Nel Nord della Francia tra Calais e Dunkirk centinaia di persone tentano ogni giorno di attraversare la manica e raggiungere le coste dell’Inghilterra.
I fratelli di Mohamed hanno corso durante tutta la marcia e una volta arrivati di fronte alla spiaggia si sono precipitati verso le dune di sabbia per raccoglierne a manciate e gettarsele addosso. A pochi metri di distanza, poco più di 50 persone disposte a semicerchio, commemorano il loro fratello minore, Mohamed, morto a soli dieci mesi, e #Dina_Al_Shaddadi, entrambe vittime della frontiera tra Francia e Inghilterra. Sono state le famiglie dei due a organizzare una “marche blanche” a Calais (la città francese più prossima all’Inghilterra). Hanno chiesto ai partecipanti di vestirsi di nero e portare dei fiori, e così è stato fatto.
Mohamed è morto alla Caritas per un arresto cardiaco, un giorno dopo il rientro da un tentativo di attraversamento della frontiera. Dina invece è morta in mare.
Il 27 di luglio si era aperta una finestra di passaggio per tentare la traversata. Il vento era buono, il tempo pure e Dina Al Shaddadi e la sua famiglia avevano deciso di provare per la quinta volta. Dina e sua sorella, Nour, sono salite per prime sulla barca, erano sicure di avercela fatta, l’Inghilterra era a un passo. Il gommone ha cominciato in fretta a riempirsi di persone che pur non avendo comprato un biglietto sono salite. Nour e Dina sono state schiacciate dalla massa di persone accalcate sull’imbarcazione. Nour ha provato a richiamare l’attenzione, a suggerire a chi era con loro di chiamare i soccorsi, ha cercato di impedire che si avviasse il motore e si arrivasse al largo. Solo quando il volto di Dina è sbiancato e il collo è diventato blu le persone intorno a lei hanno capito che la situazione era grave e hanno chiamato il 112. Era troppo tardi.
Dalla Brexit il numero di persone che hanno tentato di attraversare per mare il confine è aumentato notevolmente, così come è cresciuto il numero di vittime. Non ci sono abbastanza barche per tutti, il viaggio ha un costo molto alto – si parla di duemila euro per un tragitto che per vie legali costerebbe 40£ – e chi non paga un biglietto ai “passeur” (i trafficanti) prova a saltare all’ultimo dentro la barca, come è successo a Dina e Nour, compromettendo la sicurezza di tutti, anche la propria.
Per contrastare gli “sbarchi irregolari” i governi di Francia e Inghilterra hanno avviato degli accordi bilaterali per bloccare le partenze dalle Coste francesi: il litorale di Calais è altamente militarizzato, il porto è circondato da filo spinato e le pattuglie della polizia monitorano le spiagge di Boulogne, Calais e Grand Synthe.
Di notte migranti e polizia giocano a nascondino: i primi si confondono nelle dune di sabbia e tra la vegetazione, quando non vedono uomini in divisa all’orizzonte corrono portando in alto il gommone, una volta entrati in acqua accendono il motore e salgono, molto velocemente, per partire e godere dell’immunità: la polizia in acqua non li può toccare.
Ma l’attenzione della polizia non riguarda soltanto la costa, tocca anche la città di Calais. Dopo lo smantellamento della giungla nel 2016, dove abitavano circa 10.000 persone, i campi si sono dispersi e frammentati in diversi luoghi della città. Ogni 48 ore almeno venti –ma spesso molti di più – uomini della Police Nationale in tenuta anti-sommossa operano degli sfratti nei campi: portano via alcune tende, al cui interno si trovano spesso i pochi averi di chi vive in quei rifugi di fortuna, a volte arrestano qualcuno, e poi passano al campo successivo.
Una mattina mentre la polizia sta sgomberando il campo cosiddetto “Unicorn”, accanto all’ospedale di Calais, Nassim (nome di fantasia) li guarda e dice: «Io ero come loro». Sua madre è siriana, suo padre turco, dopo il 2011 è scappato da Damasco, ha attraversato il confine ad Ovest ed è andato a vivere con la sua famiglia nella città natale del padre, vicino a Gaziantep nella Turchia dell’Est. Lì ha deciso di arruolarsi nell’esercito: «Ho cominciato il periodo di addestramento e mi hanno spedito a presidiare il confine con la Siria, ma non ho resistito, sono dovuto scappare via non potevo sopportare il modo in cui il corpo militare turco agiva su quel confine».
Così è andato via, ha attraversato l’Europa a piedi lungo la rotta balcanica per arrivare in Germania dove ha imparato il tedesco e ha cominciato un processo di integrazione. Dopo un anno il governo tedesco gli ha fatto sapere che la sua domanda d’asilo non era stata accettata, Nassim se n’è dovuto andare da un posto che aveva cominciato appena a chiamare casa per la terza volta.
È partito per Calais all’inizio di luglio, nel campo si annoia, dice che non c’è nulla da fare, vuole andare in Inghilterra e ricominciare la sua vita che è in pausa da mesi. Lui, a differenza di altri che arrivano a Calais e decidono di restare in Francia, è certo di dover partire. In poco più di un mese ha tentato sette volte la traversata senza mai riuscirci. A volte è colpa del tempo, quando piove o c’è troppo vento è bene non avventurarsi in mare; altre volte è stata la polizia a fermarlo. L’ultimo tentativo lo ha sfiancato, è tornato al campo stanco e insofferente, e nonostante di norma sfoderasse un inglese perfetto ha preferito usare Google traduttore per parlare con i volontari. Ha detto: «Sono troppo stanco per pensare». La polizia aveva sorpreso lui e altri compagni sulla spiaggia all’alba mentre trasportavano un gommone, che è stato subito confiscato, e in seguito alle proteste di alcuni di loro gli agenti della Police Nationale hanno usato gas e manganelli.
Quando il gruppo è tornato al campo si sono fatti vedere curare le ferite da alcuni studenti di medicina inglesi volontari a Calais, poi sono spariti nella boscaglia, dove avevano lasciato le tende. Alcuni le hanno trovate al loro posto, Nassim no. Ne aveva bisogno per riposarsi in vista del giorno successivo, quando avrebbe tentato di nuovo, l’Inghilterra per lui è l’unica soluzione.