• Inchiesta su #Ousmane_Sylla, morto d’accoglienza

    A distanza di un mese dal suicidio di Ousmane Sylla nel #Cpr di #Ponte_Galeria, il 4 febbraio 2024, sono emersi nuovi elementi sulla sua triste vicenda, non raccontati nelle prime settimane. La prima cosa che sappiamo ora per certo è che Ousmane voleva vivere. Lo dimostrano i video e le foto che ho avuto da persone che lo hanno conosciuto, che lo ritraggono mentre balla, gioca, canta, sorride e scherza con il suo compagno di stanza. La sua vita però è stata stravolta da una violenza ingiustificabile, che scaturisce dalle dinamiche perverse su cui si basa il nostro sistema di accoglienza (ma non solo) e che impongono di farsi delle domande.

    Già nei primi giorni dopo la morte si venne a sapere che Ousmane aveva denunciato maltrattamenti nella casa famiglia di cui era stato ospite, prima di essere trasferito al Cpr di Trapani. Gli avvocati che si stanno occupando del caso e alcune attiviste della rete LasciateCIEntrare hanno rintracciato la relazione psico-sociale redatta dalla psicologa A.C. del Cpr di Trapani Milo il 14 novembre 2023. Era passato un mese dal suo ingresso nella struttura, a seguito del decreto di espulsione emesso dalla prefettura di Frosinone in data 13 ottobre 2023.

    La relazione dice che Ousmane “racconta di essere arrivato in Italia sei anni fa; inizialmente ha vissuto in una comunità per minori a Ventimiglia in Liguria, poi una volta raggiunta la maggiore età è stato trasferito presso la casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice (Cassino). Racconta che all’interno della struttura era solito cantare, ma questo hobby non era ben visto dal resto degli ospiti. Così, un giorno, la direttrice del centro decide di farlo picchiare da un ospite tunisino. In conseguenza delle percosse subite, Sylla si reca al consiglio comunale di Cassino, convinto di trovarsi in Questura, per denunciare la violenza di cui si dichiara vittima”.

    La casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice è menzionata anche sulla scritta lasciata da Ousmane – sembrerebbe con un mozzicone di sigaretta – su una parete del Cpr di Roma, prima di impiccarsi a un lenzuolo, la notte tra il 3 e il 4 febbraio 2024.

    “LASCIATEMI PARLARE”
    Sulle cronache locali della Ciociaria, l’8 ottobre 2023 venne pubblicata la notizia di un giovane profugo africano presentatosi in consiglio comunale venerdì 6 ottobre (due giorni prima) per denunciare di aver subito violenze fisiche e maltrattamenti nella casa famiglia di cui era ospite, in questa frazione di Cassino di circa cinquecento abitanti. “Lasciatemi parlare o mi ammazzo”, avrebbe gridato, secondo Ciociaria oggi, che riferiva inoltre che “il giovane adesso ha paura di tornare nella casa famiglia”. La struttura era stata inaugurata sei mesi prima, il 3 aprile 2023, dal sindaco di Cassino Enzo Salera, originario proprio di Sant’Angelo, e dall’assessore con delega alle politiche sociali Luigi Maccaro, alla presenza del funzionario dei servizi sociali, Aldo Pasqualino Matera. Si trovano diversi articoli datati 4 aprile 2023, corredati di foto della cerimonia e della targa con il nome della casa famiglia. La struttura si chiamava Revenge, che significa rivincita ma anche vendetta.

    La casa famiglia è stata chiusa tra dicembre e gennaio per “irregolarità”; le indagini sono ancora in corso. Era gestita dalla società Erregi Progress s.r.l.s. con sede in Spigno Saturnia, in provincia di Latina; la titolare della società e responsabile della casa famiglia è Rossella Compagna (non Campagna, come riportato in alcune cronache), affiancata nella gestione dall’avvocato Michelangiolo Soli, con studio legale a Minturno. Oggi sappiamo che mancavano le autorizzazioni della Asl locale all’apertura, e altri adempimenti; e che la maggior parte degli operatori che si sono succeduti nel corso dei circa nove mesi di apertura non ha mai percepito lo stipendio, né la malattia: almeno quelli che non erano vicini alla responsabile. Alcuni di essi hanno fatto causa alla società e sono in attesa di risarcimento. Altri non avevano neanche le qualifiche per operare in una struttura per minori stranieri non accompagnati.

    Sono stata a Sant’Angelo in Theodice e ho incontrato diverse persone che hanno conosciuto Ousmane, che lo hanno seguito e aiutato durante il mese e mezzo circa della sua permanenza in paese. Grazie a loro ho potuto capire chi era Ousmane e ciò che ha vissuto in quel periodo. Ousmane è arrivato a Sant’Angelo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, insieme a un ragazzo marocchino, oggi maggiorenne. Provenivano da Ventimiglia, dove avevano trascorso insieme circa un mese in un campo della Croce Rossa Italiana, prima di essere trasferiti nella casa famiglia di Cassino. Ousmane non era però “da sei anni in Italia”, come trascritto dalla psicologa del Cpr di Trapani nella sua relazione. Sembrerebbe che fosse arrivato l’estate prima, nel 2023, a Lampedusa, come si intuisce anche dalla sua pagina Fb (“Fouki Fouki”). Il 3 agosto ha pubblicato un video in cui canta sulla banchina di un porto, quasi certamente siciliano. Forse era arrivato nella fase di sovraffollamento, caos e ritardi nei trasferimenti che spesso si verificano sull’isola in questa stagione. Avrebbe poi raggiunto Roma e successivamente Ventimiglia.

    Il suo “progetto migratorio” era quello di arrivare in Francia, dove ha un fratello, cantante rap e animatore d’infanzia, Djibril Sylla, che ho incontrato di recente: è venuto a Roma per riconoscere il corpo di Ousmane e consentirne il ritorno in Africa. Ousmane parlava bene il francese e lo sapeva anche scrivere, come dimostra la scritta che ha lasciato sul muro prima di uccidersi. Con ogni probabilità è stato respinto al confine francese, verso l’Italia. Ousmane non era minorenne; si era dichiarato minorenne probabilmente perché né allo sbarco né al confine con la Francia ha potuto beneficiare di un orientamento legale adeguato che lo informasse dei suoi diritti e delle possibilità che aveva. Il regolamento “Dublino”, in vigore da decenni, prevede che i migranti restino o vengano rinviati nel primo paese in cui risultano le loro impronte (ci sono delle apposite banche dati europee), impedendo loro di raggiungere i luoghi dove hanno legami e comunità di riferimento o semplicemente dove desiderano proseguire la loro vita.

    Una volta respinto, però, anziché fare domanda di protezione internazionale in Italia, Ousmane si è dichiarato minore, pur essendo ventunenne. Non sarà facile ricostruire chi possa averlo consigliato, guidato o influenzato in queste scelte e nei suoi rapporti con le autorità, dal suo arrivo in Italia in poi. Sappiamo, tuttavia, che dichiarandosi “minore” ha determinato l’inizio, incolpevole e inconsapevole, della fine della sua breve vita, non più in mano a lui da quel momento in poi.

    Dichiarandosi maggiorenne, Ousmane avrebbe potuto presentare una domanda di protezione. Nel paese da cui proveniva, la Guinea Conakry, vige una dittatura militare dal 2021. I migranti possono chiedere protezione internazionale se manifestano il timore, ritenuto fondato da chi esamina il loro caso, di poter subire “trattamenti inumani e degradanti”, ovvero un danno grave, nel proprio paese di provenienza, laddove lo Stato di cui sono cittadini non fornisca loro adeguate protezioni. A Ousmane è accaduto l’inverso: i trattamenti inumani e degradanti li ha subiti in Italia.

    Sin dal suo arrivo nella casa famiglia di Cassino, Ousmane ha patito uno stillicidio di vessazioni, minacce e deprivazioni, come ci riferiscono tutte le persone che lo hanno assistito e accompagnato in quel mese e mezzo, che testimoniano delle modalità inqualificabili con cui veniva gestita quella struttura, della brutalità con cui venivano trattati gli ospiti, del clima di squallore e terrore che vigeva internamente. Abbiamo ascoltato i messaggi vocali aggressivi che la responsabile inoltrava ai suoi operatori, sia ai danni degli operatori che degli ospiti, scarsamente nutriti e abbandonati a sé stessi, come appare anche dalle foto. Ousmane, a causa del suo atteggiamento ribelle e “resistente”, sarebbe stato punito ripetutamente con botte, privazione di cibo, scarpe, coperte e indumenti, e di servizi cui aveva diritto, non solo in quanto “minore”, ma in quanto migrante in accoglienza: per esempio, l’accesso ai dispositivi di comunicazione (telefono e scheda per poter contattare i familiari), la scuola di italiano, il pocket money.

    Tutte le persone con cui ho parlato sono concordi nel descrivere Ousmane come un ragazzo rispettoso, intelligente, altruista e sensibile; sano, dinamico, grintoso, si ispirava alla cultura rasta e cantava canzoni di rivolta e di libertà in slang giamaicano e in sousou, la sua lingua madre. La sua unica “colpa” è stata opporsi a quello che vedeva lì, riprendendo con foto e video le ingiustizie che subiva e vedeva intorno a sé. A causa di questo suo comportamento è stato discriminato dalla responsabile e da alcuni personaggi, come un ragazzo tunisino di forse vent’anni. Dopo un mese di detenzione lo stesso Ousmane raccontò alla psicologa del Cpr di Trapani che la responsabile della casa famiglia l’avrebbe fatto picchiare da un “ospite tunisino”.

    Il 6 ottobre 2023, forse indirizzato da qualche abitante del luogo, Ousmane raggiunse il consiglio comunale di Cassino, nella speranza che le autorità italiane potessero proteggerlo. Una consigliera comunale con cui ho parlato mi ha descritto lo stato di agitazione e sofferenza in cui appariva il ragazzo: con ai piedi delle ciabatte malridotte, si alzava la maglietta per mostrare i segni di percosse sul torace. Ousmane non fu ascoltato dal sindaco Salera, tutore legale dei minori non accompagnati della casa famiglia. Ousmane fu ascoltato solo dalla consigliera che comprendeva il francese, in presenza di poche persone, dopo che il sindaco e la giunta si erano allontanati. A quanto pare quel giorno si presentò in consiglio anche una delegazione di abitanti per chiedere la chiusura della struttura, ritenuta mal gestita e causa di tensioni in paese.

    Una settimana dopo, il 13 ottobre, Ousmane tornò al consiglio comunale, dichiarando di essere maggiorenne. Pare che prima avesse provato a rivolgersi alla caserma dei carabinieri – chiedeva dove fosse la “gendarmerie” – per mostrare i video che aveva nel telefono: la sua denuncia non fu raccolta, perché in quel momento mancava il maresciallo. Di nuovo, forse non sapremo mai da chi Ousmane sia stato consigliato, guidato e influenzato, nella sua scelta di rivelare la sua maggiore età. Perché non gli fu mai consentito di esporre denuncia e di ottenere un permesso di soggiorno provvisorio, per esempio per cure mediche, o per protezione speciale, visto che aveva subito danni psicofisici nella struttura di accoglienza, e che voleva contribuire a sventare dei crimini?

    Come in molte strutture per minori migranti, la responsabile era consapevole della possibilità che molti dei suoi ospiti fossero in realtà maggiorenni. “Una volta che scoprono che sono maggiorenni, devono tornare a casa loro, perché le strutture non li vogliono”, spiega in un messaggio audio ai suoi operatori. In un altro dei messaggi che ho sentito, questa consapevolezza assume toni intimidatori: “Quindi abbassassero le orecchie, perché io li faccio neri a tutti quanti”, diceva. “Io chiudo la casa, e poi riapro, con altra gente. Dopo un mese. Ma loro se ne devono andare affanculo. Tutti! Ne salvo due o tre forse. Chiudiamo, facciamo finta di chiudere. Loro se ne vanno in mezzo alla strada, via, e io faccio tutto daccapo, con gente che voglio io. Quindi abbassassero le orecchie perché mi hanno rotto i coglioni”. Nello stesso messaggio, la responsabile aggiunge: “Tu devi essere educato con me; e io forse ti ricarico il telefono; sennò prendi solo calci in culo, e io ti butto affanculo nel tuo paese di merda”.

    La minore età può essere usata come arma di ricatto. I migranti che si dichiarano minori, infatti, entrano nel circuito delle strutture per minori stranieri non accompagnati, e ottengono un permesso di soggiorno per minore età appena nominano un tutore (solitamente il sindaco). In caso di dubbio sulla minore età questi vengono sottoposti ad accertamenti psico-fisici, che consistono nella radiografia del polso e in una serie di visite specialistiche presso una struttura sanitaria.

    Per l’accoglienza di un minore straniero non accompagnato, il ministero dell’interno eroga ai comuni che ne fanno richiesta (tramite le prefetture) dai novanta ai centoventi euro al giorno, che finiscono in buona parte nelle tasche degli enti gestori (che per guadagnare possono risparmiare su cibo, servizi, personale, in quanto non sono previsti controlli davvero efficaci sulla gestione dei contributi statali). Ma anche i comuni hanno da guadagnare sull’accoglienza ai minori. A questo proposito, vale la pena richiamare le parole pronunciate dall’assessore ai servizi sociali Maccaro in occasione dell’apertura della casa famiglia e riportate in un articolo di Radio Cassino Stereo, presente in rete: “Una nuova realtà sociale al servizio del territorio è una ricchezza per tutto il sistema dei servizi sociali che vive della collaborazione tra pubblico e privato sociale. Siamo certi che questa nuova realtà potrà integrarsi in una rete sociale che in questi anni sta mostrando grande attenzione al tema dei minori”.

    Le autorità possono in qualsiasi momento sottoporre i giovani stranieri non accompagnati ad accertamento dell’età. È così che questi ragazzi divengono vulnerabili e costretti a sottostare a qualsiasi condizione venga loro imposta, poiché rischiano di perdere l’accoglienza e finire nei Cpr. Molti migranti ventenni con un viso da adolescente, come Ousmane, vengono incoraggiati a dichiararsi minori: più ce ne sono, più saranno necessarie strutture e servizi ben sovvenzionati (molto più dei servizi per maggiorenni).

    NEL LIMBO DEI CPR
    Dopo la seconda apparizione in consiglio comunale, il 13 ottobre, anziché essere supportato, tutelato e orientato ai suoi diritti, Ousmane è stato immediatamente colpito da decreto di espulsione, e subito trasferito (il 14 ottobre) nel Cpr di Trapani Milo, dove trascorrerà tre mesi. Inutile il tentativo dell’avvocato del Cpr Giuseppe Caradonna di chiederne dopo un mese il trasferimento, con una missiva indirizzata alla questura di Trapani, in cui scriveva “continua purtroppo a mantenere una condotta del tutto incompatibile con le condizioni del Centro [Cpr] (probabilmente per via di disturbi psichici derivanti da esperienze traumatiche) al punto da mettere a serio rischio la propria e l’altrui incolumità. A supporto della presente, allego una relazione psico-sociale, redatta in data odierna dalla dottoressa A.C., psicologa che opera all’interno della struttura, la quale ha evidenziato dettagliatamente la condizione in cui versa Ousmane Sylla. Pertanto, mi permetto di sollecitare un Suo intervento per far sì che quest’ultimo venga trasferito al più presto in una struttura più idonea e compatibile con il suo stato di salute mentale”.

    La psicologa aveva scritto: “Ritengo che l’utente possa trarre beneficio dal trasferimento presso un’altra struttura più idonea a rispondere ai suoi bisogni, in cui siano previsti maggiori spazi per interventi supportivi e una maggiore supervisione delle problematiche esposte”. Richiesta alla quale la questura di Trapani risponderà negativamente, con la motivazione che “lo straniero aveva fatto ingresso nella struttura munito di adeguata certificazione sanitaria che attesta l’idoneità alla vita in comunità ristretta e che costituisce condicio sine qua non per l’accesso all’interno dei Cpr”.

    Chi aveva redatto quella “adeguata certificazione sanitaria” di cui Ousmane era munito all’ingresso nel Cpr di Trapani, se ancora portava addosso i segni delle violenze subite, come testimoniato dalla consigliera cassinese che lo aveva ascoltato nella settimana precedente, rilevandone anche lo stato di estremo disagio psicologico?

    Ousmane affermava, ripetutamente, di voler tornare in Africa. Lo diceva anche alle operatrici della casa famiglia con cui abbiamo parlato: “Gli mancava la mamma”, hanno riferito, con la quale non poteva neanche comunicare, perché privato del telefono. Un’operatrice ricorda che una volta la disegnò, perché Ousmane amava anche disegnare, oltre che cantare e giocare a pallone. Studiava l’italiano con lei ed “era molto bravo”, dice, apprendeva rapidamente.

