• #Roma_coloniale

    Sul colonialismo italiano pesa il torto di una rimozione storica, culturale e politica, ancora inspiegabile: un buco nel registro delle morti del Novecento, pagine bianche nei manuali di storia nazionale.
    Il Colonialismo spiega, più di quel che si è portati a credere, il pregiudizio razzista che ancora oggi pervade le piaghe più nascoste della società italiana; un razzismo ordinario, che può esplodere, a certe condizioni, in episodi terribili, oppure continuare a covare sotto la cenere.

    Roma è una città distratta. Le tracce coloniali, incomprese, sono ovunque: viali, piazze, obelischi, cinema, statue, targhe, tutti omaggi dedicati all’impero. Si incontrano a Villa Borghese, al Circo Massimo, alla Stazione Termini, a San Giovanni, al Foro Italico, a Garbatella, a Casalbertone. E in un intero quartiere: quello Africano.
    Forse è venuto il momento di discuterne, di ricercarle e assegnare loro un significato storico più doloroso e più giusto, senza continuare a sperare nell’oblio.

    https://lecommariedizioni.it/prodotto/roma-coloniale
    #Rome #colonialisme #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #livre #traces #toponymie #toponymie_politique #toponymie_coloniale #noms_de_rue #liste #inventaire

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    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

  • Presentazione pubblica della mappa sull’odonomastica coloniale di Milano

    La ricerca storico archivistica commissionata dall’Area Museo delle Culture, Progetti Interculturali e Arte nello Spazio Pubblico e condotta dall’Istituto nazionale Ferruccio Parri si è focalizzata sulle denominazioni e le intitolazioni con riferimenti alle campagne coloniali, di alcune strade e piazze della città: attraverso lo studio delle delibere del Consiglio comunale di Milano e delle delibere di Giunta è stato possibile ricostruire il periodo storico in cui queste sono state denominate dall’amministrazione cittadina. Con questa ricerca sono state individuate circa centocinquanta strade e piazze intitolate a militari, esploratori, battaglie, città e altre località o persone connesse alla storia coloniale italiana. L’elenco comprende anche quegli istituti culturali e monumenti che hanno avuto un ruolo centrale nel dibattito sul colonialismo italiano.

    La mappa che viene presentata è quindi uno strumento utile per avere una maggiore consapevolezza della storia coloniale italiana e sulla sua ricaduta sul tessuto urbano. Il lavoro svolto viene inquadrato all’interno di un panorama più ampio di riflessione sulle memorie coloniali. Il Mudec ha riattivato il dialogo con alcune personalità delle comunità Habesha presenti a Milano, già coinvolta nel progetto di museologia partecipata intrapreso per l’allestimento della sezione dedicata al colonialismo italiano all’interno di Milano Globale. Il mondo visto da qui, percorso permanente del museo. Nell’ottica di un processo di rilettura della nostra storia coloniale e di risignificazione del patrimonio ma anche dei luoghi della città marcati dalla presenza di odonimi coloniali, il Mudec ha aperto un confronto che si desidera costante e permanente sulle tematiche del colonialismo con cittadine e cittadini anche con origini diasporiche. Il lavoro realizzato fino ad oggi viene presentato a Palazzo Marino in una settimana fortemente simbolica che vuole ricordare Yekatit 12 (12 febbraio secondo il calendario etiopico, equivalente al 19 febbraio nel calendario gregoriano) data della strage di Addis Abeba del 19 febbraio 1937 a opera dell’esercito italiano.

    https://www.reteparri.it/eventi/pagine-rimosse-lesperienza-coloniale-nelle-vie-milano-nei-racconti-dalleti

    –-> j’espère pouvoir récupérer la carte...

    #toponymie #carte #Milan #Italie #toponymie_politique #toponymie_coloniale #passé_colonial #colonialisme #cartographie #visualisation #noms_de_rue

    • Una settimana per indagare la memoria del colonialismo italiano

      La rete #Yekatit_12-19_febbraio -composta da associazioni, comunità di afrodiscendenti, collettivi e istituzioni- organizza una serie di eventi in diverse città italiane per riaccendere l’attenzione collettiva sul rimosso passato coloniale dell’Italia, fatto di violenze e crimini. Per riflettere sul passato ma soprattutto sul presente

      Per la quasi totalità degli italiani quella del 19 febbraio è una data senza particolari significati. Una data rimossa dalla memoria collettiva insieme a molti altri eventi dell’esperienza coloniale italiana ma che meriterebbe un uno spazio significativo sui libri di storia e non solo. Tra il 19 e il 21 febbraio 1937, infatti, le truppe italiane -con il supporto dei civili e delle squadre fasciste- massacrarono circa 20mila abitanti di Addis Abeba, una feroce repressione a seguito del fallito attentato contro il maresciallo Rodolfo Graziani -allora viceré d’Etiopia- a opera di due giovani resistenti eritrei. Le violenze degli italiani durarono per mesi e si estesero ad altre parti del Paese, fino all’eccidio di chierici e fedeli nella cittadina monastica di Debre Libanos a maggio dello stesso anno.

      Per riaccendere l’attenzione collettiva su questa vicenda, sulle violenze e i crimini del colonialismo italiano e sulle memorie rimosse della storia italiana, la rete Yekatit 12-19 febbraio -formata da associazioni, comunità di afrodiscendenti, collettivi e istituzioni- che prende il nome proprio dalla data del massacro indicata secondo il calendario etiope, sia secondo il calendario gregoriano, ha organizzato l’iniziativa “Memorie e (R)esistenze” con un ricco calendario di appuntamenti diffusi in numerose città (da Milano a Roma, da Bologna a Firenze passando per Modena, Padova, Napoli e Bari) che si concentra soprattutto nella settimana compresa tra il 12 e il 19 febbraio ma che in alcuni territori si prolungherà addirittura fino a maggio.

      “La rete vuole contribuire a un processo di rielaborazione critica e collettiva del ruolo del colonialismo nella storia e nel presente dell’Italia, con l’obiettivo di proporre strumenti sempre più accurati per leggere la realtà in cui viviamo, i suoi legami con la storia recente dell’Italia e con la sua costruzione statuale, nazionale e identitaria”, spiegano i promotori di Yekatit 12-19 febbraio. Conferenze, dibattiti, presentazioni di libri e documentari “saranno occasione per condividere riflessioni sul passato e sul presente di un Paese che vogliamo aperto al mondo, transculturale e capace di riconoscere e combattere il razzismo, la violenza e le ingiustizie”.

      “Il nostro obiettivo è quello di arrivare al riconoscimento di una giornata nazionale del ricordo delle oltre 700mila vittime del colonialismo italiano”, spiega ad Altreconomia Silvano Falocco, uno dei coordinatori della rete e autore del saggio “Roma coloniale” (Le comari edizioni, 2022). Un primo passo in questo senso è stato fatto lo scorso ottobre quando è stata presentata alla Camera una proposta di legge per l’istituzione di un Giorno della memoria per commemorare gli eccidi, le campagne militari e la politica di occupazione a cui sono state sottoposte le popolazioni dei Paesi africani dominati dall’Italia: “La promozione di iniziative locali di sensibilizzazione e informazione dal basso su questo tema ha come obiettivo quello di farne comprendere all’opinione pubblica la necessità di questa giornata”.

      Tra gli eventi più significativi di “Memorie e (R)esistenze” c’è l’incontro “Memorie decoloniali” in programma martedì 20 febbraio alla Casa della memoria e della storia di Roma: un convegno che sarà anche occasione per iniziare costruire una raccolta “dal basso” delle fotografie e dei diari che raccontano la storia coloniale italiana. “Ogni volta che partecipo a un’iniziativa pubblica sul tema vengo avvicinato da persone del pubblico che mi raccontano di avere a casa foto d’epoca o altra documentazione, spesso appartenuta ai nonni -continua Falocco-. Ci rivolgeremo ai figli e ai nipoti dei colonizzatori invitandoli a condividere con noi questo materiale che spesso percepiscono come problematico. E ci piacerebbe molto anche riuscire a intercettare la documentazione che è stata portata in Italia dai discendenti dei colonizzati per conservare la memoria del proprio Paese d’origine”.

      La rete coinvolge diverse associazioni e realtà attive sui diversi territori, tra cui Resistenze in Cirenaica e il collettivo Arbegnouc Urbani che hanno organizzato due rappresentazioni dello spettacolo teatrale “Italiani brava gente”, ispirato all’opera dello storico Angelo Del Boca, a Bologna il 16 febbraio e a Reggio Emilia il 17 febbraio. A Modena, invece, gli eventi principali saranno il convegno “Altre resistenze. Etiopia e Liba”, la presentazione della graphic novel “Yekatit 12” che racconta la lotta degli etiopi contro l’occupazione fascista e lo spettacolo teatrale “Italiani bravissima gente. Quando eravamo colonialisti” di e con Carlo Lucarelli.

      La rassegna vuole essere anche un’occasione per riflettere sui luoghi delle nostre città che portano con sé un retaggio coloniale. A partire dalla toponomastica, dai nomi di strade e piazze in titolate a sanguinose battaglie o a militari che si sono resi responsabili di massacri ai danni della popolazione civile e che non vengono “interrogati”. “Il racconto di chi ha subito le mire espansionistiche dell’Italia liberale prima e dell’imperialismo fascista poi, non sembra trovare sufficiente spazio -continua la rete-. Così come non trova spazio il racconto di chi ha organizzato la resistenza all’occupazione italiana, di chi gli è sopravvissuto come figlio, figlia, compagna o concubina e di chi ha rielaborato quella storia pensando di poter trovare cittadinanza nel Belpaese a partire già dagli anni Venti”.

      Da qui la volontà di Rete Yekatit 12-19 febbraio di contribuire ad un processo di rielaborazione critica e collettiva del ruolo del colonialismo nella storia e nel presente dell’Italia, con l’obiettivo di proporre strumenti sempre più accurati per leggere la realtà in cui viviamo, i suoi legami con la storia recente dell’Italia e con la sua costruzione statuale, nazionale e identitaria. “Il colonialismo non è semplicemente un periodo storico, ma è anche una pratica economica che prevede occupazioni e stermini -conclude Falocco-. Tempo fa avevamo rivolto un questionario a un campione di cittadini e meno del 5% delle persone che hanno risposto conoscevano il passato coloniale dell’Italia. A dimostrazione che questa storia non fa ancora parte della nostra memoria collettiva”.

      https://altreconomia.it/una-settimana-per-indagare-la-memoria-del-colonialismo-italiano
      #19_février

  • A scuola di antirazzismo

    Questo libro propone di partire dai bambini e dalle bambine per prendere consapevolezza di come i processi di razzializzazione siano pervasivi nella società italiana e si possa imparare molto presto a riflettere criticamente sulle diseguaglianze confrontandosi tra pari. Nasce da una ricerca-azione antirazzista che si è svolta nelle scuole primarie ed è rivolto in primis agli/alle insegnanti, per creare dei percorsi didattici che possano contrastare le diverse forme del razzismo (razzismo anti-nero, antisemitismo, antiziganismo, islamofobia, xenorazzismo e sinofobia).

    E’ un libro che offre ricchi e originali materiali di lavoro (tavole di fumetti e video-interviste a testimoni privilegiate/i) per promuovere dialoghi nei contesti educativi.

    volume 1 (pensé pour l’#école_primaire) :


    https://www.meltingpot.org/2021/09/antirazzismo-e-scuole-vol-1

    volume 2 (pensé pour l’#école_secondaire) :


    https://www.meltingpot.org/2023/11/antirazzismo-e-scuole-vol-2

    #anti-racisme #racisme #manuel #ressources_pédagogiques #livre #racialisation #pédagogie #didactique #parcours_didactique #racisme_anti-Noirs #antisémitisme #anti-tsiganisme #islamophobie #xénophobie #sinophobie #racisme_anti-Chinois #discriminations

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    Note : la couverture du volume 2 avec mise en avant des #noms_de_rue (#toponymie)

  • Le #jardin_Villemin situé au 105 quai de Valmy est renommé Jardin Mahsa Jina Amini, du nom de cette Iranienne de 22 ans morte il y a tout juste un an, le 16 septembre 2022, aux mains de la police des moeurs, pour un voile mal porté.

    https://twitter.com/arminarefi/status/1702978930360111602
    #toponymie #toponymie_politique #Mahsa_Amini #noms_de_rue

  • En Italie, un maire baptise des rues d’après un fasciste et un communiste au nom de la « pacification nationale »

    Proche du gouvernement italien, le maire de #Grosseto en Toscane veut honorer #Giorgio_Almirante et l’ancien secrétaire du Parti communiste #Enrico_Berlinguer. Un geste au nom de la « #pacification_nationale ».

    Antonfrancesco Vivarelli Colonna est le maire de Grosseto, en Toscane. Il y a été élu en tant qu’indépendant en 2016.

    Aux élections municipales des 3 et 4 octobre 2021, il a été réélu dès le premier tour avec 56,2 % des voix, soutenu par la Lega , Forza Italia , Fratelli d’Italia et sa liste civique.

    Sa ville compte environ 82 000 habitants... et une polémique.

    #Antonfrancesco_Vivarelli_Colonna a reçu ce lundi le feu vert de la préfecture pour baptiser une rue de sa ville d’après Giorgio Almirante, journaliste fasciste et antisémite sous Benito Mussolini, et une autre d’après Enrico Berlinguer, ancien secrétaire général du Parti communiste italien (PCI) de 1972 à 1984.

    « Cela met fin à une polémique idéologique qui portait préjudice aux citoyens de Grosseto », a-t-il réagi. « Il ne s’agissait pas de gagner ou de perdre une bataille mais de surmonter les #conflits_idéologiques qui, depuis tant d’années, ont conditionné la vie politique de notre pays et de notre territoire », a-t-il plaidé sur son compte Facebook.

    Une #troisième_voie sera dénommée « Pacification nationale ».

    Qui est Giorgio Almirante ?

    Giorgio Almirante (1914-1988) était, pendant la période fasciste, éditeur du journal « #Défense_de_la_race », dont les premiers numéros coïncident avec les lois raciales contre les juifs votées en 1938.

    Il a créé en 1946 le Mouvement social italien (#MSI), un parti d’après-guerre héritier du mouvement fasciste, et a été élu onze fois député, de 1946 à 1987.

    La Première ministre italienne Giorgia Meloni fut elle-même une militante du mouvement de jeunesse du MSI. Fin 2012 début 2013, elle a créé le parti Fratelli d’Italia dont l’emblème porte encore aujourd’hui la flamme tricolore du MSI.

    L’Association nationale des partisans italiens (résistants au fascisme et à l’occupation allemande durant la Seconde guerre mondiale, Anpi) envisage de former un recours devant la justice administrative.

    Luana Zanella, présidente du groupe Alliance Verts-Gauche à la Chambre des députés, a dénoncé un acte relevant du « #révisionnisme historique ».

    https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/alpes-maritimes/menton/en-italie-un-maire-baptise-des-rues-d-apres-un-fasciste
    #toponymie #noms_de_rue #Italie #fascisme #communisme

  • #Allemagne : une nouvelle place au nom du résistant camerounais #Rudolf_Douala_Manga_Bell

    Une troisième place au nom de Rudolf Douala Manga Bell, résistant camerounais à la colonisation allemande, a été inaugurée en Allemagne, à #Aalen, le 1er juillet dernier. Une #pétition circule auprès des autorités allemandes pour la #réhabilitation de Rudolf Douala Manga Bell et de #Ngosso_Din.

