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  • Sicilia, il dramma del petrolchimico siracusano

    A nord di #Siracusa l’inquinamento industriale si insinua da decenni nel suolo e nelle falde acquifere, si diffonde nell’aria e contamina il mare. Si teme una deflagrazione di tumori, già da anni in eccesso, e una propagazione di inquinanti nel Mediterraneo. Viaggio nel labirinto di una storia dai risvolti inquietanti. Un giallo siciliano di cui si rischia di parlare molto nel 2020.

    Fabbriche, ciminiere e cisterne di greggio si estendono a macchia d’olio. Il polo petrolchimico a nord di Siracusa è una spina nel fianco dell’Italia. E del Mediterraneo. Venti chilometri di costa, un territorio e una baia imbottiti di sostanze contaminanti e nocive. Dall’insediamento negli anni cinquanta della prima raffineria, la zona è oggi stravolta dall’inquinamento e il governo costretto a correre ai ripari. Nello scorso novembre il ministro dell’ambiente Sergio Costa si è precipitato sul territorio: «Per far sì che si avvii, finalmente, il processo di bonifica». La fretta governativa è percepita come il segnale di una catastrofe.

    A gennaio, senza perdere tempo, è stata istituita una «direzione nazionale delle bonifiche». Per risolvere «una situazione inchiodata da troppi anni», spiega Costa. Subito dopo, a febbraio, una commissione ministeriale dava il via ai sopralluoghi nelle fabbriche. «Per valutare le emissioni in acqua e in aria» e dare speranza alla popolazione, che da decenni convive con tre impianti di raffinazione, due stabilimenti chimici, tre centrali elettriche, un cementificio e due aziende di gas. Quattro centri urbani sono i più esposti all’inquinamento: Augusta, Melilli, Priolo e Siracusa, circa 180 000 abitanti, di cui 7000 dipendono dall’attività industriale.
    Disillusioni e tradimenti

    A volte nell’aria i miasmi tossici sono da capogiro. Su questi è intervenuto un anno fa il procuratore aggiunto Fabio Scavone, inchiodando le fabbriche petrolchimiche a seguito di due anni di inchiesta. «Superavano i limiti di emissioni inquinanti nell’atmosfera», conferma allargando le braccia. Nel suo ufficio della procura di Siracusa avverte: «Ci sarà un processo». Si rischia di parlare molto nel 2020 del petrolchimico siracusano.

    Troppi anni di disillusioni e tradimenti insegnano però a non coltivare grandi speranze. In questo periodo convulso affiorano alla mente spettacolari capovolgimenti, a cominciare dall’archiviazione negli anni 2000 dell’inchiesta «Mare Rosso» sullo sversamento di mercurio da EniChem nella baia di Augusta. Più tardi si scoprì che il procuratore incaricato dell’inchiesta intratteneva uno «strettissimo rapporto di amicizia» con l’avvocato dell’azienda.

    Negli anni 2010 arriva una nuova amara delusione, questa volta sul fronte delle bonifiche, «attese da tempo e mai eseguite», sottolinea Cinzia Di Modica, leader del movimento Stop Veleni. L’attivista rammenta con stizza gli interventi promessi dall’ex ministra forzista dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, i finanziamenti predisposti e i progetti in partenza. «Ma tutto svanì come per incanto».

    Perfino il più battagliero degli agitatori locali, don Palmiro Prisutto, arciprete di Augusta, non si spiega come possano esser spariti i 550 milioni di euro messi a disposizione per le bonifiche.

