• Rapport sur les #incidents_racistes #2023 : les centres de consultation reçoivent toujours plus de signalements

    Jamais le Réseau des centres de consultation pour les victimes de racisme n’a conseillé autant de personnes qu’en 2023. Au total, les centres de consultation membres ont traité 856 cas de #discrimination, soit 168 de plus que l’année précédente. Le travail qu’ils mènent revêt une importance toujours plus grande : en 2023, les interventions ont presque doublé par rapport à l’année précédente.

    Aujourd’hui, le 28 avril 2024, humanrights.ch et la Commission fédérale contre le racisme CFR publient le rapport annuel d’évaluation contre les incidents racistes recensés l’année dernière par les centres de consultation. La vidéo ci-dessous en présente les points saillants.

    https://www.youtube.com/watch?v=xLFDNRUnB_4

    Le rapport d’évaluation montre que les incidents racistes sont largement répandus en Suisse. Ils peuvent survenir dans les relations interpersonnelles, notamment lorsque les limites d’une personne sont franchies ou que celle-ci est dénigrée ou agressée verbalement ou physiquement. Des cas de racisme sont toutefois également signalés dans les structures et les institutions de notre société, dont les normes et les pratiques excluent ou désavantagent de diverses manières certaines personnes. Le racisme ne concerne pas uniquement les personnes individuellement, mais la société dans son ensemble. Le nombre de signalements effectués par des témoins et des professionnel·le·x·s augmente chaque année un peu plus.

    De nombreuses personnes, dont la plupart n’étaient pas directement concernées, se sont par exemple adressées au Réseau des centres de consultation pour lutter contre la diffusion de préjugés et de contenus discriminatoires dans le cadre de campagnes électorales. Cette mobilisation caractérisée par une forte solidarité revêt une importance capitale pour la lutte contre le racisme et renforce la cohésion sociale. Elle exprime l’attente suivante : les partis politiques doivent rejeter avec force les discours et les actions qui ciblent et accusent des groupes entiers de la population, leur portant préjudice.

    En 2023, les évolutions de la société ont également préoccupé de nombreuses personnes sur le plan tant émotionnel que politique. Depuis le début des évènements au Proche-Orient, les dynamiques racistes et antisémites se sont multipliées au sein de la population suisse. Les incidents antisémites, tels que des discours de haine dans l’espace public, ont nettement augmenté depuis le début de la guerre. Les consultations liées à des actes de racisme dirigés contre des personnes de confession musulmane ou issues du monde arabe ainsi que les cas de xénophobie sont également en hausse.

    Les chiffres présentés dans le rapport soulignent la nécessité d’une offre de conseil et de soutien pour les personnes concernées directement et indirectement par la discrimination raciale. Celle-ci constitue un élément clé de toute politique de lutte contre la discrimination. Les centres de consultation ne font pas qu’aider les victimes à surmonter les traumatismes liés à la discrimination ou à renforcer l’autonomie des personnes concernées et des témoins dans le développement de stratégies d’action : grâce à leurs multiples prestations, ils permettent aussi d’apporter des changements concrets dans les situations des personnes concernées. En 2023, ils ont effectué près du double d’interventions par rapport à l’année précédente, notamment dans les établissements de formation, dans les administrations et auprès des employeurs. Les centres de consultation permettent de visibiliser les pratiques discriminatoires perpétuées dans les institutions et soutiennent ainsi le changement.

    En soutenant les personnes qui subissent des discriminations raciales et les témoins de comportements discriminatoires, les centres de consultation effectuent un travail pertinent, qui doit être reconnu par la politique et par l’État. Des ressources financières suffisantes et durables doivent donc leur être octroyées.

    Une collaboration plus étroite entre la politique, la société civile, les expert·e·x·s et les personnes concernées est nécessaire pour que les dimensions structurelles et institutionnelles de la #discrimination_raciale soient thématisées et fassent l’objet d’une véritable #lutte.

    https://www.humanrights.ch/fr/antennes/discrimination/rapport-incidents-racistes-2022-pertinence-de-thematique-racisme-ne-cess
    #racisme #Suisse #statistiques #chiffres #rapport #racisme_structurel

    ping @cede

  • Il cotone “sporco e insostenibile” di #Zara ed #H&M e la distruzione del #Cerrado

    La Ong inglese #Earthsight ha condotto un’inchiesta per un anno lungo la filiera di questa fibra tessile: i due marchi della fast fashion avrebbero immesso sul mercato 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nella savana tropicale che copre un terzo del Brasile. “Il sistema di filiera ‘etica’ su cui si basano questi colossi è fondamentalmente difettoso”

    Se negli ultimi anni avete acquistato vestiti di cotone, asciugamani o lenzuola di H&M o Zara “probabilmente sono macchiati del saccheggio del Cerrado”, un’area ricchissima di biodiversità che copre quasi un quarto della superficie del Brasile. Sam Lawson, direttore della Ong britannica Earthsight, non usa mezzi termini per commentare l’esito dell’inchiesta “Fashion crimes. The European retail giants linked to dirty Brazilian cotton”, pubblicata l’11 aprile, che analizza la lunga e insostenibile filiera di questa fibra dalla produzione (in Brasile) alla lavorazione (in Paesi come Indonesia e Bangladesh), fino alla commercializzazione in Europa (Italia compresa) dove, secondo le stime di Earthsight, i due brand avrebbero messo in commercio prodotti realizzati con 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nel Cerrado.

    Ma andiamo con ordine. L’inchiesta di Earthsigh prende le mosse proprio dal grande Paese latinoamericano che, negli ultimi dieci anni, ha guadagnato crescente importanza nel mercato globale del cotone, di cui oggi è il secondo esportatore mondiale “e si prevede che entro il 2030 supererà gli Stati Uniti”. Il cuore di questa produzione si concentra in uno degli ecosistemi più fragili e preziosi del mondo: il Cerrado, una grande savana tropicale che ospita una delle più importanti aree di biodiversità al mondo, dove vivono oltre seimila specie di alberi così come centinaia di rettili, mammiferi, anfibi e uccelli.

    La sopravvivenza di questo inestimabile patrimonio è minacciata dalla deforestazione illegale che nel 2023 ha raggiunto livelli record, con un aumento del 43% rispetto al 2022. “Circa la metà della vegetazione nativa del Cerrado è già andata perduta, soprattutto per far posto all’espansione dell’agrobusiness”, evidenzia il report. Milioni di litri d’acqua vengono prelevati regolarmente dai fiumi e dalle falde per irrigare i campi di cotone, la cui coltivazione richiede l’utilizzo di 600 milioni di litri di pesticidi ogni anno.

    L’inchiesta di Earthsight analizza in particolare il ruolo di due dei principali produttori di cotone brasiliani: il gruppo Horita e SLC Agrícola che controllano enormi aziende e centinaia di migliaia di ettari di terreno. “Nel 2014 l’agenzia ambientale dello Stato di Bahia ha rilevato 25mila ettari deforestati illegalmente nelle aziende agricole di Horita a Estrondo -si legge nel report-. Nel 2020 la stessa agenzia ha dichiarato di non essere riuscita a trovare i permessi per altri 11.700 ettari deforestati dall’azienda tra il 2010 e il 2018”. Tra il 2010 e il 2019 l’azienda è stata multata complessivamente più di venti volte, per un totale di 4,5 milioni di dollari, per violazioni ambientali.

    Altrettanto gravi, le denunce rivolte a SLC Agrícola: tre aziende, tutte coltivate a cotone, hanno cancellato per sempre 40mila ettari di Cerrado nativo negli ultimi 12 anni. E, sebbene l’azienda abbia adottato una politica “zero deforestazione” nel 2021, è accusata di aver distrutto altri 1.356 ettari di vegetazione nel 2022. Accuse che hanno spinto il fondo pensionistico pubblico della Norvegia a ritirare i propri investimenti nella società brasiliana.

    Al termine di un lavoro d’inchiesta di un anno -durante il quale hanno analizzato migliaia di registri di spedizione, relazioni aziendali, elenchi di fornitori e siti web– i ricercatori di Earthsight hanno ricostruito la filiera che porta il cotone coltivato illegalmente nel Cerrado nei negozi di Zara ed H&M e poi negli armadi di milioni di persone. I ricercatori hanno identificato otto produttori di abbigliamento asiatici che utilizzano il cotone Horita e SLC e che allo stesso tempo forniscono alle due società di fast fashion milioni di capi di cotone finiti. Tra questi figura l’indonesiana PT Kahatex “il più grande acquirente di cotone contaminato Horita e SLC che abbiamo trovato”. H&M è il secondo cliente dell’azienda indonesiana, da cui ha acquistato milioni di paia di calzini, pantaloncini e pantaloni che sono poi stati messi in vendita nei negozi del gruppo negli Stati Uniti, in Germania, nel Regno Unito, in Svezia, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Spagna, in Francia, in Polonia, in Irlanda, in Italia.

    Il cotone sporco del Cerrado è finito anche negli stabilimenti di Jamuna Group, uno dei maggiori conglomerati industriali del Bangladesh: “Nei negozi Zara in Europa, fino ad agosto 2023, sono stati venduti per 235 milioni di euro jeans e altri capi in denim confezionati da Jamuna, circa 21.500 paia al giorno -si legge nel report-. Inditex importa i capi prodotti da Jamuna in Spagna e nei Paesi Bassi, da dove li distribuisce ai suoi negozi Zara, Bershka e Pull&Bear in tutta Europa”. Complessivamente, secondo le stime che i ricercatori hanno elaborato consultando i registri delle spedizioni il Gruppo Horita e SLC Agrícola hanno esportato direttamente almeno 816mila tonnellate di cotone da Bahia verso i mercati esteri tra il 2014 e il 2023. Una quantità di materia prima sufficiente a produrre dieci milioni di capi d’abbigliamento e prodotti per la casa tra lenzuola, tovaglie e tende.

    Ma come è stato possibile, si sono chiesti i ricercatori, che le catene di approvvigionamento dei due marchi di moda siano state “contaminate” da cotone brasiliano legato a deforestazione e land grabbing? “Parte della risposta sta nel fatto che le loro politiche etiche sono piene di falle. Ma soprattutto, il sistema di filiera etica su cui si basano è fondamentalmente difettoso”.

    Il riferimento è al fatto che, nel tentativo di presentarsi come sostenibili e responsabili, i due brand si sono affidati a un sistema di certificazione denominato Better Cotton (BC). “Il cotone che abbiamo collegato agli abusi ambientali a Bahia ne riportava il marchio di qualità. Questo non dovrebbe sorprendere dal momento che Better Cotton è stata ripetutamente accusata di greenwashing e criticata per non aver garantito la piena tracciabilità delle catene di approvvigionamento”, scrivono i ricercatori di Earthsight nel rapporto. Evidenziando come, sebbene dal primo marzo 2024 le regole di BC siano state aggiornate, rimangano comunque una serie di criticità e di punti deboli. A partire dal fatto che il cotone proveniente da terreni disboscati illegalmente prima del 2020 venga ancora certificato.

    “È ormai molto chiaro che i crimini legati ai beni che consumiamo devono essere affrontati attraverso la regolamentazione, non attraverso le scelte dei consumatori -conclude Sam Lawson, direttore di Earthsignt-. Ciò significa che i legislatori dei Paesi consumatori dovrebbero mettere in atto leggi forti con un’applicazione rigorosa. Nel frattempo, gli acquirenti dovrebbero pensarci due volte prima di acquistare il prossimo capo di abbigliamento in cotone”.

    https://altreconomia.it/il-cotone-sporco-e-insostenibile-di-zara-ed-hm-e-la-distruzione-del-cer
    #industrie_textile #coton #mode #déforestation #Brésil #rapport #chiffres #statistiques #SLC_Agrícola #Horita #SLC #fast-fashion #land_grabbing #accaparement_de_terres #Better_Cotton #greenwashing #green-washing

    • Fashion Crimes: The European Retail Giants Linked to Dirty Brazilian Cotton


      Key Findings:

      - The world’s largest fashion brands, H&M and Zara, use cotton linked to land grabbing, illegal deforestation, violence, human rights violations and corruption in Brazil.
      - The cotton is grown by two of Brazil’s largest agribusinesses – SLC Agrícola and the Horita Group – in western Bahia state, a part of the precious Cerrado biome, which has been heavily deforested in recent decades to make way for industrial-scale agriculture.
      - Unlike in the Amazon, deforestation in the Cerrado is getting worse. The biome is home to five per cent of the world’s species. Many face extinction due to habitat loss if current deforestation trends are not reversed.
      - For centuries, traditional communities have lived in harmony with nature. These communities have seen their lands stolen and suffered attacks by greedy agribusinesses serving global cotton markets.
      - The tainted cotton in H&M and Zara’s supply chains is certified as ethical by the world’s largest cotton certification scheme, Better Cotton, which has failed to detect the illegalities committed by SLC and Horita. Better Cotton’s deep flaws will not be addressed by a recent update to its standards.
      - Failure by the fashion sector to monitor and ensure sustainability and legality in its cotton supply chains means governments in wealthy consumer markets must regulate them. Once in place, rules must be strictly enforced.

      https://www.earthsight.org.uk/fashion-crimes

  • Les dépenses militaires mondiales augmentent dans un contexte de guerre, d’escalade des tensions et d’insécurité
    https://www.obsarm.info/spip.php?article649

    (Stockholm, 22 avril 2024) – Le total des dépenses militaires mondiales s’élève à 2 443 milliards de dollars en 2023, soit une augmentation de 6,8 % en termes réels par rapport à 2022. Il s’agit de la plus forte augmentation d’une année sur l’autre depuis 2009. Les 10 plus grands dépensiers en 2023 – avec en tête les États-Unis, la Chine et la Russie – ont tous augmenté leurs dépenses militaires, selon les nouvelles données sur les dépenses militaires mondiales publiées aujourd’hui par le (...) #Armements

    / Dépenses militaires / Budgets, #Guerres, #Industrie_d'armement

    #Dépenses_militaires_/_Budgets
    https://www.obsarm.info/IMG/pdf/milex_press_release_fre-5.pdf

  • Immigrants Contribute Billions to Federal and State Taxes Each Year

    Without fail, each Tax Day a prevalent myth resurfaces that conceals the truth about immigrants’ contributions to federal, state, and local taxes. Bolstered by social media and other outlets, it misleadingly asserts that immigrants, particularly those who are undocumented, evade taxes. The facts don’t back up these claims.

    Immigrants, including undocumented immigrants, pay taxes. Our analysis of the 2022 American Community Survey (ACS) found that immigrants in the United States have a combined household income of $2.1 trillion and contribute $382.9 billion to federal taxes and $196.3 billion in state and local taxes, leaving them with $1.6 trillion in spending power.

    Our findings underscore the fact that immigrants have significant economic influence, helping to support local communities not only as consumers but also as taxpayers. Like all U.S. residents, immigrants do use public services, such as education, healthcare, and public safety.

    But the economic contributions of immigrants far exceed the costs of those additional public services. A 2023 CATO study found that first-generation immigrants contributed an average of $16,207 per capita to the economy in 2018 yet cost an average of just $11,361. This resulted in a net fiscal benefit of $4,846 per immigrant in 2012 dollars.

    Undocumented immigrants in the U.S. contribute to the tax system through sales, income, and property taxes, often using Individual Tax Identification Numbers (ITINs) to file income tax returns. In 2022, undocumented immigrants had a combined household income of $290.0 billion and paid $21.5 billion in federal taxes and $13.6 billion in state and local taxes. Their combined spending power was $254.8 billion. Despite their substantial contributions, many do not qualify for the benefits their taxes support, such as social security and Medicare benefits or the Earned Income Tax Credit.

    Taxes paid by undocumented immigrants also help pay for public higher education, yet undocumented immigrants are also often unable to reap the benefits through in-state tuition options. An analysis of the Higher Education Immigration Portal developed by the Presidents’ Alliance on Higher Education and Immigration, revealed that 26 states do not provide in-state tuition to undocumented residents.

    As we move through another tax season, addressing and dispelling the widespread misconceptions about immigrants and their tax contributions is crucial. The facts are undeniable: immigrants, including those who are undocumented, not only meet their tax obligations but also significantly enhance our economy through their contributions. Their collective household income leads to considerable federal and state tax payments, making a profound economic impact. Moreover, their spending power, running into trillions, highlights their indispensable role as consumers, and effective taxpayers, in our communities.

    Yet despite their notable contributions many immigrants, especially those who are undocumented, face a challenging contradiction. They contribute to services through their taxes yet remain ineligible to access several services. This situation lays the groundwork for a deeper conversation on fairness and community support. In addressing key immigration issues, our discussions and decisions must be founded on fact. This approach ensures that every member of our society is appropriately recognized for their contributions.

    https://immigrationimpact.com/2024/04/15/immigrants-contribute-billions-federal-state-taxes

    #taxes #impôts #migrations #immigrés #immigration #coût #bénéfice #welfare_state #USA #Etats-Unis #statistiques #chiffres
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    ajouté à la métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration :
    https://seenthis.net/messages/971875

  • Face à la hausse des arrivées irrégulières, Chypre annonce la suspension des demandes d’asile de Syriens

    Les autorités chypriotes ont annoncé dimanche la suspension du traitement des demandes d’asile des Syriens. Le président #Nikos_Christodoulides a évoqué « une mesure d’urgence » face à la forte hausse des arrivées irrégulières sur l’île, principalement depuis le Liban voisin.

    « Il s’agit d’une mesure d’urgence, d’une décision difficile à prendre pour protéger les intérêts de Chypre », a déclaré dimanche 14 avril le président chypriote Nikos Christodoulides lors de l’annonce de la suspension des demandes d’asile de Syriens dans le pays.

    Le gouvernement chypriote a pris cette décision en réaction à une forte augmentation des arrivées irrégulières ce mois-ci sur l’île. Plus de 1 000 personnes sont arrivées à Chypre sur des bateaux en provenance du Liban depuis le début du mois d’avril, dans un contexte d’aggravation des tensions au Moyen-Orient.

    Nicosie a donc demandé à ses partenaires de l’Union européenne (UE) de faire davantage pour aider le Liban et de reconsidérer le statut de la #Syrie - jusqu’à aujourd’hui déchirée par la guerre et considérée trop dangereuse pour y rapatrier les demandeurs d’asile.

    Nikos Christodoulides et la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, ont discuté de la possibilité de renforcer l’aide économique attribuée à Beyrouth, a indiqué un porte-parole du gouvernement chypriote dans un communiqué. À cette fin, il a été convenu qu’ils se rendraient ensemble au Liban après une visite préparatoire de la Commission.

    Le #Liban, en proie à une grave crise financière, accueille des centaines de milliers de réfugiés syriens. Et les arrivées ne cessent de se poursuivre, les Syriens continuant à quitter leur pays désormais en proie à une très grave crise économique.

    Chypre, l’État le plus à l’est de l’UE et le plus proche du Moyen-Orient, se trouve à environ 160 km à l’ouest des côtes libanaises ou syriennes. L’île a enregistré plus de 2 000 arrivées par voie maritime au cours des trois premiers mois de l’année, contre seulement 78 au cours de la même période en 2023.

    Une mise en application encore floue

    Dans la pratique, la suspension du traitement des demandes signifie que les demandeurs d’asile pourront déposer un dossier mais qu’il ne sera pas traité.

    Ils seront confinés dans deux camps d’accueil qui fournissent un abri, de la nourriture, et réglementent les sorties, sans autre avantage.

