• “Ciò che è tuo è mio”. Fare i conti con la violenza economica

    In Italia una donna su due ha subito violenza economica. WeWorld ha raccolto in un dettagliato report le storie di donne vittime di questa forma di abuso che colpisce in modo particolare chi subisce forme multiple di discriminazione legate all’età, al background migratorio o a una condizione di disabilità.

    “Ogni mese lui mi portava alle Poste, mi faceva prelevare tutti i soldi della mia pensione di 550 euro in contanti e poi pagare le bollette. Se rimanevano dei soldi, anche cinquanta euro, lui li prendeva. Nella vita di tutti i giorni io non avevo controllo su nulla: ogni volta dovevo giustificare come spendevo. Veniva sempre con me e decideva che cosa potessi acquistare e cosa no. Soprattutto per le spese alimentari. Non mi lasciava mai più di uno o due euro nel borsellino per bere un caffè o fare delle stampe”.

    Anna (nome di fantasia) è una donna di 55 anni che ha deciso di lasciare il marito dopo dieci anni di violenze fisiche, sessuali e psicologiche. Una relazione segnata anche da una forma di abuso che ancora troppo spesso viene sottovalutata: quella economica. La donna, che da una quindicina d’anni è in carico al Centro di salute mentale di Bologna per depressione, doveva chiedere il permesso al marito per ogni singola spesa, comprese quelle sanitarie: “Tutte quelle per la mia cura personale dovevano passare per una contrattazione perché non aveva piacere che spendessi. Per più di dieci anni ho chiesto di potermi fare sistemare i denti, ma lui non ha mai acconsentito. Nel 2020 gli ho fatto vedere che uno dei miei ponti in bocca era saltato e allora ha acconsentito, ma non ha mai pagato tutto. Quindi sono rimasta con i lavori a metà”.

    Quella di Anna è una delle diverse testimonianze raccolte dalla Ong WeWorld all’interno degli “Spazi donna” attivi in diverse città italiane (Milano, Napoli, Bologna, Brescia, Roma, Pescara e Cosenza) e contenute nel report “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica” pubblicato in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne con l’obiettivo di fare luce su questa forma di abuso.

    Il rapporto unisce alle testimonianze un’indagine inedita realizzata da WeWorld in collaborazione con Ipsos, da cui emerge che il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita, percentuale che sale al 67% tra le divorziate e le separate. Più di una donna separata o divorziata su quattro (il 28%) ha affermato di aver subito le decisioni finanziarie prese dal partner senza essere stata consultata in precedenza. A una su dieci il marito o il compagno ha vietato di lavorare.

    Dai dati e dalle storie raccolte emerge poi come “gli abusi economici abbiano una natura trasversale, ma colpiscano maggiormente quelle persone che subiscono forme cumulative di discriminazione: donne molto anziane o molto giovani, con disabilità o dal background migratorio -commenta Martina Albini, coordinatrice del centro studi WeWorld-. E ha radici ben precise in sistemi socioculturali maschio-centrici e patriarcali che alimentano asimmetrie di potere”.

    Una delle definizioni più riportate nella letteratura scientifica identifica questa forma di violenza come “tutti i comportamenti volti a controllare l’abilità della donna di acquisire, utilizzare e mantenere risorse economiche”. Viene agita prevalentemente all’interno di relazioni intime o familiari ed è raro che avvenga singolarmente: tende infatti a essere parte di un più ampio ciclo di violenza fisica, psicologica e sessuale. “Le donne -si legge nel report– hanno maggiori probabilità di subirla perché sono proprio quei sistemi economici e sociali basati sul controllo maschile a favorirla”.

    Esemplificativa, in questo caso, è la vicenda di una giovane di origini sudamericane che si è rivolta allo “Spazio donna” del quartiere Corvetto di Milano. Ha conosciuto l’uomo che sarebbe diventato suo marito mentre frequentava l’università, nel volgere di poco tempo la coppia è andata a convivere ed è nata una bambina: la neomamma è stata quindi costretta a interrompere gli studi: “Tutte le decisioni economiche in casa spettavano a lui, io non pensavo a questi aspetti: non pensavo fossero cose importanti e lasciato che lui si prendesse la responsabilità -racconta-. Anche il bonus statale per la nascita della bambina l’ha preso lui, io non avevo nulla, né conto bancario né Poste Pay. Mi aveva detto che aprire un altro conto corrente non era conveniente”.

