• Il nuovo volto del #water_grabbing e la complicità della finanza

    Fondi pensione e società di private equity investono sulla produzione di colture di pregio, dai piccoli frutti alle mandorle, che necessitano abbondanti risorse idriche. Il ruolo del fondo emiratino #Adq che ha acquisito l’italiana #Unifrutti.

    Per osservare più da vicino il nuovo volto del water grabbing bisogna andare nella regione di Olmos, nel Nord del Perù, dove il Public sector pension investment board (Psp), uno dei maggiori gestori di fondi pensionistici canadesi (con un asset di circa 152 miliardi di dollari) ha acquistato nel 2022 un’azienda agricola di 500 ettari specializzata nella coltivazione di mirtilli. Un investimento finalizzato a sfruttare il boom della produzione di questi piccoli frutti, passata secondo le stime della Banca Mondiale dalle 30 tonnellate del 2010 alle oltre 180mila del 2020: quantità che hanno fatto del Paese latino-americano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti.

    Nella regione di Olmos l’avvio di questa coltivazione intensiva è stato reso possibile grazie a un progetto idrico, costato al governo di Lima oltre 180 milioni di dollari, per deviare l’acqua dal fiume Huancabamba verso la costa e migliorare la produzione agricola locale. “Ma il progetto non ha ottenuto i risultati annunciati”, denuncia il report “Squeezing communities dry” pubblicato a metà settembre 2023 da Grain, una Ong che lavora per sostenere i piccoli agricoltori nella loro lotta per la difesa dei sistemi alimentari controllati dalle comunità e basati sulla biodiversità. Chi ha realmente beneficiato del progetto, infatti, sono state le grandi realtà agroindustriali. “Quasi tutta l’acqua convogliata dalle Ande va alle aziende di recente costituzione che producono avocado, mirtilli e altre colture che vengono vendute a prezzi elevati all’estero -continua Grain-. Il progetto, finanziato con fondi pubblici, ha avuto pochi benefici per la popolazione ma ha creato una fonte di profitti per le aziende che hanno accesso libero e gratuito all’acqua e i loro investitori”.

    I protagonisti di questa nuova forma di water grabbing sono fondi pensione, società di private equity e altri operatori finanziari che si stanno muovendo in modo sempre più aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche necessarie alla produzione di colture di pregio. A differenza del passato, però, non cercano più di acquisire enormi superfici di terre coltivabili.

    “L’accesso all’acqua è sempre stato un fattore cruciale -spiega ad Altreconomia Delvin Kuyek, ricercatore di Grain e autore dello studio-. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo modello: investimenti in colture come mirtilli, avocado o mandorle che richiedono meno terra rispetto al grano o alla soia, ma quantità molto maggiori di acqua. A guidare l’investimento, in questo caso, è proprio la possibilità di accedere ad abbondanti risorse idriche per mettere sul mercato prodotti che permettano di generare un ritorno economico importante”. Una forma di sfruttamento che Grain paragona all’estrazione di petrolio: si pompa acqua da fiumi o falde fino all’esaurimento, senza preoccuparsi degli impatti sull’ambiente o dei bisogni della popolazione locale. Gli operatori finanziari, infatti, non prevedono di sviluppare attività produttive sul lungo periodo ma puntano a ritorno sui loro investimenti entro 10-15 anni. Un’altra caratteristica di questi accordi, è che tendono a realizzarsi in località in cui l’acqua è già scarsa o in via di esaurimento.

    Negli ultimi anni il fondo pensionistico canadese ha acquistato direttamente o investito in società che gestiscono piantagioni di mandorle in California, di noci in Australia e California. Mentre in Spagna, attraverso la controllata Hortifruit, è diventato uno dei principali produttori di mirtilli nella regione di Huelva (nel Sud-Ovest del Paese) dove si concentra anche la quasi totalità della coltivazione di fragole spagnole, destinata per l’80% all’export.

