cafards dans toutes les chambres. Les oreillers sont tachés, il y a des trous dans les draps. » « Il fait froid dans les parties communes, et là où se trouvent les douches et les toilettes, il fait si glacial que je porte trois paires de chaussettes dans mes tennis », raconte un autre. Suite aux nombreuses plaintes, le Président Aleksandar Vučić a déclaré qu’il fallait trouver une meilleure solution.
    Peut-être les autorités vont-elles trouver une meilleure solution. Ce ne devrait pas être si difficile, car il y a actuellement de nombreux locaux vides : hôtels, auberges de jeunesse, salles de conférences, écoles, complexes sportifs et de loisirs… Le problème est que si une meilleure solution est trouvée, elle ne concernera que les citoyens du pays. La réalité quotidienne des réfugiés et des migrants, elle, restera inchangée. Entrée interdite dans les magasins, barbelés, rêves d’eau chaude et de savon, promiscuité dans les camps, un bout de pain en guise de dîner, doigts gelés et regards hostiles. Qui se révoltera devra se préparer, comme l’a dit Nidžara Ahmetašević, à finir seul et abandonné dans le froid.

    https://www.courrierdesbalkans.fr/Balkans-le-coronavirus-double-peine-pour-les-migrants

    #Covid-19 #Migration #Migrant #Balkans #Croatie #Bosnie-Herzégovine #Serbie #Camp #Subotica #Bihac #Zagreb #Hotelporin #Morovic

  • Border Violence Monitoring Network - Report July 2019

    The Border Violence Monitoring Network just published a common report summarizing current developments in pushbacks and police violence in the Western Balkans, mainly in Bosnia-Herzegovina, Montenegro and along the Serbian borders with Croatia and Hungary.

    Due tu a new cooperation with the Thessaloniki-based organisation Mobile Info Team, we were also able to touch on the Status quo of pushbacks from and to Greece.

    This report analyzes, among other things:

    – BiH politicians’ rhetoric on Croatian push-backs
    – Whistleblowers increasing pressure on Croatian authorities
    – Frontex presence in Hungarian push-backs to Serbia
    – The use of k9 units in the apprehension of transit groups in Slovenia
    – The spatial dispersion of push-backs in the Una-Sana Canton

    Competing narratives around the legality of pushbacks have emerged, muddying the waters. This has become especially clear as Croatian president Grabar-Kitarovic admitted that pushbacks were carried out legally, which is contradictory to begin with, and that “of course […] a little violence is used.” Croatia’s tactic of de facto condoning illegal pushbacks is similar to Hungary’s strategy to legalize these operations domestically, even though they violate international and EU law. On the other side of the debate, a whistleblower from the Croatian police described a culture of secrecy and institutional hurdles, which prevent legal and organizational challenges to the practice. The role of the EU in this debate remains critical. However, despite paying lip service to the EU’s value, Brussels’ continues to shoulder the bill for a substantial part of the frontier states’ border operations.

    https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/July-2019-Final-Report.pdf

    #frontières #violence #push-back #refoulement #route_des_Balkans #Frontex #Subotica #Bosnie-Herzégovine #Croatie #Italie #Serbie #Hongrie #rapport

    • Croatia Is Abusing Migrants While the EU Turns a Blind Eye

      The evidence of Croatian police violence toward migrants is overwhelming, but Brussels continues to praise and fund Zagreb for patrolling the European Union’s longest external land border.

      BIHAC, Bosnia and Herzegovina—Cocooned in a mud-spattered blanket, thousands of euros in debt, and with a body battered and bruised, Faisal Abas has reached the end of the line, geographically and spiritually. A year after leaving Pakistan to seek greener pastures in Europe, his dreams have died in a rain-sodden landfill site in northern Bosnia. His latest violent expulsion from Croatia was the final straw.

      “We were just a few kilometers over the border when we were caught on the mountainside. They wore black uniforms and balaclavas and beat us one by one with steel sticks,” he recalled. “I dropped to the ground and they kicked me in the belly. Now, I can’t walk.”

      Faisal rolled up his trousers to reveal several purple bruises snaking up his shins and thighs. He has begun seeking information on how to repatriate himself. “If I die here, then who will help my family back home?” he said.

      The tented wasteland outside the Bosnian city of Bihac has become a dumping ground for single male migrants that the struggling authorities have no room to accommodate and don’t want hanging around the city. Bhangra music blasts out of a tinny speaker, putrid smoke billows from fires lit inside moldy tents, and men traipse in flip-flops into the surrounding woods to defecate, cut off from any running water or sanitation.

      A former landfill, ringed by land mines from the Yugoslav wars, the hamlet of Vucjak has become the latest squalid purgatory for Europe’s largely forgotten migrant crisis as thousands escaping war and poverty use it as a base camp to cross over the Croatian border—a process wryly nicknamed “the game.”

      The game’s unsuccessful players have dark stories to tell. A young Pakistani named Ajaz recently expelled from Croatia sips soup from a plastic bowl and picks at his split eyebrow. “They told us to undress and we were without shoes, socks, or jackets. They took our money, mobiles and bags with everything inside it, made a fire and burnt them all in front of us. Then they hit me in the eye with a steel stick,” he said. “They beat everyone, they didn’t see us as humans.”

      Mohammad, sitting beside his compatriot, pipes up: “Last week we were with two Arabic girls when the Croatian police caught us. The girls shouted to them ‘sorry, we won’t come back,’ but they didn’t listen, they beat them on their back and chest with sticks.”

      Down the hill in Bihac, in a drafty former refrigerator factory turned refugee facility, a metal container serves as a quarantine area for the infectious and infirm. Mohammad Bilal, a scrawny 16-year-old, lies on a lower bunk with his entire leg draped in flimsy bandage. Three weeks ago, at the cusp of winning the game and crossing into Italy, he was seized in Slovenia and then handed back to Croatia. That’s when the violence began.

      “They drove us in a van to the Bosnian border and took us out one at a time,” he said, describing the Croatian police. “There were eight police, and one by one they beat us, punching, kicking, hitting with steel sticks. They broke my leg.”

      A nearby Bosnian camp guard grimaced and wondered out loud: “Imagine how hard you have to hit someone to break a bone.”

      Among the fluctuating migrant population of 7,000 thought to be in the area, vivid descriptions of violent episodes are being retold every day. The allegations have been mounting over the last two years, since Bosnia became a new branch in the treacherous Balkan migratory route into Europe. Denunciations of Croatian border policy have come from Amnesty International, the Council of Europe, Human Rights Watch, and a United Nations special rapporteur. Officials in Serbia have even alleged “physical and psychological torture” by Croatia’s police forces.

      In November 2018, the Guardian published a video shot by a migrant in which haunting screams can be heard before a group of migrants emerge from the darkness wild-eyed and bloodied. A month later, activists secretly filmed Croatian police marching lines of migrants back into Bosnian territory.

      Croatian President Kolinda Grabar-Kitarovic even appeared to let the cat out of the bag in an interview with the Swiss broadcaster Schweizer Radio und Fernsehen, during which she remarked that “a little bit of force is needed when doing pushbacks.” Despite the videos showing injured migrants, explicit video evidence of Croatian officials carrying out actual beatings has never been seen, and migrants report that one of the first commands by border guards is to surrender mobile phones, which are then either taken or destroyed before a thorough search is performed.

      The abuse appears to be rampant. Both the violence and humiliation—migrants are often forced to undress and walk back across the border to Bosnia half-naked for several hours in freezing temperatures—seem to be used as a deterrent to stop them from returning. And yet the European Union is arguably not only facilitating but rewarding brute force by a member state in the name of protecting its longest land border.

      In December 2018, the European Commission announced that it was awarding 6.8 million euros to Croatia to “strengthen border surveillance and law enforcement capacity,” including a “monitoring mechanism” to ensure that border measures are “proportionate and are in full compliance with fundamental rights and EU asylum laws.”

      According to European Commission sources, a sum of 300,000 euros was earmarked for the mechanism, but they could not assess its outcome until Croatia files a report due in early 2020. Details of oversight remain vague. A spokesperson for the United Nations refugee agency in Croatia told Foreign Policy that the agency has no involvement. The Croatian Law Center, another major nongovernmental organization, also confirmed it has no role in the mechanism. It appears to be little more than a fig leaf.

      https://foreignpolicy.com/2019/12/06/croatia-is-abusing-migrants-while-the-eu-turns-a-blind-eye
      #Slovénie

    • AYS Special 2019/2020: A Year of Violence — Monitoring Pushbacks on the Balkan Route

      In 2019, The Border Violence Monitoring Network (BVMN) shared the voices of thousands of people pushed back from borders on the Balkan Route. Each tells their own tale of illegal, and regularly violent, police actions. Each represents a person denied their fundamental rights, eyewitnesses to EU led reborderization. This article shares just some of the more startling trends which define border management on the eve of 2020, such as the denial of asylum rights, systemic firearms use, water immersion, and dog attacks.

      With a shared database of 648 reports, BVMN is a collaborative project of organisations with the common goal of challenging the illegal pushback regime and holding relevant institutions to account.

      “Pushback” describes the unlegislated expulsion of groups or individuals from one national territory to another, and lies outside the legal framework of “deportations”. On a daily basis, people-on-the-move are subject to these unlawful removals; a violent process championed by EU member states along the Balkan Route. In 2019, BVMN continued to shine a spotlight on these actions, perpetrated in the main part by states such as Croatia, Hungary, and Greece. Supporting actors also included Slovenia and Italy, and non-member states with the aid of Frontex which has seen its remit and funding widened heading into 2020.

      Volunteers and activists worked across the route in 2019 to listen to the voice of people facing these violations, taking interviews in the field and amplifying their calls for justice. Just some of the regular abuses that constitute pushbacks are listed below.
      Guns and Firearm Abuse

      The highest volume of BVMN reported pushbacks were from Croatia, a state which has been acting as a fulcrum of the EU’s external border policy in the West Balkans. It’s approximately 1300 kilometer long border with the non-member states of Bosnia-Herzegovina, Serbia and Montenegro have been a flashpoint for extremely violent pushbacks. Even in the challenging winter conditions, people make daily attempts to cross through the mountainous landscape of Croatia and are pushed back from the territory by a web of police actors who deny them the proper procedure and use crude physical abuse as a deterrent.

      Of major concern is the huge rise in gun use by Croatian officials against transit populations. In the first ten months of 2019 BVMN recorded 770 people who were pushed back by police officers who used guns to shoot or threaten. In November, shots were fired directly at transit groups, resulting in the near fatal wounding of one man, and causing a puncture wound in the shoulder of another. AYS reported on the shooting of two minors in 2017, showing this isn’t the first time guns were turned on unarmed transit people in Croatia.
      Dog Attacks and K9 Units

      The use of canine units in the apprehension and expulsion of transit groups is also a telling marker of the extreme violence that characterises pushbacks. Since the summer of 2019, a spike in the level of brutal dog attacks, and the presence of K9 units during pushbacks has been noted by BVMN. In a recent case, one man was mauled by a Croatian police dog for ten minutes under the direct guidance of the animals police handlers who laughed and shouted, “good, good”, as it almost severed a major blood vessel in the victim’s leg.