    Come avviene per altre forme di violenza, anche quella economica affonda le proprie radici nelle disuguaglianze di genere, nelle aspettative di ruoli tradizionali (la donna che rinuncia al lavoro per prendersi cura della casa e dei figli). Sempre dal sondaggio realizzato da Ipsos per WeWorld, infatti, emerge come il 15% degli intervistati pensi che la violenza sia frutto di comportamenti provocatori delle donne. Mentre il 16% degli uomini ritiene sia giusto che sia il marito o il compagno a comandare in casa.

    Per inquadrare meglio questo fenomeno può essere utile anche fare riferimento ad altri dati che mettono in evidenza la particolare fragilità della popolazione femminile: in Italia il 21,5% delle donne si trova in una condizione di dipendenza finanziaria. E il maggiore carico di cura familiare può costituire un fattore di rischio: prendersi cura della casa a dispetto dell’accesso al mondo del lavoro retribuito incrementa del 25,3% la probabilità di essere vittima di violenza economica. Un altro indicatore preoccupante è il fatto che il 37% delle donne italiane non possiede un conto corrente.

    In altre parole: nel nostro Paese sono ancora troppe le donne che non hanno adeguate competenze finanziarie, considerano “troppo complessi” questi temi e si affidano completamente alle scelte del partner. Oppure hanno sempre dato per scontato che dovessero essere gli uomini a occuparsi di gestire i bilanci familiari. “All’inizio della relazione con mio marito era mio padre a pensare agli aspetti economici in modo da non farmi mancare nulla -racconta una donna che si è rivolta allo “Spazio donna” di Scampia, periferia di Napoli-. Pensavo che fosse quella la normalità. Io non ricevevo soldi, se si doveva fare la spesa andavamo assieme ed è capitato che, a volte, al momento del pagamento lui era fuori a fumare e io facevo passare avanti le persone, perché non potevo pagare senza di lui. Queste piccole cose erano la normalità”.

    Il report di WeWorld evidenzia poi come le esperienze di violenza economica possono essere diverse e sfaccettate tra loro, a seconda dei contesti in cui si inseriscono, e si manifestano in modi differenti. A partire dal controllo economico: l’autore della violenza impedisce, limita o controlla l’uso delle risorse economiche e finanziarie della vittima e il suo potere decisionale, ad esempio monitorando le spese o facendo domande su come questa ha speso i propri soldi. Le donne possono anche essere vittima di sfruttamento economico all’interno della relazione di coppia (il partner ruba denaro, beni o proprietà, oppure costringe la vittima a lavorare più del dovuto) o di sabotaggio quando l’autore della violenza le impedisce di cercare, ottenere o mantenere un lavoro o un percorso di studi.

    Tutto questo ha gravi conseguenze sulla vita delle donne, non solo nel momento in cui vivono all’interno di una relazione violenta e che limita la loro libertà di autodeterminarsi, ma anche dopo che ne sono uscite. L’autonomia economica, infatti, rappresenta un elemento essenziale nella decisione della vittima di lasciare un partner violento, come emerge da uno studio condotto negli Stati Uniti: il 73% delle vittime di violenza economica intervistate ha riferito di essere rimasta con l’aggressore a causa di preoccupazione finanziarie per mantenere sé stessa o i propri figli.

    “L’impossibilità di allontanarsi dal compagno violento per mancanza di risorse economiche le espone inevitabilmente a ulteriori abusi -si legge nel report-. È stato dimostrato che questo rischio è maggiore tra le donne con uno status economico elevato rispetto agli uomini e nelle società in cui le donne hanno iniziato a entrare nel mondo del lavoro, poiché l’emancipazione femminile interviene come elemento di ‘disturbo’ nel contesto coercitivo instaurato dal partner violento”.

    Altrettanto gravi sono le conseguenze economiche indirette di lunga durata, che si ripercuotono sulla vita delle vittime anche quando si è conclusa la relazione abusante: l’impossibilità di studiare e il mancato inserimento nel mondo del lavoro, ad esempio, rendono più difficile per queste donne trovare un lavoro che permetta di mantenere sé stesse e i propri figli. Non hanno quindi nemmeno risparmi a cui poter attingere e spesso sono costrette a chiedere aiuto a familiari e conoscenti per sostenere le spese legali durante la fase di separazione.