    Ceux qui choisissent de quitter ces installations perdront automatiquement toute forme d’aide et ne seront pas autorisés à travailler, ont indiqué des sources gouvernementales.

    Pour Corinna Drousiotou, coordinatrice de l’ONG Cyprus Refugee Council interrogée par InfoMigrants, la décision du gouvernement chypriote concernant les demandeurs d’asile syriens ne repose sur aucune base légale. Par ailleurs, « il n’est pas encore clair de savoir comment les autorités vont appliquer cette décision […] Mais, nous ne pensons pas qu’elle parvienne à réduire les arrivées de réfugiés car ils ne sont généralement pas au courant de ce type de décision et les passeurs ne les en informent pas », souligne-t-elle.

    La responsable met également en garde : la mesure risque au contraire d’aggraver la crise de l’accueil des demandeurs d’asile, les deux seuls centres d’hébergement de l’île n’ayant que des capacités d’accueil limitées. Or, de plus en plus de demandeurs d’asile syriens risquent de se retrouver bloqués dans ces centres si leurs demandes d’asile ne sont pas examinées.

    En 2022, une décision similaire avait déjà été prise pour tenter de limiter les arrivées de Syriens à Chypre. Mais, selon Corinna Drousiotou, elle n’avait eu aucun effet sur le nombre d’arrivées.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/56463/face-a-la-hausse-des-arrivees-irregulieres-chypre-annonce-la-suspensio

    #Chypre #asile #migrations #réfugiés #statistiques #chiffres #2024 #réfugiés_syriens

    • Des centaines de migrants syriens refoulés par Chypre et renvoyés au Liban

      Plusieurs bateaux de migrants syriens ont été bloqués par les #gardes-côtes et la police chypriotes, selon des sources concordantes. Certains ont été renvoyés au Liban, d’autres dérivent en mer dans le plus grand dénuement.

      Les Libanais ne veulent pas de nous et les Chypriotes nous renvoient ici, alors que faire ? » s’exclame Bassem*, frère d’un passager de l’un des bateaux partis du Liban-Nord vers Chypre depuis plusieurs jours et renvoyé à son point de départ après une traversée infernale en Méditerranée.

      Plusieurs centaines de personnes, en majorité syriennes, ayant tenté de rejoindre Chypre de manière irrégulière depuis le Liban ont été interceptées dans les eaux territoriales chypriotes en début de semaine par la police et les gardes-côtes, selon des sources concordantes. Une partie d’entre elles ont été renvoyées mercredi vers le Liban, dans un contexte de raidissement de la politique migratoire et de montée du racisme antisyrien dans les deux pays.

      Raflé au Liban, refoulé à Chypre

      Il est pour l’instant difficile de quantifier avec certitude le nombre de ces candidats malheureux à l’exil. Mais une chose est sûre, ils sont nombreux. Un média chypriote évoque cinq embarcations transportant 500 migrants, tandis que l’ONG Alarm Phone, qui soutient les personnes traversant la mer Méditerranée, assure sur son compte X (anciennement Twitter) être en contact avec les passagers de quatre bateaux et dénonce le refus du Centre commun de coordination des opérations de sauvetage chypriote (JRCC) de lancer une opération de sauvetage.

      Dérivant dans les eaux territoriales chypriotes depuis le 12 avril, « d’aucuns sont malades, ils n’ont plus de nourriture, d’eau et d’essence pour poursuivre leur voyage », écrit Alarm Phone mardi. Parmi eux, des passagers affirment que la police chypriote les a menacés avec des armes à feu en leur disant de rentrer en Syrie. « Les derniers jours ont été un cauchemar pour eux. Nous sommes accablés par le refus des autorités de leur venir en aide », témoigne Anja, membre d’Alarm Phone.

      Bassem, lui, assure que huit embarcations sont parties du Liban : cinq continueraient de dériver en mer tandis que trois auraient fait le chemin inverse vers le Liban. Parti lundi, son frère Ziad* a fait cet aller-retour cauchemardesque pour la somme de 2 650 dollars. Vivant depuis plus de dix ans au Liban où il travaille à Jounieh comme réparateur de climatiseurs, le jeune homme de 28 ans a subitement décidé de remettre son destin dans les mains des passeurs après avoir été victime d’une rafle raciste. « Après la mort de Pascal Sleiman (responsable des Forces libanaises pour la région de Jbeil), mon frère raccompagnait notre soeur à Ghazir, avec son époux et un cousin, quand ils se sont fait tabasser par les
      autoproclamés “Gardiens de Ghazir”. Ils n’ont même pas pu aller à l’hôpital car il était interdit aux Syriens de se déplacer. C’est la goutte d’eau qui l’a décidé à partir pour Chypre », relate-t-il.

      Peur de « mourir de faim »

      Mais son rêve d’exil échoue à quelques milles des côtes chypriotes. « Ils sont arrivés hier à 10h du matin dans les eaux territoriales chypriotes, mais les gardes-côtes les ont bloqués pendant deux jours. Puis ils leur ont donné de l’essence, de l’eau et de la nourriture et les ont renvoyés vers le Liban », dit-il. Mercredi, plusieurs photos et vidéos circulent sur les réseaux sociaux montrant des femmes, des hommes et des enfants débarquant d’un bateau de pêche en bois à Mina, la ville portuaire accolée à Tripoli. Sur ces images, ils expliquent avoir été refoulés par les gardes-côtes chypriotes.

      Selon Mohammad Sablouh, avocat membre de l’ONG Cedar Center for Legal Studies, l’un des trois bateaux arrivés au Liban est détenu par l’armée, avec le risque que ses passagers soient déportés en Syrie. Interrogé, le porte-parole de l’armée n’a pas apporté d’éléments sur ce sujet. Or, selon Bassem, « beaucoup sont recherchés par le régime, soit pour être enrôlés dans l’armée, soit parce qu’ils font partie de l’opposition ».

      Le sort des passagers qui ne sont pas retournés au Liban inquiète aussi Alarm Phone. Sur le réseau X, l’ONG affirme que certains lui « disent craindre de mourir de faim ». D’autres rapportent que le JRCC « leur a dit qu’ils n’atteindraient jamais Chypre et qu’ils devaient retourner en Syrie ». « Cela constitue une violation de la Convention relative au statut des réfugiés et met leur vie en danger », poursuit l’ONG, qui dénonce « un jeu cruel entre le Liban et Chypre », aux dépens du droit d’asile des personnes tentant la traversée irrégulière. « C’est du refoulement et cela est prohibé quoi qu’il arrive. Chypre, comme l’ensemble des États membres de l’UE, doit respecter le principe de non-refoulement qui est la pierre angulaire du droit d’asile », réagit Brigitte Espuche, co-coordinatrice du réseau Migreurop.

      Confrontées à un pic d’arrivées de demandeurs d’asile syriens depuis le Liban, les autorités de l’État insulaire ont exhorté début avril le Liban à ne pas « exporter » son problème migratoire. Le 15 avril, Nicosie a décidé de suspendre tout traitement des demandes d’asile de Syriens. « Nous l’avons appris tandis que mon frère était déjà avec les passeurs. Sinon, il ne serait jamais parti », soupire Bassem. Selon Brigitte Espuche, « le nombre de demandeurs d’asile ne peut justifier une réduction de l’accueil et de la protection, c’est absolument illégal ».

      Après avoir signé en 2020 un protocole d’accord secret avec le Liban visant à freiner les départs et faciliter les retours des candidats à la migration, Chypre cherche désormais à obtenir un accord officiel sur les migrants entre l’Union européenne et le Liban. L’objectif du lobbying de Nicosie ? Convaincre les Européens qu’il existe des « zones sécurisées » à l’intérieur de la Syrie où les réfugiés pourraient être transférés. Les organisations internationales soulignent toutefois de nombreux cas de disparition forcée ou d’arrestation de réfugiés lors de leur retour en Syrie.

      *Les prénoms ont été modifiés pour des raisons de sécurité.

      https://www.lorientlejour.com/article/1410738/des-centaines-de-migrants-syriens-refoules-par-chypre-et-renvoyes-au-
      #refoulements #renvois #expulsions

  • Germany prepares to widen fixed border checks

    (automne 2023 —> pour archivage)

    Germany is expected to notify the EU about plans to introduce fixed border checks on the Polish, Czech Republic and Swiss borders. Previously, this had only been possible at the Austrian frontier.

    The German Interior Ministry is expected to register fixed border controls with Poland, the Czech Republic and Switzerland with the European Commission in light of a high number of refugees entering Germany.

    The intention of the checks is to more effectively fight against people smugglers and to detect and stop unauthorized entries.
    What we know so far

    According to government sources, the necessary notification in Brussels was being prepared on Monday.

    The plan is an extension of police checks directly at the border in place at the border with Austria since 2015.

    German Interior Minister Nancy Faeser had long rejected permanent fixed contro points, citing, among other things, the effects on commuters and freight transport. The norm in the EU’s Schengen Zone is for open borders but with police reserving the right to check anybody crossing at random, but not at set checkpoints.

    Interior ministers of the eastern German states of Brandenburg and Saxony have pressed Faeser to implement fixed checks.

    Germany had introduced additional controls at border crossings with Poland and the Czech Republic in September, but these were not intended to be permanent.

    German municipalities have urged the federal government to provide more funding to cope with the surge in migrant arrivals. They have pointed to stretched accommodation and services that seem similar to the events of 2015, when Germany took in over 1 million refugees mainly fleeing war in the Middle East.

    Opposition parties in Germany have also called on the government to limit the number of asylum-seekers, with Bavaria’s conservative Premier Markus Söder suggesting an annual upper limit on asylum seekers of 200,000.

    https://www.dw.com/en/germany-prepares-to-widen-fixed-border-checks/a-67109731

    #Allemagne #Pologne #Suisse #République_Tchèque

    #Allemagne #Suisse #contrôles_systématiques_aux_frontières #France #frontières_intérieures #frontières #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #prolongation #2023 #2024 #contrôles_frontaliers #frontière_sud-alpine

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    ajouté à cette métaliste sur l’annonce du rétablissement des contrôles frontaliers de la part de plusieurs pays européens :
    https://seenthis.net/messages/1021987

    • 15.12.2023 : L’Allemagne prolonge de trois mois les contrôles aux frontières suisses

      L’Allemagne estime que la protection des frontières extérieures de l’UE est déterminante pour limiter l’immigration irrégulière. Elle prolonge donc les contrôles à la frontière avec la Suisse jusqu’au 15 mars 2024 au moins. Les frontières allemandes avec la Pologne et la République tchèque sont également concernées.

      Afin de lutter encore plus fortement contre la criminalité liée au trafic de migrants et de limiter la migration irrégulière, les contrôles seront poursuivis et ont été notifiés à la Commission européenne, a annoncé vendredi le ministère allemand de l’Intérieur.

      Berlin avait introduit en octobre des contrôles aux frontières avec la Pologne, la République tchèque et la Suisse, en raison de la nette augmentation du nombre de réfugiés en Allemagne. Cette mesure a été prolongée à plusieurs reprises.

      Mesures efficaces

      Le nombre d’entrées non autorisées en Allemagne a diminué de 60%, passant de plus de 20’000 en octobre à 7300 entrées non autorisées en novembre. « Nos mesures sont efficaces », a déclaré la ministre de l’Intérieur Nancy Faeser.

      Les contrôles aux frontières intérieures entre l’Allemagne et l’Autriche, qui avaient déjà commencé à l’automne 2015, durent actuellement jusqu’au 11 mai 2024.

      Les contrôles aux frontières ne sont en fait pas prévus au sein de l’espace Schengen et doivent être notifiés à Bruxelles. S’il ne s’agit que de quelques jours, il est possible de le faire à court terme, mais cette possibilité prend fin après deux mois, soit vendredi 15 décembre dans le cas de l’Allemagne.

      https://www.rts.ch/info/monde/14556738-lallemagne-prolonge-de-trois-mois-les-controles-aux-frontieres-suisses.

    • 17.10.2024 : Face à l’immigration illégale, l’Allemagne réinstaure des contrôles à la frontière suisse

      Le ministère allemand de l’Intérieur a notifié lundi auprès de la Commission européenne « des contrôles temporaires aux frontières avec la Pologne, la République tchèque et la Suisse »

      Le gouvernement allemand a annoncé le renforcement de sa surveillance aux frontières au sud et à l’est. Depuis lundi, des contrôles stationnaires aux passages douaniers avec la Pologne, la République tchèque et la Suisse ont été instaurés, indique le ministère allemand de l’Intérieur. Cette mesure exceptionnelle, qui nécessite l’aval de Bruxelles, est destinée à durer 10 jours, et peut être prolongée pour deux mois, précise le ministère.

      Des contrôles de ce type ont été mis en place à la frontière autrichienne depuis 2015, au moment de l’afflux sans précédent d’immigrants vers l’Allemagne, une décision dont la prolongation de six mois à compter du 12 novembre a également été annoncée ce lundi. « La police fédérale peut utiliser les mêmes moyens aux frontières avec la Pologne, la République tchèque et la Suisse que ceux déjà en place avec l’Autriche », précise le ministère. Les voyageurs transfrontaliers ne devraient cependant pas être confrontés à des contrôles systématiques : « un paquet de contrôles fixes et mobiles » sera mis en œuvre « de façon flexible et selon la situation », a déclaré la ministre allemande Nancy Faeser, citée dans le communiqué.

      Une importante hausse des arrivées en Allemagne

      L’Allemagne est confrontée à une forte hausse de l’immigration illégale. De janvier à début octobre, la police a comptabilisé environ 98 000 arrivées illégales dans le pays, dépassant déjà le nombre total des arrivées pour l’année 2022 qui était d’environ 92 000. Pour justifier les mesures décidées, l’Allemagne s’appuie sur un article de la réglementation de Schengen qui permet d’introduire pour une période limitée des contrôles intérieurs aux frontières en cas « de menace sérieuse à l’ordre public ou à la sécurité intérieure ».

      Nancy Faeser s’était pourtant jusqu’ici montrée réticente à l’idée d’instaurer des contrôles fixes, en raison notamment de leur impact sur les travailleurs frontaliers ainsi que sur les échanges commerciaux avec les pays voisins : ces mesures ralentissent en effet considérablement le trafic et créent des embouteillages. Mais la hausse des arrivées illégales provoque un vif débat en Allemagne, dont les capacités d’accueil s’épuisent. Les communes et les régions, qui ont aussi absorbé l’arrivée d’un million de réfugiés ukrainiens depuis février 2022, se disent à la limite de leur capacité d’accueil, alors que la situation profite à l’extrême-droite, qui a obtenu des résultats records dans deux scrutins régionaux il y a une semaine.

      « Le nombre de personnes qui viennent actuellement chez nous est trop élevé », avait récemment martelé le chancelier Olaf Scholz, en présentant des mesures pour accélérer les expulsions de personnes déboutées de l’asile. La décision était donc attendue, et « la ministre de l’Intérieur […] a apparemment attendu les élections législatives polonaises avant de rendre publique sa décision », note le Tages-Anzeiger.
      Poursuite de la collaboration avec les douaniers suisses

      Nancy Fraeser « a assuré à [Elisabeth] Baume-Schneider que le trafic frontalier serait entravé aussi peu que possible », indique le Département fédéral de justice et police (DFJP) à Keystone-ATS. La conseillère fédérale et la ministre allemande ont par ailleurs convenu lundi de renforcer la « collaboration fructueuse » entre les deux pays dans le cadre du plan d’action mis en place en 2022 qui prévoit des patrouilles en commun et un meilleur échange d’informations pour enrayer les migrations secondaires, ajoute le DFJP. Au parlement, l’annonce allemande semble être accueillie avec compréhension : « ce n’est pas un secret que de nombreux migrants utilisent la Suisse comme pays de transit, tous ceux qui prennent le train de Milan à Zurich le voient », a réagi dans la Neue Zürcher Zeitung le président de la Commission de politique extérieure du Conseil national, Hans-Peter Portmann (PLR/ZH).

      Un porte-parole du gouvernement allemand a par ailleurs confirmé au quotidien zurichois que les contrôles avaient commencé à être mis en place ce lundi, et qu’ils « seront renforcés dans les jours à venir en fonction de l’évaluation de la situation par la police fédérale » allemande. « Les contrôles fixes aux frontières présentent l’avantage […] que les personnes peuvent être refoulées par la police fédérale dès qu’elles tentent de franchir la frontière », poursuit la NZZ. « Elles sont alors considérées comme n’étant pas entrées sur le territoire » et nécessitent un investissement bureaucratique « incomparablement plus faible » que dans le cas d’un processus d’expulsion du territoire, argumente le journal.

      « Les spécialistes, les politiciens et les policiers sont loin d’être d’accord » sur l’efficacité des contrôles, tempère le Tages-Anzeiger qui rappelle qu’il y a quelques semaines encore, Nancy Faeser qualifiait les contrôles fixes de « fausses solutions ». Reste, conclut le Tagi, qu’il est « pour l’instant impossible d’estimer » les effets concrets des nouvelles mesures à la frontière suisse, notamment sur le trafic important des pendulaires avec le Bade-Wurtemberg.

      https://www.letemps.ch/suisse/face-a-l-immigration-illegale-l-allemagne-reinstaure-des-controles-a-la-fron

    • La Suisse accusée de « #laisser_passer » les migrants

      Le président du Conseil national Martin Candinas est en visite à Berlin ce vendredi, dans un climat tendu : l’Allemagne reproche à la Suisse de faciliter le transit des demandeurs d’asile.

      Le nombre des réfugiés arrivant en Europe atteint un nouveau record… et l’Allemagne est une fois de plus en première ligne. Elle accuse ses voisins de « laisser passer » des demandeurs d’asile de Syrie, d’Afghanistan, du Pakistan ou d’Irak, voire de leur faciliter le transit comme en Suisse. La télévision suisse alémanique avait révélé fin 2022 comment la compagnie ferroviaire CFF avait mis en place des « wagons réservés aux étrangers » avec des portes fermées à clé pour conduire les réfugiés jusqu’à Bâle.

      « Ça ne peut plus continuer ! […] Il nous faut une protection plus efficace à la frontière entre l’Allemagne et la Suisse. » (Thomas Strobel, ministre de l’Intérieur du Bade-Wurtemberg)

      La situation est particulièrement dramatique à la frontière avec la Pologne avec 14’303 illégaux arrêtés dans les sept premiers mois de l’année (+143% par rapport à 2022). En provenance de Suisse, la progression est encore plus importante : +200%, soit plus de 6000 illégaux arrêtées à la frontière avec le #Bade-Wurtemberg. « Les passages entre la Suisse et l’Allemagne n’ont jamais été aussi élevés depuis 2016 », s’est plaint le Ministère de la justice de la région frontalière dans un communiqué officiel.

      « Nos villes et nos communes ont atteint leurs capacités d’accueil. Ça ne peut plus continuer ! […] Il nous faut une protection plus efficace à la frontière entre l’Allemagne et la Suisse », a insisté avant l’été Thomas Strobel, le ministre conservateur (CDU) de l’Intérieur du Bade-Wurtemberg. Pour le chef du groupe parlementaire des libéraux (FDP), Hans-Ulrich Rülke, il n’est « pas normal qu’un État non-membre de l’UE comme la Suisse introduise des réfugiés en Allemagne par le Bade- Wurtemberg ».