      Fortunately, the man survived, but with permanent injuries that he nurses still today in Bosnia-Herzegovina where he was illegally pushed back, in spite of his request for asylum and urgent physical condition. Sadly this is not an unfamiliar story. Across the route canine units remain a severe threat within pushbacks, as seen in cases recorded from North Macedonia to Greece where a man was severely bitten, or in chain a pushback from Slovenia where 12 unmuzzled police dogs traumatised a large transit group. Dogs as weapons are a timely reminder of the weighting of border policy towards violent aggression, and away from due legal access to asylum and regulated procedure.
      Gatekeeping Asylum Access

      K9 units and guns are ultra-violent policing methods that contribute directly to the blocking of asylum access. In the first eleven months of 2019, over 60% of Croatian pushbacks to Bosnia-Herzegovina saw groups make a verbal request for asylum. Yet in these cases, group members were pushed back from the territory without having their case heard, in direct contravention of European asylum law.

      Croatian authorities, along with a host of other states, have effectively mobilised pushbacks to remove people from their territories irrespective of claims for international protection. A host of actors, such as police officers and translators have warped the conditions for claiming asylum, regularly coercing people to sign removal documents, doctoring the ages of minors, or avoid any processing at all by delivering them to the green border immediately where they are pushed back with violence. Slovenia are also participants in this chain of asylum violation, seen most brutally in a case from July when pepper spray was used to target specifically the people who spoke out asking for asylum.
      Wet Borders: River Pushbacks

      Most pushbacks occur at remote areas of the green border, especially at night, where violence can be applied with effective impunity. A particular feature of police violence on the border is the weaponisation of rivers to abuse groups. Monitoring work from September revealed 50% of direct pushbacks from Croatia involved respondents being forced into rivers or immersed in water. This is accompanied regularly by the stripping of people (often to their underwear) and burning of their possessions. Then, police officer push them into the rivers that mark the boundary with Bosnia-Herzegovina (often the Glina and Korana), putting people at a high risk of drowning and hypothermia.

      A recent case from November combined the use of firearms with this dangerous use of wet borders. A group of Algerians were pushed into a river by Croatian officers who were returning them to Bosnia-Herzegovina.

      The respondent recalled how: “They pushed me into the river and said, ‘Good luck.’”, while the officers fired guns into the air.

      Meanwhile in the Evros region of Greece, the river border is used regularly to pushback people-on-the-move into Turkey. As in Croatia, the incidents often occur at night, and are carried out by officials wearing ski masks/balaclavas. Taken by force, transit groups report being loaded violently onto small boats and ferried across to the Turkish side. This regular and informal system of removal stands out as a common violation across Greece and the Balkan area, and raises major concerns about the associated risks of water immersion given the high levels of drowning which occur in the regions rivers.
      2019 at the EU’s Doorstep

      Border management on the Balkan Route has systematised a level of unacceptable, illegal and near fatal violence.

      The trends noted in 2019 are an astonishing reminder that such boundaries are no longer governed by the rule of law, but characterised almost entirely by the informal use of pushback violations.

      Gun use stands out as the most extreme marker of violence within pushbacks. But the shooting of weapons sits within a whole arsenal of policing methods that also include blunt physical assault, unlawful detention, abuse during transportation, taser misuse and stripping. Though Croatia emerged as a primary actor within BVMN’s dataset, common practive between EU member states were also clear, as across the region: Hungary, Slovenia and Greece continued to target people-on-the-move with a shared set of illegal and violent methods. The new interventions of Frontex outside of EU territory also look to compliment this reborderisation effort, as non-member states in the Western Balkans become integrated into the pushback regime.

      The Border Violence Monitoring Network will continue to elevate the brave voices of those willing to expose these violent institutions. Their stories are a testament to the dire situation at Europe’s borders on the eve of 2020, and accountability will continue to be sought.

      https://medium.com/are-you-syrious/ays-special-2019-2020-a-year-of-violence-monitoring-pushbacks-on-the-balkan-
      #2019 #chiens #armes #armes_à_feu

  • VIOLENCE REPORTS

    The collective expulsion and violent return of asylum seekers to the Bosnian border surrounding #Velika_Kladuša is a routine occurrence. Men, women, and even children regularly return from their attempts to cross through Croatia and Slovenia with split lips, black eyes, and broken bones. The search for safety and asylum is all too often met with police batons and closed fists.

    The brutal practices of the Croatian police are against international laws and directives. Firstly, the beating and deportation of all people on the move, both irregular migrants and asylum seekers, is against the prohibition of collective expulsion (Article 4 Protocol 4 ECHR*), and the absolute prohibition of torture and non-humane or degrading treatment or punishment (Article 3 ECHR*).

    Secondly, according to the EU Directive on Asylum Procedures (2005/85/EC), all people on the move are entitled to information about asylum, translation assistance, the ability to present their case to a competent authority, notification of the outcome, and the right to appeal a negative decision (1). But most importantly, viewing people searching safety as mere illegal numbers and dangerous bodies pushes them to a grey zone. Within this grey zone, they are stripped of the right to have rights, resulting in their humiliation without legal consequence, leaving perpetrators unrecognisable and unpunished.

    Thousands of lives are being slowly destroyed while the EU community silently overlooks the brutality of its own border regime, absolving itself of any real sense of responsibility.

    To this end, No Name Kitchen, in coordination with several other independent groups operating in the area, has been engaged in the collection and presentation of the violence which occurs at Europe’s doorstep. In this capacity, we collect the testimonies of victims of border violence and present them to a variety of actors within the field in the hopes of highlighting the systematic nature of this violence. The methodological process for these reports is centered on leveraging the close social contact that we have as independent volunteers with refugees and migrants to monitor pushbacks from Croatia. When individuals return with significant injuries or stories of abuse, one of our violence monitoring volunteers will sit down with them and collect their testimonies. We collect hard data (dates, geo-locations, officer descriptions, photos of injuries/medical reports, etc.) but also open narratives of the abuse.

    http://www.nonamekitchen.org/en/violence-reports

    Lien pour télécharger le rapport :


    http://www.nonamekitchen.org/wp-content/uploads/2019/01/Finished-Border-Violence-on-the-Balkan-Route.pdf
    #violence #rapport #route_des_balkans #Balkans #asile #migrations #réfugiés #Bosnie #frontières #Croatie #Slovénie

    • Garaža za mučenje migranata

      “Policija je dovela njih sedmero u garažu u Korenicu, gdje su im oduzeli sve stvari. Slomili su im mobitele, uništili punjače. Uzeli su im novac, cigarete i hranu. Kad su skinuli odjeću policajci su ih počeli tući rukama, laktovima, nogama”. U posljednjih pola godine pojavila su se višestruka svjedočanstva koja ukazuju na to da hrvatska policija pritvara i muči izbjeglice i migrante u garaži u policijskoj postaji u Korenici. Garaža s plavim vratima, u kojoj, kako se opisuje u svjedočanstvima, izbjeglice i migranti bivaju pretučeni i izgladnjivani, nalazi se svega par metara od dječjeg igrališta.

      U više izvještaja različitih organizacija, a najnovije i u posljednjem izvještaju Border Violence Monitoringa, opisuju se garažna mjesta za pritvaranja i zlostavljanje, koja po opisu mogu odgovarati policijskoj postaji u Korenici, koja je zbog blizina granice često u službi odvraćanja izbjeglica i migranta natrag u Bosnu i Hercegovinu.

      Prema posljednjim svjedočanstvima u travnju je grupa muškaraca iz Sirije, Alžira i Maroka, uhvaćena blizu granice sa Slovenijom, odvedena u garažu u Korenicu i zatim vraćena natrag u Bosnu i Hercegovinu. Izrazili su namjeru za službenim traženjem azila, ali im je odbijen pristup proceduri, iako na nju imaju zakonsko pravo.

      “Policija je dovela njih sedmero u garažu u Korenicu, gdje su im oduzeli sve stvari. Slomili su im mobitele, uništili punjače. Uzeli su im novac, cigarete i hranu. Jednoj su osobi uzeli čak i naočale. U prostoru je samo prljavi pod, bez deka, spužvi, wc-a. Morali su na njemu ležati, iako je bilo užasno hladno. Kad su skinuli odjeću policajci su ih počeli tući rukama, laktovima, nogama. Imali su i elektrošokere i pepper sprej, koje su koristili nekoliko puta. Svi su ljudi plakali”, stoji u svjedočanstvu.

      Prva svjedočanstva i opisi garaže pojavili su se u prosincu prošle godine, od strane migranata koji su nakon prelaska granice u Hrvatsku uhićeni, odvedeni u “garažu” pa protjerani natrag u Bosnu i Hercegovinu, bez da im je omogućeno pravo da u Hrvatskoj zatraže azil.

      U prosincu 2018. godine, kako je evidentirao Border Violence Monitoring, grupu Alžiraca je nakon prelaska granice pokupio kombi s policajcima u maskirnim uniformama, koji su izgledali kao vojska. Odveli su ih u garažu.

      “Policijska postaja je ispred garaže. Dvorište je između policijske postaje i garaže. Unutra je umiovaonik i grijalica, te svjetla na stropu. Prostorija je malena. Nema prozora, samo plava vrata”, stoji u opisu. Istaknuli su kako je bilo hladno te zbog hladnoće nisu mogli spavati. Policajci su, navodi se, s njima pričali nasilno te su im odbili dati hranu.

      Naposljetku su, s drugim migrantima koji su već bili u garaži, bez da im se omogući da zatraže azil, izbačeni u planinama i poslani da hodaju natrag u Bosnu satima. Kad su izišli iz kombija, policajci su naložili vatru u koju su bacili sve njihove stvari. “Jedan je policajac htio uzeti i deku u kojoj je bila umotana djevojčica iz iračke obitelji, ali ga je drugi policajac zaustavio da to ne napravi”, navodi se u svjedočanstvu. Vreće za spavanje i šatori su završili u plamenu.

      “Policija radi što hoće”, komentar je koji se učestalo čuje među brojnim izbjeglicama koji su više puta protjerani iz Hrvatske. Većina odvraćenih i protjeranih u Velikoj Kladuši, gradu blizu granice u kojem smo nedavno bili, žale se upravo najgorljivije na hrvatsku policiju.

      I mještani Velike Kladuše, pogotovo oni koji svakodnevno pomažu izbjeglicama i migrantima, ističu kako ljudi s granice dolaze izmučeni i gladni, nerijetko s modricama, ožiljcima, otvorenim ranama. “Svi ti prizori podsjećaju me na zadnji rat, jedino što nema bombardiranja”, komentira nam jedna mještanka. Nasilje koje provodi hrvatska granična policija tako je postalo svakodnevna tema.

      Krajem prošle godine pojavljuje se još jedno svjedočanstvo o “garaži”, u kojem stoji: “Stavili su nas u ćeliju, ali to zapravo nije ćelija, nego više kao garaža, s plavim vratima i pločicama. Ispred je parkiralište i policijska postaja”. “Kad nas je policija uhvatila, nisu nam dali ništa. Tamo je bio neki stari kruh, dosta star. Zatražio sam taj kruh, ali mi ga nisu dali”, opisuje jedan od migranata.