    In Perù nel 2020 sono stati prodotte 180mila tonnellate di mirtilli. Numeri che fanno del Paese latinoamericano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Nel 2010 erano solo 30

    Tutto questo sta avendo effetti devastanti sulle falde che alimentavano le zone umide della vicina riserva di Doñana, ricchissimo di biodiversità e patrimonio Unesco: un riconoscimento oggi messo a rischio proprio dall’eccessivo sfruttamento idrico. Lo studio “Thirty-four years of Landsat monitoring reveal long-term effects of groundwater abstractions on a World heritage site wetland” pubblicato ad aprile 2023 sulla rivista Science of the total environment, evidenzia come tra il 1985 e il 2018 il 59,2% della rete di stagni sia andata perduta a causa delle attività umane. “Il problema è collegato anche alla produzione di frutti rossi che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, grazie alla presenza di condizioni climatiche ottimali e a un suolo sabbioso”, spiega ad Altreconomia Felipe Fuentelsaz del Wwf Spagna. Ma la crescita del comparto ha portato a uno sfruttamento eccessivo delle falde, da cui viene prelevata troppa acqua rispetto al tempo che necessitano per rigenerarsi. L’organizzazione stima che nel corso degli anni siano stati scavati più di mille pozzi illegali: “L’80% dei produttori rispetta le norme per l’utilizzo delle risorse idriche, ma il restante 20%, che equivale a circa duemila ettari di terreno, pompa acqua senza averne diritto”, puntualizza Fuentelsaz.

    Questa nuova forma di water grabbing interessa diversi Paesi: dal Marocco (dove il settore agro-industriale pesa per l’85% sul consumo idrico nazionale) al Messico dove è attiva la società di gestione Renewable resources group. Secondo quanto ricostruito da Grain, nel 2018 ha acquisito centomila ettari di terreni agricoli in Messico, Stati Uniti, Cile e Argentina, nonché diritti idrici privati negli Stati Uniti, in Cile e in Australia, generando rendimenti annuali superiori al 20% per i suoi investitori, che comprendono fondi pensione, di private equity e compagnie di assicurazione.

    Tra le società indicate nel report di Grain figura anche Adq, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni ha effettuato importanti investimenti nel comparto agro-alimentare: attraverso la sua controllata Al Dahra ha acquistato terreni in Egitto, Sudan e Romania. Nel 2020 ha acquisito il 45% di Louis Dreyfus Company, una delle quattro principali aziende che controllano il mercato globale del commercio agricolo. E nel 2022 ha comprato la quota di maggioranza di Unifrutti group, società italiana specializzata nella produzione e nella commercializzazione di frutta fresca con oltre 14mila ettari di terreni tra Cile, Turchia, Filippine, Ecuador, Argentina, Sudafrica e Italia.

    Unifrutti group ha sede fiscale a Cipro, uno dei Paesi dell’Unione europea a fiscalità agevolata che garantiscono vantaggi alle società che vi hanno sede. Ma a sfruttare i benefici sono anche oligarchi russi colpiti dalle sanzioni dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e inasprite a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. A rivelarlo l’inchiesta “Cyprus confidential” pubblicata a novembre dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij)

    “Questi investimenti hanno un doppio obiettivo -spiega ad Altreconomia Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi- da un lato, sono orientate a trarre profitto dal commercio internazionale e dalle materie prime. In secondo luogo, si preoccupano di garantire la sicurezza alimentare. Queste due logiche in qualche modo sono intrecciate tra loro, in modo da rendere la sicurezza alimentare redditizia per gli Emirati Arabi Uniti. C’è poi un altro elemento: penso che i Paesi del Golfo siano piuttosto preoccupati dal fatto di essere visti come ‘accaparratori’ di terra. In questo modo, invece, possono affermare di aver effettuato un semplice investimento sul mercato”.