      Menace de l’opposition

      Lors du débat de politique générale à l’assemblée fédérale (Bundestag), mercredi 6 septembre, Friedrich Merz, le leader de l’opposition conservatrice (CDU), a attaqué lui aussi la Suisse en l’accusant de ne pas respecter le « règlement de Dublin » qui l’oblige à traiter les demandes d’asile chez elle ou à renvoyer des réfugiés dans le premier pays d’enregistrement (la plupart des demandes sont faites en Autriche).

      « Vu le nombre de passages illégaux, nous sommes prêts à rétablir des contrôles aux frontières. » (Friedrich Merz, leader de l’opposition conservatrice (CDU))

      « Notre volonté n’est pas de réinstaller des barrières douanières aux frontières polonaises, tchèques et suisses. Mais vu le nombre de passages illégaux, nous sommes prêts à rétablir des contrôles », at- il menacé dans l’hémicycle sous les huées de la gauche gouvernementale.

      Une déclaration qui met le président du Conseil national dans l’embarras. Martin Candinas rencontre ce vendredi à 9 heures la vice-présidente du Bundestag, Yvonne Magwas (CDU), pour un entretien bilatéral. « La Suisse respecte le règlement de Dublin », nous a-t-il assuré jeudi, ne voulant pas davantage commenter cette crise. Il ne compte pas aborder le sujet avec les officiels allemands, sauf si ces derniers souhaitent lui en parler. Du côté allemand, on reste également discret sur la teneur de l’entretien.

      Le président du Conseil national Martin Candinas, qui doit rencontrer vendredi la vice-présidente du Bundestag, assure que « la Suisse respecte le règlement de Dublin ».

      La tension est sensible aux frontières polonaises et tchèques. La Saxe a décidé d’envoyer sa propre police pour épauler les agents fédéraux chargés de contrôler seulement les passages frontaliers officiels. Le ministre de l’Intérieur de Saxe, Armin Schuster, a estimé qu’il n’avait pas d’autre choix que d’employer cette méthode. Dès la première semaine, ses agents ont arrêté 307 clandestins et 7 passeurs sur un total de 514 personnes contrôlées… « Vous le voyez, le principe des accords de Dublin ne fonctionne pas », regrette-t-il. Friedrich Merz abonde : « Cela me fait mal au coeur de voir que nous ne sommes même pas en mesure de protéger nos propres frontières, d’autant plus que celles de l’Europe ne sont toujours pas sécurisées. »

      Épargner les frontaliers

      Mais la ministre fédérale de l’Intérieur, la social-démocrate Nacy Faeser, refuse catégoriquement la mise en place de contrôles permanents, surtout vers la Suisse. Les experts les considèrent comme inefficaces. La Bavière a mis en place 5 points de contrôle à la frontière autrichienne en 2015. « Ces contrôles n’ont aucun sens », estime Andreas Roßkopf du syndicat de la police (GdP).

      « Ils bouleversent surtout le quotidien des frontaliers. Le personnel soignant, les artisans et de nombreux pendulaires des deux pays sont concernés. Ils affectent durablement notre économie », ajoute la ministre. Elle a en revanche ordonné le renforcement des contrôles aléatoires aux frontières.

      https://www.tdg.ch/tensions-avec-lallemagne-la-suisse-accusee-de-laisser-passer-les-migrants-428988

    • A #Buchs, « porte d’entrée orientale du pays », la banalité de l’immigration

      Sorti ce lundi, le baromètre des préoccupations Ipsos réalisé par « Le Temps » place l’immigration en quatrième position. A Buchs, où plus de 26 000 personnes « illégales » ont été contrôlées l’an dernier, le phénomène fait désormais partie du paysage.

      La scène est devenue parfaitement ordinaire : il est un peu moins de 10h à la #gare de Buchs (SG) ce mardi 23 août et une cinquantaine d’hommes en training sont alignés contre un mur par les gardes-frontières suisses. Les voyageurs – des Afghans fuyant les talibans, des Nord-Africains en quête d’une vie meilleure et d’autres compagnons d’infortune internationaux – affluent tous du même endroit : #Vienne, d’où les trains de nuit rallient régulièrement Zurich (notre reportage sur la question : https://www.letemps.ch/suisse/rails-entre-vienne-zurich-migrants-route-balkans).

      L’année dernière, pas moins de 26 000 « entrées illégales » ont été enregistrées par l’Office fédéral de la douane à la frontière orientale suisse. Ce qui représente deux fois la population de Buchs, 13 000 habitants. Dans la petite localité saint-galloise, cet afflux ininterrompu laisse cependant froid. Les nouveaux arrivants ne sont pas là pour rester, alors à quoi bon s’en soucier ? Et qu’importent les Accords de Schengen-Dublin.

      « Les journaux n’en parlent plus »

      L’immigration. Politiquement, la thématique est omniprésente. Toutefois, rares sont les lieux en Suisse où le phénomène est aussi visible qu’à Buchs. « Porte d’entrée orientale » du pays comme il est souvent qualifié, le gros bourg est connu pour son joli château surplombant un petit lac, sa vieille ville bucolique. Mais surtout pour sa gare où, ce mardi, à quelques centaines de mètres d’écart, deux réalités s’affrontent. Sur le quai 5, des migrants dépenaillés cheminent en file indienne, entourés par des douaniers et des policiers… alors qu’à deux pas du quai 1, des ouvriers s’affairent pour préparer la 39e édition de la Buchserfest. Agendée trois jours plus tard, la manifestation annonce « concerts, spectacles de danse et restauration variée pour petits et grands ». Et c’est surtout cette perspective qui anime les bistrots de la rue centrale.

      « C’est une gare de transit, dit avec fatalité Barbara Gähwiler-Bader, présidente du PS de la commune, attablée au Café Wanger. Pour être franche, à moins de prendre le train, rien ne laisse penser que des milliers de personnes mettent un premier pied en Suisse ici chaque année. La politique locale ne s’intéresse pas au sujet, les journaux du coin n’en parlent plus, ni vraiment les habitants. C’est parfois à se demander si le phénomène est encore là. Ici tout va bien, et tant que c’est le cas, rien ne bouge. Réfléchir à la situation de ces gens, c’est réfléchir à ses propres privilèges. Et tout le monde n’a pas envie de faire l’effort. » Dans la station frontière, seul un panneau en persan indiquant les toilettes signale la spécificité des lieux. Le centre d’asile le plus proche est à plus de 30 kilomètres.

      « Rien n’est vraiment entrepris dans la commune, admet la socialiste, mais que faire ? C’est une situation tragique mais ils ne font qu’entrer et sortir. Très peu souhaitent s’attarder en Suisse. Les autorités les chargent dans le train suivant et ils partent pour la France, l’Allemagne, le Royaume- Uni. Voilà. » Si les arrivants dénués de papiers sont censés être identifiés, enregistrés et contrôlés, la police saint-galloise reconnaît laisser passer nombre d’entre eux sans intervenir. La plupart des vagabonds (contrôlés ou non) poursuivent ensuite leur chemin – avec ou sans billet – vers Zurich, puis Bâle, avant de sortir des frontières de la Suisse. Et de la liste des problèmes du pays.

      « On se sent en danger à la gare »

      Une attitude laxiste, selon Sascha Schmid, représentant local de l’UDC, membre du législatif cantonal et candidat au Conseil national aux élections fédérales 2023. « Il y a des lois en Suisse et elles doivent être respectées, tonne le vingtenaire, banquier au Liechtenstein. Ces gens ne restent peut-être pas à Buchs mais qui sait s’ils sortent vraiment du pays ? Il n’y a aucune garantie. Et qui nous dit que l’Allemagne ou la France ne durciront pas un jour les contrôles à leurs frontières ? Nous nous retrouverions dans une situation intenable. » Le politicien dénonce particulièrement le laisser-faire autrichien… tout en reconnaissant que Berne agit grosso modo comme Vienne, une étape plus loin.

      « Le problème est global, poursuit-il. Mais il existe des solutions. L’UDC aimerait une mise en oeuvre stricte des Accords de Schengen-Dublin (le renvoi des étrangers dans leur premier pays d’enregistrement). Toutefois, comme ces accords sont cliniquement morts, j’estime qu’il faut faire preuve de courage et considérer d’autres options. De très nombreux Autrichiens viennent travailler chaque jour dans la région. Il doit être possible de mettre la pression sur leur gouvernement pour qu’il respecte les accords internationaux. Il n’est pas acceptable d’enrichir les frontaliers sans contrepartie. » Si la plupart des migrants ne s’attardent pas à Buchs, Sascha Schmid considère tout de même qu’ils font « grimper l’insécurité à la gare et que la criminalité augmente en ville, tout comme les cambriolages et les vols ».

      « Ici la vie continue »

      Un diagnostic que Rolf Pfeiffer, président indépendant de la ville de Buchs depuis mars, réfute en bloc. « Les arrivants ne sont mêlés à aucun souci local, dit-il. Tout est calme. Tout se passe bien.

      C’est un non-sujet. Buchs surgit régulièrement dans les médias parce que nous sommes situés à la frontière, mais la ville est concentrée sur d’autres problèmes. » Jouxtant le Liechtenstein – dont la place financière attire de nombreux habitants optant pour une résidence en Suisse voisine – mais également proche de Saint-Gall, Coire (GR), Zurich (ZH), Feldkirch (AU) et Bregenz (AU), la petite cité grandit vite et il s’agit d’adapter ses infrastructures, précise-t-il. Un défi bien plus pressant que ce qui se trame au bord des rails.

      « Si le besoin surgit, complète le Saint-Gallois, nous nous mettons à disposition des membres de la protection civile pour monter quelques tentes destinées à accueillir les migrants qui en ont besoin. Généralement pendant une nuit tout au plus. Les coûts engendrés nous sont ensuite remboursés par la Confédération. Comprenez-moi bien, d’un point de vue humanitaire, la condition des arrivants est certainement triste. Ils sont là, nous les voyons. Nous n’ignorons pas la chose. Mais ici la vie continue. Nous ne pouvons pas influencer la situation, qui doit être réglée entre Etats. » Le jour de notre visite, la Confédération annonçait justement une nouvelle contribution de 300 millions d’euros sur sept ans destinée à « l’amélioration de la protection des frontières extérieures de l’espace Schengen ». Une décision qui fait suite au plébiscite (71,6% de oui) des Suisses à une participation élargie de Berne aux activités de Frontex en 2022. Et aux difficultés de la Suisse à gérer cette problématique.

      Car même si beaucoup de migrants poursuivent leur chemin, pas moins de 14 000 demandes d’asile ont été enregistrées par le Secrétariat d’Etat aux migrations en juillet 2023 et, au vu des pronostics – le nombre total pourrait monter à plus de 30 000 d’ici à la fin de l’année –, les centres d’accueil fédéraux craignent d’atteindre leurs limites. Vendredi dernier, la conseillère fédérale Elisabeth Baume-Schneider annonçait avoir arraché 1800 places supplémentaires aux cantons sur un objectif de 3000 – sans pour autant rassurer sur le long terme. Au centre de l’Europe, la Suisse mise cependant sur une autre solution : déléguer. « Une protection efficace des frontières extérieures de l’espace Schengen contribue à la sécurité et à la gestion migratoire de la Suisse, affirmait mercredi dernier le Conseil fédéral. Mieux les contrôles aux frontières extérieures fonctionneront, moins il y aura besoin de contrôles aux frontières nationales suisses. » Et, à l’instar de Buchs, moins il faudra se préoccuper de la chose.

      https://www.letemps.ch/suisse/suisse-alemanique/a-buchs-la-banalite-de-la-migration

      #statistiques #chiffres #2023

  • Les territoires des émeutes
    https://laviedesidees.fr/Les-territoires-des-emeutes

    Le haut niveau de #ségrégation urbaine constitue le meilleur prédicteur des violences. La différence la plus marquante entre 2023 et 2005 est l’entrée en scène des villes petites et moyennes, où les adolescents de cités d’habitat social s’identifient aux jeunes des banlieues de grandes métropoles.

    #Société #jeunesse #banlieue #révolte #urbanisme #gilets_jaunes
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240412_emeutes.pdf

    • Conclusion

      Le retour sur les émeutes de #2005 a permis de mettre en évidence à la fois des continuités et des changements par rapport à celles de #2023. Si de façon générale, les communes les plus défavorisées ont de plus fortes probabilités de connaître des émeutes, c’est surtout la ségrégation des situations sociales les plus précaires et des immigrés dans des quartiers spécifiques (#QPV) qui apparaît comme un élément de contexte crucial. À profil social et urbain équivalent, avoir un QPV augmente de façon très significative la probabilité de connaître des émeutes. De plus, cette #ségrégation_sociale et ethnique s’accompagne d’une forte #ségrégation_scolaire dont nous avons pu mesurer également l’impact : plus elle est importante, plus les émeutes sont intenses et violentes.

      Les quartiers en question sont ceux directement concernés par la #politique_de_la_ville (QPV, #PNRU, #NPNRU) depuis plusieurs décennies. Si des changements sont indiscutables sur le plan de l’amélioration du cadre de vie des habitants et plus particulièrement des #conditions_de_logement, un grand nombre de ces quartiers continuent de concentrer une large part de la jeunesse populaire d’origine immigrée, celle la plus touchée par la #relégation, les #discriminations et les #violences_policières, et donc celle aussi la plus concernée par les émeutes. Si la #mixité_sociale et ethnique s’est sensiblement améliorée dans certains quartiers, d’autres demeurent des espaces de très forte #homogénéité_sociale et ethnique, que l’on retrouve dans les #écoles et les #collèges. Ceux où les interventions de l’#ANRU ont été moins intenses ont même vu le nombre de ménages pauvres augmenter. En Île-de-France, la quasi-totalité des communes qui avaient connu des émeutes en 2005, pourtant concernées par la politique de la ville, en ont connu également en 2023.

      Notre approche socio-territoriale met d’autant plus en évidence les limites d’une analyse au niveau national, que les émeutes de 2023 se sont diffusées dans un plus grand nombre de petites villes et villes moyennes auparavant moins touchées par ces événements. Cette plus grande diversité territoriale est frappante lorsque l’on compare les banlieues des très grandes métropoles, à commencer par les banlieues parisiennes, aux #petites_villes et #villes_moyennes. Le poids du #logement_social, de l’immigration, la suroccupation des logements, le niveau de #pauvreté, mais aussi la façon dont ces dimensions se rattachent aux #familles_monoparentales et nombreuses, renvoient à des réalités différentes. Pourtant, dans tous les cas, la ségrégation joue un rôle déterminant.

      Cette approche contextuelle ne suffit pas à expliquer l’ensemble des mécanismes sociaux à l’œuvre et ce travail devra être complété à la fois par des analyses plus fouillées et qualitatives, ciblées sur les réseaux sociaux, la police et les profils des protagonistes, mais aussi des études de cas renvoyant aux différentes configurations socio-territoriales. Des études qualitatives locales devraient permettre de mieux comprendre comment, dans les différents contextes, les dimensions sociales et ethno-raciales interagissent lors des émeutes. Cela permettrait par exemple de mieux saisir l’importance de la mémoire des émeutes dans les quartiers populaires des banlieues des grandes métropoles, sa transmission et le rôle des réseaux militants et associatifs. Dans le cas des petites villes et des villes moyennes, la comparaison avec le mouvement des Gilets jaunes apporte un éclairage particulièrement intéressant sur l’intersection et la différenciation des formes que peuvent prendre la colère sociale et le ressentiment.

      #émeutes #violence #villes #urban_matter #violences_urbaines #banlieues #ségrégation_urbaine #violences #statistiques #chiffres

  • La #liberté_académique menacée dans le monde : « Les universitaires ont intérêt à s’exprimer ouvertement avant qu’il ne soit trop tard »

    En 2006, un citoyen sur deux vivait dans une zone de liberté académique, cette proportion est désormais d’un sur trois. Budgets universitaires en berne, difficultés pour s’exprimer sur des sujets sensibles… Dans un contexte d’#érosion_démocratique, la tendance est alarmante pour la #connaissance et le #bien_commun. Entretien avec #Katrin_Kinzelbach, spécialiste en politique internationale des droits de l’homme, à l’initiative de l’#indice annuel de liberté académique.

    (#paywall)

    https://www.lemonde.fr/sciences/article/2024/04/01/la-liberte-academique-menacee-dans-le-monde-les-universitaires-ont-interet-a
    #université #monde #facs #recherche #libertés_académiques #statistiques #dégradation #chiffres

    • #Academic_freedom_index

      Based on assessment of the de facto protection of academic freedom as of December 2023, the Academic Freedom Index Update 2024 provides an overview of the state of academic freedom in 179 countries and territories. In line with previous AFI reports, this year’s data demonstrates that academic freedom is under threat globally. Using the concept of growth and decline episodes at country level, this year’s update shows that 23 countries are in episodes of decline in academic freedom, but academic freedom is increasing in only ten countries. 3.6 billion people now live in countries where academic freedom is completely restricted. Taking a longer time period into account by comparing 2023 data with that of fifty years ago, we note more optimistically that academic freedom expanded in 56 countries.

      https://www.youtube.com/watch?v=gOj_1B2PIlE


      https://academic-freedom-index.net
      #rapport

    • L’état de la liberté académique dans le monde

      Basé sur une évaluation de la protection de facto de la liberté académique en décembre 2023, l’Academic Freedom Index Update 2024 donne un aperçu de l’état de la liberté académique dans 179 pays et territoires

      Conformément aux précédents rapports de l’AFI, les données démontrent que la liberté académique est menacée à l’échelle mondiale. Le rapport 2024 montre que 23 pays connaissent des épisodes de déclin de la liberté académique. Celle-ci n’augmente que dans dix pays. 3,6 milliards de personnes vivent désormais dans des pays où la liberté académique est totalement restreinte. En prenant en compte une période plus longue, en comparant les données de 2023 avec celles d’il y a cinquante ans, on constate malgré tout que la liberté académique s’est étendue dans 56 pays.

      L’Academic Freedom Index (AFI) couvre actuellement 179 pays et territoires et fournit l’ensemble de données le plus complet sur le thème de la liberté académique. L’AFI évalue les niveaux de facto de liberté académique à travers le monde sur la base de cinq indicateurs :

      - liberté de recherche et d’enseignement
      - liberté d’échange et de diffusion académique
      - autonomie institutionnelle
      - intégrité du campus
      - liberté d’expression académique et culturelle

      L’AFI repose sur des évaluations réalisées par 2 329 experts nationaux dans le monde entier, des questionnaires standardisés et un modèle statistique bien établi, mis en œuvre et adapté par le projet V-Dem. Le projet V-Dem est connu pour générer des données solides sur diverses dimensions de la démocratie. L’Academic Freedom Index utilise une méthode de modèle de mesure bayésienne pour l’agrégation des données : il fournit non seulement des estimations ponctuelles, mais rend également compte de manière transparente de l’incertitude de mesure dans l’évaluation globale de la liberté académique. Il est recommandé pour les utilisateurs de prendre en compte cette incertitude lorsqu’ils comparent les scores entre pays et dans le temps. Il est possible d’en savoir davantage sur ces recherches en consultant le site Web. De plus, un article d’introduction explique plus en détail la conception de cet index.

      Les données de l’Indice de liberté académique sont conservées dans l’ensemble de données V-Dem, qui comprend les évaluations de la démocratie les plus complètes et les plus détaillées au monde, ainsi que les données de l’AFI. La dernière version de l’ensemble de données et les documents de référence associés peuvent être téléchargés gratuitement sur le site Internet de V-Dem (pp. 238-243 & 322 Codebook). Mais il faut au préalable s’inscrire sur le site.