    Uscire da queste situazioni di violenza è possibile, come dimostra la vicenda della donna che si è rivolta allo “Spazio donna” di Scampia e che, attraverso il supporto offerto dalle operatrici, ha potuto avviare prima un percorso di auto-consapevolezza della propria situazione e successivamente uno di formazione professionale. “Quando ho realizzato cosa stessi subendo non sono stata più bene, perché nel momento in cui ti rendi conto che hai speso anni di vita pensando di non meritare e precludendoti qualsiasi cosa, stai male -racconta la donna-. Mi sono sentita come una bomba che esplode”. Questa consapevolezza ha fatto maturare una voglia di riscatto unita all’esigenza di fare qualcosa per sé stessa e di costruirsi una professionalità. Ha seguito un corso di cucito e ha avviato una piccola attività sartoriale: “Questo ha naturalmente cambiato il mio rapporto di coppia perché è cambiata la mia mentalità: ora se dico a mio marito che voglio uscire, anche se sa che ho i soldi, mi dice di prendere quello che mi serve. Ora siamo separati in casa, ma se potessi me ne andrei. Sono molto diversa da quella che ero prima e voglio fare il mio lavoro, mi fa stare bene, è una fonte di guadagno, e se io devo andare a lavorare ora non ho problemi a dire a mio marito di prepararsi da mangiare da solo perché io sono impegnata”.

    https://altreconomia.it/cio-che-e-tuo-e-mio-fare-i-conti-con-la-violenza-economica
    #violence_économique #genre #femmes #hommes #violence #Italie #intersectionnalité #rapport #patriarcat #dépendance_financière #compte_bancaire #contrôle_économique #autonomie_économique #travail

    • “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica”: il nostro report sulla violenza economica sulle donne in Italia

      Il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita, percentuale che sale al 67% tra le donne divorziate o separate; più di 1 donna separata o divorziata su 4 (28%) dichiara di aver subito decisioni finanziarie prese dal partner senza essere stata consultata prima. Eppure, la violenza economica è considerata “molto grave” solo dal 59% dei cittadini/e.

      Sono alcune delle evidenze del report “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica” pubblicato in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il rapporto vuole fare luce su una delle forme di violenza contro le donne più subdola e meno conosciuta, concentrandosi sui risultati dell’indagine inedita realizzata insieme a Ipsos per valutare la percezione di italiani e italiane della violenza contro le donne e, in particolare, della violenza economica e dell’esperienza diretta.

      Un tempo considerata una forma di abuso emotivo o psicologico, oggi la violenza economica è riconosciuta come un tipo distinto di violenza, con cu si intendono tutti i comportamenti per controllare l’abilità della donna di acquisire, utilizzare e mantenere risorse economiche. Questo tipo di violenza viene messo in atto soprattutto all’interno di relazioni intime e/o familiari e spesso la violenza economica è parte di un più ampio ciclo di violenza intima e/o familiare (fisica, psicologica, sessuale, ecc.).

      LA VIOLENZA ECONOMICA IN ITALIA: I DATI DELL’INDAGINE

      Relazione tra violenza di genere e stereotipi

      - Più di 1 italiano/a su 4 (27%) pensa che la violenza dovrebbe essere affrontata all’interno della coppia.
      - Il 15% degli italiani/e pensa che la violenza sia frutto di comportamenti provocatori delle donne.
      – Il 16% degli uomini, contro il 6% delle donne, pensa che sia giusto che in casa sia l’uomo a comandare.

      L’immagine sociale delle diverse forme di violenza

      - Per 1 italiano/a su 2 la violenza sessuale è la forma più grave di violenza contro le donne.
      - La violenza economica è considerata molto grave solo dal 59% dei cittadini/e.
      – Per il 9% delle donne separate o divorziate, contro il 3% dei rispondenti, gli atti persecutori (stalking) rappresentano la forma più grave di violenza.

      La violenza economica

      - Il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito nella vita almeno un episodio di violenza economica. Il 67% tra le donne separate o divorziate.
      - 1 donna su 10 dichiara che il partner le ha negato di lavorare.
      – Più di 1 donna separata o divorziata su 4 (28%) dichiara di aver subito decisioni finanziarie prese dal suo partner senza essere stata consultata prima.
      – Quasi 1 italiano/a su 2 ritiene che le donne siano più spesso vittime di violenza economica perché hanno meno accesso degli uomini al mercato del lavoro.

      La situazione economica nei casi di separazione e divorzio

      - Dopo la separazione/divorzio, il 61% delle donne riporta un peggioramento della condizione economica.
      - Il 37% delle donne separate o divorziate dichiara di non ricevere la somma di denaro concordata per la cura dei figli/e.
      - 1 donna separata o divorziata su 4 avverte difficolta a trovare un lavoro con un salario sufficiente al suo sostentamento.