    Fondata dall’imprenditore Guido De Nadai nel 1948 ad Asmara come compagnia di import/export di frutta e verdura, oggi Unifrutti group è una realtà globale “che produce in quattro diversi continenti e distribuisce in oltre 50 Paesi” si legge sul sito. Trecento tipologie di prodotti commercializzati, 14mila ettari di terreni (di proprietà o in gestione) e 12mila dipendenti sono solo alcuni numeri di una realtà che ha ancora la propria sede principale a Montecorsaro, in provincia di Macerata, dove si trova il domicilio fiscale di Unifrutti distribution spa. La società è controllata da Unifrutti international holdings limited, con sede fiscale a Cipro, Paese a fiscalità agevolata. Con l’ingresso di Adq come socio di maggioranza sono cambiati anche i vertici societari: il 13 novembre 2023, ha assunto l’incarico di amministratore delegato del gruppo Mohamed Elsarky che ha alle spalle una carriera ventennale come Ceo per società del calibro di Kellog’s Australia e Nuova Zelanda e Godiva chocolatier e come presidente di United biscuits del gruppo Danone. Mentre Gil Adotevi, chief executive officer per il settore “Food and agriculture” del fondo emiratino Adq, ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione: “Mentre il Gruppo si avvia verso un nuovo entusiasmante capitolo di crescita -ha dichiarato- siamo certi che la guida e la leadership di Mohamed porteranno l’azienda a realizzare i suoi ambiziosi piani”.

    Nel 2021 il gruppo ha commercializzato circa 620mila tonnellate di prodotti (in primo luogo banane, uva, mele, pere, limoni e arance) registrando un fatturato complessivo di 720 milioni di dollari (in crescita del 2% rispetto al 2020) e un margine operativo lordo di 78 milioni. Una performance estremamente positiva che “si è verificata nonostante le numerose sfide che hanno caratterizzato il perimetro operativo del gruppo a partire dalle condizioni climatiche avverse senza precedenti in Cile e in Italia”. Il Paese latino-americano -principale sito produttivo del gruppo, con oltre seimila ettari di terreno dove si producono mele, uva, pere e ciliegie- è stato infatti colpito per il quarto anno di fila da una gravissima siccità che alla fine del 2021 ha visto 19 milioni di persone vivere in aree caratterizzate da “grave scarsità d’acqua”. Come ricorda Grain nel report “Squeezing communities dry” tutte le regioni cilene specializzate nella produzione di frutta “stanno affrontando una crisi idrica aggravata dalla siccità causata dal cambiamento climatico”.

    https://altreconomia.it/il-nuovo-volto-del-water-grabbing-e-la-complicita-della-finanza
    #eau #agriculture #finance #financiarisation #fonds_de_pension #private_equity #Public_sector_pension_investment_board (#Psp) #petits_fruits #myrtilles #Olmos #Pérou #Huancabamba #industrie_agro-alimentaire #avocats #exportation #amandes #ressources_hydriques #extractivisme #Hortifruit #Huelva #Espagne #fraises #Doñana #fruits_rouges #Maroc #Renewable_resources_group #Mexique #Emirats_arabes_unis (#EAU) #Al_Dahra #Egypte #Soudan #Roumanie #Louis_Dreyfus_Company #Guido_De_Nadai #Chypre #Mohamed_Elsarky #Kellog’s #Godiva_chocolatier #United_biscuits #Danone #Gil_Adotevi #Chili

  • En #Andalousie, le joyau naturel de #Doñana menacé par la sécheresse et la culture intensive de la #fraise

    Zone naturelle classée, le parc national de Doñana voit disparaître ses lagunes et ses marais. Les centaines de milliers d’oiseaux migrateurs qui ont l’habitude d’y faire halte entre l’Europe du Nord et l’Afrique sont contraints de l’abandonner. En cause, la culture intensive de fruits rouges, gourmande en irrigation, sur fond de changement climatique.
    Juan Pedro Castellano avance à vive allure sur une immense plage vierge, où courent quelques bécasseaux. A bord de son véhicule tout-terrain, le directeur du parc national de Doñana, zone humide exceptionnelle à la pointe sud de l’Espagne, inscrite au Patrimoine mondiale de l’Unesco, sillonne des dunes mobiles et des pinèdes et longe les vastes marais argileux qui forment les 60 000 hectares protégés du parc. Il croise des vaches mostrenca aux longues cornes, des daims et des chevaux sauvages, avant de s’arrêter devant la lagune de Santa Olalla. Ou plutôt ce qu’il en reste. Jaillissant de l’aquifère, elle s’est complètement asséchée cet été. Et une terre grise, craquelée, a remplacé cet écrin de biodiversité d’une valeur incalculable. Cette lagune censée être « permanente » – la plus grande du parc – abrite d’ordinaire des milliers d’oiseaux migrateurs, dont l’arrivée devrait déjà avoir commencé. En cette mi-octobre, sous un soleil éclatant et une température inhabituelle de 33 °C, elle n’est fréquentée que par les cerfs.

