• Why is Italy forbidding NGO planes from departing from Sicily?

    NGO planes are forbidden from departing from five Italian airports near migrant routes on the Mediterranean, officials said this week. Here’s more background on the decision.

    NGO planes that patrol Mediterranean waters for migrant vessels in distress will no longer be able to depart from airports in Sicily, Italy’s civil aviation authority announced this week.

    Here’s some background on the specifics of the decision.
    No flights from Sicilian airports

    Italy’s National Entity for Civil Aviation (#ENAC) — a department of the Ministry of Transport, which is headed by Matteo Salvini — signed five ordinances barring NGO planes from departing the Sicilian airports of Palermo (Punta Raisi and Bocca di Falco), Lampedusa, Pantelleria and Trapani.

    According to the ordinance, these civil airplanes not only violate “the regulative legal framework of the Search and Rescue missions” but also risk “compromising the safety of migrant people who are not assisted by the current protocols approved by the Maritime Authority.”

    ENAC, in the ordinance, further stated that “anyone who takes part in Search and Rescue operations outside the legal provisions of the framework currently in place is punished with sanctions listed in the navigation code, and additional sanctions such as the administrative detention of the airplane.”
    Nadir rescue

    While the new ordinance was announced, German NGO Resquship vessel Nadir rescued a dinghy carrying 57 migrants in international waters.

    https://www.infomigrants.net/en/post/56955/why-is-italy-forbidding-ngo-planes-from-departing-from-sicily

    #sauvetage #Seabird #avions #criminalisation_de_la_solidarité #Méditerranée #mer_Méditerranée #migrations #réfugiés #Colibrì #Pilotes_Volontaires #Italie #aéroports

    • Migranti, il ministero di Salvini vuole fermare gli aerei delle ong. Le ordinanze emanate dall’Enac: “Elusione del quadro normativo”

      Non solo le navi, più volte sottoposte a fermi amministrativi per aver disobbedito alla guardia costiera libica. Adesso il governo prova a impedire alle ong di usare gli aerei che monitorano il Mediterraneo centrale per segnalare imbarcazioni in difficoltà, ma anche per documentare respingimenti o il comportamento dei libici, più volte filmati mentre intimidiscono gli equipaggi delle navi umanitarie o addirittura mentre sparano nel bel mezzo di un soccorso. Lo strumento per fermare velivoli come il Seabird della ong Sea Watch potrebbero essere alcune ordinanze emanate dell’Ente nazionale per l’Aviazione civile (Enac), controllato dal Ministero dei Trasporti di Matteo Salvini. “Interdizione all’operatività dei velivoli e delle imbarcazioni delle ONG sullo scenario del Mare Mediterraneo centrale”, titolano i provvedimenti, che in base a non meglio precisate “segnalazioni trasmesse dal Comando generale della Guardia costiera” accusano i velivoli delle ong di “sostanziale elusione del quadro normativo di riferimento” e minacciano sanzioni e sequestri.

      “Chiunque effettua attività in ambito Search and Rescue al di fuori delle previsioni del quadro normativo vigente è punito con le sanzioni di cui al Codice della navigazione, nonché con l’adozione di ulteriori misure sanzionatorie quali il fermo amministrativo dell’aeromobile“, dice il primo dei due articoli che compongono le ordinanze emanate dall’Enac nei giorni scorsi per tutti gli aeroporti siciliani e delle due isole minori, compreso quello di Lampedusa, il principale scalo utilizzato dai due velivoli operativi, il Seabird di Sea Watch e il Colibrì della ong svizzera Pilots Volontaires. Le ordinanze emanate dalle direzioni territoriali della Sicilia Occidentale e Orientale di Enac sono già in vigore e fin dalle prossime ore potrebbero abbattersi sugli aerei umanitari, impedendo loro di decollare e quindi di sorvolare il Mediterraneo.

      Questo il ragionamento: “Ritenuto che alla luce della normativa nazionale e sovranazionale citata, solo il Comando Generale della Guardia Costiera deve essere riconosciuto unica Autorità Marittima nazionale competente in ambito SAR”, “preso atto delle segnalazioni trasmesse dalla predetta Autorità marittima circa le reiterate attività effettuata da velivoli e natanti, riconducibili alla proprietà di Soggetti anche extra U/E, che si traduce nel prelievo – da imbarcazioni di fortuna – di persone migranti provenienti da rotte nordafricane”, vista la già citata “sostanziale elusione del quadro normativo “che si traduce per la Guardia Costiera nazionale in un aggravio dei propri compiti istituzionali di intervento in mare” e addirittura, si legge, nel rischio di “compromettere l’incolumità delle persone migranti non assistite secondo i protocolli vigenti ed approvati dall’Autorità marittima”, gli aerei che non rispettano le regole rischiano il fermo amministrativo. Come nel caso delle navi, il fermo potrà essere impugnato davanti ai tribunali amministrativi. Ma nel frattempo si resta a terra.

      I legali delle ong sono già al lavoro per contrastare le ordinanze, che almeno nella forma sembrano piuttosto vaghe. Non è chiaro infatti a quali violazioni si riferiscano. Gli aerei non portano materialmente a termine le operazioni SAR e qualora segnalino barche in pericolo sono poi i comandanti delle navi a interagire e ricevere istruzioni dal centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo competente per l’area SAR interessata. L’accusa potrebbe essere la stessa mossa sempre più spesso alle navi umanitarie, quella di interferire con la guardia costiera libica in zona SAR di sua competenza. Ma le ordinanze non citano i decreti del governo Meloni, quelli voluti dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, la cui supposta violazione motiva i recenti fermi proprio con l’accusa di aver disobbedito ai libici. Accusa che più volte è stata dimostrata infondata, anche grazie ai video che smentiscono la versione dei libici. E che nessuno avrà modo di registrare se gli aerei resteranno a terra. Peggio, i migranti in pericolo segnalati dai velivoli potrebbero non essere intercettati. “In passato ci è capitato di avvistare persone in mare dopo che la loro barca si era già capovolta, e di riuscire a farle soccorrere”, racconta al Fatto un componente dell’equipaggio del Seabird. “In alcuni casi è stato chiarissimo: senza un aereo in grado di avvistarli non avrebbero avuto scampo”.

      Le ordinanze di Enac, dichiara la ong Sea Watch, “hanno il chiaro scopo di fermare i nostri aerei da ricognizione, ovvero gli unici occhi della società civile nel Mediterraneo. Occhi fondamentali per documentare le quotidiane violazioni dei diritti umani che vi avvengono, comprese quelle perpetrate dalla cosiddetta guardia costiera libica attraverso le motovedette e le risorse generosamente elargite dal Governo italiano. Fermare gli aerei ONG vuol dire rendere cieca la società civile e i cittadini italiani ed europei rispetto a quanto avviene nel Mediterraneo come risultato delle politiche migratorie dei loro governi. Un atto vigliacco e cinico di chi usa la criminalizzazione delle ONG come strumento di propaganda politica in vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Non fermeremo le nostre operazioni anche a costo di mettere in pericolo i nostri aerei. Questo attacco che calpesta il diritto internazionale non ci impedirà di continuare a dare fastidio a chi vorrebbe che quanto avviene quotidianamente nel Mediterraneo rimanesse segreto e senza foto e video a documentarlo”.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/05/07/migranti-il-ministero-di-salvini-pronto-a-fermare-gli-aerei-delle-ong-ordinanze-dellenac-elusione-del-quadro-normativo/7539355

  • Gennevilliers : des mères de famille bloquent les bureaux de directeurs d’école et finissent au commissariat
    https://www.leparisien.fr/hauts-de-seine-92/des-meres-de-famille-bloquent-les-bureaux-de-directeurs-decole-et-finisse

    Pour elles, c’était une action parmi tant d’autres pour que leur #école réintègre le réseau d’éducation prioritaire (#REP). Mobilisées depuis février, après des rassemblements, des journées « école morte » ou encore la saisine de la ministre de l’Éducation nationale, des mères de famille de #Gennevilliers ont bloqué les bureaux des directeurs du groupe scolaire Henri-Wallon pendant environ une heure, jeudi dernier. Leur but ? Obtenir un entretien avec l’#inspectrice de circonscription. Au lieu de cela, leur action de la matinée leur a valu une audition au commissariat de police et un rappel à la loi.

    L’inspectrice, en déplacement dans une autre école ce jour-là, avait demandé aux directeurs d’appeler la police si les mères de famille ne quittaient pas les lieux. Sur la quinzaine, la moitié est partie avant l’arrivée des fonctionnaires. Sept autres sont restées, «  dans le calme et sans agressivité », selon plusieurs témoignages. Les policiers leur ont alors demandé de les suivre au commissariat.

    « Nous avons été auditionnées une par une, nous avons été intimidées, nous disant qu’on risquait une garde à vue et une amende de 680 euros si on recommençait, dénonce Sofia, la présidente des représentants de parents d’élèves. C’était très humiliant. La dernière fois que je suis entrée dans un commissariat, c’était pour déclarer le vol de mon portable. Là, on était du côté des délinquants. On est juste des mères de famille, tout ce qu’on demande, c’est d’être entendue et d’avoir des réponses. On attend depuis 2015 la réintégration de l’école en REP. »

    Le groupe scolaire Henri-Wallon est situé dans le quartier populaire des Agnettes mais il dépend du collège Pasteur, du côté plus favorisé, qui est sorti du réseau d’éducation prioritaire il y a neuf ans. L’IPS (indice de position sociale) de ce groupe scolaire est pourtant semblable à celui des écoles classées REP + de la commune. Elle a également les résultats les plus bas de la ville au niveau du langage des élèves.

    De leurs côtés, les enseignants ont convoqué une assemblée générale, ce mardi. « Ce n’est pas du tout ce que nous attendions de notre inspectrice, qu’elle se positionne en disant Appelez la police. On trouve cela très grave », souligne Lucie, une des enseignantes.

  • Bulgaria : Road to Schengen. Part One : the EU’s external border.

    On the 31st of March, Bulgaria - alongside Romania - joined Schengen as a partial member by air & sea. The inclusion of land crossings for full accession of these countries was blocked by an Austrian veto over concerns(1) that it would lead to an increase in people wanting to claim asylum in the EU.

    What is significant about Bulgaria becoming a Schengen member is that, what has been seen in the lead up, and what we will see following accession, is a new precedent of aggressively fortified borders set for the EU’s external Schengen borders. Which in turn may shape EU wide standards for border management.

    The EU’s external border between Bulgaria and Turkey has become infamous for a myriad of human rights violations and violence towards people who are forced to cross this border ‘illegally’. People continually face the violence of these crossings due to the lack of safe and legal routes allowing people to fulfill their right to seek asylum in Europe.

    In 2022 it was along this border that live ammunition(2) was first used against people seeking asylum in the EU. Shot by the Bulgarian authorities. In the same year it was reported(3) that people were illegally detained for up to 3 days in a cage-like structure attached to the police station in the border town of Sredets. It was also known that vehicles belonging to the European border force Frontex - who are responsible for border management and supposedly upholding fundamental rights - were present in the vicinity of the cages holding detained people.

    The EU’s illegal border management strategy of pushbacks are also well documented and commonplace along this border. Testimonies of pushbacks in this region are frequent and often violent. Within the past year Collective Aid has collected numerous testimonies from survivors of these actions of the state who describe(4) being stripped down to their underwear, beaten with batons and the butts of guns, robbed, and set on by dogs. Violence is clearly the systematic deterrence strategy of the EU.

    Similar violence occurs and is documented along Bulgaria’s northern border with Serbia. During an assessment of the camps in Sofia in March, outside of the Voenna Rampa facility, our team spoke to an Afghan man who, 6 months prior, was beaten so badly during a pushback that his leg was broken. Half a year later he was still using a crutch and was supported by his friends. Due to the ordeal, he had decided to try and claim asylum in Bulgaria instead of risking another border crossing.

    Despite the widespread and well documented violations of European and international law by an EU member state, at the beginning of March Bulgaria was rewarded(5) with its share of an 85 million Euro fund within a ‘cooperation framework on border and migration management’. The money within this framework specifically comes under the Border Management and Visa Instrument (BMVI) 2021 – 2027, designed to ‘enhance national capabilities at the EU external borders’. Within the instrument Bulgaria is able to apply for additional funding to extend or upgrade technology along its borders. This includes purchasing, developing, or upgrading equipment such as movement detection and thermo-vision cameras and vehicles with thermo-vision capabilities. It is the use of this border tech which enables and facilitates the illegal and violent practices which are well documented in Bulgaria.

    Close to the town of Dragoman along the northern border with Serbia, we came across an example of the kind of technology which used a controlled mounted camera that tracked the movement of our team. This piece of equipment was also purchased by the EU, and is used to track movement at the internal border.

    The cooperation framework also outlines(6) a roadmap where Frontex will increase its support of policing at Bulgaria’s border with Turkey. In late February, in the run up to Bulgaria becoming a Schengen member, on a visit to the border with Turkey, Hans Leijtens - Frontex’s executive director - announced(7) an additional 500 - 600 additional Frontex personnel would be sent to the border. Tripling the numbers already operational there.

    Meanwhile Frontex - who have been known(8) to conceal evidence of human rights violations - are again under scrutiny(9) for their lack of accountability in regards to the upholding of fundamental rights. Two days prior to the announcement of additional Frontex staff an investigation(10) by BIRN produced a report from a Frontex whistleblower further highlighting the common kinds of violence and rights violations which occur during pushbacks at this border. As well as the fact that Frontex officers were intentionally kept away from ‘hot spots’ where pushbacks are most frequent. The investigation underlines Frontex’s inability to address, or be held accountable for, human rights violations that occur on the EU’s external borders.

    The awarded money is the next step following a ‘successful’ pilot project for fast-track asylum and returns procedures which was started in March of the previous year. The project was implemented in the Pastrogor camp some 13km from the Turkish border which mostly houses people from the Maghreb region of northwest Africa. A 6 month project report(11) boasts a 60% rejection rate from around 2000 applicants. In line with the EU’s new migration pact, the project has a focus on returns whereby an amendment to national legislation has been prepared to allow a return decision to be made and delivered at the same time as an asylum rejection. As well as the launch of a voluntary return programme supported by the 2021-2027 Asylum, Migration and Integration Fund (AMIF). Through which cash incentives for voluntary returns will be increased across the board. These cash incentives are essentially an EU funded gaslighting project, questioning the decisions of people to leave their home countries based on their own survival and safety.

    Our team visited the former prison of the Pastrogor camp in March. Which at the time held only 16 people - some 5% of its 320 capacity.

    The implementation of this pilot project and the fortification of the border with Turkey have been deemed a success by the EU commision(12) who have praised both as indicators of Bulgaria’s readiness to join the Schengen area.

    Unsurprisingly, what we learn from Bulgaria’s accession to becoming a Schengen member is that the EU is not only deliberately ignoring Bulgaria’s dire human rights history in migration and border management. But, alongside the political and economic strengthening brought with Schengen accession, they are actively rewarding the results of such rights violations with exceptional funding that can sustain the state’s human rights infringements. All while the presence of Frontex validates the impunity enjoyed by Bulgaria’s violent border forces who show no respect for human rights law. In early April the European Commision gave a positive report(13) on the results from EU funding which support this border rife with fundamental rights abuses. In a hollow statement Bulgaria’s chief of border police stated: “we are showing zero tolerance to the violation of fundamental rights”.

    What the changes in border management strategies at the EU’s external border to Turkey- in light of Bulgaria’s entry to the Schengen - mean in reality is that people who are still forced to make the crossing do so at greater risk to themselves as they are forced deeper into both the hands of smuggling networks and into the dangerous Strandzha national park.

    The Strandzha national park straddles the Bulgarian-Turkish border. It is in this densely forested and mountainous area of land where people are known to often make the border crossing by foot. A treacherous journey often taking many days, and also known to have taken many lives - lighthouse reports identified 82 bodies of people on the move that have passed through three morgues in Bulgaria. Many of whom will have died on the Strandzha crossing.

    It is reported(14) that morgues in the towns of Burgas and Yambol - on the outskirts of the Strandzha national park - are having difficulty finding space due to the amount of deaths occurring in this area. So much so that a public prosecutor from Yambol explained this as the reason why people are being buried without identification in nameless graves, sometimes after only 4 days of storage. It is also reported that families who tried to find and identify the bodies of their deceased loved ones were forced to pay cash bribes to the Burgas morgue in order to do so.

    Through networks with families in home countries, NGOs based nearby make efforts to alert authorities and to respond to distress calls from people in danger within the Strandzha national park. However, the Bulgarian state makes these attempts nearly impossible through heavy militarisation and the associated criminalisation of being active in the area. It is the same militarisation that is supported with money from the EU’s ‘cooperation framework’. Due to these limitations even the bodies that make it to morgues in Bulgaria are likely to be only a percentage of the total death toll that is effectively sponsored by the EU.

    Local NGO Mission Wings stated(15) that in 2022 they received at most 12 distress calls, whereas in 2023 the NGO stopped counting at 70. This gives a clear correlation between increased funding to the fortification of the EU’s external border and the amount of lives put in danger.

    People are also forced to rely more on smuggling networks. Thus making the cost of seeking asylum greater, and the routes more hidden. When routes become more hidden and reliant on smuggling networks, it limits the interaction between people on the move and NGOs. In turn, testimonies of state violence and illegal practices cannot be collected and violations occur unchallenged. Smuggling networks rely on the use of vehicles, often driving packed cars, vans, and lorries at high speed through the country. Injuries and fatalities of people on the move from car crashes and suffocating are not infrequent in Bulgaria. Sadly, tragic incidents(16) like the deaths of 18 innocent people from Afghanistan in the back of an abandoned truck in February last year are likely only to increase.

    https://www.collectiveaidngo.org/blog/2024/5/3/bulgaria-road-to-schengen-part-one-the-eus-external-border
    #Bulgarie #frontières #Schengen #migrations #frontières_extérieures #asile #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #violence #Turquie #Sredets #encampement #Frontex #droits_humains #Serbie #Sofia #Voenna_Rampa #Border_Management_and_Visa_Instrument (#BMVI) #aide_financière #technologie #Dragoman #Pastrogor #camps_de_réfugiés #renvois #expulsions #retour_volontaire #Asylum_Migration_and_Integration_Fund (#AMIF) #Strandzha #Strandzha_national_park #forêt #montagne #Burgas #Yambol #mourir_aux_frontières #décès #morts_aux_frontières #identification #tombes #criminalisation_de_la_solidarité #morgue

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    ajouté à ce fil de discussion :
    Europe’s Nameless Dead
    https://seenthis.net/messages/1029609

  • Acquitté, Mimmo Lucano rêve de propager le modèle d’accueil de son village à travers l’Europe

    Lourdement condamné en septembre 2021 pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », l’ancien maire calabrais Mimmo Lucano a été presque totalement blanchi par la justice le 12 avril. Il salue une « #victoire_morale » et se présente aux élections municipales et européennes qui se tiendront en juin.

    L’ancienL’ancien maire de Riace garde le sourire, malgré le véritable « périple judiciaire » qu’il a dû traverser ces dernières années. Domenico Lucano, que tout le monde surnomme « Mimmo », insiste : sa propre personne ne compte pas. Il regrette surtout que l’image de Riace, petite commune de Calabre où il vit, et dont il a été le maire entre 2004 et 2018, ait été entachée par les accusations dont il a fait l’objet.

    À travers son acquittement récent, et quasi total, il estime que l’accueil de l’autre est enfin reconnu « comme une solution et une renaissance », notamment pour les terres désertées par la population. « C’est avant tout une victoire morale », souligne-t-il. Ce modèle vertueux d’accueil et de solidarité, ce « Village global » qu’il a contribué à développer au fil des ans, Mimmo Lucano aimerait le voir élargi à toute l’Europe, à l’heure où celle-ci tend plutôt à se barricader.

    Pour tenter d’y parvenir, il a choisi de se présenter aux prochaines élections municipales, à Riace, qui se tiendront en même temps que les élections européennes, pour lesquelles il est également candidat sur une liste d’alliance entre les Verts et la gauche italienne. « Ce qu’on voudrait, c’est une nouvelle Europe qui deviendrait le salut du monde. Pas celle des barbelés, dont les politiques ont provoqué la mort de dizaines de milliers de personnes », dit-il. Entretien.

    Mediapart : Vous sortez d’un sacré feuilleton judiciaire…

    Domenico Lucano : Oui. Un périple judiciaire. C’est mon histoire, mais c’est surtout celle d’une petite communauté, celle de Riace. Un petit bout de la périphérie européenne, avec sa mer Méditerranée, une sorte d’autoroute des pays arabes vers l’Europe. Mais c’est aussi la mer de la tragédie du monde. La Méditerranée a malheureusement changé de couleur, passant du bleu, du vert, au rouge, la couleur du sang. Le sang de beaucoup d’hommes et de femmes qui ne sont pas arrivés au bout de leur chemin. La mer est devenue un piège à leur tentative de bonheur. Elle a pris la couleur de la mort. Au cœur de l’histoire de Riace, il y a surtout un combat, devenu très médiatique, pour l’accueil de l’autre et pour un idéal politique différent.