    Voleva tornare in Africa, non perché volesse rinunciare al sogno di una vita migliore in Europa, in Francia o in Italia, anche per poter aiutare la famiglia che vive in povertà in un sobborgo di Conakry (madre, sorelle e fratelli più piccoli), ma perché non aveva trovato qui alcuna forma di accoglienza degna di chiamarsi tale, se non nelle persone che lo hanno assistito, ascoltato e che testimoniano oggi in suo favore; persone che hanno fatto il possibile per lui, tuttavia non sono “bastate” a salvargli la vita; non per loro responsabilità, ma perché ignorate o sovrastate dalle istituzioni e dalle autorità che avrebbero potuto e dovuto tutelare Ousmane.

    Dopo tre mesi trascorsi nel Cpr di Trapani, Ousmane verrà trasferito a fine gennaio nel Cpr di Roma, per continuare a restare in un assurdo limbo, in condizioni “inumane e degradanti” nelle quali è ben noto versino i Cpr. L’Italia non ha accordi bilaterali con la Guinea Conakry, come con tanti altri paesi di provenienza dei migranti detenuti nei Cpr.

    Il 19 settembre 2023, il sito istituzionale integrazionemigranti.gov.it, informava che il giorno prima il Consiglio dei ministri aveva varato nuove norme contro l’immigrazione irregolare: “Si estende – come consentito dalla normativa euro-unitaria – a diciotto mesi (sei mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali) il limite massimo di permanenza nei centri per il rimpatrio degli stranieri non richiedenti asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei paesi terzi). Il limite attuale è di tre mesi, con una possibile proroga di quarantacinque giorni. […] Inoltre, si prevede l’approvazione, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della difesa, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori Cpr, da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili”. È il cosiddetto Decreto Cutro.

    Secondo la relazione del Garante nazionale per le persone private della libertà personale, sono transitate nei Cpr 6.383 persone, di cui 3.154 sono state rimpatriate. Quelle provenienti da Tunisia (2.308), Egitto (329), Marocco (189) e Albania (58), rappresentano il 49,4%. In base allo scopo dichiarato per cui esistono i Cpr, la maggioranza è stata trattenuta inutilmente.

    Come riporta il Dossier statistico sull’immigrazione 2023, “il governo si ripromette di aprire altri dodici centri, uno per ogni regione, in luoghi lontani dai centri abitati […]. Nei dieci centri attivi in Italia possono essere ospitate 1.378 persone. Tuttavia, complici la fatiscenza delle strutture e le continue sommosse, la cifra reale si dimezza. […] Dal 2019 al 2022, otto persone sono morte nei Cpr, in circostanze diverse. Infiniti sono i casi di autolesionismo e di violenza. Numerose sono le inchieste che confermano come in questi luoghi si pratichi abuso di psicofarmaci a scopo sedativo”.

    Il caso più noto è quello del ventiseienne tunisino Wissem Ben Abdel Latif, deceduto nel novembre 2021, ancora in circostante sospette, dopo essere rimasto legato a un letto per cento ore consecutive nel reparto psichiatrico del San Camillo di Roma. La detenzione amministrativa di Ousmane si sarebbe potuta protrarre molto a lungo, inutilmente. Sono pochissimi i migranti che a oggi beneficiano dei programmi di “rimpatrio assistito”, che prevedono anch’essi accordi e progetti con i paesi di origine per la loro effettiva attuazione. Con la Guinea Conakry non ci risultano accordi neanche sui rimpatri assistiti.
    Ousmane, trovato impiccato a un lenzuolo la mattina del 4 febbraio, non vedeva forse vie di uscita e ha scelto di morire per “liberarsi”, chiedendo, nel messaggio lasciato sul muro prima di togliersi la vita, che il suo corpo venisse riportato in Africa “affinché riposi in pace” e sua madre non pianga per lui. Alcuni migranti che hanno condiviso con lui la detenzione nel Cpr di Trapani, dicono fosse stato “imbottito di psicofarmaci”. A oggi, sono ancora tanti i lati oscuri di questa vicenda, ma sono in molti a invocare verità e giustizia per Ousmane Sylla, come per tutte le persone schiacciate dall’insostenibile peso del “sistema”, al quale alcune di esse – come Ousmane – hanno provato a ribellarsi, con coraggio e dignità.

    https://www.monitor-italia.it/inchiesta-su-ousmane-sylla-morto-daccoglienza
    #migrations #asile #réfugiés #Italie #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Trapani #détention_administrative #rétention

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    Vu que Ousmane a été arrêté à Vintimille pour l’amener dans un centre de détention administrative dans le Sud de l’Italie et que, selon les informations que j’ai récolté à la frontière Vintimille-Menton, il avait l’intention de se rendre en France, j’ai décidé de l’inclure dans les cas des personnes décédées à la #frontière_sud-alpine.
    Ajouté donc à cette métaliste des morts à la frontière #Italie-#France (frontière basse, donc #Vintimille / #Alpes_Maritimes) :
    https://seenthis.net/messages/784767

  • Makhno contre l’antisémitisme (3)
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#makhno3

    A la mort de Makhno, à 46 ans, « Le Libertaire » consacra la presque totalité de son numéro du 3 août 1934 pour lui rendre hommage, revenant sur les épisodes de sa vie, ses combats et ses apports... Un article de Voline, « Aux calomniateurs », revenait sur les accusations de pogroms, apportant de nouveaux éléments. Il est à noter que l’auteur, lui-même d’origine juive et ayant participé à la Makhnovchtchina, a depuis le début soutenu Makhno malgré leurs différends personnels et leurs choix organisationnels opposés...

    #libertaire #Makhno #Ukraine #pogrom #antisémitisme #Russie #Voline #anarchisme #juif

  • Les territoires des émeutes
    https://laviedesidees.fr/Les-territoires-des-emeutes

    Le haut niveau de #ségrégation urbaine constitue le meilleur prédicteur des violences. La différence la plus marquante entre 2023 et 2005 est l’entrée en scène des villes petites et moyennes, où les adolescents de cités d’habitat social s’identifient aux jeunes des banlieues de grandes métropoles.

    #Société #jeunesse #banlieue #révolte #urbanisme #gilets_jaunes
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240412_emeutes.pdf

    • Conclusion

      Le retour sur les émeutes de #2005 a permis de mettre en évidence à la fois des continuités et des changements par rapport à celles de #2023. Si de façon générale, les communes les plus défavorisées ont de plus fortes probabilités de connaître des émeutes, c’est surtout la ségrégation des situations sociales les plus précaires et des immigrés dans des quartiers spécifiques (#QPV) qui apparaît comme un élément de contexte crucial. À profil social et urbain équivalent, avoir un QPV augmente de façon très significative la probabilité de connaître des émeutes. De plus, cette #ségrégation_sociale et ethnique s’accompagne d’une forte #ségrégation_scolaire dont nous avons pu mesurer également l’impact : plus elle est importante, plus les émeutes sont intenses et violentes.

      Les quartiers en question sont ceux directement concernés par la #politique_de_la_ville (QPV, #PNRU, #NPNRU) depuis plusieurs décennies. Si des changements sont indiscutables sur le plan de l’amélioration du cadre de vie des habitants et plus particulièrement des #conditions_de_logement, un grand nombre de ces quartiers continuent de concentrer une large part de la jeunesse populaire d’origine immigrée, celle la plus touchée par la #relégation, les #discriminations et les #violences_policières, et donc celle aussi la plus concernée par les émeutes. Si la #mixité_sociale et ethnique s’est sensiblement améliorée dans certains quartiers, d’autres demeurent des espaces de très forte #homogénéité_sociale et ethnique, que l’on retrouve dans les #écoles et les #collèges. Ceux où les interventions de l’#ANRU ont été moins intenses ont même vu le nombre de ménages pauvres augmenter. En Île-de-France, la quasi-totalité des communes qui avaient connu des émeutes en 2005, pourtant concernées par la politique de la ville, en ont connu également en 2023.

      Notre approche socio-territoriale met d’autant plus en évidence les limites d’une analyse au niveau national, que les émeutes de 2023 se sont diffusées dans un plus grand nombre de petites villes et villes moyennes auparavant moins touchées par ces événements. Cette plus grande diversité territoriale est frappante lorsque l’on compare les banlieues des très grandes métropoles, à commencer par les banlieues parisiennes, aux #petites_villes et #villes_moyennes. Le poids du #logement_social, de l’immigration, la suroccupation des logements, le niveau de #pauvreté, mais aussi la façon dont ces dimensions se rattachent aux #familles_monoparentales et nombreuses, renvoient à des réalités différentes. Pourtant, dans tous les cas, la ségrégation joue un rôle déterminant.

      Cette approche contextuelle ne suffit pas à expliquer l’ensemble des mécanismes sociaux à l’œuvre et ce travail devra être complété à la fois par des analyses plus fouillées et qualitatives, ciblées sur les réseaux sociaux, la police et les profils des protagonistes, mais aussi des études de cas renvoyant aux différentes configurations socio-territoriales. Des études qualitatives locales devraient permettre de mieux comprendre comment, dans les différents contextes, les dimensions sociales et ethno-raciales interagissent lors des émeutes. Cela permettrait par exemple de mieux saisir l’importance de la mémoire des émeutes dans les quartiers populaires des banlieues des grandes métropoles, sa transmission et le rôle des réseaux militants et associatifs. Dans le cas des petites villes et des villes moyennes, la comparaison avec le mouvement des Gilets jaunes apporte un éclairage particulièrement intéressant sur l’intersection et la différenciation des formes que peuvent prendre la colère sociale et le ressentiment.

      #émeutes #violence #villes #urban_matter #violences_urbaines #banlieues #ségrégation_urbaine #violences #statistiques #chiffres

  • Lecture d’un extrait du livre « Cent portraits vagues » de Milène Tournier, paru aux Éditions Lurlure en 2024.

    https://liminaire.fr/radio-marelle/article/cent-portraits-vagues-de-milene-tournier

    En une ou deux pages, parfois quelques lignes seulement, Milène Tournier parvient à dresser le portrait de femmes, d’hommes, d’âges et d’origines diverses, solitaires souvent, à un tournant de leur existence, avec une sensibilité bouleversante. Elle saisit l’essentielle d’une vie, d’un parcours, d’un moment, d’une personnalité, en allant droit au cœur de celle-ci, sans jamais les caricaturer, mais en rendant leur caractère au plus juste. On retrouve dans ce texte la maîtrise envoûtante de ses œuvres précédentes, entre poésie et théâtre, une voix singulière, un regard aiguisé sur le monde, à l’écoute de ses blessures, de son absurdité.

    (...) #Radio_Marelle, #Écriture, #Livre, #Lecture, #En_lisant_en_écrivant, #Podcast, #Sensation, #Biographie, #Littérature, #Édition, #Récit, #Portrait (...)

    https://liminaire.fr/IMG/mp4/en_lisant_cent_portraits_vagues_mile_ne_tournier.mp4

    https://lurlure.net/cent-portraits-vagues

  • Derrière le succès de Blablacar, un contrat secret et des économies d’énergie surévaluées
    https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2024/04/06/derriere-le-succes-de-blablacar-un-contrat-secret-et-des-economies-d-energie


    Les locaux de Blablacar, à Paris, en septembre 2015. PATRICK KOVARIK / AFP

    L’entreprise de #covoiturage a engrangé plusieurs dizaines de millions d’euros depuis 2012 dans le cadre d’un mécanisme d’obligations environnementales approuvé par l’Etat. Une manne longtemps restée opaque, et qui s’appuie sur des calculs parfois fantaisistes.

    Pratique, écologique et même depuis peu rentable : #Blablacar, qui revendique plus de vingt millions d’inscrits en France, est érigé en modèle de start-up innovante. « Le leader mondial du covoiturage est Français : c’est une fierté ! », s’émerveillait Emmanuel Macron en 2022. Mais, pour en arriver là, la #start-up a profité d’un discret soutien avalisé par l’#Etat, à hauteur de plusieurs dizaines de millions d’euros par an, selon les informations du Monde. Une #rente opaque dont Blablacar a été le bénéficiaire quasi exclusif pendant une décennie et continue de profiter aujourd’hui.
    L’histoire remonte à 2012. La plate-forme, alors baptisée Covoiturage.fr, cherche encore son modèle économique après six ans d’existence. Une manne inespérée lui est alors proposée par un grand groupe français : Total.
    La compagnie, devenue depuis TotalEnergies, doit se conformer à une obligation environnementale imposée par l’Etat à tous les fournisseurs d’énergie. Le pétrolier doit financer chaque année un certain nombre d’actions favorisant la sobriété énergétique, dont l’efficacité est mesurée par des #certificats_d’économies_d’énergie (CEE). Ce système de #pollueur-payeur l’oblige à rechercher auprès de structures agréées par l’Etat des « gisements » de CEE potentiels, comme des travaux d’isolation, des installations de chaudières performantes, des dispositifs de fret ferroviaire…

    https://justpaste.it/c0ouj

    Tout ça pour des trajets couteux où sous la bienveillance obligée des « évaluations » la marchandisation règne.

    #voiture #entreprise #capitalisme_de_plateforme

  • EU-Abgeordneter Nico Semsrott über Brüssel : „Hier laufen Politiker im Endstadium rum“
    https://www.tagesspiegel.de/politik/eu-abgeordneter-nico-semsrott-uber-brussel-hier-laufen-politiker-im-end

    A Bruxelles tout politicien peut se comporter en corrompu comme ca lui chante.

    11.4.2024 von Pia Schreiber - Für Die Partei wollte er die EU mit den Mitteln der Satire entlarven. Doch kurz vor dem Ende seines Mandats sagt Nico Semsrott: Das war der falsche Ansatz. Über Geld, Macht und das Zerwürfnis mit Martin Sonneborn.

    Nico Semsrott lehnt an der verspiegelten Wand eines Fahrstuhls und lächelt. Er fährt in den 8. Stock des Europaparlaments, dort liegt sein Abgeordnetenbüro. „Sie haben aber gute Laune“, bemerkt eine Frau, die zu ihm in den Fahrstuhl steigt. „In zwei Monaten bin ich hier raus“, antwortet Semsrott. „Das macht mich glücklich.“ Für das Satireprojekt Die Partei zog der Comedian 2019 in das Europäische Parlament ein. Auf ein Zerwürfnis mit dem Vorsitzenden Martin Sonneborn folgte der Parteiaustritt. Über seine Zeit im Parlament hat Semsrott ein Buch geschrieben. Es heißt „Brüssel sehen und sterben“.

    Herr Semsrott, mit welchem Wort würden Sie Ihre Zeit in Brüssel beschreiben?

    Mit dem Wort Irrtum. Ich habe viele Therapiestunden gebraucht, um nicht mittendrin aufzuhören. Aber 900.000 Menschen haben der Partei ihre Stimme und damit einen Auftrag gegeben – das konnte ich nicht einfach wegwerfen.

    Ihr erklärtes Ziel war es, mit den Werkzeugen der Satire Aufmerksamkeit für Missstände im Europäischen Parlament zu schaffen. Ist Ihnen das gelungen?
    Nein. Ich bin mit meiner Leistung überhaupt nicht zufrieden. Ich bin darauf reingefallen, dass ich als Satiriker sehr erfolgreich war. Da dachte ich: Offenbar kann ich das alles. Aber da habe ich mich so was von geirrt.

    Woran liegt das?

    Im Parlamentarismus geht es um Grautöne. Selbst die mächtigsten Politiker müssen ihre Positionen verlassen, um zu einer Einigung zu kommen. Es gibt diesen Satz: Demokratie ist, wenn alle unzufrieden sind. Der stimmt. Ich bin überzeugter Demokrat und stehe hinter der Idee von Kompromissprozessen, aber es fühlt sich für mich nicht gut an, selbst als Akteur daran teilzunehmen. Als Satiriker will ich nun mal zu 100 Prozent mein Ding machen. Dieses Spannungsfeld konnte ich nicht auflösen.

    Wann ist Ihnen klar geworden, dass Ihr Plan nicht aufgeht?

    Schon im ersten Jahr. Mit einer Petition wollte ich einen Sitzungssaal umbenennen. Die 705 Abgeordneten müssen zwischen Brüssel und Straßburg pendeln. Das kostet 750 Millionen Euro pro Legislatur und ist komplett sinnlos. Aber im Vertrag steht: Hauptsitz des Parlaments ist Straßburg. Also wollte ich den Begriff neu definieren – nicht im Sinne der Stadt, sondern im Sinne eines Saals mit dem Namen „Straßburg“. Dafür gab es eine Mehrheit unter den Abgeordneten und viel Unterstützung aus der Bevölkerung. Aber ein Mitglied der Kommission hat gesagt: „Nö, ist nicht.“ Und damit war das Vorhaben beendet.

    Was hat das mit Ihnen gemacht?