    Rudolf Douala Manga Bell fut l’ancien roi du clan Bell du peuple Douala au Cameroun pendant la période coloniale allemande. Pour avoir tenté de fédérer les communautés contre le colonisateur, il fut pendu « pour haute trahison » le 8 août 1914 à Douala avec son secrétaire Ngosso Din.

    #Jean-Pierre_Félix_Eyoum, membre de la famille et installé en Allemagne depuis un demi-siècle, travaille depuis trente ans sur cette histoire. La place Manga Bell de Aalen a été inaugurée en présence des représentants des autorités du Cameroun. Avant cela, une place a été inaugurée à #Ulm en octobre, une autre à #Berlin en décembre.

    Jean-Pierre Félix Eyoum a déposé il y a un an une pétition auprès des autorités allemandes pour la réhabilitation de Rudolf Douala Manga Bell et Ngosso Din. Pourquoi une place à Aalen ? Parce que ce fut la ville d’accueil de Roudolf Douala Manga Bell, quand il vient apprendre l’allemand à 16/17 ans en 1891 en Allemagne raconte Jean-Pierre Félix Eyoum, au micro de Amélie Tulet, de la rédaction Afrique.

    La demande de réhabilitation de Rudolf Douala Manga Bell et Ngosso Din, figures de la #résistance contre la #colonisation_allemande, est examinée au Bundestag allemand. Avant sa visite en octobre dernier au Cameroun, la ministre adjointe aux Affaires étrangères allemande avait déclaré : « la peine capitale prononcée contre le roi Rudolf Douala Manga Bell en 1914 est un parfait exemple d’#injustice_coloniale ».

    https://amp.rfi.fr/fr/afrique/20230709-allemagne-une-nouvelle-place-au-nom-du-r%C3%A9sistant-camerounais-r

    #Cameroun #toponymie #toponymie_politique #décolonial #toponymie_décoloniale #colonialisme #mémoire #noms_de_rue

    ping @cede @_kg_ @reka

    • Le #martyr camerounais Rudolf Douala Manga Bell a désormais sa place à Berlin

      Après Ulm, Berlin est la deuxième ville allemande à avoir une rue ou une place du nom de Rudolf Douala Manga Bell, ce roi camerounais, figure de la résistance face aux colonisateurs.

      Le gris et le froid berlinois n’ont pas douché l’enthousiasme de la foule. Et pour cause : la place Gustav Nachtigal, du nom du colonisateur qui hissa le drapeau allemand sur le Cameroun, n’existe plus ; elle s’appelle désormais place Rudolf et Emily Douala Manga Bell.

      Rudolf Douala Manga Bell, c’est ce roi devenu héros national pour avoir osé défier le colonisateur allemand et qui fut exécuté en 1914. « Il s’était opposé à certains plans du gouvernement allemand colonial qui essayait de déposséder les gens, de leur prendre leurs terrains... et évidemment, ça n’a pas plu aux Allemands », raconte Jean-Pierre Félix Eyum, l’un de ses descendants. Emily Douala Manga Bell, l’épouse de Rudolf, fut quant à elle l’une des premières Camerounaises à avoir été scolarisées.
      « Un message d’espoir »

      Mais si Rudolf Douala Manga Bell a maintenant une place à son nom à Berlin, il n’est pas totalement réhabilité, ce qu’attend désormais Jean-Pierre Félix Eyum. « J’attends que le gouvernement allemand prononce enfin ces mots-là : "Nous sommes désolés d’avoir fait ce que nous avons fait". C’est cela que j’appelle réhabiliter Rudolf Douala Manga Bell », indique-t-il. Il se dit optimiste à ce sujet. Il a récemment déposé une pétition dans ce sens au Parlement allemand.

      L’actuel roi de Douala, Jean-Yves Eboumbou Douala Manga Bell, voit quant à lui dans cette cérémonie en l’honneur de son ancêtre « un symbole extraordinairement important de reconnaissance d’une situation qui a été déplorable en son temps ». « Un message d’espoir », dit-il. Cette inauguration est en tout cas une nouvelle étape dans la reconnaissance très récente par l’Allemagne de son passé colonial. Un passé longtemps éclipsé par les crimes commis par le régime nazi durant la Seconde Guerre mondiale.

      https://www.rfi.fr/fr/afrique/20221202-le-martyr-camerounais-rudolf-douala-manga-bell-a-d%C3%A9sormais-sa-plac

    • L’Allemagne inaugure une place Rudolf Douala Manga Bell en hommage au martyr camerounais

      Pour la première fois sur le sol allemand, une place au nom de Rudolf Douala Manga Bell a été inaugurée le 7 octobre, dans une tentative allemande de regarder son passé de colonisateur du Cameroun. Cela à Ulm, dans le sud de l’Allemagne, où le roi Rudolf Douala Manga Bell avait étudié le droit à la fin du XIXe siècle, avant de rentrer au Cameroun, où il fut ensuite exécuté par l’administration allemande pour avoir tenté de fédérer des communautés camerounaises contre les colons.

      Au Cameroun, son nom est dans tous les manuels scolaires : Rudolf Douala Manga Bell était un roi, le roi du clan Bell au sein du peuple Douala. Celui-ci était établi depuis des générations sur la côte Atlantique, au bord de l’estuaire du Wouri, où se trouve l’actuelle ville de Douala, capitale économique du Cameroun.

      C’est son père, le roi Auguste Douala Ndumbe Bell, qui l’envoie étudier en Allemagne pour qu’il maîtrise la langue de ceux dont la présence augmente sur la côte, avec l’arrivée de missionnaires puis l’installation de comptoirs pour le commerce.

      Mais quelques années après le retour de Rudolf Douala Manga Bell au Cameroun, le gouvernement colonial allemand remet en cause le traité de protectorat signé avec les chefs Douala. Le texte stipule que la terre appartient aux natifs, mais le gouverneur allemand veut alors déplacer les populations.

      Rudolf Douala Manga Bell s’y oppose, d’abord de façon légaliste, allant jusqu’au Parlement allemand plaider la cause de son peuple, avant de se résoudre à tenter de fédérer les autres communautés du Cameroun contre le colonisateur allemand. Mais il est arrêté en mai 1914, jugé et condamné en un seul jour. Il est pendu le 8 août 1914 avec son lieutenant pour « haute trahison ».

      Le Cameroun avait été sous domination allemande d’abord, avant d’être placé sous les mandats britannique et français après la Première guerre mondiale.
      Les descendants de la figure camerounaise appellent à la réhabilitation de son image par l’Allemagne

      Les descendants du roi Rudolf Douala Manga Bell attendent notamment sa réhabilitation par les autorités allemandes, pour laver son nom. Un des combats que mène notamment son arrière-petite-fille, la Princesse Marylin Douala Manga Bell qui constate que les choses bougent en Allemagne depuis le milieu des années 2010.

      https://www.rfi.fr/fr/afrique/20221025-l-allemagne-inaugure-une-place-rudolf-duala-manga-bell-en-hommage-au-ma

  • Place des grandes femmes : Audrey Dussutour en Aveyron
    https://academia.hypotheses.org/50840

    D’ici quelques jours, la commune de Rieupeyroux a baptisé une de ses places du nom de la biologiste Audrey Dussutour, sur une suggestion de deux jeunes de la commune, Chloé et Yanis, résolution adoptée par la Mairie. À qui le … Continuer la lecture →

    #Academic_Feminist_Fight_Club #Libertés_académiques_:_pour_une_université_émancipatrice #parité_femmes-hommes

  • Quand une approche “pratique” de l’adressage d’un campus impose un environnement toponymique toujours plus masculin (94%). Le cas de Grenoble-Université-Alpes à Saint-Martin-d’Hères
    https://neotopo.hypotheses.org/5855

    Le Campus historique et principal de l’Université Grenoble-Université-Alpes situé sur la commune de Saint-Martin-d’Hères connaît quelques changements d’adressage liés à une restructuration de son secteur central. Changements qui se traduisent par l’adjonction de trois...

    #Billets #Toponobservations #ToponoGender

    • Réponse des services centraux de l’UGA, reçus par mail, le 8 juin 2023 :

      « Ces propositions permettent juste de résoudre un problème urgent, cela en avance de phase d’une réflexion plus globale portant sur la nécessité de dénommer les accès aux bâtiments, afin que ces derniers soient adressés directement sur les voies qui les desservent. Il nous faudra alors faire le choix d’un certain nombre de toponymes et cela sur la base de critères qui intègreront bien évidemment le problème de parité que vous soulevez et qu’il nous faut corriger. Cette démarche a fait l’objet d’une proposition de méthodologie en cours de validation pour une réflexion que j’espère pouvoir mener l’an prochain. »

      #urgence

    • ll est possible de faire autrement...

      Des amphis aux noms de femmes : ces universités s’emparent de la question

      Amphithéâtres, salles de TD, learning centers… Dans les universités françaises, les lieux nommés d’après des personnalités portent, dans leur écrasante majorité voire en totalité, des noms d’hommes. Certains établissements veulent changer la donne et se tournent vers leur communauté pour soumettre ou sélectionner des noms de femmes.

      En France, à peine 5 % des rues portent un nom de femme. Un constat partagé dans les universités que certains acteurs s’efforcent de faire évoluer. Comment s’y prennent-ils ?
      Des noms de femmes pratiquement toujours absents

      Sur 1 328 lieux recensés sur son campus par l’Université de Strasbourg (Unistra), seuls neuf portent le nom d’une femme contre 78 pour les hommes. Du côté des #amphithéâtres, l’un d’eux est nommé d’après une déesse, pour 37 aux noms masculins.

      Les universités de #Lille et de #Haute-Alsace n’ont pas fait un tel recensement, complexe pour des campus de plus en plus tentaculaires, mais le constat est le même : les femmes sont aux abonnées absentes.

      « Avec un très grand nombre de sites faisant partie de l’#Université_de_Lille, il est difficile d’obtenir des listings complets. Avant la consultation, nous avions seulement trouvé deux salles sur le campus scientifique avec des noms de femmes : Marie Curie et Marie-Louise Delwaulle. Cette dernière est une ancienne chercheuse de l’université qui n’est désignée que par son nom de famille, alors que les autres amphithéâtres ont également des prénoms et certains ont même des plaques biographiques », rapporte Hermeline Pernoud, cheffe de projet égalité-diversité de l’établissement.

      Deux autres salles qui devaient s’appeler Rosalind Franklin et Ada Lovelace n’ont jamais été renommées, pour des raisons inconnues. « Nous voulons les faire réapparaître, dit Hermeline Pernoud. »

      À l’#Université_de_Haute-Alsace (UHA), le syndicat étudiant Communauté solidaire des terres de l’Est ne décompte aucun amphithéâtre avec des #noms_féminins, contre une dizaine de masculins. Les femmes sont pour l’heure seulement présentes sur quelques salles du learning center.

      Impliquer la communauté via consultation ou votes

      Pour faire bouger les choses, les vice-présidentes égalité des universités lilloise et strasbourgeoise, mais aussi le syndicat étudiant de Haute-Alsace se tournent vers la communauté universitaire. « L’idée de renommer 15 amphis a été lancée par Sandrine Rousseau, alors vice-présidente égalité de l’Université de Lille en 2019. 45 noms ont été proposés au vote en 2020. L’objectif est d’inviter chacun et chacune à s’interroger sur ses figures au quotidien et d’inviter chaque faculté à s’approprier les noms mis en avant », retrace Hermeline Pernoud.

      Le travail autour des noms à soumettre au vote a également permis d’impliquer l’association de solidarité des anciens personnels (Asap) de l’université lilloise qui a pu se souvenir de chercheuses illustres de la région.

      L’Unistra a opté pour une consultation : étudiants, enseignants-chercheurs et personnels peuvent soumettre des noms de femmes emblématiques de l’histoire de l’université ou d’une discipline, ayant travaillé ou étudié dans l’établissement et ayant contribué à son rayonnement ou à celui de son pays par ses travaux. Huit seront choisis pour apparaître sur des amphithéâtres, un chiffre faisant référence à la journée des droits des femmes, le 8 mars.

      « Cette initiative produit une #émulation_positive en interne, notamment au sein d’une composante d’enseignement s’étant particulièrement investie allant jusqu’à faire voter les noms soumis devant le conseil de composante ! », se réjouit Isabelle Kraus, vice-présidente égalité, parité, diversité et maîtresse de conférences en physique.

      Cette dernière envisage d’embarquer un public plus large encore : « Aujourd’hui, au-delà de l’établissement, les alumni peuvent participer. Nous réfléchissons maintenant à ouvrir la consultation en dehors de l’université, en communiquant à ce propos dans les journaux de l’Est de la France. »

      À l’Université de Haute-Alsace, ce sont les étudiants, via à la Communauté solidaire des terres de l’Est présente sur 13 campus du Haut-Rhin, qui lancent la dynamique et ouvrent une consultation le 22 mars. 115 votes ont déjà été enregistrés par une majorité d’étudiants et une trentaine d’enseignants-chercheurs.

      « Nous y avons réfléchi pendant deux ans avant de lancer la campagne. L’idée est que ce projet soit plutôt ascendant : qu’il vienne des étudiants. La gouvernance était au courant que nous préparions cela et est encline à nous soutenir », expose Axel Renard, étudiant et président de la Communauté des terres de l’Est.

      Des modifications pourraient cependant encore intervenir : « Le projet de base était de renommer des amphithéâtres, mais l’équipe dirigeante semble plutôt s’orienter vers des bâtiments », poursuit Axel Renard.

      Mettre en valeur des personnalités de l’université et #femmes_scientifiques

      Faire sortir les femmes de l’université, souvent des scientifiques, de l’#anonymat : c’est aussi l’objectif de ces initiatives. À l’Université de Lille, en lien avec l’opération Université avec un grand Elles qui a nourri la liste de noms soumis au vote pour renommer les amphis, des stages ont été proposés.

      Les étudiantes ont cherché des portraits correspondant aux critères : 15 femmes de la région, si possible en lien avec l’université, « dans une volonté de matrimoine, afin de rendre femmage -car c’est bien de cela dont il s’agit ici plutôt qu’un « hommage »- à des personnes que l’on connait moins », souligne Hermeline Pernoud.

      Une diversité qu’observe également Isabelle Kraus de l’Unistra : « Parmi les noms proposés, il en y a des connus et d’autre que je découvre. Quelle richesse ! Certains sont remontés dans toutes les disciplines. »

      Pour sa sélection, la Communauté des terres de l’Est demande dans son formulaire d’argumenter le choix soumis. « Nous n’avons pour le moment pas reçu trop de retours négatifs, seulement une dizaine de propositions de trolls », indique Axel Renard.

      Éviter les personnages trop politiques et représenter la diversité

      « Nous évitons les personnes vivantes, pour ne pas avoir de problèmes », poursuit l’étudiant de l’UHA. En effet, la décision peut s’avérer délicate, notamment lorsque la personnalité se politise comme a pu en faire l’expérience l’Université de Lille.

      « Christiane Taubira devait être invitée pour inaugurer un amphi à son nom, mais il s’est avéré que c’était au moment où elle se lançait en politique. Nous avons préféré mettre les choses en pause pour des questions éthiques », explique Hermeline Pernoud. Il faut dire que l’instigatrice même du projet, Sandrine Rousseau, est aujourd’hui députée écologiste après une tentative à la primaire du parti politique Europe écologie les verts en 2021.

      Autre critère pour l’Université de Lille : proposer aussi des noms de femmes non blanches. À ce sujet, il reste du chemin à parcourir chez les hommes également. C’est pourquoi l’établissement a inauguré, en février dernier, sur le campus de Moulin, une salle en hommage au Chevalier Saint-Georges.
      Débaptiser pour renommer : sujet tabou ?