    Beaucoup de réfugiés afghans fuyant les talibans sont arrivés en Calabre. Je pense aussi à cette tragique nuit d’hiver, le 26 février 2023, durant laquelle les secours ne sont pas venus. Le ministère de l’intérieur a organisé l’arrivée de la douane plutôt que celle des gardes-côtes, qui avaient pourtant les moyens de les sauver. Quatre-vingt-quatorze personnes ont perdu la vie, après avoir passé cinq jours en mer, dont beaucoup d’enfants. En 2022, l’actuel ministre de l’intérieur a utilisé ces mots terribles s’agissant des migrants : il s’agit de « charges résiduelles ». Le gouvernement italien fêtait l’anniversaire de Salvini pendant que les familles pleuraient leurs morts. C’est sans doute le moment le plus déplorable. Il ne sert à rien d’être parmi les grandes puissances mondiales ou de surveiller sa croissance économique quand on est capables d’un tel cynisme face à la vie humaine. La droite a montré son vrai visage.

    La droite et l’extrême droite ?

    Je crois qu’il n’y a pas de différence en Italie. « Extrême » est un adjectif, mais la droite est le lieu commun de la déshumanisation. On a vu différentes tentatives du ministère de l’intérieur pour empêcher les migrants de débarquer en Italie. Le paradoxe, c’est de constater qu’un gouvernement indigne, qui s’illustre par son inhumanité, grimpe dans les sondages. Faire face à ce gouvernement en Italie, en usant d’une parole libre, ne provoque en retour que des coups de matraque. C’est du jamais-vu. Il y a une dérive de la droite en Italie.

    Ce contexte politique vous a aussi valu une lourde condamnation en 2021 – 13 ans de prison et 500 000 euros d’amende, pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière ». Comment l’avez-vous vécue ?

    Le 4 octobre 2018, à l’aube, j’ai vu des voitures arriver chez moi pour m’arrêter. Cela a marqué le début d’une histoire hallucinante, qui a duré presque sept ans. Quand j’ai été condamné en première instance le 30 septembre 2021, le sentiment qu’il s’agissait d’un procès politique s’est vite propagé en Italie. On m’a contraint à m’éloigner de Riace durant onze mois, alors que j’avais donné ma vie pour cette terre. Il y a eu une manifestation d’ampleur à Rome, un ex-sénateur a lancé une collecte de fonds destinée à régler l’amende dont je faisais l’objet.

    La collecte a rencontré un succès fou. Mais je lui ai dit que je n’en voulais pas. Je voulais simplement continuer d’accueillir les réfugiés à Riace, et on a construit le « Village global », avec une crèche pour 12 enfants immigrés et plein d’activités. On a tout fait pour continuer de faire exister ce monde-là. J’ai donc vécu cette condamnation avec sérénité, parce que j’ai pu profiter de la solidarité de la population italienne et du reste du monde, qui se raccrochait à la seule perspective de la fraternité.

    Je suis conscient que le fait qu’un petit village de Calabre puisse devenir un exemple pour l’accueil des personnes exilées a beaucoup gêné. Le modèle « Riace » a fait peur au système néolibéral. Mais l’ennemi n’est pas l’étranger ou celui qui lui vient en aide : ce n’est autre que cette nouvelle vague de fascisme qu’il y a en Europe et dans le monde, qui ne cherche qu’à fermer les frontières et à créer des forteresses. Je regrette d’avoir vu après tant d’années de propagande une forme d’égoïsme s’installer dans l’esprit des gens, tel un consensus politique.

    Comment vous sentez-vous aujourd’hui, après cette réhabilitation par la justice ?

    Je vais bien. Deux de mes enfants sont à Rome, le troisième habite avec mon épouse, et je suis seul à Riace. La plupart de mes proches ont vécu l’acquittement comme une libération. Au niveau local, il y a eu une solidarité immédiate, y compris de la part de personnes qui ne partageaient pas ma vision politique. Mais le plus merveilleux dans cette fin de feuilleton, ce n’est pas l’acquittement en soi, ce sont les motivations des juges. Ces derniers ont attendu 90 jours pour les rendre publiques et signifier au reste de monde qu’on ne touchera pas au message politique pour lequel je me suis battu.

    Ils ont rétabli la vérité et confirmé que je n’avais pas pensé à profiter une seconde du système d’accueil que j’avais mis en place à Riace, ni que j’avais pu m’enrichir par ce biais. Ce n’est donc pas un acquittement technique ou juridique. C’est un acquittement moral. Et pour la première fois dans l’histoire des migrations, l’immigration en Italie peut enfin être regardée sous une lumière totalement opposée à celle proposée par certains politiciens. L’accueil de l’autre est enfin reconnu comme une solution et une renaissance. C’est avant tout une victoire morale, et cela vaut plus que tout.

    Vous avez fait le choix de revenir en politique, en vous présentant aux municipales à Riace mais aussi aux européennes, sur la liste des Verts et de l’Alliance de gauche (Alleanza Verdi e Sinistra) – élections qui se tiendront toutes deux les 8 et 9 juin prochains. Est-ce que votre acquittement a joué dans votre décision ?

    Non, car je n’ai jamais perdu ce désir d’engagement politique. La politique, pour moi, se résume à l’espoir, et je n’ai jamais été fatigué à l’idée de continuer d’espérer. Dès le départ, le Village global a été conçu comme un laboratoire politique au niveau local. Cela a d’ailleurs été l’opportunité de multiples réunions, prises de décision collectives et autres activités communes. C’est dans cette démarche que nous avons donc voulu réunir la gauche au-delà du Parti démocrate (Partito Democratico), dont Elly Schlein est la secrétaire.

    Ça n’a pas été facile. Les responsables du parti n’en ont pas tenu compte, alors on a trouvé une coalition a gauche du Parti démocrate. Les Verts et l’Alliance de gauche italienne m’ont demandé si je voulais participer aux européennes. Et avec tous les camarades de Riace, on a dit oui. C’était une envie partagée, parce que les positions qu’ils défendent contre la guerre, en faveur de l’accueil des exilés ou encore pour une loi pour le salaire minimum en Italie correspondaient à mes choix politiques. Un jour, j’aimerais qu’il y ait un panneau « Village de l’accueil » un peu partout dans les communes d’Europe !

    Mais force est de constater que l’on observe plutôt une politique de rejet en Europe…

    À Riace, on a réussi à l’échelle d’une toute petite réalité. Un village de quatre cents habitants est désormais connu pour sa politique d’accueil. À l’échelle européenne, nous ne serons peut-être plus là pour observer ce changement de paradigme. Mais je suis persuadé que d’une petite chose peut naître une grande chose. Je suis heureux que figure sur notre liste la candidate Ilaria Salis, arrêtée par Viktor Orbán en Hongrie pour son engagement contre le fascisme. Nous avons une histoire similaire, elle se bat pour le respect des droits humains. Lorsque j’ai vu les images d’elle à la télévision, la montrant menottée, j’ai été fier de la savoir à mes côtés dans cette aventure au niveau européen.

    Le pacte migratoire européen a été adopté dans la douleur il y a peu. Êtes-vous inquiet de voir cette politique de repli concrétisée à l’échelle européenne à travers ces textes ?

    Ce pacte est absurde. Je n’en partage pas les objectifs, évidemment. On voit partout des tentatives d’affaiblir le droit d’asile, y compris en Italie, ou de créer des sortes de voies de déportation vers des pays tiers comme l’Albanie, où le respect des droits humains n’est pas garanti. C’est triste quand on voit ce qu’on a été capables de faire à notre petite échelle. Je pense que la droite souffre d’un syndrome de la peur de l’être humain. C’est ce qu’on observe en Italie mais aussi en Europe. Ce qu’on voudrait, c’est une nouvelle Europe qui deviendrait le salut du monde. Pas celle des barbelés, dont les politiques ont provoqué la mort de dizaines de milliers de personnes.

    Pourquoi vous présenter à deux élections, à deux échelles différentes ?

    C’est une question redoutable (rires). Je ne veux pas devenir un bureaucrate. Je mettrai la même conviction à l’échelle européenne et je ne ferai de concession à personne : les profits de la politique ne m’intéressent pas. Et j’ajouterai que paradoxalement, je suis d’accord avec la manière dont Matteo Salvini m’a défini un jour, lorsqu’une personne lui a demandé ce qu’il pensait de moi. Il a répondu : « Il vaut zéro. » Ça me convient assez bien, je considère que je ne suis personne. Ce qui est sûr, c’est que j’ai à cœur de poursuivre mon engagement au niveau local et européen. En Italie, la loi permet d’être à la fois maire et député européen.

    Alors, bien sûr, les possibilités sont multiples : je peux être élu maire de Riace, être élu député européen ou les deux, ou pas élu du tout. Je continuerai dans tous les cas à développer le modèle Riace, et j’aimerais élargir ce modèle d’accueil à d’autres communes en Italie, et à d’autres États en Europe, un modèle en faveur de l’accueil qui permet aussi de contrer le déclin démographique. Et pour aller plus loin, j’aimerais également créer une collectivité de communes qui partagerait une monnaie unique, pour nous permettre de sortir de ce néolibéralisme, qui détruit notre économie et notre démocratie, tout en valorisant le travail fourni au sein de la communauté.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/040524/acquitte-mimmo-lucano-reve-de-propager-le-modele-d-accueil-de-son-village-

    #Riace #Mimmo_Lucano #Domenico_Lucano #accueil #réfugiés #migrations #Italie #Calabre #justice #acquittement #entretien #interview #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité #villes-refuge #périple_judiciaire #condamnation #réhabilitation #libération #acquittement_moral #engagement_politique

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    Ce fil de discussion est la suite de celui-ci :
    11 octobre 2023, verdict en cour d’appel pour le #procès contre #Mimmo_Lucano, ancien maire de #Riace
    https://seenthis.net/messages/1020950

    signalé par @olaf ici :
    https://seenthis.net/messages/1052451

    ping @_kg_

  • 🦏 Procès médiatique en antisémitisme : peut-on encore défendre les Insoumis ?
    https://www.youtube.com/watch?v=VXycYC2xqrE

    Dans ce nouveau numéro de Rhinocéros, Usul et Lumi décryptent le traitement médiatique des Insoumis. Ils vont même défendre les Insoumis. Mais en ce moment c’est compliqué. Surtout s’ils parlent de la Palestine...

    « Paresse intellectuelle, lâcheté, suivisme, manque de travail, mauvaise foi : comment les grands médias ont activement participé à la diabolisation du principal parti d’opposition de gauche du pays.
    Un épisode intense, accrochez vous. » Usul

  • #Christian_Estrosi voit sa #condamnation confirmée pour #diffamation envers un universitaire engagé dans une association d’aide aux migrants

    La cour d’appel d’Aix-en-Provence a confirmé ce mercredi 20 mars la condamnation du maire de Nice pour diffamation envers un universitaire azuréen, engagé dans une association d’aide aux migrants.

    Christian Estrosi (Horizons) a vu sa condamnation pour diffamation confirmée ce mercredi 20 mars par la cour d’appel d’Aix-en-Provence, dans les Bouches-du-Rhône.

    #Pierre-Alain_Mannoni, géographe niçois, avait été poursuivi pour avoir brièvement hébergé trois Erythréennes dans un centre de vacances français désaffecté, avant de les conduire en voiture à une gare pour qu’elles puissent être soignées à Marseille.

    Une décision de relaxe en 2017, qui a été définitivement confirmée en 2020, avait provoqué la colère du maire de Nice qui avait alors estimé que Pierre-Alain Mannoni « favorisait le travail des passeurs ».

    « Comment ces individus peuvent-ils nous certifier qu’ils ne font pas rentrer des terroristes sur notre sol en violant la loi comme ils le font ? », avait écrit l’élu sur X, anciennement Twitter. L’élu a depuis quitté ce réseau social.

    #Plainte pour diffamation

    Pierre-Alain Mannoni avait alors porté plainte pour diffamation. En première instance, en juin 2021, le tribunal correctionnel de Nice avait condamné le maire à 3.000 euros d’amende et 5.000 euros de dommages et intérêts.

    En janvier 2022, la cour d’appel d’Aix-en-Provence avait infirmé ce jugement et relaxé M. Estrosi. Mais, en juin 2023, la Cour de cassation avait invalidé cette décision et l’avait renvoyée à la cour d’appel. Mercredi, cette dernière a confirmé le jugement de première instance.

    « Justice a été faite, le maire de la cinquième ville de France a jeté mon client en pâture et il a été sanctionné. » (Maeva Binimelis, avocate de Pierre-Alain Mannoni à l’Agence France-Presse)

    L’avocat de M. Estrosi, Me Gérard Baudoux, a annoncé un nouveau pourvoi en Cassation.

    https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/alpes-maritimes/nice/christian-estrosi-condamne-pour-diffamation-envers-un-u

    #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité #justice #Alpes_Maritime

  • Espagne : des jeunes migrants se déclarant mineurs incarcérés pour avoir conduit des canots

    En Espagne, les cas de jeunes migrants se disant mineurs enfermés dans les prisons du pays pour avoir piloté des canots se multiplient, à mesure que les arrivées irrégulières augmentent. Les adultes, eux aussi, subissent le même sort. Comme en Grèce et au Royaume-Uni, deux États qui incarcèrent également des exilés vus à la barre d’un canot, les associations et les militants espagnols estiment que le gouvernement se trompe de cible.

    B.C. a quitté la prison de Las Palmas, sur l’île de Grande Canarie, jeudi 14 mars. Le jeune Sénégalais de 17 ans, accusé par la justice d’être un passeur pour avoir conduit un canot de migrants, était incarcéré dans ce centre pour adultes depuis presque trois mois.

    Quelques heures plus tôt, le tribunal avait ordonné sa libération en raison de son âge. « Les conclusions [de l’examen] médico-légal » effectué sur B.C. ne permettent pas d’affirmer avec « certitude que le sujet est majeur », avait estimé le juge.

    Depuis son incarcération le 21 décembre 2023, le Sénégalais répétait inlassablement qu’il n’avait que 17 ans. Une photocopie de son acte de naissance transmis à l’administration n’avait pas suffi à mettre fin à son emprisonnement. Ni même un test médical qui avait conclu que « l’âge estimé du mineur présumé est compatible avec l’âge qu’il a mentionné ».

    L’ONU s’était emparé du sujet et avait exhorté le 11 mars les autorités espagnoles à libérer l’adolescent et à le traiter conformément à la Convention internationale des droits de l’enfant. L’organisation avait rappelé qu’en cas de doute sur l’âge d’une personne se déclarant mineure, elle doit être prise en charge en tant qu’enfant.

    Après la décision du tribunal de Las Palmas, B.C. a été transféré dans un centre fermé pour mineurs sur l’île de Ténérife en attendant son procès.
    Plusieurs jeunes enfermés en prison

    Comme ce garçon originaire du Sénégal, d’autres Subsahariens connaissent le même sort : arrivés aux Canaries à bord d’une pirogue surchargée, ils ont été accusés de piloter le canot, et n’ont pas été considérés comme des mineurs. Depuis, ils croupissent dans les prisons canariennes.

    C’est le cas d’Alioune (prénom d’emprunt), un Gambien de 16 ans enfermé depuis octobre 2023 à Ténérife, après avoir été désigné comme le « patron » de l’embarcation dans laquelle il se trouvait en arrivant dans l’archipel. À l’intérieur, le corps d’un enfant de 13 ans avait été retrouvé et 10 personnes avaient péri pendant la dangereuse traversée de l’Atlantique.

    Comme B.C., Alioune a fourni un acte de naissance prouvant son âge, et s’est soumis à des tests osseux, via une radiographie de la main. Les résultats signalaient alors que « la personne examinée a un âge osseux supérieur à 18 ans », tout en rappelant qu’il « n’est pas possible d’établir avec certitude l’âge réel ».

    On peut aussi citer l’histoire d’A.G., emprisonné avec B.C. alors qu’il n’avait que 15 ans. Ce Sénégalais a passé un mois et demi derrière les barreaux avant qu’un juge de surveillance pénitentiaire ordonne son transfert vers un centre fermé pour mineurs et que des tests prouvent sa minorité.

    Hausse du nombre d’#emprisonnement

    Alors, les jeunes étrangers seraient-ils de plus en plus nombreux à remplir les prisons espagnoles ? Difficile à affirmer en raison du manque de données sur le sujet, l’enfermement des mineurs étant interdit par la loi. Mais pour Daniel Arencibia, avocat en droit des étrangers, les affaires de ce type se multiplient.

    Il dit observer ces derniers mois une hausse des cas et regrette « beaucoup d’erreurs pour déterminer l’âge » d’un migrant. Cette recrudescence des emprisonnements s’explique, selon lui, par l’augmentation du nombre de mineurs débarqués en Espagne. « En 2020, il y avait moins de 400 mineurs aux Canaries. Aujourd’hui, ils sont plus de 5 000 », précise l’avocat.

    Un chiffre qui coïncide avec la hausse des débarquements en Espagne : on comptait en 2023, plus de 56 000 arrivées de migrants dans le pays, soit un bond de 82% par rapport à 2022. Parmi eux, près de 40 000 ont été enregistrés aux Canaries, une hausse de 154% par rapport à l’année précédente.
    Des peines différentes selon les provinces espagnoles

    Les jeunes ne sont pas les seuls à subir le même sort. Les migrants adultes aussi se voient désigner comme passeurs, pour avoir piloté leur embarcation. Et selon le lieu de leur arrestation, les peines diffèrent de plusieurs années, révèle une étude de Daniel Arencibia.

    Ce dernier a analysé plus de 200 condamnations portées contre des exilés dans les provinces espagnoles – sur les îles et sur la péninsule – les plus touchées par les arrivées irrégulières, du 1er janvier 2021 à aujourd’hui. Et le constat est sans appel : les migrants jugés aux Canaries écopent de peines plus lourdes pour les mêmes chefs d’accusation que dans les autres régions du pays.

    « Aux Baléares, ils sont condamnés à deux ans de prison, et aux Canaries à trois voire cinq ans », affirme l’avocat dans une interview accordée au média local Diario de Canarias.

    Pour avoir conduit une pirogue, et être poursuivi en tant que passeur, les exilés encourent jusqu’à huit ans de prison en Espagne. Une circulaire stipule cependant que dans le cas où la personne cherche également à obtenir une protection, une circonstance atténuante peut être appliquée et permet de réduire la peine.

    Daniel Arencibia a également découvert que le jugement pouvait être plus clément si le migrant renonce à son procès et se déclare donc coupable : dans ce cas, le Parquet réclame trois années de prison, en vertu de la circulaire évoquée précédemment. Dans le cas inverse, il demande sept ans d’emprisonnement. « Dans la province de Las Palmas [sur l’île de Grande Canarie, ndlr], 91% des accusés ont signé le document et accepte la peine de trois ans », renonçant à faire reconnaitre leur innocence.

    Rien d’étonnant pour l’avocat car, selon lui, les exilés n’ont d’autres choix : « Le migrant ne comprend pas la langue, a peur et on lui dit : ‘Si vous ne signez pas ce papier, vous ferez sept ans de prison au lieu de trois’ », résume-t-il.

    Comme en Grèce et au Royaume-Uni, deux États qui incarcèrent aussi des exilés vus à la barre d’un canot, les associations et les militants espagnols estiment que le gouvernement se trompe de cible. Les migrants emprisonnés « n’appartiennent pas à des mafias, ce sont de pauvres pêcheurs pour la plupart. Nous dépensons des millions pour mettre en prison des pêcheurs mais nous n’avons pas le budget nécessaire pour poursuivre ceux qui deviennent réellement millionnaires, au Maroc ou en Mauritanie », déplore l’avocat.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/55997/espagne--des-jeunes-migrants-se-declarant-mineurs-incarceres-pour-avoi
    #scafisti #criminalisation_de_la_migration #migrations #asile #réfugiés #Espagne #détention #mineurs #enfants #enfance #route_Atlantique #Canaries #îles_Canaries

  • Slovenia, carceri sovraffollate di passeur della Rotta Balcanica. Sono quasi la metà

    Gli arresti compiuti nei confronti dei trafficanti di esseri umani, colloquialmente noti come passeur, sta generando un sovraffollamento delle carceri della Slovenia. La Rotta Balcanica e in generale l’immigrazione clandestina si ripercuote pertanto anche sul sistema carcerario sloveno; un problema noto a Trieste e in Friuli Venezia Giulia dove la mancanza di spazi e di condizioni adeguate per i detenuti costituiscono una problematica sollevata più volte dalle istituzioni attive nell’ambito.
    Le centinaia di arresti compiuti negli ultimi anni hanno portato a una saturazione delle carceri della Slovenia. Vi sono 1808 persone detenute in totale; in particolare “tutte le sezioni maschili sono sovraffollate” ha comunicato l’amministrazione slovena alla STA – Slovenian Press Agency.
    La situazione maggiormente grave è, qual è naturale, a Lubiana dove l’occupazione sfonda il 200%; a Maribor è del 171%, a Celje del 165%; il carcere di maggiori dimensioni in Slovenia, a Dob, ha un’occupazione pari al 128%.
    Sugli odierni 1808 carcerati, 850 figurano come cittadini stranieri implicati nella tratta di esseri umani.