    « Les lagunes ne représentent que 300 hectares, tente de se consoler ce géographe, à la tête du parc depuis quatorze ans, tout en s’extasiant devant des plants de bruyère atlantique qui côtoient des espèces subdésertiques de palmiers. Maigre réconfort, alors que les 30 000 hectares de marécages, qui dépendent de l’eau de pluie et qui sont d’ordinaire le point de rencontre des oiseaux migrateurs du nord de l’Europe et d’Afrique subsaharienne, sont eux aussi à sec. « Le changement climatique est une réalité, convient M. Castellano. Il va pleuvoir de moins en moins et nous devons adapter la gestion des ressources naturelles en conséquence. »

    Cela fait treize ans que Doñana n’a pas connu de pluies abondantes. Pis, le parc souffre depuis trois ans d’une sécheresse intense. « C’est la quatrième fois depuis qu’il existe des registres que la lagune d’Olalla s’assèche, après 1983, 1995 et 2022. Mais c’est la première fois qu’elle s’assèche deux étés consécutifs, ce qui induit une grave perte de biodiversité, dit, inquiet, dans son bureau de Séville, Eloy Revilla, le directeur de la station biologique de Doñana, centre de recherche scientifique consacré à la réserve. L’écosystème de Doñana est en mauvais état. Les lagunes temporaires ont disparu, les lagunes permanentes ne le sont plus, et de plus en plus d’espèces sont menacées. Nous sommes en train de perdre un joyau environnemental, que nous avons l’obligation légale de préserver. » Pour le scientifique, cette situation est « le fruit de près de trente ans de failles de l’administration, qui n’a pas su définir un usage rationnel du sol et qui a permis l’extraction sans contrôle de l’aquifère ».
    Des milliers de puits illégaux
    A une trentaine de kilomètres du cœur de Doñana, au volant de sa vieille fourgonnette Citroën C15, l’écologiste Juan Romero peste tout haut en longeant les champs de fraises, fraîchement plantées, qui s’étendent à perte de vue. « Ce champ est arrosé illégalement. Celui-ci aussi… Et regardez comme cet agriculteur inonde sa plantation, alors que, à quelques kilomètres, les lagunes de Doñana sont asséchées », se lamente le porte-parole local de l’association Ecologistas en Accion (« écologistes en action »). Ce professeur à la retraite a consacré une bonne partie de sa vie à la défense de Doñana. Il en connaît tous les recoins. Y compris les centaines de puits illégaux qui pompent, depuis des années, l’aquifère de Doñana, officiellement classé comme « surexploité », pour arroser les fruits rouges consommés dans toute l’Europe. « C’est bien simple : ici, à Lucena del Puerto, presque toutes les exploitations situées au milieu des pins devraient être démantelées… », ajoute M. Romero, en découvrant une canalisation sauvage, qui remplit un bassin destiné à l’irrigation de champs de myrtilles.