    Das hat mich sehr schnell demotiviert. Ich wusste, dass das Parlament kein Initiativrecht besitzt. Aber wie viel Macht hat es, wenn es nicht mal über seinen eigenen Sitz entscheiden kann? Das ist doch ein Fehler in der Grundprogrammierung. Ich würde sogar sagen: Das Europaparlament ist gar kein echtes Parlament.

    Für Die Partei machten Sie Wahlkampf mit Slogans wie „Für Europa reicht’s“ oder „Besser als nix“. Wie ernst haben Sie die Kandidatur gemeint?

    Total ernst. Auch unsere Wähler haben verstanden, dass wir ernste Inhalte in lustiger Verpackung präsentieren. Vielen hat unsere Öffentlichkeitsarbeit gegen ein verschärftes Urheberrecht gefallen.

    Martin Sonneborn, der Vorsitzende der Partei, hat im Parlament als fraktionsloser Abgeordneter eine Zeit lang abwechselnd mit Ja und Nein gestimmt, egal worum es inhaltlich ging. Sie dagegen haben sich direkt nach der Wahl 2019 der Fraktion der Grünen angeschlossen. Warum?
    Für mich ergibt es keinen Sinn, mich in eine Machtposition wählen zu lassen und die Werkzeuge der Macht dann nicht zu benutzen. Meine Idee war: Ich überzeuge die 70 Leute meiner Fraktion und bekomme dadurch eine Art Hebel – aus meinen 0,14 Prozent Stimmanteil als einzelner Abgeordneter werden durch die Fraktion etwa zehn Prozent. Ich habe das nie gemacht, weil mir mein Psychogramm dabei im Weg stand. Aber die Idee finde ich immer noch klug.

    2021 traten Sie aus der „Partei“ aus, nachdem Martin Sonneborn ein Foto von sich mit einem T-Shirt gepostet hatte, dessen Aufdruck viele für anti-asiatischen Rassismus hielten. War das ein spontaner Entschluss?
    Schon seit 2018 haben wir immer wieder darüber gesprochen, was Satire soll und welche Aufgaben ein Politiker hat. Diese Verantwortung geht über das Witzemachen des Chefredakteurs beim „Titanic“-Magazin hinaus, wie Sonneborn es war. Sie bedeutet eine Vorbildfunktion. Das hat er für sich anders definiert. Als er dann den rassistischen Witz gepostet hat, habe ich gesagt: Ich bin nicht bereit, das mitzutragen. Nach meinem Austritt habe ich zuerst überlegt, „Die andere Partei“ zu gründen. Aber das war nicht lustig genug.

    Ist das überhaupt möglich: Verantwortung tragen und dabei lustig sein?
    Es ist auf jeden Fall deutlich schwieriger, weil der Widerspruch kaum aufzulösen ist. Satire ist ja ein Mittel der Machtlosen, nicht der Mächtigen. Der Hofnarr ist lustig, nicht der König. Als EU-Abgeordneter hat man schon ein bisschen Macht, steht auch unter Druck, verliert an Spielraum und wird allein durch das Amt schon unlustiger.

    Wie blicken Sie heute auf „Die Partei“?

    Ich würde heute eine Satirepartei nicht einmal mehr wählen. Eine kritische Öffentlichkeit finde ich immer noch sehr wichtig. Aber ich habe gelernt, dass im Parlamentarismus manchmal auch andere Mittel wirkungsvoll sind: Anfragen stellen, die Kommission unter Druck setzen. Martin Sonneborn sieht sich als Beobachter, und das ist einfach zu wenig. Eine Partei sollte für die Leute da draußen etwas bewegen.

    Ihre bisherigen Arbeitsnachweise sind im Vergleich zu anderen Abgeordneten aber überschaubar.

    Ich habe die Strategie gewählt, den Mund zu halten, weil dieser Apparat mich bestrafen kann. Deshalb habe ich Material gesammelt, das ich jetzt veröffentliche. Auf diese Weise erfülle ich doch noch meinen Zweck.

    Inwiefern fühlen Sie sich denn von der EU-Verwaltung bestraft?
    Am Anfang habe ich gedacht, der Verwaltungsapparat hinter dem Parlament sei politisch neutral. Das war süß. Die hohen Beamten haben ein konservatives oder sozialdemokratisches Parteibuch. Sie entscheiden, wann sie eine Regel anwenden und wann nicht. Ich wurde von meinen politischen Gegnern kontrolliert und aktiv in meiner Arbeit behindert.

    Haben Sie dafür Beispiele?

    Zum Beispiel wurde eine korrekt angemeldete Pressekonferenz verhindert – angeblich aus Sicherheitsgründen. Als ich von meinem Budget für Werbemittel kostenlose Tampons an soziale Einrichtungen verschickt habe, wurde ich vom obersten Finanzbeamten gerügt. Da war ich erst mal perplex, dieses Parlament hat schließlich ein Gesamtbudget von 2,5 Milliarden Euro. Wie können 30.000 Euro für Tampons von einem Satiriker da Alarm auslösen?

    Wie intransparent ist die Europäische Union Ihrer Meinung nach?

    Ich habe festgestellt: Hier kann jeder Abgeordnete sorgenlos korrupt sein. Es ist hier genauso wie in Unternehmen, der katholischen Kirche oder der Fifa: Menschen können sich aus einer Kasse bedienen und die Regeln dafür selbst festlegen. Davon profitiert vor allem die CDU – seit 20 Jahren hat sie hier gemeinsam mit ihren Schwesterparteien das Sagen. Aber statt der Korruption bekämpfen sie nur die Korruptionsbekämpfung. Diese Verhältnisse müssen aufgedeckt werden.

    Und weshalb gelingt eine Kontrolle durch die Öffentlichkeit nicht?
    Die Europäische Union wurde nicht mit dem Anspruch entworfen, dass die Leute sie verstehen. Stattdessen geht es darum, durch immer neue Ausgleiche arbeitsfähig zu bleiben. Diese Komplexität konnte ich auch mit den Mitteln der Satire nicht überwinden. Und selbst wenn: Es gibt keine gemeinsame europäische Öffentlichkeit. Was ich nach außen erzähle, hat während der Legislaturperiode keinerlei Wirkung nach innen. Diese Machtverhältnisse verändern sich erst jetzt, im Wahlkampf.

    Auch Sie wurden aus dieser Kasse bezahlt. Ihr Abgeordnetengehalt haben Sie transparent gemacht: 5400 Euro netto und bei Anwesenheit zusätzliches Tagegeld in Höhe von 350 Euro.

    Am Anfang fand ich diesen Betrag kriminell hoch, mittlerweile finde ich ihn okay. Noch fünf Jahre und ich würde sagen: Das ist mein gutes Recht. Das ist das Verrückteste an der Demokratie: Hier laufen Politiker im Endstadium rum, die vergessen haben, dass sie eigentlich eine Rolle auf Zeit ausfüllen. Ein irrsinniges Beispiel ist die Fahrtkostenpauschale: Bei realen Ticketkosten von 105 Euro für eine Fahrt nach Paris bekomme ich 610 Euro erstattet – wegen der Zeitaufwands- und der Entfernungspauschale.

    Was haben Sie denn mit dem Geld gemacht?

    Ich will es an den Freiheitfonds spenden. Mein Bruder Arne Semsrott kauft damit Menschen frei, die für Schwarzfahren im Knast sitzen. So korrigieren wir das System zumindest an dieser Stelle von oben nach unten. Aber dafür kriege ich bestimmt auch wieder Ärger.

    Während der Legislaturperiode sind Sie mehrere Monate ausgefallen, weil Sie eine depressive Episode durchlebt haben. Warum haben Sie das öffentlich gemacht?

    Ich verstehe Politik als Aufgabe, die mir anvertraut wurde. Aber dieses Vertrauen muss ich mir wiederum verdienen. Dazu gehört auch die Erklärung, warum ich nicht die 60 Enthüllungsvideos rausballere, die ich vor der Wahl versprochen habe. Diese Transparenz ist für mich viel einfacher als für Parteipolitiker, die natürlich auch psychische Probleme haben. Aber sie müssen im Wettbewerb um Listenplätze die ganze Zeit Stärke simulieren.

    Hat das Mandat Ihre Krankheit verschlimmert?

    Ja. Ich habe nicht damit gerechnet, wie schwer die Last der Verantwortung tatsächlich auf mir liegt. Ich habe Öffentlichkeit versprochen, oder zumindest ein bisschen Trost. Aber das Parlament ist die mit Abstand schwächste Institution im Gesetzgebungsprozess – und ich bin Oppositionspolitiker. Ich fühle keine Macht, sondern Ohnmacht.

    Wie hat es sich denn angefühlt, den Tour-Alltag als Künstler gegen einen Bürojob einzutauschen?

    Es war die Hölle für mich. Als Satiriker habe ich zwar meine Probleme durchs Leben getragen, aber mir einen Weg um sie herum gebaut. Ich stand allein auf der Bühne, mit viel Abstand zum Publikum. Dazu der ironische Bruch, um die Distanz zu wahren. Natürlich kann ich keine zehn Stunden in einem Büro sitzen und Mitarbeitern Anweisungen geben. Das ändert auch keine Therapie, deshalb habe ich mein Team auf eine Person reduziert. Aber meistens bin ich schon mit mir selbst überfordert.

    Die vergangenen fünf Jahre waren geprägt von Krisen: Klima, Corona, Krieg und Inflation. Wie bewerten Sie das Krisenmanagement, das Sie im Maschinenraum der EU beobachten konnten?

    Je länger man sich das Geschehen aus der zweitletzten Reihe im Parlament anguckt, desto mehr wird klar, was die Gesamtsituation der Menschheit ist und wie hilflos sie reagiert. Darüber Witze zu machen, erscheint so sinnlos.

    Die EU gilt oft als behäbig und kompliziert. Kann Politik auf europäischer Ebene überhaupt funktionieren?

    Die EU ist mit Abstand das Progressivste, was die Menschheit anzubieten hat. In keinem anderen politischen Raum werden klügere Entscheidungen getroffen. Aber die sind leider trotzdem vollkommen unzureichend. Das Ergebnis lautet dann in etwa so: Wenn wir die Erde in den nächsten 30 Jahren zu 1,7 Prozent weniger zerstören als bisher geplant, ist das ein guter Kompromiss. Dieses System bietet keine Antworten auf wissenschaftliche Notwendigkeiten. Für wen funktioniert diese Politik? Für die Menschheit? Auf lange Sicht nicht. Für den Planeten? Nein. Aber für die Leute hier im Parlament funktioniert sie super.

    In einer Kleinen Anfrage haben Sie die Kommission gefragt, was der durchschnittliche Unionsbürger tun muss, um Einfluss auf die EU-Politik zu nehmen. Wie würden Sie selbst diese Frage beantworten?
    Man kann in einer parlamentarischen Opposition oder einer Koalition durchaus etwas bewegen. Aber Organisationen wie Fridays for Future und Gewerkschaften sorgen mit Streiks für Druck von außen. Das halte ich für den richtigen Weg. Insgesamt braucht es mehr Beteiligung, mehr Demokratie. Dass die Tendenz eine andere ist, ist tragisch.

    Wie wird sich die Arbeit des Parlaments in den nächsten fünf Jahren entwickeln?

    Meine Wette ist, dass alle zukünftigen Legislaturperioden noch schlimmer werden. Aber dass die EU zerstört wird, wie rechte Kräfte es fordern, glaube ich nicht. Akteure wie Meloni oder Orban sehen sie als Instrument für ihre Politik. Sie nutzen sie als Feindbild, kassieren in der Regel aber trotzdem noch Milliarden an Förderungen.

    Eine erneute Kandidatur haben Sie ausgeschlossen. Warum?
    Weil ich mich selbst nicht wählen würde. Ich möchte zurück in die außerparlamentarische Opposition. Da funktioniere ich besser – sowohl mit meinen Talenten als auch mit meinem persönlichen Belohnungssystem. Ich habe Sehnsucht nach der Bühne und dem Publikum. Es ist cool, gemeinsam verwirrt zu sein.

    #Europe #politique

  • Berlin-Schöneberg: Hauptstraße wird umgebaut – Ärgernis für Autofahrer
    https://www.berliner-zeitung.de/mensch-metropole/berlin-schoeneberg-hauptstrasse-wird-umgebaut-aergernis-fuer-autofa

    Nach Jahren schlecht durchdachter Verkehrspolitik grüner Senatorinnen werden begonnene Projekte zu Ende gebracht. Jetzt spricht wieder eine Senatorin mit allen, die Politik gegen die Hälfte der Berliner ist zum Glück beendet. Dabei wird auch die CDU Frau den privaten PKW-Verkehr nicht aus der Innenstadt verbannen, etwa durch eine sehr teure Mautgebühr. Nur eine derartige Maßnahme würde die Straßen wirksam entlasten und die Gefährdung der schwächeren Verkehrsteilnehmer effektiv verringern. Bis dahin ist der Weg noch weit im Land der Erfinder des Automobils.

    10.4.2024 von Peter Neumann - Der Platz für Autos wird halbiert, Radfahrer und BVG-Fahrgäste profitieren. Weitere Umgestaltungen von Magistralen wird es unter der CDU kaum noch geben.

    Noch ist es eine Horrorstrecke, sagt Ursula Epe. „Auf dieser Straße Rad zu fahren, ist lebensgefährlich“, klagt die Berlinerin. Auf der Hauptstraße in Schöneberg treiben Kraftfahrer Radfahrer in die Enge und die Stimmung ist aggressiv. Am Mittwoch wurde nun damit begonnen, einen 1200 Meter langen Abschnitt umzugestalten. Radfahrer und Bus-Fahrgäste werden profitieren, doch für Autofahrer halbiert sich der Platz. Es ist ein Vorhaben der Mobilitätswende, das auf Berlins Hauptverkehrsstraßen inzwischen Seltenheitswert hat, seitdem eine CDU-Politikerin Verkehrssenatorin geworden ist. Nachfolgeprojekte auf diesen Teilen des Straßennetzes sind kaum in Sicht.

    Aus zwei mach eins. Wo Autos zwei Fahrstreifen zur Verfügung standen, gibt es nur noch einen. Ein Ministau hat sich aufgebaut, der auf die Kreuzung Dominicusstraße reicht. Gegenüber der Dorfkirche Schöneberg gehen die angekündigten Markierungsarbeiten in die Vollen. Dort kann man sehen, wie die Hauptstraße von hier bis zum U-Bahnhof Kleistpark aussehen wird. „Wir teilen den Straßenraum anders auf, zugunsten der Radfahrer und der BVG“, erklärt Saskia Ellenbeck. Die Grünen-Stadträtin, die in Tempelhof-Schöneberg für die Straßen zuständig ist, ist zum Ortstermin gekommen.

    Bislang stehen auf diesem Teil der Bundesstraße 1 Kraftfahrzeugen zwei Fahrstreifen pro Richtung zur Verfügung. Die Busspuren für die Berliner Verkehrsbetriebe (BVG) verlaufen am rechten Fahrbahnrand. Jetzt wandern die Busspuren in die Mitte, und künftig sind sie für Autos nicht nur montags bis freitags von 7 bis 18 Uhr, sondern an allen Tagen rund um die Uhr tabu. Rechts davon, am Rand, entstehen die geplanten Radfahrstreifen. Flexible Baken, Leitboys genannt, sowie Sperrpfosten, ebenfalls aus Plastik und rot-weiß gestreift, sollen die 2,25 Meter breiten Trassen vor Falschparkern schützen. Dem übrigen Kfz-Verkehr bleibt links ein Fahrstreifen pro Richtung.


    Ortstermin in der Hauptstraße in Schöneberg: Bezirksstadträtin Saskia Ellenbeck (Grüne) zeigt eines der Sperrelemente, die künftig die Radfahrstreifen am rechten Fahrbahnrand schützen sollen. Peter Neumann/Berliner Zeitung

    Saskia Ellenbeck macht nicht den Eindruck, als ob das für sie ein Problem ist. Schließlich gebe es in der Potsdamer Straße, die sich anschließt, für Autos heute schon nur einen Fahrstreifen pro Richtung, sagt sie. „In der Hauptstraße wird die Kapazität steigen.“ Denn die Radfahrstreifen werden dazu führen, dass viel mehr Radler als heute die Pendlermagistrale im Südwesten nutzen. Auch der Wirtschaftsverkehr profitiere: 19 Lade- und Lieferzonen entstehen – davon zwei in der Akazien- und der Albertstraße, wo Autostellplätze wegfallen. Teile der Busspuren werden montags bis freitags von 9 bis 14 Uhr zum Be- und Entladen freigegeben. Dann müssen die Busse wie heute Slalom fahren.