    Il parroco si è allora incaricato di tenere la luce puntata sugli effetti dell’inquinamento. Da sei anni, ogni 28 del mese, legge durante l’omelia i nomi delle vittime di tumore: sono un migliaio in questo scorcio del 2020. Intitolata «Piazza Martiri del cancro», la lista è composta «con il contributo dei fedeli che mi segnalano i decessi avvenuti in famiglia», ci racconta nella penombra della sua chiesa. "Ognuno di noi conta almeno una vittima tra i parenti

    Nelle statistiche, quelle ufficiali, la cittadina di Augusta rassegna i più alti tassi di «incidenza tumorale», ovvero l’apparizione di nuovi casi. Seguono, in un macabro ordine, Priolo, Siracusa e Melilli. In tanti chiamano ormai questi luoghi il «quadrilatero della morte». Si muore «in eccesso» di carcinoma ai polmoni e al colon, denuncia nel giugno 2019 un rapporto del ministero della Salute. A sorpresa si registra anche l’apparizione negli uomini di tumori al seno.

    Rischi dentro e fuori

    «La tendenza nazionale va invece verso una diminuzione di casi e di mortalità», osserva Anselmo Madeddu, direttore del Registro dei tumori della provincia di Siracusa. Nella sua sede, l’esperto ci svela un dato preoccupante: ad Augusta, Priolo e Melilli, dove si registrano 20% di tumori in più rispetto al resto della provincia, donne e uomini sono colpiti in misura quasi uguale. «Un’incidenza ubiquitaria», la definisce il direttore. È come se l’impatto dei contaminanti sulla salute avesse ormai uguale esito dentro e fuori dagli stabilimenti. Un risultato sorprendente già osservato in uno studio del 2013 «su lavoratori della stessa fabbrica, esposti esattamente agli stessi fattori prodottivi e quindi di rischio», spiega il direttore. «I lavoratori residenti nel quadrilatero mostravano un’incidenza tumorale doppia rispetto ai colleghi pendolari, che abitavano altrove».

    È arrivata oggi la conferma, conclude Madeddu, che il rischio di ammalarsi di cancro si sta pericolosamente trasferendo dai soli impianti alla totalità del territorio. Il direttore fa cogliere la gravità della situazione usando un paradosso: «Se con un colpo di bacchetta magica cancellassimo tutte le industrie, avremmo le stesse incidenze tumorali, poiché noi oggi stiamo osservando i risultati delle esposizioni di trenta o quarant’anni fa».

    Per l’esperto le bonifiche devono essere «immediate», per evitare una deflagrazione delle malattie di cancro. Lo ha capito il ministro dell’ambiente Costa, scegliendo di confrontarsi con un «disastro gigantesco», valuta Pippo Giaquinta, responsabile della sezione Legambiente di Priolo. Nei decenni la contaminazione «si è insinuata dappertutto», nel suolo e nelle falde acquifere, si è diffusa nell’aria ed ha avvelenato il mare.
    Una montagna di sedimenti nocivi

    Ma è nella rada di Augusta che oggi si concentra l’attenzione governativa. «Già nel primo metro, indica Sergio Costa, troviamo mercurio, idrocarburi pesanti, esaclorobenzene, diossine e furani». L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha censito più di tredici milioni di metri cubi di sedimenti nocivi. Dimensioni che equivalgono alla somma di quattrocento palazzi di ventiquattro piani ciascuno! Un gigantesco impasto tossico che fa crescere i timori di una propagazione nel Mediterraneo.

    Per il mercurio il dato ufficiale è di 500 tonnellate sversate nel mare, dal 1959 al 1980, dall’ex Montedison, poi EniChem. Una quantità accertata dalla Procura di Siracusa. È probabile che nei decenni successivi circa altre 250 tonnellate abbiano raggiunto i fondali. Fa allora impallidire il parallelo con la catastrofe della baia giapponese di Minamata, negli anni settanta. La biologa marina Mara Nicotra tuona: «Nella rada di Augusta si parla di quantità ben superiori alle 400 tonnellate sversate nel mare del Giappone, che provocarono all’epoca circa duemila vittime». Al disastro umano e ambientale di Minamata l’Onu ha dedicato una Convenzione sul mercurio.