    Vi è attualmente un nuovo carcere in via di costruzione a Dobrunje, a est di Lubiana, il cui completamento è previsto entro il 2025. Tuttavia, anche se venisse inaugurato in questi giorni, non risolverebbe il sovraffollamento odierno. In mancanza di alternative, similmente a quanto avviene in Italia, ci si limita a spostare i condannati di carcere in carcere; si sta inoltre valutando se ridurre o meno la durata della pena. Non migliora la situazione la carenza di personale addetto al sistema penitenziario; appena 550 addetti per gestire quasi duemila detenuti. Parte del personale penitenziario è inoltre prossimo alla pensione.
    Man mano che la Rotta Balcanica, col giungere della primavera -estate 2024, ritornerà a essere attiva il problema si ripresenterà tanto in Slovenia, quanto in Friuli Venezia Giulia, dove le difficoltà di gestione delle carceri costituiscono un argomento ricorrente.

    https://www.triesteallnews.it/2024/03/slovenia-carceri-sovraffollate-di-passeur-della-rotta-balcanica-sono-
    #Slovénie #criminalisation_de_la_migration #trafiquants #passeurs #asile #migrations #réfugiés #emprisonnement #prisons #frontière_sud-alpine #Balkans #route_des_Balkans

  • La #répression des militants écologistes, une « menace majeure pour la démocratie », dénonce l’ONU
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/02/28/la-repression-des-militants-ecologistes-une-menace-majeure-pour-la-democrati

    Les militants écologistes sont criminalisés alors que ce sont eux qui luttent contre les véritables criminels, ceux qui soudoient et trafiquent les rapports pour cacher le fait qu’ils savent que leurs choix et actions sont nocifs et engendrent de vrais décès prématurés… mais c’est juste qu’ils s’en tapent et préfèrent mentir pour accumuler toujours plus de pognon (beaucoup pour échapper aux conséquences de leurs actes !).

    Interdictions de manifester, interventions brutales des forces de l’ordre, humiliations, intimidations, assimilation au terrorisme, création de nouveaux délits, lourdes condamnations… « La répression que subissent actuellement en Europe les militants écologistes qui ont recours à des actions pacifiques de désobéissance civile constitue une menace majeure pour la démocratie et les droits humains », alerte le rapporteur spécial des Nations unies sur les défenseurs de l’environnement, le Français Michel Forst, dans un rapport publié mercredi 28 février.

    « L’urgence environnementale à laquelle nous sommes collectivement confrontés et que les scientifiques documentent depuis des décennies, ne peut être traitée si ceux qui tirent la sonnette d’alarme et exigent des mesures sont criminalisés pour cette raison », estime Michel Forst qui s’est rendu le 23 février dans le Tarn sur le chantier controversé de l’A69 après des plaintes contre la réponse policière pour tenter de déloger des opposants installés dans les arbres.

    #criminalisation #écologie

    • Et si tu n’es pas d’accord avec le massacre de la nature par nos bons maîtres et qu’en plus tu le fais savoir, pense à regarder plus régulièrement sous ta bagnole si t’as pas une balise scotchée dessous, surtout dans le Limousin ils aiment beaucoup ça.

    • Où l’on apprend que la « cellule DEMETER » est une création de Christophe Castaner mis sous très haute pression par le lobbying de la FNSEA.

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/l-enquete-des-matins-du-samedi/cellule-demeter-enquete-sur-les-derives-de-la-lutte-contre-les-violences

      Selon le document officiel de présentation du ministère de l’Intérieur, cette cellule a un objectif : lutter contre les actes crapuleux (comme les vols de gasoil ou de matériel) et la criminalité organisée.

      Pour le principal syndicat agricole, la Fédération nationale des syndicats d’exploitants agricoles (FNSEA). “Il fallait envoyer un signal politique et mettre un coup d’arrêt à la montée en puissance d’un mouvement anti-élevage et anti-viande qui a recours à des actes très violents comme des abattoirs incendiés ou des inscriptions du genre ‘éleveurs = nazis’”, estime le vice-président de la FNSEA, Etienne Gangneron. “Les vols en exploitation s’accélèrent, renchéri le président de la FNSEA du Cher, Arnaud Lespagnol. Nous avons des matériels de plus en plus sophistiqués, du type GPS, qui lorsqu’ils sont dérobés constituent des préjudices importants.”

  • L’Europe doit mettre fin à la répression des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants

    « Dans toute l’Europe, il est de plus en plus fréquent que des organisations et des individus soient harcelés, intimidés, victimes de violences ou considérés comme des délinquants simplement parce qu’ils contribuent à protéger les droits humains des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants. Les États européens doivent mettre fin à cette répression », a déclaré aujourd’hui la Commissaire aux droits de l’homme du Conseil de l’Europe, Dunja Mijatović, à l’occasion de la publication d’une Recommandation sur la situation des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe.

    Cette Recommandation, intitulée Protéger les défenseurs : mettre fin à la répression des défenseurs des droits humains qui aident les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe, donne un aperçu des défis auxquels sont confrontés les défenseurs des droits humains et présente les mesures que les États membres du Conseil de l’Europe devraient prendre pour les protéger.

    Dans le contexte de politiques d’asile et de migration répressives, sécuritaires et militarisées, les États négligent de plus en plus leur obligation de veiller à ce que les défenseurs des droits humains puissent travailler dans un environnement sûr et favorable. En conséquence, de multiples formes de répression s’exercent sur les défenseurs qui participent à des opérations de sauvetage en mer, fournissent une aide humanitaire ou une assistance juridique, mènent des opérations de surveillance des frontières, assurent une couverture médiatique, mènent des activités de plaidoyer, engagent des procédures contentieuses, ou soutiennent par d’autres moyens encore les réfugiés, les demandeurs d’asile et les migrants en Europe.

    La Recommandation examine les problèmes auxquels sont confrontés les défenseurs des droits humains, notamment :

    - des propos hostiles et stigmatisants tenus par des représentants gouvernementaux, des parlementaires et certains médias ;
    – des violences et des menaces, et le manque de réaction des autorités pour y répondre ;
    – la criminalisation du travail humanitaire ou de défense des droits humains mené auprès des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants, due à une application trop large des lois sur le trafic illicite de migrants ;
    – le refus d’accès à des lieux où il est essentiel d’assurer un suivi de la situation des droits humains ou de fournir une aide, tels que des centres de détention ou d’accueil ou des zones frontalières.

    « Les gouvernements européens devraient voir les défenseurs des droits humains comme des partenaires qui peuvent contribuer de manière déterminante à rendre les politiques d’asile et de migration plus efficaces et respectueuses des droits humains. Au lieu de cela, ils les traitent avec hostilité. Cette politique délibérée porte atteinte aux droits humains des acteurs de la société civile et des personnes auxquelles ils viennent en aide. Par extension, elle ronge le tissu démocratique des sociétés », a déclaré la Commissaire.

    Afin d’inverser cette tendance répressive, la Commissaire appelle à prendre d’urgence une série de mesures, dont les suivantes :

    - réformer les lois, politiques et pratiques qui entravent indûment les activités des défenseurs des droits humains ;
    – veiller à ce que les lois sur le trafic illicite de migrants ne confèrent le caractère d’infraction pénale à aucune activité de défense des droits humains ou d’aide humanitaire menée auprès des réfugiés, des demandeurs d’asile et des migrants ;
    - lever les restrictions d’accès aux lieux et aux informations ;
    - mettre fin au discours stigmatisant et dénigrant ;
    - établir des procédures de sécurité efficaces pour les défenseurs confrontés à des violences ou à des menaces et veiller à ce que ces cas fassent l’objet d’enquêtes effectives.

    https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/id/264775174?_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTAN
    #criminalisation_de_la_solidarité #asile #migrations #réfugiés #solidarité #recommandation #conseil_de_l'Europe #répression #assistance_juridique #sauvetage #aide_humanitaire #violence #menaces #hostilité #droits_humains #rapport

  • Il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di garantire più protezione alle vittime di tratta

    Nel rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) si chiede alle autorità di aumentare le indagini e le condanne, assicurare strumenti efficaci di risarcimento per le vittime e concentrarsi maggiormente sullo sfruttamento lavorativo. Oltre allo stop del memorandum Italia-Libia. Su cui il governo tira dritto.

    Più attenzione alla tratta per sfruttamento lavorativo, maggiori risarcimenti e indennizzi per le vittime e la necessità di aumentare il numero di trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia. Ma anche lo stop del memorandum Italia-Libia e la fine della criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”.

    Sono queste le principali criticità su cui il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) a fine febbraio ha chiesto al governo italiano di intervenire per assicurare l’applicazione delle normative europee e una tutela efficace per le vittime di tratta degli esseri umani. “Ogni anno in Italia ne vengono individuate tra le 2.100 e le 3.800 -si legge nel report finale pubblicato il 23 febbraio-. Queste cifre non riflettono la reale portata del fenomeno a causa dei persistenti limiti nelle procedure per identificare le vittime, nonché di un basso tasso di autodenuncia da parte delle stesse che temono di essere punite o deportate verso i Paesi di origine”. Una scarsa individuazione dei casi di tratta che riguarderebbe soprattutto alcuni settori “ad alto rischio” come “l’agricoltura, il tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”.

    L’oggetto del terzo monitoraggio di attuazione obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani era proprio l’accesso alla giustizia per le vittime. Dal 13 al 17 febbraio 2023, il gruppo di esperti si è recato in Italia incontrando decine di rappresentanti istituzionali e di organizzazioni della società civile. La prima bozza del report adottata nel giugno 2023 è stata poi condivisa con il governo italiano che a ottobre ha inviato le sue risposte prima della pubblicazione finale del rapporto. Quello in cui il Greta, pur sottolineando “alcuni sviluppi positivi” dall’ultima valutazione svolta in Italia nel 2019, esprime “preoccupazione su diverse questioni”.

    Il risarcimento per le vittime della tratta è una di queste. Spesso “reso impossibile dalla mancanza di beni o proprietà degli autori del reato in Italia” ma anche perché “i meccanismi di cooperazione internazionale sono raramente utilizzati per identificare e sequestrare i beni degli stessi all’estero”. Non solo. Il sistema di indennizzo per le vittime -nel caso in cui, appunto, chi ha commesso il reato non abbia disponibilità economica- non funziona. “Serve renderlo effettivamente accessibile e aumentare il suo importo massimo di 1.500 euro”. Come ricostruito anche da Altreconomia, da quando è stato istituito questo strumento solo in un caso la vittima ha avuto accesso al fondo.

    Il Greta rileva poi una “diminuzione del numero di indagini, azioni penali e di condanne” osservando in generale una applicazione ristretta di tratta di esseri umani collegandola “all’esistenza di un elemento transnazionale, al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e all’assenza del consenso della vittima”. Tutti elementi non previsti dalla normativa europea e italiana. Così come “desta preoccupazione l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, in particolare della fase investigativa”.

    Il gruppo di esperti sottolinea poi la persistenza di segnalazioni di presunte vittime di tratta “perseguite e condannate per attività illecite commesse durante la tratta, come il traffico di droga, il possesso di un documento d’identità falso o l’ingresso irregolare”. Un problema che spesso porta la persona in carcere e non nei progetti di accoglienza specializzati. Che in Italia aumentano. Il Greta accoglie infatti con favore “l’aumento dei fondi messi a disposizione per l’assistenza alle vittime e la disponibilità di un maggior numero di posti per le vittime di tratta, anche per uomini e transgender” sottolineando però la necessità di prevedere un “finanziamento più sostenibile”. In questo momento i bandi per i progetti pubblicati dal Dipartimento per le pari opportunità, hanno una durata tra i 17 e i 18 mesi.

    C’è poi la difficoltà nell’accesso all’assistenza legale gratuita che dovrebbe essere garantita alle vittime che invece, spesso, si trovano obbligate a dimostrare di non avere beni di proprietà non solo in Italia ma anche nei loro Paesi d’origine per poter accedere alle forme di consulenza legale gratuita. Problematico è anche l’accesso all’assistenza sanitaria. “I professionisti del Sistema sanitario nazionale -scrive il Greta- non sono formati per assistere le vittime di tratta con gravi traumi e mancano mediatori culturali formati per partecipare alla fornitura di assistenza psicologica”.

    Come detto, il focus degli esperti riguarda la tratta per sfruttamento lavorativo. Su cui l’Italia ha adottato diverse misure di protezione per le vittime ma che però restano insufficienti. “Lo sfruttamento del lavoro continua a essere profondamente radicato in alcuni settori che dipendono fortemente dalla manodopera migrante” ed è necessario “garantire risorse che risorse sufficienti siano messe a disposizione degli ispettori del lavoro, rafforzando il monitoraggio dei settori a rischio e garantendo che le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti soddisfare i requisiti previsti dalla normativa al fine di prevenire abusi”.

    Infine il Greta bacchetta il governo italiano su diversi aspetti relativi alla nuova normativa sui richiedenti asilo. “Temiamo che le misure restrittive adottate dall’Italia favoriscano un clima di criminalizzazione dei migranti, con il risultato che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i loro casi per paura di detenzione e deportazione”, scrivono gli esperti. Sottolineando la preoccupazione rispetto al “rischio di aumento del numero di richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa” previsto dagli ultimi provvedimenti normativi che aumenterebbe la possibilità anche per le vittime di tratta non ancora identificate di essere recluse. Un rischio riscontrato anche per il Protocollo sottoscritto con l’Albania per gli impatti che avrà “sull’individuazione e la protezione delle persone vulnerabili salvate in mare”.

    Sul punto, nelle risposte inviate al Greta l’8 febbraio 2024, il governo italiano sottolinea che il protocollo siglato con la controparte albanese “non si applicherà alle persone vulnerabili, incluse le vittime di tratta”. Resta il punto della difficoltà di identificazione fatta subito dopo il soccorso, spesso in condizioni precarie dopo una lunga e faticosa traversata.

    Ma nelle dieci pagine di osservazioni inviate da parte dell’Italia, salta all’occhio la puntualizzazione rispetto alla richiesta del Greta di sospendere il memorandum d’intesa tra Italia e Libia che fa sì che “un numero crescente di migranti salvati o intercettati nel Mediterraneo vengano rimpatriati in Libia dove rischiano -scrivono gli esperti- di subire gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la schiavitù, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale”. Nella risposta, infatti, il governo sottolinea che ha scelto di cooperare con le autorità libiche “con l’obiettivo di ridurre i morti in mare, nel pieno rispetto dei diritti umani” e che la collaborazione “permette di combattere più efficacemente le reti di trafficanti di esseri umani e di coloro che contrabbandano i migranti”. Con il rispetto dei diritti umani, del diritti umanitario e internazionale che è “sempre stata una priorità”. Evidentemente non rispettata. Ma c’è un dettaglio in più.

    Quel contrasto al traffico di migranti alla base anche del memorandum con la Libia, sbandierato a più riprese dall’esecutivo italiano (“Andremo a cercare gli ‘scafisti’ lungo tutto il globo terracqueo”, disse la premier Giorgia Meloni a inizio marzo 2023) viene messo in discussione nel rapporto. Dopo aver sottolineato la diminuzione delle indagini sui trafficanti di esseri umani, il Greta scrive che i “capitani” delle navi che arrivano in Italia “potrebbero essere stati costretti tramite minacce, violenza fisica e abuso di una posizione di vulnerabilità nel partecipare all’attività criminali”. Indicatori che li farebbero ricadere nella “categoria” delle vittime di tratta. “Nessuno, però, è stato considerato come tale”, osservano gli esperti. Si scioglie come neve al sole la retorica sulla “guerra” ai trafficanti. I pezzi grossi restano, nel frattempo, impuniti.

    https://altreconomia.it/il-consiglio-deuropa-chiede-allitalia-di-garantire-piu-protezione-alle-

    #traite_d'êtres_humains #Italie #protection #Conseil_de_l'Europe #exploitation #Greta #rapport #agriculture #industrie_textile #hôtelerie #bâtiment #BTS #services_domestiques #restauration #indemnisation #accès_à_la_santé #criminalisation_de_la_migration #Albanie

  • L’Italie ne fait pas assez pour aider les migrants victimes de traite, estime un rapport européen - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55455/litalie-ne-fait-pas-assez-pour-aider-les-migrants-victimes-de-traite-e

    L’Italie ne fait pas assez pour aider les migrants victimes de traite, estime un rapport européen
    Par La rédaction Publié le : 27/02/2024
    En Italie, l’exploitation sexuelle et économique concernent un nombre croissant de migrants en situation irrégulière, souligne le Conseil de l’Europe dans un rapport. Et le gouvernement italien ne fait pas assez pour protéger les victimes de ces trafics. Les secteurs à haut risque touchent aussi l’agriculture, le textile, et les services domestiques.
    La politique anti-migrants menée par l’Italie tend à favoriser la traite d’êtres humains puisqu’elle dissuade les victimes de se montrer aux autorités et de porter plainte.C’est en substance ce que révèle le Conseil de l’Europe dans un rapport publié le 23 février 2024, rédigé par le Groupe d’experts du Conseil de l’Europe sur la lutte contre la traite des êtres humains (Greta). Ces spécialistes estiment qu’entre 2 100 et 3 800 personnes sont identifiées chaque année en Italie comme victimes potentielles de la traite, très souvent des personnes en situation irrégulière.
    Un chiffre important qui pourtant « ne reflète pas l’ampleur réelle du phénomène ». Selon le National Anti-Trafficking Helpline [une ligne d’assistance téléphonique confidentielle pour les victimes de la traite des êtres humains], cité dans le rapport, il y aurait plutôt entre 15 000 et 20 000 personnes menacées par le trafic d’êtres humains en Italie. Mais « en raison des insuffisances des procédures mises en place pour l’identification des victimes » et du « faible taux de signalement des victimes qui craignent d’être sanctionnées ou expulsées », le chiffre est sûrement sous-estimé, pointe encore l’institution européenne.
    L’exploitation sexuelle reste la forme prédominante d’exploitation des victimes détectées (84% en 2018, diminuant à 59 % en 2022), suivi de l’exploitation par le travail (10 % en 2018, augmentant à 38 % en 2022). La mendicité forcée, la servitude domestique, le mariage forcé et la criminalité forcée représentent chacun 1 à 2% des victimes.La baisse du nombre de victimes d’exploitation sexuelle est à prendre avec précaution : le chiffre a diminué avec la pandémie de Covid-19 qui a déplacé la prostitution de la rue à des lieux fermés, ce qui a rendu plus difficile l’identification des victimes.
    Le Nigeria reste le pays principal d’où sont originaires la plupart des victimes reconnues (68,4%), suivi de la Côte d’Ivoire (3,5%), du Pakistan (3%), du Bangladesh (2,9%) et du Maroc (2,2%).
    Selon les autorités italiennes, la mafia nigériane est largement implantée dans le pays et y développe un large réseau de prostitution. Une figure majeure d’un de ces réseaux, Omoruy Chrity, aussi surnommée « Mommy », a été arrêtée en 2023 et renvoyée au Nigéria. Elle-même ancienne prostituée, Mommy jouait un rôle prépondérant dans l’organisation d’un trafic visant à faire venir des jeunes femmes du Nigeria, selon la police italienne.
    Si le Greta souligne que des efforts ont été déployés pour améliorer la détection des victimes, les auteurs du rapport estiment aussi que « les mesures restrictives adoptées par l’Italie en matière d’immigration favorisent un climat de criminalisation des migrants ». Résultat : de nombreuses victimes potentielles de la traite ne se signalent pas aux autorités par crainte « d’être privées de liberté et expulsées ». Depuis la « crise de Lampedusa » en septembre 2023, en effet, le gouvernement italien a mis en place de nouvelles mesures pour lutter contre les arrivées de migrants sur son sol. Les autorités ont notamment allongé la durée maximale de détention des exilés à 18 mois et créé davantage de centres de rétention.
    Le Greta recommande donc « aux autorités italiennes de prendre des mesures supplémentaires pour garantir que les victimes reçoivent des informations sur leur situation dès qu’elles entrent en contact avec une autorité compétente ».L’exploitation par le travail reste profondément ancrée dans certains secteurs d’activité fortement dépendants de la main-d’œuvre étrangère : « Les secteurs à haut risque sont l’agriculture, le textile, le travail domestique, la construction, l’hôtellerie et la restauration », développe le Greta.
    Si la plupart des victimes sont des femmes, le nombre d’hommes et de personnes transgenres est en augmentation. En outre, le nombre d’enquêtes, de poursuites et de condamnations dans des affaires de traite d’êtres humains a diminué, déplorent les auteurs du rapport, qui appellent Rome à garantir « des sanctions effectives » contre les trafiquants d’êtres humains. Dans un autre rapport publié jeudi 22 février, Dunja Mijatovic, la commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe a aussi appelé les États membres à mettre fin à la « répression » envers les ONG et individus qui défendent les droits des migrants.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#UE#traite#exploitation#maindoeuvre#economie#criminalisation#droitshumains#sante#nigeria

  • Jury convicts #Ibrahima_Bah : Statement from Captain Support UK

    Following a three-week trial, Ibrahima Bah, a teenager from Senegal, has been convicted by an all-white jury at Canterbury Crown Court. The jury unanimously found him guilty of facilitating illegal entry to the UK, and by a 10-2 majority of manslaughter by gross negligence. This conviction followed a previous trial in July 2023 in which the jury could not reach a verdict.

    Ibrahima’s prosecution and conviction is a violent escalation in the persecution of migrants to ‘Stop the Boats’. Observing the trial has also made it clear to us how anti-black racism pervades the criminal ‘justice’ system in this country. The verdict rested on the jury’s interpretation of generic words with shifting meanings such as ‘reasonable’, ‘significant’, and ‘minimal’. Such vagueness invites subjective prejudice, in this case anti-black racist profiling. Ibrahima, a teenage survivor, was perceived in the eyes of many jurors to be older, more mature, more responsible, more threatening, with more agency, and thus as more ‘guilty’.
    Why Ibrahima was charged

    Ibrahima was arrested in December 2022 after the dinghy he was driving across the Channel broke apart next to the fishing vessel Arcturus. Four men are known to have drowned, and up to five are still missing at sea. The court heard the names of three of them: Allaji Ibrahima Ba, 18 years old from Guinea who had travelled with Ibrahima from Libya and who Ibrahima described as his brother; Hajratullah Ahmadi, from Afghanistan; and Moussa Conate, a 15 year old from Guinea.