    Die Pläne für die Hauptstraße hatte der Bezirk noch unter Schreiners Vorgängerinnen von den Grünen mit dem Senat abgestimmt. Doch nach dem Wechsel in der Landesregierung im Frühjahr 2023 stellten die neue Senatorin und ihre Staatssekretärin Claudia Elif Stutz (ebenfalls CDU) auch dieses Projekt auf den Prüfstand. Das Netzwerk fahrradfreundliches Tempelhof-Schöneberg und andere Organisationen riefen zu Demos auf, die Deutsche Umwelthilfe kündigte die Klage eines Bürgers an.
    Schöneberg: Warum der Umbau der Hauptstraße ein Jahr Verspätung hat

    „Wir mussten hart dafür kämpfen, dass wir dieses Projekt umsetzen können“, erinnert sich die Bezirksstadträtin am Mittwoch. Die Hauptstraße gehörte zu den Radverkehrsvorhaben, für die Schreiner und Stutz nach einigen Wochen grünes Licht gaben. Stand lange Zeit zu befürchten, dass der zugesagte Bundeszuschuss von 750.000 Euro verfällt, gelang es, das Geld ins Jahr 2024 zu retten. Wie vorgesehen, gibt Berlin 250.000 Euro dazu, der Bezirk finanziert die Asphaltarbeiten. Ellenbeck: „Wir gehen davon aus, dass im Sommer 2024 alles fertig ist“ – ein Jahr später als anfangs geplant.

    Mehr Platz für klimafreundlichen Verkehr, weniger Platz für Autos. Was unter Grünen-Senatorinnen offizielle Senatspolitik war, wirkt unter Manja Schreiner exotisch. Sicher, einige ältere Projekte werden noch abgearbeitet. Die Umgestaltung der Boelckestraße in Tempelhof, bei der die Senatsverwaltung Änderungen zugunsten des Autoverkehrs durchsetzte, wird nächste Woche abgeschlossen. In Schöneberg will die landeseigene Infravelo den Umbau der Grunewaldstraße in Angriff nehmen, bei dem Radfahrer ebenfalls mehr Platz bekommen sollen. Aus Mitte ist zu hören, dass die Beusselstraße in Moabit Radfahrstreifen bekommt. Baustart: noch im April 2024. In Friedrichshain-Kreuzberg stehen der Umbau der Gitschiner Straße und Radfahrstreifen am Stralauer Platz Nord und in der Stralauer Allee auf der Liste.

    Neue Vorhaben, die auf Berliner Hauptverkehrsstraßen grundlegende Umgestaltungen zur Folge haben werden, sind dagegen nicht in Sicht. Auch deshalb nicht, weil Schreiners Verwaltung sparen muss, um die Vorgaben von Finanzsenator Stefan Evers (CDU) zu erfüllen. In ganz Berlin spüren Verfechter der Mobilitätswende Gegenwind. Ein Beispiel aus Dahlem: Seitdem Christdemokraten die Pläne für geschützte Radfahrstreifen in der Thielallee kritisiert hatten, liegt das Projekt auf Eis. „Dabei ist alles vorbereitet“, sagte Emil Pauls vom Netzwerk fahrradfreundliches Steglitz-Zehlendorf. Für Studenten der Freien Universität sei das Projekt wichtig.
    Neue Radfahrstreifen in Mitte: Ein Projekt wird realisiert, ein anderes hängt

    In Mitte geht man davon aus, dass während dieser Wahlperiode auf keiner weiteren Hauptverkehrsstraße Verbesserungen für Radfahrer möglich sein werden (von der Beusselstraße abgesehen). Was mit der Torstraße passiert, wäre ebenfalls ungewiss, hieß es im Bezirksamt. Die Senatsverwaltung habe angekündigt, dass sie auch dieses Vorhaben überprüft. Dort sollte ursprünglich in diesem Jahr damit begonnen werden, Radfahrstreifen anzulegen. Dabei würden fast alle Autostellplätze entfallen.


    In der Hauptstraße haben die Markierungsarbeiten für die neuen Busspuren und die Radfahrstreifen begonnen. Im Sommer 2024 sollen die Arbeiten beendet sein. Kosten: mehr als eine Million Euro.

    Weil auf Hauptverkehrsstraßen bis 2026 im Sinne der Radfahrer fast nichts mehr geht, konzentriert sich auch Tempelhof-Schöneberg auf die Nebenstraßen – für sie sind die Bezirke zuständig. So sei für 2024 geplant, die Monumenten- und Langenscheidtstraße zu einer Fahrradstraße umzugestalten, sagte Saskia Ellenbeck. „Allerdings gibt es noch keine Finanzierung“ – wegen der Sparzwänge im Senat. Auch die Eschersheimer sowie die Belziger Straße stehen auf der Liste neuer Fahrradstraßen, so die Stadträtin.

    Saskia Ellenbeck ist bei ihrem Ortstermin am Richard-von-Weizsäcker-Platz in Schöneberg angekommen. „Hier wird es auch für Fußgänger sicherer“, so die Grünen-Politikerin. Der Senat passt die Ampelschaltungen so an, dass alle Fahrzeuge rotes Licht bekommen, wenn Fußgänger grün sehen. Nicht weit entfernt, an der Einmündung der Akazienstraße, hat die Hauptverwaltung die Planung dagegen verschlechtert, klagt Jens Steckel vom Netzwerk fahrradfreundliches Tempelhof-Schöneberg. Anders als vorgesehen wird es keine Abbiegespur für Radfahrer geben, die links in die Akazienstraße wollen. Die Folge: Wie heute müssen Radfahrer absteigen und laufen.

    Frage eines Radpendlers: Ist der Umbau der Hauptstraße ein „Alibiprojekt“?

    Es gibt aber auch grundsätzliche Kritik am gesamten Umbauprojekt der Hauptstraße. „Auf der heutigen Busspur lässt sich entspannt Rad fahren“, sagte Andreas Schwiede, Radfahrer aus Marienfelde, im vergangenen Jahr der Berliner Zeitung. Wenn das Ordnungsamt dafür sorgen würde, dass Abschleppwagen die bestehenden Bussonderfahrstreifen konsequent von Falschparkern befreien, würde das mehr bringen, als das jetzt vorgesehene „Alibiprojekt“, das neue Konflikte schafft.

    Weil die heutige Regelung nur tagsüber gilt, parken abends und nachts viele Fahrzeuge auf den Busspuren, entgegnete Saskia Ellenbeck. Viele Autos stehen noch dort, wenn am Morgen um 7 Uhr wieder Busse dort fahren sollen, und behindern den BVG-Verkehr.

    „Unser Ordnungsamt kann nicht überall sein, es ist für 400 Kilometer Straße zuständig“, so die Stadträtin. Viele Radfahrer fühlten sich unwohl, wenn sie auf einer Busspur fahren und sich den Platz mit Bussen teilen müssen, erklärt sie. „Wir wollen Infrastruktur, die zum Radfahren einlädt. Was hier jetzt entsteht, ist eine echte Verbesserung.“

    #Berlin #Schöneberg #Hauptstraße #Verkehr #Politik #Stadtentwicklung

  • Political Instincts ?
    https://newleftreview.org/sidecar/posts/political-instincts

    V.O. de https://seenthis.net/messages/1049118 L’échec des protestations de masse à l’ère de l’atomisation

    19.3.2024 by Anton Jäger - Two men flank each other in shabby paramilitary attire, their MAGA caps hovering above the swirling tide of flags and megaphones. ‘We can take that place!’, exclaims the first. ‘And then do what?’, his companion asks. ‘Heads on pikes!’ Three years later, these rocambolesque scenes from the Capitol riot on January 6th – now firmly encrusted on liberalism’s political unconscious – have become a revealing historical hieroglyph. Above all, they epitomize a culture in which politics has been decoupled from policy. The protest galvanized thousands of Americans to invade the headquarters of the world hegemon. Yet this action had no tangible institutional consequences. America’s Winter Palace was stormed, but the result was not a revolutionary coup or a dual power stand-off. Instead, most of the insurgents – infantrymen for the American lumpenbourgeoisie, from New York cosmetics salesmen to Floridian real estate agents – were swiftly arrested en route home, incriminated by their livestreams and social media posts. Today little remains of their Trumpian fronde, even as the mountain king prepares for his next crusade. A copycat putsch in Brazil also came to naught.

    The same disarticulation afflicts campaigns across the political spectrum, from the BLM protests in summer 2020, which saw nearly twenty million Americans rail against police violence and racial inequity, to France’s gilets jaunes and the current Palestinian solidarity movement. Compared to the long period of relative demobilization and apathy during the 1990s and 2000s, in which citizens protested, petitioned and voted less, the events that followed the 2008 financial crash signalled a clear shift in Western political culture. The Economist informed its readers in the early summer of 2020 that ‘political protests have become more widespread and more frequent’, and that ‘the rising trend in global unrest is likely to continue.’ Yet these eruptions had little effect on the spectacularly skewed class structure of Western societies; BLM has failed to defund the police or curb their brutality; and the regular marches against Western sponsorship of Israel’s punishment campaign have not stopped the unrestrained bloodshed in Gaza. As James Butler recently remarked in the London Review of Books, ‘Protest, what is it good for?’

    This is partly an effect of state repression. Yet we can further delineate the present situation by examining a different, downward rather than upward-sloping curve. Throughout the recent ‘decade of protest’, the secular decline in mass membership organizations, which began in the 1970s and was first anatomised by Peter Mair in the pages of this journal, only accelerated. Unions, political parties, and churches continued to bleed members, exacerbated by the rise of a new digital media circuit and tightening labour laws, and compounded by the ‘loneliness epidemic’ that metastasized out of the actual one of 2020. The result is a curiously K-shaped recovery: while the erosion of organized civic life proceeds apace, the Western public sphere is increasingly subject to spasmodic instances of agitation and controversy. Post-politics has ended, but what has taken its place is hardly recognizable from twentieth-century mass political templates.

    Contemporary political philosophy seems ill-equipped to explain the situation. As Chantal Mouffe points out, we still live in an age of ‘apolitical’ philosophy, where academics are reduced to pondering why certain people decide to become activists or join political organizations given the prohibitive costs of ideological commitment. By contrast, Aristotle once dared to suggest that humans displayed an inborn instinct for socialisation: a feature shared with other herd animals, such as bees or ants, which also exhibit strong cooperative traits. As exceptionally gregarious creatures, he contended, men also had a spontaneous urge to unite within a πολις, a term only meagrely translated by the Germanic compound ‘city state’ – the highest form of community. Anyone surviving outside such a community was ‘either a beast or a god’.

    The classical Aristotelian assumption of man as a zoön politikon was called into question by modern political philosophy, starting with Hobbes, Rousseau and Hume (the latter two idiosyncratic Hobbesians). It was fiercely contested in Leviathan, where man appears as an instinctively antisocial animal who must be coerced into association and commitment. Yet even Hobbes’s pessimistic anthropology hoped to re-establish political association on a higher plane. For him, man’s antisocial instincts opened a vista onto even sturdier collective structures. This was an implicit appeal to Europe’s republican nobility: they should no longer get involved in murderous civil wars and, out of self-interest, submit to a peace-abiding sovereign. Similarly for Rousseau, antisocial amour propre offered the prospect of a higher political association – this time in the democratic republic, where the lost freedom of the state of nature could be regained. For Kant, too, ‘unsociable sociability’ functioned as a dialectical harbinger of perpetual peace. In each case, the apolitical postulate implied a potentially political conclusion: a lack of strong sociability served to temper political passions, guaranteeing the stability of state and society.

    The nineteenth century saw a more pressing need to assure generalized political passivity. As Moses Finley has noted, to be a citizen in Aristotle’s Athens was de facto to be active, with little distinction between civil and political rights, and with rigid lines between slaves and non-slaves. In the 1830s and 40s, the suffrage movement made such demarcations impossible. Proletarians sought to transform themselves into active citizens, threatening the propertied order built up after 1789. To neutralize this prospect, it was necessary to construct a new cité censitaire, in which the masses would be shut out of decision-making while elites could continue to enact the so-called democratic will. The plebiscitary regime of Louis Bonaparte III, famously characterized as ‘potato sack politics’ in The Eighteenth Brumaire, offered an exemplar. This ‘creative anti-revolution’, as Hans Rosenberg called it, was an attempt to redeem general suffrage by placing it within authoritarian constraints that would enable capitalist modernization.

    Walter Bagehot – luminary of The Economist, central bank theorist and eulogist of the English Constitution – defended Bonaparte’s 1851 coup d’état as the only means to reconcile democratization with capital accumulation. ‘We have no slaves to keep down by special terrors and independent legislation’, he wrote. ‘But we have whole classes unable to comprehend the idea of a constitution, unable to feel the least attachment to impersonal laws.’ Bonapartism was a natural solution. ‘The issue was put to the French people . . . “Will you be governed by Louis Napoleon, or will you be governed by an assembly?” The French people said, “We will be governed by the one man we can imagine, and not by the many people we cannot imagine.”’

    Bagehot asserted that socialists and liberals who complained about Bonaparte’s authoritarianism were themselves guilty of betraying democracy. Commenting on the result of an 1870 plebiscite which ratified some of Bonaparte’s reforms, he argued that such critics ‘ought to learn . . . that if they are true democrats, they should not again attempt to disturb the existing order at least during the Emperor’s Life’. To them, he wrote, ‘democracy seems to consist as often as not in the free use of the people’s name against the vast majority of the people’. Here was the proper capitalist response to mass politics: the forcible atomization of the people – nullifying organized labour to secure capital’s interests, with semi-sovereign support from a demobilized society.

    Richard Tuck has described the further modulations of this tradition in the twentieth century, visible in the work of Vilfredo Pareto, Kenneth Arrow and Mancur Olson among others. For these figures, collective action and interest-pooling were demanding and unattractive; voting in elections was usually carried out with reluctance rather than conviction; trade unions were equally beneficial to members and non-members; and the terms of the social contract often had to be forcibly imposed. In the 1950s, Arrow recycled an insight originally proffered by the Marquis de Condorcet, stating that it was theoretically impossible for three voters to ensure perfect harmony between their preferences (if voter one preferred A over B and C, voter two B over C and A, and three C over A and B, the formation of a majority preference was impossible without dictatorial intervention). Arrow’s ‘impossibility theorem’ was seized upon as evidence that collective action itself was bursting with contradictions; Olson radicalized it to advance his claim that free riding was the rule rather than the exception in large organizations. The conclusion that man was not naturally inclined to politics thus came to dominate this field of sceptical post-war literature.

    Towards the end of the twentieth century, with the drastic decline in voter turnout, the plunge in strike days and the wider process of withdrawal from organized political life, human apoliticism seemed to mutate from an academic discourse into an empirical reality. Whereas Kant spoke of ‘ungesellige Geselligkeit’, one could now speak of ‘gesellige Ungeselligkeit’: a social unsociability which reinforces rather than sublates atomization.

    As the decade of protests made clear, however, Bagehot’s formula no longer holds. Passive support for the ruling order cannot be assured; citizens are willing to revolt in significant numbers. Yet fledgling social movements remain crippled by the neoliberal offensive against civil society. How best to conceptualize this new conjuncture? Here the concept of ‘hyperpolitics’ – a form of politicization without clear political consequences – may be useful. Post-politics was finished off by the 2010s. The public sphere has been repoliticized and re-enchanted, but on terms which are more individualistic and short-termist, evoking the fluidity and ephemerality of the online world. This is an abidingly ‘low’ form of politics – low-cost, low-entry, low-duration, and all too often, low-value. It is distinct both from the post-politics of the 1990s, in which public and private were radically separated, and from the traditional mass politics of the twentieth century. What we are left with is a grin without a cat: a politics without policy influence or institutional ties.

    If the hyperpolitical present appears to reflect the online world – with its curious mix of activism and atomization – it can also be compared to another amorphous entity: the market. As Hayek noted, the psychology of planning and mass politics were closely related: politicians would bide their time over decades; Soviet planners read human needs across five-years plans; Mao, keenly aware of the longue durée, hibernated in rural exile for more than twenty years; the Nazis measured their time in millennia. The horizon of the market, however, is much nearer: the oscillations of the business cycle offer instant rewards. Today, politicians wonder whether they can launch their campaigns in a matter of weeks, citizens turn out to demonstrate for a day, influencers petition or protest with a monosyllabic tweet.

    The result is a preponderance of ‘wars of movement’ over ‘wars of position’, with the primary forms of political engagement as fleeting as market transactions. This is more a matter of necessity than of choice: the legislative environment for durable institution-building remains hostile, and activists must contend with a vitiated social landscape and an unprecedentedly expansive Kulturindustrie. Beneath such structural constraints lie questions of strategy. While the internet has radically lowered the costs of political expression, it has also pulverized the terrain of radical politics, blurring the borders between party and society and spawning a chaos of online actors. As Eric Hobsbawm observed, collective bargaining ‘by riot’ remains preferable to post-political apathy. The jacquerie of European farmers in the last months clearly indicates the (right-wing) potential of such wars of movement. Yet without formalized membership models, contemporary protest politics is unlikely to return us to the ‘superpolitical’ 1930s. Instead, it may usher in postmodern renditions of ancien régime peasant uprisings: an oscillation between passivity and activity, yet one that rarely reduces the overall power differential within society. Hence the K-shaped recovery of the 2020s: a trajectory that would please neither Bagehot nor Marx.