      Pour Pierre-Alain Muller, le président de l’UHA, s’exprimant dans l’Alsace en mai, il n’est pas question de « débaptiser » les amphis qui portent des noms d’hommes. Alexandre Renard remarque : « La décision se fera avec les composantes. Il y a un seul cas où la question de pose, pour la fac de lettres et sciences humaines : trois amphis portent des noms de physicien, ingénieur… Des personnalités qui ne sont pas en lien avec la thématique. »

      Les universités de Lille et Strasbourg s’accordent également sur le fait de choisir des lieux désignés par des chiffres et seulement en dernier recours des noms d’hommes. Pourtant, à l’Université de Lille la problématique risque de se poser : « En médecine il n’y a que des noms d’hommes. Sur le campus de Roubaix, où les bâtiments sont neufs, nous pourrons sûrement en profiter pour mettre des noms féminins, mais, à terme, il faudrait une parité sur tous les sites », souligne Hermeline Pernoud.

      En pratique, une décision qui n’est pas anodine

      Si renommer moins d’une vingtaine de lieux peut sembler bien peu - et largement insuffisant pour atteindre la parité - ce n’est en réalité pas une mince affaire pour les équipes.

      « Je travaille en collaboration avec le vice-président patrimoine, Nicolas Matt, car la partie pratique est la plus difficile, souligne Isabelle Kraus. La direction des affaires logistiques intérieures a dû recenser les noms et le département du patrimoine et de l’immobilier se penche sur l’aspect logistique. Car renommer un amphi ce n’est pas juste poser une plaque : tous les documents, avec les arrivées d’eau et d’électricités, doivent être modifiés ainsi que le logiciel de planning pour l’occupation des salles. Sans l’adhésion du personnel, cela n’aurait pas été possible. »

      Après la consultation, continuer à faire vivre les noms

      Après la fin de la consultation, les premiers baptêmes à l’Unistra sont prévus pour la rentrée 2023-2024 avec l’organisation d’un événement collectif pour dévoiler les huit noms et présenter ces profils. Une plaque avec un résumé de chaque parcours sera également apposée.

      « Les propositions soumises lors de la consultation pourront servir de banque de données pour les années futures. Nous allons reconduire la consultation l’année prochaine, c’est loin d’être fini ! », ajoute Isabelle Kraus.

      Du côté de la Communauté des terres de l’Est, après la période creuse de l’été, la campagne sera relancée à la rentrée. « Le but est ensuite de faire les inaugurations progressivement, pour que chaque inauguration soit accompagnée d’une campagne expliquant le choix du nom », précise Axel Renard.

      À l’Université de Lille, pourtant pionnière avec une inauguration au nom de Laurence Bloch, journaliste à France Inter, dès 5 mars 2020, les événements ont pris du retard et après de nombreux reports, liés à la crise sanitaire, les changements de présidence et plus récemment les grèves ou encore des problématiques en interne, aucune date n’est fixée.

      « Nous devons encore nous accorder sur des détails techniques comme le choix des plaques, de l’affichage : faut-il percer le mur ? Il faut désormais que les différents campus s’emparent de la question », espère Hermeline Pernoud.

      https://www.campusmatin.com/vie-campus/rse-developpement-durable/pratiques/des-amphis-aux-noms-de-femmes-ces-universites-s-emparent-de-la-question

  • Ürümqi, métatoponyme de la contestation en Chine, ouvre l’ère de la révolte des plaques
    https://neotopo.hypotheses.org/5704

    de Neotoponymy/Néotoponymie Ürümqi est le nom d’une ville la région martyr chinoise du Xinjiang. Lors du confinement autoritaire et absolu imposé par les autorités chinoises, un immeuble dans lequel des personnes étaient retenues...

    #A_votre_vote_ !A_vos_noms ! #ExploreNeotopo #Neotopo_vous_signale #Toponobservations

  • Une place centrale de la ville nommée en l’honneur d’#Agota_Kristof

    Le Conseil communal va attribuer un nouveau nom à deux places encore anonymes : la place Agota Kristof au sud du collège latin, et la place de l’Escargot à l’extrémité de la rue de Bourgogne. La première entend rendre #hommage à une célèbre écrivaine et contribuer à représenter davantage les #femmes dans l’#espace_public : elle sera inaugurée en 2023. La deuxième, issue d’une démarche citoyenne, sera vernie lors de la fête de l’Association de quartier Draizes sans limite, le 27 août prochain.

    https://www.neuchatelville.ch/fr/medias/actualites/detail/une-place-centrale-de-la-ville-nommee-en-lhonneur-dagota-kristof
    #toponymie #toponymie_féministe #femmes #Neuchâtel #Suisse #noms_de_rue

  • Ne touchez pas aux noms des rues : il y a un siècle, les plaidoyers de Antonio Gramsci et de Camille Jullian pour le maintien de noms de rues authentiques
    https://neotopo.hypotheses.org/5084

    Il y a tout juste un siècle, Camille Jullian prononçait une véhémente conférence à l’hôtel de ville de Paris L’auteur s’y insurge contre une certaine tendance à l’usage de dénominations commémoratives et honorifiques hors-sols...

    #BibNeotopo #Catégories #ExploreNeotopo #TheorizeNeotopo #Toponobservations

  • #Mapping_Diversity

    Mapping Diversity is a platform for discovering key facts about diversity and representation in street names across Europe, and to spark a debate about who is missing from our urban spaces.

    We looked at the names of 145,933 streets across 30 major European cities, located in 17 different countries. More than 90% of the streets named after individuals are dedicated to white men. Where did all the other inhabitants of Europe end up? The lack of diversity in toponymy speaks volumes about our past and contributes to shaping Europe’s present and future.


    https://mappingdiversity.eu
    #cartographie #noms_de_rue #toponymie #toponymie_féministe #toponymie_politique #visualisation #Europe #base_données #villes #urban_matter #ressources_pédagogiques

    ping @_kg_ @cede

    • Pocas y ocultas: la infrarrepresentación de las mujeres en el callejero de Europa

      Da igual que sea una calle principal en las afueras de una gran ciudad o un pequeño callejón en el centro histórico; en Escandinavia o en el Mediterráneo; en la ciudad más occidental de Europa o en la sufrida Kiev. Las calles del Viejo Continente tienen una cosa en común: rinden homenaje a muchos más hombres que mujeres.

      La European Data Journalism Network (EDJNet) ha analizado, con la participación de El Orden Mundial, 145.933 calles en 30 grandes ciudades de 17 países de la Unión Europea o candidatos a formar parte del grupo comunitario. De todas ellas, el 91% llevan nombre masculino. Incluso en la ciudad con menor brecha de género, Estocolmo, las calles que homenajean a hombres siguen suponiendo más del 80% del callejero.

      No todas las ciudades son iguales

      En algunas ciudades de Europa, particularmente en el norte y el este del continente, es relativamente común dedicar nombres de calles a personas. Además de la capital sueca, las urbes con mayor representación de mujeres son las españolas (Madrid, Barcelona y Sevilla) y Copenhague, aunque en el caso de España las cifras están condicionadas por la gran cantidad de calles dedicadas a las vírgenes católicas (211 calles en 3 ciudades). En el lado contrario, menos de un 5% de las calles de Atenas, Praga y Debrecen (Hungría) tienen nombre de mujer.

      En total, la EDJNet ha identificado 41.000 individuos con al menos una calle en su honor, y aunque Europa es una región densamente poblada y con cientos de años de rica historia, solo 3.500 mujeres aparecen en el callejero de las 30 ciudades que forman parte de la investigación. Si todas ellas hubiesen coincidido en el tiempo, apenas ocuparían las casas y viviendas de una simple avenida. La preponderancia de figuras masculinas en las calles de Europa es un fuerza sublime pero constate que ayuda a perpetuar la marginación de las mujeres y su contribución a la historia, la cultura y la ciencia.

      La Virgen María y Santa Ana son las figuras femeninas mas populares en el callejero de las ciudades analizadas por la EDJNet. Pese a esto, la mayoría de calles dedicadas a mujeres no son de figuras religiosas, sino del mundo de la cultura y la ciencia, incluidas escritoras y artistas. La nobleza y la política son otros campos con una representación fuerte en el callejero femenino de Europa.

      Existen, eso sí, diferencias entre ciudades. Tanto Copenhague como Cracovia tiene 71 calles dedicadas a mujeres, pero en la primera ciudad solo hay una figura religiosa, mientras que en la capital polaca son diez. Las diferencias son mucho más pequeñas cuando se analiza el origen de estas mujeres: aparte de algunas santas de Oriente Medio, la inmensa mayoría son mujeres europeas. Solo destacan dos excepciones: la líder india Indira Gandhi y la artista sudafricana Miriam Makeba.
      Una brecha que no se cierra

      La gran brecha de género en el callejero europeo no sorprende si se tienen en cuenta los siglos de discriminación que han sufrido las mujeres en la educación, la vida pública y la economía. Los paisajes urbanos tienden a reflejar las relaciones de poder que existían cuando se construyeron las calles. En el caso de Europa, esto sucedió en el siglo XIX y principios del XX.

      Gracias al esfuerzo de activistas o intelectuales, la concienciación en torno a la sobrerrepresentación de hombres blancos y ricos en el callejero ha crecido en Europa. Sin embargo, los datos sugieren que esta concienciación aún no se ha visto acompañada de un cambio significativo en los nombres de las calles. Durante los últimos diez años, ninguna de las grandes ciudades de Europa ha estado cerca de cerrar la brecha de género, y en algunos casos se ha perpetuado: en el periodo 2012-2022, ciudades como Ámsterdam, Berlín, Valencia o Milán siguieron dedicando más calles a hombres que mujeres.

      «Desde 2017, hemos aplicado estrictamente el reparto equitativo en la denominación de las calles, homenajeando a una nueva mujer por cada nuevo hombre. Sin embargo, todavía recibimos muchas más propuestas de nombres masculinos, unas diez veces más, que nombres femeninos», dice Antonella Amodio, la funcionaria a cargo de seleccionar los nombres de las calles en Milán. Una mayor sensibilidad hacia el tema ha llevado a una mayor concienciación: la ciudad ahora monitorea la brecha de género y está construyendo un sitio web dedicado a explorar lugares y monumentos dedicados a mujeres destacadas y sus vidas.

      Pero aplicar la paridad no es suficiente para cerrar la brecha de género. De hecho, ni siquiera sería suficiente si todas las calles nuevas llevasen nombre de mujer. Las ciudades europeas simplemente no crecen tan rápido como solían hacer, y solo se construyen algunas decenas de calles cada año. En la actualidad hay 43.330 calles más dedicas a hombres que a mujeres en las ciudades analizadas, por lo que la desigualdad tardaría siglos en cerrarse.

      Es más, los expertos advierten de que las nuevas valles dedicadas a mujeres tienden a estar localizadas en áreas periféricas, zonas residenciales donde la visibilidad es menor, como el barrio de Sanchinarro en Madrid. Por contra, las calles con nombres de hombres siguen siendo las avenidas y plazas más importantes de los centros históricos.

      https://elordenmundial.com/mapas-y-graficos/infrarrepresentacion-mujeres-callejero-europa

  • I nomi delle strade sono lo specchio del sessismo della società

    La cultura che è all’origine di violenze e discriminazioni nei confronti delle donne non viene insegnata a scuola, ma si perpetua giorno dopo giorno attraverso quello che ci circonda: dai prodotti commerciali a quelli culturali, dalla pubblicità ai giocattoli. Pensando allo spazio pubblico, per esempio, ci si accorge che restituisce a chi lo attraversa quasi solo nomi di uomini: eroi di guerra, compositori, scienziati e poeti sono ovunque, a costante memoria del loro valore.

    Da qualche anno a questa parte lo studio dell’urbanistica si è intrecciato con quello della toponomastica di genere e, mentre si pensa a come disegnare città più inclusive, si riflette anche sulla cancellazione storica subita da partigiane, musiciste o scienziate. Con 24 strade a lei dedicate, la donna più celebrata sulle vie d’Europa è Marie Curie, che però non sempre si aggiudica un’intestazione tutta sua: quasi sempre sulle targhe la precede il nome del marito, Pierre. Anche se lui ha un Nobel in meno di lei.

    Un promemoria sottile

    La piattaforma Mapping diversity, sviluppata da Sheldon Studio e voluta da Obc Transeuropa con altri partner dell’European data journalism network, esamina le mappe di trenta città di 17 paesi europei rivelando che, su 145.933 strade e piazze, il 91 per cento di quelle intitolate a persone sono dedicate a uomini. Basta fare due passi in una qualsiasi metropoli per notarlo. “È un promemoria, sottile ma potente, su chi la nostra società apprezza o ha apprezzato e chi no”, si legge sul sito. A fianco il risultato della ricerca: 4.779 vie intitolate a donne contro 47.842 nomi maschili.

    Lo scopo dello studio è raccontare la mancanza di diversità in relazione alle narrazioni. Se è vero che la storia la scrive chi vince, fino a oggi hanno vinto uomini che hanno disegnato le città raccontando il passato attraverso il loro punto di vista. Una prospettiva da cui non vengono osservati, e tanto meno celebrati, i traguardi scientifici, militari, politici o culturali di donne, identità non binarie e persone non bianche, ma che mette bene a fuoco le martiri o le dee, come Diana e Afrodite.

    Sono infatti 365 le vie e le piazze dedicate alla Madonna, spalmate su 25 delle 30 città europee esaminate. La seconda nella classifica generale delle donne e sant’Anna, con 35 strade, accompagnata dalla voce “casalinga” e dal motivo di tanta attenzione: è la madre della capolista. La prima laica (terza tra tutte le donne) è appunto Curie; la seconda, con solo dieci strade, è la scrittrice polacca Stefania Sempołowska (dodicesima nella classifica generale). A separare le due c’è una folta schiera di sante, da Teresa d’Avila a Chiara d’Assisi.

    Per fare un confronto con gli uomini, i più popolari sono san Pietro, san Paolo e Ludwig van Beethoven (a cui sono dedicate 26, 23 e 18 strade o piazze). Numeri bassi se comparati con quelli di Maria e Anna, dovuti al fatto che la platea di uomini a cui sono state intestate strade o piazze è larghissima, dal momento che tra i meritevoli c’è anche l’immaginario Frankenstein o, peggio, il gerarca fascista Aldo Tarabella. Nessuno escluso quindi, mentre lo spazio delle donne, anche quando sante, resta angusto e le percentuali insignificanti.

    Tra le capitali, la città più inclusiva in Europa è Stoccolma con solo il 19,5 per cento delle strade intitolate a donne. È seguita da Madrid (18,7), Copenaghen (13,4 per cento) e Berlino (12,2 per cento). In fondo alla classifica ci sono Praga (4,3 per cento) e Atene (4,5 per cento).

    L’Italia dal canto suo ha il 6,6 per cento di vie dedicate a donne: su 24.527 strade sono 1.626, ma se non si contano quelle dedicate alla Madonna, ne rimangono 959: persone come Rita Levi Montalcini, Oriana Fallaci, Lina Merlin o la ciclista Alfonsina Strada danno il nome a una via ciascuna e Margherita Hack non c’è. A spopolare all’estero è Maria Montessori: quattro strade di cui una a Barcellona e una a Vienna. La seconda laica più celebrata oltre i confini è Anna Magnani, l’attrice di Roma città aperta ha una via a Bruxelles. L’italiano più inflazionato all’estero è, forse ovviamente, Cristoforo Colombo: undici città d’Europa lo hanno reso immortale con gloriosi lungomare e grandi piazze. Lo seguono Galileo Galilei e Dante.