      Pour en savoir plus sur l’état actuel de la liberté académique dans le monde, on peut se référer à la mise à jour de l’ Indice de liberté académique et explorer les données sur la carte interactive.

      https://cartonumerique.blogspot.com/2024/04/liberte-academique.html
      #cartographie #visualisation

  • #Mayotte va ériger un « rideau de fer » de technologies civilo-militaires de surveillance

    Le sous-préfet chargé de la lutte contre l’immigration clandestine à Mayotte vient de publier 11 demandes d’information réclamant aux industriels un arsenal impressionnant de technologies de #surveillance pour combattre le « défi migratoire » dans ce département de la #France d’outre-mer.

    Le 10 février dernier, #Gérald_Darmanin a annoncé qu’ « avec le ministre des Armées, nous mettons en place un "#rideau_de_fer" dans l’eau, qui empêchera le passage des #kwassa-kwassa [des #pirogues légères, qui tanguent énormément, et sont utilisées par les passeurs pour convoyer des migrants d’#Anjouan aux #Comores à Mayotte, ndlr] et des #bateaux, beaucoup plus de moyens d’interception, des #radars, et vous verrez un changement radical ».

    Concrètement, ce dispositif consiste en « une nouvelle vague d’#investissements dans des outils technologiques (radars, moyens maritimes…) permettant de déceler et d’interpeller les migrants en mer », précise le ministère de l’Intérieur à France Info.

    Il s’agit du prolongement de l’#opération_Shikandra, du nom d’un redouté poisson baliste du lagon qui défend son territoire et se montre extrêmement agressif envers les poissons et tout animal (plongeurs et nageurs inclus) qui traverse sa zone de nidification en période de reproduction.

    L’opération Shikandra est quant à elle qualifiée par le ministère d’ « approche globale, civilo-militaire, pour relever durablement le défi migratoire à Mayotte », « qui a permis une première vague d’investissements massifs dans ces outils » depuis son lancement (https://www.mayotte.gouv.fr/contenu/telechargement/15319/116719/file/26082019_+DP+Op%C3%A9ration+Shikandra+Mayotte.pdf) en 2019.

    Il était alors question de déployer 35 fonctionnaires supplémentaires à la #Police_aux_frontières (#PAF), plus 26 gendarmes départementaux et sept effectifs supplémentaires pour le greffe du TGI de Mamoudzou, mais également d’affecter 22 personnels supplémentaires aux effectifs embarqués dans les unités maritimes, de remplacer les cinq vedettes d’interception vétustes par huit intercepteurs en parfaites conditions opérationnelles (quatre neufs et quatre rénovés).

    En décembre dernier, Elisabeth Borne a annoncé le lancement, en 2024, du #plan_interministériel_Shikandra 2, contrat d’engagement financier entre l’État et le département doté de plusieurs centaines de millions d’euros jusqu’en 2027 : « Nous investirons massivement dans la protection des #frontières avec de nouveaux outils de #détection et d’#interception ».

    À l’en croire, la mobilisation de « moyens considérables » via la première opération Shikandra aurait déjà porté ses fruits : « Depuis 5 ans, près de 112 000 personnes ont été éloignées du territoire, dont plus de 22 000 depuis le début de l’année ».

    Les derniers chiffres fournis par la préfecture de Mayotte, en octobre 2023, évoquent de leur côté un total de 60 610 reconduites à la frontière (8 127 en 2020, 17 853 en 2021, 17 380 en 2022 et 17 250 en 2023, l’interception de 1 353 kwassa-kwassa, 17 192 étrangers en situation irrégulière interpellés en mer, et 59 789 à terre, la destruction de 622 barques et 424 moteurs, et la condamnation à de la prison ferme de 285 passeurs.

    https://next.ink/130597/mayotte-va-eriger-un-rideau-de-fer-de-technologies-civilo-militaires-de-survei
    #murs #barrières_frontalières #migrations #réfugiés #chiffres #statistiques #complexe_militaro-industrielle #technologie #frontières #militarisation_des_frontières

  • Belgian beer study acquires taste for machine learning • The Register
    https://www.theregister.com/2024/03/27/belgian_beer_machine_learning

    Researchers reckon results could improve recipe development for food and beverages
    icon
    Lindsay Clark
    Wed 27 Mar 2024 // 11:45 UTC

    Joining the list of things that probably don’t need improving by machine learning but people are going to try anyway is Belgian beer.

    The ale family has long been a favorite of connoisseurs worldwide, yet one group of scientists decided it could be brewed better with the assistance of machine learning.

    In a study led by Michiel Schreurs, a doctoral student at Vlaams Instituut voor Biotechnologie (VIB) in Flanders, the researchers wanted to help develop new alcoholic and non-alcoholic beer flavors with higher rates of consumer appreciation.

    Understanding the relationship between beer chemistry and its taste can be a tricky task. Much of the work is trial and error and relies on extensive consumer testing.

    #Intelligence_artificielle #Bière #Bullshit #Statistiques_fantasques

  • Women ask fewer questions than men at seminars
    (de 2017, je mets ici pour archivage)

    ONE theory to explain the low share of women in senior academic jobs is that they have less self-confidence than men. This hypothesis is supported by data in a new working paper, by a team of researchers from five universities in America and Europe. In this study, observers counted the attendees, and the questions they asked, at 247 departmental talks and seminars in biology, psychology and philosophy that took place at 35 universities in ten countries. On average, half of each seminar’s audience was female. Men, however, were over 2.5 times more likely to pose questions to the speakers—an action that may be viewed (rightly or wrongly) as a sign of greater competence.

    (#paywall: si quelqu’un·e a accès...)
    https://www.economist.com/science-and-technology/2017/12/07/women-ask-fewer-questions-than-men-at-seminars
    #statistiques #chiffres #questions #séminaires #conférences #genre #femmes #première_question #hommes

    • How to stop men asking all the questions in seminars – it’s really easy!

      I spotted a short item on gender #bias in academia in the Economist this week and tweeted it, which then went viral. The tweet read:

      https://frompoverty.oxfam.org.uk/wp-content/uploads/2022/09/questions-in-seminars-508x1024.png

      ‘In academic seminars, ‘Men are > 2.5 times more likely to pose questions to the speakers. This male skew was observable only in those seminars in which a man asked first question. When a woman did so, gender split disappeared’. CHAIRS PLEASE NOTE – FIRST Q TO A WOMAN – EVERY TIME.’

      Which confirms an impression I’ve had when chairing assorted discussions – if you let men dominate from the start, it stays that way, but call on women for the first few questions, and things work out much better.

      The research paper that backs up the stats can be found here. It’s based on survey responses of over 600 academics in 20 countriesand observational data from almost 250 seminars in 10 countries. Kudos to the authors, Alecia Carter, Alyssa Croft, Dieter Lukas and Gillian Sandstrom. Their broader recommendations are:

      ‘Increasing the time for or number of questions reduces the imbalance in the questions asked. We recommend that, where possible, the question time not be limited. This could be achieved through, for example, booking a seminar room for longer than one hour so that the next event in the room does not cut short the question time. Having said this, our data suggest that to overcome the male-first question bias, upwards of 25 min is needed for questions, which was a rare occurrence in our data and additionally may be a taxing requirement for the speaker after having given a seminar.

      Alternatively, keeping questions and answers short will allow more questions to be asked during a given question period, and could be an alternative method to allow greater balance in the questions asked. We feel that more could be done through active changes in speakers’, attendees’ and particularly moderators’ behaviour. Having an active, trained moderator may avoid those situations where one audience member seems to be “showing off” (which survey respondents claim to be the case quite often), or is going off-topic, or a speaker who goes over time.

      We would recommend that, should the opportunity arise, a female-first question be prioritised because this was a good predictor of low imbalance in the questions asked in our observational data. In addition, moderators could be trained to see the whole room (location was mentioned as a factor), and to maintain as much balance as possible with respect to gender and seniority of question-askers. In the open-ended survey questions, respondents complained that moderators call on people they know or more senior people, overlooking the rest.

      https://frompoverty.oxfam.org.uk/wp-content/uploads/2022/09/speeches-disguised-as-comments.jpg

      Although it may seem fair to call on people in the order that they raise their hands, doing so may inadvertently result in fewer women and junior academics asking questions, since they often need more time to formulate questions and work up the nerve.

      Our data clearly show that women are not inherently less likely to ask questions when the conditions are favourable—there is no gender bias when a woman asks the first question. Our suggestions should be seen as aims to create favourable conditions that remove the barriers to speaking up and being visible.’

      One of the single most useful bits of gender-related research I’ve read in a long time. I will do things differently from now on.

      Update: most useful additional advice on twitter comes from Joe Smith. He attended a recent seminar where the chair announced he would take Qs in order ‘girl-boy-girl-boy’. Lets people know in advance, is obviously fair, and is light hearted and infinitely preferable to male chair ‘look how feminist I am’ trumpet-blowing.

      https://frompoverty.oxfam.org.uk/how-to-stop-men-asking-all-the-questions-in-seminars-its-reall
      #université #recherche #ESR #solution

  • Le #débit des #rivières se transforme complètement dans tous les pays de l’hémisphère Nord

    Le réchauffement climatique n’a pas seulement des conséquences sur les températures, les précipitations et la fonte des glaciers. Il modifie également le débit des rivières, selon une nouvelle étude publiée dans la revue Science. La différence de débit entre l’#hiver et le #printemps est de moins en moins grande, ce qui risque d’affecter tout l’écosystème.

    Une équipe d’hydrologues anglais a analysé le débit des rivières dans environ 10 000 stations réparties sur l’ensemble du monde au cours des 35 dernières années (https://www.science.org/doi/10.1126/science.adi9501). Ils ont découvert que toutes les régions de l’#hémisphère_Nord étaient concernées par un changement au #niveau_du_débit des #fleuves et rivières. Les débits affichent en effet une tendance à la baisse au printemps et une tendance à la hausse l’hiver, une situation complètement inversée par rapport au cycle naturel sur :

    - 40 % des stations d’Amérique du Nord ;
    – 32 % des stations de Sibérie du Sud ;
    – 19 % des stations du nord de l’Europe.

    Ces mesures prennent en compte les débits naturels, et ont exclu les débits modifiés par des barrages ou autres aménagements qui fausseraient les résultats. L’hémisphère Sud semble bien moins touché par ces changements de débits, à l’exception du sud-est du Brésil qui affiche des extrêmes encore plus marqués entre l’hiver et le printemps.

    En cause, la fonte précoce des neige et la croissance en avance des végétaux

    D’où vient cette évolution étonnante dans l’hémisphère Nord ? Principalement de la #fonte_des_glaces en #Arctique, précisent les chercheurs, et de la #fonte_des_neiges plus précoce en fin d’hiver, qui augmentent les débits l’hiver. Le décalage de la saison de croissance des plantes joue aussi un rôle : la hausse des #températures permet aux plantes de pousser plus tôt dans la saison et d’absorber plus de précipitations, ce qui contribue à la réduction du débit des rivières. C’est donc la variation naturelle des rivières au cours des #saisons qui est chamboulée. Les conséquences sur la biodiversité qui dépend de ces rivières n’ont pas encore été évaluées et cela fera l’objet d’études futures.

    https://www.futura-sciences.com/planete/actualites/rechauffement-climatique-debit-rivieres-transforme-completement-tou
    #climat #changement_climatique #chiffres #statistiques

  • Pour les migrants, l’année #2023 a été la plus meurtrière de la décennie, selon l’ONU

    Au moins 8 565 personnes sont mortes sur les routes migratoires l’an passé, selon l’Organisation internationale pour les migrations. La traversée de la mer Méditerranée reste la route la plus meurtrière, avec au moins 3 129 morts ou disparitions enregistrées.

    Il s’agit de l’année la plus meurtrière de la décennie sur les routes de migration dans le monde. Au moins 8 565 personnes migrantes sont mortes en 2023, a affirmé, mercredi 6 mars, l’Organisation internationale pour les migrations (#OIM). La traversée de la mer Méditerranée reste la route la plus meurtrière, avec au moins 3 129 morts ou disparitions enregistrées l’an dernier.

    « Le nombre des morts en 2023 représente une augmentation tragique de 20 % par rapport à celui de 2022, ce qui souligne le besoin urgent d’agir pour éviter de nouvelles pertes de vies humaines », a déclaré cette agence de l’ONU dans un communiqué. Il dépasse le précédent chiffre le plus élevé établi en 2016, lorsque 8 084 migrants étaient morts sur les routes de retour de leur exil.

    Plus de la moitié des morts sont dues à des noyades

    L’OIM souligne que les voies migratoires sûres et légales restent peu nombreuses, ce qui pousse des centaines de milliers de personnes chaque année à tenter leur chance dans des conditions dangereuses. Un peu plus de la moitié des morts survenues l’année dernière sont dues à des noyades ; 9 %, à des accidents de voiture ; 7 %, à des actes de violence.

    « Alors que nous célébrons les dix ans du projet Missing Migrants, nous nous souvenons d’abord de toutes ces vies perdues, a déclaré le directeur général adjoint de l’OIM, Ugochi Daniels, cité dans le communiqué. Chacune d’entre elles est une terrible tragédie humaine, qui se répercute sur les familles et les communautés pendant des années. »

    Le projet Missing Migrants de l’OIM, créé en 2014, est une banque de données en libre accès qui recense les morts et disparitions de migrants. Depuis sa mise en œuvre, plus de 63 000 cas ont été répertoriés dans le monde, mais le nombre réel est beaucoup plus élevé. Les migrants étant incités à employer des routes parfois très isolées pour échapper aux autorités, la collecte de données fiables est d’autant plus difficile.

    « Ces chiffres horribles collectés par le #Missing_Migrants_Project nous rappellent également que nous devons réaffirmer notre engagement à agir davantage pour garantir une migration sûre pour tous, afin que dans dix ans les gens n’aient pas à risquer leur vie à la recherche d’un meilleur avenir », a encore affirmé le directeur général adjoint de l’OIM.

    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/03/06/immigration-l-annee-2023-a-ete-la-plus-meurtriere-de-la-decennie-selon-l-onu
    #migrations #statistiques #chiffres #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #réfugiés #mortalité #monde #IOM #Missing_Migrants

  • European arms imports nearly double, US and French exports rise, and Russian exports fall sharply

    States in Europe almost doubled their imports of major arms (+94 per cent) between 2014–18 and 2019–23. Far larger volumes of arms flowed to Asia and Oceania and the Middle East in 2019–23, where nine of the 10 largest arms importers are. The United States increased its arms exports by 17 per cent between 2014–18 and 2019–23, while Russia’s arms exports halved. Russia was for the first time the third largest arms exporter, falling just behind France. The global volume of international arms transfers fell slightly by 3.3 per cent between 2014–18 and 2019–23, according to new data on international arms transfers published today by the Stockholm International Peace Research Institute (#SIPRI).

    Around 55 per cent of arms imports by European states in 2019–23 were supplied by the USA, up from 35 per cent in 2014–18. ‘More than half of arms imports by European states come from the USA,’ noted SIPRI Director Dan Smith, ‘while at the same time, Europe is responsible for about a third of global arms exports, including large volumes going outside the region, reflecting Europe’s strong military–industrial capacity. Many factors shape European NATO states’ decisions to import from the USA, including the goal of maintaining trans-Atlantic relations alongside the more technical, military and cost-related issues. If trans-Atlantic relations change in the coming years, European states’ arms procurement policies may also be modified.’
    US and French arms exports climb, while Russian arms exports plummet

    The USA’s arms exports grew by 17 per cent between 2014–18 and 2019–23, and its share of total global arms exports rose from 34 per cent to 42 per cent. The USA delivered major arms to 107 states in 2019–23, more than it has in any previous five-year period and far more than any other arms exporter. The USA and states in Western Europe together accounted for 72 per cent of all arms exports in 2019–23, compared with 62 per cent in 2014–18.

    ‘The USA has increased its global role as an arms supplier—an important aspect of its foreign policy—exporting more arms to more countries than it has ever done in the past,’ said Mathew George, Director of the SIPRI Arms Transfers Programme. ‘This comes at a time when the USA’s economic and geopolitical dominance is being challenged by emerging powers.’

    France’s arms exports increased by 47 per cent between 2014–18 and 2019–23 and for the first time it was the second biggest arms exporter, just ahead of Russia. The largest share of France’s arms exports (42 per cent) went to states in Asia and Oceania, and another 34 per cent went to Middle Eastern states. The largest single recipient of French arms exports was India, which accounted for nearly 30 per cent. The increase in French arms exports was largely due to deliveries of combat aircraft to India, Qatar and Egypt.

    ‘France is using the opportunity of strong global demand to boost its arms industry through exports,’ said Katarina Djokic, researcher at SIPRI. ‘France has been particularly successful in selling its combat aircraft outside Europe.’

    Russian arms exports fell by 53 per cent between 2014–18 and 2019–23. The decline has been rapid over the course of the past five years, and while Russia exported major arms to 31 states in 2019, it exported to only 12 in 2023. States in Asia and Oceania received 68 per cent of total Russian arms exports in 2019–23, with India accounting for 34 per cent and China for 21 per cent.

    Looking at the other top 10 arms exporters after the USA, France and Russia, two saw increases in exports: Italy (+86 per cent) and South Korea (+12 per cent); while five saw decreases: China (–5.3 per cent), Germany (–14 per cent), the United Kingdom (–14 per cent), Spain (–3.3 per cent) and Israel (–25 per cent).
    Steep rise in arms imports to Europe

    Arms imports by European states were 94 per cent higher in 2019–23 than in 2014–18. Ukraine emerged as the largest European arms importer in 2019–23 and the fourth largest in the world, after at least 30 states supplied major arms as military aid to Ukraine from February 2022.

    The 55 per cent of arms imports by European states that were supplied by the USA in 2019–23 was a substantial increase from 35 per cent in 2014–18. The next largest suppliers to the region were Germany and France, which accounted for 6.4 per cent and 4.6 per cent of imports, respectively.

    ‘With many high-value arms on order—including nearly 800 combat aircraft and combat helicopters—European arms imports are likely to remain at a high level,’ said Pieter Wezeman, Senior Researcher with the SIPRI Arms Transfers Programme. ‘In the past two years we have also seen much greater demand for air defence systems in Europe, spurred on by Russia’s missile campaign against Ukraine.’
    Largest share of arms transfers goes to Asia, with India the world’s top arms importer

    Some 37 per cent of transfers of major arms in 2019–23 went to states in Asia and Oceania, the largest share of any region but a slight decrease from 41 per cent in 2014–18. Despite an overall 12 per cent decline in arms imports for the region, imports by several states increased markedly.

    For the first time in 25 years, the USA was the largest arms supplier to Asia and Oceania. The USA accounted for 34 per cent of arms imports by states in the region, compared with Russia’s 19 per cent and China’s 13 per cent.

    India was the world’s top arms importer. Its arms imports increased by 4.7 per cent between 2014–18 and 2019–23. Although Russia remained India’s main arms supplier (accounting for 36 per cent of its arms imports), this was the first five-year period since 1960–64 when deliveries from Russia (or the Soviet Union prior to 1991) made up less than half of India’s arms imports. Pakistan also significantly increased its arms imports (+43 per cent). Pakistan was the fifth largest arms importer in 2019–23 and China became even more dominant as its main supplier, providing 82 per cent of its arms imports.

    Arms imports by two of China’s East Asian neighbours increased, Japan’s by 155 per cent and South Korea’s by 6.5 per cent. China’s own arms imports shrank by 44 per cent, mainly as a result of substituting imported arms—most of which came from Russia—with locally produced systems.