    #politique #philosophie #libéralisme #société #organisations #mouvement_ouvrier #activisme #individualisme

  • Victoire contre les polluants éternels
    https://www.off-investigation.fr/victoire-contre-les-polluants-eternels

    Pour la première fois, les députés ont adopté une loi visant à interdire les produits contenant des PFAS, ces polluants éternels dangereux pour la santé et que l’on trouve partout. Une première victoire sur une longue route, où le gouvernement, la majorité, LR et le RN se sont révélés à la botte des lobbies industriels pro-PFAS.Lire la suite : Victoire contre les polluants éternels

    #Enquêtes

  • Reconnaissance faciale : Gérald Darmanin veut enterrer « l’affaire Briefcam »
    https://disclose.ngo/fr/article/reconnaissance-faciale-gerald-darmanin-veut-enterrer-laffaire-briefcam

    En novembre, à la suite des révélations de Disclose sur l’utilisation par la police du logiciel de reconnaissance faciale Briefcam, Gérald Darmanin annonçait le lancement d’une enquête indépendante dont les conclusions devaient être rendues « sous trois mois ». Alors que le ministère de l’intérieur refuse de communiquer sur le sujet, un rapport confidentiel démontre que la fonction reconnaissance faciale est « activée par défaut » depuis 2018. Lire l’article

  • L’échec des protestations de masse à l’ère de l’atomisation
    https://lvsl.fr/lechec-des-protestations-de-masse-a-lere-de-latomisation

    L’époque est marquée par une résurgence des protestations, et une radicalisation de leur mode opératoire. Paradoxalement, elles ont une prise de moins en moins forte sur la réalité politique. Que l’on pense à l’invasion du Capitole aux États-Unis à l’issue de la défaite de Donald Trump, ou aux manifestations de masse qui secouent aujourd’hui l’Europe sur la question palestinienne, un gouffre se creuse entre les moyens déployés et l’impact sur le cours des choses. Pour le comprendre, il faut appréhender les décennies d’atomisation qui ont conduit à la situation actuelle, où la politique de masse semble condamnée à l’impuissance. Par Anton Jäger, traduction Alexandra Knez.
    Cet article a été originellement publié sur Sidecar, le blog de la New Left Review, sous le titre « Political Instincts ? ».

    Deux hommes en tenue paramilitaire de piètre qualité se tiennent l’un à côté de l’autre, leurs casquettes MAGA dépassant la marée tourbillonnante de drapeaux et de mégaphones. « On peut prendre ce truc », s’exclame le premier. « Et après, on fera quoi ? », demande son compagnon. « On mettra des têtes sur des piques ». Trois ans plus tard, ces scènes rocambolesques de l’émeute du Capitole du 6 janvier, désormais bien ancrées dans l’inconscient politique, apparaissent comme un miroir grossissant de l’époque. Elles illustrent surtout une culture dans laquelle l’action politique a été découplée de ses résultats concrets.

    Ce soulèvement a incité des milliers d’Américains à envahir le siège de l’hégémonie mondiale. Pourtant, cette action n’a pas eu de conséquences institutionnelles tangibles. Le palais d’hiver américain a été pris d’assaut, mais cela n’a pas débouché sur un coup d’État révolutionnaire ni sur un affrontement entre deux pouvoirs. Au lieu de cela, la plupart des insurgés – des fantassins de la lumpenbourgeoisie américaine, des vendeurs de cosmétiques new-yorkais aux agents immobiliers floridiens – ont rapidement été arrêtés sur le chemin du retour, incriminés par leurs livestreams et leurs publications sur les réseaux sociaux. Aujourd’hui, il ne reste plus grand-chose de cette fronde trumpienne, alors que l’ex-président se prépare à sa prochaine croisade. Un putsch similaire au Brésil n’a pas non plus abouti.

    • Le XIXè siècle a été marqué par un besoin plus pressant de garantir une passivité politique généralisée. Comme l’a fait remarquer Moses Finley, être citoyen dans l’Athènes d’Aristote c’était de facto être actif, avec peu de distinction entre les droits civiques et politiques, et des frontières rigides entre les esclaves et les non-esclaves. Dans les années 1830 et 1840, le mouvement pour le suffrage universel a rendu ces démarcations impossibles. Les prolétaires ambitionnaient de se transformer en citoyens actifs, menaçant ainsi l’ordre établi du règne de la propriété privée construit après 1789. Pour enrayer cette perspective, il fallait construire une nouvelle cité censitaire, dans laquelle les masses seraient exclues de la prise de décision, tandis que les élites pourraient continuer à mettre en œuvre la soi-disant volonté démocratique. Le régime plébiscitaire de Louis Bonaparte III, qualifié de « politique du sac de pommes de terre » dans Le 18 Brumaire de Marx, en est une manifestation. Cette « antirévolution créative », comme l’a appelée Hans Rosenberg, était une tentative de cadrer le suffrage universel en le plaçant dans des contraintes autoritaires qui permettraient la modernisation capitaliste.

      Walter Bagehot – sommité du magazine The Economist, théoricien de la Banque centrale et chantre de la Constitution anglaise – a défendu le coup d’État de Bonaparte en 1851 comme le seul moyen de concilier démocratisation et accumulation du capital. « Nous n’avons pas d’esclaves à contenir par des terreurs spéciales et une législation indépendante », écrivait-il. « Mais nous avons des classes entières incapables de comprendre l’idée d’une constitution, incapables de ressentir le moindre attachement à des lois impersonnelles. Le bonapartisme était une solution naturelle. La question a été posée au peuple français : « Voulez-vous être gouvernés par Louis Napoléon ? Serez-vous gouvernés par Louis Napoléon ou par une assemblée ? » Le peuple français répondit : « Nous serons gouvernés par le seul homme que nous pouvons imaginer, et non par le grand nombre de personnes que nous ne pouvons pas imaginer ».

      Bagehot affirmait que les socialistes et les libéraux qui se plaignaient de l’autoritarisme de Bonaparte étaient eux-mêmes coupables de trahir la démocratie. Commentant le résultat d’un plébiscite de 1870 qui a ratifié certaines des réformes de Bonaparte, il a affirmé que ces critiques « devraient apprendre […] que s’ils sont de vrais démocrates, ils ne devraient plus tenter de perturber l’ordre existant, au moins pendant la vie de l’empereur ». Pour eux, écrivait-il, « la démocratie semble consister le plus souvent à utiliser librement le nom du peuple contre la grande majorité du peuple ». Telle était la réponse capitaliste appropriée à la politique de masse : l’atomisation forcée du peuple – réprimant le syndicalisme pour garantir les intérêts du capital, avec le soutien passif d’une société démobilisée.

      Richard Tuck a décrit les nouvelles variantes de cette tradition au XXè siècle, dont témoignent les travaux de Vilfredo Pareto, Kenneth Arrow et Mancur Olson, entre autres. Pour ces personnalités, l’action collective et la mise en commun des intérêts étaient exigeantes et peu attrayantes ; le vote aux élections était généralement exercé avec réticence plutôt qu’avec conviction ; les syndicats profitaient autant aux membres qu’aux non-membres ; et les termes du contrat social devaient souvent être imposés par la force.

      Dans les années 1950, Arrow a recyclé une idée proposée à l’origine par le marquis de Condorcet, affirmant qu’il était théoriquement impossible pour trois électeurs d’assurer une harmonie parfaite entre leurs préférences (si l’électeur un préférait A à B et C, l’électeur deux B à C et A, et l’électeur trois C à A et B, la formation d’une préférence majoritaire était impossible sans une intervention dictatoriale). Le « théorème d’impossibilité » d’Arrow a été considéré comme une preuve que l’action collective elle-même était pleine de contradictions ; Olson l’a radicalisé pour promouvoir sa thèse selon laquelle le parasitisme était la règle plutôt que l’exception dans les grandes organisations. Ainsi la conclusion selon laquelle l’homme n’est pas naturellement enclin à la politique a fini par dominer ce domaine de la littérature sceptique de l’après-guerre.

      Vers la fin du vingtième siècle, avec la baisse drastique de la participation électorale, la forte baisse du nombre de jours de grève et le processus plus large de retrait de la vie politique organisée, l’apolitisme humain a semblé passer d’un discours académique à une réalité empirique. Alors que Kant parlait d’une « insociable sociabilité », on pourrait désormais parler d’une « insociabilité sociable » : une insociabilité qui renforce l’atomisation au lieu de la sublimer.

      Toutefois, comme l’a montré la décennie de contestations, la formule de Bagehot ne tient plus. Le soutien passif à l’ordre en place ne peut être assuré ; les citoyens sont prêts à se révolter en grand nombre. Pourtant, les mouvements sociaux naissants restent paralysés par l’offensive néolibérale contre la société civile. Comment conceptualiser au mieux cette nouvelle conjoncture ? Le concept d’ « hyperpolitique » – une forme de politisation sans conséquences politiques claires – peut s’avérer utile. La post-politique s’est achevée dans les années 2010. La sphère publique a été repolitisée et réenchantée, mais dans des termes plus individualistes et court-termistes, évoquant la fluidité et l’éphémérité du monde en ligne. Il s’agit d’une forme d’action politique toujours « modique » – peu coûteuse, accessible, de faible durée et, trop souvent, de faible valeur. Elle se distingue à la fois de la post-politique des années 1990, dans laquelle le public et le privé ont été radicalement séparés, et des politiques de masse traditionnelles du vingtième siècle. Ce qui nous reste, c’est un sourire sans chat (ndlr. Le chat de Cheshire d’Alice aux pays des merveilles) : une action politique sans influence sur les politiques gouvernementales ni liens institutionnels.

      Si le présent hyperpolitique semble refléter le monde en ligne – avec son curieux mélange d’activisme et d’atomisation – il peut également être comparé à une autre entité amorphe : le marché. Comme l’a noté Hayek, la psychologie de la planification et la politique de masse sont étroitement liées : les politiciens guettent leurs opportunités sur des décennies ; Les planificateurs soviétiques évaluaient les besoins humains au travers de plans quinquennaux ; Mao, très conscient de la longue durée, a hiberné en exil rural pendant plus de vingt ans ; les nazis mesuraient leur temps en millénaires. L’horizon du marché, lui, est beaucoup plus proche : les oscillations du cycle économique offrent des récompenses instantanées. Aujourd’hui, les hommes politiques se demandent s’ils peuvent lancer leur campagne en quelques semaines, les citoyens manifestent pour une journée, les influenceurs pétitionnent ou protestent avec un tweet monosyllabique.

      Il en résulte une prépondérance des « guerres de mouvement » sur les « guerres de position », les principales formes d’engagement politique étant aussi éphémères que les transactions commerciales. Il s’agit plus d’une question de nécessité que de choix : l’environnement législatif pour la mise en place d’institutions durables reste hostile, et les militants doivent faire face à un paysage social vicié et à une Kulturindustrie d’une ampleur sans précédent. Sous ces contraintes structurelles se cachent des questions de stratégie. Si l’internet a radicalement réduit les coûts de l’expression politique, il a également pulvérisé le terrain de la politique radicale, brouillant les frontières entre le parti et la société et engendrant un chaos d’acteurs en ligne. Comme le remarquait Eric Hobsbawm, la négociation collective « par l’émeute » reste préférable à l’apathie post-politique.

      La jacquerie des agriculteurs européens au cours des derniers mois indique clairement le potentiel (conservateur) de ces guerres de mouvement. Cependant, en l’absence de modèles d’adhésion formalisés, il est peu probable que la politique de protestation contemporaine nous ramène aux années « superpolitiques » de la décennie 1930. Au contraire, elle pourrait donner lieu à des reproductions postmodernes de soulèvements paysans de l’ancien régime : une oscillation entre la passivité et l’activité, mais qui réduit rarement le différentiel de pouvoir global au sein de la société. D’où la reprise en forme de K des années 2020 : une trajectoire qui n’aurait agréé ni à Bagehot, ni à Marx.

    • Texte original (EN) https://seenthis.net/messages/1049204

      Très intéressant.

      Le sujet mérite qu’on s’intéresse à ses raisons et expressions matérielles précises. Le texte en qustion ne mentionne jamais les relations entre les classes économiques et nous prive ainsi d’une compréhention effective du problème.


      Là on nous décrit des phénomènes et indique quelques penseurs non-matérialistes historiques qui ont travaillé sur la philosophie politique. Bref c’est le point de vue des puissants . Il faudra développer les idées en attaquant la réalité.

      cf. https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Th%C3%A8ses_sur_Feuerbach

      Le titre français de l’article est intéressant parce qu’il n’a rien à faire avec le sens de l’article. « Political Instinct ? » est le titre du text anglais. On y apprend qu’il y a « atomisation » et baisse des journées de grève mais c’est tout. On le savait déjà. On peut aller plus loin en passant de la théorie à la pratique.

      Conséquence de la réflexion : il faut défendre les organisations ouvrières et travailler pour la constitution de structures acceuillantes, solidaires et solides qui seront adaptées à notre existence à l’ère de l’internet.

      #politique #philosophie #libéralisme #société #organisations #mouvement_ouvrier #activisme #individualisme

  • C’est un coup d’Etat ? Non, une révolution !

    ersonne ne le sait encore, mais cette ode à la dignité de Grândola, une ville de l’Alentejo, deviendra l’hymne de la révolution portugaise. Ce soir-là, comme pour toutes les manifestations culturelles, la police politique contrôle préalablement le répertoire des artistes qui vont se produire sur scène. Curieusement, Grândola, Vila Morena passe au travers des mailles de la censure.

    Personne, à part les conjurés, ne le sait encore mais quelques jours plus tôt, le 24 mars, le comité de coordination du Mouvement des forces armées a tenu sa dernière réunion clandestine et fixé la date de ce qui allait être le début de la révolution portugaise.

    Portugal : La révolution des œillets
    Coordinateurs : Christian Mahieux, Patrick Silberstein
    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/04/09/cest-un-coup-detat-non-une-revolution

    #international #portugal

  • Berliner zu arm? Christoph Gröner verrät, warum er in der Hauptstadt nicht mehr baut
    https://www.berliner-zeitung.de/wirtschaft-verantwortung/berliner-zu-arm-christoph-groener-verraet-warum-er-in-der-hauptstad

    9.4.2024 von Liudmila Kotlyarova - Teure Grundstücke, schwache Kaufkraft: Einer der größten Bauherren Deutschlands erzählt im Interview, warum Berlin beim Wohnungsbau absackt und was man dagegen tun könnte.

    Christoph Gröner, einer der größten und prominentesten Bauherren in Deutschland, hat geschäftlich seinen Sitz in Berlin – baut hier aber seit zwei Jahren nichts mehr.

    Er war 2020 der Big Spender der Berliner CDU: 820.000 Euro ließ Gröner der Partei insgesamt zukommen. Auf dem Zukunftsforum seiner Gröner Group Ende März in Berlin erklärte er sich zum überzeugten Sozialdemokraten. Wie passt das zusammen? Wir haben mit ihm gesprochen.

    Herr Gröner, Sie haben ökologisches Bauen zu Ihrer Unternehmensstrategie erklärt. Die Baukosten seien jedoch „komplett aus dem Ruder gelaufen“, merkt die deutsche Wohnungswirtschaft an. Wie wollen Sie erreichen, dass bezahlbare Wohnungen nicht bald reines Wunschdenken werden?

    Es ist nicht das Bauen, das das Wohnen unbezahlbar macht. In München liegen die reinen Baukosten zwischen 3000 und 4000 Euro pro Quadratmeter, die Grundstückspreise dagegen bei 6000 bis 8000 Euro. Bei einem Bauobjekt kommen wir auf bis zu 12.000 Euro Gesamtkosten pro Quadratmeter. In Hamburg kosten die Grundstücke ebenfalls 5000 bis 6000 Euro und das Bauen ähnlich wie in München. In Leipzig ist das Land mit 1000 bis 2000 Euro pro Quadratmeter noch deutlich günstiger.

    Und wie ist es in Berlin?Berlin hat eine interessante Entwicklung hinter sich. Als ich 2010 mit dem Bauen in der Hauptstadt begann, lagen die Grundstückspreise bei 700 Euro pro Quadratmeter. Wir konnten für 2000 Euro pro Quadratmeter bauen und sehr günstigen Wohnraum zum Preis von 3000 bis 4000 Euro pro Quadratmeter anbieten.