      L’educazione per contrastare la violenza economica

      - La quota di donne che non si sentono preparate rispetto ai temi finanziari è più del doppio di quella degli uomini (10% vs 4%).
      – Quasi 9 italiani/e su 10 (88%) sostengono che bisognerebbe introdurre programmi di educazione economico-finanziaria a partire dalle scuole elementari e medie.
      – Quasi 9 italiani/e su 10 (89%) pensano che bisognerebbe introdurre programmi di educazione sessuo-affettiva a partire dalle scuole elementari e medie.

      ”Dietro ai dati raccolti in questa indagine si trovano storie vere, voci di donne che hanno subito violenza economica e che vogliono raccontarla. Per questo abbiamo voluto inserire nel rapporto testimonianze dai nostri Spazi Donna WeWorld. Da qui emerge come gli abusi economici abbiano una natura trasversale, ma colpiscano maggiormente persone che subiscono forme cumulative di discriminazione: donne molto anziane o molto giovani, con disabilità o dal background migratorio”, commenta Martina Albini, Coordinatrice Centro Studi di WeWorld. “La violenza economica, come tutti gli altri tipi di violenza, ha radici ben precise in sistemi socioculturali maschio-centrici e patriarcali che alimentano asimmetrie di potere. Per questo è necessario un approccio trasversale che sappia sia includere gli interventi diretti, sia stimolare una presa di coscienza collettiva a tutti i livelli della società”.

      VIOLENZA ECONOMICA: I COMPORTAMENTI

      Le esperienze di violenza economica possono essere particolarmente complesse e sfaccettate a seconda dei contesti in cui si inseriscono: ad esempio, gli autori di violenza possono agire comportamenti abusanti culturalmente connotati nel Nord o Sud globale.

      I principali tipi di violenza economica identificati dalle evidenze in materia si distinguono in:

      – CONTROLLO ECONOMICO: L’autore della violenza impedisce, limita o controlla l’uso delle risorse economiche e finanziarie della vittima e il suo potere decisionale. Questo include, tra le altre cose, fare domande alla vittima su come ha speso il denaro; impedire alla vittima di avere o accedere al controllo esclusivo di un conto corrente o a un conto condiviso; monitorare le spese della vittima tramite estratto conto; pretendere di dare alla vittima la propria autorizzazione prima di qualsiasi spesa.
      - SFRUTTAMENTO ECONOMICO: L’autore della violenza usa le risorse economiche e finanziarie della vittima a suo vantaggio. Ad esempio rubando denaro, proprietà o beni della vittima; costringendo la vittima a lavorare più del dovuto (per più ore, svolgendo più lavori, incluso il lavoro di cura, ecc.); relegando la vittima al solo lavoro domestico.
      – SABOTAGGIO ECONOMICO: L’autore della violenza impedisce alla vittima di cercare, ottenere o mantenere un lavoro e/o un percorso di studi distruggendo, ad esempio, i beni della vittima necessari a lavorare o studiare (come vestiti, computer, libri, altro equipaggiamento, ecc.); non prendendosi cura dei figli/e o di altre necessità domestiche per impedire alla vittima di lavorare e/o studiare; adottando comportamenti abusanti in vista di importanti appuntamenti di lavoro o di studio della vittima.

      CONTRASTO ALLA VIOLENZA ECONOMICA: LE PROPOSTE DI WEWORLD

      Grazie all’esperienza maturata in dieci anni di intervento a sostegno delle donne e dei loro diritti, abbiamo sviluppato una serie di proposte per contrastare la violenza economica:

      PREVENIRE

      – Introduzione di curricula obbligatori di educazione sessuo-affettiva nelle scuole di ogni ordine e grado a partire dalla scuola dell’infanzia.
      – Introduzione di curricula obbligatori di educazione economico-finanziaria nelle scuole a partire dalla scuola primaria.
      – Campagne di sensibilizzazione multicanale e rivolte alla più ampia cittadinanza che individuino il fenomeno e le sue specificità.

      (RI)CONOSCERE E MONITORARE

      – Adozione di una definizione condivisa di violenza economica che ne specifichi i comportamenti.
      - Attuazione della Legge 53/2022, riservando attenzione alla raccolta e monitoraggio di dati sul fenomeno della violenza economica e su altri dati spia (condizione di comunione/separazione dei beni, presenza o meno di un conto in banca, condizione occupazionale, titolo di studio, presenza o meno di immobili o beni intestati, ecc.)

      INTERVENIRE

      - Maggiori e strutturali finanziamenti al reddito di libertà (sostegno economico per donne che cercano di allontanarsi da situazioni di violenza e sono in condizione di povertà) integrato a politiche abitative e del lavoro più solide e inclusive
      – Attività di prevenzione ed empowerment femminile che possano integrare l’operato della filiera dell’antiviolenza attraverso presidi territoriali permanenti.
      – Allargamento della filiera dell’antiviolenza a istituti finanziari con ruolo di “sentinella”.