    Au bord d’un chemin, un panneau routier a été tagué en noir. « Plus de harcèlement ! », y ont inscrit des agriculteurs en colère. Depuis que la Cour de justice de l’Union européenne a condamné l’Espagne, en juin 2021, pour ne pas avoir protégé suffisamment Doñana, les inspecteurs de la Confédération hydrographique du Guadalquivir, rattachée au ministère de la transition écologique, ont multiplié les contrôles et scellé près d’un millier de puits illégaux autour de l’espace naturel protégé. La justice aussi semble prendre le vol d’eau plus au sérieux. En septembre, cinq frères ont été condamnés à trois ans et demi de prison et 1,9 million d’euros de remboursement pour avoir puisé illégalement 19 millions de mètres cubes d’eau dans l’aquifère de Doñana entre 2008 et 2013. Et fin octobre, un tribunal de Séville a cité à comparaître la Maison d’Albe, riche famille de la noblesse espagnole, après une plainte du parquet environnemental pour un vol d’eau au travers de huit puits illégaux destinés à la culture d’orangers.

    A rebours de cette prise de conscience, le Parti populaire (PP ; droite), au pouvoir dans la communauté autonome d’Andalousie depuis 2019, a présenté au printemps un projet de loi régional pour régulariser plus de 700 hectares de terrains irrigués illégalement dans la « couronne nord » de Doñana. « Une amnistie pour les fraudeurs », ont critiqué les écologistes.

    Ici, l’agriculture de la fraise s’est développée à partir des années 1970 de manière sauvage. Chacun creusait son puits, voyant dans la culture du fruit rouge une manne économique pour une région déprimée. En 2014, le gouvernement andalou se résout à ordonner la situation, et décrète légales toutes les terres mises en irrigation avant 2004 (plus de 9 400 hectares), et illégales les autres (près de 1 000 hectares). C’est pour réparer ce qu’il considère comme une « injustice » que le PP a présenté son projet de loi, peu avant les élections municipales de mai. Sans doute aussi pour grappiller des voix chez les électeurs de la province.

    « Tout le modèle agricole est à revoir »
    L’association d’agriculteurs Puerto de Doñana, qui regroupe de nombreuses exploitations écologiques, s’y oppose, en rappelant que cet été, beaucoup de petits producteurs n’ont déjà pas pu arroser leurs plantations, car leurs puits étaient à sec. « Nous avons renoncé à plus de 70 % de nos exploitations irriguées ces trente dernières années afin de conserver Doñana, misé sur la production bio et donné des garanties à nos acheteurs. Nous ne voulons pas que les efforts de tant d’années tombent à l’eau à cause de l’obsession de croître de quelques-uns », explique son porte-parole, Manuel Delgado.

    Après des mois de controverse, les critiques des organisations écologistes, l’opposition du gouvernement espagnol et les avertissements lancés par l’Union européenne et l’Unesco ont fait reculer le gouvernement andalou, début octobre. Il a annoncé un moratoire sur le projet de loi, le temps de négocier avec Madrid de nouvelles infrastructures et des investissements massifs pour pallier le manque d’eau. Le ministère de la transition écologique, conduit par la socialiste Teresa Ribera, a promis 350 millions d’euros supplémentaires pour préserver le parc, fermer des puits, y compris légaux, construire des logements pour les travailleurs saisonniers qui dorment dans des dizaines de bidonvilles, et diversifier l’économie.
    Cette somme s’ajoute aux 350 millions d’euros d’investissement déjà prévus, notamment pour tripler la capacité de transvasement des fleuves Tinto, Odiel et Piedras, qui ne sont pas, pour le moment, en situation de stress hydrique, afin de remplacer l’irrigation effectuée au moyen d’eaux souterraines par des eaux de surface. Des barrages et des mégabassines doivent aussi être élargis. Collée à Doñana, la station balnéaire de Matalascañas est une autre menace à endiguer. Presque déserte en hiver, elle accueille plus de 160 000 touristes en été, et les puits qui servent à approvisionner la ville en eau et à remplir les piscines privées sont accusés d’avoir provoqué la disparition de plusieurs lagunes temporaires. Ils devraient être déplacés, le temps de construire une canalisation qui acheminera l’eau de la ville de Moguer, plus au nord.