    ‘There is little doubt that the sustained high levels of arms imports by Japan and other US allies and partners in Asia and Oceania are largely driven by one key factor: concern over China’s ambitions,’ said Siemon Wezeman, Senior Researcher with the SIPRI Arms Transfers Programme. ‘The USA, which shares their perception of a Chinese threat, is a growing supplier to the region.’
    Middle East imports high volumes of arms, mainly from the USA and Europe

    Thirty per cent of international arms transfers went to the Middle East in 2019–23. Three Middle Eastern states were among the top 10 importers in 2019–23: Saudi Arabia, Qatar and Egypt.

    Saudi Arabia was the world’s second largest arms importer in 2019–23, receiving 8.4 per cent of global arms imports in the period. Saudi Arabian arms imports fell by 28 per cent in 2019–23, but this was from a record level in 2014–18. Qatar increased its arms imports almost fourfold (+396 per cent) between 2014–18 and 2019–23, making it the world’s third biggest arms importer in 2019–23.

    The majority of arms imports by Middle Eastern states were supplied by the USA (52 per cent), followed by France (12 per cent), Italy (10 per cent) and Germany (7.1 per cent).

    ‘Despite an overall drop in arms imports to the Middle East, they remain high in some states, driven largely by regional conflicts and tensions,’ said Zain Hussain, researcher at SIPRI. ‘Major arms imported in the past 10 years have been used widely in conflicts in the region, including in Gaza, Lebanon and Yemen. Some states in the Gulf region have imported large volumes of arms to use against the Houthis in Yemen and to counter Iranian influence.’
    Other notable developments:

    - Imports of major arms by states in Africa fell by 52 per cent between 2014–18 and 2019–23. This was mainly due to large decreases for two North African importers: Algeria (–77 per cent) and Morocco (–46 per cent).
    - Arms imports by states in sub-Saharan Africa decreased by 9.0 per cent. China, which accounted for 19 per cent of deliveries to sub-Saharan Africa, overtook Russia as the region’s main supplier of major arms.
    - Egypt was the world’s seventh largest arms importer in 2019–23. Its imports included more than 20 combat aircraft and a total of 10 major warships aimed at increasing its military reach.
    - Australia was the world’s eighth largest arms importer. Its arms imports decreased by 21 per cent. However, in 2023 it reached an agreement with the UK and the USA on importing at least six nuclear-powered submarines.
    – The USA accounted for 69 per cent and Germany for 30 per cent of arms imports by Israel.
    - Combat aircraft are the main long-range strike weapon but interest in long-range missiles is increasing. In 2019–23 six states ordered or preselected missiles with a range over 1000 kilometres, all from the USA.
    – Arms imports by states in the Americas decreased by 7.2 per cent. The USA was the largest importer in the region, followed by Brazil and Canada.

    https://www.sipri.org/media/press-release/2024/european-arms-imports-nearly-double-us-and-french-exports-rise-and-russian-ex
    #industrie_de_l'armement #armes #exportations #importations #statistiques #chiffres #armement #commerce_d'armes #2023 #France #USA #Etats-Unis #Russie

    –—

    voir aussi :
    France : second exportateur mondial d’armes ! Les autorités se dérobent à leurs obligations de contrôle démocratique et de transparence. Jusqu’à quand ?
    https://seenthis.net/messages/1045318

  • La chimère d’une statistique mondiale
    https://laviedesidees.fr/Benoit-Martin-Chiffrer-le-crime

    Les #statistiques occupent une place considérable dans les négociations internationales. L’ouvrage de Benoît Martin nous invite à les considérer de manière critique comme des objets éminemment politiques en regardant avec attention leur processus de construction. À propos de : Benoît Martin, Chiffrer le crime, enquête sur la production de statistiques internationales, Presses de Sciences po

    #International #criminalité
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/202401_chiffres.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20240303_chiffres.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240303_chiffres.pdf

  • I dati che raccontano la guerra ai soccorsi nell’anno nero della strage di Cutro

    Nel 2023 le autorità italiane hanno classificato come operazioni di polizia e non Sar oltre mille sbarchi, per un totale di quasi 40mila persone, un quarto degli arrivi via mare. Dati inediti del Viminale descrivono la “strategia” contro le Ong e l’intento di creare l’emergenza a Lampedusa concentrando lì oltre i due terzi degli approdi.

    Nell’anno della strage di Cutro (26 febbraio 2023) le autorità italiane hanno classificato come operazioni di polizia oltre 1.000 sbarchi, per un totale di quasi 40mila persone, poco più di un quarto di tutti gli arrivi via mare. Questo nonostante gli effetti funesti che la confusione tra “law enforcement” e ricerca e soccorso ha prodotto proprio in occasione del naufragio di fine febbraio dell’anno scorso a pochi metri dalle coste calabresi, quando morirono più di 90 persone, e sulla quale sta indagando la Procura di Crotone.

    Quello degli eventi strumentalmente classificati come di natura poliziesca in luogo del soccorso, anche dopo i fatti di Cutro, è solo uno dei dati attraverso i quali si può leggere come è andata lo scorso anno nel Mediterraneo. È possibile farlo dopo aver ottenuto dati inediti dal ministero dell’Interno, che rispetto al passato ha fortemente ridotto qualità e quantità degli elementi pubblicati nel cruscotto statistico giornaliero e nella sua rielaborazione di fine anno.

    Prima però partiamo dai dati noti. Nel 2023 sono sbarcate sulle coste italiane 157.651 persone (il Viminale talvolta ne riporta 157.652, ma la sostanza è identica). Il dato è il più alto dal 2017 ma inferiore al 2016, quando furono 181.436. Le prime cinque nazionalità dichiarate al momento dello sbarco, che rappresentano quasi il 50% degli arrivi, sono di cittadini della Guinea, Tunisia, Costa d’Avorio, Bangladesh, Egitto. I minori soli sono stati 17.319.

    E qui veniamo ai dati che ci ha trasmesso il Viminale a seguito di un’istanza di accesso civico generalizzato. La stragrande maggioranza delle persone sbarcate è partita nel 2023 dalla Tunisia: oltre 97mila persone sulle 157mila totali. Segue a distanza la Libia, con 52mila partenze, quasi doppiata, e poi più dietro la Turchia (7.150), Algeria, Libano e finanche Cipro.

    Come mostrano le elaborazioni grafiche dei dati governativi, ci sono stati mesi in cui dalla Tunisia sono sbarcate anche oltre 20mila persone. Una tendenza che ha conosciuto una brusca interruzione a partire dal mese di ottobre 2023, quando gli sbarchi in quota Tunisia, al netto delle condizioni meteo marine, sono crollati a poco meno di 1.900, attestandosi poco sotto i 5mila nei due mesi successivi.

    Tradotto: l’ultimo trimestre dello scorso anno ha visto una forte diminuzione degli sbarchi provenienti dalla Tunisia, Paese con il quale Unione europea e Italia hanno stretto il “solito” accordo che prevede soldi e forniture in cambio di “contrasto ai flussi”, ovvero contrasto ai diritti umani. È lo schema libico, con le differenze del caso. Il ministro Matteo Piantedosi il 31 dicembre 2023, intervistato da La Stampa, ha rivendicato la bontà della strategia parlando di “121.883 persone” (dando l’idea di un conteggio analitico e quotidiano) “bloccate” grazie alla “collaborazione con le autorità tunisine e libiche”.

    Un altro dato utilissimo per capire come “funziona” la macchina mediatica della presunta “emergenza immigrazione” è quello dei porti di sbarco. Il primo e incontrastato porto sul quale lo scorso anno è stata scaricata la stragrande maggioranza degli sbarchi è Lampedusa, con quasi 110mila arrivi (di cui “solo” 7.400 autonomi) contro i 5.500 di Augusta, Roccella Jonica, i 4.800 di Pantelleria e i 3.800 di Catania. In passato non è sempre stato così. Ma Lampedusa è troppo importante per due ragioni: dare in pasto all’opinione pubblica l’idea di una situazione esplosiva e ingestibile, bloccando i trasferimenti verso la terraferma (vedasi l’estate 2023), e contemporaneamente convogliare quanti più richiedenti asilo potenziali possibile nella macchina del trattenimento dell’hotspot.

    Benché in Italia si sia convinti che a soccorrere le persone in mare siano solo le acerrime nemiche Ong, i dati, ancora una volta, confermano il loro ruolo ridotto a marginale dopo anni di campagne diffamatorie, criminalizzazione penale e vera e propria persecuzione amministrativa. Nel 2023, infatti, gli assetti delle Organizzazioni non governative hanno salvato e sbarcato in Italia neanche 9mila persone. Poco più del 5% del totale. Anche nei mesi più intensi degli arrivi la quota delle Ong è stata limitata.

    Come noto, le poche navi umanitarie intervenute sono state deliberatamente indirizzate verso porti lontani. Il primo per numero di persone sbarcate è stato Brindisi (quasi 1.400 sbarcati su 9mila), ovvero 285 miglia in più rispetto al Sud-Ovest della Sicilia. Segue Lampedusa con 980, vero, ma poi ci sono Carrara (535 miglia di distanza in più dalla Sicilia), Trapani, Salerno, Bari, Civitavecchia, Ortona.

    Non è facile dire quanti giorni di navigazione in più questa “strategia” brutale abbia esattamente determinato. Un esperto operatore di ricerca e soccorso in mare aiuta a fare due conti a spanne: “Le navi normalmente viaggiano a meno di dieci nodi, calcolando una velocità di sette nodi andare a Brindisi implica circa 41 ore in più rispetto ai porti più vicini del Sud della Sicilia, come ad esempio Pozzallo. E per arrivare a Pozzallo dalla cosiddetta ‘SAR 1’, a Ovest di Tripoli, partendo da una distanza dalla costa libica di circa 35 miglia, tra Zuara e Zawiya, ci vogliono circa 24 ore”.

    Una recente analisi di Sos Humanity -ripresa dal Guardian a metà febbraio- ha stimato che questo modus operandi delle autorità italiane possa aver complessivamente fatto perdere alle navi delle Ong 374 giorni di operatività. Nell’anno in cui sono morte annegate ufficialmente almeno 2.500 persone e intercettate dalle milizie libiche e riportate indietro, sempre ufficialmente, quasi 17.200 (con l’ancora una volta dimostrata complicità dell’Agenzia europea Frontex). Ma sono tempi così oscuri che ostacolare le “ambulanze” è divenuto un vanto.

    https://altreconomia.it/i-dati-che-raccontano-la-guerra-ai-soccorsi-nellanno-nero-della-strage-

    #statistiques #débarquement #Italie #migrations #réfugiés #chiffres #sauvetage #ONG #SAR #search-and-rescue #Méditerranée #Lampedusa #law_enforcement #2023 #Tunisie #Libye #externalisation #accord #urgence #hotspot

  • 415 senza fissa dimora morti nel 2023: il 68% sono persone straniere
    https://www.meltingpot.org/2024/02/415-senza-fissa-dimora-morti-nel-2023-il-68-sono-persone-straniere

    Morire di freddo. Quando la temperatura va sotto lo zero e come riparo hai un portico di marmo gelato, un cartone ed una coperta raccattata qua e là.Morire di caldo. Quando il calore ti affanna a tal punto da toglierti il respiro e non hai altro sollievo che sdraiarti per terra.Morire da soli, nonostante si è circondati da persone che camminano, in mezzo alla folla ma stretto dalla più feroce e stringente solitudine.Morire, senza pietà. Morire quando si poteva evitare di morire. Sono 415 le persone senza fissa dimora morte nel 2023, secondo il report annuale di fio.PSD , la

  • Borders Start With Numbers : How Migration Data Create “Fake Illegals”

    “We estimate that between 2009 and 2021 most border crossers labeled as “irregular/illegal” (55.4%) were actually “likely refugees,” a proportion we estimate to be 75.5% at the peak of arrivals in 2015.”

    https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/01979183231222169

    –-> un article et une manière de calcul qui défie la catégorisation proposée par #Frontex (“irregular/illegal border crossings” - #IBCs)

    #statistiques #chiffres #asile #migrations #catégorisation #calcul

    • La construction des prix à la SNCF, une socio-histoire de la tarification. De la #péréquation au yield management (1938-2012)

      Cet article analyse les conditions de production et de légitimation des systèmes de prix des billets de train en France, depuis la création de la SNCF en 1938. Initialement fondé sur le principe d’un tarif kilométrique uniforme, le système historique de péréquation est lentement abandonné au cours des décennies d’après-guerre, au profit d’une tarification indexée sur les coûts marginaux. Au tournant des années 1980-1990, ce paradigme est lui-même remplacé par un dispositif de tarification en temps réel – le yield management – visant à capter le maximum du surplus des consommateurs. Les transformations des modèles tarifaires à la SNCF, qui s’accompagnent d’une redéfinition de la notion éminemment polymorphe de service public ferroviaire, résultent du travail de quelques acteurs de premier plan. Ces « faiseurs de prix », qui mobilisent les instruments de la discipline économique et usent de leur capacité d’influence, agissent dans des contextes (politiques, sociaux, techniques et concurrentiels) particuliers, qui rendent possibles, nécessaires et légitimes les innovations qu’ils proposent.

      https://www.cairn.info/revue-francaise-de-sociologie-2014-1-page-5.htm

      #Jean_Finez

    • Noël : est-ce vraiment moins cher de réserver son train SNCF 3 mois à l’avance ?

      C’est un fait : les tarifs des trajets en train pour la période de Noël ont explosé entre octobre et fin décembre 2023. Nous avons suivi, semaine après semaine, leur évolution. Voici les résultats, parfois surprenants, de notre enquête.

      « Plus on réserve un train à l’avance, plus les prix sont bas. » La phrase de la SNCF semble logique. Mais est-elle vérifiée ? À l’approche des fêtes de Noël, nous avons décidé de nous lancer dans une petite enquête. Numerama a relevé les tarifs d’une vingtaine de trajets en train à travers la France, sur les douze dernières semaines, pour en mesurer l’évolution.

      Nous avions une question principale : est-ce vrai qu’il vaut mieux réserver son billet de train trois mois à l’avance, pour le payer moins cher ? Suivie d’une autre : comment les tarifs évoluent-ils à travers le temps, et à quel rythme les trains deviennent-ils complets ?

      Nous avons choisi arbitrairement dix allers-retours à travers la France. La date est toujours la même, pour simuler un voyage pour les fêtes de fin d’année : un aller le 22 décembre, un retour le 27 décembre. Nous avons choisi un train par jour et suivi l’évolution du tarif des billets chaque semaine, à compter du mercredi 4 octobre, soit la date de l’ouverture des ventes (qui avaient d’ailleurs mis en panne SNCF Connect).
      Prendre ses billets tôt pour Noël permet d’éviter le pire

      Après douze semaines de relevés et une agrégation des données, le premier constat est clair : les tarifs ont énormément augmenté sur cette période. Il est évident que, même s’il y a des exceptions, il reste très intéressant de prendre son billet le plus tôt possible. C’est d’ailleurs ce que la SNCF nous a confirmé, par mail : « Plus on réserve à l’avance, plus les prix sont bas. Le mieux est donc de réserver dès l’ouverture des ventes, ou alors dans les semaines qui suivent. »

      Sur ce graphique, nous avons matérialisé la hausse de tous les trajets confondus. À part une ou deux exceptions (en TER), tous les billets ont augmenté, parfois beaucoup. Certains trajets se sont retrouvés complets très vite — nous les avons matérialisés avec un petit rond barré sur le graphique ci-dessous.

      Les prix peuvent parfois varier du simple au double. Le trajet Nantes-Bordeaux, par exemple, est passé de 58 euros à 136 euros (dernières places en première classe), soit une augmentation de 164 %. Un Strasbourg-Paris a terminé à 153 euros, au lieu de 93 euros il y a trois mois.

      Des hausses de prix jusqu’à 150 %

      Au global, les TGV sont les trains qui subissent les plus grosses hausses à travers le temps, sauf quelques exceptions (Marseille-Nice n’a pas changé d’un iota au fil des 12 semaines, par exemple).

      Sur cette carte réalisée par l’équipe design de Numerama, Adèle Foehrenbacher et Claire Braikeh, on observe quels sont les trajets qui ont subi la plus forte hausse (en rouge foncé), par rapport à ceux qui n’ont pas beaucoup bougé sur 3 mois (en rose).

      Pour les retours de Noël sur la journée du 27 décembre, les trajets les plus onéreux sont les mêmes (Paris-Toulouse, Paris-Strasbourg, Nantes-Bordeaux).

      Certains billets sont moins chers quelques jours avant le départ

      Lorsque nous avons commencé cette enquête, nous nous sommes demandé s’il serait possible qu’un billet devienne moins cher à l’approche de la date du voyage, ce qui est plutôt contre-intuitif. Une occurrence est venue, sur la dernière semaine, être l’exception qui confirme la règle : le trajet Paris-La Rochelle (en jaune ci-dessous) est devenu, au dernier moment, moins cher à l’approche du voyage, par rapport au tarif d’il y a trois mois.

      Autre cas curieux : nous avons constaté au fil des semaines une variation à la baisse sur le trajet Nancy-Grenoble, avec une correspondance. « Ce phénomène est extrêmement rare », nous assure la SNCF. « Nancy-Grenoble n’est pas un train direct. Il se peut que l’un des deux trains se remplissent moins vite et que des petits prix aient été rajoutés à un moment donné », explique-t-on. Le voyage a fini par augmenter de nouveau, pour devenir complet deux semaines avant le départ.

      Le trajet n’est pourtant pas le seul exemple. Prenons le trajet en TER et Train NOMAD Caen-Le Havre. Le 4 octobre, le voyage revenait à 38,4 euros. Surprise ! Dès la semaine suivante, il est tombé à 18 euros, pour rester fixe pendant plusieurs mois. Jusqu’au 13 décembre, où le prix a re-grimpé jusqu’à 48 euros — l’horaire du train de départ ayant été modifié de quelques minutes. Ici, ce n’est pas la SNCF, mais les conseils régionaux qui valident les prix. Par mail, l’établissement régional des lignes normandes nous assure que « la baisse des prix 15 jours après l’ouverture des ventes est impossible ». C’est pourtant le constat que nous avons fait, dès une semaine après l’ouverture.

      Pourquoi de telles hausses ?

      Cela fait plusieurs années que la SNCF a commencé à modifier la manière dont elle décide des tarifs, selon le journaliste spécialisé Gilles Dansart. La compagnie aurait décidé de « faire payer beaucoup plus cher à mesure que l’on s’approche de la date de départ du train », alors qu’auparavant, elle se calquait sur la longueur des kilomètres parcourus pour étalonner ses prix, a-t-il analysé sur France Culture le 21 décembre.

      Contactée, la SNCF nous explique : « Les prix sont les mêmes que pour n’importe quelles dates. Il n’y a pas de prix spécifiques pour Noël. Ce qui fait évoluer les prix, c’est le taux de remplissage et la demande. À Noël les trains se remplissent plus vite et les paliers maximum peuvent être atteints plus rapidement. »

      Ces paliers sont un véritable enjeu, lorsque l’on voit que certains trajets se retrouvent complets très rapidement — le Paris-Toulouse du 22 décembre s’est en effet retrouvé complet, selon nos constats, en à peine une semaine, début octobre.

      En 10 ans, la SNCF a perdu 105 TGV, soit 30 000 sièges, a calculé récemment France 2 dans un reportage. « On n’arrivait plus à remplir les TGV, il y avait des taux d’occupation à moins de 60 % », a expliqué à leur micro Christophe Fanichet, directeur général de SNCF Voyageurs.