      Pour télécharger le rapport:
      https://ejbn4fjvt9h.exactdn.com/uploads/2023/11/CIO-CHE-E-TUO-E-MIO-previewsingole-3.pdf

      https://www.weworld.it/news-e-storie/news/cio-che-e-tuo-e-mio-fare-i-conti-con-la-violenza-economica-il-nostro-report-
      #sabotage_économique #WeWorld

  • Unser Abschiedsbrief - Wir stellen die elinor Plattform ein
    https://elinor.network/de/posts/abschiedsbrief

    Ces jeunes gens sympatiques ont travaillé pendant six an pour l’idée de la création d’une plateforme collective et démocratique de financement d’initiatives citoyennes naissantes. Son grand succès est à l’origine de la mort du projet.

    On nous fait comprendre que toutes les administrations de l’état se réuniront et nous menaceront comme le ferait n’importe quelle mafia si nous risquons d’avoir du succès avec nos tentatives de démocratisation.

    Pourtant les gens à l’origine du projet ont respecté toutes les lois. Ils ont obtenu l’aval de la BAFIN et ils travaillaient en étroite collaboration avec la banque GLS qui les protégeait contre les risques d’abus par les professionnels du blanchiment d’argent.

    Le constat est atterrant : il n’y aura jamais de gestion démocratique du financement de nos activités tant que l’état allemand existera dans sa forme présente. Nous aurons toujours besoin pour agir de personnages bizarres comme Parvus ou de mécènes et philantropes .

    Un collectif ? Il semble qu’il n’y ait rien que l"état bougeois craigne plus que nos forces réunies hors de sa tutelle.

    1. September 2023 von elinor Team - Diese Entscheidung ist uns alles andere als leichtgefallen. Wir sind für eine zivilgesellschaftliche Infrastruktur zur gemeinschaftlichen Geldverwaltung angetreten, weil wir wissen, dass ihr und viele andere Gruppen für eure Aktivitäten genau eine solche Lösung braucht. Aber in den letzten Monaten haben sich immer mehr öffentliche Stellen dagegen positioniert. Darum müssen wir mit schwerem Herzen die elinor Plattform einstellen.

    Wir haben gehofft, diesen Text niemals schreiben zu müssen. Dass diese Entscheidung eure Projekte, eure Aktivitäten und euer Engagement ausbremst, tut uns besonders leid. Das Angebot von elinor war aber so ungewöhnlich, dass unsere Arbeit in den letzten Monaten von Auseinandersetzungen mit einer ganzen Reihe von öffentlichen Stellen geprägt war. Das hat unsere Handlungsfähigkeit erstickt. Als Start-up konnten wir das nicht länger durchhalten. Darüber sind wir außerordentlich traurig. Trotzdem wollen wir an dieser Stelle auch auf eine sehr spannende und erfahrungsreiche Zeit zurückschauen, für die wir von Herzen dankbar sind.

    Alles fing 2018 an, mit Lukas Kunert, Ruben Rögels, Falk Zientz und der Finanz-Mathematikerin Daria Urman. Sie gründeten elinor zur peer-to-peer Absicherung als solidarische Alternative zu Versicherungen. Doch die Nachfrage entwickelte sich anders, als erwartet: Die Fridays for Future Aktivist*innen haben 2019 die Plattform positiv zweckentfremdet, um gemeinschaftlich ihre Gelder zu verwalten. Schlagartig wurde uns klar, dass genau solche Gruppenkonten einen echten Bedarf decken könnten. Tatsächlich kamen schnell weitere Gruppen hinzu, die über elinor gemeinsame Projekte und Ideen realisierten. Darum bündelten wir unsere Ressourcen für ein Relaunch, so dass die elinor Plattform ab 2021 auf Gruppenkonten spezialisiert war. Über die Umsetzung im deutschen Rechtsrahmen waren wir von Anfang an mit der Bankenaufsicht (BaFin) im Austausch. Nach eingehender Prüfung stimmte uns diese in allen Punkten zu. Damit hatten wir das erste digitale Gruppenkonto für Projekte und Initiativen in Deutschland geschaffen! Mit viel Leidenschaft entwickelten wir elinor weiter. Unsere Community ist gewachsen, genauso wie unser Team, und wir durften immer wieder eure Dankbarkeit spüren, weil wir es geschafft haben, für Initiativen wie euch eine große Hürde abzubauen.
    Es war sehr bereichernd und motivierend zu sehen, wie viele Menschen sich zu Gemeinschaften zusammenschließen, um Projekte umzusetzen, aktiv an unserer Gesellschaft mitzuwirken und einen Wandel anzustoßen. Dabei langen uns auch besonders die kleinen zarten und sich noch im werden befindenden Initiativen besonders am Herzen, denn gerade sie brauchen ein förderndes und ermöglichendes Umfeld.