    The jury, judge, defense, and prosecution agreed the shipwreck and resultant deaths had multiple factors. These included the poor construction of the boat, water ingress after a time at sea, and later everyone standing up to be rescued causing the floor of the dinghy ripping apart. A report by Alarm Phone and LIMINAL points to other contributing factors, including the lack of aerial surveillance, the failure of the French to launch a search and rescue operation when first informed of the dinghy’s distress, and the skipper of Arcturus’ delay in informing Dover Coastguard of the seriousness of the wreck. Nonetheless, the Kent jury has decided to exclusively punish a black teenaged survivor.

    What the jury heard

    Many of the other survivors, all of whom claimed asylum upon reaching the UK, testified that Ibrahima saved their lives. At the moment the dinghy got into danger, Ibrahima steered it towards the fishing vessel which rescued them. He was also shown holding a rope to keep the collapsed dinghy alongside the fishing vessel while others climbed onboard. One survivor told the court that Ibrahima “was an angel”.

    The story told by witnesses not on the dinghy contrasted greatly to that of the asylum seekers who survived. Ray Strachan, the captain of the shipping vessel Arcturus offered testimony which appeared particularly prejudiced. He described Ibrahima using racist tropes – “mouthy”, not grateful enough following rescue, and as behaving very unusually. He complained about the tone in which Ibrahima asked the crew to rescue his drowning friend Allaji, who Strachan could only describe as being “dark brown. What can you say nowadays? He wasn’t white.” Strachan also has spoken out in a GB News interview against what he considers to be the “migrant taxi service” in the Channel, and volunteered to the jury, “It wasn’t my decision to take them to Dover. I wanted to take them back to France.” This begs the question of whether Strachan’s clearly anti-migrant political opinions influenced his testimony in a way which he felt would help secure Ibrahima’s conviction. It also raises the question if jury members identified more with Strachan’s retelling than the Afghans who testified through interpreters, and to what extent they shared some of his convictions.

    When Ibrahima took the stand to testify in his defense he explained that he refused to drive the rubber inflatable after he was taken to the beach and saw its size compared to the number of people expecting to travel on it. He told how smugglers, who had organised the boat and had knives and a gun, then assaulted him and forced him to drive the dinghy. The other survivors corroborated his testimony and described the boat’s driver being beaten and forced onboard.

    The prosecutor, however, sought to discredit Ibrahima, cross-examining him for one-and-a-half days. He demonised Ibrahima and insisted that he was personally responsible for the deaths because he was driving. Ibrahima’s actions, which survivors testified saved their lives, were twisted into dangerous decisions. His experiences of being forced to drive the boat under threat of death, and following assault, were disbelieved. The witness stand became the scene of another interrogation, with the prosecutor picking over the details of Ibrahima’s previous statements for hours.

    Ibrahima’s account never waivered. Yes he drove the dinghy, he didn’t want to, he was forced to, and when they got into trouble he did everything in his power to save everybody on board.
    Free Ibrahima!

    We have been supporting, and will continue to support, Ibrahima as he faces his imprisonment at the hands of the racist and unjust UK border regime.

    This is a truly shocking decision.

    We call for everybody who shares our anger to protest the unjust conviction of Ibrahima Bah and to stand in solidarity with all those incarcerated and criminalised for seeking freedom of movement.

    https://captainsupport.net/jury-convicts-ibrahima-bah-statement-from-captain-support-uk

    #scafista #scafisti #UK #Angleterre #criminalisation_de_la_migration #migrations #réfugiés #procès #justice #condamnation #négligence #Stop_the_Boats #verdict #naufrage #responsabilité #Arcturus

    • “NO SUCH THING AS JUSTICE HERE”. THE CRIMINALISATION OF PEOPLE ARRIVING TO THE UK ON ‘SMALL BOATS’

      New research shows how people arriving on small boats are being imprisoned for their ‘illegal arrival’. Among those prosecuted are people seeking asylum, victims of trafficking and torture, and children with ongoing age disputes.

      This research provides broader context surrounding the imprisonment of Ibrahima Bah, a Senegalese teenager, who has recently been found ‘guilty’ of both facilitating illegal entry and manslaughter. He was sentenced to 9 years and 6 months imprisonment on Friday 23rd February. In their statement, Captain Support UK argue that “Ibrahima’s prosecution and conviction is a violent escalation in the persecution of migrants to ‘Stop the Boats’.”

      The research

      This report, published by the Centre for Criminology at the University of Oxford and Border Criminologies, shows how people have been imprisoned for their arrival on a ‘small boat’ since the Nationality and Borders Act (2022) came into force. It details the process from sea to prison, and explains how this policy is experienced by those affected. Analysis is based on observations of over 100 hearings where people seeking asylum were prosecuted for their own illegal arrival, or for facilitating the arrival of others through steering the dinghy they travelled on. The report is informed by the detailed casework experience of Humans for Rights Network, Captain Support UK and Refugee Legal Support. It also draws on data collected through Freedom of Information requests, and research interviews with lawyers, interpreters, and people who have been criminalised for crossing the Channel on a ‘small boat’.

      Background

      In late 2018, the number of people using dinghies to reach the UK from mainland Europe began to increase. Despite Government claims, alternative ‘safe and legal routes’ for accessing protection in the UK remain inaccessible to most people. There is no visa for ‘seeking asylum’, and humanitarian routes to the UK are very restricted. For many, irregular journeys by sea have become the only way to enter the UK to seek asylum, safety, and a better life.

      Soon after the number of people arriving on small boats started to increase, the Crown Prosecution Service began to charge those identified as steering the boats with the offences of ‘illegal entry’ or ‘facilitation’. These are offences within Section 24 and Section 25 of the Immigration Act 1971. However, in 2021, a series of successful appeals overturned these prosecutions. This was on the basis that if the people on a small boat intended to claim asylum at port, there was no breach of immigration law through attempted ‘illegal entry’. The Court of Appeal found that those who arrive by small boat and claim asylum do not enter illegally, as they are granted entry as an asylum seeker.

      In response, in June 2022, the Nationality and Borders Act expanded the scope of criminal offences relating to irregular arrival to the UK. First, the offence of ‘illegal arrival’ was introduced, with a maximum sentence of 4 years. Second, the offence of ‘facilitation’ was expanded to include circumstances in which ‘gain’ was difficult to prove, and the maximum sentence was increased from 14 years to life imprisonment. During Parliamentary debates, members of both Houses of Parliament warned that this would criminalise asylum seeking to the UK.

      Who has been prosecuted since the Nationality and Borders Act (2022)?

      New data shows that in the first year of implementation (June 2022 – June 2023), 240 people arriving on small boats were charged with ‘illegal arrival’ off small boats. While anyone arriving irregularly can now be arrested for ‘illegal arrival’, this research finds that in practice those prosecuted either:

      – Have an ‘immigration history’ in the UK, including having been identified as being in the country, or having attempted to arrive previously ( for example, through simply having applied for a visa), or,
      – Are identified as steering the dinghy they travelled in as it crossed the Channel.

      49 people were also charged with ‘facilitation’ in addition to ‘illegal arrival’ after allegedly being identified as having their ‘hand on the tiller’ at some point during the journey. At least two people were charged with ‘facilitation’ for bringing their children with them on the dinghy.

      In 2022, 1 person for every 10 boats was arrested for their alleged role in steering. In 2023, this was 1 for every 7 boats. People end up being spotted with their ‘hand on the tiller’ for many reasons, including having boating experience, steering in return for discounted passage, taking it in turns, or being under duress. Despite the Government’s rhetoric, both offences target people with no role in organised criminal gangs.

      The vast majority of those convicted of both ‘illegal arrival’ and ‘facilitation’ have ongoing asylum claims. Victims of torture and trafficking, as well as children with ongoing age disputes, have also been prosecuted. Those arrested include people from nationalities with a high asylum grant rate, including people from Sudan, South Sudan, Afghanistan, Iran, Eritrea, and Syria.

      Those imprisoned are distressed and harmed by their experiences in court and prison

      This research shows how court hearings were often complicated and delayed by issues with interpreters and faulty video link technology. Bail was routinely denied without proper consideration of each individual’s circumstances. Those accused were usually advised to plead guilty to ‘illegal arrival’ at the first opportunity to benefit from sentence reductions, however, this restricted the possibility of legal challenge.

      Imprisonment caused significant psychological and physical harm, which people said was particularly acute given their experiences of displacement. The majority of those arrested are imprisoned in HMP Elmley. They frequently reported not being able to access crucial services, including medical care, interpretation services including for key documents relating to their cases, contact with their solicitors, immigration advice, as well as work and English lessons. People shared their experiences of poor living conditions, inadequate food, and routine and frequent racist remarks and abuse from prison staff as ‘foreign nationals’.

      Children with age disputes are being imprisoned for their arrival on small boats

      Research (see, for example, here) by refugee support organisations has highlighted significant flaws in the Home Office’s age assessment processes in Dover, resulting in children being aged as adults, and treated as such. One consequence of this is that children with ongoing age disputes have been charged as adults with the offences of ‘illegal arrival’ and ‘facilitation’ for their alleged role in steering boats across the Channel.

      Humans for Rights Network has identified 15 age-disputed children who were wrongly treated as adults and charged with these new offences, with 14 spending time in adult prison. This is very likely to be an undercount. The Home Office fails to collect data on how many people with ongoing age disputes are convicted. These young people have all claimed asylum, and several claim (or have been found to be) survivors of torture and/or trafficking. The majority are Sudanese or South Sudanese, who have travelled to the UK via Libya.

      Throughout the entirety of the criminal process, responsibility lay with the child at every stage to reject their ‘given’ age and reassert that they are under 18. Despite this, the Courts generally relied on the Home Office’s ‘given age’, without recognition of evidence highlighting clear flaws in these initial age enquiries. Children who maintained that they were under 18 in official legal proceedings faced substantial delays to their cases, due to the time required by the relevant local authority to carry out an age assessment, and delays to the criminal process. Due to this inaction, several children have decided to be convicted and sentenced as adults to try to avoid spending additional time in prison.

      These young people have experienced serious psychological and physical harm in adult courts and prisons, raising serious questions around the practices of the Home Office, Border Force, Ministry of Justice, magistrates and Judges, the CPS, defence lawyers, and prison staff.

      Pour télécharger le rapport :
      Full report:https://blogs.law.ox.ac.uk/sites/default/files/2024-02/No%20such%20thing%20as%20justice%20here_for%20publication.pdf
      Summary : https://blogs.law.ox.ac.uk/sites/default/files/2024-02/SUMMARY_No%20such%20thing%20as%20justice%20here_for%20publication.pd

      https://www.law.ox.ac.uk/content/news/report-launch-no-such-thing-justice-here
      #rapport

    • Ibrahima Bah was sentenced to nine years for steering a ‘death trap’ dinghy across the Channel. Was he really to blame?

      The young asylum seeker was forced into piloting the boat on which at least four people drowned. Under new ‘stop the boats’ laws, he’s responsible for their deaths – but others say he’s a victim

      In the dock at Canterbury crown court, Ibrahima Bah listened closely as his interpreter told him he was being sentenced to nine years and six months in prison.

      In December 2022, Bah had steered an inflatable dinghy full of passengers seeking asylum in the UK across the Channel from France. The boat collapsed and four people were confirmed drowned – it is thought that at least one other went overboard, but no other bodies have yet been recovered.

      Bah’s conviction – four counts of gross negligence manslaughter and one of facilitating a breach of immigration law – is the first of its kind. The Home Office put out a triumphant tweet after his sentencing, with the word “JAILED” in capital letters above his mugshot. According to the government, Bah’s sentence is proof that it is achieving one of Rishi Sunak’s main priorities: to “Stop the Boats”. But human rights campaigners are less jubilant and fear his conviction will be far from the last.

      Of the 39 passengers who survived that perilous journey in December 2022, about a dozen were lone children. Bah is a young asylum seeker himself, from Senegal. The judge determined he is now 20; his birth certificate says he is 17. Either way, he was a teenager at the time of the crossing. So how did his dream of a new life in the UK end up here, in this courtroom, being convicted of multiple counts of manslaughter?

      As with so many asylum seekers, details about Bah’s life are hazy and complicated. He has had little opportunity to speak to people since he arrived in the UK because he has been behind bars. His older sister, Hassanatou Ba, who lives in Morocco, says the whole family is devastated by his imprisonment, especially their mother. Hassanatou says her brother – the only son in the family, and the only male after the death of their father – has always been focused on helping them all.

      “He is gentle, kind and respectful, and loves his family very much,” she says. “He always wanted to take care of all of us. He knew about the difficulties in our lives and wanted our problems to stop.”

      In court, the judge, Mr Justice Johnson KC, noted that Bah’s early upbringing was difficult and that he was subjected to child labour. His initial journey from Senegal was tough, too, as he travelled to the Gambia, then Mali (where the judge acknowledged he had been subjected to forced labour), Algeria and Libya before crossing the Mediterranean to reach Europe. The risk of drowning in a flimsy and overcrowded boat in the Mediterranean is extremely high, with more than 25,000 deaths or people missing during the crossing since 2014. The Immigration Enforcement Competent Authority found there were reasonable grounds to conclude Bah was a victim of modern slavery based on some of his experiences on his journey. He told the police the boat journey was “terrifying”, and took four days and four nights in an “overcrowded and unsuitable” vessel.

      Bah and his fellow travellers were rescued and taken to Sicily. From there, he travelled to France and met Allaji Ba, 18, from Guinea, who became his friend and who he has described as his “brother”. The pair spent five months in Bordeaux before travelling to Paris, then Calais, then Dunkirk, spending three months in an area known as the Jungle – a series of small, basic encampments. The refugees who live there are frequently uprooted by French police. The vast original Calais refugee encampment – also known as the Jungle – was destroyed in October 2016, but the camps still exist, albeit in more compact and makeshift forms. Some people have tents, while others sleep in the open air, whatever the weather.

      In the Jungle, Bah met a group of smugglers. He was unable to pay the going rate of about £2,000 for a space on a dinghy to come to the UK, so instead he agreed to steer the boat in exchange for free passage. Smugglers don’t drive boats themselves: they either offer the job to someone like Bah, who can’t afford to pay for their passage; force a passenger to steer; or leave it to the group to share the task between them.

      When Bah saw how unseaworthy and overcrowded the boat was, he refused to pilot it, and in court, the judge accepted there was a degree of coercion by the smugglers. Bah said smugglers with a knife and a gun assaulted him, and other survivors corroborated his account of being beaten after refusing to board the boat.

      Once the dinghy was afloat, survivors have said the situation became increasingly terrifying. Out at sea, under a pitch black sky, the dinghy began taking in water up to knee level. It was when the passengers saw a fishing vessel, Arcturus, that catastrophe struck, with some standing up, hoping that at last they were going to be saved from what they believed was certain drowning.

      At Bah’s trial, witnesses gave evidence about his efforts to save lives by manoeuvring the stricken dinghy towards the fishing trawler, so that people could be rescued.

      One witness said that if it hadn’t been for Bah, everyone on board would have drowned. “He was trying his best,” he said. Another survivor called him an “angel” for his efforts to save lives, holding a rope so others could be hoisted to safety on the fishing vessel and putting the welfare of others first. The judge acknowledged that Bah was one of the last to leave the dinghy and tried to help others after he did so, including his friend Ba, “who tragically died before your eyes”.

      The dinghy was described by the judge as a “death trap”; he also recognised that the primary responsibility for what happened that night rests with the criminal gangs who exploit and endanger those who wish to come to the UK. He noted that Bah was “significantly less culpable” than the gangs and did not coerce other passengers or organise the trip.

      “Everything that has happened to Ibrahima since he was forced to drive the boat in 2022 has been bad luck,” says Hassanatou. “In fact, Ibrahima’s whole journey has been suffering on top of suffering.”

      Had Bah made the journey just a few months earlier, he would not be in this courtroom today. His conviction was made possible by recent changes in the law – part of the Conservative government’s clampdown on small boats. In June 2022, the Nationality and Borders Act (NABA) expanded the scope of criminal offences relating to irregular arrival to the UK. The offence of “illegal arrival” was introduced, with a maximum sentence of four years. This criminalises the act of arriving in the UK to claim asylum – and effectively makes claiming asylum impossible since, by law, you have to be physically in the country to make a claim.

      At the same time, the pre-existing offence of “facilitation” – making it possible for others to claim asylum by piloting a dinghy, for example – was expanded, with the maximum sentence increased from 14 years to life imprisonment. Hundreds of people, including children and victims of torture and smuggling, have subsequently been jailed for the first offence and a handful for the second.

      The reasons Bah and thousands of others are forced into this particularly deadly form of Russian roulette on the Channel is due to government policy not to provide safe and legal routes for those who are fleeing persecution. Last year, the government went further than NABA with the Illegal Migration Act, making any asylum claim by someone arriving by an “irregular” means, such as on a small boat, inadmissible. It is hard to overstate the significance of this change. The right to claim asylum was enshrined in the 1951 Geneva Convention after the horrors of the second world war – and has saved many lives. The UK is still signed up to that convention, but the Illegal Migration Act now makes it almost impossible to exercise that essential right, and has been strongly criticised by the UN.

      None of these legal changes are stopping the boats. Although the number of Channel crossings fell by 36% last year, much of that reduction was due to 90% fewer crossings by Albanians (there had been a spike in the numbers of Albanians coming over in 2022). Those fleeing conflict zones are still crossing in large numbers, and according to a report by the NGO Alarm Phone, measures introduced to stop the boats are likely to have increased the number of Channel drownings.

      Most asylum seekers do not seek sanctuary in the UK but instead head to the nearest safe country. Those who do come here often have family in the UK, or speak English. The decisions people make before stepping into a precarious dinghy on a beach in northern France are not a result of nuanced calculations based on the latest law to pass through parliament. “I come or I die,” one Syrian asylum seeker told me recently, when I asked about his decision to make a high-risk boat crossing after experiencing torture in his home country.

      Some lawyers who have followed Bah’s case and the broader implications of the new legislation are worried about these developments. “There is now no legal way to claim asylum,” one lawyer says.

      “The use of manslaughter in these circumstances is completely novel and demonstrates how pernicious the new laws are. It is the most vulnerable who end up piloting the boats and asylum seekers have no knowledge that the law has changed.”

      Bah’s case has also caused consternation among campaigners. “The conviction of Ibrahima Bah demonstrates a violent escalation in the prosecution of people for the way in which they arrive in the UK,” reads a joint statement from Humans for Rights Network and Refugee Legal Support, two of the organisations supporting Bah. They also point out that Bah had already spent 14 months in prison without knowing how long he would remain there, after a previous trial against him last year collapsed when the jury failed to reach a verdict.

      “He too is a survivor of the shipwreck he experienced in December 2022,” the statement continues. “Imprisonment has severely impacted his mental health and will continue to do so while he is incarcerated. Ibrahima navigated a horrific journey to the UK in the hope of finding safety here through the only means available to him and yet he has been punished for the deaths of others seeking the same thing, sanctuary.”

      The organisation Captain Support is helping 175 people who face prosecution as a result of the new laws to find legal representation. A letter-writing campaign calling for Bah to be freed has been launched.

      Hassanatou says she is struggling to comprehend the UK’s harsh laws towards people like her little brother, and she fears his age will make it particularly difficult for him to cope behind bars. He will be expected to serve two-thirds of his sentence in custody, first in a young offenders’ institute and then in an adult jail.

      In his sentencing remarks the judge said to Bah: “This is also a tragedy for you. Your dream of starting a new life in the UK is in tatters.”

      https://www.theguardian.com/uk-news/2024/mar/12/ibrahima-bah-teenage-asylum-seeker-manslaughter

  • Egyptians accused in Pylos shipwreck case deny smuggling, blame Greece

    Months after the tragic disaster that killed hundreds at sea, nine accused men languishing in prison insist they are innocent.

    “Whoever asks me why you are in prison, I answer that I don’t know,” said the 21-year-old Egyptian. “We’re children, we’re terrified. We are told that we will be sentenced to 400 or 1,000 years in prison. Every time they say that, we die.”

    He is among nine Egyptians in pre-trial detention and charged with criminal responsibility for a shipwreck off the town of Pylos last year, which led to the deaths of hundreds of people trying to reach Europe.

    The group is being charged under Greek law with forming a criminal organisation, facilitating illegal entry and causing a shipwreck.

    They are the only people being held over the shipwreck.

    However, Al Jazeera, in partnership with Omnia TV and the Efimerida ton Syntakton newspaper, can reveal that all nine accused claim they were not among the smugglers who organised or profited from the journey.

    They say they were simply passengers who survived and allege that the Greek Coast Guard caused the overpacked boat to capsize.

    Speaking via telephone from detention, they told Al Jazeera and its partners that the Greek prosecution did not accurately take their testimonies and that they pressured them to sign documents they did not understand with violence or under threats of violence.

    Two separate survivors also said the nine accused were not guilty and pinned blame on the national Hellenic Coast Guard.

    Fearing reprisals for speaking out against the Greek state, all 11 sources asked Al Jazeera to conceal their identities and use pseudonyms for this article.

    The nine accused, who include fathers, workers and students, said they paid between 140,000 to 150,000 Egyptian pounds ($4,500 to $4,900) to a smuggler or an associate to board the doomed boat.

    “I am telling you, I am someone who paid 140,000 Egyptian pounds,” said Magdy*, another of the accused. “If I am the guy who put these people on the boat, I’ll have like seven, eight, or nine thousand euros. Twenty thousand euros. Why on earth would I board a boat like this?”