      Ponukani ovim svjedočanstvima i opisima garaže za mučenje, nedavno smo posjetili Korenicu. Na ulazu u Korenicu primjećujemo jedan policijski auto parkiran kraj šume, i policajca koji se upravo izvlači iz šume prema autu. Tijekom zimskih mjeseci mogli smo čitati kako “službenici postaje granične policije Korenice provode mjere pojačanog suzbijanja nezakonitih migracija”. U razgovoru s mještanima doznajemo kako su pojačane policijske snage u okolici u posljednje vrijeme, a izbjeglice i migrante se intenzivno traži po okolnim brdima.

      Prilikom našeg kratkog boravka u Korenici, ispred policijske postaje se izmijenio velik broj policajaca, dolazili su i odlazili autima i kombijima. Osim policajaca u redovnim uniformama, bilo je i obučenih u tamnozelene uniforme. U postaju dolaze i kombiji bez policijskih oznaka, a prisutni su i policajci u civilnoj odjeći.

      Prednji dio postaje sastoji se od velike zgrade s mnogo prozora, dok je unutarnji dio kompleksa ograđen i s malim dvorištem na kojem je parkirano nekoliko policijskih automobila i kombija, uz prostorije koje nalikuju na garaže, s plavim vratima. Te prostorije s jedne strane gledaju i na obližnje dječje igralište i na tom dijelu nema nijednog prozora. U dvorištu se nalaze i Toi Toi WC-i.

      U najnovijem svjedočanstvu koje je dokumentirao Border Violence Monitoring stoji: “Možemo ići samo dva puta dnevno na zahod, ujutro i navečer. Za ovo nas se vodi van u dvorište, gdje se nalaze tri plastična WC-a”, što ukazuje da postoji mogućnost da se radi upravo o ovoj policijskoj postaji. Aktivisti nam potvrđuju kako su svjedočanstva o “garaži” postala učestalija i sve detaljnija u opisima.

      I u svjedočanstvima iz ožujka izbjeglice i migranti navode kako su bili zatvoreni satima bez vode i hrane, te su iz nužde morali urinirati u kutu prostorije. “Bili smo kao kokoši. Ne želim se prisjećati tog trenutka. Bili smo poput životinja”, opisuje jedan migrant. “Pod je betoniran, hladno je, moramo spavati na njemu. Postoji samo jedna slavina za vodu i mali grijač na zidu. Vrata su plava i na njima je ispisano na mnogo jezika, datumi, imena i mjesta. Pakistanski, alžirski, marokanski, iranski, sirijski, odasvud”, opisuje se.

      Kad su pušteni iz pritvora garaže, kažu, policija ih je ostavila u planinskom području i poslala da hodaju kilometrima natrag prema Bihaću. Učestalo se spominje oduzimanje novca i mobitela i vrijednih stvari koje migranti sa sobom nose.

      Procedure odvraćanja izbjeglica i migranata obično se izvode iza zatvorenih vrata i u skrovitim područjima, čime se umanjuje rizik da će biti onih koji će im svjedočiti. Paralelu možemo povući i sa tzv. trećestupanjskim policijskim ispitivanjima.

      “Većina trećestupanjskih ispitivanja događala se tijekom pritvaranja na izoliranim lokacijama, uključujući policijske postaje, garaže, ponekad i hotele i mrtvačnice. Ali obično se takva mučenja događaju u pozadinskim sobama, incommunicado prostorijama, posebno dizajniranima u ove svrhe. U javnosti se postojanje takvih prostorija poriče, a njihovo održavanje zahtjeva šutnju čitavog sustava. Policija je rijeko kažnjavana za brutalne metode ispitivanja, korištene za izvlačenje priznanja, ali i da se ’nepoželjne’ otjera iz grada”, navodi se u radu Police Interrogation and Coercion in Domestic American History: Lessons for the War on Terror, Richarda A. Leoa i Alexe Koenig.

      “Ovakve prakse postaju sredstvo putem kojeg policija nadilazi svoju ispitivačku ulogu, pojačava svoju moć i zaobilazi ulogu koja je dizajnirana kako bi se spriječila koncentracija i zlouporaba moći od strane države”, zaključuju autori.

      Brutalne prakse zlostavljanja i prisilnih protjerivanja koje provode policijski službenici na hrvatskoj granici i o kojima sad već postoje kontinuirana i detaljna svjedočanstva, protivne su i domaćim i međunarodnim zakonima te direktivama.

      “Premlaćivanje i deportacija ljudi protivni su zabrani kolektivnih protjerivanja (Članak 4 Protokola 4 ECHR) i zabrani mučenja i nečovječnog ili ponižavajućeg postupanja ili kazni (Članak 3 ECHR)”, navodi se u Petom izvještaju o nezakonitim protjerivanjima i nasilju Republike Hrvatske, koji su nedavno objavile organizacije Are You Syrious?, Centar za mirovne studije i Incijativa Dobrodošli.

      Vraćanje migranata u Bosnu i Hercegovinu bez uzimanja u obzir osobnih okolnosti svakog pojedinog slučaja, a posebice zanemarujući njihovu potrebu za međunarodnom zaštitom, pa čak i na izričito traženje azila, uporaba sredstava prisile te ponižavanje ozbiljna su povreda izbjegličkih i migantskih prava, ali i enorman prijestup MUP-a, na što je upozoravala i pučka pravobraniteljica.

      MUP-u smo uputili upit za komentar o opžubama za nasilje i mučenje od strane hrvatske policije, kao i za slučaj “garaže” koju se povezuje s policijskom postajom u Korenici. Upitali smo ih i jesu li, s obzirom na svjedočanstva koja se pojavljuju od prosinca, reagirali na optužbe i posvetili se detaljnoj istrazi i uvidu u potencijalne prijestupe i prekoračenja policijske ovlasti u Korenici. Do zaključenja teksta odgovor na upite nismo dobili.

      Kada su u pitanju optužbe za policijsko nasilje, u prijašnjim reakcijama iz MUP-a su isticali kako “prilikom postupanja prema migrantima policija poštuje njihova temeljna prava i dostojanstvo te im omogućuje pristup sustavu međunarodne zaštite, ukoliko im je takva zaštita potrebna, sukladno općim dokumentima o ljudskim pravima, regulativi EU-a te nacionalnom zakonodavstvu. Želimo naglasiti nultu stopu tolerancije ovog ministarstva na nezakonitu uporabu sredstava prisile od strane hrvatske policije naspram bilo koje populacije, kao i nultu stopu tolerancije nad neprocesuiranjem bilo kojeg kaznenog djela ili prekršaja počinjenog od strane policijskih službenika”.

      Kako je moguće da se u zemlji “nulte stope tolerancije na nezakonitu upotrebu sredstava prisile” kontinuirano pojavljuju svjedočanstva o garažama za mučenje? Ostaje nam zapitati se je li zaista moguće da su sva ova detaljna svjedočanstva, koja se u mnogočemu podudaraju, prikupljena u različitim vremenskim periodima, od ljudi čiji se putevi uglavnom nisu sreli, lažna? Volonteri i aktivisti koji prikupljaju svjedočanstva također se rotiraju i dolaze iz različitih organizacija, pa je i njihova “sugestivnost” faktor koji bi se moglo prekrižiti.

      Garaža za mučenje mali je prostor, ali je bijeg od suočavanja s njenim postojanjem velik i indikativan. Arundhati Roy piše: “Ne postoje oni koji nemaju glas. Postoje samo oni koji su namjerno ušutkani i oni koje biramo da ne čujemo.”

      https://www.h-alter.org/vijesti/garaza-za-mucenje-migranata
      #Korenica

      Commentaire reçu par email de Inicijativa Dobrodosli, le 22.05.2019 :

      H-alter published a text based on refugee testimonies and previously published reports of torture in a blue-coloured door garage that may correspond to the description of the police station in Korenica, located near the children’s playground. The testimonies describe denial of food, limited use of toilet and physical violence that occurs not only at the border but also in the depths of the Croatian territory.

    • ‘Nobody Hears You’ : Migrants, Refugees Beaten on Balkan Borders

      Migrants and refugees say they continue to face violence at the hands of police while trying to cross the Balkan peninsula.

      It was supposed to have closed. But migrants and refugees from the Middle East, Asia and Africa are still crossing the Balkan peninsula en route to Western Europe. Many report brutality at the hands of the police.

      In April this year, some 3,600 migrants and refugees – mainly from Afghanistan and Iran – were registered in Serbia, according to the United Nations refugee agency, UNHCR.

      Bosnia last year registered 25,000, though only 3,500 chose to stay in the country while the rest crossed quickly into European Union member Croatia.

      No Name Kitchen, NNK, an NGO assisting migrants and refugees, says police violence is on the rise.

      Between May 2017 and May last year, NNK recorded 215 reported cases of push-backs by Croatian police to Serbia, of which 45 per cent involved physical violence.

      Between May 2017 and December last year, there were 141 push-backs from Croatia to Bosnia, NNK reported, of which 84 per cent involved violence.

      Croatian authorities denied police used violence against migrants and refugees, telling BIRN that such accusations were often made up.

      BIRN journalists spoke to a number of refugees and migrants in Serbia, Bosnia and Slovenia about their experiences with Croatian police. Most chose to be identified only by their first names.

      Ahmed: ‘Nobody hears you’

      “They make the music loud and start beating us, one by one. With sticks, electrical sticks…,” said Ahmed, a Moroccan who had spent the past month in a migrant camp in the small Serbian border town of Sid.

      Ahmed said he had tried several times to cross the nearby border into Croatia, running a gauntlet known among migrants and refugees as ‘The Game’, but had been turned back each time by Croatian police.

      “I’ve been captured and they turn me back, beat me and turn me back,” he told BIRN. “They would come out from the car, one by one and they start, like that until you scream and nobody hears you,” he said.

      Ali: ‘Police have no heart’

      Ali and a group of friends had made it into Croatia from Bosnia in April and walked for six days in the direction of Slovenia.

      “Police officers, they caught us and after that, they brought us in the police station and we were for four hours in the police station like a prisoner and after that… they beat us,” he told BIRN in the northwestern Bosnian town of Bihac, a hub for migrants and refugees trying to cross the Croatian border.

      “Police have no heart. They don’t want to see that the guys are human. It’s really horrible.”

      Nue: ‘I don’t have a country’

      Some of those BIRN spoke to said they were fleeing repression in their own countries.

      Nue, a Palestinian now also stuck in Sid, said: “My country, I don’t have a country because I am from Palestine… I have ID just to say I am from Palestine.”

      Nue said that when he tried to cross the border, he was caught by the Croatian police. He pointed to a cut on his head.

      “When he’s [the police officer] catching me, he does like this,” he said, imitating being beaten. “I have to just stay in the tent because maybe I have a problem in my head because [the beating was] very strong.”

      Nue said he was now sleeping in the street.

      Another man, in the centre of Sid, said police were also violent towards his wife, who was nine months pregnant when BIRN spoke to the couple.