    Zwischendurch haben wir eigene Initiativen gestartet, teilweise mit großer öffentlicher Aufmerksamkeit: Am ersten Tag des Lockdowns im März 2020 riefen wir die #KunstNothilfe ins Leben, um betroffene Kunst- und Kulturschaffende zu unterstützen. Mehr als 500 Menschen machten ad hoc mit, lange bevor die öffentliche Hand darüber nachdachte. 2022 starteten wir am ersten Tag des russischen Angriffs auf die Ukraine ohne zu zögern das Projekt #Unterkunft Ukraine, eine digitale Bettenbörse für ukrainische Geflüchtete. Daraus wurde die bislang größte zivilgesellschaftliche Initiative dieser Art. Beide Initiativen lösten eine riesige öffentliche Resonanz aus und brachten damit auch weitere Aufmerksamkeit für die Gruppenkonten. Solche Projekte stellten unser kleines Team vor großen Herausforderungen, doch sie zeigten gleichzeitig, wie wertvoll eine solche agile Plattform gerade in Krisensituationen sein kann. Durch Kooperationen mit Ministerien und Berichten auf den besten Sendeplätzen sahen wir das bestätigt.

    Ihr könnt euch bestimmt vorstellen, wie sehr es uns nun trifft, dass wir unsere Ermöglichungsplattform nicht mehr zur Verfügung stellen können. Für uns ist es nicht nur eine Firma, die wir aufgeben müssen, sondern auch unsere Ideen, unsere Wünsche für Gemeinschaften und Gruppen, ein wunderbares Team und eine große Portion Idealismus dahinter.
    Wir sind besonders traurig darüber, dass unsere Idee an vielen Stellen befürwortet wird, wir jedoch wegen eng ausgelegten Regularien und politischem Druck keine Möglichkeit mehr haben, unseren Betrieb aufrecht erhalten zu können.

    Darum ist es für uns Zeit, tschüss zu sagen. Unser großes Herzensthema bleibt weiterhin, Gemeinschaft zu leben und dafür passende Formen zu entwickeln. Scheitern gehört immer wieder dazu und kann Entwicklung und Solidarität auslösen. In diesem Sinne danken wir allen, die uns an unterschiedlichen Ecken und Enden unterstützt und mit uns mitgefiebert haben. Mit euch haben wir erlebt, was gemeinschaftlich möglich ist. Lasst uns das weitertragen.

    Euer elinor Team

    Chiara, Bonina, Ruben, Calvin, Guida, Richard, Anne, Falk und Lukas

    Wir brauchen eure Solidarität!

    elinor muss seine Arbeit einstellen. Das geht nicht ohne Aufwand, vor allem für Rechtskosten, Jahresabschlüsse und die letzten Gehälter. Hier könnt ihr euch daran solidarisch beteiligen:

    Kontoinhaber: elinor Treuhand e.V.
    IBAN: DE37430609677918887704
    BIC: GENODEM1GLS

    Vielen Dank!

    #Allemagne #finances #répression #autonomie

  • RSA, APL, AAH : le compte bancaire des allocataires peut être consulté par un contrôleur CAF lors d’un contrôle à domicile [titre revu pour ce rappel]
    https://www.20minutes.fr/societe/2609227-20190921-rsa-compte-bancaire-beneficiaire-peut-etre-consulte-cadre

    FAKE OFF L’affirmation a été avancée ce week-end. Des contrôles sont bien effectués, « seulement en cas de doute sur le niveau des ressources », précise la Caisse nationale des allocations familiales

    Les #contrôleurs des #CAF peuvent-ils examiner les relevés bancaires des bénéficiaires du #RSA ? L’affirmation a été avancée ce week-end.
    En 2018, le ministère des Solidarités et de la Santé avait confirmé cette pratique.

    Celle-ci est encadrée.
    Le #compte_bancaire d’un bénéficiaire du RSA peut-il être examiné en cas de contrôle ? L’affirmation a été avancée samedi par Marie Wilhelm, une auteure de polars, dans un tweet largement repris. « J’apprends qu’un décret est passé cet été permettant de fouiller les comptes bancaires des gens au RSA afin de le leur retirer s’ils ont touché autre chose, y compris les étrennes envoyées par mamie, écrit cet internaute. Pour la fraude fiscale, les moyens dévolus au fisc ont encore été restreints. »

    L’internaute a ensuite précisé que cela fait déjà « beau temps qu’on dénie toute dignité et vie privée aux gens au RSA ».