    La preoccupazione riguarda anche il consumo di pesce. Concentrazioni da record di mercurio sono state rilevate nei capelli delle donne in stato di gravidanza che si nutrivano di specie ittiche locali. Nel 2006 la Syndial, ex EniChem, decise di risarcire più di cento famiglie con bambini malformati con 11 milioni di euro in totale. Destò scalpore all’epoca l’esborso spontaneo della somma. Nessun tribunale aveva pertanto emesso una sentenza di risarcimento.

    Lo scandalo delle malformazioni da mercurio non è però bastato a bloccare la minaccia. Malgrado il divieto di pesca, lo scorso 6 marzo, nel porto di Augusta, la polizia marittima ha scoperto una rete clandestina di circa 350 metri. «L’ennesima», sottolinea la Capitaneria di Porto. La pesca di frodo non si arresta, e non si sa dove finisce il pesce contaminato.

    L’impressione è che gli atti inquinanti e lesivi della salute sfuggano al controllo. «A Priolo, nel 2018, una centralina accanto ad un asilo pubblico ha registrato per ben due volte sforamenti di emissioni di arsenico, ma si è saputo solo a distanza di un anno», sbuffa Giorgio Pasqua, deputato del Movimento 5 Stelle al parlamento regionale siciliano. In un bar della suggestiva marina di Ortigia, patrimonio dell’Unesco a pochi chilometri dal petrolchimico, ci racconta la sua odissea legislativa per ottenere «un sistema integrato con sensori e centraline per il monitoraggio ambientale». Dopo una lunga battaglia il dispositivo, in vigore da aprile, «permetterà infine di reagire in poche ore, e di capire subito quale impianto industriale è all’origine delle emissioni nocive». Fino ad oggi, lamenta il deputato, la verità è che «abbiamo tenuto un occhio chiuso, se non tutti e due» sull’inquinamento atmosferico.
    Le grandi fabbriche si difendono

    Soltanto negli ultimi mesi la giustizia e la politica hanno inviato chiari segnali di contrasto. A novembre il ministro Costa non ha nemmeno concesso una visita di cortesia al presidente di Confindustria Siracusa. Diego Bivona usa parole forti, «il territorio è diventato inospitale», e denuncia il «clima luddista» che si sarebbe insinuato, secondo lui, nella politica, un fenomeno «che esercita pressioni nei confronti anche della magistratura».

    Lo sfogo del portavoce del petrolchimico avviene a microfoni aperti nella sede dell’organizzazione. Avverte che le industrie hanno fin qui «mostrato una grande resilienza», ma «potrebbero un giorno andarsene con danni importanti in termini di impiego». L’avvertimento è chiaro, a forza di tirare la corda si spezza. Fa notare che «l’Eni e le altre aziende non investono più nel territorio da dieci anni, se non per adeguamento a normative ambientali» e che, nel 2013, «il gruppo italiano Erg ha venduto la sua raffineria» alla multinazionale russa Lukoil. Il cambio della guardia con le aziende italiane è stato ultimato nel 2018, quando il gigante algerino Sonatrach è subentrato a Esso Italia.

    Il presidente di Confindustria Siracusa si dice anche stupito dalla «cecità di chi guarda esclusivamente alle grandi fabbriche e non vede l’inquinamento generato dalla molteplici attività che si svolgono nel territorio». Sottolinea che nelle parcelle private occupate dall’industria «è stato realizzato il 68% delle bonifiche». Pure l’adeguamento degli impianti dichiara il presidente, «è in avanzato stato di completamento» riguardo alle prescrizioni del ministero dell’Ambiente, mentre «non sono accettabili» i limiti previsti nel recente Piano regionale della qualità dell’aria, su cui è pendente un ricorso, «in quanto si basa su dati di emissioni obsoleti».