      “They don’t care if she’s pregnant or not,” he said. “There is no human qualities in them, you understand. I never seen such people.”

      Muhamed: Old and new injuries

      Muhamed, from Tunisia, said he had been in Serbia for six weeks having been beating by police on the Croatian border.

      “They done with you everything,” he said, and showed injuries he said were inflicted the day before by Croatian police.

      Muhamed said he was beaten for 10 minutes and then sent back to Serbia.

      “Everytime, doing this, everytime, look, this old and this new,” he said, pointing to the bruises and cuts.

      Khalid: It was necessary

      In a migrant camp in Slovenia, Khalid, from Eritrea, said he had been deported back to Bosnia eight times.

      “I came to Ljubljana by walk,” he said.

      “[Croatian police] deported me eight times – four times to [Velika Kladusa] and four times to Bihac. They beat us, and they take [our] phones. They make many things.”

      Though he personally had not faced violence, Khalid said he knew of many others who had.

      “All the people now, they forget everything because they crossed the borders and also we have to tell them sorry, we cross your country… It was necessary to do it.”

      Activist: ‘It’s worse and worse’

      Diego Menjibar, an activist with No Name Kitchen, told BIRN:

      “They are beaten by batons in borders. Also, with fist, kicking them. We have a lot of cases every week of people beaten with batons, with physical violence, also verbal violence and some of them, they also passed out while they [were] beat, so we have a doctor here.”

      Menjibar spoke in a disused factory in Sid that is now filled with tents for migrants and refugees. Roughly 100 pass through the camp each day.

      “We talk with the people in the squat and we listen what they say and every time it’s worse and worse,” he said.

      Beaten around the legs

      In April, Swiss broadcaster SRF and the crew of the TV programme “Rundschau” spent three weeks in the fields on the Bosnian-Croatian border speaking to migrants and refugees in the moment after they were turned back by Croatian police.

      “I was literally running after these people when they came down [after being deported],” SRF journalist Nicole Vögele told BIRN. “I was aware that now what we really need is a full line of evidence.”

      In May, SRF broadcast a piece showing Croatian police pushing back migrants and refugees into Bosnia. Vögele said many sustained injuries to their legs from being beaten by police with sticks.

      “Most of them were showing me the [lower] parts of the legs,” Vögele said. “Two days later, I asked them if they have same traces because just an hour after the beating, as you can imagine you can see a bit of red. But two days later it is clearly visible.”

      In the SRF report, an Afghan family, including small children, spoke of bring stopped in the forest by Croatian policemen.

      “They pointed their guns at us and said ‘Stop’. We were very scared and cried,” said the oldest of the children. When the family asked for asylum, the police officers laughed and said that they would be given “Bosnian asylum” – meaning that they would be deported back to Bosnia.

      Injuries

      The Serbian-based NGO Asylum Protection Centre has also gathered extensive evidence of Croatian police brutality.

      In late April, Rados Djurovic, the director of the centre, said instances of violence were on the rise.

      The NGO has also gathered evidence of migrant families, including children, being starved and exhausted and illegally pushed back into Serbia by Hungarian police.

      Police denial

      The office of the Croatian ombudsperson said it had acted in more than 50 cases concerning refugees and migrants.

      The cases “often involve complaints on various grounds, including police treatment,” the office said in a written reply to BIRN.

      Most complaints concerned Croatian and Hungarian police.

      “The complaints relate to various types of violence, from hits by hands and sticks to the bite of official dogs,” the office said.

      The local health centre in Bihac, in northwestern Bosnia, said it saw up to 10 cases of violent injuries each month, “but injuries are done by various subjects, i.e. the internal conflicts of migrants, third parties and / or police”.

      Croatia’s interior ministry said it had looked into all complaints of alleged coercive measures against migrants and that none had warranted further criminal investigation.

      “In all these cases, detailed field inspections were carried out in police administrations, and so far in none of the cases have been found that police officers are using forced means against migrants,” it told BIRN.

      The ministry stressed its respect for the fundamental rights and dignity of migrants and that it used “prescribed procedure for returning to the country from which they illegally entered into the Republic of Croatia.”

      “Migrants are most often falsely accusing police officers of violence, expecting such accusations will help them with a new attempt to enter the Republic of Croatia and continue their journey towards the destination countries,” it said.

      In Bosnia, a police spokesman in the Una-Sana canton, where Bihac is located, said police had not received any complaints of violence against migrants and refugees by Bosnian police.

      https://balkaninsight.com/2019/06/13/nobody-hears-you-migrants-refugees-beaten-on-balkan-borders

    • Un monde de murs : en Bosnie, la matraque et les poings comme frontière

      L’Europe a fait tomber ses murs mais bétonne ses frontières. Depuis 2018, des milliers de personnes tentent de traverser le corridor croate depuis la Bosnie pour atteindre l’espace Schengen. Migrants et ONG dénoncent des refoulements ultra-violents.

      Le camp de #Vučjak est situé sur une ancienne décharge. D’après le responsable de la Croix-Rouge, du méthane s’échappe du sol dans certaines zones. Autour des terrains empruntés chaque jour par les migrants sont susceptibles d’abriter des #mines_antipersonnel. - Kristof Vadino.

      Ici, on appelle ça le « #game ». Tenter de franchir la frontière entre la Bosnie et la Croatie et atteindre la Slovénie puis l’Italie sans se faire pincer. Le « game », Anwar peut en parler : il a « joué », il a perdu. Ils sont un petit groupe d’adolescents pakistanais et afghans dans le coin d’une grande tente du camp de Vučjak, dans les montagnes du nord de la Bosnie, à manger à même le sol le deuxième (et dernier) repas de la journée. Certains sont majeurs. « La police a tout pris : mes vêtements, mes chaussures… Ils ont tout jeté dans le feu. Et puis, ils ont frappé, fort », raconte le jeune Pakistanais. Parce qu’on demande, il précise : coups de poing, coups de pied, coups de matraque. « Ils nous ont poussés dans la rivière, l’eau était vraiment très froide, mais ils nous ont forcés à rester là deux heures. Ensuite, on a dû monter dans un véhicule et ils ont mis la climatisation à fond. » Ils ont été renvoyés pieds nus dans la forêt.

      Si, à vol d’oiseau la frontière n’est qu’à quelques kilomètres du camp, il faut plusieurs heures de marche pour passer la montagne, notoirement habitée par loups, serpents et ours (un psychologue croate de Médecins du Monde raconte avoir suivi une enfant traumatisée après que sa famille a été prise en chasse par un ours). Cette fois-ci, Anwar s’en sort bien, des contusions mais pas de blessures. Celle d’avant, au tibia, a cicatrisé. Une fois, il est parvenu à marcher pendant dix jours en Croatie. Il approchait de la frontière slovène lorsqu’on l’a attrapé. « A chaque fois, ils nous lâchent dans la montagne quand ils nous ramènent. » Les violences ? « Toujours. » Un ami l’a dépanné d’une paire de chaussures et de vêtements, mais il faudra quelque temps avant de réunir à nouveau le matériel nécessaire pour camper dans la « jungle » le long des routes croates. Avant d’avoir une opportunité avec les passeurs aussi. Le tarif : 1.200 euros – payables à l’arrivée – pour rejoindre Trieste à pied depuis la Bosnie. L’option « taxi » est beaucoup plus sûre, mais trois à quatre fois plus chère.

      « C’est dur », mais pas question de dévisser de l’objectif. « Inch Allah, je retenterai et je rejoindrai la Belgique », assure Anwar, dans un grand sourire fayot. « Il n’y a pas de vie pour nous au Pakistan. » Autour, les copains qui comprennent un peu l’anglais acquiescent, sérieux.
      Une petite équipe pour 700 hommes

      L’acharnement, c’est l’impossibilité de faire machine arrière : la dette contractée auprès de sa famille – les terres vendues, les sacrifices pour financer le voyage –, l’obligation de réussite. C’est aussi que, si violentes que puissent être les fins de partie, le « game » vaut le coup. Depuis 2018, un peu plus de 50.000 migrants sont entrés en Bosnie. D’après les chiffres de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), ils seraient actuellement autour de 7.000 sur le territoire ; 700 ont fait le choix de rentrer dans leur pays d’origine. Les autres sont vraisemblablement passés en Europe.

      Comme beaucoup, Anwar a passé quelques nuits devant les portes de Bira, le vaste entrepôt qui parque depuis un an plus de 1.500 hommes, mineurs isolés et familles à quelques kilomètres de là. Il est complet en permanence (1.800 personnes en ce moment). L’espace permettrait de rajouter des containers pour ouvrir 500 places supplémentaires, mais le gouvernement local restreint strictement la capacité. Les conditions sont rudes mais, à côté du camp « cauchemar » de Vučjak, c’est trois étoiles. « J’ai dit à la barrière de Bira que j’avais 17 ans », raconte Anwar. « Mais ils n’ont pas voulu que j’entre. » Il a fini par lâcher l’affaire et revenir au camp.

      Dans la tente des garçons, le container de la Croix-Rouge locale conserve les pains qui restent du petit-déjeuner. Les retardataires et retournés frappent régulièrement à la porte pour en récupérer. « It’s oooooopeeeeeen. » Affalé sur la table, le garçon aux traits tirés retire prestement le masque médical en se redressant. Mohamed Cehic gère la toute petite équipe de la Croix-Rouge qui tente tant bien que mal, seule, de répondre aux besoins des 700 hommes du camp. Cinq « volontaires » mobilisés sept jours par semaine. Il est épuisé. « Rien à voir avec le travail, j’ai juste mal dormi », assure le responsable. Avant de prendre les rênes du camp, il avait travaillé un mois dans les centres gérés par l’OIM, où la Croix-Rouge assure la distribution des repas. Et avant cela, il était à l’école. Il a 19 ans.