    Les CAF et la #MSA, qui versent le RSA pour le compte des départements, « sont en droit de demander aux bénéficiaires de leur communiquer la copie de leurs relevés de compte bancaire afin de contrôler l’exactitude des déclarations concernant les ressources », expliquait en 2018 le ministère de Solidarités et de la Santé, en réponse à une question d’un député.

    Ces deux organismes « sont habilités par la loi à vérifier les déclarations des bénéficiaires du RSA », ajoutait le ministère.

    Un contrôle « seulement en cas de doute sur le niveau des ressources »
    Pourquoi une telle demande ? « Le droit au RSA est calculé pour chaque foyer en prenant en compte toutes les ressources, de quelque nature qu’elles soient, de tous les membres du foyer », répondait le ministère.
    Ces contrôles sont encadrés et ne peuvent pas être effectués par tous les agents des CAF, rappelle la Caisse nationale des allocations familiales (Cnaf) auprès de 20 Minutes : « Seuls les contrôleurs des CAF sur place, dans le cadre d’un contrôle au domicile des allocataires, peuvent demander aux banques (…) des relevés du compte. » Cette demande intervient « seulement en cas de doute sur le niveau des ressources suite aux premières investigations réalisées ».

    Une « quinzaine de cas » en Alsace
    La pratique est bien établie : en avril, les délégués du défenseur des droits en Alsace alertaient sur une « quinzaine de cas », où des parents ont versé des « petites sommes régulières à leurs enfants ». Ces sommes « apparaissent sur les relevés bancaires (des enfants) et la CAF les compte comme un #revenu supplémentaire. Cela peut avoir des conséquences assez redoutables comme la suppression du RSA. » Le département du Haut-Rhin avait tempéré auprès de 20 Minutes : « Si les sommes sont modiques, elles ne seront pas prises en compte. »
    En 2016, la Cnil précisait à 20 Minutes que le bénéficiaire, pour des raisons de confidentialité, « pourra occulter toutes les autres informations qui ne sont pas nécessaires à l’appréciation du bénéfice du droit en question – en l’occurrence les dépenses figurant sur les relevés » .

    Des informations croisées avec d’autres organismes
    Les agents des CAF peuvent également accéder au #Ficoba, le fichier national des comptes bancaires et assimilés, qui contient les coordonnées de la personne ayant ouvert le compte (son nom, son prénom, son adresse ainsi que sa date et son lieu de naissance). Il ne donne pas d’informations « sur les opérations effectuées ou sur son solde », précise la Cnil sur son site.
    Le but ? Croiser les informations déclarées par les allocataires avec celles d’autres organismes pour détecter soit les sommes d’argent dues par la CAF aux allocataires, soit les sommes trop perçues par les bénéficiaires.

    Si l’allocataire refuse un contrôle ou refuse de fournir les pièces justificatives qui lui sont demandées, « le paiement de ses prestations pourra être interrompu », explique la Cnaf.
    En 2017, les CAF ont effectué 35,4 millions de contrôles (toutes prestations sociales confondues) dont près de 172.000 à domicile, rappelle la CNAF. Ces contrôles ont permis de régulariser 1,12 milliard d’euros. Sur ce montant, 316 millions ont été versés à des allocataires qui ne percevaient pas assez et 802 millions ont été réclamés aux allocataires qui avaient trop perçu. Les CAF ont détecté la même année pour 291 millions d’euros de fraude : le montant moyen d’une fraude était de 6.455 euros. Ces fraudes représentent 0,36 % des allocataires.

    • préférer des versements en liquide et bien choisir les dates de déclaration des autres versements, lorsque c’est possible...

    #contrôle_au_domicile #relevés_bancaire #suspicion_de fraude #suppression_d'_allocation

  • #Poste_Italiane s.p.a comunica a tutte le filiali l’obbligo di aprire conti correnti di base ai richiedenti asilo

    In data 7 giugno u.s. Poste Italiane ha diramato la comunicazione interna n. 129 avente ad oggetto l’apertura di conto corrente di base ai soggetti richiedenti protezione internazionale con il solo permesso di soggiorno.