    Mais chez les écologistes, on craint que ces infrastructures ne créent un effet d’appel chez les agriculteurs, alors que plus de 11 % du produit intérieur brut de la province de Huelva dépend déjà du secteur de la fraise, dont la surface agricole a bondi de 30 % en dix ans. « Pour le moment, nous avons dit aux agriculteurs qu’ils ne peuvent plus croître, qu’ils doivent maintenir leur taille actuelle. Mais si les travaux d’infrastructures sont menés à bien, il sera possible de reprendre la croissance… », confirme Alvaro Burgos, délégué du gouvernement andalou chargé de l’agriculture dans la province de Huelva.

    « Ce n’est pas seulement le problème des puits illégaux, c’est tout le modèle agricole qui est à revoir », considère Carlos Davila, responsable de l’association SEO Birdlife, dans le village singulier El Rocio, porte d’entrée de Doñana, où les rues en terre et les édifices en bois évoquent un paysage de Far West. Selon les estimations de l’association, le nombre d’oiseaux migrateurs a déjà chuté de 500 000 à 200 000. Les populations de canards sauvages, de spatules blanches, d’ibis, de foulques à crête, de marmaronettes marbrées, de barges à queue noire ont plongé. Et avec le réchauffement climatique, un autre ennemi met en péril le parc : « Nous n’avons jamais connu une sécheresse si longue, 46 °C enregistrés cet été, la disparition de Santa Olalla deux années de suite…, s’inquiète M. Davila. Même s’il pleuvait à peu près normalement cet hiver, la Doñana que nous avons connue a disparu. »

    https://www.lemonde.fr/planete/article/2023/10/30/en-andalousie-le-joyau-naturel-de-donana-menace-par-la-secheresse-et-par-la-
    via @colporteur

    #agriculture #sécheresse #parc_national #Espagne #agriculture #culture_intensive #irrigation #eau #zones_humides #fruits_rouges #myrtilles

  • En Andalousie, le joyau naturel de Doñana menacé par la sécheresse et la culture intensive de la fraise

    REPORTAGE Zone naturelle classée, le parc national de Doñana voit disparaître ses lagunes et ses marais. Les centaines de milliers d’oiseaux migrateurs qui ont l’habitude d’y faire halte entre l’Europe du Nord et l’Afrique sont contraints de l’abandonner. En cause, la culture intensive de fruits rouges, gourmande en irrigation, sur fond de changement climatique.

    Juan Pedro Castellano avance à vive allure sur une immense plage vierge, où courent quelques bécasseaux. A bord de son véhicule tout-terrain, le directeur du parc national de Doñana, zone humide exceptionnelle à la pointe sud de l’Espagne, inscrite au Patrimoine mondiale de l’Unesco, sillonne des dunes mobiles et des pinèdes et longe les vastes marais argileux qui forment les 60 000 hectares protégés du parc. Il croise des vaches mostrenca aux longues cornes, des daims et des chevaux sauvages, avant de s’arrêter devant la lagune de Santa Olalla. Ou plutôt ce qu’il en reste. Jaillissant de l’aquifère, elle s’est complètement asséchée cet été. Et une terre grise, craquelée, a remplacé cet écrin de biodiversité d’une valeur incalculable. Cette lagune censée être « permanente » – la plus grande du parc – abrite d’ordinaire des milliers d’oiseaux migrateurs, dont l’arrivée devrait déjà avoir commencé. En cette mi-octobre, sous un soleil éclatant et une température inhabituelle de 33 °C, elle n’est fréquentée que par les cerfs.

    ... « C’est bien simple : ici, à Lucena del Puerto, presque toutes les exploitations situées au milieu des pins devraient être démantelées… »

    Depuis que la Cour de justice de l’Union européenne a condamné l’Espagne, en juin 2021, pour ne pas avoir protégé suffisamment #Doñana, les inspecteurs de la Confédération hydrographique du Guadalquivir, rattachée au ministère de la transition écologique, ont multiplié les contrôles et scellé près d’un millier de #puits_illégaux autour de l’espace naturel protégé. La justice aussi semble prendre le #vol_d’eau plus au sérieux. En septembre, cinq frères ont été condamnés à trois ans et demi de prison et 1,9 million d’euros de remboursement pour avoir puisé illégalement 19 millions de mètres cubes d’eau dans l’aquifère de Doñana entre 2008 et 2013. Et fin octobre, un tribunal de Séville a cité à comparaître la Maison d’Albe, riche famille de la noblesse espagnole, après une plainte du parquet environnemental pour un vol d’eau au travers de huit puits illégaux destinés à la culture d’orangers.