      Cette politique de financement de la SNCF ne va pas aller en s’arrangeant pour les voyageurs et voyageuses : l’entreprise a déjà entériné une augmentation du prix des TGV pour 2024, rappelle le Parisien.

      https://www.numerama.com/vroom/1593454-noel-est-ce-vraiment-moins-cher-de-reserver-son-train-3-mois-a-lav

    • Mais on sait que l’investissement sur l’infra était sous dimensionnée autour de 2005, donc voir monter les coûts de péages de l’infra n’a rien d’anormal.
      Nos voisins sont-ils sous le prix réel ? Alors il vont subir un effet boomerang plus tard (effet dette).

  • 2023 mehr Sammelabschiebungen

    Polizei mietet immer öfter ganze Flugzeuge für Abschiebungen an

    Seit mehreren Jahren dokumentiert die antirassistische Gruppe »No Border Assembly« Abschiebungen aus Deutschland. Ihre Arbeitsgruppe »Deportation Alarm« veröffentlicht anstehende Termine von Sammelabschiebungen und recherchiert, wann und mit welcher Personenzahl die Abschiebungen tatsächlich stattgefunden haben. Das Projekt ist entstanden, nachdem sich die Bundesregierung 2020 geweigert hat, der Öffentlichkeit mitzuteilen, mit welchen Fluggesellschaften Abschiebeflüge durchgeführt werden.

    Begründet hat die Bundesregierung die Informationszurückhaltung mit der Gefahr, »dass diese Unternehmen öffentlicher Kritik ausgesetzt werden und in der Folge für die Beförderung von ausreisepflichtigen Personen in die Heimatländer nicht mehr zur Verfügung stehen. Damit werden Rückführungen weiter erschwert oder sogar unmöglich gemacht, so dass staatliche Interessen an der Ausführung des Aufenthaltsgesetzes negativ beeinträchtigt werden.«

    Nun dokumentiert also »Deportation Alarm« die Abschiebungen, und die Gruppe macht das offenbar ziemlich akkurat. »Deportation Alarm« identifiziert Abschiebeflüge mithilfe öffentlich verfügbarer Daten und eines Algorithmus zur Mustererkennung. 2021 hat das in 99,03 Prozent der dokumentierten Fälle geklappt, wie ein Abgleich mit den Daten aus Kleinen Anfragen im Bundestag ergab.

    Am Montag hat »Deportation Alarm« seine Zahlen für 2023 veröffentlicht. Die Gruppe stellt einen »drastischen Anstieg von Sammelabschiebungen« fest. Im vergangenen Jahr habe man 220 sogenannte Charterabschiebungen gezählt. Dabei mietet die Polizei jeweils ein ganzes Flugzeug für Abschiebungen. In der Regel handelt es sich hierbei um Massenabschiebungen; so wurden mit einem Flug im letzten Jahr 119 Menschen abgeschoben. In anderen Fällen werden Flugzeuge aber auch angemietet, um wenige Menschen außer Landes zu schaffen. »Deportation Alarm« geht von mehr als 50 000 Euro Kosten pro Flug aus.

    Die antirassistische Gruppe kritisiert auch die Umstände der Abschiebungen. Jedem Flug gingen, »nächtliche Polizeirazzien in ganz Deutschland« voraus. Meist mitten in der Nacht würden Wohnungstüren aufgebrochen und Menschen gewaltsam zum Flughafen gebracht. Dort werden sie dann in Flugzeuge verfrachtet und noch am selben Tag abgeschoben. »Deportation Alarm« kritisiert: »Abschiebungen und die vorausgehenden Polizeirazzien sind eine grausame und unmenschliche Praxis, die sofort gestoppt werden muss!«

    Die Gruppe erklärt, dass jede einzelne Abschiebung an sich schon grausam sei, Betroffene allerdings noch von zusätzlichen Verletzungen ihrer Menschenrechte und ihrer Würde berichteten. Polizeibeamte setzten körperliche Gewalt ein, Zimmer anderer Bewohner*innen von Massenunterkünften würden illegal betreten, es bliebe kaum Zeit zum Packen, außerdem würden die Betroffenen von Freund*innen und Familie getrennt.

    Für 2024 befürchtet »No Border Assembly« einen weiteren Anstieg der Zahl von Abschiebungen. Das »Rückführungsverbesserungsgesetz« mache dies möglich. Mit mehr Abschiebungen gingen auch mehr »Verletzungen der Menschenrechte und der Würde der Betroffenen« einher, so die Sorge der Gruppe. Sie fordert stattdessen, rassistische Gesetze abzuschaffen und reelle Chancen für Menschen, ihren Aufenthalt zu legalisieren. Gegen die »unmenschliche und rassistische Abschiebepraxis« solle man aufstehen und aktiv werden.

    https://www.nd-aktuell.de/artikel/1179946.rassismus-mehr-sammelabschiebungen.html

    #renvois #expulsions #Allemagne #machine_à_expulser #asile #migrations #réfugiés #sans-papiers #déboutés #statistiques #chiffres #2023 #Deportation_Alarm #No_border_assembly

    ping @_kg_

  • Une organisation en #souffrance

    Les Français seraient-ils retors à l’effort, comme le laissent entendre les mesures visant à stigmatiser les chômeurs ? Et si le nombre de #démissions, les chiffres des #accidents et des #arrêts_de_travail étaient plutôt le signe de #conditions_de_travail délétères.

    Jeté dans une #concurrence accrue du fait d’un #management personnalisé, évalué et soumis à la culture froide du chiffre, des baisses budgétaires, le travailleur du XXIe siècle est placé sous une #pression inédite...

    L’étude de 2019 de la Darès (Ministère du Travail) nous apprend que 37% des travailleurs.ses interrogés se disent incapables de poursuivre leur activité jusqu’à la retraite. Que l’on soit hôtesse de caisse (Laurence) ou magistrat (Jean-Pierre), tous témoignent de la dégradation de leurs conditions de travail et de l’impact que ces dégradations peuvent avoir sur notre #santé comme l’explique le psychanalyste Christophe Dejours : “Il n’y a pas de neutralité du travail vis-à-vis de la #santé_mentale. Grâce au travail, votre #identité s’accroît, votre #amour_de_soi s’accroît, votre santé mentale s’accroît, votre #résistance à la maladie s’accroît. C’est extraordinaire la santé par le travail. Mais si on vous empêche de faire du travail de qualité, alors là, la chose risque de très mal tourner.”

    Pourtant, la #quête_de_sens est plus que jamais au cœur des revendications, particulièrement chez les jeunes. Aussi, plutôt que de parler de la semaine de quatre jours ou de développer une sociabilité contrainte au travail, ne serait-il pas temps d’améliorer son #organisation, d’investir dans les métiers du « soin » afin de renforcer le #lien_social ?

    Enfin, la crise environnementale n’est-elle pas l’occasion de réinventer le travail, loin du cycle infernal production/ consommation comme le pense la sociologue Dominique Méda : “Je crois beaucoup à la reconversion écologique. Il faut prendre au sérieux la contrainte écologique comme moyen à la fois de créer des emplois, comme le montrent les études, mais aussi une possibilité de changer radicalement le travail en profondeur.”

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/une-organisation-en-souffrance-5912905

    #travail #audio #sens #reconnaissance #podcast #déshumanisation #grande_distribution #supermarchés #Carrefour #salariat #accidents_du_travail # location-gérance #jours_de_carence #délai_de_carence #financiarisation #traçabilité #performance #néo-taylorisme #taylorisme_numérique #contrôle #don #satisfaction #modernisation #mai_68 #individualisation #personnalisation #narcissisation #collectif #entraide #épanouissement #marges_de_manoeuvre #intensification_du_travail #efficacité #rentabilité #pression #sous-traitance #intensité_du_travail #santé_au_travail #santé #épidémie #anxiété #dépression #santé_publique #absentéisme #dégradation_des_conditions_de_travail #sommeil #identité #amour_de_soi #santé_par_le_travail #tournant_gestionnaire #gouvernance_de_l'entreprise #direction_d'entreprise #direction #règles #lois #gestionnaires #ignorance #objectifs_quantitatifs #objectifs #performance #mesurage #évaluation #traçabilité #quantification #quantitatif #qualitatif #politique_du_chiffre #flux #justice #charge_de_travail

    25’40 : #Jean-Pierre_Bandiera, ancien président du tribunal correctionnel de Nîmes :

    « On finit par oublier ce qu’on a appris à l’école nationale de la magistrature, c’est-à-dire la motivation d’un jugement... On finit par procéder par affirmation, ce qui fait qu’on gagne beaucoup de temps. On a des jugements, dès lors que la culpabilité n’est pas contestée, qui font abstraction de toute une série d’éléments qui sont pourtant importants : s’attarder sur les faits ou les expliquer de façon complète. On se contente d’une qualification développée : Monsieur Dupont est poursuivi pour avoir frauduleusement soustrait 3 véhicules, 4 téléviseurs au préjudice de Madame Durant lors d’un cambriolage » mais on n’est pas du tout en mesure après de préciser que Monsieur Dupont était l’ancien petit ami de Madame Durant ou qu’il ne connaissait absolument pas Madame Durant. Fixer les conditions dans lesquelles ce délit a été commis de manière ensuite à expliquer la personnalisation de la peine qui est quand même la mission essentielle du juge ! Il faut avoir à chaque fois qu’il nous est demandé la possibilité d’adapter au mieux la peine à l’individu. C’est très important. On finit par mettre des tarifs. Quelle horreur pour un juge ! On finit par oublier la quintessence de ce métier qui est de faire la part des choses entre l’accusation, la défense, l’auteur de faits, la victime, et essayer d’adopter une sanction qui soit la plus adaptée possible. C’est la personnalisation de la peine, c’est aussi le devenir de l’auteur de cette infraction de manière à éviter la récidive, prévoir sa resocialisation. Bref, jouer à fond le rôle du juge, ce qui, de plus en plus, est ratatiné à un rôle de distributeur de sanctions qui sont plus ou moins tarifées. Et ça c’est quelque chose qui, à la fin de ma carrière, c’est quelque chose qui me posait de véritables problèmes d’éthique, parce que je ne pensais pas ce rôle du juge comme celui-là. Du coup, la qualité de la justice finit par souffrir, incontestablement. C’est une évolution constante qui est le fruit d’une volonté politique qui, elle aussi, a été constante, de ne pas consacrer à la justice de notre pays les moyens dont elle devait disposer pour pouvoir fonctionner normalement. Et cette évolution n’a jamais jamais, en dépit de tout ce qui a pu être dit ou écrit, n’ai jamais été interrompue. Nous sommes donc aujourd’hui dans une situation de détresse absolue. La France est donc ??? pénultième au niveau européen sur les moyens budgétaires consacrés à sa justice. Le Tribunal de Nîme comporte 13 procureurs, la moyenne européenne nécessiterait qu’ils soient 63, je dis bien 63 pour 13. Il y a 39 juges au Tribunal de Nîmes, pour arriver dans la moyenne européenne il en faudrait 93. Et de mémoire il y a 125 greffiers et il en faudrait 350 je crois pour être dans la moyenne. Il y avait au début de ma carrière à Nîmes 1 juge des Libertés et de la détention, il y en a aujourd’hui 2. On a multiplié les chiffres du JLD par 10. Cela pose un problème moral et un problème éthique. Un problème moral parce qu’on a le sentiment de ne pas satisfaire au rôle qui est le sien. Un problème éthique parce qu’on finit par prendre un certain nombre de recul par rapport aux valeurs que l’on a pourtant porté haut lorsqu’on a débuté cette carrière. De sorte qu’une certaine mélancolie dans un premier temps et au final un certain découragement me guettaient et m’ont parfois atteint ; mes périodes de vacances étant véritablement chaque année un moment où la décompression s’imposait sinon je n’aurais pas pu continuer dans ces conditions-là. Ce sont des heures de travail qui sont très très chargés et qui contribuent aussi à cette fatigue aujourd’hui au travail qui a entraîné aussi beaucoup de burn-out chez quelques collègues et puis même, semble-t-il, certains sont arrivés à des extrémités funestes puisqu’on a eu quelques collègues qui se sont suicidés quasiment sur place, vraisemblablement en grande partie parce que... il y avait probablement des problèmes personnels, mais aussi vraisemblablement des problèmes professionnels. Le sentiment que je vous livre aujourd’hui est un sentiment un peu partagé par la plupart de mes collègues. Après la réaction par rapport à cette situation elle peut être une réaction combative à travers des engagements syndicaux pour essayer de parvenir à faire bouger l’éléphant puisque le mammouth a déjà été utilisé par d’autres. Ces engagements syndicaux peuvent permettre cela. D’autres ont plus ou moins rapidement baissé les bras et se sont satisfaits de cette situation à défaut de pouvoir la modifier. Je ne regrette rien, je suis parti serein avec le sentiment du devoir accompli, même si je constate que en fermant la porte du tribunal derrière moi je laisse une institution judiciaire qui est bien mal en point."

    Min. 33’15, #Christophe_Dejours, psychanaliste :

    « Mais quand il fait cela, qu’il sabote la qualité de son travail, qu’il bâcle son travail de juge, tout cela, c’est un ensemble de trahisons. Premièrement, il trahi des collègues, parce que comme il réussi à faire ce qu’on lui demande en termes de quantité... on sait très bien que le chef va se servir du fait qu’il y en a un qui arrive pour dire aux autres : ’Vous devez faire la même chose. Si vous ne le faites pas, l’évaluation dont vous allez bénéficier sera mauvaise pour vous, et votre carrière... vous voulez la mutation ? Vous ne l’aurez pas !’ Vous trahissez les collègues. Vous trahissez les règles de métier, vous trahissez le justiciable, vous trahissez les avocats, vous leur couper la parole parce que vous n’avez pas le temps : ’Maître, je suis désolé, il faut qu’on avance.’ Vous maltraitez les avocats, ce qui pose des problèmes aujourd’hui assez compliqués entre avocats et magistrats. Les relations se détériorent. Vous maltraitez le justiciable. Si vous allez trop vite... l’application des peines dans les prisons... Quand vous êtes juges des enfants, il faut écouter les enfants, ça prend du temps ! Mais non, ’va vite’. Vous vous rendez compte ? C’est la maltraitance des justiciables sous l’effet d’une justice comme ça. A la fin vous trahissez la justice, et comme vous faites mal votre travail, vous trahissez l’Etat de droit. A force de trahir tous ces gens qui sont... parce que c’est des gens très mobilisés... on ne devient pas magistrat comme ça, il faut passer des concours... c’est le concours le plus difficile des concours de la fonction publique, c’est plus difficile que l’ENA l’Ecole nationale de magistrature... C’est des gens hyper engagés, hyper réglo, qui ont un sens de la justice, et vous leur faites faire quoi ? Le contraire. C’est ça la dégradation de la qualité. Donc ça conduit, à un moment donné, à la trahison de soi. Ça, ça s’appelle la souffrance éthique. C’est-à-dire, elle commence à partir du moment où j’accepte d’apporter mon concours à des actes ou à des pratiques que le sens moral réprouve. Aujourd’hui c’est le cas dans la justice, c’est le cas dans les hôpitaux, c’est le cas dans les universités, c’est le cas dans les centres de recherche. Partout dans le secteur public, où la question éthique est décisive sur la qualité du service public, vous avez des gens qui trahissent tout ça, et qui entrent dans le domaine de la souffrance éthique. Des gens souffrent dans leur travail, sauf que cette souffrance, au lieu d’être transformée en plaisir, elle s’aggrave. Les gens vont de plus en plus mal parce que le travail leur renvoie d’eux-mêmes une image lamentable. Le résultat c’est que cette trahison de soi quelques fois ça se transforme en haine de soi. Et c’est comme ça qu’à un moment donné les gens se suicident. C’est comme ça que vous avez des médecins des hôpitaux, professeurs de médecine de Paris qui sautent par la fenêtre. Il y a eu le procès Mégnien, au mois de juin. Il a sauté du 5ème étage de Georges-Pompidou. Il est mort. Comment on en arrive là ? C’est parce que les gens ont eu la possibilité de réussir un travail, de faire une oeuvre, et tout à coup on leur casse le truc. Et là vous cassez une vie. C’est pour cela que les gens se disent : ’Ce n’est pas possible, c’est tout ce que j’ai mis de moi-même, tous ces gens avec qui j’ai bossé, maintenant il faut que ça soit moi qui donne le noms des gens qu’on va virer. Je ne peux pas faire ça, ce n’est pas possible.’ Vous les obligez à faire l’inverse de ce qu’ils croient juste, de ce qu’ils croient bien. Cette organisation du travail, elle cultive ce qu’il y a de plus mauvais dans l’être humain. »

    #suicide #trahison #souffrance_éthique

    • Quels facteurs influencent la capacité des salariés à faire le même travail #jusqu’à_la_retraite ?

      En France, en 2019, 37 % des salariés ne se sentent pas capables de tenir dans leur travail jusqu’à la retraite. L’exposition à des #risques_professionnels – physiques ou psychosociaux –, tout comme un état de santé altéré, vont de pair avec un sentiment accru d’#insoutenabillité du travail.

      Les métiers les moins qualifiés, au contact du public ou dans le secteur du soin et de l’action sociale, sont considérés par les salariés comme les moins soutenables. Les salariés jugeant leur travail insoutenable ont des carrières plus hachées que les autres et partent à la retraite plus tôt, avec des interruptions, notamment pour des raisons de santé, qui s’amplifient en fin de carrière.

      Une organisation du travail qui favorise l’#autonomie, la participation des salariés et limite l’#intensité_du_travail tend à rendre celui-ci plus soutenable. Les mobilités, notamment vers le statut d’indépendant, sont également des moyens d’échapper à l’insoutenabilité du travail, mais ces trajectoires sont peu fréquentes, surtout aux âges avancés.

      https://dares.travail-emploi.gouv.fr/publication/quels-facteurs-influencent-la-capacite-des-salaries-faire-
      #statistiques #chiffres

  • Senza frontiere: La criminalizzazione dei cosiddetti #scafisti nel 2023

    1. Dati e monitoraggio della cronaca
    Numero di fermi

    Come negli anni precedenti, nel 2023 abbiamo monitorato sistematicamente la cronaca sulle notizie degli arresti dei cosiddetti scafisti. Abbiamo registrato 177 arresti negli ultimi 12 mesi (rispetto ai 171 arresti nel 2021 e ai 261 arresti nel 2022). Una dichiarazione di Piantedosi che sostiene che “550 scafisti” sono stati arrestati nel biennio 2022-23 – visto che nell’aprile il governo ha rivendicato c. 350 fermi per 2022 – ci fa stimare un totale di 200 fermi nel 2023. Dal 2013, quindi, sono state fermate ormai circa 3.200 persone.

    Il numero di arresti nel 2023 non solo è inferiore in termini assoluti rispetto agli anni precedenti, ma mostra una diminuzione ancora più significativa in termini relativi. Nel 2023, circa 157.000 persone sono arrivate in Italia via mare, il che significa che sono state arrestate circa tre persone ogni 2.000 arrivi. Nel 2021 e nel 2022, il tasso di criminalizzazione era due volte questo.