    Si legge in tale comunicazione che: “al fine di consentire una maggiore inclusione finanziaria, i soggetti richiedenti protezione internazionale possono richiedere l’apertura di un Conto di Base esibendo il solo permesso di soggiorno provvisorio, senza l’obbligo di esibire, congiuntamente al permesso, il proprio passaporto quale documento di riconoscimento.

    Il permesso di soggiorno provvisorio sarà pertanto considerato valido documento di riconoscimento del cliente che intenda aprire un conto corrente limitatamente a richieste di apertura del conto di base.

    Si dovrebbe porre finalmente la parola fine ad un’annosa questione riguardante il rifiuto opposto da praticamente tutte le filiali presenti sul territorio italiano nei mesi successivi all’approvazione del d.l. 113. Tale comunicazione conferma invece in senso opposto che tutti i richiedenti asilo hanno diritto all’apertura di un c/c di base anche in assenza di passaporto o carta d’identità, come peraltro era già stato chiarito con la nota diffusa da ABI lo scorso 19 aprile.

    Il permesso di soggiorno, può dunque essere accettato come unico documento valido di riconoscimento per l’apertura di un conto base, nonché come valido documento per effettuare operazioni, sia occasionali che a valere su rapporto continuativo.

    In tal modo viene data effettiva applicazione al contenuto dell’art. 13 co.3 del decreto sicurezza (convertito in l. 132/2018) il quale prevede che tutti i servizi pubblici e privati vanno comunque garantiti nel luogo di domicilio del richiedente.

    ASGI invita tutti i richiedenti che intendano aprire un conto corrente di base presso le Poste a presentarsi agli Uffici esibendo la comunicazione in calce, onde evitare ulteriori illegittimi rifiuti.

    https://www.asgi.it/discriminazioni/poste-italiane-s-p-a-comunica-a-tutte-le-filiali-lobbligo-di-aprire-conti-corre
    #decret_salvini #résistance #compte_bancaire #poste

    Ajouté à la métaliste:
    https://seenthis.net/messages/739545#message766817

  • Haut-Rhin : les bénéficiaires du RSA devront présenter leurs comptes bancaires pour toucher les allocations
    https://www.francebleu.fr/infos/politique/rsa-dans-le-haut-rhin-verifie-les-comptes-bancaires-des-beneficiaires-146

    « C’est une nouvelle arme pour lutter contre la fraude au RSA », explique le président du Conseil départemental du Haut-Rhin, Eric Straumann. Les #allocataires du revenu de solidarité active depuis plus de trois ans doivent désormais fournir les relevés bancaires. Une mesure révélée lundi.

    Dans le Haut-Rhin, des bénéficiaires du #RSA ont reçu l’obligation de fournir des relevés de #compte_bancaire. L’information a été révélée ce lundi par France Inter.

    Objectif lutter contre la fraude au RSA 

    « Depuis le mois de janvier, 400 bénéficiaires du RSA de plus de trois ans ont dû fournir des relevés bancaires des six derniers mois. 44 personnes avaient des revenus suffisants et ne devaient en principe pas toucher le revenu de solidarité active. Parmi ces allocataires, certains travaillaient en Allemagne et en Suisse et rapatriaient ce qu’ils gagnaient sur leur compte », a précisé le président du Conseil départemental du Haut-Rhin, Eric Straumann. « Ça nous a permis de récupérer plus de 26.000 euros. Ces allocataires pris la main dans le sac ne percevront plus le RSA. »

    « Chasse aux sorcières » pour les bénéficiaires, 852.000 euros récupérés

    A Colmar, à la Caisse d’allocation familiale, la pilule a du mal à passer. Pour Patrick, bénéficiaire du RSA, « pas question de donner mes relevés bancaires, ça frôle l’atteinte à la vie privée. »

    RSA. Les comptes bancaires des bénéficiaires contrôlés ?
    http://www.ouest-france.fr/politique/rsa-les-comptes-bancaires-des-beneficiaires-controles-4247029

    Les départements ont-ils un droit de regard sur les relevés bancaires des bénéficiaires du revenu de solidarité active ? Le Bas-Rhin le fait pour lutter contre la fraude.

    Une proposition de Bruno Le Maire
    Le député Les Républicains de l’Eure avait évoqué cette mesure, le 27 avril, dans le cadre plus large d’une réforme de la fonction publique territoriale. Le candidat à la primaire de la droite et du centre souhaite que les départements deviennent le guichet unique des aides sociales.

    L’ancien ministre de l’Agriculture propose de leur donner alors « la possibilité d’avoir accès aux comptes bancaires des bénéficiaires du RSA pour s’assurer que chaque bénéficiaire touche bien le montant dont il a besoin et qu’il n’y a ni gabegie ni #fraude ».