    Non mancano, tra street, rue, strasse e carrer le scrittrici Elsa Morante, l’attrice Gaby Sylvia, la cantante Giuseppina Medori, la pilota Lella Lombardi e la pittrice Maddalena Corvini. Non pervenuta, all’estero, la premio Nobel Grazia Deledda che è già ricordata di rado in patria come anche le politiche Nilde Iotti, Carla Capponi e Miriam Mafai. E sono ancora meno le scienziate, le ingegnere, le sportive o le giornaliste. Troviamo però Emanuela Loi, scorta del giudice Paolo Borsellino, e le stelle di un tempo: Wanda Osiris, Silvana Mangano, Bice Valori, Dalida ed Emma Gramatica. Ma hanno circa una strada l’una. E periferica per giunta.

    Fornire modelli

    “Le donne non hanno avuto visibilità negli spazi pubblici e tale esclusione è evidente nella toponomastica”, commenta Maria Pia Ercolini, fondatrice di Toponomastica femminile, un’associazione che vuole restituire visibilità alle donne che hanno contribuito a migliorare la società. “Fornire modelli visibili accresce l’autostima delle ragazze”, spiega, “e la violenza di genere dipende dal fatto che le donne vengono percepite come oggetti e proprietà, per questo è fondamentale restituire il loro operato a tutti: le bambine scoprono ambizioni e desideri attraverso la storia e i bambini recepiscono il valore delle donne”.

    Insieme all’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), Ercolini ha avviato la campagna “tre donne, tre strade” che ogni 8 marzo promuove l’intitolazione di spazi cittadini a tre donne di rilevanza locale, nazionale e internazionale. Per il 2023, la richiesta è di dar spazio alle vittime del terrorismo di stato o alle donne che hanno combattuto per la democrazia e per i diritti in Iran e Afghanistan.

    Di certo aumentare la percentuale di strade e piazze dedicate a figure femminili di rilievo non basterà a sradicare una cultura patriarcale che spesso dimentica le donne. Tuttavia le ricerche come questa e le continue attività di organizzazioni e istituzioni che si dedicano alla toponomastica e provano a immaginare un diverso modello di città, sono un passo in avanti verso uno spazio pubblico più inclusivo. Un lavoro importante soprattutto per le prossime generazioni di donne che, leggendosi e ritrovandosi, saranno forse più pronte a prendere coscienza del loro valore e del ruolo che possono avere nella società.

    https://www.internazionale.it/notizie/eugenia-nicolisi/2023/03/09/nomi-strade-sessismo

    #sexisme #toponymie #toponymie_féministe #femmes #noms_de_rue #inégalité #culture

  • Festa delle Donne : A Lipari la nuova “toponomastica”

    Bella e originale. Non sappiamo ancora di chi è l’iniziativa ( anche se lo supponiamo) ma è lodevole. Lipari si è svegliata nel giorno della Festa delle Donne con le sue vie “intitolate” alla memoria di grandi donne, alcune anche in vita, della cultura, della scienza, del giornalismo , della musica ( c’è anche Patty Smith) ecc. Un modo anche per ricordare all’Amministrazione che la toponomastica dovrebbe essere aggiornata . L’ultima rivisitazione risale a poco più di dieci anni fa per opera della giunta Bruno con il Rotary club, con la collocazione delle targhe in ceramica .

    Mais il y aurait beaucoup de choses à dire sur le fait qu’un des noms proposés pour la nouvelle toponymie soit celui de #Giorgia_Meloni (sic) :


    https://www.giornaledilipari.it/festa-delle-donne-a-lipari-la-nuova-toponomastica

    #toponymie #toponymie_féministe #genre #noms_de_rue #Lipari #Sicile #Italie

    • 8 marzo: Lipari per un giorno «intitola» vie a grandi donne

      Un «suggerimento» al Comune per una revisione toponomastica

      Lipari in occasione della Giornata internazionale della donna ha intitolato, apponendo dei fogli sui muri delle vie dell’isola a grandi donne, alcune anche in vita, del mondo della cultura, della scienza, del giornalismo, della musica.

      Il «cambio toponomastica» ha coinvolto anche donne eoliane che, nel tempo, si sono contraddistinte in vari campi.

      L’iniziativa anonima, è stata realizzata la notte tra martedì e oggi. Potrebbe essere un «suggerimento» all’amministrazione comunale affinchè si proceda ad una revisione della toponomastica, in molti casi risalente agli anni immediatamente successivi all’ultima guerra mondiale. (ANSA).

      https://www.ansa.it/sicilia/notizie/2023/03/08/otto-marzo-lipari-per-un-giorno-intitola-vie-a-grandi-donne_2b325fdc-44ff-49f4-

    • I nomi di Donne famose sono apparsi sui muri di Lipari: gli isolani acclamano il “cambio toponomastica”

      Lipari, l’isola più grande dell’arcipelago delle Eolie, celebra la Giornata Internazionale della Donna in modo originale e significativo. Durante la notte tra martedì e mercoledì, alcune donne straordinarie del mondo della cultura, della scienza, del giornalismo e della musica sono state omaggiate con l’apposizione di fogli sui muri delle vie dell’isola.

      L’iniziativa, anonima e spontanea, ha suscitato grande interesse e curiosità tra i residenti e i turisti.

      La scelta di dedicare spazi pubblici alle grandi donne della storia è un messaggio forte e chiaro, che invita a riflettere sulla necessità di riconoscere l’enorme contributo che le donne hanno dato e continuano a dare alla società, in tutti i campi.

      Il “cambio toponomastica” ha coinvolto anche alcune donne eoliane che, nel corso del tempo, si sono contraddistinte in vari ambiti.

      Questa iniziativa potrebbe essere considerata un “suggerimento” all’amministrazione comunale per procedere a una revisione della toponomastica, che in molti casi risale agli anni immediatamente successivi all’ultima guerra mondiale.

      Una revisione che potrebbe permettere di rendere omaggio alle grandi donne dell’isola e ai loro meriti, aprendo nuove strade alla memoria collettiva.

      In un’epoca in cui la parità di genere e la valorizzazione delle donne sono ancora temi di grande attualità, l’iniziativa di Lipari rappresenta un’importante occasione di riflessione e di sensibilizzazione.

      L’idea di dedicare spazi pubblici alle grandi donne della storia è un modo per ricordare il loro contributo e per ispirare le nuove generazioni a lottare per i propri diritti.
      Alcuni nomi di donne affissi sui muri di Lipari

      Hannah Arendt è stata una filosofa e teorica politica tedesca di origine ebraica, nota per i suoi contributi alla riflessione sul totalitarismo, la politica e la cultura.

      Arendt è nata a Hannover, in Germania, ed è fuggita in esilio negli Stati Uniti nel 1941, a causa della persecuzione nazista degli ebrei. Ha insegnato in diverse università americane, tra cui la New School for Social Research e la University of Chicago.

      Tra le sue opere più famose ci sono “Le origini del totalitarismo”, “La condizione umana” e “Eichmann a Gerusalemme”, in cui analizza il processo al criminale di guerra nazista Adolf Eichmann e sviluppa la sua teoria della “banalità del male”.

      Arendt è stata, anche, una critica del concetto di “diritti umani”, sostenendo che essi non hanno una base oggettiva e che la loro affermazione non garantisce necessariamente la protezione delle libertà individuali.

      Il suo pensiero ha influenzato numerosi studiosi di filosofia politica e la sua figura è stata oggetto di diversi film e opere letterarie.

      La figura di Carmelina Naselli, come quella di Cocchiara e Pitrè a Palermo, rappresenta un punto di riferimento importante negli studi folklorici e delle tradizioni popolari siciliane.

      Nonostante l‘imperante storicismo ideologico crociano, che metteva in secondo piano queste discipline tacciate di simpatizzare con i metodi del positivismo, la Naselli riuscì a far fronte, continuando a professare rigorosamente il metodo storico-filologico nella sua indagine di studio e di ricerca. Questa diatriba si sarebbe poi attenuata solo dopo i lavori di Ernesto De Martino sull’etnologia storicistica.

      Ilaria Alpi è stata una giornalista italiana che ha fatto carriera come inviata di guerra. È nata a Roma e ha studiato Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dopo aver iniziato la sua carriera come giornalista presso l’agenzia ANSA, nel 1989 è entrata a far parte della redazione di Rai News.

      Durante la sua carriera, Ilaria Alpi ha coperto diversi conflitti internazionali, tra cui la guerra in Somalia e la guerra del Golfo. Nel 1994, mentre si trovava in Somalia per un’inchiesta sul traffico di armi, è stata uccisa insieme al suo operatore Miran Hrovatin.

      La morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ha sollevato numerose polemiche e controversie, sia in Italia che all’estero, e, ancora oggi, l’omicidio rimane avvolto nel mistero. Nel 1999, in memoria della giornalista, è stata creata la Fondazione Ilaria Alpi, che promuove iniziative culturali e formative nel campo del giornalismo e dell’informazione.

      https://newsicilia.it/messina/cronaca/i-nomi-di-donne-famose-sono-apparsi-sui-muri-di-lipari-gli-isolani-acclamano-il-cambio-toponomastica/854872

  • Le conseil municipal de Kyiv a renommé 32 rues de la capitale ukrainienne.

    Le maire #Vitali_Klitshko a publié la liste intégrale ici :
    https://t.me/vitaliy_klitschko/1665

    La rue Vassili Joukovski, poète russe de la première moitié du XIXe, est devenue la rue Leopold Yashchenko, musicologue et compositeur ukrainien du XXe siècle, créateur de la chorale Homin qui célébrait le folklore ukrainien et a donc été interdite en 1971 pour « nationalisme ».

    La rue du maréchal Govorov, officier soviétique s’étant illustré notamment pendant la Guerre d’Hiver, est devenue la rue du général Momot, officier ukrainien qui dirigeait le centre de formation des gardes frontières, tué en 2014 sur le front du Donbass.

    L’allée Engels est devenue l’allée Bohdan-Ihor Antonytch, poète et hommes de lettres né en Pologne et mort à 28 ans d’une pneumonie à Lviv, où il s’est établi pour ses études.

    L’allée Tourgueniev est devenue l’allée Oleksander Barvinsky, figure du monde de la culture et de la politique de l’Ouest de l’Ukraine à la fin du XIXe siècle, apôtre (catholique) d’un rapprochement avec la Pologne

    La rue Engels est devenue la rue Opanas Slastion, intellectuel et artiste ukrainien du XIXe-XXe siècle.

    La rue Souvarov, généralissime de l’Empire russe, est devenue la rue Serhiy Kotenko, colonel de l’armée ukrainienne mort au combat le 9 mars dernier dans les environs de Zaporijia.

    La rue de l’Académie Kurchatov, du nom de l’un des pères de la bombe nucléaire soviétique, est devenue la rue Orest Levytsky, cofondateur de l’académie nationale des sciences d’Ukraine en 1918.

    La rue Nikolaï Raïevski, général de l’armée impériale renommé pour ses faits d’armes pendant les guerres napoléoniennes, est devenue la rue Pavlo Zahrebelnyï, grand écrivain ukrainien du XXe siècle.

    Le boulevard de l’amitié entre les Peuples est devenu le boulevard Mykola Mikhnovsky, théoricien du nationalisme ukrainien au début du XXe siècle et militant indépendantiste.

    La rue du général Potapov, qui a commandé le 5e Armée et a survécu à la captivité dans les camps allemands, est devenue la rue Vassil Domanytsky, intellectuel de la fin XIXe-début XXe qui a édité pour la première fois en Ukraine Kobzar, le grand œuvre du poète Taras Chevtchenko

    La rue Ouliana Gromova, partisane communiste ukrainienne exécutée par les nazis en 1943, est devenue la rue Kateryna Stupnytska, sergent de l’armée ukrainienne morte au combat le 8 mars dernier à 25 ans.

    La rue Zoïa Kosmodemianskaïa, partisane russo-soviétique pendue par les Nazis à 18 ans, est devenue la rue Sofia Halechko, soldate austro-hongroise au sein de l’Ukrainian Sich Riflemen qui deviendra l’armée de la Rep. populaire d’Ukraine occidentale l’année de sa mort (1918)

    La rue Dostoïevski est devenue la rue… Andy Warhol

    https://twitter.com/pierre_alonso/status/1601271481975341057

    #Ukraine #Kiev #Kyiv #toponymie #noms_de_rue

  • Un quartier de #Berlin rebaptise des lieux avec les noms de résistants africains à la #colonisation

    Une rue et une #place portant le nom de personnalités phares du colonialisme allemand ont été débaptisées, début décembre, dans le quartier de #Wedding. Elles ont désormais le nom de résistants ayant œuvré, au début du XXe siècle, contre l’action de l’Allemagne en Afrique.

    “Fini d’honorer les dirigeants de la colonisation.” Comme le rapporte le Tagesspiegel, plusieurs lieux du “quartier africain” de Berlin ont été rebaptisés, dans le cadre d’une initiative menée par les autorités locales. “L’ancienne place #Nachtigal est devenue la place #Manga-Bell ; et la rue #Lüderitz, la rue #Cornelius-Fredericks”, détaille le titre berlinois. Le tout au nom du “travail de mémoire” et du “#décolonialisme”.

    #Gustav_Nachtigal et #Adolf_Lüderitz, dont les noms ornaient jusqu’à présent les plaques du quartier, avaient tous deux “ouvert la voie au colonialisme allemand”. Ils ont été remplacés par des personnalités “qui ont été victimes de ce régime injuste”.

    À savoir Emily et Rudolf Manga Bell, le couple royal de Douala qui s’est opposé à la politique d’expropriation des terres des autorités coloniales allemandes au #Cameroun, et Cornelius Fredericks, résistant engagé en faveur du peuple des #Nama, avant d’être emprisonné et tué dans le camp de concentration de #Shark_Island, dans l’actuelle #Namibie.

    “Indemnisation symbolique”

    “Les noms des rues du quartier africain ont fait polémique pendant plusieurs années”, assure le journal berlinois. Lorsqu’en 2018 l’assemblée des délégués d’arrondissement de ce quartier, Wedding, dans l’arrondissement de #Berlin-Mitte, avait proposé pour la première fois de changer les noms de certains lieux, près de 200 riverains étaient montés au créneau, critiquant notamment le coût de la mesure. Ils assuraient par ailleurs qu’“on ne peut pas faire disparaître l’histoire des plaques de rue”.

    Mais les associations des différentes diasporas africaines, elles, considèrent que les changements de noms sont importants, dans un pays “où les crimes du colonialisme allemand ne sont pas éclaircis systématiquement”. L’Empire allemand a en effet été responsable de diverses atrocités commises pendant sa courte période coloniale – comme le génocide des Héréro et des Nama, entre 1904 et 1908, dans ce que l’on appelait à l’époque le “Sud-Ouest africain allemand” et qui correspond aujourd’hui à la Namibie.

    Cet épisode de l’histoire n’a été reconnu par l’Allemagne qu’en mai 2021, rappellent les organisations décoloniales d’outre-Rhin. “Elles demandent de nouveaux noms de rue à titre d’indemnisation symbolique pour les victimes, mais également à titre éducatif.”

    https://www.courrierinternational.com/article/memoire-un-quartier-de-berlin-rebaptise-des-lieux-avec-les-no

    #toponymie #toponymie_politique #colonialisme #résistance #noms_de_rue #rebaptisation #colonialisme_allemand #Allemagne_coloniale #Allemagne #toponymie_coloniale #mémoire

    ping @cede @nepthys

    • Keine Ehre für Kolonialherren in Berlin: Straßen im Afrikanischen Viertel werden umbenannt

      Aus dem Nachtigalplatz wird am Freitag der Manga-Bell-Platz und aus der Lüderitzstraße die Cornelius-Fredericks-Straße. Anwohner hatten gegen die Umbenennung geklagt.