    «Le fabbriche si oppongono a tutto», deplora il sindaco di Augusta Cettina Di Pietro, una delle figure politiche in prima linea nella lotta contro l’inquinamento. Lo scorso anno la pentastellata si è allineata sulle posizioni del presidente di centrodestra della Regione Sicilia, Nello Musumeci, in contrasto con Confindustria sul tema dell’inquinamento atmosferico. «Ma è una battaglia impari». Nel suo ufficio, dove il sole di marzo fatica a crearsi uno spiraglio, la prima cittadina si mostra lucida sull’esito della lotta: «Il territorio non è ancora pronto a fronteggiare il fenomeno, gli enti e le municipalità sono sprovvisti di personale qualificato». Lo squilibrio balza agli occhi nei tavoli di discussione: «Spesso ci ritroviamo in tre, io, un assessore e un consulente; dall’altra parte, un esercito di avvocati ed esperti».

    Al potere politico e giudiziario incombe oggi il compito di spezzare lo stato di paralisi in cui da anni sprofonda il territorio. «Fin qui non ci è riuscito nessuno», ricorda però Pippo Giaquinta, storico attivista di Legambiente a Priolo. «Capiremo nei prossimi mesi se si continuerà a scrivere un nuovo capitolo di questo interminabile dramma, o se riusciremo a mettere un punto finale».

    https://www.tvsvizzera.it/tvs/inquinamento_sicilia--il-dramma-del-petrolchimico-siracusano/45639136

    –-> Reportage de #Fabio_Lo_Verso et @albertocampiphoto (@wereport)

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    –-> quantité de mercure déversée dans la mer :

    Per il mercurio il dato ufficiale è di 500 tonnellate sversate nel mare, dal 1959 al 1980, dall’ex Montedison, poi EniChem. Una quantità accertata dalla Procura di Siracusa. È probabile che nei decenni successivi circa altre 250 tonnellate abbiano raggiunto i fondali.

  • Le mystère de la baie empoisonnée de Minamata

    http://www.lemonde.fr/sciences/article/2016/07/21/minamata-la-baie-empoisonnee_4972722_1650684.html

    En 1950, sur les plages, on commence à voir s’échouer des poissons morts. Personne ne fait vraiment attention. Un peu de temps passe et des promeneurs se mettent à raconter des histoires étranges : on voit dans la région des mouettes et des corbeaux incapables de prendre leur envol, leurs ailes prises de mouvements désordonnés et erratiques.

    Et puis ce sont les chats. Brutalement pris de spasmes, ils sont emportés par une danse de Saint-Guy qui les précipite parfois dans la mer et finit toujours par les tuer. C’est, enfin, sur les enfants, les femmes et les hommes de la baie de Minamata, dans l’extrême sud de l’archipel nippon, que le voile du cauchemar se dépose.

    « A la fin de l’année 1953, une mystérieuse maladie du système nerveux central commence à affecter les villageois de la baie de Minamata et, en 1956, elle prend des proportions épidémiques », écrivent deux médecins, Douglas McAlpine et Shukuro Araki, le 20 septembre 1958, dans la revue britannique The Lancet.

    C’est le premier article sur le sujet publié dans la littérature médicale internationale : le monde découvre la « maladie de Minamata », du nom de la ville enrôlée à son insu dans une sorte de vaste expérience qui fera plusieurs dizaines de milliers de victimes – le chiffre est âprement débattu et des procès sont toujours en cours.

    Infirmité motrice

    Les rapports des deux médecins sont glaçants. « Famille Kaneko : en 1954, le père a été frappé de dysarthrie [trouble de l’articulation], de tremblements et d’ataxie [trouble de la coordination]. Son état s’est lentement détérioré et il est mort en juin 1955 », écrivent-ils.
    Dans le même temps, ses deux enfants développent des troubles semblables, qui apparaissent un peu partout dans la région. « Famille Tanaka : en mars 1956, fébrilité d’une petite fille de 6 ans, pendant une journée. Ensuite, pendant deux à trois semaines, développement progressif d’une ataxie, d’une dysarthrie, d’une dysphagie [difficultés à la déglutition]. (...) En février 1958, elle était devenue sourde, muette, déficiente mentale et incapable de s’asseoir. »

    Bien vite, les troubles graves du développement explosent chez les nouveau-nés de la région. Une centaine de bébés nés au cours de la seule année 1955 dans la zone de Minamata développent une infirmité motrice cérébrale lourde. Dès les premières enquêtes, la thèse d’un empoisonnement par les produits de la mer s’impose. Mais par quoi ont été contaminés les animaux marins ?