    In 2022, a smuggler told The Guardian that he charges Egyptians about 120,000 Egyptian pounds ($3,900). Recent reporting has found that those travelling from Syria often pay about 6,000 euros (about $6,500) for such a journey.

    The two other survivors, both Syrians, said they paid money to people but not the accused Egyptians. The nine being held were not involved in smuggling, they said.

    “No. They weren’t to blame for anything,” said Ahmed*.

    On that fateful day last year, June 14, the Adriana, overloaded with an estimated 700-750 people, including Egyptians, Syrians, Pakistanis, Afghans and Palestinians – among them children – capsized. The derelict blue fishing trawler had departed from Libya five days earlier.

    Only 84 bodies were recovered and 104 on board were rescued, meaning hundreds died in one of the worst-recorded refugee boat disasters on the Mediterranean.

    Rights groups, activists and some survivors allege that Greek Coast Guard officials failed in their duties to save lives at sea.

    Ahmed said he saw the nine accused during the chaos as the ship looked ready to capsize, and passengers began to panic and run about.

    “They were just directing people when our ship started to tilt. They were shouting for people to steady the ship,” he said.

    Seven of the accused maintain that they saw a Coast Guard patrol boat tie a rope to the fishing trawler. The Greek officials pulled once, then twice, causing the boat to flip over into the Mediterranean, they say.

    “I saw the Greek boat had tethered a thick blue rope, one rope, to the middle of the boat,” said Fathy*, another of the accused men. “They pulled, the boat leaned sideways, they saw it was leaning, they kept going, so the boat was turned upside down.”

    “Greece – a Greek boat, towed us and capsized us – and killed our brothers and friends and now I look at myself and I’m in prison.”

    Two of the accused stated they were in the hold and did not understand what had happened until after disaster struck, when they were on board the Greek Coast Guard boat.

    The two Syrian survivors told Al Jazeera they witnessed the Greek Coast Guard tug the fishing trawler.

    “They had nothing to do with the boat sinking. That’s obvious,” said Mohammad*, of the Egyptians being held.

    “You have to be logical. It was a big boat and wouldn’t have sunk if no one had intervened. The engine was broken but it could have stayed afloat. The Greek Coast Guard is truly responsible for the sinking.”

    The Hellenic Coast Guard denied the allegations, saying it has “absolute respect for human life and human rights”.

    “However, in cooperation with the legal authorities and other relevant bodies, appropriate control mechanisms shall be put in place where necessary,” its statement to Al Jazeera read.

    Initially, the coast guard did not refer to any rope-related incident in its official statements and its spokesman Nikos Alexiou denied the rope reports.

    However, Alexiou later said that the two boats were “tied with ropes to prevent them from drifting” in a statement that came amid growing accounts from survivors.

    An ongoing inquiry in the naval court of Kalamata aims to determine whether the Hellenic Coast Guard performed search and rescue properly.

    A recent Frontex incident report of the Pylos shipwreck found that “it appears that the Greek authorities failed to timely declare a search and rescue and to deploy a sufficient number of appropriate assets in time to rescue the migrants”.

    The start date of the trial for the nine accused men has not been set, although according to Greek law, it should begin within 18 months from when they were first detained. If the men are found guilty, they could face decades in prison.

    ‘After I signed, he hit me’

    The nine men say they provided their testimonies at the Kalamata police station the day after the shipwreck under duress. They were pressured to sign documents in Greek that they could not understand, they said.

    Two said that police officers and translators present during the interrogation beat or kicked them.

    Saber* said he was given papers in Greek and expressed that he did not want to sign them.

    “[The interpreter] told me that he would sign next to my signature. As if nothing happened,” he said. “After I signed, he hit me.”

    Saber* said he saw the police kick another one of the accused in the chest.

    The Hellenic Police did not respond to requests for comment on these allegations.

    Greece has long been accused by rights groups of unfairly accusing innocent people of smuggling – and sentencing them.

    Dimitris Choulis, a lawyer on the defence who has spent years working on similar cases with the Samos Human Rights Legal Project, sees this episode as another example of the “criminalisation of refugees”.

    “We see the same patterns and the same unwillingness from the authorities to actually investigate what happened,” Choulis told Al Jazeera.

    A 2021 report by the German charity Border Monitoring found at least 48 cases on the islands of Chios and Lesbos alone of people serving prison time, saying they “did not profit in any way from the smuggling business”.

    Choulis said that smuggling trials used to last just 20 minutes and result in sentences of 50 years in prison.

    This is in keeping with reports from watchdog groups such as Borderline-Europe that smuggling trials in Greece are rushed and “issued on the basis of limited and questionable evidence”.

    The Lesbos Legal Center, which is also working on the defence of the nine Egyptians, bemoaned a severe lack of evidence, saying the investigation file is based “almost exclusively” on a handful of testimonies taken in “questionable circumstances”.

    Additionally, Al Jazeera has reviewed leaked documents from the court case, including a complaint filed by the defendant’s lawyers that an expert report from a marine engineer and a naval mechanical engineer – ordered as a part of the investigation – used minimal evidence: three photographs, two videos, and one email. The report did not account for the overturning and sinking of the ship, the complaint alleged.

    The defence further questioned the impartiality of the appointed experts and stated that procedures regarding how the defendants should be notified of this expert report were not followed.

    Al Jazeera reviewed the response; the Kalamata Public Prosecutor dismissed the complaint, arguing that a further expert report would be redundant and that the procedures were in fact followed correctly.

    “I firmly believe that the Hellenic Coast Guard caused the shipwreck,” said Choulis. “And the Hellenic Coast Guard conducted all of the pre-investigation of this case, and they ordered the marine engineer to do the analysis. I guess it’s clear the problem here.”

    Four of the accused men said they handed water to people sitting next to them.

    Choulis explained that in previous trafficking cases, giving people water has qualified as smuggling.

    “We have seen the authorities charging people, and in Pylos the same, for acts like providing water, distributing food, having a phone, taking videos, looking at the GPS, contacting the authorities, trapping a rope to tow their boat to be rescued etc.”

    Gamal* cannot understand how handing someone water is considered smuggling.

    “Of course, if you have a bottle of water in your hand and someone next to you is dying of thirst, won’t you give them water?” he said from prison. “No. Here, this is considered human trafficking.”

    https://www.aljazeera.com/news/2024/2/12/egyptians-accused-of-pylos-shipwreck-deny-smuggling-charges-blame-greece

    #Pylos #naufrage #asile #migrations #réfugiés #Grèce #scafisti #Méditerranée #criminalisation_de_la_migration

  • Senza frontiere: La criminalizzazione dei cosiddetti #scafisti nel 2023

    1. Dati e monitoraggio della cronaca
    Numero di fermi

    Come negli anni precedenti, nel 2023 abbiamo monitorato sistematicamente la cronaca sulle notizie degli arresti dei cosiddetti scafisti. Abbiamo registrato 177 arresti negli ultimi 12 mesi (rispetto ai 171 arresti nel 2021 e ai 261 arresti nel 2022). Una dichiarazione di Piantedosi che sostiene che “550 scafisti” sono stati arrestati nel biennio 2022-23 – visto che nell’aprile il governo ha rivendicato c. 350 fermi per 2022 – ci fa stimare un totale di 200 fermi nel 2023. Dal 2013, quindi, sono state fermate ormai circa 3.200 persone.

    Il numero di arresti nel 2023 non solo è inferiore in termini assoluti rispetto agli anni precedenti, ma mostra una diminuzione ancora più significativa in termini relativi. Nel 2023, circa 157.000 persone sono arrivate in Italia via mare, il che significa che sono state arrestate circa tre persone ogni 2.000 arrivi. Nel 2021 e nel 2022, il tasso di criminalizzazione era due volte questo.

    Esistono diverse ragioni che potrebbero spiegare questa diminuzione. La più significativa sembra essere un cambiamento di politica ad Agrigento e Lampedusa nel non effettuare arresti sistematici dopo gli sbarchi, concentrandosi invece su casi specifici che coinvolgono accuse di morti durante il viaggio, torture e, per la prima volta, pirateria. Ci teniamo ad aggiungere che – appoggiando il lavoro dell’associazione Maldusa – stiamo seguendo casi in cui le persone sono accusate dei suddetti reati, che hanno suscitato in noi importanti dubbi sulla correttezza delle accuse e sulle modalità con cui vengono portati avanti questi procedimenti penali che spesso sembrano vere e proprie sperimentazioni giuridiche. È anche evidente che le autorità ad Agrigento effettuano continuamente arresti di persone, soprattutto cittadini tunisini, che, essendo rientrati in Italia dopo espulsioni precedenti, sono imputati del reato di violazione del divieto di reingresso. Questo dimostra una manipolazione molto evidente del diritto penale come mezzo per sostenere le ingiuste politiche di chiusura e respingimento.

    Luoghi di fermo e il decreto Piantedosi

    In secondo luogo, l’anno scorso è stata attuata una nuova strategia nella guerra italiana contro le navi di soccorso delle ONG, a cui sono stati assegnati porti di sbarco in tutta Italia (il decreto Piantedosi). Un effetto collaterale è che spesso i luoghi che hanno accolto le imbarcazioni non hanno visto tanti sbarchi prima di quest’anno, e sono quindi poco familiari con la criminalizzazione sistematica che si è agita negli ultimi anni. Nei porti settentrionali a volte sono stati disposti gli arresti, che spesso poi non sono stati convalidati dai Giudici locali, che non hanno ritenuto neppure di disporre una misura cautelare dato che le prove contro gli imputati erano troppo deboli. Mentre ad Agrigento e nei porti del Nord possiamo forse notare una certa resistenza alla solita politica degli arresti sistematici dei capitani, lo stesso non si può dire in altre parti d’Italia. Nella Sicilia orientale e in Calabria un alto numero di persone è stato arrestato e incarcerato. Augusta ha registrato 28 arresti, Siracusa 11; Crotone ha visto 24 arresti e Roccella 18. E come si può vedere dalla mappa, questo modello si replica in altri porti delle stesse zone.

    Nazionalità

    Nel 2023, come nel 2021 e nel 2022, le autorità hanno preso di mira in particolare i cittadini egiziani, identificandone almeno 60 come capitani. Ciò è notevolmente diverso da quanto avveniva prima del 2020, quando gli egiziani avevano smesso di essere la principale nazionalità criminalizzata. Questa inversione di tendenza ha visto circa 300 cittadini egiziani arrestati dal 2020, la maggior parte dei quali probabilmente è ancora nelle carceri italiane.

    Un cambiamento significativo delle nazionalità delle persone arrestate registrato nel 2023 è invece l’importante aumento della criminalizzazione delle persone migranti provenienti dai paesi asiatici, che ammontano a circa 40 persone fermate quest’anno.

    Con riferimento alla rotta ionica, che arriva in Calabria – la stessa utilizzata dalla barca che è tragicamente affondata vicino a Cutro – nel 2021 la maggior parte delle persone arrestate come capitani proveniva da Russia e Ucraina. Con l’inizio della guerra, sono arrivate molte meno persone con queste nazionalità, mentre abbiamo assistito ad un allarmante aumento della persecuzione dei cittadini turchi nel 2022. Nell’ultimo anno, invece, abbiamo assistito a pochi arresti di persone provenienti dall’Europa orientale o dalla Turchia, e molti di più di persone provenienti dagli stati dell’Asia centrale.

    Va detto che la diminuzione dei fermi eseguiti dalla Procura di Agrigento dovrebbe essere letta alla luce della massiccia operazione posta in essere dalla polizia tunisina, con la benedizione e il finanziamento dell’Europa, contro i cosiddetti trafficanti a Sfax. I governi si vantano di ben 750 fermi nel paese nordafricano negli ultimi tre mesi, accanto a strategie violente di intercettazione e refoulement, come denunciato sia da Amnesty che dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali. Anche in Egitto, l’inasprimento della legge nazionale contro i ‘trafficanti’ ha portato a diffusi arresti e processi ingiusti. Ad esempio, l’11 giugno 2023, una campagna di arresti ingiustificati per “smuggling” ha portato alla morte, alla città di Marsa Matruh, di un cittadino egiziano per colpi di arma da fuoco inferti dalla polizia, come ha denunciato Refugees Platform in Egypt. A livello dell’UE, si provano invece ad affinare gli strumenti legali, accrescendo le infrastrutture di controllo e criminalizzazione della frontiera e proponendo emendamenti – come quelli presentati in occasione del lancio dell’Alleanza globale contro il traffico di migranti – al cosiddetto Facilitators Package (in italiano “pacchetto facilitatori”).

    È chiaro quindi che, mentre festeggiamo alcune limitate vittorie, non possiamo negare che il “trafficante/scafista” rimane il capro espiatorio per eccellenza in Europa e non solo.
    2. Un anno di casi e udienze

    Attualmente seguiamo la situazione di 107 persone accusate di essere ‘scafisti’, 66 delle quali sono ancora in carcere. Dei detenuti, 32 si trovano in Sicilia e 16 in Calabria; gli altri sono sparsi in tutta Italia. Come ci si aspetterebbe dagli arresti degli ultimi anni, quasi la metà delle persone detenute che seguiamo proviene dall’Africa del Nord (30 su 44), mentre la maggior parte di quelle provenienti dall’Africa occidentale con cui siamo in contatto sono ormai libere (23 su 30). Siamo anche in contatto con 24 persone provenienti da paesi asiatici (tra cui Turchia, Palestina e i paesi ex-sovietici), la maggior parte delle quali è ancora detenuta.
    Cutro

    E’ trascorso poco meno di un anno da quando quasi 100 persone hanno perso la vita nelle acque di Cutro, in Calabria. Il Governo ha reagito non solo con finta commozione e decreti razzisti, ma anche, come quasi sempre accade, con un processo contro i cosiddetti scafisti. Insieme alle realtà calabresi, seguiamo attentamente i processi contro Khalid, Hasab, Sami, Gun e Mohamed, sopravvissuti al naufragio e provenienti dalla Turchia e dal Pakistan: ora si devono difendere contro il Ministero dell’Interno, il Consiglio dei Ministri e la Regione Calabria che si sono costituiti parti civili nel processo penale. Le istituzioni governative, anche se non esiste un fondo per questo, chiedono un risarcimento superiore a un milione di euro per danni al turismo e all’immagine: come se la tragedia del massacro di Cutro fosse questa.
    Processi

    Sono diversi i procedimenti penali che siamo riusciti a seguire da vicino, offrendo il nostro supporto ad avvocatə e persone criminalizzate, e, in alcuni casi, andando personalmente alle udienze.

    - Tra le vittorie ottenute non possiamo non citare la recentissima sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Appello di Messina in favore di Ali Fabureh, un giovane ragazzo gambiano che era stato erroneamente condannato dal Tribunale di Messina a 10 anni di carcere senza che – come appurato dalla Corte – avesse mai preso un timone in mano. E sempre a Messina abbiamo registrato un’altra importante vittoria: si è, infatti, concluso con una sentenza di assoluzione anche il procedimento penale iniziato due anni fa contro 4 persone accusate di aver condotto un peschereccio con a bordo centinaia di persone ed essere responsabili della morte di 5 di esse. Tra le persone assolte c’è A., che attualmente è ospitato presso l’associazione Baobab, e con cui continuiamo a rimanere in contatto. Un’altra importante vittoria di quest’anno è stata raggiunta a febbraio a Palermo, quando il Tribunale ha assolto 10 persone accusate di art. 12 TUI, riconoscendo loro lo stato di necessità per le violenze subite in Libia e aprendo la strada, si spera, a un maggior riconoscimento di questa causa di giustificazione. La sentenza è ora definitiva.
    - Purtroppo non tutti i procedimenti seguiti si sono conclusi positivamente, a dimostrazione del fatto che, anche se qualche passo nella direzione giusta è stato fatto, ne restano ancora tanti da compiere. Spesso può succedere che il processo contro due imputati nello stesso procedimento, ha avuto esiti diversi. Questo è stato il caso in un processo nei confronti di due cittadini senegalesi al Tribunale di Agrigento, che ha disposto l’archiviazione per uno di loro, mentre per l’altro il processo continua.
    – Altre volte è stata emessa una sentenza di condanna senza assoluzioni o archiviazioni. Questo è il caso della riprovevole condanna di 7 anni inflitta dal Tribunale di Locri a Ahmid Jawad, magistrato afghano che ancora lotta per dimostrare che era un semplice passeggero dell’imbarcazione che dalla Turchia l’ha condotto in Italia. E’ anche la situazione di Ahmed, che si è visto rigettare l’appello proposto alla Corte di Appello di Palermo avverso la sentenza di condanna del Tribunale di Agrigento.
    - Inoltre, non possiamo non mostrare indignazione e preoccupazione per i casi, come quello di E. (egiziano) al tribunale di Locri e M. e J. (del Sierra Leone) a Reggio Calabria, con cui siamo in contatto, a cui è stata applicata la nuova fattispecie di reato di cui all’art. 12 bis TUI, introdotta con il decreto Cutro, che prevede pene ancora più elevate. Seguiamo il loro processo da lontano: a gennaio, il tribunale di Locri ha rigettato la richiesta di remissione alla Corte Costituzionale presentata dagli avvocati per contestare l’art 12 bis.

    Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR)

    I problemi per le persone accusate di essere ‘scafisti’ non finiscono a fine pena, e anche con riferimento alla detenzione nei CPR abbiamo seguito casi che hanno avuto esiti molto diversi. Siamo felicə che gli ultimi due casi seguiti si siano conclusi in modo positivo. Nel mese di dicembre, infatti, una donna ucraina e un uomo tunisino entrambə codannatə per art. 12 TUI, sono statə scarceratə, rispettivamente dalle carceri di Palermo e di Caltagirone, senza essere deportatə presso i centri di detenzione. Sicuramente nel primo caso ha inciso la nazionalità della persona, mentre nel secondo il sovraccaricamento dei centri.

    Purtroppo non sempre è stato possibile evitare il CPR. Molte persone seguite, nonostante la richiesta asilo presentata tempestivamente, sono state trattenute nei centri di detenzione, chi per pochi giorni, chi per due mesi. Per circostanze che sembrano spesso fortuite, la maggior parte è riuscita ad uscire e, anche se con poche prospettive di regolarizzarsi, possono vivere in “libertà” in Italia.

    Purtroppo, per due persone seguite le cose sono andate diversamente. La macchina burocratica ha mostrato il suo volto più spietato e sono stati rimpatriati prima che avessero la possibilità di ricevere un aiuto più concreto; oggi si trovano in Gambia e Egitto. Nell’ultimo caso, la situazione è ancora più preoccupante perché era stato assolto dal Tribunale di Messina; nonostante ciò, all’uscita dal carcere lo aspettava la deportazione.
    Misure alternative

    Quest’anno è stato particolarmente significativo in termini del superamento del regime ostativo alle misure alterantive alla detenzione posto dall’art. 4 bis o.p., che si applica a chi subisce una condanna per art. 12 TUI. Abbiamo infatti registrato i primi casi in cui le persone incarcerate che seguiamo hanno potuto accedere a misure alternative alla detenzione. Questo è stato il caso di B., che ha ottenuto dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo l’affidamento in prova ai servizi sociali in provincia di Sciacca. Adesso che ha raggiunto il fine pena si è stabilito lì, in poco più di un mese ha aggiunto i suoi obiettivi personali: ha un lavoro e una rete sociale. E questa è la storia anche di A., e O., che hanno fatto accesso alle misure alternative presso la comunità Palermitana Un Nuovo Giorno. Rimaniamo, invece, in attesa dell’esito della seconda istanza di accesso per M., cugino di B., con cui tentiamo dal 2022, e che speriamo possa presto vedere il cielo oltre le quattro mura.

    Abbiamo anche seguito 6 persone, tra cui i 3 accusati palestinesi che l’estate scorsa sono entrati in sciopero della fame, che sono riusciti ad accedere agli arresti domiciliari, che pur non essendo oggetto dell’art. 4 bis o.p., nel corso degli anni sono comunque rimasti difficili da ottenere. Queste vittorie sono state possibili grazie ai tentativi, a volte ripetuti, dellə loro avvocatə difensorə, e alle offerte di ospitalità di un numero crescente di realtà conosciute.

    È bello vedere che qualcuno riesce a sgusciare attraverso alcune crepe di questo meccanismo. Certamente lavoreremo per continuare ad allargarle, anche se sappiamo che questo strumento può solo alleviare la sofferenza di alcune persone, e certamente non riparare i danni subiti per la loro detenzione.
    3. Rete

    Per noi è fondamentale ribadire che è solo grazie a una rete forte, impegnata, diffusa e informata, che questo lavoro è possibile. Anche quest’anno, possiamo dire di aver avuto il grandissimo piacere di collaborare con realtà diverse, in tanti luoghi, da Torino a Napoli, da Lampedusa a Londra, da Roma a Bruxelles e New York.

    In particolare, segnaliamo la campagna recentemente avviata Free #Pylos 9, promossa della rete Captain Support, per le persone arrestate in seguito al massacro di Pylos in Grecia. Negli ultimi mesi abbiamo inoltre avuto modo di conoscere realtà solidali a Bruxelles, tra cui PICUM, che ha organizzato a fine novembre un incontro di scambio sulle pratiche di criminalizzazione attuate intorno al controllo della migrazione. Qui abbiamo avuto l’opportunità di aprire insieme una conversazione sul lancio della nuova Alleanza Globale Europea contro il Traffico di Migranti, che stava avvenendo proprio in quei giorni.

    A New York a novembre abbiamo partecipato alla conferenza dell’Università di Columbia sulla criminalizzazione della migrazione nel mondo, e abbiamo presentato il nostro lavoro al centro sociale Woodbine, insieme ad altri gruppi locali impegnati nella lotta contro le frontiere.