      Nach jahrelangen Protesten werden ein Platz und eine Straße im Afrikanischen Viertel in Wedding umbenannt. Aus dem bisherigen Nachtigalplatz wird der Manga-Bell-Platz und aus der Lüderitzstraße die Cornelius-Fredericks-Straße.

      „Straßennamen sind Ehrungen und Teil der Erinnerungskultur“, sagte Bezirksbürgermeisterin Stefanie Remlinger (Grüne). Daher sei es eine wichtige Aufgabe, Namen aus dem Berliner Straßenbild zu tilgen, die mit Verbrechen der Kolonialzeit im Zusammenhang stehen.

      Gustav Nachtigal und Adolf Lüderitz waren Wegbereiter des deutschen Kolonialismus, der im Völkermord an den Herero und Nama gipfelte. An ihrer Stelle sollen nun Menschen geehrt werden, die Opfer des deutschen Unrechtsregimes wurden.

      Das Königspaar Emily und Rudolf Duala Manga Bell setzte sich nach anfänglicher Kooperation mit deutschen Kolonialautoritäten gegen deren Landenteignungspolitik zur Wehr. Cornelius Fredericks führte den Widerstandskrieg der Nama im damaligen Deutsch-Südwestafrika, dem heutige Namibia, an. Er wurde 1907 enthauptet und sein Schädel zur „Erforschung der Rassenüberlegenheit“ nach Deutschland geschickt und an der Charité aufbewahrt.

      Über die Straßennamen im Afrikanischen Viertel wurde viele Jahre gestritten. Im April 2018 hatte die Bezirksverordnetenversammlung Mitte nach langem Hin und Her beschlossen, den Nachtigalplatz, die Petersallee und die Lüderitzstraße umzubenennen. Dagegen hatten 200 Gewerbetreibende sowie Anwohnende geklagt und die Namensänderungen bis jetzt verzögert. Im Fall der Petersallee muss noch über eine Klage entschieden werden.

      Geschichte könne nicht überall von Straßenschildern getilgt werden, argumentieren die Gegner solcher Umbenennungen. Denn konsequent weitergedacht: Müsste dann nicht sehr vielen, historisch bedeutenden Personen die Ehre verweigert werden, wie etwa dem glühenden Antisemiten Martin Luther?
      Klagen verzögern auch Umbenennung der Mohrenstraße

      Ein anderes viel diskutiertes Beispiel in Mitte ist die Mohrenstraße, deren Namen als rassistisch kritisiert wird. Auch hier verzögern Klagen die beschlossene Umbenennung. Gewerbetreibende argumentieren auch mit Kosten und Aufwand für Änderung der Geschäftsunterlagen.

      Vor allem afrodiasporische und solidarische Organisationen wie der Weddinger Verein Eoto und Berlin Postkolonial kämpfen für die Straßenumbenennungen. Sie fordern sie als symbolische Entschädigung für die Opfer, aber auch als Lernstätte. Denn bis heute fehlt es oft an Aufklärung über die deutschen Verbrechen. Die Debatte darüber kam erst in den letzten Jahren in Gang.

      Wenn am Freitag ab 11 Uhr die neuen Straßenschilder enthüllt werden, sind auch die Botschafter Kameruns und Namibias sowie König Jean-Yves Eboumbou Douala Bell, ein Nachfahre des geehrten Königspaares, dabei. Die Straßenschilder werden mit historischen Erläuterungen versehen. (mit epd)

      https://www.tagesspiegel.de/berlin/bezirke/keine-ehre-fur-kolonialherren-in-berlin-strassen-im-afrikanischen-viert

    • Benannt nach Kolonialverbrechern: #Petersallee, Nachtigalplatz - wenn Straßennamen zum Problem werden

      Die #Mohrenstraße in Berlin wird umbenannt. Im Afrikanischen Viertel im Wedding dagegen wird weiter über die Umbenennung von Straßen gestritten.

      Die Debatte über den Umgang mit kolonialen Verbrechen, sie verläuft entlang einer Straßenecke im Berliner Wedding. Hier, wo die Petersallee auf den Nachtigalplatz trifft, wuchert eine wilde Wiese, ein paar Bäume werfen kurze Schatten, an einigen Stellen bricht Unkraut durch die Pflastersteine des Bürgersteigs. Kaum etwas zu sehen außer ein paar Straßenschildern. Doch um genau die wird hier seit Jahren gestritten.

      Am Mittwoch hat die Bezirksverordnetenversammlung Berlin-Mitte beschlossen, die Mohrenstraße in Anton-Wilhelm-Amo-Straße umzubenennen, nach einem widerständigen afrikanischen Gelehrten. Im gleichen Bezirk hat die Organisation „Berlin Postkolonial“ in dieser Woche ein Informationszentrum zur deutschen Kolonialgeschichte in der Wilhelmstraße eröffnet – in den kommenden vier Jahren soll es von Erinnerungsort zu Erinnerungsort ziehen.

      Das Zentrum ist die erste speziell dem Thema gewidmete öffentliche Anlaufstelle in der Stadt.

      Andernorts aber kämpft man seit Jahren nach wie vor erfolglos für eine Umbenennung von Straßennamen mit Bezügen zur Kolonialzeit. In ganz Deutschland gibt es noch immer mehr als 150 – im Berliner Wedding treten sie besonders geballt im sogenannten Afrikanischen Viertel auf. Orte wie die Petersallee, der Nachtigalplatz und die Lüderitzstraße. Orte, die nach deutschen Kolonialverbrechern benannt sind.
      #Carl_Peters wurde wegen seiner Gewalttaten „blutige Hand“ genannt. Gustav Nachtigal unterwarf die Kolonien Togo, Kamerun und Deutsch-Südwestafrika.

      Carl Peters (1856–1918) war die treibende Kraft hinter der Gründung der ehemaligen deutschen Kolonie #Deutsch-Ostafrika, seine Gewalttätigkeit brachte ihm die Spitznamen „Hänge-Peters“ und „blutige Hand“ ein. Gustav Nachtigal (1834– 1885) nahm eine Schlüsselrolle ein bei der Errichtung der deutschen Herrschaft über die drei westafrikanischen Kolonien Togo, Kamerun und Deutsch-Südwestafrika, das heutige Namibia. Und der Bremer Kaufmann Adolf Eduard Lüderitz (1834–1886) gilt als der Mann, der das deutsche Kolonialreich mit einem betrügerischen Kaufvertrag in Gang setzte.

      Eine Ehrung für außergewöhnliche Leistungen

      Straßennamen sollen eine besondere Ehrung darstellen, sie sollen an Menschen erinnern, die außergewöhnlich Gutes geleistet haben. Das deutsche Kolonialreich aufgebaut zu haben, fällt nicht mehr in diese Kategorie. Aus diesem Grund wurden in der Geschichte der Bundesrepublik bislang allein 19 Straßen umbenannt, die Carl Peters im Namen trugen. Das erste Mal war das 1947 in Heilbronn. Der aktuellste Fall findet sich 2015 in Ludwigsburg. Auch nach dem Ende des Nationalsozialismus und dem der DDR hat man im großen Stil Straßen umbenannt, die als Würdigung problematischer Personen galten.

      Im Wedding ist wenig passiert, in der Welt zuletzt viel. Die Ermordung des schwarzen US-Amerikaners George Floyd hat Proteste ausgelöst, weltweit. Gegen Rassismus, gegen Polizeigewalt. Aber auch gegen die noch immer präsenten Symbole des Kolonialismus, dem diese Ungerechtigkeiten, diese Unterdrückungssysteme entspringen. Im englischen Bristol stürzten Demonstranten die Statue des Sklavenhändlers Edward Colston von ihrem Sockel und versenkten sie im Hafenbecken.

      „Krieg den Palästen“

      Ein alter Gewerbehof in Kreuzberg unweit des Landwehrkanals, Sommer 2019. Tahir Della, Sprecher der Initiative Schwarze Menschen in Deutschland, sitzt an seinem Schreibtisch in einem Co-Working-Space. Um ihn herum Bücher, Flyer. Hinter Della lehnen zwei große Plakate. Auf dem einen steht: „Black Lives Matter“. Auf dem anderen: „Krieg den Palästen“. Ein paar Meter über Dellas Kopf zieht sich eine großformatige Bildergalerie durch die ganze Länge des Raums. Fotos von Schwarzen Menschen, die neue Straßenschilder über die alten halten.

      „Die kolonialen Machtverhältnisse wirken bis in die Gegenwart fort“, sagt Della. Weshalb die Querelen um die seit Jahren andauernde Straßenumbenennung im Wedding für ihn auch Symptom eines viel größeren Problems sind: das mangelnde Bewusstsein und die fehlende Bereitschaft, sich mit der deutschen Kolonialvergangenheit auseinanderzusetzen. „Die Leute haben Angst, dieses große Fass aufzumachen.“

      Denn wer über den Kolonialismus von damals spreche, der müsse auch über die Migrations- und Fluchtbewegungen von heute reden. Über strukturellen Rassismus, über racial profiling, über Polizeigewalt, darüber, wo rassistische Einordnungen überhaupt herkommen.

      Profiteure der Ausbeutung

      „Deutsche waren maßgeblich am Versklavungshandel beteiligt“, sagt Della. In Groß Friedrichsburg zum Beispiel, an der heutigen Küste Ghanas, errichtete Preußen schon im 17. Jahrhundert ein Fort, um von dort aus unter anderem mit Sklaven zu handeln. „Selbst nach dem sogenannten Verlust der Kolonien hat Europa maßgeblich von der Ausbeutung des Kontinents profitiert, das gilt auch für Deutschland“, sagt Della.

      Viele Menschen in diesem Land setzen sich aktuell zum ersten Mal mit dem Unrechtssystem des Kolonialismus auseinander und den Privilegien, die sie daraus gewinnen. Und wenn es um Privilegien geht, verhärten sich schnell die Fronten. Weshalb aus einer Debatte um die Umbenennung von kolonialen Straßennamen in den Augen einiger ein Streit zwischen linkem Moralimperativ und übervorteiltem Bürgertum wird. Ein Symptom der vermeintlichen Empörungskultur unserer Gegenwart.

      Ein unscheinbares Café im Schatten eines großen Multiplexkinos, ebenfalls im Sommer 2019. Vor der Tür schiebt sich der Verkehr langsam die Müllerstraße entlang, dahinter beginnt das Afrikanische Viertel. Drinnen warten Johann Ganz und Karina Filusch, die beiden Sprecher der Initiative Pro Afrikanisches Viertel.
      Die Personen sind belastet, aber die Namen sollen bleiben

      Ganz, Anfang 70, hat die Bürgerinitiative 2010 ins Leben gerufen. Sie wünschen sich eine Versachlichung. Er nennt die betreffenden Straßennamen im Viertel „ohne Weiteres belastet“, es sei ihm schwergefallen, sie auf Veranstaltungen zu verteidigen. Warum hat er es dennoch getan?

      Seine Haltung damals: Die Personen sind belastet, aber die Straßennamen sollten trotzdem bleiben.

      „Da bin ich für die Bürger eingesprungen“, sagt Ganz, „weil die das absolut nicht gewollt haben.“ Und Filusch ergänzt: „Weil sie nicht beteiligt wurden.“

      Allein, das mit der fehlenden Bürgerbeteiligung stimmt so nicht. Denn es gab sie – obwohl sie im Gesetz eigentlich gar nicht vorgesehen ist. Für die Benennung von Straßen sind die Bezirksverwaltungen zuständig. Im Falle des Afrikanischen Viertels ist es das Bezirksamt Mitte. Dort entschied man, den Weg über die Bezirksverordnetenversammlung zu gehen.
      Anwohner reichten 190 Vorschläge ein

      In einem ersten Schritt bat man zunächst die Anwohner, Vorschläge für neue Namen einzureichen, kurze Zeit später dann alle Bürger Berlins. Insgesamt gingen etwa 190 Vorschläge ein, über die dann eine elfköpfige Jury beriet. In der saß neben anderen zivilgesellschaftlichen Akteuren auch Tahir Della, als Vertreter der Schwarzen Community. Nach Abstimmung, Prüfung, weiteren Gutachten und Anpassungen standen am Ende die neuen Namen fest, die Personen ehren sollen, die im Widerstand gegen die deutsche Kolonialmacht aktiv waren.

      Die #Lüderitzstraße soll in Zukunft #Cornelius-Fredericks-Straße heißen, der Nachtigalplatz in Manga-Bell-Platz umbenannt werden. Die Petersallee wird in zwei Teilstücke aufgeteilt, die #Anna-Mungunda-Allee und die #Maji-Maji-Allee. So der Beschluss des Bezirksamts und der Bezirksverordnetenversammlung im April 2018. Neue Straßenschilder hängen aber bis heute nicht.

      Was vor allem am Widerstand der Menschen im Viertel liegt. Mehrere Anwohner haben gegen die Umbenennung geklagt, bis es zu einer juristischen Entscheidung kommt, können noch Monate, vielleicht sogar Jahre vergehen.

      Eine Generation will endlich gehört werden

      Auf der einen Seite ziehen sich die Prozesse in die Länge, auf der anderen steigt die Ungeduld. Wenn Tahir Della heute an die jüngsten Proteste im Kontext von „Black Lives Matter“ denkt, sieht er vor allem auch eine jüngere Generation, die endlich gehört werden will. „Ich glaube nicht, dass es gleich nachhaltige politische Prozesse in Gang setzt, wenn die Statue eines Versklavungshändlers im Kanal landet“, sagt Della, „aber es symbolisiert, dass die Leute es leid sind, immer wieder sich und die offensichtlich ungerechten Zustände erklären zu müssen.“

      In Zusammenarbeit mit dem Berliner Peng-Kollektiv, einem Zusammenschluss von Aktivisten aus verschiedenen Bereichen, hat die Initiative kürzlich eine Webseite ins Leben gerufen: www.tearthisdown.com/de. Dort findet sich unter dem Titel „Tear Down This Shit“ eine Deutschlandkarte, auf der alle Orte markiert sind, an denen beispielsweise Straßen oder Plätze noch immer nach Kolonialverbrechern oder Kolonialverbrechen benannt sind. Wie viel Kolonialismus steckt im öffentlichen Raum? Hier wird er sichtbar.

      Bemühungen für eine Umbenennung gibt es seit den Achtzigerjahren

      Es gibt viele Organisationen, die seit Jahren auf eine Aufarbeitung und Auseinandersetzung mit dem Unrecht des Kolonialismus drängen. Zwei davon sitzen im Wedding, im sogenannten Afrikanischen Viertel: EOTO, ein Bildungs- und Empowerment-Projekt, das sich für die Interessen Schwarzer, afrikanischer und afrodiasporischer Menschen in Deutschland einsetzt, und Berlin Postkolonial.

      Einer der Mitbegründer dieses Vereins ist der Historiker Christian Kopp. Zusammen mit seinen Kollegen organisiert er Führungen durch die Nachbarschaft, um über die Geschichte des Viertels aufzuklären. Denn Bemühungen, die drei Straßen umzubenennen, gibt es schon seit den achtziger Jahren.