    Esistono diverse ragioni che potrebbero spiegare questa diminuzione. La più significativa sembra essere un cambiamento di politica ad Agrigento e Lampedusa nel non effettuare arresti sistematici dopo gli sbarchi, concentrandosi invece su casi specifici che coinvolgono accuse di morti durante il viaggio, torture e, per la prima volta, pirateria. Ci teniamo ad aggiungere che – appoggiando il lavoro dell’associazione Maldusa – stiamo seguendo casi in cui le persone sono accusate dei suddetti reati, che hanno suscitato in noi importanti dubbi sulla correttezza delle accuse e sulle modalità con cui vengono portati avanti questi procedimenti penali che spesso sembrano vere e proprie sperimentazioni giuridiche. È anche evidente che le autorità ad Agrigento effettuano continuamente arresti di persone, soprattutto cittadini tunisini, che, essendo rientrati in Italia dopo espulsioni precedenti, sono imputati del reato di violazione del divieto di reingresso. Questo dimostra una manipolazione molto evidente del diritto penale come mezzo per sostenere le ingiuste politiche di chiusura e respingimento.

    Luoghi di fermo e il decreto Piantedosi

    In secondo luogo, l’anno scorso è stata attuata una nuova strategia nella guerra italiana contro le navi di soccorso delle ONG, a cui sono stati assegnati porti di sbarco in tutta Italia (il decreto Piantedosi). Un effetto collaterale è che spesso i luoghi che hanno accolto le imbarcazioni non hanno visto tanti sbarchi prima di quest’anno, e sono quindi poco familiari con la criminalizzazione sistematica che si è agita negli ultimi anni. Nei porti settentrionali a volte sono stati disposti gli arresti, che spesso poi non sono stati convalidati dai Giudici locali, che non hanno ritenuto neppure di disporre una misura cautelare dato che le prove contro gli imputati erano troppo deboli. Mentre ad Agrigento e nei porti del Nord possiamo forse notare una certa resistenza alla solita politica degli arresti sistematici dei capitani, lo stesso non si può dire in altre parti d’Italia. Nella Sicilia orientale e in Calabria un alto numero di persone è stato arrestato e incarcerato. Augusta ha registrato 28 arresti, Siracusa 11; Crotone ha visto 24 arresti e Roccella 18. E come si può vedere dalla mappa, questo modello si replica in altri porti delle stesse zone.

    Nazionalità

    Nel 2023, come nel 2021 e nel 2022, le autorità hanno preso di mira in particolare i cittadini egiziani, identificandone almeno 60 come capitani. Ciò è notevolmente diverso da quanto avveniva prima del 2020, quando gli egiziani avevano smesso di essere la principale nazionalità criminalizzata. Questa inversione di tendenza ha visto circa 300 cittadini egiziani arrestati dal 2020, la maggior parte dei quali probabilmente è ancora nelle carceri italiane.

    Un cambiamento significativo delle nazionalità delle persone arrestate registrato nel 2023 è invece l’importante aumento della criminalizzazione delle persone migranti provenienti dai paesi asiatici, che ammontano a circa 40 persone fermate quest’anno.

    Con riferimento alla rotta ionica, che arriva in Calabria – la stessa utilizzata dalla barca che è tragicamente affondata vicino a Cutro – nel 2021 la maggior parte delle persone arrestate come capitani proveniva da Russia e Ucraina. Con l’inizio della guerra, sono arrivate molte meno persone con queste nazionalità, mentre abbiamo assistito ad un allarmante aumento della persecuzione dei cittadini turchi nel 2022. Nell’ultimo anno, invece, abbiamo assistito a pochi arresti di persone provenienti dall’Europa orientale o dalla Turchia, e molti di più di persone provenienti dagli stati dell’Asia centrale.

    Va detto che la diminuzione dei fermi eseguiti dalla Procura di Agrigento dovrebbe essere letta alla luce della massiccia operazione posta in essere dalla polizia tunisina, con la benedizione e il finanziamento dell’Europa, contro i cosiddetti trafficanti a Sfax. I governi si vantano di ben 750 fermi nel paese nordafricano negli ultimi tre mesi, accanto a strategie violente di intercettazione e refoulement, come denunciato sia da Amnesty che dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali. Anche in Egitto, l’inasprimento della legge nazionale contro i ‘trafficanti’ ha portato a diffusi arresti e processi ingiusti. Ad esempio, l’11 giugno 2023, una campagna di arresti ingiustificati per “smuggling” ha portato alla morte, alla città di Marsa Matruh, di un cittadino egiziano per colpi di arma da fuoco inferti dalla polizia, come ha denunciato Refugees Platform in Egypt. A livello dell’UE, si provano invece ad affinare gli strumenti legali, accrescendo le infrastrutture di controllo e criminalizzazione della frontiera e proponendo emendamenti – come quelli presentati in occasione del lancio dell’Alleanza globale contro il traffico di migranti – al cosiddetto Facilitators Package (in italiano “pacchetto facilitatori”).

    È chiaro quindi che, mentre festeggiamo alcune limitate vittorie, non possiamo negare che il “trafficante/scafista” rimane il capro espiatorio per eccellenza in Europa e non solo.
    2. Un anno di casi e udienze

    Attualmente seguiamo la situazione di 107 persone accusate di essere ‘scafisti’, 66 delle quali sono ancora in carcere. Dei detenuti, 32 si trovano in Sicilia e 16 in Calabria; gli altri sono sparsi in tutta Italia. Come ci si aspetterebbe dagli arresti degli ultimi anni, quasi la metà delle persone detenute che seguiamo proviene dall’Africa del Nord (30 su 44), mentre la maggior parte di quelle provenienti dall’Africa occidentale con cui siamo in contatto sono ormai libere (23 su 30). Siamo anche in contatto con 24 persone provenienti da paesi asiatici (tra cui Turchia, Palestina e i paesi ex-sovietici), la maggior parte delle quali è ancora detenuta.
    Cutro

    E’ trascorso poco meno di un anno da quando quasi 100 persone hanno perso la vita nelle acque di Cutro, in Calabria. Il Governo ha reagito non solo con finta commozione e decreti razzisti, ma anche, come quasi sempre accade, con un processo contro i cosiddetti scafisti. Insieme alle realtà calabresi, seguiamo attentamente i processi contro Khalid, Hasab, Sami, Gun e Mohamed, sopravvissuti al naufragio e provenienti dalla Turchia e dal Pakistan: ora si devono difendere contro il Ministero dell’Interno, il Consiglio dei Ministri e la Regione Calabria che si sono costituiti parti civili nel processo penale. Le istituzioni governative, anche se non esiste un fondo per questo, chiedono un risarcimento superiore a un milione di euro per danni al turismo e all’immagine: come se la tragedia del massacro di Cutro fosse questa.
    Processi

    Sono diversi i procedimenti penali che siamo riusciti a seguire da vicino, offrendo il nostro supporto ad avvocatə e persone criminalizzate, e, in alcuni casi, andando personalmente alle udienze.

    - Tra le vittorie ottenute non possiamo non citare la recentissima sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Appello di Messina in favore di Ali Fabureh, un giovane ragazzo gambiano che era stato erroneamente condannato dal Tribunale di Messina a 10 anni di carcere senza che – come appurato dalla Corte – avesse mai preso un timone in mano. E sempre a Messina abbiamo registrato un’altra importante vittoria: si è, infatti, concluso con una sentenza di assoluzione anche il procedimento penale iniziato due anni fa contro 4 persone accusate di aver condotto un peschereccio con a bordo centinaia di persone ed essere responsabili della morte di 5 di esse. Tra le persone assolte c’è A., che attualmente è ospitato presso l’associazione Baobab, e con cui continuiamo a rimanere in contatto. Un’altra importante vittoria di quest’anno è stata raggiunta a febbraio a Palermo, quando il Tribunale ha assolto 10 persone accusate di art. 12 TUI, riconoscendo loro lo stato di necessità per le violenze subite in Libia e aprendo la strada, si spera, a un maggior riconoscimento di questa causa di giustificazione. La sentenza è ora definitiva.
    - Purtroppo non tutti i procedimenti seguiti si sono conclusi positivamente, a dimostrazione del fatto che, anche se qualche passo nella direzione giusta è stato fatto, ne restano ancora tanti da compiere. Spesso può succedere che il processo contro due imputati nello stesso procedimento, ha avuto esiti diversi. Questo è stato il caso in un processo nei confronti di due cittadini senegalesi al Tribunale di Agrigento, che ha disposto l’archiviazione per uno di loro, mentre per l’altro il processo continua.
    – Altre volte è stata emessa una sentenza di condanna senza assoluzioni o archiviazioni. Questo è il caso della riprovevole condanna di 7 anni inflitta dal Tribunale di Locri a Ahmid Jawad, magistrato afghano che ancora lotta per dimostrare che era un semplice passeggero dell’imbarcazione che dalla Turchia l’ha condotto in Italia. E’ anche la situazione di Ahmed, che si è visto rigettare l’appello proposto alla Corte di Appello di Palermo avverso la sentenza di condanna del Tribunale di Agrigento.
    - Inoltre, non possiamo non mostrare indignazione e preoccupazione per i casi, come quello di E. (egiziano) al tribunale di Locri e M. e J. (del Sierra Leone) a Reggio Calabria, con cui siamo in contatto, a cui è stata applicata la nuova fattispecie di reato di cui all’art. 12 bis TUI, introdotta con il decreto Cutro, che prevede pene ancora più elevate. Seguiamo il loro processo da lontano: a gennaio, il tribunale di Locri ha rigettato la richiesta di remissione alla Corte Costituzionale presentata dagli avvocati per contestare l’art 12 bis.

    Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR)

    I problemi per le persone accusate di essere ‘scafisti’ non finiscono a fine pena, e anche con riferimento alla detenzione nei CPR abbiamo seguito casi che hanno avuto esiti molto diversi. Siamo felicə che gli ultimi due casi seguiti si siano conclusi in modo positivo. Nel mese di dicembre, infatti, una donna ucraina e un uomo tunisino entrambə codannatə per art. 12 TUI, sono statə scarceratə, rispettivamente dalle carceri di Palermo e di Caltagirone, senza essere deportatə presso i centri di detenzione. Sicuramente nel primo caso ha inciso la nazionalità della persona, mentre nel secondo il sovraccaricamento dei centri.

    Purtroppo non sempre è stato possibile evitare il CPR. Molte persone seguite, nonostante la richiesta asilo presentata tempestivamente, sono state trattenute nei centri di detenzione, chi per pochi giorni, chi per due mesi. Per circostanze che sembrano spesso fortuite, la maggior parte è riuscita ad uscire e, anche se con poche prospettive di regolarizzarsi, possono vivere in “libertà” in Italia.

    Purtroppo, per due persone seguite le cose sono andate diversamente. La macchina burocratica ha mostrato il suo volto più spietato e sono stati rimpatriati prima che avessero la possibilità di ricevere un aiuto più concreto; oggi si trovano in Gambia e Egitto. Nell’ultimo caso, la situazione è ancora più preoccupante perché era stato assolto dal Tribunale di Messina; nonostante ciò, all’uscita dal carcere lo aspettava la deportazione.
    Misure alternative

    Quest’anno è stato particolarmente significativo in termini del superamento del regime ostativo alle misure alterantive alla detenzione posto dall’art. 4 bis o.p., che si applica a chi subisce una condanna per art. 12 TUI. Abbiamo infatti registrato i primi casi in cui le persone incarcerate che seguiamo hanno potuto accedere a misure alternative alla detenzione. Questo è stato il caso di B., che ha ottenuto dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo l’affidamento in prova ai servizi sociali in provincia di Sciacca. Adesso che ha raggiunto il fine pena si è stabilito lì, in poco più di un mese ha aggiunto i suoi obiettivi personali: ha un lavoro e una rete sociale. E questa è la storia anche di A., e O., che hanno fatto accesso alle misure alternative presso la comunità Palermitana Un Nuovo Giorno. Rimaniamo, invece, in attesa dell’esito della seconda istanza di accesso per M., cugino di B., con cui tentiamo dal 2022, e che speriamo possa presto vedere il cielo oltre le quattro mura.

    Abbiamo anche seguito 6 persone, tra cui i 3 accusati palestinesi che l’estate scorsa sono entrati in sciopero della fame, che sono riusciti ad accedere agli arresti domiciliari, che pur non essendo oggetto dell’art. 4 bis o.p., nel corso degli anni sono comunque rimasti difficili da ottenere. Queste vittorie sono state possibili grazie ai tentativi, a volte ripetuti, dellə loro avvocatə difensorə, e alle offerte di ospitalità di un numero crescente di realtà conosciute.

    È bello vedere che qualcuno riesce a sgusciare attraverso alcune crepe di questo meccanismo. Certamente lavoreremo per continuare ad allargarle, anche se sappiamo che questo strumento può solo alleviare la sofferenza di alcune persone, e certamente non riparare i danni subiti per la loro detenzione.
    3. Rete

    Per noi è fondamentale ribadire che è solo grazie a una rete forte, impegnata, diffusa e informata, che questo lavoro è possibile. Anche quest’anno, possiamo dire di aver avuto il grandissimo piacere di collaborare con realtà diverse, in tanti luoghi, da Torino a Napoli, da Lampedusa a Londra, da Roma a Bruxelles e New York.

    In particolare, segnaliamo la campagna recentemente avviata Free #Pylos 9, promossa della rete Captain Support, per le persone arrestate in seguito al massacro di Pylos in Grecia. Negli ultimi mesi abbiamo inoltre avuto modo di conoscere realtà solidali a Bruxelles, tra cui PICUM, che ha organizzato a fine novembre un incontro di scambio sulle pratiche di criminalizzazione attuate intorno al controllo della migrazione. Qui abbiamo avuto l’opportunità di aprire insieme una conversazione sul lancio della nuova Alleanza Globale Europea contro il Traffico di Migranti, che stava avvenendo proprio in quei giorni.

    A New York a novembre abbiamo partecipato alla conferenza dell’Università di Columbia sulla criminalizzazione della migrazione nel mondo, e abbiamo presentato il nostro lavoro al centro sociale Woodbine, insieme ad altri gruppi locali impegnati nella lotta contro le frontiere.

    Qua in Italia, se da un lato il decreto Piantedosi ha ottusamente costretto le navi ONG a sbarcare in diversi porti d’Italia (come abbiamo scritto nei paragrafi sopra), dall’altro ha contribuito a catalizzare la consapevolezza sugli arresti allo sbarco in diverse città. Grazie al lavoro di alcunə avvocatə e individui solidali a Napoli, e con il supporto della Clinica Legale Roma 3, le persone arrestate agli sbarchi in Campania hanno avuto accesso a un supporto indipendente ed esaustivo.

    L’evento Capitani Coraggiosi, organizzato da Baobab Experience alla Città dell’Altra Economia a Roma, ha visto proiezione del film Io Capitano di Matteo Garrone (ora fra i candidati agli Oscar), e un dibattito col regista e con altre persone impegnate in questa lotta. Qui è stata lanciata la campagna in vista della presentazione della richiesta di revisione del caso di Alaji Diouf, che ha subito una condanna di 7 anni per il reato di favoreggiamento. Adesso, Alaji chiede che sia fatta giustizia sul suo caso, come affermato nel suo intervento dopo la proiezione del film “Io Capitano”, quando ha detto “Tutto quello che succede dopo, da lì parte davvero il film. […] ora che sono libero voglio far conoscere al mondo la verità”.

    ‘Dal mare al carcere’
    un progetto di Arci Porco Rosso e borderline-europe
    4° report trimestrale 2023.

    Leggete il report ‘Dal mare al carcere’ (2021), e i seguenti aggiornamenti trimestrale, al www.dal-mare-al-carcere.info.

    Ringraziamo Iuventa Crew, Sea Watch Legal Aid e Safe Passage Fund che hanno supportato il nostro lavoro nel 2023. Vuoi sostenerlo anche tu? Puoi contribuire alla nostra raccolta fondi.

    https://arciporcorosso.it/senza-frontiere
    #scafista #criminalisation_de_la_migration #migrations #asile #réfugiés #frontières #Méditerranée #mer_Méditerranée #Arci_Porco_Rosso #Italie #chiffres #statistiques #2023 #justice #procès #détention_administrative #rétention #Cutro

  • L’#immigration : un atout pour le #dynamisme_économique

    Les travaux scientifiques ne concluent pas à un #impact négatif de l’immigration sur les salaires ou l’emploi des travailleurs natifs. Au contraire, les immigrés contribuent à la #croissance_économique, notamment en soutenant l’activité dans les secteurs en tension et en favorisant l’#innovation.

    Les questions migratoires, au centre du débat public depuis des décennies, le sont d’autant plus depuis l’annonce de la nouvelle loi Darmanin-Dussot 2023, plus communément appelée « loi immigration ». Les débats qui en découlent reflètent une tension palpable autour de son impact sur le pays d’accueil. Ces débats s’inscrivent dans la stratégie politique adoptée par l’extrême droite et une fraction de la droite républicaine, dépeignant l’immigration comme un « tsunami », susceptible de mettre en péril la stabilité de notre société. François Héran (2023) qualifie ce procédé de « déni de l’immigration », une manœuvre visant à la présenter comme un phénomène illégitime dont il faudrait se prémunir par le biais de politiques plus strictes, telles que la réduction du nombre d’entrées sur le territoire ou le durcissement des conditions d’accès aux prestations sociales.

    Bien que ce débat se focalise principalement sur les aspects identitaires et sécuritaires de l’immigration, les préoccupations concernant l’emploi et les salaires des travailleurs natifs ainsi que les finances publiques sont également mobilisées pour justifier des politiques d’intégration plus strictes. Sans nier l’importance politique et sociale du premier aspect lié à l’intégration des immigrés, nous centrerons notre propos sur l’impact fiscal et économique de l’immigration dans le contexte français.

    Cet essai vise dans un premier temps à confronter le mythe d’une immigration massive sur la base du regroupement familial aux réalités démographiques de ces vingt dernières années. Il ressort que la France a connu une croissance stable de sa population immigrée, mais relativement modeste par rapport à celle de ses voisins européens. L’étude de la littérature économique permet dans un second temps d’établir que l’immigration ne constitue ni un poids pour les finances publiques, ni une menace pour les travailleurs natifs en termes d’emploi et de rémunération. À l’inverse, en répondant à des besoins de main-d’oeuvre, ou en favorisant l’innovation, l’immigration apparaît comme un facteur important de croissance et de productivité à court et long-terme.
    Les dynamiques migratoires en France depuis les années 2000
    Une immigration en hausse qui s’inscrit dans une tendance mondiale

    En janvier 2023, la France comptait 7 millions d’immigrés, soit 10,3% de la population (Héran, 2023), ce qui correspond à 5 points de pourcentage en plus par rapport à 1950. Depuis la Seconde Guerre mondiale, la proportion d’immigrés a connu deux grandes phases d’expansion, la première durant les « Trente Glorieuses », et la seconde depuis le début du XXIe siècle jusqu’à 2020. Sur cette dernière période, le taux moyen de croissance annuelle était de 2,1%, soit un accroissement moyen annuel d’environ 140 000 personnes. Le nombre d’immigrés et leur poids dans la population française connaissent donc une croissance stable depuis le début du siècle.

    La définition plus large des immigrés de l’ONU, qui comprend l’ensemble des personnes nées à l’étranger, permet des comparaisons internationales. Définis ainsi, les immigrés représentent 13,1% de la population française.