    Responsabilité du méthyle-mercure

    « Il y avait à Minamata une usine chimique de la société Chisso qui déversait ses effluents dans la baie, raconte le spécialiste de santé environnementale Philippe Grandjean (université du Danemark-Sud, Harvard School of Public Health), auteur d’un ouvrage sur la pollution et le système nerveux central (Cerveaux en danger, Buchet-Chastel, 300 p., 22 euros). Or, l’usine avait mis au point un nouveau système de production de chlorure de vinyle qui utilisait du mercure comme catalyseur. » Ce dernier est déversé dans la mer sous sa forme la plus toxique : le méthyle-mercure.

    Pourtant, la thèse du mercure n’est pas évidente. D’abord parce que Chisso a longtemps nié qu’il y en ait la moindre trace dans ses effluents. Et puis, souligne Philippe Grandjean, « les nouveau-nés développaient des symptômes très marqués alors que leurs mères ne semblaient pas souffrir outre mesure des niveaux de mercure auxquels elles étaient exposées ».

    En 1959, un groupe d’experts réunis par le ministère de la santé japonais met en avant la responsabilité du méthyl-mercure mais s’abstient de mentionner la source de contamination, faute de « preuve scientifique ». Pour avoir le fin mot de l’histoire, il faut un peu de chance.

    « Dans cette région du Japon, les familles gardent dans une petite boîte le cordon ombilical de chaque enfant, comme porte-bonheur, raconte Philippe Grandjean. Un jeune étudiant en médecine, Masazumi Harada, a convaincu de nombreuses familles de lui en donner des fragments. Il a dosé la quantité de mercure présent dans chacun et a ainsi pu montrer que les enfants touchés par la maladie étaient ceux qui avaient été exposés à de fortes doses de mercure. » La preuve était apportée.

    Echantillons de cordon ombilical

    Mais jusqu’en 1968, Chisso et l’Etat japonais ont nié la responsabilité de l’usine… Ce n’était pas faute de savoir. En 1970, le médecin-chef de Chisso, Hajime Hosokawa, avoue sur son lit de mort que la société a conduit ses propres expériences, dès 1959 sur des chats, et a démontré sans l’ombre d’un doute que le méthyl-mercure présent dans les effluents de l’usine est la cause du mal. Le docteur Hosokawa, maître d’œuvre de l’expérimentation, avait reçu l’ordre de se taire… Et il s’est tu.

    Premier cas d’intoxication environnementale à grande échelle, la maladie de Minamata a montré que le cerveau en développement, lors de la vie intra-utérine, est sensible à certains polluants. Car, grâce aux échantillons de cordon ombilical testés, il est apparu que de très faibles niveaux de contamination au mercure peuvent expliquer des retards mentaux.

    Un demi-siècle de recherches ultérieures ont non seulement montré que le mercure issu des activités minières ou industrielles finit par s’accumuler dans la chaîne alimentaire marine, mais aussi qu’il altère les cerveaux en développement. Avec le risque de voir s’éroder les capacités cognitives des nouvelles générations.

    La communauté internationale commence seulement à prendre la mesure du problème. En 2009, les Nations unies préparent un traité pour faire cesser les émissions de mercure dans l’environnement et l’ouvrent à la signature quatre ans plus tard. Il est signé à ce jour par 128 pays, et 28 l’ont ratifié. Son nom tombe sous le sens : c’est la convention de Minamata.

    #William_Eugene_Smith #Minamata