      Kopp erzählt auch von der erfolgreichen Umbenennung des Gröbenufers in Kreuzberg im Jahr 2010, das seitdem den Namen May-Ayim-Ufer trägt. „Vor zehn Jahren wollte niemand über Kolonialismus reden“, sagt Kopp. Außer man forderte Straßenumbenennungen. „Die Möglichkeit, überhaupt erst eine Debatte über Kolonialismus entstehen zu lassen, die hat sich wohl vor allem durch unsere Umbenennungsforderungen ergeben.“

      Rassismus und Raubkunst

      2018 haben sich CDU und SPD als erste deutsche Bundesregierung überhaupt die „Aufarbeitung des Kolonialismus“ in den Koalitionsvertrag geschrieben. Auch die rot-rot-grüne Landesregierung Berlins hat sich vorgenommen, die Rolle der Hauptstadt in der Kolonialzeit aufzuarbeiten.

      Es wird öffentlich gestritten über das koloniale Erbe des Humboldt-Forums und dem Umgang damit, über die Rückgabe von kolonialer Raubkunst und die Rückführung von Schädeln und Gebeinen, die zu Zwecken rassistischer Forschung einst nach Deutschland geschafft wurden und die bis heute in großer Zahl in Sammlungen und Kellern lagern.

      Auch die Initiative Pro Afrikanisches Viertel hat ihre Positionen im Laufe der vergangenen Jahre immer wieder verändert und angepasst. War man zu Beginn noch strikt gegen eine Umbenennung der Straßen, machte man sich später für eine Umwidmung stark, so wie es 1986 schon mit der Petersallee geschehen ist. Deren Name soll sich nicht mehr auf den Kolonialherren Carl Peters beziehen, sondern auf Hans Peters, Widerstandskämpfer gegen den Nationalsozialismus und Mitglied des Kreisauer Kreises.

      Straßen sollen vorzugsweise nach Frauen benannt werden

      Heute ist man bei der Initiative nicht mehr für die alten Namen. Für die neuen aber auch nicht wirklich. Denn diese würden nicht deutlich genug im Kontext deutscher Kolonialgeschichte stehen, sagt Karina Filusch, Sprecherin der Initiative. Außerdem würden sie sich nicht an die Vorgabe halten, neue Straßen vorzugsweise nach Frauen zu benennen.

      An Cornelius Fredericks störe sie der von den „Kolonialmächten aufoktroyierte Name“. Und Anna Mungunda habe als Kämpferin gegen die Apartheid zu wenig Verbindung zum deutschen Kolonialismus. Allgemein wünsche sie sich einen Perspektivwechsel, so Filusch.

      Ein Perspektivwechsel weg von den weißen Kolonialverbrechern hin zu Schwarzen Widerstandskämpfern, das ist das, was Historiker Kopp bei der Auswahl der neuen Namen beschreibt. Anna Mungunda, eine Herero-Frau, wurde in Rücksprache mit Aktivisten aus der Herero-Community ausgewählt. Fredericks war ein Widerstandskämpfer gegen die deutsche Kolonialmacht im heutigen Namibia.
      Bezirksamt gegen Bürger? Schwarz gegen Weiß?

      Für die einen ist der Streit im Afrikanischen Viertel eine lokalpolitische Auseinandersetzung zwischen einem Bezirksamt und seinen Bürgern, die sich übergangen fühlen. Für die anderen ist er ein Symbol für die nur schleppend vorankommende Auseinandersetzung mit der deutschen Kolonialgeschichte.

      Wie schnell die Dinge in Bewegung geraten können, wenn öffentlicher Druck herrscht, zeigte kürzlich der Vorstoß der Berliner Verkehrsbetriebe. Angesichts der jüngsten Proteste verkündete die BVG, die U-Bahn-Haltestelle Mohrenstraße in Glinkastraße umzutaufen.

      Ein Antisemit, ausgerechnet?

      Der Vorschlag von Della, Kopp und ihren Mitstreitern war Anton-W.-Amo- Straße gewesen, nach dem Schwarzen deutschen Philosophen Anton Wilhelm Amo. Dass die Wahl der BVG zunächst ausgerechnet auf den antisemitischen russischen Komponisten Michail Iwanowitsch Glinka fiel, was viel Kritik auslöste, offenbart für Della ein grundsätzliches Problem: Entscheidungen werden gefällt, ohne mit den Menschen zu reden, die sich seit Jahrzehnten mit dem Thema beschäftigen.

      Am Dienstag dieser Woche ist der Berliner Senat einen wichtigen Schritt gegangen: Mit einer Änderung der Ausführungsvorschriften zum Berliner Straßengesetz hat er die Umbenennung umstrittener Straßennamen erleichtert. In der offiziellen Mitteilung heißt es: „Zukünftig wird ausdrücklich auf die Möglichkeit verwiesen, Straße umzubenennen, wenn deren Namen koloniales Unrecht heroisieren oder verharmlosen und damit Menschen herabwürdigen.“

      https://www.tagesspiegel.de/gesellschaft/petersallee-nachtigalplatz-wenn-strassennamen-zum-problem-werden-419073

  • #Malik_Oussekine

    Demain sera l’anniversaire de l’assassinat de #MalikOussekine par le pelotons voltigeurs de la police nationale dans la nuit du 5 au 6 décembre 1986.
    Nous manifesterons du métro Odéon métro Luxembourg en renommant la rue monsieur le Prince (où il a été tué) « rue #Malik_Oussekine »


    https://twitter.com/SautereyF/status/1599337417827549187
    #toponymie #toponymie_politique #noms_de_rue

  • A Genève, une sépulture théâtrale pour les victimes du colonialisme allemand

    Dans « #Vielleicht », l’acteur #Cédric_Djedje met en lumière le combat d’activistes berlinois pour que les rues du « #quartier_africain » de la capitale allemande changent de nom. Au Grütli, ce spectacle touche souvent juste, malgré des raccourcis discutables.

    Antigone est leur sœur. Comme l’héroïne de Sophocle, les comédiens afro-descendants Cédric Djedje et #Safi_Martin_Yé aspirent à rendre leur dignité aux morts, à ces dizaines de milliers de #Hereros et de #Namas exterminés en #Namibie par les Allemands entre 1904 et 1908. Un #génocide, reconnaissaient les autorités de Berlin au mois de mai 2021.

    Au Grütli à Genève, avant le Théâtre de Vidy et le Centre de culture ABC à La Chaux-de-Fonds, Cédric Djedje – à l’origine du spectacle – et Safi Martin Yé offrent une sépulture symbolique à ces oubliés de l’Histoire. L’artiste a découvert cette tragédie lors d’un séjour prolongé à Berlin. Il en est revenu avec Vielleicht, plongée personnelle dans l’enfer du #colonialisme. Ce spectacle est militant, c’est sa force et sa limite. Il met en lumière l’inqualifiable, dans l’espoir d’une #réparation. Il ne s’embarrasse pas toujours de subtilité formelle ni intellectuelle dans son épilogue.

    Qu’est-ce que Vielleicht ? Un rituel d’abord, une enquête ensuite, avec le concours de l’historienne #Noémi_Michel. Les deux à la fois en vérité. Un geste poétique et politique. Cédric Djedje et Safi Martin Yé ne vous attendent pas dans l’agora qui sert de lice à leur dialogue. Ils s’affairent déjà autour d’un monticule de terre. Ils y enfouissent des bocaux vides, habitacles des âmes errantes, qui sait ? Vous vous asseyez en arc de cercle, tout près d’eux. En face, une feuille d’arbre géante servira d’écran. Dans le ciel, des cerfs-volants badinent. Dans l’air, une musique répand sa prière lancinante.

    Le poids des noms

    C’est beau et triste à la fois. Ecoutez Cédric Djedje. Il raconte ces semaines à arpenter le quartier berlinois de Wedding, l’« #Afrikanisches_Viertel », son étonnement quand il constate que très peu d’Africains y habitent, sa surprise devant les noms des rues, « #Togostrasse », « #Senegalstrasse « . Que proclame cette nomenclature ? Les appétits de conquête de l’empire allemand à la fin du XIXe siècle. Que masque-t-elle surtout ? Les exactions d’entrepreneurs occidentaux, avidité prédatrice incarnée par l’explorateur et marchand #Adolf_Lüderitz qui fait main basse en 1883 sur #Angra_Pequena, baie de la côte namibienne.

    Cédric Djedje rencontre des activistes allemands d’origine africaine qui se battent pour que les rues changent de nom. Il les a interviewés et filmés. Ce sont ces personnalités qui s’expriment à l’écran. Quarante ans qu’elles œuvrent pour que #Cornelius_Fredericks notamment, chef nama qui a osé défier les troupes impériales entre 1904 et 1907, soit honoré. Vielleicht est la généalogie d’un crime et un appel à une réparation. C’est aussi pour l’artiste un retour sur soi, lui qui est d’origine ivoirienne. Dans une séquence filmée, il demande à sa mère pourquoi elle ne lui a pas parlé le #bété, la #langue de ses ancêtres.

    Si le propos est souvent captivant, les deux insertions théâtrales, heureusement brèves, n’apportent rien, tant elles sont maladroites et outrées – trois minutes pour résumer la fameuse conférence de Berlin qui, entre la fin de 1884 et le début de 1885, a vu les puissances européennes se partager l’Afrique. Le théâtre militant va droit au but, quitte à parfois bâcler la matière ou à asséner des parallèles qui méritent d’être interrogés.

    Le naturaliste genevois Carl Vogt, dont les thèses reposent sur une vision raciste de l’homme hélas courante à l’époque, est-il ainsi comparable aux colonialistes allemands de la fin du XIXe ? Invitée surprise, une activiste genevoise l’affirme à la fin de la pièce, exigeant avec d’autres que le boulevard Carl-Vogt soit débaptisé – le bâtiment universitaire qui portait son nom le sera bientôt, annonçait le rectorat fin septembre. On peut le comprendre, mais le cas Vogt, qui est toujours au cœur d’un débat vif, mériterait en soi une pièce documentée. Toutes les situations, toutes les histoires ne se ressemblent pas. L’amalgame est la tentation de la militance. Exit la nuance. C’est la limite du genre.

    https://www.letemps.ch/culture/geneve-une-sepulture-theatrale-victimes-colonialisme-allemand
    #toponymie #toponymie_politique #colonialisme #Allemagne #colonialisme_allemand #Allemagne_coloniale #art_et_politique #théâtre #Berlin #noms_de_rues

    ping @_kg_ @cede

    • Vielleicht

      Nous arpentons quotidiennement les rues de notre ville, nous y croisons des noms d’hommes (le plus souvent…) qui nous sont totalement inconnus. Qui étaient-ils au fond ? Qu’ont-ils fait de leur vivant pour mériter que leur mémoire soit honorée par un boulevard, une avenue, une place ?
      Cédric Djedje s’est penché sur ces questions en vivant plusieurs mois à Berlin dans le quartier de Wedding, quartier dit « africain » ou Afrikaniches Viertel qui doit son surnom avec vingt-cinq noms de rue se rapportant au passé colonial allemand, lui rendant par là hommage à l’endroit même où vivent, en somme, les descendants des peuples colonisés.
      En s’intéressant aux fantômes de la colonisation dans l’espace urbain contemporain, le comédien s’est interrogé sur comment on s’attache à un espace, comment l’histoire coloniale résonne avec cet attachement et comment dialoguent Histoire et vécu intime et quotidien.
      En imaginant une performance où se mêleront dimensions documentaire et fictionnelle, à la convergence de plusieurs disciplines et en faisant coexister et se frictionner les temporalités, la compagnie Absent.e pour le moment ambitionne de créer un spectacle qui questionne les concepts d’Histoire et de restitution : que veut dire « restituer » ? Est-ce possible ? Et comment ?
      Entre histoire dite « grande » et sentiments personnels vécus par le créateur — lui-même afro-descendant — lors de son enquête, Vielleicht fera peut-être écho chez les spectatrices à l’heure de traverser la place ou le carrefour si souvent empruntés au sortir de chez soi.

      https://grutli.ch/spectacle/vielleicht

  • NEL GIORNO IN CUI IL MONDO CHIEDE LA FINE DELLA GUERRA IN UCRAINA, MIMMO LUCANO DIVENTA CITTADINO ONORARIO DI MARSIGLIA

    Caro Mimmo,
    che questo giorno e questa onorificenza ti portino un po’ di serenità e che il tuo Paese sappia riconoscere finalmente i tuoi meriti, la tua umanità e i suoi errori.
    Nemo propheta in patria!
    Con affetto e gratitudine da noi tutti che ti conosciamo e ti sentiamo come un fratello.

    #Marseille #toponymie_politique #migrations #asile #accueil #réfugiés #Riace #honneur #Mimmo_Lucano #Domenico_Lucano #Citoyen_d'honneur #citoyenneté_d'honneur #noms_de_rue

    #place_Riace #toponymie_politique #toponymie_migrante :

    « Place Riace. Village italien symbole mondial d’une utopie réaliste : l’hospitalité »

    #utopie_réaliste #hospitalité

    • Marseille honore Mimmo Lucano, l’ancien maire accueillant d’un village de Calabre poursuivi par l’extrême droite italienne

      L’ancien maire de Riace avait décidé de repeupler son village calabrais grâce aux migrants. Cela lui a valu les foudres de l’extrême droite italienne. Poursuivi en justice, il risque entre dix et treize ans de prison.

      Domenico Lucano dit Mimmo Lucano est l’ancien maire de Riace en Calabre. Cet ancien militant des droits de l’homme, s’est fait connaitre par ses prises de positions favorables à l’accueil des migrants.

      Mimmo Lucano avait redonné vie à son village grâce aux « extracomunitari »

      Ce sympathisant communiste avait notamment favorisé leur implantation à Riace afin de redonner vie au village. En 2018, il avait en effet accueilli 600 extracomunitari comme on dit en Italie, qui étaient venus revivifier cette bourgade de 2000 habitants. Le village avait été frappé depuis plus d’un siècle par l’exode de sa population vers les villes industrielles du nord de la péninsule. Avec l’arrivée de ces nouveaux habitants, Riace avait connu un certain renouveau avec la restauration de maisons, la réouverture de commerces et même de l’école du village, mais en 2018, Mimmo Lucano s’était vu couper les aides économiques du Centre d’accueil extraordinaire (CAS) au moment de l’arrivée au pouvoir de Matteo Salvini.

      Son engagement lui a causé de nombreux problèmes

      Pour protester contre ces coupes financières, Mimmo Lucano avait entamé une grève de la faim. Le 1er octobre 2018, il avait même été accusé d’aide à l’immigration clandestine et arrêté. Il a également été poursuivi sous prétexte d’irrégularités dans l’attribution de financements pour le ramassage des ordures à Riace et l’organisation de mariages blancs entre les habitants du village et des migrants. Cela lui a valu une interdiction de séjour dans son propre village de 11 mois. En septembre 2021, il a même été condamné à 13 ans de prison pour avoir organisé des mariages blancs pour des femmes déboutées du droit d’asile et pour avoir attribué des marchés sans appel d’offres à des coopératives liées aux migrants.

      « J’assume d’être sorti de la légalité, mais la légalité et la justice sont deux choses différentes. La légalité est l’instrument du pouvoir et le pouvoir peut-être injuste », déclarait alors Domenico Lucano.

      Le 26 octobre s’est ouvert son procès en appel. Il risque entre dix et treize ans de prison.

      Marseille honore l’ancien maire de Riace

      Hier, la ville de Marseille a honoré l’ancien maire de Riace. L’italien a été fait citoyen d’honneur de la ville et le maire socialiste de Marseille, Benoit Payan lui a remis une médaille.

      L’eurodéputé EELV, Damien Careme qui a assisté à l’évènement a exprimé sur Twitter sa « solidarité avec celui qui est menacé en justice par l’extrême droite italienne qui lui fait un procès politique ».