    Schon 15 Jahre später kostete der gleiche Baugrund fast das Zehnfache. Wenn wir heute über eine Miete im Neubau von 20 bis 25 Euro pro Quadratmeter in Berlin sprechen, macht eben der Grundstücksteil zwei Drittel dieser Miete, und das Bauen acht, neun, vielleicht zehn Euro aus. Sicher haben wir bei den Baukosten in den letzten 20 Jahren fast eine Verdoppelung vorgenommen. Aber nicht die höheren Baukosten sind unser erstes Problem, sondern die Tatsache, dass das knappe Gut der Grundstücke den Spekulanten überlassen wurde.

    Wir kriegen ein Grundstück sehr teuer serviert und machen nur eine Marge von 15 oder 20 Prozent darauf. Und wenn nach außen das Preisschild von 6000 oder 8000 Euro pro Quadratmeter steht, sind wir dann die bösen Bauträger.

    Steglitzer Kreisel: „Wer da klagt, sind sture Leute“

    Aber Sie machen sicher keine Verluste. Den Steglitzer Kreisel sind Sie rechtzeitig losgeworden, und unglückliche Käufer klagen jetzt gegen den neuen Eigentümer. Wie sehen Sie dieses Problem?

    Wenn beim Steglitzer Kreisel eine Wohnung anbezahlt wurde, kann der Käufer sein Geld über den Notar zurückerstattet bekommen. Wer da klagt, sind sture Leute, die es nicht akzeptieren, dass man von einem Immobilienunternehmen, das die Umsetzung nicht bewerkstelligt bekommt, die Umsetzung auch gerichtlich nicht erzwingen kann.

    Die Gesellschaft, der heute der Steglitzer Kreisel gehört (Adler Group, Anm.d.Red.), ist derzeit aus verschiedenen Gründen nicht in der Lage, diesen Bau zu realisieren. Es gibt finanzielle, technologische Fragen, aber auch die Genehmigung des Sockels ist eine große Herausforderung. Ich habe seinerzeit als CEO der CG Gruppe AG vor Jahren den Bau begonnen und bin dann von Mehrheitsgesellschaftern aus meinem eigenen Unternehmen gedrängt worden. Und damit ist mir die Verantwortung für die Fertigstellung quasi entrissen worden.

    In dem Fall ist aber niemandem ein Schaden entstanden, außer dass der ein oder andere Kunde den Traum hat, aus 100 Metern Höhe aus seinem Apartment nach Tempelhof zu schauen und das zu günstigsten Konditionen. In Wirklichkeit haben wir andere Probleme. Wir haben viele Kunden in Deutschland, die tatsächlich vor der Insolvenz eines Bauträgers stehen, die Kaufpreise einbezahlt haben und dann ihre Wohnung nicht bekommen. Das ist sehr belastend für junge Familien, die sich ihren Traum erfüllen wollten, oder Kapitalanleger, die jetzt ihre Rendite nicht ausbezahlt bekommen, sowie alle anderen Käufer und Bürger, die in einer solchen Situation stecken.

    Was bauen Sie derzeit in Berlin, auf welche Projekte sind Sie stolz?

    Wir haben uns in den letzten zwei Jahren sehr zurückgehalten. Bis dahin haben wir über 5000 Wohnungen in Berlin gebaut, darunter die Lichtenberger Lofts oder ein Apartmenthaus in der Otto-Suhr-Allee in Charlottenburg. In Berlin haben wir ein ganz großes Potenzial.

    Wir haben uns 2022 allerdings zurückgezogen, weil die Grundstückspreise explodiert sind. Bereits im Jahr 2021 hat mein Unternehmen aufgehört, irgendetwas in Berlin zu kaufen, weil der Neubau sich nicht mehr rechnete.

    Um es kurz zu machen: Die Kaufkraft einer Stadt, einer Kommune oder eines Volkes bestimmt den Immobilienpreis. Ich könnte die Verknappung zwar dafür nutzen, um einen exorbitanten Preis aufzurufen, und das kann auch kurz funktionieren. Aber auf Dauer funktioniert das nicht. Im Augenblick sind wir ausgestiegen, weil die Kaufkraft eines Berliners nicht mehr den Mietpreis bedienen kann, den ich brauche, um die Grundstückkosten zu bezahlen und noch etwas zu verdienen.
    Neue Wohnungen: „Kaufkraft in Berlin ist für eine Hauptstadt sehr schlecht“

    Die Berliner sind für Sie also zu arm. Haben Sie sich deswegen auf andere Städte umorientiert?

    Wir sind seit 20 Jahren in ganz Deutschland unterwegs, haben Standorte unter anderem in Köln, Leipzig und Karlsruhe. Wenn Sie von Köln nach Frankfurt, Karlsruhe, Augsburg, Stuttgart, München gehen, haben Sie natürlich eine ganz andere Kaufkraft als hier in Berlin. Und interessanterweise sind die Immobilien da nicht unbedingt teurer als in Berlin.

    Es ist in der Tat eine schlechte Nachricht, dass die Kaufkraft in Berlin für eine Hauptstadt in Europa sehr schlecht ist. Wenn Sie überlegen, dass selbst in Prag die Kaufkraft 1,5 Mal so groß ist wie in Berlin, dann ist das ein trauriges Ergebnis, das einer seit Jahrzehnten verfehlten Wirtschaftspolitik.

    Die Realität ist aber, dass auch gebürtige Berliner sich oft keinen neuen Mietvertrag leisten können, geschweige denn eine Eigentumswohnung.

    Man kann sich immer darüber unterhalten, dass sich niemand eine Wohnung leisten kann. Aber man könnte auch mal die Frage stellen: Wieso kann sich niemand eine Wohnung leisten? Weil es geil bzw. sexy ist, arm zu sein, wie es einmal der Slogan von Berlin war? Das tut mir ein bisschen leid für diese Stadt.

    Es wird dann gesagt, Berlin sollte weiter sozial durchmischt bleiben, Quartiere für Menschen mit günstigeren Mieten sollten neu hergestellt bzw. bewahrt werden. Und dann scheitern wir schon schnell an ideologischen Straßenkämpfen in dieser Stadt.

    Hier ein Beispiel: Ich war bis 2019 für den Postbanktower in Kreuzberg zuständig. Die Politik lehnte das ausgewogene Planungskonzept mit 400 frei finanzierten Wohnungen jedoch ab und entschied, dass ausschließlich Sozialwohnungen (und anstatt von Wohnungen für den frei finanzierten Markt teure Büroflächen) entstehen sollten. Es wurde aus rein ideologischen Gründen verhindert, Wohnraum zu schaffen. Ich finde den Wunsch nach bezahlbarem Wohnraum berechtigt. Aber es muss auch der Bürger bedient werden, der sich eine Wohnung im freien Markt leisten kann. Das führt dann zu einer gesunden Durchmischung.

    Die Politik hat nun einen allmählichen Heizungstausch eingeleitet. Setzen Sie auch auf Wärmepumpen?

    Ich bin ein absoluter Fan von Geothermie. Ich finde den Ansatz sehr schön, dass wir die Wärme zum Heizen und Kühlen aus der Erde holen und die Ausschläge in der Temperatur nach oben und dann wieder nach unten kalibrieren können. Das kann man dauerhaft so regulieren, dass man für diese Zwecke kaum noch Strom verbraucht. Und Geothermie funktioniert auch bei den Hochhäusern auf dem dafür geeigneten Boden sehr gut, bei Felsen geht es dann manchmal nicht. Bei unseren Projekten in Köln, Karlsruhe, Stuttgart und München bauen wir bereits die Geothermie ein.

    Doch grundsätzlich hat jedes Projekt seine Herausforderung und seine Lösung. In Berlin würden wir künftig theoretisch eher mit Photovoltaik, Luft-Wärmepumpen und mit dem Blockkraftwerk arbeiten.
    Energiewende: „Ich bezweifle, dass das Stromnetz den Ausbau der Elektromobilität mittragen kann“

    Deutschlands zweitgrößter Vermieter, LEG Immobilien, will ab 2027 jährlich bis zu 9000 Wohnungen auf Luft-Luft-Wärmepumpen oder Split-Klimaanlagen umstellen. Wäre das etwas für Sie?Das ist nicht bezahlbar und auch energetisch nicht vertretbar. Die Stromnetze werden es in dem Ausmaß nicht schaffen. Ich bezweifle auch, dass das Stromnetz den Ausbau der Elektromobilität mittragen kann. Wir schalten Atomkraftwerke aus und fahren dann Kohlekraftwerke hoch, um mehr Strom zu produzieren. Das ist Unfug, ich will mich an so was nicht beteiligen.

    Wenn wir im Sommer dann draußen nachts 32 Grad haben und alle die Wohnung auf 18 Grad herunterkühlen werden, dann ist es vorbei mit dem Klimaschutz, solange wir nicht ausreichend grünen Strom produzieren, aber auch Wasserstoff als Alternative zum Strom.

    Sie nennen sich einen überzeugten Sozialdemokraten. Gleichzeitig haben Sie 2020 mehr als 800.000 Euro an die Berliner CDU gespendet: Warum?

    Die Sozialdemokraten sind für mich in ihrer Ursprungsform keine Ideologen. Das sind Menschen, die Chancengerechtigkeit wollen, die fleißigen, engagierten Menschen eine Zukunft geben, die trotzdem in der Lage sind, wenn es notwendig ist, Menschen dazu aufzufordern, etwas abzugeben, damit der Ausgleich stattfindet. Ich habe im Zusammenhang mit der CDU-Spende deutlich gemacht, dass dies nichts mit meinem Wahlverhalten zu tun hat und ich deshalb noch lange nicht diese Partei wähle.

    Ich habe die Spende jedoch gemacht, weil ich der Überzeugung war, dass die Stadt Berlin eine bürgerliche Klasse haben muss. Die Stadt war den Grünen, den Linken und der SPD und ein paar versprengten Ehrhardt-CDU-Leuten ausgeliefert, die nicht in der Lage waren, einen vernünftigen Ausgleich zwischen sozialer Gerechtigkeit und wirtschaftlicher Prosperität zu schaffen. Die CDU ist doch morgen wieder weg. Aber sie ist stark genug, um mitzuwirken. Die SPD ist stark genug, um mitzuwirken. Und es bleibt doch der Einfluss der Linken und der Menschen, die auch die Verteilung propagieren.
    „Wenn am Schluss der Polizist ohne Wohnung ausgeht, wird er die AfD wählen“

    Was sind Ihre Vorschläge gegen den Wohnungsmangel in Berlin? Der BBU Verband Berlin-Brandenburgischer Wohnungsunternehmen e. V. schlägt etwa Mehrgeschossigkeit vor.

    Wir können mit einem Helikopter über Berlin fliegen, und ich zeige Ihnen Flächen für 200.000 Wohnungen. Wir müssen die Ressourcen, die wir haben, besser nutzen. Da, wo ein einstöckiges Gebäude ist, müssen wir ein fünfstöckiges bauen. Wir müssen jetzt nicht zehn, siebzehn Stockwerke bauen, es reichen auch sieben oder acht. Wir müssen nur vor allen Dingen schnell Baurecht schaffen.

    Und ich schlage es schon länger vor: Lassen Sie uns doch die Autobahn überdecken. Das ist überhaupt kein Problem. Ich habe der früheren Verkehrssenatorin Bettina Jarasch (Grüne) angeboten, mit ihr über die von uns erstellten Pläne zu diskutieren, wie wir auf die Weise 60.000 Wohnungen bauen können: 50 Prozent davon bezahlbar, 50 Prozent frei finanziert und 100 Prozent CO₂-neutral. Leider gab es dazu keine Reaktion. Mit dem Bauen könnten die Berliner „morgen“ beginnen.

    Es fehlt also die Bereitschaft der Politik?

    Es fehlt die Bereitschaft der Politik, da mitzuwirken. Die Immobilienwirtschaft wird von allen Parteien seit vielen Jahren als Faustpfand für die Ideologie genommen. Ich gehe nach Kreuzberg und bekomme ein Bauprojekt nicht genehmigt, weil mir der Verordnete der Linken sagt: Wenn hier 400 Menschen mit mittleren bis höheren Einkommen einziehen, verliere ich mein Mandat, weil ich 400 Menschen mehr habe, die garantiert nicht links wählen.

    In gleicher Weise argumentiert ein Bürgermeister der CSU eines Vororts in München. Dort spricht man offen darüber, dass die Zuziehenden oftmals jung und damit eher den Grünen oder den Sozialdemokraten zugewandt sind. Also ist auch dort das Interesse an einer neuen Bebauung nicht vorhanden – obwohl die Möglichkeit dazu besteht, da auch dort eine Wiederwahl gefährdet würde. Die Politiker sorgen leider nicht wirklich immer konsequent für mehr Wohnraum, sondern kümmern sich oft nur darum, dass sie nächstes Mal wiedergewählt werden.

    Wir müssten den Wohnungsbau aus ideologischen Diskussionen herausnehmen und einfach einen Masterplan entwickeln für diese Stadt, wo die Grünen, die FDP, die Linken, die SPD und die CDU sich überlegen: Wie entsteht möglichst schnell mehr Wohnraum? Wenn ein Polizist, ein Ukrainer und ein Syrer sich um eine Wohnung schlagen, am Schluss der Polizist immer ohne Wohnung ausgeht, wird er die AfD wählen.

    Und wir müssen das verhindern. Wenn wir Demokratie und Freiheit haben wollen, müssen wir ganz schön kämpfen, ganz schnell viele Wohnungen bauen, damit der Wohnungsmangel nicht dazu führt, dass die Menschen aus Verzweiflung anfangen, Unfug zu wählen.

    Vielen Dank für das Gespräch.

    Zum Gesprächspartner

    Christoph Gröner, 56, geb. in Karlsruhe, ist ein deutscher Immobilienunternehmer. Seit der Gründung des Unternehmens im Jahre 2008 ist er der geschäftsführende Gesellschafter, seit 2022 auch der Vorstandsvorsitzende der Gröner Group AG. Im Herbst 2023 gründete er die neue Firma ecobuilding AG, die er mit dem ehemaligen CDU-Politiker Ronald Pofalla leitet. Seine frühere Immobilienentwicklungsgesellschaft, die CG Gruppe AG, wurde 2020 vollständig von der Consus Real Estate übernommen, die zur Luxemburger Adler Group gehört.

    #Berlin #Wohnen #Immobilien #Spekulation #Stadtentwicklung #Politik

  • L’Actu des Oublié.es • SIV • EP13 • ¡ No a la Mineria ! , Partie 1
    https://ricochets.cc/L-Actu-des-Oublie-es-o-SIV-o-EP13-o-No-a-la-Mineria-Partie-1-7461.html

    Tous les deux lundis, l’Actu des Oublié.es revient sur une lutte dans le monde. Cette semaine, cap au Panama où le peuple s’est soulevé contre un projet minier. #Les_Articles

    / #Politique,_divers, #Audio, #Ecologie, #La_civilisation,_la_civilisation_industrielle, #International

    https://audioblog.arteradio.com/blog/157476/podcast/225891/saison-iv-e-p13-no-a-la-mineria-partie-1#

  • Jaja, der Andi
    https://de.wikipedia.org/wiki/Andreas_Scheuer


    Ex-Minister Scheuer ist vor allem als der Don Teflon bekannt, der ungestraft unter einem billigen Vorwand hunderte Millionen Euro Staatsknete an Freunde und Bekannte verteilte.

    Seine Rolle bei der Zerstörung des ÖPNV als Teil der öffentlichen Daseinsvorsorge wird nur selten thematisiert. Er hat duch die Abschaffung der vorgeschriebenen Ortskundeprüfung zunächst für Mietwagen- und dann Taxifahrer aus einer prekären Branche ein Spielfeld der organisierten Kriminalität gemacht, die auf staatskosten die Ärmsten der Armen ausbeutet. So ganz nebenbei hat er maßgeblich dazu beigetragen, ein Angebot des öffentlichen Nahverkehrs namens Taxi durch ein System der Ausbeutung von Fahrern und Sozialkassen zu ersetzen, ein Prozeß, der als Uberisierung bekannt ist.

    Geschätzer Schaden allein für Berlin : Mindestens 60 Millionen, nach anderen Schätzungen ein dreistelliger Millinbetrag pro Jahr.

    Scheuer ist seit August 2021 mit Julia Reuss verheiratet, die bis Ende Februar 2021 Büroleiterin von Staatsministerin Dorothee Bär war und seither als Lobbyistin bei Facebook tätig ist.

    Berufliches (4.4.2024)
    https://www.welt.de/wirtschaft/article250845832/Andreas-Scheuer-Ex-Verkehrsminister-kurbelt-seine-Zukunft-als-Unternehmensberat

    4.4.2024 - Andreas Scheuer hatte am Wochenende seinen vorzeitigen Abschied aus dem Bundestag bekannt gegeben. Zu seiner Zukunft äußerte er sich bislang nicht. Doch Dokumente zeigen, dass er gleich zwei Firmen gegründet hat. Scheuer scheint dabei aus einem politischen Debakel gelernt zu haben.
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    Am 12. Februar hatte Andreas Franz Scheuer viel zu tun: Neben seinem Job als Bundestagsabgeordneter besuchte er auch einen Notar in seiner Heimat Passau. Gleich zwei Firmen gründete der frühere CSU-Verkehrsminister an diesem Tag: erst die Positanis Holding GmbH mit Sitz in Berlin, dann die Tancredis GmbH, die der Positanis Holding gehört. Das belegen Dokumente aus dem Handelsregister, die WELT vorliegen.