    Qua in Italia, se da un lato il decreto Piantedosi ha ottusamente costretto le navi ONG a sbarcare in diversi porti d’Italia (come abbiamo scritto nei paragrafi sopra), dall’altro ha contribuito a catalizzare la consapevolezza sugli arresti allo sbarco in diverse città. Grazie al lavoro di alcunə avvocatə e individui solidali a Napoli, e con il supporto della Clinica Legale Roma 3, le persone arrestate agli sbarchi in Campania hanno avuto accesso a un supporto indipendente ed esaustivo.

    L’evento Capitani Coraggiosi, organizzato da Baobab Experience alla Città dell’Altra Economia a Roma, ha visto proiezione del film Io Capitano di Matteo Garrone (ora fra i candidati agli Oscar), e un dibattito col regista e con altre persone impegnate in questa lotta. Qui è stata lanciata la campagna in vista della presentazione della richiesta di revisione del caso di Alaji Diouf, che ha subito una condanna di 7 anni per il reato di favoreggiamento. Adesso, Alaji chiede che sia fatta giustizia sul suo caso, come affermato nel suo intervento dopo la proiezione del film “Io Capitano”, quando ha detto “Tutto quello che succede dopo, da lì parte davvero il film. […] ora che sono libero voglio far conoscere al mondo la verità”.

    ‘Dal mare al carcere’
    un progetto di Arci Porco Rosso e borderline-europe
    4° report trimestrale 2023.

    Leggete il report ‘Dal mare al carcere’ (2021), e i seguenti aggiornamenti trimestrale, al www.dal-mare-al-carcere.info.

    Ringraziamo Iuventa Crew, Sea Watch Legal Aid e Safe Passage Fund che hanno supportato il nostro lavoro nel 2023. Vuoi sostenerlo anche tu? Puoi contribuire alla nostra raccolta fondi.

    https://arciporcorosso.it/senza-frontiere
    #scafista #criminalisation_de_la_migration #migrations #asile #réfugiés #frontières #Méditerranée #mer_Méditerranée #Arci_Porco_Rosso #Italie #chiffres #statistiques #2023 #justice #procès #détention_administrative #rétention #Cutro

    • « Il est logique de reconnaître aux Maires la possibilité d’exiger des devoirs en contrepartie de droits, le respect de son pays et des morts pour la France en fait partie. »

      Le front de l’air est vraiment putride.
      Bientot le RSA conditionné à la présence lors des commemoration de Pétain et Maurras. La CAF à condition de dire notre fierté pour Depardieu....
      Bientôt tu pourra crever la dalle si t’es pas Charlie

    • Le tribunal administratif de Toulon a (...) validé le 26 janvier 2024, cette décision du maire, adoptée en septembre 2022, par la majorité des élus de #droite. Cette mesure avait été cependant contestée par la suite par la préfecture qui dénonçait : "une ingérence dans les libertés d’association et de conscience".

      Le tribunal administratif de Toulon a estimé que cette dernière favorisait "l’engagement des associations lors d’événements ayant un intérêt public local" sans enfreindre "le principe de neutralité".

      #Associations #subventions

      Droits et devoirs : la rupture Macron
      https://www.mediapart.fr/journal/france/250322/droits-et-devoirs-la-rupture-macron

      Pour le président-candidat, « les devoirs valent avant les droits ». Cette logique, qui va à l’encontre des principes fondamentaux de l’État social et l’#État_de_droit, irrigue l’ensemble de son projet de réélection. En distinguant les bons et les mauvais citoyens.
      Romaric Godin et Ellen Salvi
      25 mars 2022


      EmmanuelEmmanuel Macron a rarement parlé de « droits » sans y accoler le mot « devoirs ». En 2017 déjà, il présentait les contours de sa future réforme de l’assurance-chômage, en expliquant vouloir « un système exigeant de droits et de devoirs ». Deux ans plus tard, au démarrage du « grand débat national », pensé comme une campagne de mi-mandat pour endiguer la crise des « gilets jaunes », il déplorait l’usage de l’expression « cahier de doléances », lui préférant celle de « cahiers de droits et de devoirs » [le droit de se plaindre, et surtout le devoir de la fermer et d’obéir, ndc]..
      À l’époque, le chef de l’État prenait encore soin, au moins dans son expression, de maintenir un semblant d’équilibre. Mais celui-ci a volé en éclats au printemps 2021, en marge d’un déplacement à Nevers (Nièvre). Interpellé par un homme sans papiers, le président de la République avait déclaré : « Vous avez des devoirs, avant d’avoir des droits. On n’arrive pas en disant : “On doit être considéré, on a des droits.” » Avant d’ajouter, sans l’ombre d’une ambiguïté : « Les choses ne sont pas données. »

      Jeudi 17 mars, le président-candidat a de nouveau invoqué la question des devoirs en abordant le volet régalien de son projet. Rappelant son engagement à accueillir des familles ukrainiennes fuyant la guerre, il a immédiatement prévenu vouloir « changer les modes d’accès aux titres de séjour » et notamment les titres de séjour longs, qui seront désormais accordés « dans des conditions beaucoup plus restrictives ». Parce que non, définitivement, « les choses ne sont pas données ».
      Cette rhétorique du donnant-donnant irrigue aujourd’hui l’ensemble du programme d’Emmanuel Macron. Elle s’impose ainsi dans le volet économique de celui-ci. La mesure la plus représentative en la matière étant sans doute la mise sous condition de travail ou de formation du revenu de solidarité active (#RSA). Le porte-parole du gouvernement, Gabriel Attal, a d’ailleurs explicitement indiqué que cette proposition s’inscrivait dans cette « logique de droits et devoirs » proposée par le candidat.
      Une logique, ou plus exactement une précédence, que le chef de l’État a lentement installée, l’étendant des sans-papiers à tous les citoyens et citoyennes. « Être #citoyen, ce n’est pas demander toujours des droits supplémentaires, c’est veiller d’abord à tenir ses devoirs à l’égard de la nation », avait-il lancé en août 2021. « Être un citoyen libre et toujours être un citoyen responsable pour soi et pour autrui ; les devoirs valent avant les droits », insistait-il en décembre, à destination des personnes non vaccinées.

      Une vision digne de l’Ancien Régime

      Emmanuel Macron a balayé, en l’espace de quelques mois, l’héritage émancipateur de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789. Pour les rédacteurs de cette dernière, rappelait l’avocat Henri Leclerc dans ce texte, « les droits qu’ils énoncent sont affaire de principe, ils découlent de la nature de l’homme, et c’est pourquoi ils sont imprescriptibles ; les devoirs eux sont les conséquences du contrat social qui détermine les bornes de la liberté, par la loi, expression de la volonté générale ».
      « Ce sont les sociétés totalitaires qui reposent d’abord sur l’#obéissance à des impératifs non négociables qui, en fait, ne sont pas des devoirs auxquels chacun devrait subordonner librement ses actes, écrivait-il en guise de conclusion. Les sociétés démocratiques reposent sur l’existence de droits égaux de citoyens libres qui constituent le peuple d’où émane la souveraineté. Chacun y a des devoirs qui, sans qu’il soit nécessaire de les préciser autrement, répondent à ses droits universels. »
      Début 2022, face aux critiques – Jean-Luc Mélenchon avait notamment tweeté : « Les devoirs avant les droits, c’est la monarchie féodale et ses sujets. Le respect des droits créant le devoir, c’est la République et la citoyenneté » –, Gabriel Attal avait assuré un nouveau service après-vente. Dans Le Parisien, le porte-parole du gouvernement avait expliqué vouloir « poursuivre la redéfinition de notre contrat social, avec des devoirs qui passent avant les droits, du respect de l’autorité aux prestations sociales ».

      La conception conservatrice du « bon sens »

      Cette « redéfinition de notre contrat social » se traduit par plusieurs mesures du projet présidentiel : le RSA donc, mais aussi l’augmentation des salaires du corps enseignant contre de nouvelles tâches – « C’est difficile de dire : on va mieux payer tout le monde, y compris celles et ceux qui ne sont pas prêts à davantage s’engager ou à faire plus d’efforts », a justifié Emmanuel Macron [avant d’introduire la notion de #salaire_au_mérite dans la fonction publique, ndc]–, ou même la réforme des retraites qui soumet ce droit devenu fondamental à des exigences économiques et financières.
      Cette vision s’appuie sur une conception conservatrice du « bon sens », qui conditionne l’accès aux droits liés aux prestations sociales à certains comportements méritants. Elle va à l’encontre total des principes qui fondent l’État social. Ce dernier, tel qu’il a été conçu en France par le Conseil national de la Résistance, repose en effet sur l’idée que le capitalisme fait porter sur les travailleurs et travailleuses un certain nombre de risques contre lesquels il faut se prémunir.

      Ce ne sont pas alors d’hypothétiques « devoirs » qui fondent les droits, c’est le statut même du salarié, qui est en première ligne de la production de valeur et qui en essuie les modalités par les conditions de travail, le chômage, la pénibilité, la faiblesse de la rémunération. Des conditions à l’accès aux droits furent toutefois posées d’emblée, l’État social relevant d’un compromis avec les forces économiques qui ne pouvaient accepter que le risque du chômage, et sa force disciplinaire centrale, ne disparaisse totalement.
      Mais ces conditions ne peuvent prendre la forme de devoirs économiques, qui relèvent, eux, d’une logique différente. Cette logique prévoit des contreparties concrètes aux aides sociales ou à la rémunération décente de certains fonctionnaires. Et ce, alors même que chacun, y compris Emmanuel Macron, convient de la dévalorisation du métier d’enseignant. Elle conduit à modifier profondément la conception de l’aide sociale et du traitement des fonctionnaires. À trois niveaux.
      Le premier est celui de la définition même des « devoirs ». Devoirs envers qui ou envers quoi ? Répondre à cette question, c’est révéler les fondements philosophiques conservateurs du macronisme. Un bénéficiaire du RSA aurait des devoirs envers un État et une société qui lui demandent de vivre avec un peu plus de 500 euros par mois ? Il aurait en quelque sorte des « contreparties » à payer à sa propre survie.
      Si ces contreparties prenaient la forme d’un travail pour le secteur privé, celui-ci deviendrait la source du paiement de l’allocation. C’est alors tout le centre de gravité de l’État social qui évoluerait, passant du travail au capital. En créant la richesse et en payant l’allocation, les entreprises seraient en droit de demander, en contrepartie, du travail aux allocataires au RSA, lesquels deviendraient forcément des « chômeurs volontaires » puisque le travail serait disponible.

      Les allocataires du RSA devront choisir leur camp

      Ce chômage volontaire serait une forme de comportement antisocial qui ferait perdre à la société sa seule véritable richesse : celle de produire du profit. On perçoit, dès lors, le retournement. La notion de « devoirs » place l’allocataire du RSA dans le rôle de #coupable, là où le RMI, certes imaginé par Michel Rocard dans une logique d’insertion assez ambiguë, avait été pensé pour compléter l’assurance-chômage, qui laissait de côté de plus en plus de personnes touchées par le chômage de longue durée.

      Ce retournement a une fonction simple : #discipliner le monde du travail par trois mouvements. Le premier, c’est celui qui veut lui faire croire qu’il doit tout au capital et qu’il doit donc accepter ses règles. Le second conduit à une forme de #criminalisation de la #pauvreté qui renforce la peur de cette dernière au sein du salariat – un usage central au XIXe siècle. Le dernier divise le monde du travail entre les « bons » citoyens qui seraient insérés et les « mauvais » qui seraient parasitaires.
      C’est le retour, déjà visible avec les « gilets jaunes », à l’idée que déployait Adolphe Thiers dans son discours du 24 mai 1850, en distinguant la « vile multitude » et le « vrai peuple », « le pauvre qui travaille » et le « vagabond ». Bientôt, les allocataires du RSA devront choisir leur camp. Ce qui mène à la deuxième rupture de cette logique de « devoirs ». Le devoir suprême, selon le projet d’Emmanuel Macron, est de travailler. Autrement dit de produire de la valeur pour le capital.

      Individualisation croissante

      C’est le non-dit de ces discours où se retrouvent la « valeur #travail », les « devoirs générateurs de droits » et le « #mérite ». Désormais, ce qui produit des droits, c’est une capacité concrète à produire cette valeur. Il y a, dans cette démarche, une logique marchande, là où l’État social traditionnel voyait dans la protection sociale une fenêtre de démarchandisation – c’est parce qu’on devenait improductif qu’on devait être protégé. À présent, chacun, y compris les plus fragiles, doit faire preuve de sa capacité constante de production pour justifier son droit à survivre.

      Cette #marchandisation va de pair avec une individualisation croissante. Dans le modèle traditionnel, la pensée est systémique : le capitalisme produit des risques sociaux globaux dont il faut protéger tous les travailleurs et travailleuses. Dans le modèle des contreparties, chacun est mis face à l’injonction de devoir justifier individuellement ses droits par une mise à l’épreuve du marché qui est le juge de paix final. On comprend dès lors pourquoi Christophe Castaner prétend que l’allocation sans contrepartie est « la réponse des lâches ».
      Car ce choix laisserait les individus sans obligations devant le marché. Or, pour les partisans d’Emmanuel Macron, comme pour Friedrich Hayek, la seule façon de reconnaître un mérite, c’est de se confronter au marché qui donne à chacun ce à quoi il a droit. La vraie justice est donc celle qui permet d’être compétitif. C’est la vision qu’a d’ailleurs défendue le président-candidat le 22 mars, sur France Bleu, en expliquant que la « vraie inégalité » résidait dans « les inégalités de départ ». L’inégalité de résultat, elle, n’est pas remise en cause. [voir L’égalité des chances contre l’égalité http://www.cip-idf.org/article.php3?id_article=4443]

      Le dernier point d’inflexion concerne l’État. Dans la logique initiale de la Sécurité sociale, la protection contre les risques induits par le capitalisme excluait l’État. De 1946 à 1967, seuls les salariés géraient la Sécu. Pour une raison simple : toutes et tous étaient les victimes du système économique et les bénéficiaires de l’assurance contre ces risques. Le patronat cotisait en tant qu’origine des risques, mais ne pouvait décider des protections contre ceux qu’il causait. Ce système a été progressivement détruit, notamment en s’étatisant.
      Le phénomène fut loin d’être anecdotique puisqu’il a modifié le modèle initial et changé la nature profonde de l’État : désormais, le monde du travail est redevable à celui-ci et au patronat de ses allocations. Ces deux entités – qui en réalité n’en forment qu’une – exigent des contreparties aux allocataires pour compenser le prix de leur prise en charge. L’État étant lui-même soumis à des choix de rentabilité, l’allocataire doit devenir davantage rentable. Dans cet état d’esprit, cette « #rentabilité » est synonyme « d’#intérêt_général ».
      Les propositions sur le RSA et le corps enseignant entrent dans la même logique. Emmanuel Macron agit en capitaliste pur. Derrière sa rhétorique des droits et des devoirs se profilent les vieilles lunes néolibérales : marchandisation avancée de la société, discipline du monde du travail et, enfin, idée selon laquelle l’État serait une entreprise comme les autres. Le rideau de fumée de la morale, tiré par un candidat qui ose parler de « dignité », cache mal le conservatisme social de son système de pensée.

      Romaric Godin et Ellen Salvi

      #subventions #associations #contrepartie #droits #devoirs #égalité #inégalité

  • Regista e attrice curda in carcere in Italia, scambiata per scafista

    #Maysoon_Majidi, regista e attrice curda iraniana, molto nota per aver combattuto esponendosi in prima persona contro il regime islamista è in cella nel carcere femminile di Castrovillari dai primi di gennaio con l’accusa di essere una scafista.

    L’interprete che avrebbe dovuto tradurre lei e due testimoni ha travisato quasi tutto quel che ha sentito. L’aveva anche rassicurata: “Tranquilla, ti liberano subito”. Invece, per una serie di errori inauditi ed assai frequenti, lei è in cella nel carcere femminile di Castrovillari dai primi di gennaio con l’accusa di essere una scafista. E non capisce perché. Secondo il decreto Cutro con quest’accusa si rischia fino a trent’anni se ci sono morti. In questo caso non ci sono vittime, quindi lei rischia una pena dai cinque ai dieci anni. Da quando è in prigione è riuscita a parlare solo venerdì alle 14 con il suo avvocato, Giancarlo Liberati, che ha assunto l’incarico due settimane fa. Ha 27 anni, si chiama Maysoon Majidi ed è una regista e attrice curda iraniana, molto nota per aver combattuto esponendosi in prima persona contro il regime islamista.

    Non ci voleva molto a capire chi fosse. Basta digitare il suo nome in rete e piovono documentari suoi di denuncia della violazione dei diritti in Iran. Parla di lei il sito della Bbc, ci sono in rete molte sue fotografie. Fa parte dell’organizzazione per i diritti umani Hana human rights organization, ha manifestato a suo rischio e pericolo contro l’omicidio di Masha Amini ed è persona nota agli uffici Onu. In realtà sarebbe stato sufficiente chiederle, appena fermata a Crotone dalla Guardia di finanza, se parlasse inglese, lingua che lei conosce. Ma nessuno gliel’ha chiesto.

    Quindi, per una assurda storia di fischi presi per fiaschi, da un mese è in cella con l’accusa di essere una trafficante di esseri umani. Invece era una delle 59 persone stipate sottocoperta nella barca a vela incagliatasi senza affondare a Capodanno nella costa crotonese. Usando il gommoncino di bordo lei ed altre quattro persone – incluso suo fratello e un cittadino turco, Ufu Aktur, che ha poi confessato di essere il capitano della barca a vela – sono arrivate a terra.

    La Procura di Crotone sostiene che due migranti a bordo l’accusano. I due, nel frattempo andati in Germania, rintracciati dall’avvocato Liberati, hanno raccontato di non aver mai detto che la ragazza era una scafista, ma di aver detto – interrogati appena fermati quindi nella confusione totale nella quale vengono puntualmente prese e non vagliate queste dichiarazioni di persone che hanno fretta di potersi allontanare liberamente – che lei li aveva aiutati. Dice l’avvocato Liberati: “Li ho rintracciati io in Germania e mi hanno mandato due video in cui spiegano che lei era una passeggera, stava sotto coperta come loro e che loro non hanno mai detto alla Guardia di finanza quel che viene loro attribuito”.

    Sarebbe stato sufficiente mettere a confronto l’accusata con i testimoni, invece ai due dichiaranti dalle cui parole travisate è stata estrapolata l’accusa, è stato permesso di lasciare l’italia e a più di un mese dall’arresto nessuno ha ancora disposto l’incidente probatorio. Agli inquirenti di Crotone non è bastata nemmeno la confessione del cittadino turco, Ufu Aktur, che ha ammesso di essere lui il capitano della barca e ha spiegato che Maysoon Majidi era una dei migranti a bordo. Lei ha con sé la ricevuta del pagamento di 8500 dollari fatto per imbarcarsi. Hanno pagato 8500 dollari a testa lei e suo fratello in Turchia. Dopo averne pagati altri 15mila a dei truffatori per un viaggio mai fatto. Maysoon ha con sé anche un certificato dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, che dimostra che lei è una richiedente asilo. L’ha avuto nell’agosto del 2023 in Iraq dove si era rifugiata.

    Dice l’avvocato Liberati: “Siamo nella fase delicatissima delle indagini preliminari, sto facendo richiesta di interrogatorio per informazioni fondamentali di cui sono in possesso. Sa, io non ce l’ho coi magistrati perché spesso assumono decisioni sulla base di informazioni fuorvianti ed errate. Ha avuto un ruolo in tutto ciò una chiamiamola asimmetria informativa per pessima traduzione. Ma le traduzioni di queste dichiarazioni prese subito dopo lo sbarco andrebbero mostrate perché io ne ho viste centinaia e sono quasi tutte uguali, sembrano fatte col copia incolla. Comunque ora Maysoon finalmente si è un po’ rasserenata, è scappata da una situazione drammatica e non capisce perché diavolo si trovi in prigione ora che è in Italia. Un dettaglio può in parte descrivere la situazione terrificante di disperazione in cui si trovano tutte queste persone alle quali poi, nella confusione più totale, spesso di notte appena toccato terra, si prendono dichiarazioni tradotte dio sa come che poi diventano accuse. “Maysoon – dice il suo difensore – mi ha confermato di essere stata sempre sotto coperta tutto il viaggio, l’ultimo giorno di viaggio ha avuto le mestruazioni ed è riuscita ad ottenere il permesso di salire sovracoperta per respirare perché si sentiva male. E questo, nella disperazione generale, può aver generato l’invidia e l’equivoco”.

    Al pubblico ministero Rosaria Multari della Procura di Crotone verrà chiesta dalla difesa l’interrogatorio e, quanto meno, la sostituzione delle misure cautelari.

    https://www.osservatoriorepressione.info/regista-attrice-curda-carcere-italia-scambiata-scafista

    #scafista #migrations #criminalisation_de_la_migration #asile #réfugiés #emprisonnement #passeurs #scafisti

  • Une enquête pour « apologie du terrorisme » ouverte contre Emilie Gomis - Eurosport
    https://www.eurosport.fr/jeux-olympiques/une-enquete-pour-apologie-du-terrorisme-ouverte-contre-emilie-gomis_sto10005418/story.shtml

    L’ancienne basketteuse avait déjà été déchue de son poste d’ambassadrice au mois de janvier, poussée à se retirer par le COJO, qui avait estimé qu’elle « contrevenait à son devoir de neutralité », et par plusieurs associations luttant contre le racisme et l’antisémitisme (CRIF, Licra SOS Racisme...).