      « On fait tout : on a monté les tentes, on collecte et distribue la nourriture, les vêtements, tout », explique Mohamed Cehic. « Ce n’est pas un camp, je dirais plutôt un… site de transit. La situation n’est pas bonne. Ce n’est pas facile pour les gens. » Il est parfois interrompu par les puissantes rafales de vent qui rabattent pluie et branches contre la paroi du container. Reprend quand cela se calme. « L’hiver approche. C’est la montagne ici, il fait beaucoup plus froid qu’en ville. Ça va vite devenir très difficile. » Est-ce qu’il y a d’autres questions, parce qu’il devrait y aller là, il y a encore… beaucoup.
      « Si une solution n’est pas trouvée rapidement, les gens vont mourir »

      Dehors, les sollicitations reprennent. Deux hommes reviennent de l’unité mobile que Médecins sans frontières fait désormais venir quatre fois par semaine à un kilomètre de là (il n’y avait avant cela aucun accès à l’aide médicale). Ils ont un papier certifiant leur diagnostic : tuberculose. Il faut organiser leur transport à l’hôpital. Entendant parler de « docteur », d’autres arrivent. Un homme a le poignet blessé. « Police. » Il a improvisé un bandage avec un t-shirt déchiré et de la ficelle. Un autre encore ; une plaie suinte à travers le tissu à sa cheville. « C’est trop tard pour le docteur. Demain. » L’eau dans la tente ? « Je sais, on n’a rien pour réparer. » Médicament ? Vêtements ? Non ; plus tard : désolé, je ne peux rien faire ; demain. « Je ne sais pas si on pourra continuer comme ça », reconnaît Mohamed Cehic. « Les autorités ont dit que le camp fermerait le 15 novembre, mais honnêtement, je ne sais plus à qui faire confiance. » Même la nourriture manque. Dans son dernier rapport, la Croix-Rouge affirme ne pas parvenir à fournir les 2.200 calories minimum nécessaires. Le chef de mission de l’OIM, Peter Van der Auweraert, est, lui, plus catégorique : « Si une solution n’est pas trouvée rapidement, les gens vont mourir. »

      Vučjak n’a rien d’un camp spontané. Il résulte de la volonté du gouvernement cantonal d’éloigner les migrants des centres-villes et des habitations. Nouvellement empruntée, la route bosnienne a vu le nombre de migrants soudainement augmenter début 2018, passant de 1.116 personnes en 2017 à 23.848 l’année suivante. Même si un centre d’accueil existe à Sarajevo (saturé, comme les autres), la population se concentre dans le seul canton d’Una Sana, très proche de la Slovénie et de l’Italie. Ce qui a pesé sur la population. En l’espace de dix mois, la police du canton a ouvert 185 dossiers criminels à l’encontre de migrants, incluant un meurtre, trois tentatives de meurtre et des intrusions dans des maisons (« Plutôt en quête d’abris que de vol », nuance le porte-parole de la police). Des migrants étaient victimes dans 26 dossiers. Mais s’agissant de Vučjak, l’OIM et la plupart des autres organisations (y compris l’Union européenne, qui finance tous les centres) ont refusé de jouer le jeu. Le site, une ancienne décharge, n’a pas été testé pour sa toxicité. Sans eau courante, ni électricité, il est entouré de zones toujours susceptibles d’abriter des mines antipersonnel, résidus de guerre.
      Violences policières

      Seule la Croix-Rouge a répondu à l’appel du gouvernement et jongle depuis avec des bouts de ficelle. Enfin, des colsons pour l’heure, seul moyen de rabibocher les tentes déchirées par les intempéries. Au petit matin, les hommes transis de froid se rassemblent près des feux aux abords des tentes. Voire à l’intérieur. C’est dangereux, mais comme tout. Encore emmitouflé dans une mince couverture, un homme se lance dans une grande supplique à l’Union européenne. « Vous nous repoussez, d’accord, mais s’il vous plaît, arrêtez de nous punir. Arrêtez les violences. »

      La violence « supposée » de la police croate, toutes les personnes rencontrées qui sont revenues de la frontière disent en avoir fait l’expérience. Les estropiés qui « se sont fait mal » en tentant de traverser font désormais partie du paysage cantonal. Tant à Vučjak que dans les rues et les centres gérés par l’OIM. Comme Ghulem, 38 ans, croisé à Miral, le centre de Velika Kladusa, dans son fauteuil roulant. Lorsque ses amis l’ont ramené du « game » il y a un mois, incapable de tenir sur ses jambes, les médecins ont fait une radio. Mais on ne lui a jamais communiqué les résultats. Il peut légèrement les bouger maintenant, pas plus. Il a mal, surtout le soir. C’était sa première tentative. Un seul coup de matraque sous les genoux. Il y pense tout le temps. Des migrants racontent que la police tape toujours plus dur sur les Pakistanais – majoritaires en ce moment – sans qu’on sache pourquoi.

      Naeem était presque en Italie, lorsque la police slovène l’a intercepté et remis aux forces croates. Retour à la montagne. Le bâton a frappé tellement fort qu’il a creusé des trous dans la chair. Sa jambe a doublé de volume avec l’infection. Un mois plus tard, les plaies suintent encore à travers les pansements. Il a de la chance, il a accès à un docteur.
      Histoires de disparitions

      Contactée, la Commission européenne assure prendre la situation très au sérieux et attend que la Croatie la « tienne informée ». Fin 2018, Bruxelles débloquait une enveloppe de 6,8 millions d’euros pour permettre à la Croatie de renforcer le contrôle de ses frontières – condition pour une intégration future du pays dans l’espace Schengen – « dans le respect du droit de l’Union européenne ». Outre l’achat de matériel, la création de nouveaux postes-frontières et le renforcement des équipes, l’argent devait financer un « monitoring indépendant », censé essentiellement passer en revue les procédures en place. Quant aux violences policières et au déni d’asile, la Croatie « s’est engagée à enquêter sur toute allégation de mauvais traitement de migrants et réfugiés à la frontière ». Le ministère de l’Intérieur croate n’a pas donné suite à nos requêtes (refusant par ailleurs l’accès à un centre d’accueil de Zagreb).
      Quotidien de migrant

      Le monitoring se fait surtout du côté des ONG. Une poignée d’organisations actives dans les Balkans alimente continuellement le Border Violence Monitoring de rapports d’entretiens menés avec des migrants, souvent complétés de rapports médicaux corroborant les témoignages. De quoi conforter l’idée d’un usage systématique de la violence incluant torture par le froid, passage à tabac, destructions des biens et vêtements et, dans certains cas, des morsures de chiens, os brisés par des coups de bâton…

      L’angle mort pour l’heure, ce sont les disparitions. Dans les camps circulent de nombreuses histoires de noyade lors de la traversée de la Glina, la rivière qui sépare la Bosnie de la Croatie. Mais elles restent quasi impossibles à documenter. Alertées par les migrants, les ONG ont amené (poussé) la police bosnienne à découvrir trois corps – dont un dans la rivière – depuis le mois de septembre, induisant ainsi l’ouverture d’enquêtes. Depuis son lit superposé dans l’immense dortoir de Miral, un garçon essaie de se faire entendre, cherche du regard un Pakistanais capable de traduire. « S’il vous plaît, mes amis, ils sont restés là-bas. » Quatre jours plus tôt, il a laissé quatre compagnons dans les bois, à proximité de la frontière slovène, raconte-t-il. « Ils ont mangé des baies empoisonnées. Ils ne se sont pas réveillés. » Les informations lui manquent, il n’a pas de données GPS. « C’est près d’un village. S’il vous plaît. Il faut les aider. »

      Déni d’asile

      L.K.

      D’après les témoignages de migrants et d’organisations locales, de nombreux cas de refoulements se feraient depuis les commissariats de police croates, seuls endroits où les personnes peuvent déclarer leur intention de demander l’asile. « Il est déjà arrivé que des personnes viennent directement dans nos locaux, qu’on les renvoie vers les commissariats… et qu’elles se retrouvent en Bosnie le lendemain », raconte Tajana Tadic, de l’association citoyenne Are you Sirious. « Ça nous met dans une situation compliquée. C’est délicat de demander aux gens de faire confiance une autorité dont ils ont peur, tout en sachant qu’ils ont de bonnes raisons de se méfier. »

      La Croatie, cela dit, accueille des demandeurs d’asile. Des familles surtout. Médecins du Monde y assure le screening médical et les consultations psychologiques. « On constate essentiellement des maladies de peau, des blessures traumatiques et des problèmes respiratoires. Côté psychologique, leur esprit est encore tourné vers la route, l’urgence d’avancer. Ce n’est qu’après quelque temps que les problèmes apparaissent, quand ils sortent du “mode survie” », explique une psychologue. « On voit des symptômes dépressifs, des crises de panique, de l’anxiété, des troubles de stress post-traumatiques… »

      https://plus.lesoir.be/259302/article/2019-11-08/un-monde-de-murs-en-bosnie-la-matraque-et-les-poings-comme-frontiere
      #Vucjak #the_game #Cazin #Bihac #Vedika_Kladusa

    • Réfugiés en Bosnie-Herzégovine : à la frontière croate, le « game » a repris

      Bloqués depuis la mi-avril par les mesures de confinement liés à la pandémie, les candidats à l’exil sont de plus en plus nombreux à reprendre la route de Bihać pour tenter de passer en Croatie puis se diriger vers l’Europe occidentale. Malgré les violences, les humiliations et les actes de torture commis par la police, dénoncés par Amnesty international (https://www.amnesty.be/infos/actualites/article/croatie-violences-policieres-torture-infligees-migrantes)

      « Je vais en Italie. J’ai fait 100 km à pied pour arriver ici », raconte Velid, un Afghan. Trois jours plus tôt, il est parti du camp de Blažuj, près de Sarajevo, afin d’essayer de passer la frontière croate par Bihać, dans le nord-ouest de la Bosnie-Herzégovine. Velid dort dans des bâtiments abandonnés en attendant de tenter le « game ». « Je n’ai rien à boire ni à manger. Les conditions de logement sont mauvaises, sans eau, ni électricité. On a essayé d’aller dans un camp officiel, mais les gens de la sécurité nous disent qu’il n’y a pas de place pour nous. ». Velid est accompagné d’Abdul Samed, lui aussi venu de Blažuj avec l’objectif de rallier l’Italie.

      Muhamed Husein est Pakistanais. Il y a trois semaines, il logeait au camp Lipa, à 30 km de Bihać. Il a fini dans les locaux désaffectés de Krajinametal après avoir échoué à passer la frontière croate. « Nous sommes arrivés dans ce bâtiment. Nous n’avons pas d’eau, pas de chaussures. Le camp de Lipa est plein et de nouvelles personnes arrivent. Quand on essaie de pénétrer en Croatie, la police nous attrape et nous reconduit à la frontière. Mais nous, on veut aller en Italie. »

      Suite à l’assouplissement des mesures de lutte contre la pandémie, l’arrivée de réfugiés et de migrants sur le territoire du canton d’Una-Sana (USK) est en forte hausse. Selon les informations de la police locale, ces dix derniers jours, 1500 à 2000 nouveaux réfugiés et migrants seraient entrés dans le canton. « Chaque jour, entre 100 et 150 nouveaux migrants en moyenne arrivent dans notre canton en autocar, depuis Sarajevo, Tuzla et Banja Luka », confirme Ale Šiljededić, porte-parole de la police de l’USK. « Comme nous avons pu nous en assurer lors de nos contrôles, certains ont des cartes de camps en activité en Bosnie-Herzégovine, plus précisément à Sarajevo, ce qui signifie qu’ils en partent librement, sans le moindre contrôle ni surveillance. »

      Dans le canton de Bihać, les autorités sont inquiètes

      Selon les autorités municipales, l’augmentation des arrivées à Bihać réveille la crainte que la situation ne revienne à son état d’avant l’état d’urgence, quand les bâtiments abandonnés, mais également les parcs de la ville, étaient devenus des lieux de rassemblement et de vie pour les migrants faute de place dans les camps officiels saturés. « Il n’y a pas eu de nouvelles arrivées pendant la pandémie », précise Ale Šiljededić. « Nous avons vidé les bâtiments squattés et installé les migrants dans le camp Lipa. Ces jours-ci, ces espaces se remplissent à nouveaux, car les centres d’accueil affichent complet. »

      Selon les données de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), en charge de la gestion des camps officiels en Bosnie-Herzégovine, 3500 migrants séjournent actuellement dans les camps du Canton d’Una-Sana, dont 1200 dans le nouveau camp de Lipa. Autre problème pour les autorités municipales, le camp de Bira, situé dans la ville de Bihać, dont la fermeture traîne depuis des mois. D’après l’OIM, il accueille à l’heure actuelle quelque 610 migrants. « Bira doit fermer, c’est notre objectif à long terme, mais fermer Bira et avoir des milliers de migrants dans la nature et dans les rues, ce n’est pas non plus une solution », a déclaré le maire Šuhret Fazlić lors d’une conférence de presse le 4 juin.