    Zumindest die Holding-Gesellschaft Positanis wird ein Familienbetrieb. Neben Andreas Scheuer, 49, gibt es nur eine weitere Gesellschafterin: seine Ehefrau Julia Scheuer, 41. Allerdings werden die Anteile der Familien-Holding nicht gleichmäßig zwischen den Eheleuten verteilt.

    Laut Handelsregister gehören 80 Prozent der Firma Andreas Scheuer, nur 20 Prozent hält seine Frau. Der frühere Verkehrsminister übernahm auch in beiden Unternehmen den Job als alleiniger Geschäftsführer.

    Scheuer hatte am Wochenende überraschend angekündigt, dass er sein Bundestagsmandat vorzeitig niederlegt. Nach seiner Zeit als Verkehrsminister war Scheuer nur noch einfacher Abgeordneter der Unionsfraktion.

    Dass er bei der nächsten Bundestagswahl nicht mehr antreten wollte, war bereits seit einiger Zeit bekannt. Nun sorgt sein vorzeitiger Rückzug dafür, dass die CSU den Rest der Legislaturperiode mit einem Abgeordneten weniger bestreiten muss, da es keinen Nachrücker für Scheuer geben wird.

    Eine Holding – und eine Unternehmensberatung
    Bislang äußert sich der Ex-Politiker nicht zu seiner beruflichen Zukunft. Die Unterlagen zu den Firmengründungen geben aber immerhin einen Hinweis, was er künftig vorhat.

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    Während die Positanis Holding GmbH als Unternehmensgegenstand lediglich „das Halten von Unternehmensbeteiligungen im eigenen Namen, auf eigene Rechnung und nicht als Dienstleistung für Dritte“ sowie „die Verwaltung eigenen und fremden Vermögens“ angibt, soll die Tancredis GmbH laut ihrer Satzung die „Erbringung von Unternehmensberatungsleistungen und zugehörige Dienstleistungen“ als Zweck haben.

    Scheuer dürfte seine Zukunft demnach in der Unternehmensberatung sehen. Schon vor einigen Monaten hatte das Logistikunternehmen Mosolf, das auf den Transport für die Autoindustrie spezialisiert ist, bekannt gegeben, dass Scheuer künftig dem „Fachbeirat“ des Unternehmens angehören soll.

    Mit seiner langjährigen Erfahrung als Bundesverkehrsminister und Präsident des Vereins Asienbrücke e. V. wird er einen wertvollen Beitrag zur Weiterentwicklung unseres Unternehmens leisten“, schrieb die Firma damals im sozialen Netzwerk LinkedIn.

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    Die Reaktion fiel durchwachsen aus. „Na, dann lasst ihn besser nicht in die Vertragsabteilung......“, kommentierte ein Nutzer. Scheuer hatte als Verkehrsminister zu verantworten, dass der Bund wegen des misslungenen Versuchs eine Pkw-Maut nur für ausländische Fahrzeuge einzuführen mehr als 240 Millionen Euro Schadenersatz an die Betreiberfirmen zahlen musste.

    Scheuer hatte damals den Vertrag mit den Betreibern unterschrieben, obwohl eine Gerichtsentscheidung noch ausstand, ob eine solche Maut mit europäischem Recht zu vereinbaren ist. Scheuer hofft nun offenbar, dass seine Beratungsleistungen und Kontakte trotz dieser Vergangenheit gefragt sein werden. Eine Anfrage zu den Firmengründungen und möglichen Mandaten für die Tancredis GmbH ließ Scheuer am Dienstagnachmittag zunächst unbeantwortet.

    Aus dem Maut-Debakel etwas gelernt
    Immerhin scheint Scheuer aus den Erfahrungen des Maut-Debakels persönlich gelernt zu haben: Bei beiden Gesellschaften regelt Paragraf 6 der Satzung die Haftung des Geschäftsführers – also die von Andreas Scheuer.

    Demnach ist eine Haftung gegenüber den Gesellschaftern bei einfacher Fahrlässigkeit „generell ausgeschlossen“, bei mittlerer Fahrlässigkeit kann eine Dreiviertel-Mehrheit der Gesellschafterversammlung beschließen, dass er nicht haftet, bei grober Fahrlässigkeit muss dieser Beschluss einstimmig sein. Scheuer selbst darf nicht mitstimmen – er wäre also allein in den Händen seiner Ehefrau.

    Der Name der Beratungsfirma dürfte übrigens an eine Oper von Gioachino Rossini angelehnt sein, dessen „Tancredi“ wurde 1813 uraufgeführt. Es ist eine Tragödie um zwei verfeindete Familien, im Zentrum steht ein großes Missverständnis.

    Analogien zur Causa Scheuer sind natürlich höchstens zufällig. Wie die Geschichte ausgeht, ist offen: Es gibt eine Version der Oper, in der der Held am Ende triumphiert, in einer anderen Fassung ereilt ihn der Heldentod.

    Vor Rückzug aus Bundestag, Ex-Verkehrsminister Scheuer hat Beratungsfirma gegründet
    https://www.n-tv.de/wirtschaft/Ex-Verkehrsminister-Scheuer-hat-Beratungsfirma-gegruendet-article24846855.html

    3.4.2024 - Seine neue Karriere hat der Ex-Verkehrsminister und nun auch Ex-Bundestagsabgeordnete Scheuer bereits begonnen. Noch während seiner Abgeordnetenzeit gründete er gleich zwei Firmen. Einen weiteren Job hatte er schon im vergangenen Herbst angenommen.

    Andreas Scheuer, Ex-CSU-Verkehrsminister, dessen Name für viele vor allem mit dem Maut-Debakel verknüpft ist, hatte seinen Rückzug aus der Politik zum Ende der Legislaturperiode schon vor Monaten angekündigt. Am Ostermontag gab er dann sein Bundestagsmandat plötzlich mit sofortiger Wirkung zurück. Selbst Parteifreunde waren offenbar von diesem Rückzug überrascht. Scheuer selbst hat diesen Schritt allerdings sorgsam vorbereitet. Der nächste Abschnitt seiner Berufslaufbahn hat bereits vor Wochen begonnen.

    So hat Scheuer am 12. Februar dieses Jahres zwei neue Unternehmen gegründet. Das geht aus Handelsregistereinträgen hervor, aus denen der „Business Insider“ zitiert. Demzufolge hat Scheuer gemeinsam mit seiner Ehefrau, einer ehemaligen Mitarbeiterin in Scheuers Ministerium und später im Kanzleramt, die heute als Europa-Direktorin für Meta arbeitet, eine Firma namens Positanis Holding GmbH gegründet. Gegenstand des Unternehmens ist laut Handelsregister: „Halten von Unternehmensbeteiligungen im eigenen Namen, auf eigene Rechnung und nicht als Dienstleistung für Dritte.“ Sowie: „Verwaltung eigenen und fremden Vermögens.“

    Ein Unternehmen dieser Holding ist die ebenfalls von Scheuer gegründete Tancredis GmbH, deren Gegenstand „Erbringung von Unternehmensberatungsleistungen und zugehöriger Dienstleistungen“ ist. Geschäftsführer beider Firmen ist Scheuer. Losgelegt mit seiner Beraterkarriere hat er allerdings schon vor Gründung seiner neuen Unternehmen.

    Logistikgruppe schätzt Scheuers „Verkehrs-Expertise“
    Bereits im vergangenen Herbst verkündete die Mosolf Group, ein Logistikunternehmen aus der Region Stuttgart, den ehemaligen Bundesminister für seinen Fachbeirat gewonnen zu haben. Für das Verkehrswesen, also die Branche, für die er als Minister mehr als dreieinhalb Jahre zuständig war, bringe Scheuer „ausführliche Expertise und politisches sowie zivilgesellschaftliches Verständnis für die Herausforderungen und Chancen“ mit, heißt es in der Pressemitteilung dazu. Zudem erwähnt das Unternehmen neben Scheuers politischen Ämtern dessen Funktion als Präsident des Wirtschaftsverbands Asienbrücke. Besonders „in Entwicklung und Erschließung des asiatisch-pazifischen Marktes“ erhofft sich Mosolf laut der Pressemitteilung Hilfe Scheuers.

    Ob Scheuers neue Firma Tancredis bei ihrer Beratungstätigkeit einen ähnlichen Fokus auf das Verkehrswesen haben wird, ist unbekannt. Anfragen zu seiner beruflichen Zukunft des „Business Insiders“ ließ der Ex-Minister unbeantwortet.

    #Deutschland #Politik #Uber #Korruption

  • South Park (S04/E04) Chickenlover (9/9)
    https://www.youtube.com/watch?v=2tqPD8AX-DY


    Officer Barbrady a lu le premier livre de sa vie, Atlas Shrugged d’Ayn Rand. Sa conclusion :

    Reading totally sucks ass.

    Voilà ses arguments :

    At first I was happy how to learn to read, it seemed exciting and magical. But then I read this, Atlas Shrugged by Ayn Rand. I read every last word of this garbage and because of this piece of shit I am never reading again.

    C’est une allusion à la pratique pédagogique de donner à lire du Ayn Rand aux adolescents dans les high schools états-uniens. The Perks of Being a Wallflower (1999) de Stephen Chbosky contient plusieurs réfécences au livre Fountainhead et le place parmi les livres préférés du protagoniste Charlie .

    Extraits du texte du livre

    May 21, 1992
    ...
    So, in school Bill gave me my final book to read for the year. It’s called The Fountainhead, and it’s very long.

    When he gave me the book, Bill said, “Be skeptical about this one. It’s a great book. But try to be a filter, not a sponge.”

    Sometimes, I think Bill forgets that I am sixteen. But I am very happy that he does.
    I haven’t started reading it because I am very behind in my other classes because I spent so much time with Patrick.
    ...

    May 27, 1992 Dear friend,

    I’ve been reading The Fountainhead for the past few days, and it’s an excellent book. I read on the back cover that the author was born in Russia and came to America when she was young. She barely spoke English, but she wanted to be a great writer. I thought that was very admirable, so I sat down and tried to write a story.

    “Ian MacArthur is a wonderful sweet fellow who wears glasses and peers out of them with delight.”

    That was the first sentence. The problem was that I just could’t think of the next one. ...
    I wonder what it will be like when I leave this place. The fact that I will have to have a roommate and buy shampoo.
    ...
    I don’t know. The Fountainhead is a very good book. I hope I am being a filter.

    On comprend l’infamie d’Ayn Rand. Elle fait appel à l’estime de soi des adolescents qui oscille entre mégalomanie et dépression. Ses héros sont d’excellentes figures d’identification dans cette phase de la constitution du caracère de ses jeunes lecteurs.

    June 2, 1992
    ...
    Incidentally, I finished The Fountainhead. It was a really great experience. It’s strange to describe reading a book as a really great experience, but that’s kind of how it felt. It was a different book from the others because it wasn’t about being a kid. And it wasn’t like The Stranger or Naked Lunch even though I think it was philosophical in a way. But it wasn’t like you had to really search for the pliilo sophy. It was pretty traightforward, I thought, and the great part is that I took what the author wrote about and put it in terms of my own life. Maybe that’s what being a filter means.

    I’m not sure.

    Normal, tes jeune et tu ne dais pas encore. Donc ...

    There was this one part where the main character, who is this architect, is sitting on a boat with Inis best friend, who is a newspaper tycoon. And the newspaper tycoon says that the architect is a very cold man. The architect replies that if the boat were sinking, and there was only room in the lifeboat for one person, he would gladly give up his life for the newspaper tycoon. And then he says something like this ...

    “I would die for you. But I won’t live for you.”

    Et voilà l’effet que lui fait cette simple exposition d’idées trop faciles.

    Something like that. I think the idea is that every person has to live for his or her own life and then make the choice to share it with other people. Maybe that is what makes people “participate.” I’m not really certain. Because I don’t know if I would mind living for Sam for a while. Then again, she wouldn’t want me to, so maybe it’s a lot friendlier than all that. I hope so anyway.

    L’attitude de son psy n’améliore rien.

    I told my psychiatrist about the book and Bill and about Sam and Patrick and all their colleges, but he just keeps asking me questions about when I was younger.

    Vers la fin des années de high school son prof lui pose des questions sur Fountainhead.

    June 13, 1992
    ...
    Bill asked me about The Fountainhead, and I told him, making sure that I was a filter.
    ...
    “Charlie,” he said. “Do you know why I gave you all that extra work?”
    I shook my head no. That look on his face. It made me quiet.
    “Charlie, do you know how smart you are?”
    I just shook my head no again. He was talking for real. It was strange.
    “Charlie, you’re one of the most gifted people I’ve ever known. And I don’t mean in terms of my other students. I mean in terms of anyone I’ve ever met. That’s why I gave you the extra work. I was wondering if you were aware of that?”
    “I guess so. I don’t know.” I felt really strange. I didn’t know where this was coming from. I just wrote some essays.
    “Charlie. Please don’t take this the wrong way. I’m not trying to make you feel uncomfortable.

    June 16, 1992

    I gave Patrick On the Road, Naked Lunch, The Stranger, This Side of Paradise, Peter Pan, and A Separate Peace.
    I gave Sam To Kill a Mockingbird, The Catcher in the Rye, The Great Gatsby, Hamlet, Walden, and The Fountainhead.

    Under the books was a card that I wrote using the typewriter Sam bought me. The cards said that these were my copies of all my favorite books, and I wanted Sam and Patrick to have them because they were my two favorite people in the whole world.

    Chickenlover
    https://en.m.wikipedia.org/wiki/Chickenlover

    Original air date : May 27, 1998

    Plot

    Stan Marsh, Kyle Broflovski, Kenny McCormick, and Eric Cartman visit the Booktastic Bus, a mobile library. They are initially intrigued, but become uninterested in reading after meeting the strange driver. Word spreads that a pervert is molesting chickens in town. When Officer Barbrady starts the investigation, he is confronted with his illiteracy, which is depicted as a medical condition where a person literally sees strange symbols in place of letters. He resigns in shame and anarchy immediately breaks out. Later, he is put into the boys’ class to learn to read.

    Barbrady recruits the boys to help him with his task, showing his knowledge of the police code. From then on, Cartman patrols the town on his Big Wheel, enforcing his own brand of justice. The molester is finally caught in the petting zoo and turns out to be the bookmobile driver. He plotted this all along to encourage Barbrady to learn to read. After being given a copy of Ayn Rand’s Atlas Shrugged, Barbrady knocks the man out cold with a club to the head to teach Cartman how to properly deal with criminals, leaving him unconscious as blood pools from his head. The town holds a parade for Barbrady, and when he is asked to give a speech, he reveals how Atlas Shrugged convinced him to never read again. And at the end, Kenny finally dies after numerous attempts of deaths.

    Apparemment il faut être au courant de la lecture de Fountainhead par le protagniste Charlie si on veut avoir beaucoup de points dans la section lettres du high school exam .

    Course Hero > Literature Study Guides > The Perks Of Being A Wallflower > Part 4 May 21 1992 June 9 1992 Summary
    https://www.coursehero.com/lit/The-Perks-of-Being-a-Wallflower/part-4-may-21-1992-june-9-1992-summary

    May 21, 1992

    The school year is winding down. Charlie continues to do well in his classes, particularly English. (English teacher) Bill has given him a last book to read, Ayn Rand’s The Fountainhead. Bill tells him to “be skeptical about” it and “to be a filter, not a sponge.”

    #objectivisme #police #analphabétisme

  • Elektroautos: Berliner Tesla-Fahrer macht Schluss mit Elon Musk
    https://www.berliner-zeitung.de/wirtschaft-verantwortung/elektroautos-tesla-fahrer-in-berlin-macht-schluss-mit-elon-musk-li.

    Politische Haltung des Tesla-Boss Musk und Ideologie sind in diesem Artikel etwas ungenau bestimmt, aber immerhin sind sie als Argument gegen den Kauf seiner Produkte brschrieben. Nicht schlecht, aber da geht mehr.

    6.4.2024 von Chiara Maria Leister - E-Autos begeistern ihn, doch seinen vier Jahre alten Tesla Model 3 will der Berliner Georg Rodriguez jetzt schnell verkaufen. Was ist da los?

    Als der rote Tesla startet, ist es vor allem eines: still. So leise wie ein Fahrrad und so schnittig wie ein Porsche fährt das Elektroauto namens Dobby geschmeidig über die Straßen in Berlin-Wedding. Und eines ist klar: Wer auf Minimalismus und Technik steht, wird darin seinen Spaß haben.