      Un rassemblement a également été organisé en son honneur, au Musée de l’histoire de la ville de Marseille. Le coordinateur des actions du PEROU, Sébastien Thierry, en a profité pour déclamer un discours.

      Selon lui, « L’hospitalité vive est le seul projet politique viable pour ce 21e siècle ». « Nous savons combien les bouleversements climatiques s’annoncent extraordinaires ». Nous savons combien les mouvements migratoires seront colossaux durant ce siècle, et ce particulièrement dans le bassin méditerranéen ».

      S’adressant à Mimmo Lucano, M. Thierry ajouta : « Nous savons donc que tout ce qui s’oppose à cela, que tout ce qui s’oppose à ce que tu as bâti, que tout ce qui s’oppose aux navires sauvant des vies en Méditerranée, que tout ce qui s’oppose à une Europe massivement accueillante, s’oppose en vérité au seul avenir respirable qui soit ». « Ce ne sont pas des politiques qui te font face, ce sont des cadavres. »

      https://veridik.fr/2022/11/06/marseille-honore-mimmo-lucano-lancien-maire-accueillant-dun-village-de-calab

  • #Marseille, le nom des rues en débat : quelle place accorder dans l’#espace_public au #passé_colonial et à ses suites ?

    Les personnages honorés dans l’espace public sont des repères pour les citoyens. A Marseille, des rues et des écoles portent les noms des colonisateurs Bugeaud ou Cavaignac. L’association Ancrages, qui travaille sur l’histoire de la ville et sa diversité, a élaboré une liste de 315 noms dont les parcours pourraient être rappelés dans l’espace public. L’écrivain Claude Mckay, originaire de la Jamaïque, et la militante de l’indépendance algérienne puis de l’antiracisme à Marseille, Baya Jurquet-Bouhoune, en font partie. Cette association a fait des proposition de cartels pour accompagner les statues à la gloire de la colonisation qui se trouvent à la Gare Saint-Charles. Le Collectif pour une mémoire apaisée appelle à débaptiser les lieux portant les noms de Bugeaud et de Cavaignac pour leur donner les noms de Gisèle Halimi et de Maurice Audin. Par ailleurs, après un quart de siècle de refus de l’ancienne municipalité, une avenue au nom d’Ibrahim Ali, tué en 1995, à 17 ans, par des colleurs d’affiches du FN, a été enfin officiellement inaugurée.

    Depuis plus de vingt ans, l’association Ancrages participe à éclairer le portrait d’habitants et de militants issus de la diversité à Marseille. Samia Chabani, directrice d’Ancrages, a participé au conseil scientifique composé d’historiens et de sociologues, présidé par l’historien Pascal Blanchard, qui a rendu le 12 février 2021 une liste de 315 noms issus de la diversité dont les parcours actuellement invisibilisés pourraient être inscrits par les élus dans l’espace public. Dans l’attente que ce recueil soit rendu public, Ancrages a mis en lumière deux figures emblématiques qui croisent l’histoire de Marseille ainsi que la manière dont certains acteurs associatifs se font aujourd’hui passeurs de mémoire : le collectif Claude McKay d’Armando Coxe pour Claude Mckay, le Maitron et le MRAP Marseille pour Baya Jurquet-Bouhoune. Une belle occasion de rebaptiser les rues de Marseille, dans le respect des demandes citoyennes des marseillais et en lien avec les propositions des acteurs associatifs locaux : Etats généraux de la culture, Comité Mam’Ega, Made in Bassens, Le Groupe Marat, Promemo.

    Claude McKay
    (Paroisse de Clarendon 1889 – Chicago 1948)

    « Né dans un petit village de montagne (Sunny Ville) de la province de Clarendon, en Jamaïque, Claude Mac Kay est le onzième et dernier enfant d’une famille de pauvres cultivateurs. Élevé dans une région profondément marquée par une tradition de résistance des Nègres marrons de l’époque esclavagiste, il s’enracine avec fierté dans une nature exaltante. Conseillé par un ami anglais, Walter Jekyll, à l’écoute de la tradition orale de l’île, il écrit très jeune des poèmes en créole jamaïcain. Il travaille dix mois à Kingston, la capitale, où il se heurte au colonialisme et au racisme. Fuyant la ville, il retourne dans ses montagnes de Clarendon et, en 1912, publie successivement Songs of Jamaica et Constab Ballads, ses deux premiers recueils de poésies. L’attribution d’une bourse lui permet la même année de se rendre aux États-Unis pour étudier l’agronomie à Tuskegee Institute (Alabama) puis au Kansas State College. Deux ans plus tard il abandonne ses études et se lance dans une existence vagabonde orientée vers la création poétique et une prise de conscience des problèmes politiques.

    Entre 1919 et 1934 il voyage en Europe, se rend aux Pays-Bas et en Belgique, séjourne à Londres pendant plus d’un an et publie des poèmes. Tandis qu’un troisième recueil de poésies, Spring in New Hampshire, est édité à Londres en 1920, c’est à New York que paraît Harlem Shadows. Claude Mac Kay assiste à Moscou au IVe congrès du Parti communiste de l’Union soviétique en 1922, il visite Petrograd et Kronstadt où ses poèmes sont lus avec succès. Il se rend en Allemagne et en France, où il résidera à Paris et dans le Midi pendant plusieurs années. Il termine son périple en Espagne et au Maroc, de 1929 à 1934.

    C’est en France qu’il écrit ses deux premiers romans, Home to Harlem (1928) et surtout Banjo (1929), qui influencera de manière décisive la génération des jeunes Nègres tels que Léopold Sédar Senghor, Aimé Césaire, Léon Gontran Damas, Joseph Zobel et Sembene Ousmane. De retour à Harlem (New York), il publie son autobiographie, en 1937, A Long Way from Home ainsi qu’un recueil d’essais politiques et spirituels, Harlem Negro Metropolis (1940). Un recueil de nouvelles, Gingertown (1932) et son troisième roman, Banana Bottom (1933), renouent avec son passé et son amour des traditions paysannes et de la terre jamaïcaines. Une anthologie de ses poèmes préparée en partie par lui-même jusqu’à sa mort, survenue en 1948, est parue en 1953 : Selected Poems. »

    Cette notice a été rédigée par Oruno D. Lara, professeur d’histoire, directeur du Centre de recherches Caraïbes-Amériques pour le site Universalis.

    –—

    Baya Jurquet-Bouhoune
    (Alger 1920 – Marseille 2007)

    « À sa naissance, Baya Bouhoune reçoit la pleine citoyenneté française par filiation et sera donc électrice au premier collège après 1947 ; son père, Boudjema Bouhoune, originaire de la région de Sidi-Aïch en Kabylie, avait « bénéficié » de cette citoyenneté qui le met en dehors du statut de français musulman, comme blessé de guerre sur le front en France lors de la guerre de 1914-1918. Ce qui n’empêche pas l’ordre coutumier de régner dans la famille ; Baya est retirée de l’école française à onze ans et mariée à quatorze ans à un cousin devenant Baya Allaouchiche. Comme militante communiste, Baya sera connue en Algérie sous ce nom de femme mariée, devenue responsable de l’Union des femmes. C’est dans l’action militante que Baya Bouhoune s’est faite elle-même, parlant couramment et prenant la parole en français, en arabe ou en kabyle.

    Pour le PCA clandestin, elle sert en 1941-1942 d’agent de liaison avec les députés et responsables du PCF emprisonnés à Maison-Carrée (El Harrach) ; elle s’affirme ensuite dans les actions de soutien aux alliés dans la mobilisation finale antifasciste contre l’Italie et l’Allemagne, qui concourt à la libération de la France. Le patriotisme de la Résistance française est repris à son compte en Algérie par le Parti communiste algérien (PCA) qui élargit le mouvement de jeunes par les Jeunesses démocratiques, et s’emploie à constituer un mouvement de femmes « sans distinction d’origine » par l’Union des femmes en Algérie qui fait partie de la Fédération démocratique des femmes, d’obédience communiste internationale. Baya Allaouchiche appartient à la cellule communiste de La Redoute (El Mouradia), quartier du dessus d’Alger, qui est aussi celle de celui qui prend le nom d’Henri Alleg* qui se consacre au mouvement des Jeunesses et de sa femme Gilberte Salem*.

    Promue par le PCA parmi les responsables de l’Union des femmes, Baya Allaouchiche est déléguée en 1948 au Congrès de la Fédération internationale démocratique des femmes à Budapest ; elle devient en 1949, secrétaire générale de l’Union des femmes d’Algérie et entre au Comité central du PCA au Ve congrès tenu à Oran du 26 au 29 mai 1949. En décembre 1949, elle part en Chine en délégation et séjournera quelques mois, rencontrant Mao Ze Dong, Chou En Laï et le maréchal Chuh Teh ; elle assiste en effet au Congrès des femmes d’Asie à Pékin en tant qu’observatrice aux côtés de Jeannette Vermesch-Thorez et de Marie-Paule Vaillant-Couturier qui représentent l’Union des femmes françaises. En décembre 1952, elle est la porte-parole de la délégation algérienne au congrès international du Mouvement de la paix qui se tient à Vienne (Autriche).

    En septembre 1954, elle va au nom de l’Union des femmes, conduire la campagne de secours aux sinistrés du tremblement de terre d’Orléansville (Chlef). Nous sommes à la veille de l’insurrection du 1er novembre ; par de là les positions contraires ou précautionneuses du PCA, elle est sensible à l’entrée dans la lutte de libération nationale. Au nom de l’Union des femmes, mais par une initiative indépendante du PCA, elle organise des manifestations de protestation et de solidarité avec les détenus, devant la prison Barberousse (Serkadji) d’Alger en 1955 et au début de 1956.

    Pour la maintenir tête d’affiche de l’Union des femmes, le PCA la désigne toujours comme Baya Allaouchiche ; celle-ci demeure à la maison de son mari légal qui est son cousin bien que celui-ci ait pris une seconde épouse. Ce que tait le PCA ; plus encore, il impose le secret sur la liaison, depuis leur rencontre dans l’action des Jeunesses démocratiques dans les quartiers du haut d’Alger, entre Baya et le jeune militant Henri Maillot* qui va détourner le 4 avril 1956, un camion d’armes pour les mettre à la disposition des Combattants de la Libération, groupe armé que tente de constituer le PCA. Baya et Henri Maillot* sont partisans de l’engagement dans la lutte d’indépendance. Ce secret ne sera levé qu’après la mort de Baya en 2007, selon la promesse respectée par Jacques Jurquet* après leurs cinquante années de vie commune à Marseille.

    Contactée par le FLN dès 1955, Baya Allaouchiche devient plus que suspecte. Après deux perquisitions, elle est arrêtée dans la nuit du 31 mai au 1er juin 1956 ; elle fait partie de la première vague importante d’arrestations conduites au titre des « pouvoirs spéciaux » appliqués en Algérie après le vote d’approbation des députés du PCF. Deux femmes sont prises dans cette rafle nocturne : Lisette Vincent* et Baya Allaouchiche ; leur qualité de citoyennes françaises leur vaut d’échapper à l’internement et d’être expulsées.

    Remise en liberté à Marseille, Baya Allaouchiche peut faire venir ses deux enfants. Elle reprend contact avec le FLN et participe aux actions de lutte contre la guerre et pour l’indépendance de l’Algérie, ce qui lui vaut des rapports difficiles avec les dirigeants et militants communistes les plus suivistes du PCF qui s’en tiennent à parler de paix en Algérie et à privilégier le patronage du Mouvement de la paix. Elle est d’autant plus suspectée qu’elle vit à partir de 1959 avec Jacques Jurquet* (elle deviendra légalement Baya Jurquet en 1978), militant communiste réputé maoïste puisqu’il soutient les luttes de libération à commencer par la lutte algérienne.

    Après l’indépendance de l’Algérie, Baya Bouhoune milite au MRAP dans les Bouches-du-Rhône ; dans les années 1970, elle préside ce mouvement antiraciste dans le département et fait partie du Bureau national. C’est à ce titre de l’action contre le racisme, sous la pression amicale de ceux qui connaissent son itinéraire militant en Algérie et en France, qu’elle est faite chevalier de l’Ordre du mérite ; cette décoration lui est remise par Me Gisèle Halimi*, avocate de la cause des femmes algériennes dans la guerre de libération.

    En 1979 sous le nom d’auteur de Bediya Bachir, les Éditions du Centenaire contrôlées par le Parti communiste marxiste-léniniste de France (PCMLF « pro-chinois »), ont publié son roman composé en 1957-1958 à Marseille, L’Oued en crue, que les éditions dépendantes du PCF avaient écarté de publication à l’époque de la guerre ; Laurent Casanova*, secrétaire de Maurice Thorez et originaire d’Algérie, à qui l’ouvrage avait été adressé, avait répondu que ce n’était pas possible car le PCF soutenait alors la publication du livre de l’écrivain attitré du parti, André Stil, évoquant l’Algérie en guerre et intitulé Le dernier quart d’heure pour parodier la formule du socialiste français, le Ministre-résidant en Algérie, Robert Lacoste. Le roman a été réédité en 1994 par les Éditions Sakina Ballouz à Genève sous le vrai nom d’auteur : Baya Jurquet-Bouhoune. Celle-ci, après une opération difficile de fracture du fémur, est morte dans son sommeil le 7 juillet 2007. »

    Cette notice « Bouhoune Baya plus connue en Algérie sous le nom Allaouchiche Baya », [Dictionnaire Algérie], a été rédigée par René Gallissot, version mise en ligne le 30 décembre 2013, dernière modification le 26 novembre 2020. Le Maitron est le nom d’usage d’un ensemble de dictionnaires biographiques du mouvement ouvrier dirigé par l’historien Claude Pennetier.

    https://histoirecoloniale.net/Marseille-le-nom-des-rues-en-debat-quelle-place-accorder-dans-l-e

    #noms_de_rues #toponymie #toponymie_politique #colonial #colonialisme #décolonial #mémoire #histoire

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  • Le guide du #Marseille colonial

    Ce livre explore Marseille, ses rues, ses places et ses monuments et recense les traces et les empreintes de l’histoire coloniale et esclavagiste de la ville. Au cours de ce périple, le guide nous fait croiser les militaires, les hommes politiques, les armateurs, les scientifiques et les artistes qui ont participé au système de domination coloniale. Il nous emmène également à la rencontre des personnes ayant résisté et œuvré contre le colonialisme.
    Nous visiterons en sa compagnie les expositions coloniales, les institutions de la santé coloniale et, de manière plus contemporaine, ce guide nous rappellera les crimes racistes, qui prolongent la politique de domination et d’oppression.

    Les Marseillais·es, qui ne veulent plus marcher, habiter, étudier dans des rues et des lieux portant le nom des acteurs de la déshumanisation, n’ont plus qu’à suivre le guide…

    https://www.syllepse.net/guide-du-marseille-colonial-_r_21_i_909.html

    #décolonial #France #livre #guide #toponymie #toponymie_politique #noms_de_rue #mémoire #histoire
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    • Guide du #Bordeaux colonial et de la métropole bordelaise

      Bordeaux s’est développé en jouant un rôle essentiel dans la constitution de l’Empire français.
      Ce livre s’intéresse à l’histoire de la ville à travers les noms de rues, voies et autres lieux choisis pour honorer ceux qui ont contribué à la construction de la France coloniale.
      Ce n’est pas, le plus souvent, en tant que négriers, ­esclavagistes, sabreurs, administrateurs coloniaux, théoriciens du racisme que beaucoup de personnalités ont été honorées. Elles l’ont été pour d’autres raisons mais elles ont été clairement engagées dans le système colonial.
      Bien des bienfaiteurs de la ville ont fait ruisseler un peu de leur fortune accumulée par la production et le négoce des produits coloniaux issus de l’esclavage et du travail forcé. Bien des militaires et des hommes politiques honorés ont contribué à leur ouvrir et à protéger leurs marchés. Bien des universitaires ont apporté la caution scientifique justifiant la domination.
      Ce guide n’ignore pas les quelques anticolonialistes à qui une place a tout de même été faite dans la ville. Il visite quelques lieux de mémoire et propose quelques coups de projecteur sur des aspects peu enseignés de l’histoire coloniale.
      Que ce guide permette de voir la magnificence de la ville sous un autre jour. Qu’il invite à d’autres promenades. Qu’il contribue à décoloniser les imaginaires.