      Sur la base des conclusions du Groupe opérationnel de suivi de la crise migratoire dans le Canton d’Una-Sana, la police contrôle les autocars qui entrent sur le territoire du canton. « Malheureusement, nous n’arrivons pas complètement à dissuader les migrants d’entrer dans le canton, car la majorité d’entre eux poursuit son chemin vers Bihać à pied ou par d’autres moyens », précise Ale Šiljededić.

      Les migrants ont le même objectif que les Bosniens

      Azra Ibrahimović-Srebrenica, directrice du camp d’Ušivak, près de Sarajevo, confirme que les migrants sont à nouveau en mouvement. Pendant le confinement, il y avait dans ce centre d’accueil dirigé par l’OIM environ 900 migrants, ils ne sont plus que 400 aujourd’hui. « Leur objectif n’est pas la Bosnie-Herzégovine, mais les pays d’Europe occidentale », rappelle-t-elle. « Toute surveillance de la direction du camp cesse quand les migrants les quittent », poursuit-elle. « D’après ce qu’ils nous disent, ils utilisent les transports publics, selon l’argent dont ils disposent. Certains paient leur voyage, et ceux qui ne peuvent pas s’acheter un billet partent à pied. »

      Les restrictions de déplacement des migrants sont-elles toujours en vigueur ? Pour l’OIM, « depuis l’adoption de la décision du Conseil des ministres sur la restriction des déplacements et du séjour des étrangers, qui a suivi l’annonce officielle de la pandémie de Covid-19, il est impossible de quitter les centres d’accueil temporaires de manière régulière ». Cette décision, adoptée le 16 avril, interdit les déplacements et le séjour des sans-papiers en dehors des centres d’accueil. Mais les migrants, comme l’a confirmé l’OIM, quittent en général les camps en sautant les barrières.

      La population locale est inquiète, « mais c’est principalement à cause des préjugés envers les migrants », affirme la directrice du camp Ušivak. L’objectif de ces derniers, rappelle-t-elle, est exactement le même que celui des citoyens bosniens qui quittent le pays : une vie meilleure. « Les gens se font des idées fausses et des préjugés sur la base de quelques individus problématiques. En réalité, nous avons dans nos centres des gens charmants, bien élevés, éduqués, cultivés, des sportifs talentueux, comme ce groupe de six footballeurs qui se sont entraînés avec le petit club près du camp. Nous avons aussi des musiciens, des enseignants, des médecins... » Selon les données de l’OIM, il y aurait actuellement sur l’ensemble du territoire de la Bosnie-Herzégovine, plus de 5700 migrants logés dans les sept centres d’accueil sous sa tutelle.

      https://www.courrierdesbalkans.fr/A-la-frontiere-Bosnie-Herzegovine-Croatie-les-migrants-tentent-de

  • Report: Western Balkans route not closed, just diverted via Bulgaria

    A report by a German think tank reveals the deficiencies of the deal with Turkey to stem the flow of refugees to Europe. Migration is on the menu of the two-day summit starting today (22 June).

    https://www.euractiv.com/section/justice-home-affairs/news/report-western-balkans-route-not-closed-just-diverted-via-bulgaria
    #route_des_balkans #asile #migrations #réfugiés #routes_migratoires #Bulgarie #rapport #refoulements #push-back #statistiques #chiffres

    Lien vers le rapport:
    The EU-Turkey Refugee Deal and the Not Quite Closed Balkan Route


    http://library.fes.de/pdf-files/bueros/sarajevo/13436.pdf
    #accord_UE-Turquie #Turquie #Grèce #nouvelle_route_des_balkans
    cc @i_s_

    • Bloqués en Serbie : les réfugiés perdus de la « route des Balkans »

      Malgré sa fermeture officielle, il y a bientôt deux ans, la « route des Balkans » est toujours active. Environ 5 000 réfugiés sont bloqués en Serbie qui, de pays de transit, s’est brutalement transformée en cul-de-sac. D’autres exilés continuent d’arriver, via la Turquie, la Grèce, puis la Macédoine ou la Bulgarie.

      Certains ont déjà essayé dix fois, quinze fois, de passer en #Hongrie, la porte d’entrée de l’espace Schengen. « La nuit, nous jetons des tissus sur les barrières de barbelés », poursuit Rauf. Ces tentatives répétées, les migrants ont fini par leur donner un nom : « #le_jeu ». Celui du chat et de la souris avec les forces de police qui patrouillent nuit et jour de l’autre côté de l’immense mur qui ceinture la frontière. La plupart se font vite rattraper. Au programme : prise d’identité et renvoi en Serbie, non sans un tabassage quasi systématique.
      #murs #barrières_frontalières #frontières

      C’est une ferme abandonnée, cachée derrière un bois touffu, au milieu de la plaine de Voïvodine, tout au nord de la Serbie, à quelques centaines de mètres de la frontière hongroise. Une cinquantaine de jeunes hommes vivent ici, s’entassant dans des pièces aux fenêtres depuis longtemps disparues. L’hiver, les températures descendent la nuit sous les – 10 °C.
      Pour se réchauffer, les migrants font brûler du bois et de vieux plastiques et entassent autant de couvertures qu’ils le peuvent. Rauf, originaire du Pendjab, n’a que 15 ans, mais cela fait plus d’un an qu’il est sur la route. « J’ai traversé le Pakistan, l’Iran, la Turquie, la Grèce, la Macédoine, la Serbie », explique-t-il. Son objectif ? Rejoindre Paris, où son père est installé.

      « Depuis plus d’un an, nos médecins et nos infirmières entendent les mêmes histoires décrivant des hommes battus et humiliés », détaille Stéphane Moissaing, le directeur de la mission de Médecins sans frontières (MSF) en Serbie. « La Hongrie, la Croatie, mais aussi la Bulgarie utilisent intentionnellement la #violence pour dissuader les migrants de demander l’asile dans l’Union européenne. Cela ne les décourage pas, mais cela leur cause de sérieux dégâts physiques, les rendant plus vulnérables encore », s’indigne-t-il.
      #vulnérabilité

      Une équipe mobile de MSF passe une fois par semaine dans les bois proches de la frontière. « Nous soignons des grippes, des infections respiratoires et intestinales, des maladies de peau dues aux mauvaises conditions d’hygiène, mais aussi les blessures provoquées par les coups et les morsures des chiens et des policiers », explique Iva, la doctoresse serbe de l’équipe. Autour de #Subotica, entre #Horgoš et #Bački_Vinogradi, ils sont plusieurs centaines à survivre dans les carcasses d’anciennes fermes, se regroupant par nationalités.
      Ce matin ensoleillé de janvier, l’ambiance est pourtant détendue. L’ONG allemande Rigardu a installé un camion-douche et un « salon de beauté », permettant aux migrants de se raser ou de se couper les cheveux. Au sol, des téléphones sont en train de se recharger, branchés sur le groupe électrogène apporté par les volontaires. Pour franchir la frontière, il est essentiel de compter sur les #passeurs : deux sont présents, négociant sans se cacher leurs services avec ceux qui ont un peu d’argent. Ils demandent 300 à 400 euros par personne, largement redistribués en pourboire à des policiers hongrois de connivence. En revanche, la police serbe est invisible et tolère le campement de migrants, à l’écart des villes.
      #violences_policières

      Selon Stéphane Moissaing, 1 000 à 1 500 migrants pénétreraient chaque mois en Serbie, majoritairement depuis la Macédoine et la Bulgarie, et autant en sortiraient. Depuis la fermeture officielle de la « route des Balkans », en mars 2016, les voies de passage demeurent globalement les mêmes, malgré le renforcement des moyens des polices locales et de ceux de #Frontex. En 2015 et 2017, le budget de l’agence européenne a été multiplié par deux, passant de 143 à plus de 280 millions d’euros.
      Pour déjouer ces mesures de sécurité, certains migrants tentent alors d’ouvrir de nouvelles routes. En 2017, 735 personnes en situation irrégulière ont été interpellées en #Bosnie-Herzégovine, huit fois plus que l’année précédente, dont la moitié à proximité de la frontière avec la Serbie. Et la tendance semble s’accélérer : plus du quart de ces arrestations ont eu lieu en décembre. « Ce sont les plus pauvres, ceux qui n’ont plus les moyens de se payer des passeurs, qui essaient de contourner l’obstacle hongrois par le sud, continue Stéphane Moissaing. Le phénomène reste pour l’instant marginal, mais l’on ne sait pas ce qu’il adviendra au printemps, quand les flux repartiront à la hausse. »
      Selon les données du Haut-Commissariat aux réfugiés, 4000 autres personnes sont hébergées dans des camps gérés par le gouvernement serbe, un chiffre stable depuis des mois. Celui d’#Obrenovac, dans la grande banlieue de Belgrade, n’accueille que des hommes seuls, dont 17 mineurs. Au dernier comptage, ils étaient 737, dont 235 Afghans et 395 Pakistanais, suivis par un impressionnant patchwork de nationalités : Algériens, Marocains, Népalais, Indiens, Somaliens, etc.
      À Obrenovac, les responsables du centre font visiter la salle de sport, le foyer, la petite école, qui offre des cours d’anglais, de serbe et de mathématiques aux mineurs. Les résidents peuvent circuler librement, se rendre en ville en déclarant leur sortie. Les conditions sont correctes, mais la promiscuité qui se prolonge finit par exaspérer. En novembre dernier, le camp a été le théâtre d’une bataille rangée impliquant plusieurs centaines de personnes, principalement des Afghans et des Pakistanais. Une autre bagarre a éclaté le 23 janvier. Miloš, un employé du Commissariat serbe aux réfugiés, résume le problème à une histoire « d’excès d’hormones entre jeunes adultes ». La très grande majorité de ces hommes ont entre 20 et 30 ans.
      Certains sont bloqués depuis plus de deux ans.
      #attente