    A rebours de cette prise de conscience, le Parti populaire (PP ; droite), au pouvoir dans la communauté autonome d’Andalousie depuis 2019, a présenté au printemps un projet de loi régional pour régulariser plus de 700 hectares de terrains irrigués illégalement dans la « couronne nord » de Doñana. « Une amnistie pour les fraudeurs », ont critiqué les écologistes.

    ... L’association d’agriculteurs Puerto de Doñana, qui regroupe de nombreuses exploitations écologiques, s’y oppose, en rappelant que cet été, beaucoup de petits producteurs n’ont déjà pas pu arroser leurs plantations, car leurs puits étaient à sec. « Nous avons renoncé à plus de 70 % de nos exploitations irriguées ces trente dernières années afin de conserver Doñana, misé sur la production bio et donné des garanties à nos acheteurs. Nous ne voulons pas que les efforts de tant d’années tombent à l’eau à cause de l’obsession de croître de quelques-uns », explique son porte-parole, Manuel Delgado.


    Les installations et serres de culture de fruits rouges, aux alentours du parc national de Donaña (Espagne), le 10 octobre 2023. CESAR DEZFULI POUR « LE MONDE »

    https://www.lemonde.fr/planete/article/2023/10/30/en-andalousie-le-joyau-naturel-de-donana-menace-par-la-secheresse-et-par-la-
    https://archive.ph/1oTdH

    #eau #sécheresse #biodiversité #lagunes #marais #zones_humides #agriculture #tourisme #agriculture_écologique #modèle_agricole #irrigation #écologie

  • Illegal strawberry farms threaten future of Spanish wetlands

    Opponents say proposed amnesty for illegal water tapping in #Doñana_national_park threatens disaster for one of Europe’s green lungs

    Juan Romero shakes his head as looks out across the lake at the wading spoonbills, the pipe-cleaner silhouettes of the flamingos and the glossy ibis that flash against the Andalucían sky.

    “This is an illusion,” says the ecologist, a retired teacher. The birds are real enough, of course, and so too are the tufty-eared Iberian lynxes that will be sniffing out a breakfast of rabbit in the quieter, wilder reaches of the huge Doñana national park in southern Spain.

    The illusion is what the water level in the lake before him says about the health of the reserve. Although there is far less water in the Charco de la Boca than there should be at this time of year, it is faring better than many parts of the sprawling wetlands known as one of Europe’s green lungs.

    Water supplies to Doñana, whose marshes, forests and dunes extend across almost 130,000 hectares in the provinces of Huelva, Seville and Cádiz, have declined drastically over the past 30 years because of climate change, farming, mining pollution and marsh drainage. A fresh crisis now looms as regional authorities consider granting an amnesty to the farmers illegally tapping its aquifer to feed the booming strawberry sector.

    https://i.guim.co.uk/img/media/e1d3392257dbfaebf6febc01b6bd7c371f8ae533/0_42_3150_1890/master/3150.jpg?width=620&quality=45&auto=format&fit=max&dpr=2&s=82f62b69b71d930a

    Nine years after Unesco warned that the area’s world heritage status was being jeopardised by such illegal tapping, the regional branch of the conservative People’s party (PP), which has governed Andalucía for the past three years, has announced a proposal to regularise the illicit farms and wells that stretch across 1,460 hectares near the protected natural space. On Wednesday, the Andalucían parliament will vote on whether to begin the legislative process.
    Advertisement

    The PP, whose bid is backed by both the far-right Vox party and the centre-right Citizens party, claims the move would help “safeguard historic rights and a traditional activity [practised] since time immemorial”.