      C’est un produit de haute nécessité dans la lutte contre toutes les formes de racisme.

      https://www.syllepse.net/guide-du-bordeaux-colonial-_r_25_i_822.html

    • Guide du #Soissons colonial

      L’ouvrage se présente comme un dictionnaire des rues de Soissons, qui aborde la biographie des­ ­personnages ­choisis par les élus municipaux sous l’angle de leur rapport avec le colonialisme : des massacreurs, des théoriciens du colonialisme, des politiques mêlés à la colonisation. Et, à côté, quelques antiracistes et quelques anticolonialistes.
      À Soissons, l’étude des noms de rues révèle des strates d’histoire, autant de couches et de sédiments mémoriels semblables aux couches sédimentaires superposées, qui ­constituent­ les plateaux et les replats du Soissonnais. Chaque génération ajoute les noms de ses « héros » du moment et cela ­aboutit à une stratification réactionnaire, raciste, sexiste, mêlant des noms dus à l’histoire locale à ces « gloires » discutables du récit républicain, au temps de l’empire colonial.
      Mais la ville a changé ! Les horreurs du colonialisme ne recueillent plus l’assentiment presque général, comme au temps où les Soissonnais·es prenaient le train pour aller visiter les « zoos humains » de ­l’Exposition coloniale.
      Notre ville appartient à tout le monde et pas à une clique de nostalgiques de généraux et de maréchaux colonialistes.

      Oui, le général Mangin, le « libérateur de Soissons » en 1918, était un massacreur, théoricien de l’utilisation des troupes coloniales, la « force noire », pour mener une guerre où les colonisé·es, sans droits, n’avaient rien à gagner.

      https://www.syllepse.net/guide-du-soissons-colonial-_r_25_i_847.html

    • Guide du #Paris colonial et des #banlieues

      Rues, boulevards, avenues et places, sans oublier collèges, lycées, statues et monuments parisiens, sont autant de témoins de l’histoire et de la légende du colonialisme français.
      Alors qu’aux États-Unis, poussées par les manifestant-es, les statues des généraux esclavagistes s’apprêtent à quitter les rues pour gagner les musées, ce guide invite à une flânerie bien particulière sur le bitume parisien.
      Sur les quelque 5 000 artères et places parisiennes, elles sont plus de 200 à « parler colonial ». Qui se cachent derrière ces noms, pour la plupart inconnus de nos contemporains ? C’est ce que révèle ce livre, attentif au fait que ces rues ont été baptisées ainsi pour faire la leçon au peuple de Paris et lui inculquer une certaine mémoire historique.
      On n’y retrouve pas uniquement les officiers ayant fait leurs classes « aux colonies ». Il y a aussi des « explorateurs » – souvent officiers de marine en « mission » –, des bâtisseurs, des ministres et des députés. On croise également des littérateurs, des savants, des industriels, des banquiers, des « aventuriers ».
      Laissons-nous guider, par exemple, dans le 12e arrondissement. Le regard se porte inévitablement sur le bâtiment de la Cité de l’histoire de l’immigration, l’ancien Musée des colonies construit en 1931 pour l’Exposition coloniale qui fut l’occasion d’honorer les agents du colonialisme et d’humilier ses victimes.
      Les alentours portent la marque de l’Empire colonial : rues et voies ont reçu le nom de ces « héros coloniaux » qui ont conquis à la pointe de l’épée des territoires immenses.
      Les alentours de l’École militaire sont également un lieu de mémoire très particulier, très « imprégné » de la culture coloniale.
      Dans le 16e, nous avons une avenue Bugeaud : Maréchal de France, gouverneur de l’Algérie, il pratique la terre brûlée et les « enfumades ». Il recommande d’incendier les villages, de détruire les récoltes et les troupeaux, « d’empêcher les Arabes de semer, de récolter, de pâturer ». Il faut, ordonne-t-il, « allez tous les ans leur brûler leurs récoltes », ou les « exterminer jusqu’au dernier ». S’ils se réfugient dans leurs cavernes, « fumez-les à outrance comme des renards ».
      Un peu partout, dispersées dans la capitale, on traverse des rues et des avenues dont les noms qui, tout en ayant l’apparence de la neutralité d’un guide touristique, sont autant de points de la cartographie coloniale : rues de Constantine, de Kabylie, de Tahiti, du Tonkin, du Dahomey, de Pondichéry, de la Guadeloupe… Toutes célèbrent des conquêtes et des rapines coloniales que rappellent la nomenclature des rues de Paris.
      Classés par arrondissement, les notices fournissent des éléments biographiques sur les personnages concernés, particulièrement sur leurs états de service dans les colonies. Des itinéraires de promenade sont proposés qui nous emmènent au travers des plaques bleues de nos rues en Guadeloupe et en Haïti, en Afrique, au Sahara, au Maroc, en Tunisie, en Algérie, en Nouvelle-Calédonie, en Indochine, à Tahiti, etc.

      Un livre qui se veut un outil pour un mouvement de décolonisation des cartographies des villes et qui propose un voyage (presque) immobile dans la mémoire coloniale de Paris.

      https://www.syllepse.net/guide-du-paris-colonial-et-des-banlieues-_r_25_i_719.html

    • « Les statues, le nom des rues, ne sont pas innocents » : un guide pour décoloniser l’espace public

      Que faire des innombrables noms de rue, statues et monuments qui glorifient toujours le colonialisme à travers la France ? À Marseille, un livre-inventaire entre en résonance avec des revendications mémorielles. Reportage.

      C’est une rue discrète, perchée sur une colline résidentielle cossue du sud de Marseille. Elle s’appelle impasse des Colonies. Au milieu de cette succession de maisons verdoyantes avec vue sur mer, une villa aux tuiles ocre porte un nom évocateur, L’oubli.

      L’oubli, c’est justement ce contre quoi s’élèvent les onze auteurs et autrices du Guide du Marseille colonial, paru le 1er septembre dernier aux éditions Syllepse [1]. Pendant deux ans, ces militants associatifs ont passé la ville au peigne fin, arpenté les rues et fouillé les archives. Ils ont cherché les traces du passé colonial de ce port qui fut, entre le XIXe et le XXe siècle, la capitale maritime de l’empire français.

      Le résultat : 232 pages d’inventaire des noms de rues, statues, monuments et autres bâtiments en lien avec la colonisation. « Notre volonté, c’est de mettre en lumière la face ténébreuse de l’histoire, qui est souvent cachée, en tout cas pas sue de tous, décrit Nora Mekmouche, qui a coordonné l’équipe de rédaction. Ce livre est un outil pédagogique et politique. »

      Un monument en hommage à une répression coloniale

      Un jour d’octobre, c’est en haut de la Canebière que deux autres des autrices et auteurs du guide, Zohra Boukenouche et Daniel Garnier, nous donnent rendez-vous pour une « promenade coloniale ». Première étape : le monument des Mobiles. Érigé à l’origine pour rendre hommage à des soldats de la guerre franco-prussienne de 1870-1871, le site sert parfois de lieu de commémoration officielle des deux guerres mondiales.

      À plusieurs reprises ces dernières années, préfet et maire ont déposé des gerbes de fleurs à ses pieds. Sur l’une de ses faces, le monument rend pourtant aussi hommage à un régiment ayant participé à la répression de l’« insurrection arabe de la province de Constantine » en 1871 et 1872. Une révolte matée dans le sang, avec confiscations massives de terres et déportations vers la Nouvelle-Calédonie.

      En descendant la Canebière, on traverse ensuite le square Léon-Blum. L’ancien président du Conseil figure à l’inventaire. L’homme a déclaré fermement repousser, dans une intervention à la Chambre des députés en 1925 (alors qu’il était député SFIO) le « colonialisme de guerre qui s’installe par la guerre et par l’occupation ». Mais dans la même prise de parole, le futur leader du Front populaire disait : « Nous admettons qu’il peut y avoir non seulement un droit, mais un devoir de ce qu’on appelle les races supérieures […] d’attirer à elles les races qui ne sont pas parvenues au même degré de culture et de civilisation. »
      « Ce sont des choix politiques, on doit les interroger »

      Puis on passe devant le lycée Adolphe-Thiers, le « massacreur de la Commune de Paris », qui a aussi soutenu la colonisation de l’Algérie. Devant le commissariat de Noailles, une plaque historique déposée par la mairie vante le souvenir d’un luxueux hôtel construit pour le compte du « négociant Victor Régis ». Nulle part il n’est précisé que cet armateur a construit sa fortune sur les côtes béninoises où « il trafiquait avec des marchands d’esclaves », indique Daniel Garnier.

      « L’idée, c’est de montrer que le nom des rues, des collèges, les statues qui trônent au coin des rues ne sont pas innocents. Ce sont des choix politiques, idéologiques, qui ont été faits par les dominants, donc on doit évidemment les interroger », explique Patrick Silberstein, éditeur chez Syllepse qui, avant le Guide du Marseille colonial, avait déjà publié le même type de guide au sujet de Paris et ses banlieues (2018), Bordeaux et Soissons (2020), en attendant Rouen (janvier 2023).

      « Moi j’habite en Seine-Saint-Denis, à Aubervilliers, qui est une ville d’immigration de tout temps, et aujourd’hui notamment d’Afrique subsaharienne, poursuit-il. À deux pas de chez moi, il y a un collège Colbert. Colbert, c’est un des idéologues de la domination blanche… ». Ministre de Louis XIV, Jean-Baptiste Colbert (1619-1683) a participé à la rédaction du Code noir. Ce texte juridique réglementant le statut des esclaves dans les colonies sucrières faisait d’eux des « biens meubles » pouvant être vendus comme des objets.

      Chez Syllepse, l’inspiration de lancer ces guides anticoloniaux est venue du sud des États-Unis, où un vaste mouvement antiraciste lutte pour le déboulonnage des statues des généraux confédérés. Et en France ? Faut-il changer les noms de rue, fondre les statues glorifiant le colonialisme ?
      À Bruxelles, vers un mémorial aux victimes de la colonisation ?

      En Belgique, un groupe de travail missionné par la Région Bruxelles-Capitale a récemment planché sur « la transformation de l’espace public colonial existant en un espace public décolonial véritablement inclusif ». Parmi ses propositions, rendues publiques en février, on trouve l’attribution de « noms de femmes et/ou de personnes de couleur liées à la colonisation belge » aux voies publiques portant actuellement le nom de figures coloniales. Le groupe d’experts a aussi proposé d’ériger un mémorial aux victimes de la colonisation à Bruxelles en lieu et place de la statue équestre du roi colon Léopold II.

      En France, l’État est beaucoup plus timide. Quand, entre 2020 et 2021, le gouvernement a fait travailler un conseil scientifique sur le projet « Portraits de France », il ne s’agissait que d’établir une liste de 318 personnalités issues des anciennes colonies ou de l’immigration dans laquelle les mairies pourront piocher si elles souhaitent diversifier les noms de leurs rues et bâtiments publics.

      Dans le Guide du Marseille colonial, l’équipe de rédaction ne prend pas ouvertement position pour telle ou telle solution de décolonisation de l’espace public. Mais elle relaye les différentes mobilisations et doléances allant dans ce sens.
      L’école Bugeaud débaptisée

      À Marseille, quelques voix demandent à ce qu’on donne le nom d’Aimé Césaire à l’actuelle rue Colbert. Mais c’est surtout sur les rues Bugeaud et Cavaignac que les énergies militantes se sont concentrées.

      Ces deux voies adjacentes sont situées dans le quartier populaire de la Belle-de-Mai. Pendant la conquête de l’Algérie, les généraux Thomas Bugeaud et Eugène Cavaignac ont développé la technique des « enfumades » : asphyxier par la fumée des tribus entières dans les grottes où elles s’étaient réfugiées. « C’est notamment pour ça que le fait de leur rendre hommage aujourd’hui encore pose vraiment problème », juge Valérie Manteau, écrivaine et membre d’un collectif mobilisé depuis 2019 pour le changement du nom de ces rues. En vain. Tractage, affichage, consultation des habitants, rien n’y a fait.

      Seule réussite : en mai 2021, l’école de la rue Bugeaud, qui portait également le nom du maréchal, a été débaptisée par la nouvelle majorité municipale issue d’une alliance des gauches. L’établissement répond désormais au nom d’Ahmed Litim, un tirailleur algérien décédé pendant les combats de la libération de Marseille, en août 1944. Mais pour les rues, rien de nouveau.
      « Il est temps de clôturer l’exposition coloniale »

      En 2020 à Paris, devant l’Assemblée nationale, la statue de Colbert a été affublée d’un tag « Négrophobie d’État ». La même année à Marseille, les statues représentant les colonies d’Asie et d’Afrique au pied de la gare Saint-Charles ont été maculées de peinture rouge. Le 8 mars dernier, une manifestation féministe s’y est arrêtée pour dénoncer leur caractère tant sexiste que raciste.

      Dans les années 1980 déjà, l’historien Philippe Joutard montrait à quel point ces statues sont problématiques [2] : « Le voyageur qui arrive à la gare Saint-Charles et descend son escalier monumental passe entre deux femmes assises chacune à la proue d’un navire.

      À droite, c’est l’allégorie de Marseille, colonie grecque ; à gauche, celle de Marseille, porte de l’Orient ; en contrebas, deux autres femmes couchées avec leurs enfants représentent les colonies d’Afrique et d’Asie. La leçon est claire : la cité phocéenne domine les territoires des deux grands continents ; le fantasme est plus évident encore : les “femmes-colonies” sont offertes, nues, presque liées, colliers autour du cou, bracelets aux bras et aux chevilles, et leurs filles elles-mêmes semblent à la disposition du conquérant ! »

      Que faire de ces statues ? Les détruire ? Les mettre au musée ? L’association Ancrages, qui travaille sur les mémoires des migrations, propose a minima d’y adjoindre des panneaux. Ceux-ci permettraient d’expliquer le contexte de production de ces sculptures, commandées pour l’exposition coloniale marseillaise de 1922. On y préciserait que ces images des populations asiatiques et africaines sont insultantes « pour les femmes et hommes d’aujourd’hui ».

      Dans une pétition diffusée sur le site Change, un collectif de féministes décoloniales va plus loin, demandant le retrait pur et simple de ces œuvres : « Ces statues artistico-historiques sont plus que des témoins passifs d’une l’époque révolue. L’histoire est un choix politique. Maintenir ces statues en place, les reblanchir, effacer très vite les graffitis anticoloniaux, c’est faire chaque jour un choix, celui de creuser encore les fractures entre celles et ceux qui font exister Marseille. » Et de conclure : « 1922-2022 : il est temps de clôturer l’exposition coloniale. 100 ans, ça suffit ! »

      https://basta.media/les-statues-le-nom-des-rues-ne-sont-pas-innocents-un-guide-pour-decoloniser

      via @odilon