    „Der kann in vier Sekunden auf 100 Kilometer pro Stunde beschleunigen“, sagt der Diplom-Ingenieur Georg Rodriguez, während er in seinem Model 3 sitzt. So begeistert er dabei klingt, bedauert er doch im nächsten Satz. „Ich muss ihn verkaufen.“ Warum will der sein Elektroauto, das er im April 2020 für mehr als 50.000 Euro gekauft hat, so schnell wie möglich loswerden?
    Tesla Model 3: „Das Auto ist toll“, aber ...

    Nach seiner ersten Fahrt mit dem roten Schlitten vor knapp vier Jahren war dem Geschäftsführer der Mutz Ingenieurgesellschaft mit Sitz in Berlin-Mitte ein bisschen schwindelig, erzählt er. Das habe an den krassen Beschleunigungsvorgängen gelegen. Daran habe er sich aber schnell gewöhnt, und seitdem kann Rodriguez sich den Tesla gar nicht mehr wegdenken: „Das Auto ist toll.“

    Für die Familie sei das Elektroauto ein loyaler Helfer im Alltag, genau wie der Elf Dobby für Harry Potter. Dass der 57-jährige Familienvater es nach 80.000 Kilometern Fahrfreude jetzt dennoch verkaufen will, mache alle unglücklich.

    „Ich will eigentlich kein anderes Auto fahren“, sagt Rodriguez über seine gehobene Mittelklasse. Aber ein Tesla sei nicht nur ein Fahrzeug – die Marke repräsentiere auch etwas. „Ich möchte nicht mit der rechten amerikanischen Bewegung in Verbindung gebracht werden“, erklärt der gebürtige Duisburger, der seit Beginn seines Studiums des technischen Umweltschutzes im Jahr 1986 in Berlin lebt. Zusammengefasst lautet das Problem für ihn also:

    Als Mitgründer und CEO hat Elon Musk das Sagen bei dem Autohersteller Tesla – immerhin ist der Businessmann für die gesamte Produktentwicklung, das Engineering und die weltweite Herstellung von Elektrofahrzeugen, Batterie- und Solarenergieprodukten des Unternehmens verantwortlich.

    „Man sollte sich im Klaren sein, dass Musk ultrarechte, konservative und ultramarktliberale Positionen vertritt und diese hinter bedingungsloser Fortschritts- und Technikgläubigkeit versteckt“, sagt Rodriguez. Mit SpaceX und Tesla habe er zwar bewiesen, dass er neue Entwicklungen realisieren könne. Gerade deshalb seien die Halbwahrheiten des CEO aber gefährlich. Das erwecke den Eindruck, dass an Musks Äußerungen etwas dran sein müsse. Um welche Äußerungen es sich hier handeln soll, darauf geht unser Gesprächspartner nicht näher ein. Stattdessen sagt er: „Tesla ist nicht von Musk zu trennen.“
    Elektroautos: Berliner Autohändler hat keine Lust mehr, die „Dinger“ zu verkaufen

    Der in seiner Wortwahl oft freche und ungezügelte Unternehmer Musk scheint weiterhin im Erfolg zu schwimmen, als Pionier in der Herstellung von E-Autos hat Tesla nun mal die Nase vorn. Das Model Y wurde laut der Autodatenbank Jato Dynamics im vergangenen Jahr insgesamt 1,23 Millionen Mal verkauft – damit ist der Elektro-SUV das weltweit meistverkaufte Auto. Ist diese Leistung von Dauer? „Dieses Jahr wird es eventuell ein chinesisches BYD-Modell werden“, prophezeit der Chemiker und Experte für elektrochemische Energiespeicherung Prof. Dr. Maximilian Fichtner auf Anfrage.

    Bei einem Blick auf die Tesla-Neuzulassungen in Deutschland zeigt sich schon im Jahr 2023 ein Rückgang: Im Vergleich zum Vorjahr wurden mit 63.682 Autos insgesamt neun Prozent weniger zugelassen. Auch auf dem amerikanischen Markt hat der führende Hersteller für batteriebetriebene Elektrofahrzeuge (BEV) im vergangenen Jahr mit 498.000 Fahrzeugen sieben Prozent weniger verkauft als noch ein Jahr zuvor. Ein Autohändler aus Marzahn kritisierte zudem kürzlich in der Berliner Zeitung, dass Teslas aufgrund der häufigen Preisschwankungen schwer zu kalkulieren seien. Kommen düstere Zeiten für Musk und sein fahrendes Baby?

    Markt für Elektroautos: „Jetzt kommt die Phase der Massenproduktion“

    Rodriguez, der seit mehr als 30 Jahren Firmen und Haushalte in Sachen Energieeffizienz berät und leidenschaftlicher Tesla-Fahrer ist, glaubt weiterhin an das Produkt von Tesla. „Die Entwicklungsphase ist jetzt vorbei, jetzt kommt die Phase der Massenproduktion, der absoluten Serienreife“, sagt er. Neue, günstigere Modelle kämen auf den Markt, was den Preis von Elektroautos auf dem Gebrauchtwagenmarkt drücke. „Aber die Preise werden fallen und müssen fallen, damit es massentauglich wird“, bekräftigt der Tesla-Fahrer.

    Beispielsweise hat der chinesische Hersteller für Elektroautos BYD die Produktion eines elektrischen Kleinwagens für 9000 Euro angekündigt. Außerdem hat das Unternehmen aus China im vierten Quartal 2023 mit mehr als 500.000 verkauften BEVs weltweit erstmals die Auslieferungen des Konkurrenten Tesla übertroffen.

    Rodriguez betont, dass das Ladenetz von Tesla einmalig sei und die Software einwandfrei funktioniere. Das kann man von den Chinesen bisher noch nicht behaupten, immerhin ist der Nio, den die Berliner Zeitung im vergangenen Jahr getestet hat, in Sachen Technik durchgefallen. Ob BYD für nur 9000 Euro eine entsprechende Qualität anbieten kann, bleibt abzuwarten.

    Genauso bleibt offen, ob sich die Nachfrage nach E-Autos in Deutschland nach dem Wegfall der Kaufprämie wieder erholen wird. Knapp 27.500 Autos mit reinem Batterieantrieb wurden laut ADAC im Februar 2024 neu zugelassen – das waren circa 15 Prozent weniger als im Vorjahresmonat.
    Tesla-Fahrer enttäuscht: Supercomputer Dojo für 7500 Euro

    Per Handy-App kann das Model 3 ferngesteuert und geortet werden. Eigentlich ist es ein Spielzeug für Technikbegeisterte. Das Öffnen der Türen funktioniert ganz ohne Schlüssel, es reicht, wenn die registrierten Smartphones in unmittelbarer Nähe sind. Die Kameras innerhalb und außerhalb des Autos ermöglichen eine Rundumsicht. Auch kann das Auto selbstständig rückwärts- oder vorwärtsfahren. „Meiner Frau dauert das aber zu lange“, sagt Rodriguez.

    Was aber, wenn die Technik mal aussetzt? Gefragt, getan. In seinem roten Tesla fahrend schaltet unser Gesprächspartner den Bildschirm, quasi das digitale Hirn des Autos, aus. Was passiert jetzt? Nichts, das E-Auto fährt ganz normal weiter, nur blinken kann es nicht mehr.

    Und so sehr er das Fahrzeug auch lobt, in einer Sache ist Rodriguez enttäuscht: Er ist technikaffin, will mit dem Fortschritt gehen und hat deshalb 7500 Euro für den Supercomputer Dojo – ein Softwareupdate, das das autonome Fahren der Teslas optimieren soll – ausgegeben. Während der vergangenen vier Jahre habe er keinen signifikanten Fortschritt feststellen können. Zwar lenke sein E-Auto auf der Autobahn selbst, doch die Verkehrszeichen-Entwicklung sei mangelhaft, und bahnbrechende Updates habe es noch nicht gegeben. „Das geht nicht so schnell, wie Elon Musk es ursprünglich angekündigt hat“, sagt Rodriguez enttäuscht. „Ich bin auf seine Ankündigungen zum autonomen Fahren hereingefallen.“
    Georg Rodriguez will sein Elektroauto verkaufen – im April 2020 zahlte er dafür mehr als 50.000 Euro, obendrauf kamen freiwillig noch 7500 Euro für den Tesla Dojo.
    Georg Rodriguez will sein Elektroauto verkaufen – im April 2020 zahlte er dafür mehr als 50.000 Euro, obendrauf kamen freiwillig noch 7500 Euro für den Tesla Dojo.Benjamin Pritzkuleit/Berliner Zeitung
    Berliner Autofahrer: „Für mich gibt es kein Zurück zum Verbrenner“

    Das Fahrzeug begeistert ihn aber nach wie vor, allein wenn er an die Beschleunigungswerte an jeder Ampel in der Stadt oder die Lautlosigkeit und Vibrationsfreiheit denkt. „Wenn ich mich noch mal entscheiden müsste, nur nach dem Auto, würde ich mich wieder für einen Tesla entscheiden“, sagt der Geschäftsführer. Doch er bleibt konsequent, will weg von Musks Fahrtwind.

    Es steht also fest: Der Tesla-Fan wird fremdgehen und sich ein neues E-Auto zulegen – es sei die tollste Art zu fahren. „Für mich gibt es kein Zurück zum Verbrenner“, bekräftigt er. Ein wichtiges Kriterium für den Kauf eines Familienfahrzeuges gibt es da aber noch: die Reichweite. Immerhin wohnen die Schwiegereltern 400 Kilometer entfernt in Niedersachsen.
    Die Türen des Tesla Model 3 lassen sich ohne Schlüssel öffnen: Die Kameras erkennen die Handbewegung, wenn das Handy in unmittelbarer Nähe ist.
    Die Türen des Tesla Model 3 lassen sich ohne Schlüssel öffnen: Die Kameras erkennen die Handbewegung, wenn das Handy in unmittelbarer Nähe ist.Benjamin Pritzkuleit/Berliner Zeitung

    Das Model 3 muss Rodriguez auf der Strecke nur einmal aufladen. Das wird in Zukunft aber anders aussehen, denn dann möchte er eine kleinere Batterie mit einer Leistung von 54 Kilowattstunden.

    Sein Tesla hat eine Kapazität von 74 kWh. Die Reichweite liegt hier laut Hersteller bei rund 500 Kilometern. Das sieht in der Realität aber anders aus: Fährt der Geschäftsmann auf der Autobahn gleichmäßig 130 km/h, kommt er nach eigenen Angaben bei voller Batterie 300 Kilometer weit. Wolle er ohne Ladestopp bis zu den Schwiegereltern kommen, dürfte er 100 km/h fahren.

    „Wenn du nicht willst, dass deine Frau ausreist, kauf ihr ein E-Auto“, sagte dazu vor kurzem noch ein Köpenicker Autohändler zur Berliner Zeitung. Rodriguez aber erwidert: Man muss die Strecke planen und etwas mehr Gelassenheit mit auf die Fahrt bringen. Auch was das Laden in der Stadt angeht, entwarnt unser Gesprächspartner.
    Aufladen der Tesla-Batterie: 30 Euro pro Woche

    Ohne eigenen Parkplatz oder eigene Garage ist man mit dem E-Auto auf öffentliche Ladesäulen angewiesen. So muss es vor knapp vier Jahren für Rodriguez als Mieter in Wedding ein Nervenkitzel gewesen sein, als er sich das erste Mal Besitzer eines Elektroautos nennen durfte. Doch er resümiert, dass das öffentliche Ladenetz in Berlin gut funktioniert. Allerdings: „Im vergangenen Jahr hat man gemerkt, dass es viel mehr Elektroautos gibt“, sagt er. Da seien die Ladesäulen öfters besetzt gewesen. Doch es gebe wieder viele neue Ladestationen und Anbieter. Wie ist Letzteres gemeint – kann man etwa nicht an jeder Ladesäule aufladen?

    Der Energieeffizienz-Experte erklärt: Wer sich unterwegs nicht vom schwankenden Strompreis überraschen lassen will, sollte einen Vertrag abschließen. Sein Tarif sieht vor: 38 Cent je kWh. Für die Ladekarte zum Autorisieren an der Ladesäule zahlt Rodriguez einen monatlichen Festpreis von zehn Euro. Er lädt die Batterie einmal pro Woche auf – das sind im Schnitt circa 30 Euro.

    Dass sein Anbieter an einer Ladesäule nicht vertreten ist, hat er dabei noch nicht erlebt. Falls doch, könnten es auch mal 79 Cent je kWh sein. Um dieses Szenario zu vermeiden, zeigt die App an, welche Ladesäule in der Nähe verfügbar ist. Dennoch: Sein Tarif gilt für Ladesäulen mit einer Leistung von elf Kilowatt; wer die Batterie schneller aufladen will, beispielsweise an Tesla-Superchargern, muss deutlich höhere Preise in Kauf nehmen.
    Das Aufladen der Batterie: In Berlin gibt es in jedem Kiez mehrere Ladestationen.
    Das Aufladen der Batterie: In Berlin gibt es in jedem Kiez mehrere Ladestationen.Benjamin Pritzkuleit/Berliner Zeitung
    Gebrauchtwagenmarkt: Berliner will Tesla Model 3 für 30.000 Euro verkaufen

    Bei flotter Fahrweise, sprich 100 km/h, verbraucht Rodriguez um die 20 kWh, wie seinem Display zu entnehmen ist. Bei seinem aktuellen Tarif kommt er damit auf rund acht Euro. Zum Vergleich: Ein Liter Benzin kostet in Berlin momentan durchschnittlich 1,90 Euro. Bei einem Verbrauch von sechs Litern pro 100 Kilometer kommt man mit einem Benziner so auf gut elf Euro. Das heißt: Der Energieverbrauch des Tesla Model 3 ist deutlich geringer.

    Und so affin Georg Rodriguez der E-Mobilität auch sein mag, für ihn ist am Ende wichtig, die Technik bewusst und verantwortungsvoll zu nutzen. Ganz sicher ist er sich noch nicht, welches E-Auto seinen geliebten Tesla ersetzen soll, aber der neue Renault R5 geht ihm nicht mehr aus dem Kopf. „Es ist zwar ein französischer Staatskonzern, aber das Auto hätte auch wieder so einen gewissen Schick, was Emotionalität und Vernunft vereint“, erklärt Rodriguez.

    Seinen jetzigen Flitzer hofft er für 30.000 Euro zu verkaufen. Damit wäre dann auch das französische Auto finanziert. Dieses Mal dann aber nicht im eleganten Rot, sondern in Quietschgelb.

    Zur Person
    Georg Rodriguez ist 57 Jahre alt und lebt in Berlin-Wedding. Der gebürtige Duisburger hat an der TU Berlin technischen Umweltschutz studiert. Heute ist der Diplom-Ingenieur Geschäftsführer der Mutz Ingenieurgesellschaft in Berlin. Die Hauptgeschäftsfelder des Unternehmens sind die Modernisierung von Energieanlagen in Gebäuden und die Energieberatung bei Wohn- und Nichtwohngebäuden. Durch sein Studium hat der Energieeffizienz-Berater eine Affinität für umweltverträgliche Technologien wie die Elektromobilität entwickelt.

    #Tesla #Ideologie #Politik #Elon_Musk #Objektivismus

  • Que réarmer pour désarmer le réarmement ?
    https://ricochets.cc/Que-rearmer-pour-desarmer-le-rearmement-7454.html

    Réarmer la connerie Réarmer les armes Réarmer les sociopathes Réarmer les tueurs Réarmer les capitaux Réarmer les pollueurs Réarmer les keufs Réarmer les exploiteurs Réarmer le nationalisme Réarmer le séparatisme bourgeois Réarmer les pesticides Réarmer les puces électroniques Réarmer les possédants Réarmer l’expulsion des pauvres Réarmer la traque des exilé.e.s Réarmer les vainqueurs Réarmer la surveillance en algorithme Réarmer les startupeurs Réarmer les technocrates Réarmer les (...) #Les_Articles

    / Poésie & Nouvelles, Humour, ironie, satire...

    #Poésie_&_Nouvelles #Humour,_ironie,_satire...

  • Makhno contre l’antisémitisme (2)
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#makhno2

    Le procès de Samuel Schwartzbard qui a abattu le 25 mai 1926 le dirigeant nationaliste ukrainien Symon Petlioura, l’accusant d’être antisémite et responsable de nombreux pogroms, s’ouvre le 16 octobre 1927 à Paris. « L’Humanité » du lendemain en profite pour accuser sans preuve Nestor Makhno. Le 21 octobre, sous la plume de Pierre Odéon, « Le Libertaire » lui répond et apporte des précisions...

    #Libertaire #anarchisme #Makhno #pogrom #antisémitisme #L'Humanité #PartiCommuniste #Ukraine #Russie #RévolutionRusse