      Beaucoup de migrants refusent de loger dans le centre, par peur d’être identifiés et de devoir donner leurs empreintes digitales. « Ceux-là, s’ils veulent bénéficier des services du centre, il faut qu’ils s’enregistrent », poursuit le jeune homme, qui a déjà travaillé dans d’autres camps, « plus calmes, où il y a des familles ». C’est aux abords du centre que les passeurs concluent leurs affaires, et la police s’accommode des allers-retours fréquents avec les squats permettant le passage clandestin de la frontière.
      Milica, également employée par le Commissariat serbe, s’occupe surtout des mineurs. « Certains restent prostrés. Ils ont tous essayé de franchir la frontière de nombreuses fois, ils ont été battus, refoulés. Beaucoup ont été renvoyés de Hongrie ou de Croatie. Ils ont perdu tout #espoir, et la perspective d’un retour au pays serait la fin de leur rêve, la reconnaissance de leur échec. » Pour les volontaires des ONG, le principal problème reste le désœuvrement. « Ils reçoivent trois repas par jour et prennent des douches chaudes, mais ne font rien de leur journée. Comment vivre comme cela durant des mois ? », s’interroge l’un d’eux.
      Idriss, 23 ans, étudiait le droit à Alger. Il a décidé de prendre la route voilà 18 mois à cause de « problèmes » qu’il ne préfère pas détailler. Il a d’abord gagné la Turquie, où il a brièvement travaillé, avant de s’engager sur la route des Balkans. Le jeune homme passe l’hiver à Obrenovac pour reprendre des forces. La poursuite du voyage dépendra de sa capacité de rassembler assez d’argent pour traiter avec les passeurs.
      À la frontière avec la Croatie, près de #Šid, environ 150 personnes vivent dans les bois qui jouxtent le Centre d’accueil, certaines depuis plus d’un an. Ils sont algériens pour la plupart, mais il y a aussi des Afghans et des Marocains. Ces jeunes hommes préfèrent rester dans la « #jungle », considérant que faute d’être syriens ou irakiens, ils n’ont aucune chance d’obtenir l’asile en Serbie et qu’un séjour dans un camp officiel ne ferait que retarder leur objectif : rejoindre un pays riche de l’Union européenne.
      #campement

      Sava, un autre employé du Commissariat, lui-même réfugié serbe chassé de la Krajina croate en 1995, lance : « Nous, les Serbes, savons ce qu’être réfugié veut dire. Nous considérons les migrants comme des êtres humains, ils sont bien mieux traités chez nous que chez vous, à Calais. » Sa supérieure surenchérit : « Tous les problèmes viennent des camps sauvages que dressent des anarchistes payés par l’Union européenne… Ils manipulent les migrants, alors que leur seul but est de récupérer des subventions ! » Les 25 et 26 décembre dernier, plusieurs dizaines de migrants ont entrepris un sit-in dans les champs qui séparent Serbie et Croatie, aux abords de la localité de #Tovarnik, avant d’être évacués par la police serbe, qui les a conduits vers des camps, comme celui d’Obrenovac.

      En 2018, la Serbie devrait toucher 16 millions d’euros de l’Union européenne pour financer les centres d’accueil. En ajoutant les moyens mis à disposition par les ONG, cela représente un budget annuel de près de 4 000 euros par réfugié, plus élevé que les revenus de nombreux Serbes. « La route des Balkans fonctionne toujours », explique Stéphane Moissaing. « L’UE s’accommode de ces flux, pourvu qu’ils restent discrets. » Les chiffres restent en effet bien éloignés de ceux de 2015. « Pour sa part, ajoute l’humanitaire, Belgrade essaie de concentrer les gens dans les #camps, alors que certaines familles sont bloquées dans le pays depuis deux ans. »

      En ce moment, MSF tente de mettre sur pied un programme de relogement dans des appartements vides, mais les autorités serbes ne cachent pas leurs réticences. L’inscription de quelques enfants de réfugiés dans des écoles de la banlieue de Belgrade à l’automne dernier relevait avant tout d’une bonne opération de communication. Et deux demandes d’asile seulement ont été acceptées par les autorités serbes en 2017. Même les migrants employés par les ONG présentes en Serbie ne parviennent pas à l’obtenir.
      Pour les autorités serbes, le calcul est gagnant de tout point de vue. Belgrade démontre son empressement à jouer le rôle de gardien des frontières européennes. Cela sert de monnaie d’échange au président Aleksandar Vučić, tout en lui assurant un joli pactole. Quant au flux minime de ceux que les passeurs parviennent à faire pénétrer en Hongrie ou en Croatie, il ne sert qu’à faire tenir l’ensemble du système.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/260218/bloques-en-serbie-les-refugies-perdus-de-la-route-des-balkans

      Je copie-colle ici un passage de l’article, qui met en avant le #business de l’#accueil des réfugiés :

      En 2018, la Serbie devrait toucher 16 millions d’euros de l’Union européenne pour financer les centres d’accueil. En ajoutant les moyens mis à disposition par les ONG, cela représente un budget annuel de près de 4 000 euros par réfugié, plus élevé que les revenus de nombreux Serbes.

    • ON THE BALKAN ROUTE : PERNICIOUS EFFECTS OF E.U. ANTI-MIGRATION POLICIES

      The “Balkan route” refers to a migration route that links Turkey to Western Europe. In 2015, Hungary, Macedonia and Croatia unilaterally closed their borders, while in 2016 the EU signed an agreement with Turkey aimed at putting an end to migrant crossings of the Aegean Sea. These uncoordinated migration and containment policies led to an encampment situation in Greece and Serbia.


      http://www.noria-research.com/balkan-route-pernicious-effects-e-u-anti-migration-policies
      #encampement

      Et le reportage photo :


      http://www.noria-research.com/on-the-balkan-route
      #photographie

    • Réfugiés : la Bulgarie veut fermer les frontières des Balkans

      Le projet a été révélé mardi par Reuters. En pleine préparation du sommet européen des 28-29 juin, l’UE envisagerait la création de « hotspots » installés dans les pays à ses frontières. Les Balkans, qui font face à une forte hausse des arrivées, sont en première ligne, et le Premier ministre bulgare, Boïko Borissov, réclame la fermeture des frontières.

      Une semaine après la polémique de l’Aquarius, voilà qui risque de susciter de vifs débats, d’autant que le nombre de passes irréguliers est en forte hausse depuis le printemps. Cette information qui a fuité vient en tout cas confirmer les propos tenus un peu plus tôt par le Premier ministre bulgare, dont le pays tient la présidence tournante de l’UE jusqu’au 30 juin. Boïko Borissov a appelé les États membres à « fermer [leurs] frontières » à tous ceux qui ne passent pas par les postes de contrôle autorisés.

      « La Bulgarie a traversé (la crise des réfugiés, NDLR) ; sans trop parler, sans trop se plaindre. Nous avons sécurisé notre frontière avec la Turquie en posant (dès la fin 2013, NDLR) des grillages (https://www.courrierdesbalkans.fr/bulgarie-des-grillages-et-des-barbeles-pour-arreter-les-migrants), en déployant des forces de police supplémentaires et des gardes-côtes. Je vais donc recommander un compromis au Conseil européen : de la prévention, incluant la fermeture de toutes les frontières de l’UE », a-t-il déclaré. « Pourquoi l’Europe doit-elle être un terrain sans clôture ? », a-t-il ajouté, prenant les États-Unis comme exemple.

      Si Boïko Borissov vante sa politique vis-à-vis des migrants, Amnesty International rappelle dans son dernier rapport de février 2018 qu’elle a été mise en œuvre au prix de « nombreux recours excessifs à la force et de vols par la police aux frontières ».

      La déclaration du Premier ministre bulgare s’inscrit dans la lignée de la position du Chancelier autrichien Sebastian Kurz, dont le pays va reprendre la présidence tournante de l’UE après la Bulgarie le 1er juillet prochain. Il a fait du « combat contre l’immigration illégale » sa priorité.

      Elle s’inscrit également dans le contexte où la route des migrants jusqu’à l’UE passe de plus en plus par les Balkans, via l’Albanie, la Bosnie et le Monténégro, qui s’apprête à demander un « accord de statut » auprès de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes (Frontex) pour bénéficier de son aide dans la gestion de ses frontières.

      Mais c’est en Bosnie-Herzégovine que la situation est particulièrement tendue. Lundi après-midi, plus de 200 migrants qui étaient basés à Velika Kladuša ont tenté collectivement de franchir la frontière croate. Ils ont été bloqués par la police au poste de Maljevac. Cet épisode fait suite à l’agression au couteau qui a provoqué la mort d’un ressortissant marocain vendredi 15 juin à Velika Kladuša. Les migrants s’estiment en danger et demandent à pouvoir passer en Croatie.

      Depuis janvier 2018, plus de 6000 personnes ont traversé la Bosnie-Herzégovine. La semaine dernière, le directeur du Service des étrangers de Bosnie, Slobodan Ujić, a mis en garde que si l’Autriche et la Slovénie fermaient leurs frontières aux migrants, la Bosnie-Herzégovine serait forcée de fermer ses propres frontières avec la Serbie et le Monténégro.

      https://www.courrierdesbalkans.fr/Migrants-Pourquoi-l-Europe-doit-elle-etre-un-terrain-sans-cloture

  • Chi aiuta i migranti bloccati fra Serbia e Ungheria

    #Subotica, in Serbia, è uno di quei posti in cui i migranti continuano ad arrivare ma pochi riescono a proseguire il viaggio. A nord c’è il muro della frontiera ungherese, che provano e riprovano a superare. Al di qua, fra i binari ferroviari e un misero accampamento, ad aiutarli ci sono solo volontari, che oltre a cercare di fornire loro beni essenziali, creano una rete di rapporti umani che allevia la sofferenza. Marco Marchese ha trascorso un po’ di tempo con questa piccola, eterogenea comunità di persone.


    http://openmigration.org/analisi/chi-aiuta-i-migranti-bloccati-fra-serbia-e-ungheria
    #Serbie #solidarité #asile #migrations #réfugiés

  • #Kelebija, area di transito

    Ai confini tra Serbia e Ungheria la situazione è drammatica. Migliaia di persone sono ammassate in accampamenti improvvisati in attesa di passare il confine verso l’UE. Reportage


    http://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Kelebija-area-di-transito-174417
    #Serbie #réfugiés #asile #migrations #antichambre #Subotica #attente

  • Traces dispersées de la Route des Balkans
    http://visionscarto.net/balkans-traces-dispersees

    par Aron Rossman-Kiss Le témoignage d’un artiste plasticien, étudiant en ethnologie, dans les Balkans et à Lampedusa. C’est l’aube, et il n’y a pas encore de pluie. Plus tard dans la journée, il va faire froid et une pluie grise, d’automne déjà, va tomber ; à quelques kilomètres de là, de nombreuses personnes vont courir le long des rails en tenant des sacs en plastique au-dessus de leurs têtes. D’autres vont se servir de sacs pour se les attacher autour des pieds — certains portent seulement des tongs, (...)