    Emilie Gomis a par la suite présenté plusieurs fois ses excuses, notamment devant le COJO, et aucune association n’avait envisagé de porter son cas devant la justice.

    L’ouverture de cette enquête a donc surpris ses avocats, interrogés par L’Equipe.
    « Cette convocation est proprement ahurissante et totalement fantaisiste, ont ainsi fulminé les avocats d’Émilie Gomis, Mes William Bourdon et Vincent Brengarth. Elle fait face à un véritablement acharnement qui non seulement ne s’explique pas mais qui nuit plus généralement à la cause de la lutte contre le racisme et antisémitisme. »

  • Weaponizing the law against the vulnerable: the case of the #El_Hiblu_3

    In March 2019, three teenagers were rescued from a sinking rubber boat in the Mediterranean Sea. Amara was 15 years old and had already travelled from Guinea to Libya before attempting the crossing to Europe. Unknown to him at the time were two other teenagers: Kader was 16, a football enthusiast and from the Ivory Coast; and Abdalla at 19 was also from Guinea and travelling with his wife, Souwa. The three teenagers travelled with 100 other people, and were rescued by an oil tanker, the #El_Hiblu_1, after their boat began to deflate.

    That night, the El Hiblu 1 crew tried to return the travellers to Libya, despite assurances of helping them to reach Europe. In the early hours of the morning, people spotted Tripoli’s coastline and began to protest, terrified at the prospect of being returned to the violence they had known in Libya. Desperation was so high that people were ready to jump overboard. In this tense situation, the first mate called on Amara to translate, having identified him the day before as someone who spoke English. Eventually, the crew also called on the young Kader and Abdalla. The three acted as mediators and translators between frightened travellers and scared crew members.

    The wider group’s protests convinced the captain to change course; he turned the ship north and motored towards Malta. Speaking to the Maltese authorities en route, he claimed his ship was no longer under his control - although testimonies in the subsequent compilation of evidence cast doubt on this claim. Nevertheless, upon arrival in Malta’s Valletta harbour, the three were arrested and immediately charged with nine crimes, including terrorism and confining someone against their will. These charges carry multiple life sentences, and echo the media narrative that took hold before the three even arrived in Malta, a narrative that painted them as pirates and hijackers.

    Abdalla, Amara, and Kader – now also known as the El Hiblu 3 – have never known Malta as free men. Imprisoned for 8 months, initially in the maximum-security wing of the adult prison despite their young age, they were released on bail in November 2019 but required to register with the police every day and restricted in their daily movements. Legal experts and international organisations describe the charges that condition their lives as ‘grossly unjust’, ‘baseless’, and a ‘farce’.

    For almost five years, the three young men have attended court hearings every month. As a whole, the testimonies corroborate what the El Hiblu 3 have always maintained: that they are innocent. Moreover, the compilation of evidence, only the initial stage in the judicial process, has been painfully slow and riddled with failures, silences and erasures. Despite calling numerous people to testify, including crew members and officials from the Armed Forces of Malta, the prosecution failed to call any of the 100 people who travelled with the El Hiblu 3 for two years. They only did so in March 2021 after the defence submitted an application to the court reminding the prosecution of its legal obligation to impartiality and its duty to bring forward all evidence at its disposal. Predictably, many of these key eyewitnesses had already left the island after two years, as secondary movements to other European countries are common.

    Even when a handful were eventually given the opportunity to testify, silencing continued. Requests by some to testify in Bambara, a language widely spoken in West Africa, were denied. Witnesses also questioned the accuracy of the translation occurring in court, with the defence requesting a new translator. Yet, those who did testify confirmed Amara, Abdalla and Kader’s role as translators, and not as ring leaders.

    Over these last years, a vast, transnational solidarity network has developed between local, international and intergovernmental organisations, convinced of the El Hiblu 3’s innocence and motivated by the injustice of pressing such charges against three teenagers. As the compilation of evidence unfolded, anger grew as information emerged that no weapons were found on board and no violence took place, and as people got to know the three. Despite their young age, despite the trial having already stolen much of their youth, they have displayed incredible strength and courage in the face of injustice. They have withstood imprisonment, adhered to strict bail conditions, appeared in court every month, all while building lives in Malta: studying, working, raising children, making friends and building a community.

    As we have explored elsewhere, the solidarity network that has emerged to support and stand with Amara, Abdalla, and Kader reflects a transgressive form of solidarity that resists dominant state narratives and categories, and also creates counter-narratives through direct action. Alongside many protests, concerts, and conferences, the campaign to free the El Hiblu 3 published a book in 2021 which reflects the diverse voices of this network, with central contributions from Abdalla, Amara, and Kader. The El Hiblu case allows us to explore the ways in which transgressive acts—from autonomous migration to solidarity practices that occur at sea and within European territory—connect and challenge our conceptualization of borders, nation-states, and citizenship.

    This case highlights the persistent criminalisation of people on the move in Europe today. The EU and its southern member states have attempted to contain people in Libya: they have turned militias into ‘EU partners’, funded detention centres, and coordinated pushbacks, with complete disregard for severe human rights violations carried out by these actors. In the name of deterrence, people in distress at sea are abandoned and those carrying out search and rescue activities are criminalised. Those who arrive face further punishment. Among other countries, Italy and Greece have used the law to target those they consider ‘boat drivers’. Malta, similarly, has weaponised the law against the El Hiblu 3, using them as political pawns in a spectacle of deterrence. The use of the law, by liberal democratic states, to undermine human rights raises questions of democracy, rule of law, and justice.

    A few weeks ago, in November 2023, the Attorney General issued a bill of indictment formally charging Abdalla, Amara, and Kader with all the original accusations, despite the testimonies heard in the intervening period that point to their innocence and despite condemnation of the judicial process from legal scholars, international organisations and activists. According to Amnesty International, Malta’s Attorney General made the ‘worst possible decision’ when she issued a bill of indictment that could lead to life sentences for the El Hiblu 3. Indeed, many have hailed the three young men as heroes whose mediation helped prevent an illegal pushback to Libya. With countless supporters, in Malta and beyond, we continue to stand with them in their fight for justice.

    https://blogs.law.ox.ac.uk/border-criminologies-blog/blog-post/2024/01/weaponizing-law-against-vulnerable-case-el-hiblu-3
    #migrations #asile #réfugiés #criminalisation #El_Hiblu #Libye #Méditerranée #pull-back #résistance #justice #Malte #Abdalla #Amara #Kader #solidarité #frontières #scafisti #scafista

  • I processi farsa che in Marocco trasformano i migranti in trafficanti

    Quasi 70 persone in transito sono state accusate di reati legati all’immigrazione irregolare in seguito al “massacro di Melilla” del 24 giugno 2022. Una strategia, con il benestare dell’Ue, per scoraggiare le partenze e gli arrivi nel Paese.

    Ange Dajbo si trova a oltre quattromila chilometri da casa sua ma a meno di dieci minuti di strada in auto dalla destinazione finale del suo viaggio. Nonostante non sia mai stata così vicina all’enclave spagnola di Melilla (assieme a Ceuta le uniche frontiere terrestri dell’Unione europea con l’Africa) la donna ivoriana di 31 anni è più lontana che mai dalla Spagna. Non ci sono soltanto decine di chilometri di filo spinato, rilevatori di movimento, droni, e numerose squadre della polizia marocchina e spagnola a separarla dall’Europa. A fine settembre scorso, Ange Dajbo e suo marito Alphonse, genitori di un bambino di un anno, sono stati processati dal giudice di Nador, città nel Nord del Paese, entrambi accusati di reati legati all’immigrazione irregolare.

    Le autorità marocchine accusano i Dajbo di essere la catena di trasmissione tra la comunità subsahariana e una rete di trafficanti, sulla base di una deposizione alla polizia giudiziaria che la famiglia racconta essergli stata estorta con la violenza. “Ero venuto in Marocco per emigrare irregolarmente -si legge nel documento- ma poi ho iniziato questo business e con i 500 dirham (46 euro, ndr) a persona che guadagnavo mantenevo me e mia moglie”. Questo impianto accusatorio è valso ad Alphonse Dajbo la condanna a un anno di carcere, una pena che potrebbe salire in appello. Sua moglie è stata assolta. “Noi non parliamo neanche arabo -ricorda Ange Dajbo- non capivamo di cosa ci accusavano e non sappiamo cosa ci hanno fatto firmare”.

    Il 18 ottobre 2022, pochi giorni dopo la nascita di suo figlio, 470 migranti tentano in massa l’attraversamento della frontiera di Melilla. Una settimana dopo la polizia marocchina, di notte, sfonda la porta del loro appartamento e li arresta. “Abbiamo vissuto mesi nascosti in una foresta. Quando ho scoperto di essere incinta abbiamo trovato una camera in affitto per accudire il bambino, mentre mio marito faceva qualche lavoretto come carrozziere o garzone al mercato”, racconta la donna mentre discute la strategia difensiva con l’avvocato Mbarek Bouirig, che si è fatto carico probono della difesa della famiglia.

    Città del Nord del Marocco come Nador, Tangeri e Fnidaq sono diventate magneti per i candidati all’emigrazione. A migliaia si nascondono nelle foreste in periferia nel timore di essere arrestati, processati o deportati verso il Sud del Regno dove c’è richiesta di manodopera agricola a basso costo.

    L’avvocato, che assiste altri dieci migranti coinvolti in processi simili a Nador, ritiene che l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri “risenta dell’influenza della politica migratoria dello Stato”. In altre parole, secondo Bouirig, il processo alla famiglia Dajbo è soltanto uno dei tasselli della strategia del governo, volta scoraggiare i migranti subsahariani non solo dal tentare il passaggio, ma anche dal sostare nelle città frontaliere in attesa della notte giusta per partire in gommone per la Spagna o tentare di oltrepassare il confine terrestre con Melilla. Nel 2023 circa 15mila migranti sono arrivati in Spagna dal Nord del Marocco e altri 35mila si sono diretti alle Canarie partendo dal Sud del Regno: numeri che si avvicinano a quelli degli arrivi in Grecia (43mila) e non erano così cospicui dal 2018, su una rotta che ha fatto più di 950 vittime secondo l’Ong Caminando Fronteras.

    Il 24 giugno 2022, Ange e Alphonse Dajbo si trovavano a Casablanca quando circa duemila migranti, principalmente sudanesi, attaccarono in massa la barriera dell’enclave in quello che è passato alle cronache come “il massacro di Melilla”. La reazione violenta della Guardia Civil spagnola e della Gendarmerie marocchina ha causato la morte di almeno 37 persone, mentre 77 risultano tutt’oggi scomparse.

    Nonostante entrambi i Paesi abbiano aperto dei fascicoli per indagare sulle responsabilità delle autorità, i soli colpevoli a essere individuati dai giudici marocchini sono stati 33 migranti, di cui 18 hanno visto triplicare la pena in appello arrivando a condanne anche di tre anni in carcere. Altri 32 sono tutt’ora in giudizio con l’accusa di appartenere a reti criminali. “A partire da quella data abbiamo riscontrato un aumento dei procedimenti giudiziari a carico dei migranti subsahariani”, spiega Omar Naji, responsabile dell’Association marocaine des droits de l’homme (Amdh).

    Da allora analizza l’attività dei tribunali della regione per la controversa pratica di perseguire le persone in transito come trafficanti, una strategia apparentemente progettata per scoraggiare ulteriori flussi migratori. Benché non sia disponibile nessun dato statistico sui procedimenti aperti nei confronti dei migranti subsahariani, Omar Naji è convinto che i numeri di quella che definisce “repressione giudiziaria delle migrazioni” siano in costante aumento.

    Sono 1.221 i morti registrati nel 2022 lungo la rotta, sia di terra sia di mare, tra il Marocco e l’Unione europea a fronte di 30mila arrivi. Nel 2015 erano decedute 67 persone su 17mila che erano riuscite a raggiungere il territorio europeo. È il tragico costo della “gestione dei flussi” dell’Ue

    “Un processo non lascia cicatrici sul corpo -osserva nel suo ufficio a Nador- ma allarma l’intera comunità con la minaccia della privazione della libertà, una delle poche gioie della vita che resta ai migranti”. Il Marocco è considerato un partner strategico per il controllo dell’immigrazione e la sua collaborazione con l’Ue illustra ciò che potrebbe accadere anche in Tunisia, da dove sono già partiti più di 95mila migranti nel 2023. Anche se i numeri dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) non distinguono tra i morti via mare lungo la rotta delle Isole Canarie e quelli lungo la frontiera terrestre con Ceuta e Melilla, secondo l’Amdh i dati restano indicativi del fatto che ci sia una correlazione tra l’aumento dei fondi europei e l’aumento delle persone che muoiono.

    “Addobbato con la retorica del voler salvare vite umane e del combattere le reti criminali, il denaro europeo ha reso il passaggio più remunerativo per i trafficanti e più rischioso per i migranti”, spiega Omar Naji, che sottolinea anche come il Marocco renda più o meno porose le sue frontiere per rinforzare la propria posizione nello scacchiere diplomatico. A fronte di 234 milioni di euro stanziati dal 2015, di cui quasi quattro quinti spesi per la gestione dei confini, e di ulteriori 500 milioni fino al 2027, il numero dei migranti che hanno perso la vita nel tragitto dal Marocco all’Europa è salito vertiginosamente: da 67 morti su circa 17mila arrivi nel 2015, a 1.221 su 30mila nel 2022.

    L’Europa riconosce il Marocco come un “Paese sicuro”, ma poche persone più di Aboubacar Wann Diallo sanno che la realtà è più ombreggiata delle categorie del diritto. Esce dalla prigione di Nador dopo aver visitato uno dei sopravvissuti alla strage del 24 giugno, oggi in galera. “Come sta?”, crepita una voce all’altro capo del telefono, in Sudan. “Abdallah è triste, ma sta bene. Vi manda un abbraccio”, risponde Aboubacar alla madre del condannato.

    Dopo esser fuggito dalle persecuzioni politiche nel suo Paese, il guineano laureato in giurisprudenza è arrivato in Marocco nel 2013 dove oggi lavora per un’associazione locale: accompagna i migranti di passaggio nella regione, ma soprattutto trascorre le sue giornate tra l’obitorio, il tribunale e il carcere, occupato nel reperire informazioni sui migranti arrestati e nel riconoscimento dei morti in mare o alla frontiera terrestre. “Cerco di restare professionale -spiega-. Ma vacillo quando ascolto la voce in pena della madre di un fratello condannato ingiustamente o deceduto”.

    Racconta che i pubblici ministeri richiedono condanne dure per i migranti, a volte senza conoscere il dossier: “Sembra che ci sia una volontà politica di mandare un messaggio alla comunità nera: se attraversate, andate in prigione”. Aboubacar è diventato una figura rispettata in città e ha saputo costruire stretti legami con le autorità politiche, giudiziarie e di pubblica sicurezza di Nador, superando le discriminazioni quotidiane contro i neri subsahariani. Ma non tutti hanno la stessa fortuna.

    A Oujda, città frontaliera con l’Algeria a circa due ore di macchina da Nador, due famiglie di quattro persone della Costa d’Avorio vivono in un appartamento di trenta metri quadrati in un quartiere periferico. Ritenendo la rotta marocchina troppo rischiosa, stanno preparando le valige per attraversare l’Algeria e raggiungere l’Europa dalla Tunisia. “Preferiamo attraversare il deserto piuttosto che essere obbligati a vivere nascosti per paura di finire in galera”, afferma Karen Jospeh, trentacinquenne camerunense. Come loro, secondo un volontario locale di Alarm Phone, circa 200 persone al giorno stanno facendo la stessa scelta.

    https://altreconomia.it/i-processi-farsa-che-in-marocco-trasformano-i-migranti-in-trafficanti

    #Maroc #migrations #criminalisation_de_la_migration #justice (well...) #procès #dissuasion #Melilla #24_juin_2022 #trafiquants_d'êtres_humains #répression #répression_judiciaire #externalisation

  • Au niveau européen, un pacte migratoire « dangereux » et « déconnecté de la réalité »

    Sara Prestianni, du réseau EuroMed Droits, et Tania Racho, chercheuse spécialiste du droit européen et de l’asile, alertent, dans un entretien à deux voix, sur les #risques de l’accord trouvé au niveau européen et qui sera voté au printemps prochain.

    Après trois années de discussions, un accord a été trouvé par les États membres sur le #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile la semaine dernière. En France, cet événement n’a trouvé que peu d’écho, émoussé par la loi immigration votée au même moment et dont les effets sur les étrangers pourraient être dramatiques.

    Pourtant, le pacte migratoire européen comporte lui aussi son lot de mesures dangereuses pour les migrant·es, entre renforcement des contrôles aux frontières, tri express des demandeurs d’asile, expulsions facilitées des « indésirables » et sous-traitance de la gestion des frontières à des pays tiers. Sara Prestianni, responsable du plaidoyer au sein du réseau EuroMed Droits, estime que des violations de #droits_humains seront inévitables et invite à la création de voies légales qui permettraient de protéger les demandeurs d’asile.

    La chercheuse Tania Racho, spécialiste du droit européen et de l’asile et membre du réseau Désinfox-Migrations, répond qu’à aucun moment les institutions européennes « ne prennent en compte les personnes exilées », préférant répondre à des « objectifs de gestion des migrations ». Dans un entretien croisé, elles alertent sur les risques d’une approche purement « sécuritaire », qui renforcera la vulnérabilité des concernés et les mettra « à l’écart ».

    Mediapart : Le pacte migratoire avait été annoncé par la Commission européenne en septembre 2020. Il aura fait l’objet de longues tergiversations et de blocages. Était-ce si difficile de se mettre d’accord à 27 ?

    Tania Racho : Dans l’état d’esprit de l’Union européenne (UE), il fallait impérativement démontrer qu’il y a une gestion des migrations aux #frontières_extérieures pour rassurer les États membres. Mais il a été difficile d’aboutir à un accord. Au départ, il y avait des mesures pour des voies sécurisées d’accès à l’Union avec plus de titres économiques : ils ont disparu au bénéfice d’une crispation autour des personnes en situation irrégulière.

    Sara Prestianni : La complexité pour aboutir à un accord n’est pas due à la réalité des migrations mais à l’#instrumentalisation du dossier par beaucoup d’États. On l’a bien vu durant ces trois années de négociations autour du pacte : bien que les chiffres ne le justifiaient pas, le sujet a été fortement instrumentalisé. Le résultat, qui à nos yeux est très négatif, est le reflet de ces stratégies : cette réforme ne donne pas de réponse au phénomène en soi, mais répond aux luttes intestines des différents États.

    La répartition des demandeurs d’asile sur le sol européen a beaucoup clivé lors des débats. Pourquoi ?

    Sara Prestianni : D’abord, parce qu’il y a la fameuse réforme du #règlement_Dublin [qui impose aux exilés de demander l’asile dans le pays par lequel ils sont entrés dans l’UE - ndlr]. Ursula von der Leyen [présidente de la Commission – ndlr] avait promis de « #dépasser_Dublin ». Il est aujourd’hui renforcé. Ensuite, il y a la question de la #solidarité. La #redistribution va finalement se faire à la carte, alors que le Parlement avait tenté de revenir là-dessus. On laisse le choix du paiement, du support des murs et des barbelés aux frontières internes, et du financement de la dimension externe. On est bien loin du concept même de solidarité.

    Tania Racho : L’idée de Dublin est à mettre à la poubelle. Pour les Ukrainiens, ce règlement n’a pas été appliqué et la répartition s’est faite naturellement. La logique de Dublin, c’est qu’une personne qui trouve refuge dans un État membre ne peut pas circuler dans l’UE (sans autorisation en tout cas). Et si elle n’obtient pas l’asile, elle n’est pas censée pouvoir le demander ailleurs. Mais dans les faits, quelqu’un qui voit sa demande d’asile rejetée dans un pays peut déposer une demande en France, et même obtenir une protection, parce que les considérations ne sont pas les mêmes selon les pays. On s’interroge donc sur l’utilité de faire subir des transferts, d’enfermer les gens et de les priver de leurs droits, de faire peser le coût de ces transferts sur les États… Financièrement, ce n’est pas intéressant pour les États, et ça n’a pas de sens pour les demandeurs d’asile.

    D’ailleurs, faut-il les répartir ou leur laisser le libre #choix dans leur installation ?

    Tania Racho : Cela n’a jamais été évoqué sous cet angle. Cela a du sens de pouvoir les laisser choisir, parce que quand il y a un pays de destination, des attaches, une communauté, l’#intégration se fait mieux. Du point de vue des États, c’est avant tout une question d’#efficacité. Mais là encore on ne la voit pas. La Cour européenne des droits de l’homme a constaté, de manière régulière, que l’Italie ou la Grèce étaient des États défaillants concernant les demandeurs d’asile, et c’est vers ces pays qu’on persiste à vouloir renvoyer les personnes dublinées.

    Sara Prestianni : Le règlement de Dublin ne fonctionne pas, il est très coûteux et produit une #errance continue. On a à nouveau un #échec total sur ce sujet, puisqu’on reproduit Dublin avec la responsabilité des pays de première entrée, qui dans certaines situations va se prolonger à vingt mois. Même les #liens_familiaux (un frère, une sœur), qui devaient permettre d’échapper à ce règlement, sont finalement tombés dans les négociations.

    En quoi consiste le pacte pour lequel un accord a été trouvé la semaine dernière ?