    Opponents fear it will spell further disaster for the local environment, and point out that the area’s love affair with strawberries, known locally as “red gold”, began in the 1980s. Between January and June last year, Huelva’s exports of soft fruit – almost 20% of which are to the UK – were worth €801.3m (£678m).

    The campaign group Ecologists in Action describes Doñana as “a hostage to agriculture” and says the aquifer is already being stressed by irrigation demands. SEO BirdLife, the Spanish Ornithological Society, sees the plan as “a new assault on the Doñana natural space that favours a proliferation of irrigation and runs contrary to regional, national, European and international legislation”.

    Unesco, which declared the Doñana national park a world heritage site in 1994, has asked the Spanish government for an urgent report on the issue “before any decisions are taken that might be difficult to reverse”.

    The mooted law comes eight months after the European court of justice ruled that Spain had not fulfilled its obligations on preventing illegal water extraction around Doñana and had failed to take the measures needed to stop “significant alterations” to its protected habitats. The European Commission says it is “deeply worried” at the possible impacts of the proposed changes and has not ruled out taking Spain to the court of justice once again.

    For Felipe Fuentelsaz of WWF Spain, the environmental importance of the region cannot be overstated. “Doñana is a unique place that sits between the south of Europe and north Africa and it’s the main migration route for all the birds in Europe,” he says. “More than 6 million birds – and 200 or 300 different species – come through it each year. It’s mainly a wetland, but it also has a very important coastal dune zone and lots of surrounding forest. So it’s three ecosystems in just one place and it’s the lung of Europe.”

    https://i.guim.co.uk/img/media/cf0c8472c14493753c6cb2897839351d6b6a6997/0_212_3872_2323/master/3872.jpg?width=620&quality=45&auto=format&fit=max&dpr=2&s=480b8046f3a176ea

    Romero, a spokesperson for Ecologists in Action who has lived in the area all his life, dismisses the PP’s plan as a naked attempt to win the votes of legal and illegal farmers before a possible early regional election. “If people haven’t been obeying the law, then the People’s party can’t come along and tell them – for electoral gain – that they’re going to [get their] land legalised,” he says. “It’s a trick and a ruse.”

    The plain truth, he adds, is that Doñana simply cannot cope with the water demands of any more fruit farms.

    Drive around the area, where huge white polytunnels break in plastic waves across a landscape of pine and prickly pear, and the feelings of many local farmers are plain to see.

    Not far from some of the many decommissioned illegal wells – 420 have been shut down in recent years but others soon spring up elsewhere – are signs graffitied with a slogan that demands “no more harassment” from the Guadalquivir Hydrographic Confederation, an agency of Spain’s ecological transition ministry.

    While the local small farmers’ union, UPA Huelva, supports the PP-led proposal, arguing it will help those who missed out on their “historical rights” under a 2014 moratorium that banned any new cultivation or well-sinking, it says it will not “defend those who have invaded forest areas to turn them into agricultural lands without the correct authorisation”.

    Not all the local farmers approve of the plan. At the end of January, 300 farmers from nearby Almonte walked away from a regional group that backs the amnesty, complaining that the move would “only serve the interests of a minority of irrigation users”.

    One local fruit farmer, who asked not to be named for fear of reprisals, says the new plan is neither fair nor sensible.

    “I think it’s just madness,” he says. “Doñana is something we all love and respect. But there’s a political party that are proposing something – supported by two other parties – that I simply can’t understand.”

    The farmer says the planned amnesty is fundamentally flawed and dangerously short-sighted.

    “You have to start with the water and not the land,” he says. “If you hand out the land, then everyone’s competing with each other, the aquifer’s suffering and awful things happen. We can’t kill the goose that lays the golden eggs. But that’s what they’re trying to do and it’s bad for everyone – bad for the park and for the farmers.”

    https://www.theguardian.com/world/2022/feb/08/bitter-fruit-strawberry-boom-water-plan-raises-fears-for-spanish-wetlan

    #Spain #strawbarry_farms #llegal_water_tapping

    @cdb_77