    Au niveau mondial, les migrations internationales ont connu une forte expansion entre 2000 et 2020, puisque la population immigrée enregistrée dans les pays d’accueil a connu une augmentation de 62%, surpassant de loin le taux de croissance de la population mondiale (27%). Cette tendance est particulièrement marquée en Europe où l’on observe une augmentation de 67% du nombre d’immigrés sur la période. En comparaison, la croissance de la population immigrée en France (36%) est significativement plus modeste que la moyenne européenne, notamment par rapport aux pays d’Europe du Sud. L’Allemagne et l’Autriche, avec une croissance de 75% de leur population immigrée, se distinguent également nettement de la France depuis la "crise des réfugiés" de 2015, période pendant laquelle ces pays ont accueilli un nombre drastiquement plus élevé de personnes déplacées en provenance du Moyen-Orient. Ces tendances persistent lorsqu’on examine la proportion d’immigrés par rapport à la population totale.

    Le discours anti-immigration avance que la France aurait accueilli de manière disproportionnée des réfugiés depuis la crise de 2015, du fait notamment de la « générosité » de son système de protection sociale. Or, à titre d’exemple, entre 2014 et 2020, seulement 3% des demandes d’asile déposées dans l’Union européenne par les Syriens déplacés ont concerné la France, contre 53% pour l’Allemagne. Si l’on exclut les pays les plus touchés par la crise, la France recense 18% des demandes d’asile, soit l’équivalent de son poids économique dans l’UE.

    Ces réalités démographiques s’opposent donc au mythe d’une immigration hors de contrôle à tendance exponentielle. Bien que la France ait connu une croissance stable de sa population immigrée depuis 2000, sa trajectoire demeure nettement en retrait par rapport à celle de ses voisins d’Europe de l’Ouest et du Sud.

    Motifs et Composition de la population immigrée

    La France, comparée à ses principaux partenaires de l’OCDE, se caractérise par une immigration fondée sur le motif familial, peu qualifiée et peu diversifiée en termes d’origines géographiques (Auriol et al., 2021).

    Alors que la libre circulation constitue le principal facteur d’immigration dans la plupart des pays européens, elle occupe la deuxième position en France derrière le motif familial. Sur la période 2007-2016, 43,7 % des immigrants sont arrivés pour des raisons familiales, tandis que 31 % sont venus pour leurs études, 10 % pour des motifs humanitaires, et seulement 9 % pour des raisons liées au travail

    . Les individus originaires du Maghreb et d’Afrique Sub-Saharienne représentaient 41% des immigrés en 2017.

    La part des migrations pour motif familial est prépondérante, mais tend à diminuer ces dernières années. La hausse de 61 % des titres de séjour délivrés entre 2005 et 2022 s’explique pour moitié par la migration étudiante, et pour plus d’un quart par la migration de travail, notamment qualifiée à partir de 2016 avec l’initiative passeport-talent (Héran, 2023). Au cours de cette période, la migration familiale a connu une légère baisse, contredisant le discours anti-immigration qui dépeint une augmentation incontrôlée du regroupement familial.

    Même si le niveau d’éducation des immigrés a augmenté au cours des dernières décennies, l’écart n’a pas été comblé avec celui des non-immigrés qui a également progressé. Ainsi, La population immigrée reste surreprésentée parmi les moins qualifiés (20 points de pourcentage de plus que les non-immigrés), avec également une proportion relativement faible de personnes très qualifiées par rapport à d’autres grandes puissances économiques. Ce plus faible niveau d’éducation, ajouté des obstacles linguistiques, culturels, administratifs, mais aussi à des pratiques discriminatoires, est à relier à un taux de chômage plus élevé (13 % contre 7,5 % pour les non-immigrés en 2020).

    Quel impact économique et fiscal ?

    Un impact négligeable sur le #déficit_budgétaire

    La loi immigration prévoit de conditionner l’accès à certaines prestations sociales non-contributives à une condition d’ancienneté sur le territoire pour les étrangers non européens. Marine Le Pen parle de « victoire idéologique », ayant elle-même avancé dès 2011 que : « L’immigration participe de la déstabilisation massive de notre système de protection sociale » et en 2021 de réserver les allocations familiales « exclusivement aux Français ». Ces propositions s’inscrivent dans une croyance infondée selon laquelle l’immigration représente un coût pour les finances publiques du pays d’accueil (Ragot, 2021). La contribution nette des immigrés aux finances publiques oscille en moyenne autour de +/- 0,5 % du PIB selon le pays et les années. Dans le cas de la France, les estimations corroborent ce faible impact négatif sur la période 1979-2021 (Chojnicki et al., 2021). L’absence d’incidence des immigrés sur les finances publiques, malgré une situation relativement plus précaire en moyenne que les natifs, s’explique par une composition démographique plus avantageuse. Les immigrés sont surreprésentés dans les classes d’âge les plus actives, entre 20 et 60 ans, période au cours de laquelle les montants des cotisations payées sont en moyenne supérieurs à ceux des avantages perçus. La structure d’âge de la population immigrée permet donc de compenser une contribution plus faible à âge donné que les non-immigrés.

    La France n’attire donc pas plus de migrants du fait de la « générosité » de son système de protection sociale et ces derniers ne représentent pas un poids pour les finances publiques. Lier l’accès aux prestations sociales à la nationalité pourrait avoir des conséquences déplorables sur le taux et l’intensité de la pauvreté des familles étrangères, alors que des actions visant à faciliter leur insertion sur le marché du travail amélioreraient à la fois leur contribution fiscale et leur participation à la vie sociale.

    Un impact moyen négligeable sur l’emploi et les salaires des natifs
    Éléments théoriques

    La théorie économique standard définit un marché du travail avec deux facteurs de production complémentaires, le travail (les travailleurs) et le capital (l’ensemble des biens destinés à la production). Dans ce cadre, une intensification de l’immigration correspond à une augmentation du facteur travail. Lorsque le nombre de travailleurs augmente, mais que la quantité de capital reste fixe, la productivité par travailleur diminue, entraînant également une baisse du salaire moyen perçu (Borjas, 2003). Bien que le niveau d’emploi global augmente, la part de chômage volontaire des natifs peut augmenter, car leurs attentes salariales ne sont plus satisfaites. De plus, si la capacité d’ajustement à la baisse des salaires est limitée, en présence d’un salaire minimum par exemple, l’ajustement du marché peut se faire par le biais d’une diminution du taux d’emploi. Lorsque la baisse des salaires ne compense pas suffisamment celle de la productivité du travail, seule une partie de la main-d’œuvre disponible pourra être employée par les entreprises.

    Cette théorie suppose que le stock de capital dans l’économie est fixe, or cette condition ne tient qu’à très court-terme. Dans un second temps, les entreprises accumulent du capital, la productivité du travail augmente alors à nouveau et le niveau de salaire s’ajuste à la hausse. L’effet global de l’immigration sur l’emploi et les salaires dépend donc de la capacité et de la rapidité avec lesquelles l’économie répond au choc migratoire.

    L’absence d’effet sur le niveau de salaire moyen peut masquer une forte hétérogénéité selon la distribution des compétences au sein de la population immigrée. La théorie prédit que l’immigration réduit les salaires des travailleurs les plus en concurrence avec les travailleurs immigrés (ceux avec des compétences similaires), mais bénéficie à ceux disposant de compétences complémentaires. Par exemple, une vague d’immigration peu qualifiée devrait diminuer les salaires des travailleurs peu qualifiés et augmenter ceux des plus qualifiés. Ces disparités salariales peuvent persister à long terme. En résumé, l’impact distributif d’un choc migratoire sur le marché du travail varie selon le degré de complémentarité des qualifications entre les immigrés et non-immigrés.

    Éléments empiriques

    La grande majorité des études trouve un impact négligeable de l’immigration sur l’emploi et le salaire des natifs. Selon le contexte (type et ampleur de la vague migratoire), les effets moyens sont très légèrement négatifs ou nuls à court terme et positifs dans certains cas à plus long terme (Edo et al., 2019). Les estimations sur les données françaises indiquent qu’entre 1990 et 2010 la proportion d’immigrés dans la population active n’a eu aucun effet global sur les salaires des natifs (Edo & Toubal, 2015). En cas d’effets négatifs, ceux-ci sont de très court-terme et concentrés sur les travailleurs en concurrence directe avec les immigrés. Les individus les plus impactés sont souvent les immigrés des vagues antérieures, car ils représentent les substituts les plus proches des nouveaux travailleurs étrangers (Ottaviano & Peri, 2012).

    Les effets positifs de l’immigration sur l’économie

    À la lumière de ces enseignements, de nouvelles études s’intéressent au lien entre immigration et productivité, afin de comprendre comment cette relation peut se révéler vertueuse pour l’économie du pays d’accueil.

    Complémentarité et diversité des #compétences

    Les migrants et les natifs disposent de compétences complémentaires dans le processus de production (Sparber et Peri, 2009). Pour un niveau donné d’éducation, les natifs ont un avantage comparatif dans les tâches intensives en compétences linguistiques, incitant les immigrés à se spécialiser dans des tâches plus manuelles. L’immigration génère alors une dynamique de spécialisation des tâches plus efficace, pouvant conduire à une augmentation de la productivité des entreprises. En d’autres termes, les entreprises peuvent ajuster leur technologie de production pour tirer parti de l’augmentation de la main-d’œuvre étrangère. Mitaritonna et al. (2017), à partir des données d’entreprises manufacturières françaises de 1995 à 2005, montrent que l’augmentation de la part des travailleurs étrangers à l’échelle du département a eu un impact positif sur la productivité des entreprises.

    Dans le cadre d’une immigration relativement qualifiée, son impact positif sur la productivité, lié la complémentarité des compétences, serait d’autant plus important que les individus sont issus de milieux culturels et éducatifs différents. Ainsi, une immigration qualifiée et diversifiée, tant en termes de lieux de naissance que de formation, constituerait un levier important de productivité.

    La loi immigration propose d’ajouter des conditions sur la maîtrise de la langue française pour l’obtention d’un titre de séjour long. La langue devient alors un facteur d’exclusion et une barrière à la diversification de la population immigrée plutôt qu’un vecteur d’intégration. À l’opposé, investir davantage dans l’apprentissage du français faciliterait l’intégration des nouveaux arrivants non-francophones, notamment sur le marché du travail (Lochmann et al., 2019).

    Une offre de #main-d’oeuvre complémentaire

    L’article 3 de la loi immigration, qui propose de créer un « titre de séjour » pour les métiers en tension, afin de régulariser temporairement les sans-papiers concernés, a été rejeté en bloc par la droite et l’extrême droite craignant un « appel d’air migratoire ».

    Pourtant, 61% des entreprises rencontraient des difficultés de recrutement en 2023. L’immigration peut bénéficier au pays d’accueil en répondant à des besoins de main-d’œuvre spécifiques dans certains secteurs ou bassins d’emploi. Les immigrés (notamment peu qualifiés) sont généralement plus enclins à accepter des emplois caractérisés par une plus faible rémunération et des conditions de travail plus précaires. Ils représentent par exemple 38,8 % des employés de maison, 28,4 % des agents de gardiennage et de sécurité ou encore 24,1 % des ouvriers non qualifiés du BTP. En occupant des emplois délaissés par les natifs, les immigrés complètent l’offre de travail nationale disponible, renforçant ainsi la capacité productive du pays d’accueil. En l’absence de régularisation, ces travailleurs sont contraints d’accepter des conditions de travail encore plus précaires qui fragilisent leur insertion dans la société.

    De plus, les entreprises dont l’activité est contrainte par des pénuries de main d’œuvre disposant de compétences spécifiques, pourraient être enclines à accroître leurs effectifs en réponse à un choc positif d’offre de travail (l’augmentation du nombre de travailleurs étrangers dans ce secteur). Si ces travailleurs sont complémentaires au capital, la création d’emplois pourrait induire une accumulation accrue de ce dernier et se traduire par une augmentation des salaires. En Suisse par exemple, l’ouverture des frontières aux travailleurs frontaliers qualifiés dans un secteur sous tension a effectivement stimulé la productivité, l’emploi et les salaires (Beerli et al., 2021).

    Immigration qualifiée : un moteur de croissance par l’innovation

    L’immigration qualifiée peut favoriser la croissance et la productivité en stimulant l’innovation. De nombreuses études
    montrent que les migrants hautement qualifiés dans le domaine des STEM (science, technologie, ingénierie et mathématiques) ont significativement amélioré les performances en matière d’innovation, de dépôt de brevets et de productivité des entreprises aux États-Unis. Les immigrés sont également surreprésentés parmi les créateurs d’entreprise, générant plusieurs milliards de bénéfices et millions d’emplois.

    L’analyse d’épisodes migratoires historiques met en lumière la persistance de cet effet positif sur l’innovation dans le long terme. Ces effets passent à la fois par les innovations des nouveaux arrivants, mais également par celles des non-immigrés qui bénéficient du partage des connaissances. L’OCDE trouve des effets bénéfiques similaires dans les autres pays membres, notamment en Europe.

    Pour conclure, les migrants hautement qualifiés peuvent générer des externalités positives en capital humain en favorisant le partage de connaissance et l’innovation, et ainsi se traduire par des gains de croissance de long-terme.

    À la lumière de ces enseignements, Auriol et al. (2021) formulent un ensemble de recommandations visant à promouvoir l’immigration de travail en France, notamment celle qualifiée. Ils préconisent entre autres de faciliter la régularisation des travailleurs dans les secteurs en tension, d’intensifier les efforts d’attractivité à destination des étudiants étrangers et de faciliter la transition études-emploi. Louer les bénéfices économiques de long-terme de l’immigration ne revient pas à la considérer uniquement sous un angle utilitariste. La reconnaissance des droits des travailleurs étrangers et leur intégration dans la vie sociale sont essentielles à la cohésion sociale.

    Conclusion

    La population immigrée a progressé de manière stable depuis l’an 2000, sans peser sur le déficit public ni sur la situation des natifs sur le marché du travail. L’accueil de nouveaux travailleurs étrangers apparaît au contraire comme un moteur de dynamisme économique de long-terme, dont la France pourrait davantage bénéficier en ciblant une immigration de travail diversifiée et qualifiée.

    Le thème de l’immigration est d’autant plus délicat à aborder que l’opinion publique est surtout sensible à ses dimensions sociales, politiques et culturelles (Card and al., 2012). Il ne faudrait pas pour autant négliger ses dimensions économiques qui impactent directement ou indirectement la cohésion sociale.

    C’est la raison pour laquelle l’étude d’impact des politiques d’intégration est fondamentale pour penser de nouveaux dispositifs d’action publique qui répondent à des objectifs ambitieux tant sur le plan économique que social.

    https://laviedesidees.fr/L-immigration-un-atout-pour-le-dynamisme-economique
    #migrations #économie #travail #emploi #salaires #fisc #statistiques #chiffres

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    ajouté à la métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration :
    https://seenthis.net/messages/971875

    ping @karine4

  • Report: Arlington’s first guaranteed income pilot boosted quality of life for poorest residents

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    En résumé:
    Employment INCREASED by 16%, and their incomes from paid work INCREASED by 37%. The control group saw no such gains.
    https://hachyderm.io/@scottsantens/111890582659889973

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    Results from Arlington’s first guaranteed income pilot reveal that an additional $500 per month significantly enhanced the quality of life for impoverished families.

    Parents with children under 18, earning less than $46,600 annually, reported that the additional $500 monthly helped them obtain better-paying jobs, address basic needs and improve their overall well-being, according to a new report by the Arlington Community Foundation (ACF), the local nonprofit that oversaw the pilot.

    Moreover, the monthly payments enabled individuals to invest in certifications and educational advancement and tackle their medical bills, credit card debt and student loans.

    Between September 2021 and last December, ACF provided the monthly stipend to families earning 30% of the area median income so they could continue living in Arlington, which is known for having some of the highest living costs in the nation.

    The pilot sought to challenge the stigma associated with guaranteed income, which grants a minimum income to those who do not earn enough to support themselves. It drew inspiration from similar programs in Stockton, California, and Jackson, Mississippi.

    In the long term, Arlington’s Guarantee is meant to persuade state and federal lawmakers to implement some form of guaranteed income. This is not to be confused with universal basic income, another touted policy reform that guarantees income to people regardless of their eligibility for government assistance or their ability to work.

    Findings from the pilot come on the heels of a separate report, which found that more than half of families living in South Arlington cannot afford basic food, housing, medical and childcare expenses, compared to just 15% of families in North Arlington. ACF noted that most guaranteed income pilot participants reside in South Arlington.

    While private donations and philanthropy fully funded the $2 million program, Arlington County’s Department of Human Services (DHS) helped select, track and evaluate participants.

    DHS randomly chose 200 households to receive $500 a month and created a control group with similar demographics and income levels, which did not receive stipends, to compare the results. Most (53%) of participants identified as Black or African-American, followed by people who identify as white (23%). Thirty percent identified as Hispanic or Latino and 70% as non-Hispanic.

    With the extra $500 a month, most participants reported putting the money toward groceries, paying bills, buying household essentials, rent and miscellaneous expenses including car repairs.

    Individuals who received the stipend reported increasing their monthly income by 36%, from $1,200 to $1,640, compared to the control group, whose income only rose 9%. ACF says the extra cash gave participants breathing room to make investments that could improve their job prospects.

    “Rather than working overtime or multiple jobs to meet basic needs, some participants reported using the time to pursue credentials… that could lead to a higher-paying job or starting their own business,” ACF said. “Other participants indicated that Arlington’s Guarantee helped them pursue better-paying jobs by allowing them to purchase interview clothes or cover the gap between their old and new jobs.”

    By the end of the study, nearly three-quarters of participants who received a guaranteed income reported improved mental and physical well-being and an increased sense of control, compared to the control group.

    “It’s a mental thing for me. Just the fact that I knew that I had an income coming, it helped me not have panic attacks,” said one participant. “I knew I could have food for the kids and pay the bills. It allowed me to use my time to be wise about money and not stressed about money.”

    Still, most participants reported they still could not cover an unexpected $400 expense from their savings and said they would need to borrow money, get a loan or sell their belongings in case of an emergency. Income, food and housing insecurity were most acute among undocumented immigrants and those who were once incarcerated.

    Arlington County is not the only locality in Northern Virginia experimenting with a guaranteed income program. Last year, Fairfax County also supported a guaranteed income pilot, offering a monthly stipend of $750 to 180 eligible families over 15 months.

    Although the Arlington County Board signed a resolution imploring state and federal lawmakers to implement a guaranteed income program, neither it nor Fairfax County has indicated that a permanent version of these programs would be implemented locally.

    Meanwhile, ACF said it has been engaging state lawmakers about the prospect of restoring the child tax credit, which expired in 2021, to help raise families out of poverty.

    “This expanded federal CTC in 2021 was a game changer: it reduced child poverty by 46% by lifting 3.7 million children out of poverty before it was allowed to lapse in 2022,” the report said. “This was effectively a trial of guaranteed income policy by the federal government.”

    The U.S. House of Representatives recently passed legislation to expand this credit, which has headed to the Senate for a vote. The tax credit offers a break of up to $2,000 per child, with potentially $1,600 of that being refundable. If signed into law, it would incrementally raise the tax credit amount of $100 annually through 2025.

    Democrats in the Virginia General Assembly, meanwhile, have proposed establishing a child tax credit that would extend until 2029. A House of Delegates subcommittee voted yesterday to delay consideration of the bill until next year.

    https://www.arlnow.com/2024/02/06/report-arlingtons-first-guaranteed-income-pilot-boosted-quality-of-life-for-

    #rdb #revenu_de_base #revenu_garanti #qualité_de_vie #réduction_de_la_pauvreté #travail #Arlington #USA #Etats-Unis #statistiques #chiffres