    Sara Prestianni : Il comporte plusieurs documents législatifs, c’est donc une #réforme importante. On peut évoquer l’approche renforcée des #hotspots aux #frontières, qui a pourtant déjà démontré toutes ses limites, l’#enfermement à ciel ouvert, l’ouverture de #centres_de_détention, la #procédure_d’asile_accélérée, le concept de #pays-tiers_sûr que nous rejetons (la Tunisie étant l’exemple cruel des conséquences que cela peut avoir), la solidarité à la carte ou encore la directive sur l’« instrumentalisation » des migrants et le concept de #force_majeure en cas d’« #arrivées_massives », qui permet de déroger au respect des droits. L’ensemble de cette logique, qui vise à l’utilisation massive de la #détention, à l’#expulsion et au #tri des êtres humains, va engendrer des violations de droits, l’#exclusion et la #mise_à_l’écart des personnes.

    Tania Racho : On met en place des #centres_de_tri des gens aux frontières. C’est d’une #violence sans nom, et cette violence est passée sous silence. La justification du tri se fait par ailleurs sur la nationalité, en fonction du taux de protection moyen de l’UE, ce qui est absurde car le taux moyen de protection varie d’un pays à l’autre sur ce critère. Cela porte aussi une idée fausse selon laquelle seule la nationalité prévaudrait pour obtenir l’asile, alors qu’il y a un paquet de motifs, comme l’orientation sexuelle, le mariage forcé ou les mutilations génitales féminines. Difficile de livrer son récit sur de tels aspects après un parcours migratoire long de plusieurs mois dans le cadre d’une #procédure_accélérée.

    Comment peut-on opérer un #tri_aux_frontières tout en garantissant le respect des droits des personnes, du droit international et de la Convention de Genève relative aux réfugiés ?

    Tania Racho : Aucune idée. La Commission européenne parle d’arrivées mixtes et veut pouvoir distinguer réfugiés et migrants économiques. Les premiers pourraient être accueillis dignement, les seconds devraient être expulsés. Le rush dans le traitement des demandes n’aidera pas à clarifier la situation des personnes.

    Sara Prestianni : Ils veulent accélérer les procédures, quitte à les appliquer en détention, avec l’argument de dire « Plus jamais Moria » [un camp de migrants en Grèce incendié – ndlr]. Mais, ce qui est reproduit ici, c’est du pur Moria. En septembre, quand Lampedusa a connu 12 000 arrivées en quelques jours, ce pacte a été vendu comme la solution. Or tel qu’il est proposé aujourd’hui, il ne présente aucune garantie quant au respect du droit européen et de la Convention de Genève.

    Quels sont les dangers de l’#externalisation, qui consiste à sous-traiter la gestion des frontières ?

    Sara Prestianni : Alors que se négociait le pacte, on a observé une accélération des accords signés avec la #Tunisie, l’#Égypte ou le #Maroc. Il y a donc un lien très fort avec l’externalisation, même si le concept n’apparaît pas toujours dans le pacte. Là où il est très présent, c’est dans la notion de pays tiers sûr, qui facilite l’expulsion vers des pays où les migrants pourraient avoir des liens.

    On a tout de même l’impression que ceux qui ont façonné ce pacte ne sont pas très proches du terrain. Prenons l’exemple des Ivoiriens qui, à la suite des discours de haine en Tunisie, ont fui pour l’Europe. Les États membres seront en mesure de les y renvoyer car ils auront a priori un lien avec ce pays, alors même qu’ils risquent d’y subir des violences. L’Italie négocie avec l’#Albanie, le Royaume-Uni tente coûte que coûte de maintenir son accord avec le #Rwanda… Le risque, c’est que l’externalisation soit un jour intégrée à la procédure l’asile.

    Tania Racho : J’ai appris récemment que le pacte avait été rédigé par des communicants, pas par des juristes. Cela explique combien il est déconnecté de la réalité. Sur l’externalisation, le #non-refoulement est prévu par le traité sur le fonctionnement de l’UE, noir sur blanc. La Commission peut poursuivre l’Italie, qui refoule des personnes en mer ou signe ce type d’accord, mais elle ne le fait pas.

    Quel a été le rôle de l’Italie dans les discussions ?

    Sara Prestianni : L’Italie a joué un rôle central, menaçant de faire blocage pour l’accord, et en faisant passer d’autres dossiers importants à ses yeux. Cette question permet de souligner combien le pacte n’est pas une solution aux enjeux migratoires, mais le fruit d’un #rapport_de_force entre les États membres. L’#Italie a su instrumentaliser le pacte, en faisant du #chantage.

    Le pacte n’est pas dans son intérêt, ni dans celui des pays de premier accueil, qui vont devoir multiplier les enfermements et continuer à composer avec le règlement Dublin. Mais d’une certaine manière, elle l’a accepté avec la condition que la Commission et le Conseil la suivent, ou en tout cas gardent le silence, sur l’accord formulé avec la Tunisie, et plus récemment avec l’Albanie, alors même que ce dernier viole le droit européen.

    Tania Racho : Tout cela va aussi avoir un #coût – les centres de tri, leur construction, leur fonctionnement –, y compris pour l’Italie. Il y a dans ce pays une forme de #double_discours, où on veut d’un côté dérouter des bateaux avec une centaine de personnes à bord, et de l’autre délivrer près de 450 000 visas pour des travailleurs d’ici à 2025. Il y a une forme illogique à mettre autant d’énergie et d’argent à combattre autant les migrations irrégulières tout en distribuant des visas parce qu’il y a besoin de #travailleurs_étrangers.

    Le texte avait été présenté, au départ, comme une réponse à la « crise migratoire » de 2015 et devait permettre aux États membres d’être prêts en cas de situation similaire à l’avenir. Pensez-vous qu’il tient cet objectif ?

    Tania Racho : Pas du tout. Et puisqu’on parle des Syriens, rappelons que le nombre de personnes accueillies est ridicule (un million depuis 2011 à l’échelle de l’UE), surtout lorsqu’on le compare aux Ukrainiens (10 millions accueillis à ce jour). Il est assez étonnant que la comparaison ne soit pas audible pour certains. Le pacte ne résoudra rien, si ce n’est dans le narratif de la Commission européenne, qui pense pouvoir faire face à des arrivées mixtes.

    On a les bons et mauvais exilés, on ne prend pas du tout en compte les personnes exilées, on s’arrête à des objectifs de #gestion alors que d’autres solutions existent, comme la délivrance de #visas_humanitaires. Elles sont totalement ignorées. On s’enfonce dans des situations dramatiques qui ne feront qu’augmenter le tarif des passeurs et le nombre de morts en mer.

    Sara Prestianni : Si une telle situation se présente de nouveau, le règlement « crise » sera appliqué et permettra aux États membres de tout passer en procédure accélérée. On sera donc dans un cas de figure bien pire, car les entraves à l’accès aux droits seront institutionnalisées. C’est en cela que le pacte est dangereux. Il légitime toute une série de violations, déjà commises par la Grèce ou l’Italie, et normalise des pratiques illégales. Il occulte les mesures harmonisées d’asile, d’accueil et d’intégration. Et au lieu de pousser les États à négocier avec les pays de la rive sud, non pas pour renvoyer des migrants ou financer des barbelés mais pour ouvrir des voies légales et sûres, il mise sur une logique sécuritaire et excluante.

    Cela résonne fortement avec la loi immigration votée en France, supposée concilier « #humanité » et « #fermeté » (le pacte européen, lui, prétend concilier « #responsabilité » et « #solidarité »), et qui mise finalement tout sur le répressif. Un accord a été trouvé sur les deux textes au même moment, peut-on lier les deux ?

    Tania Racho : Dans les deux cas, la seule satisfaction a été d’avoir un accord, dans la précipitation et dans une forme assez particulière, entre la commission mixte paritaire en France et le trilogue au niveau européen. Ce qui est intéressant, c’est que l’adoption du pacte va probablement nécessiter des adaptations françaises. On peut lier les deux sur le fond : l’idée est de devoir gérer les personnes, dans le cas français avec un accent particulier sur la #criminalisation_des_étrangers, qu’on retrouve aussi dans le pacte, où de nombreux outils visent à lutter contre le terrorisme et l’immigration irrégulière. Il y a donc une même direction, une même teinte criminalisant la migration et allant dans le sens d’une fermeture.

    Sara Prestianni : Les États membres ont présenté l’adoption du pacte comme une grande victoire, alors que dans le détail ce n’est pas tout à fait évident. Paradoxalement, il y a eu une forme d’unanimité pour dire que c’était la solution. La loi immigration en France a créé plus de clivages au sein de la classe politique. Le pacte pas tellement, parce qu’après tant d’années à la recherche d’un accord sur le sujet, le simple fait d’avoir trouvé un deal a été perçu comme une victoire, y compris par des groupes plus progressistes. Mais plus de cinquante ONG, toutes présentes sur le terrain depuis des années, sont unanimes pour en dénoncer le fond.

    Le vote du pacte aura lieu au printemps 2024, dans le contexte des élections européennes. Risque-t-il de déteindre sur les débats sur l’immigration ?

    Tania Racho : Il y aura sans doute des débats sur les migrations durant les élections. Tout risque d’être mélangé, entre la loi immigration en France, le pacte européen, et le fait de dire qu’il faut débattre des migrations parce que c’est un sujet important. En réalité, on n’en débat jamais correctement. Et à chaque élection européenne, on voit que le fonctionnement de l’UE n’est pas compris.

    Sara Prestianni : Le pacte sera voté avant les élections, mais il ne sera pas un sujet du débat. Il y aura en revanche une instrumentalisation des migrations et de l’asile, comme un outil de #propagande, loin de la réalité du terrain. Notre bataille, au sein de la société civile, est de continuer notre travail de veille et de dénoncer les violations des #droits_fondamentaux que cette réforme, comme d’autres par le passé, va engendrer.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/281223/au-niveau-europeen-un-pacte-migratoire-dangereux-et-deconnecte-de-la-reali
    #pacte #Europe #pacte_migratoire #asile #migrations #réfugiés

  • #Violences et fabrique de la #subalternité_foncière à #Sihanoukville, Cambodge

    Depuis le milieu des années 2010, la ville de Sihanoukville au Cambodge, principal #port du pays et petit centre de villégiature, fait l’objet d’un #développement_urbain éclair porté par la construction de nouvelles infrastructures de transport et de zones logistiques, de casinos (plus de 150 nouveaux casinos depuis 2015) et la mise en place de #mégaprojets_immobiliers à vocation touristique qui nourrissent une #spéculation_foncière galopante. Ces transformations territoriales sont notamment le fruit d’une coopération technique, politique et économique entre le Cambodge et la #Chine au nom de la #Belt_and_Road_Initiative, la nouvelle politique étrangère globale chinoise lancée en 2013 par #Xi_Jinping. Pour le gouvernement cambodgien, Sihanoukville et sa région doivent devenir, au cours de la prochaine décennie, la seconde plateforme économique, logistique et industrielle du pays après Phnom Penh, la capitale (Royal Government of Cambodia, 2015). Ce développement urbain très rapide a entraîné une évolution concomitante des logiques d’échange et de valorisation des #ressources_foncières. Comme le relève régulièrement la presse internationale, il nourrit d’importants #conflits_fonciers, souvent violents, dont pâtissent en premier lieu les habitants les plus pauvres.

    Cette recherche veut comprendre la place et le rôle de la violence dans le déploiement des mécanismes d’#exclusion_foncière à Sihanoukville. Pour reprendre les mots de Fernand Braudel (2013 [1963]), alors que ces #conflits_fonciers semblent surgir de manière « précipitée », notre recherche montre qu’ils s’inscrivent aussi dans les « pas lents » des relations foncières et de la fabrique du territoire urbain. Dans ce contexte, le jaillissement des tensions foncières convoque des temporalités et des échelles variées dont la prise en compte permet de mieux penser le rôle de la violence dans la production de l’espace.

    Les processus d’exclusion foncière au Cambodge s’inscrivent dans une trajectoire historique particulière. Le #génocide et l’#urbicide [1] #khmers_rouges entre 1975 et 1979, l’abolition de la #propriété_privée entre 1975 et 1989 et la #libéralisation très rapide de l’économie du pays à partir des années 1990 ont posé les jalons de rapports fonciers particulièrement conflictuels, tant dans les espaces ruraux qu’urbains (Blot, 2013 ; Fauveaud, 2015 ; Loughlin et Milne, 2021). Ainsi, l’#appropriation, l’#accaparement et la #valorisation des ressources foncières au Cambodge, et en Asie du Sud-Est en général, s’accompagnent d’une importante « #violence_foncière » tant physique (évictions et répression) que sociale (précarisation des plus pauvres, exclusion sociale), politique (criminalisation et dépossession des droits juridiques) et économique (dépossession des biens fonciers et précarisation).

    Cet article souhaite ainsi proposer une lecture transversale de la violence associée aux enjeux fonciers. Si la notion de violence traverse la littérature académique portant sur les logiques d’exclusion foncière en Asie du Sud-Est (Hall, Hirsch et Li, 2011 ; Harms, 2016) ou dans le Sud global plus généralement (Peluso et Lund, 2011 ; Zoomers, 2010), peu de recherches la placent au cœur de leurs analyses, malgré quelques exceptions (sur le Cambodge, voir notamment Springer, 2015). Par ailleurs, la violence est souvent étudiée en fonction d’ancrages théoriques fragmentés. Ceux-ci restent très divisés entre : 1) des travaux centrés sur le rôle de l’État et des systèmes de régulation (notamment économiques) dans le déploiement de la violence foncière (Hall, 2011 ; Springer, 2013) ; 2) des analyses politico-économiques des formes de dépossession liées aux modes de privatisation du foncier, à la propriété et à l’accumulation du capital, parfois resituées dans une lecture historique des sociétés coloniales et postcoloniales (voir par exemple Rhoads, 2018) ; 3) des approches considérant la violence comme stratégie ou outil mobilisés dans la réalisation de l’accaparement foncier et la répression des mouvements sociaux (voir par exemple Leitner and Sheppard, 2018) ; 4) des analyses plus ontologiques explorant les processus corporels, émotionnels et identitaires (comme le genre) qui découlent des violences foncières ou conditionnent les mobilisations sociales (voir par exemple Brickell, 2014 ; Schoenberger et Beban, 2018).

    Malgré la diversité de ces approches, la notion de violence reste principalement attachée au processus de #dépossession_foncière, tout en étant analysée à une échelle temporelle courte, centrée sur le moment de l’#éviction proprement dit. Dans cet article et à la suite de Marina Kolovou Kouri et al. (2021), nous défendons au contraire une approche multidimensionnelle des violences foncières analysées à des échelles temporelles et spatiales variées. Une telle transversalité semble indispensable pour mieux saisir les différentes forces qui participent de la construction des violences et de l’exclusion foncières. En effet, si les conflits fonciers sont traversés par diverses formes de violences, celles-ci ne découlent pas automatiquement d’eux et sont également déterminées par le contexte social, économique et politique qui leur sert de moule. Ces violences restent ainsi attachées aux différents #rapports_de_domination qui organisent les #rapports_sociaux en général (Bourdieu, 2018 [1972]), tout en représentant une forme d’#oppression à part entière participant des #inégalités et #injustices sociales sur le temps long (Young, 2011).

    Nous voyons, dans cet article, comment des formes de violence variées structurent les rapports de pouvoir qui se jouent dans l’appropriation et la valorisation des ressources foncières, ainsi que dans la régulation des rapports fonciers. Nous montrons que ces violences servent non seulement d’instrument d’oppression envers certains groupes de populations considérés comme « indésirables », mais aussi qu’elles les maintiennent dans ce que nous nommons une « subalternité foncière ». En prenant appui sur Chakravorty Spivak Gayatri (2005) et Ananya Roy (2011), nous définissons cette dernière comme la mise en place, sur le temps long et par la violence, d’une oppression systémique des citadins les plus pauvres par leur #invisibilisation, leur #criminalisation et l’#informalisation constante de leurs modes d’occupations de l’espace. La #subalternité foncière représente en ce sens une forme d’oppression dont la violence est l’un des dispositifs centraux.

    Cet article s’appuie sur des recherches ethnographiques menées à Phnom Penh et à Sihanoukville, entre 2019 et 2021. Elles comprennent un important travail d’observation, la collecte et l’analyse de documents officiels, de rapports techniques, d’articles de presse et de discours politiques, ainsi que la réalisation de près de soixante-dix entretiens semi-directifs (effectués en khmer principalement, parfois en mandarin, et retranscrits en anglais) auprès d’habitants de Sihanoukville, de représentants territoriaux locaux, d’experts et de membres de groupes criminels. Dans ce texte, le codage des entretiens suit la dénomination suivante : « OF » désigne les employés publics, « EX » des experts ayant une connaissance privilégiée du sujet, « RE » les résidents des zones d’habitat précaire et « F » les acteurs de la criminalité ; le numéro qui suit la lettre est aléatoire et sert à distinguer les personnes ayant répondu à l’enquête ; vient ensuite l’année de réalisation de l’entretien. De nombreux entretiens avec les habitants ont été conduits en groupe.

    https://www.jssj.org/article/violences-et-fabrique-de-la-subalternite-fonciere

    #foncier #Cambodge #Chine #violence

  • Collectif Romain Rolland @RRolland94200
    https://twitter.com/RRolland94200/status/1728481471285830137

    ‼️Parce qu’il a dit Allah Akbar, un élève passe en conseil de discipline pour « apologie du terrorisme ». Il organise sa défense, avec de nombreux soutiens.
    Nous appelons les membres du conseil à réfuter cette accusation hors de propos, et demeurons vigilants jusqu’au délibéré.👇

    #criminalisation #islamohobie #Lycée #élève #conseil_de_discipline #apologie_de_terrorisme

  • "We know who you are": Hostile migration politics and the criminalisation of solidarity actors in #France and Morocco.

    The study – conducted in collaboration with Dr Maria Hagan – explores how NGO practitioners, activists, and other solidarity actors in France and Morocco increasingly face intimidation, repression, and prosecution from state authorities amidst hostile and violent policies aimed at curbing migration. Whilst high-profile court cases (especially regarding sea rescue operations) have gained some attention in public debates, there has been little exploration of more ordinary, insidious forms of criminalisation and repression targeting solidarity actors, especially beyond European countries. In collaboration with advocacy organisations and artists, the study addresses this gap through ethnographic research carried out in northern France and Morocco. Several academic and creative outputs for the wider public are in gestation– watch this space.

    https://sebastienbachelet.com/crimes-of-solidarity
    #rapport #Maroc #criminalisation_de_la_solidarité #solidarité #asile #migrations #réfugiés #intimidation #répression #poursuites #poursuites_judiciaires

    ping @karine4

  • La trêve hivernale débute après un record d’expulsions en 2022
    https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2023/11/01/la-treve-hivernale-debute-apres-un-record-d-expulsions-en-2022_6197625_43557

    A compter du 1ᵉʳ novembre et pendant les cinq mois les plus froids de l’année, les locataires ne peuvent plus être expulsés de leur #logement.

    Près de 38 000 personnes, soit 17 500 ménages, ont été expulsées par les forces de l’ordre en 2022, selon la Fondation Abbé Pierre. Et « deux à trois fois plus de ménages partent avant que la #police n’arrive », complète Christophe Robert, le délégué général de l’organisation. Selon lui, si les #expulsions sont en théorie impossibles, la pression des #propriétaires amène parfois certains locataires à plier bagage pendant la trêve hivernale.

    Pendant les années Covid-19, en 2020 et en 2021, les expulsions ont fortement chuté, avant de reprendre fortement en 2022.

    ça va pas s’arranger avec la #loi Kasbarian_Bergé qui entre autre joyeuseté prévoit la résiliation automatique du bail lors d’impayés de loyers

    Le Conseil constitutionnel a validé, mercredi 26 juillet, la loi Kasbarian-Bergé qui criminalise les locataires et accroît les sanctions contre ceux qui cherchent refuge. Et ce alors que le gouvernement réduit le budget de l’hébergement d’urgence.
    https://www.humanite.fr/societe/mal-loges/loi-anti-squat-le-conseil-constitutionnel-valide-lexpulsion-des-pauvres-804

    Est ainsi prévu, l’ajout systématique, dans le contrat entre propriétaire et locataire, d’une clause permettant la #résiliation_automatique_du_bail, sans passage par le juge, dès les premiers impayés. La disposition la plus contestée, qui prévoyait la prison pour les locataires qui se maintiendraient dans leur logement après un jugement, a été supprimée durant les allers-retours du texte au Parlement.

    En revanche, ces locataires en difficulté sont désormais passibles d’une #amende de 7 500 euros. « Une offensive contre les locataires et contre les plus démunis », avait dénoncé durant les débats la sénatrice (CRCE) et ex-ministre du Logement Marie-Noëlle Lienemann.

    Expressément visés par la loi, les squatteurs voient les peines encourues augmenter : de un à trois ans d’emprisonnement et de 15 000 à 45 000 euros d’amende. La possibilité d’une #expulsion_immédiate, jusque-là réservée aux seuls locaux d’habitation, résidences principales et secondaires, est étendue par la loi portée par le député Renaissance de Haute-Loire, à l’ensemble des locaux commerciaux : bureaux vides, bâtiments industriels ou agricoles désaffectés.

    la résiliation automatique des baux devrait permettre de substantielles économies sur les fonds de solidarité logement (#FSL) qui ont pour fonction de payer les impayés de loyer (dès lors que la locataire a repris des paiements), avec y compris un #FSL urgence (deux mois de retard) qui est destiné à prévenir le surendettement locatif et les expulsions.

    #locataires #squatteurs #guerre_aux_pauvres #criminalisation #justice #propriété_privée