    #Billets

  • Rotta balcanica : il muro di Orban

    Il muro ungherese, al confine con la Serbia, cala un primo sipario sulla rotta dei Balcani, costringendo i rifugiati a dirottare sulla Croazia rendendogli ancora più difficile il viaggio. Settima e ultima puntata del diario del nostro inviato

    http://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Rotta-balcanica-il-muro-di-Orban-164267
    #Balkans #asile #migrations #réfugiés #Serbie #Hongrie #mur #barrière_frontalière #Horgoš #Subotica #fermeture_des_frontières

  • Réfugiés en #Serbie : à #Kanjiža, le chemin de la liberté

    Rafiq Muhedin, 65 ans, a le visage couvert de cicatrices. Appuyé sur des béquilles, il clopine le long de la voie de chemin de fer entre le village serbe de Horgoš et la frontière hongroise. Pendant 4 mois, il a été enfermé et torturé dans une prison à Damas, en Syrie. Pour seul bagage, un sac en plastique avec ses médicaments et deux paquets de cigarettes. Le reste, il l’a perdu lors d’un naufrage en mer Égée. Il vient du camp de réfugiés de Kanjiža, où des tentes ont été fournies par le centre humanitaire russe de Niš. Tous les jours, environ 1 500 personnes arrivent en autocar de la gare routière de #Subotica. La nuit, elles sont transportées à Horgoš. Au passage frontalier, entre les barbelés, des policiers hongrois leur indiquent la route à suivre.

    http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/refugies-a-kanjiza-le-chemin-de-la-liberte-photos.html
    #asile #migrations #réfugiés

    • Migranti, reportage dal confine serbo-ungherese fra muri, polizia e disperazione

      Il 13 luglio il governo ungherese ha iniziato la costruzione del muro con la confinante Serbia nel tentativo di frenare l’esodo di immigrati provenienti da Siria, Iraq e Afghanistan. Dodici chilometri più a Sud, in territorio serbo, Subotica è diventata il principale punto di sosta per i migranti in viaggio verso l’Unione europea attraverso il territorio di Budapest. Peccato che appena superato il confine, la polizia ungherese li prende in consegna per portarli al campo di dove ricevono la prima assistenza. Ma con le nuove leggi volute dal governo reazionario di Victor Orban i rifugiati sono in stato di fermo e per loro comincia il calvario in una serie di altri campi profughi di Stefano Carena, Matteo Garavoglia, Gianluca Peana e Sebastian Viskanic

      http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/08/27/migranti-reportage-dal-confine-serbo-ungherese-fra-muri-polizia-e-disperazione/408389

  • #Serbie : #Tibor_Varga, un pasteur évangélique hongrois dans la « #jungle » de Subotica

    Depuis quatre ans, Tibor Varga vient en aide aux migrants de la « jungle » de Subotica. Parfois soutenu par des volontaires de la ville, parfois seul, ce pasteur évangélique hongrois estime que le plus important est de reconnaître les migrants « comme des êtres humains ».


    http://www.courrierdesbalkans.fr/articles/serbie-tibor-varga-un-pasteur-evangelique-hongrois-dans-la-jungle
    #Subotica #réfugiés #asile #migration #solidarité
    cc @albertocampiphoto

  • Unterwegs auf der Balkan-Route (I)

    Als migrationspolitischer Aktivist des Netzwerks «Welcome to Europe» hat Salvatore Pittà im Juni den Balkan bereist, um sich ein eigenes Bild zu machen von der zweiten grossen Flüchtlingsroute Richtung Westeuropa.


    http://www.journal-b.ch/de/082013/politik/2066/Unterwegs-auf--der-Balkan-Route-%28I%29.htm

    #migration #asile #réfugiés #Balkans #asile #migration #Kumanovo #Serbie #Subotica

  • Migrants : dans les pièges de la frontière Serbie-Hongrie

    La Hongrie est pour les migrants syriens, afghans, irakiens et pakistanais une nouvelle porte d’entrée vers l’espace Schengen et l’Union européenne, à la sortie des routes des Balkans. Le pays n’a jamais eu affaire à autant de demandes d’asile : plus de 70 000 pour les six premiers mois de l’année 2015, contre seulement 43 000 en 2014, déjà considérée comme record. Dépassées, les autorités locales gardent encore leur calme même face aux ordres de plus en plus restrictifs venus de Budapest. Reportage entre Kanjiža et Subotica (Serbie), Ásotthalom et Szeged (Hongrie), de part et d’autre de cette frontière que le gouvernement conservateur de Viktor Orbán annonce vouloir clôturer sur toute sa longueur (175 km).


    http://www.mediapart.fr/portfolios/migrants-dans-les-pieges-de-la-frontiere-serbie-hongrie
    #Subotica #Serbie #Hongrie #photographie #asile #migration #réfugiés #Balkans
    cc @albertocampiphoto

  • Még nincs kerítés, de így is nehéz az átjutás - Nagyítás-fotógaléria

    Naponta száznál is többen próbálnak átjutni a Szabadka környéki határsávon, ahol a várakozás sem egyszerű. A főként Szíriából, Afganisztánból és Pakisztánból érkező menekültek a szabadkai téglagyárnál bokrok és fák közé ácsolt búvóhelyeiken várják az alkalmas pillanatot vagy a megfelelő embercsempészt. A határátlépés szinte minden esetben sikerrel jár, de a környékről igen nehéz kijutni, néhány kilométeren belül szinte minden csoport összetalálkozik a helyi mezőőrrel vagy egy készenlétis járőrrel.

    http://hvg.hu/nagyitas/20150624_bevandorlo_menekult_nagyitas
    #Subotica #Serbie #asile #migration #réfugiés #photographie #Hongrie #frontière
    cc @albertocampiphoto

  • #Serbie : à #Subotica, un après-midi de canicule avec les migrants

    À l’ombre des arbres, dans les hautes herbes du terrain vague de l’ancienne briqueterie à Subotica, dans le nord de la Serbie, près de la frontière hongroise, à quelques kilomètres de l’UE, des centaines de migrants, hommes, femmes, enfants, viennent se reposer tous les jours. Ils tirent à pleins seaux l’eau du puits, mais elle n’est pas potable. En pleine canicule, des citoyens se mobilisent pour leur venir en aide.


    http://www.courrierdesbalkans.fr/articles/serbie-a-subotica-un-apres-midi-de-canicule-avec-les-migrants
    #asile #migration #réfugiés

  • Photo Feature: On the migration road in Serbia — IRIN

    http://newirin.irinnews.org/extras/2015/4/14/in-pictures-serbia-ill-equipped-to-deal-with-asylum-seeker-influx

    Story by Mathieu Martiniere and photography by Alberto Campi / WeReport

    Under a tent behind a deserted brick factory in Subotica, the last Serbian city before the border with Hungary, Afghans and Iraqis shelter from the rain and cold. Subotica is the last stop on an increasingly well-trodden route into the European Union for undocumented migrants and asylum-seekers. The brick factory is a place to rest while they wait for the right time to cross.

    #balkans #asile #migrations #serbie #très_beau

  • reçu via la mailing list Migreurop

    Un article du journal Blic au sujet de la #sanction que pourraient (?)
    encourir des chauffeurs de #taxi s’ils prennent comme clients des
    demandeurs d’asile qui tentent de rejoindre la frontière. D. Grcic

    Taxis, nouvelle recommandation : ne conduisez pas de demandeurs d’asile ! (Blic)

    Les chauffeurs de taxi de Belgrade ont reçu pour recommandation de ne
    pas accepter de passagers demandeurs d’asile ! Beaucoup de chauffeurs
    ont été perturbés par cette information, et à la Fédération des
    associations de taxis on avertit que de telles courses peuvent leur
    apporter de sérieux problèmes.

    – Hier j’ai entendu à la radio, et aujourd’hui, que nous ne devons pas
    conduire de demandeurs d’asile. Comment puis-je savoir qui est mon
    client, je ne peux pas demander le passeport aux gens. Tous les jours
    nous transportons des étrangers de différents pays, ils peuvent tous
    dans certains cas ressembler à des demandeurs d’asile. Je ne sais pas
    ce qui se passe, peut-être une mauvaise interprétation de la loi – a
    regretté devant nous un chauffeur de taxi.

    Aleksandar Bijelić, qui préside la Fédération des associations de
    taxis, affirme que personne ne peut empêcher de prendre un client
    comme passager, mais il avertit sur certains risques.

    – La recommandation aux #chauffeurs_de_taxi est de ne pas conduire de
    demandeurs d’asile car cela peut conduire à une situation difficile.
    La police qui surprend des demandeurs d’asile arrête la voiture du
    taxi et lance une procédure judiciaire. Le chauffeur de taxi doit
    alors démontrer, lors de la procédure judiciaire, qu’il ne savait pas
    que ses passagers étaient des demandeurs d’asile. Ce sont des choses
    très sérieuses – affirme Bijelić.

    Il ajoute que parmi les associations, on traite de façon sérieuse ce problème.

    – Pour le moment il ne s’agit que d’une recommandation, parce qu’il
    n’existe aucune réglementation municipale adoptée pour cette question.
    Il est interdit de transporter des voyageurs ivres, ou bien ceux qui
    sont atteints d’une maladie contagieuse et ainsi de suite, mais les
    demandeurs d’asile sont une catégorie de voyageurs tout à fait
    nouvelle, avec qui les chauffeurs de taxi peuvent connaître un
    problème et nous discutons de ce problème - souligne Bijelić.

    Toutefois, certains voyages sont en eux-mêmes suspects et les taxistes peuvent facilement douter de l’identité de leurs clients.

    Les destinations comme #Subotica et Bogovađa sont typiques pour les demandeurs d’asile.

    M. Beljan, NOVA PREPORUKA TAKSISTIMA : Ne vozite azilante !, Blic, 24
    mars 2015. Trad. D. Grcic
    ____________________
    #migration #asile #réfugiés #Serbie

  • #Subotica, nouvelle porte d’entrée dans Schengen

    A intervalles réguliers, une braise échappée du feu rompt la torpeur du lieu. Des paupières se lèvent, quelques mots s’échangent, faisant oublier un instant la fatigue qui habite la « briqueterie ». L’adresse de cette usine désaffectée de Subotica, dans le nord de la #Serbie, s’échange entre Afghans, Pakistanais et Syriens, sur la route des #Balkans, comme lieu de répit avant l’entrée dans l’espace Schengen.


    http://www.lemonde.fr/europe/article/2015/03/20/subotica-nouvelle-porte-d-entree-dans-schengen_4597855_3214.html
    #asile #migration #réfugiés

  • Lost highways – Carnet de routes et d’impasses migratoires en Serbie
    http://www.article11.info/?Lost-highways

    À quelques centaines de mètres de la fabrique, entre une voie ferrée et une décharge à ciel ouvert, le sentier s’efface dans les herbes hautes. Des bouts de papiers barrés d’itinéraires, de noms de villes et de cartes dessinées à la main jonchent le sol. Ce maquis est un lieu-dit, une jungle, comme il en existe tout au long des voyages sans passeport. Dans le creux du chemin, trois hommes, originaires du Pakistan, partagent un yaourt pour seul repas. L’un dit : « I’m back in Subotica » ; cette jungle l’a déjà vu passer. Alors qu’il avait réussi à traverser clandestinement la frontière entre la Serbie et la Hongrie, on l’a arrêté de l’autre côté, enfermé trois mois en centre de rétention puis expulsé vers l’endroit d’où il venait. Back in Subotica. Le jeune homme montre un papier ; « Date de sortie : le 2 septembre 2013 ». À son retour forcé en Serbie, il a passé cinq jours au mitard. Pour éviter la prison, il aurait fallu être en mesure de payer l’amende correspondant à son « entrée illégale en Serbie ». À la fin, ils l’ont laissé revenir dans la jungle.

    #Serbie #migration