#zone_de_transit

  • Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

    1.Malgrado le pause indotte dal maltempo, continuano, e continueranno, gli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, e si avvicina il collasso del sistema di accoglienza già minato dai decreti sicurezza di Salvini e dal Decreto “Cutro” (legge n.50/2023). Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera, meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “Decreto Cutro”) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

    Sul concetto di paese terzo “sicuro” non c’è ancora un accordo a livello europeo. Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni proprio su questo punto, ma le previsioni della legge 50/2023, in materia di trattenimento ed espulsioni, non hanno ottenuto quella “copertura europea” che il governo italiano sperava. Per questo motivo sulle “scelte detentive” più recenti del governo Meloni con riferimento ai richiedenti asilo potrebbe intervenire prima la Commissione europea e poi la Corte di giustizia dell’Unione europea. Come sta già avvenendo per la previsione “manifesto”, di dubbia applicabilità, della garanzia finanziaria introdotta dalla legge 50 del 2023 e specificata dal Decreto legge 19 settembre 2023, n. 124, contenente Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonche’ in materia di immigrazione. Una garanzia finanziaria che assieme ad altri requisiti, come la disponibilità di alloggio e documenti validi, potrebbe evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri. Secondo Amnesty International,“Si tratta di un provvedimento illegale. Non è pensabile che persone in fuga dal proprio paese possano disporre in Italia di un alloggio o di un conto in banca e quindi attivare una polizza fideiussoria. Subordinare la libertà delle persone richiedenti asilo a condizioni di fatto impraticabili configura una misura per porre coloro che arrivano in Italia automaticamente in detenzione. La detenzione automatica è arbitraria e vietata dal diritto internazionale”.

    Dunque, ciascun caso dovrà essere esaminato singolarmente, come adesso precisa la Commissione europea sull’ultimo “escamotage propagandistico” inventato dal Governo Meloni, la garanzia finanziaria che dovrebbero prestare (attraverso fideiussione) i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri., Come se riuscissero ad avere immediatamente, subito dopo lo sbarco, la disponibilità finanziaria e i documenti di identità necessari per stipulare il contratto di fideiussione, Una norma manifesto, odiosa ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che abbattono il diritto di asilo e rendono solo cartacee le garanzie di difesa, anche per il ricorso generalizzato alle videoconferenze, e per le difficoltà per i difensori, che vogliano davvero assolvere al loro ruolo, di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo che devono assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda.

    2. Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa, al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana. Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

    I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

    La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre, per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

    In Sicilia si prevede anche l’apertura di “strutture di transito”, già appaltate, come quella che dovrebbe sorgere a Porto Empedocle, dove l’area di transito, che verrà ulteriormente potenziata, resta provvisoria, fino a quando non verrà realizzato l’hotspot a valle di contrada Caos a Porto Empedocle che sarà, come quello di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa. Altre “sezioni chiuse” per richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri”, per cui si prevede un rimpatrio “veloce” potrebbero essere attivate nei centri Hotspot di Pozzallo e Lampedusa. Mentre i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri,” in caso di arrivi massicci e di indisponibilità di posti negli Hotspot, potrebbero finire anche nei centri di permanenza per i rimpatri, come i famigerati lager di Pian del Lago (Caltanissetta) e di Trapani (MIlo), da anni spazi di trattamenti disumani, di tentativi di fuga e di abusi sulle persone trattenute. Se non si tratta di annientamento fisico (Vernichtung), ma ci sono stati anche i morti, si può documentare in molti casi l’annientamento psichico degli “ospiti”, che dopo il diniego, in caso di mancato rimpatrio, potrebbero passare mesi su mesi rinchiusi in queste strutture, magari sotto psicofarmaci, come coloro che sono sottoposti al rimpatrio con accompagnamento forzato, tra i richiedenti asilo denegati che non abbiano fatto ricorso con effetto sospensivo o lo abbiano visto respingere.

    La normativa europea impone invece il rilascio delle persone trattenute nei centri di detenzione quando è evidente che non ci sono più prospettive di rimpatrio forzato nel paese di origine (Direttiva rimpatri 2008/115/CE, art.15.4), per la mancata collaborazione degli Stati di origine che non effettuano i riconoscimenti e non forniscono i documenti di viaggio.

    Altri “centri chiusi” potrebbero essere attivati a Messina (probabilmente nei locali del Centro di accoglienza ubicato all’interno della vecchia e fatiscente Caserma Gasparro) fantasiosamente denominato “CIPSI”, Centro di primo soccorso ed identificazione, ed a Catania, dove si sono recentemente sperimentate diverse strutture provvisorie, “tensostrutture”, nelle quali i potenziali richiedenti asilo, che diventano tali con la semplice manifestazione di volontà, anche prima della formalizzazione della domanda da parte delle autorità di polizia, sono stati trattenuti per giorni in condizioni di totale privazione della libertà personale, in assenza di convalida giurisdizionale.

    3. Il fallimento del sistema italiano dei centri di detenzione amministrativa è ormai documentato da anni, e sarà ancora più evidente con l’aumento dei termini di trattenimento fino a 18 mesi (12 per i richiedenti asilo).

    Con riguardo ai nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri” non sembra eludibile una rigorosa verifica della legittimità del trattenimento in sede di convalida del giudice ordinario, e non del giudice di pace, come invece sembrerebbe prevedere la legge 50/2023 (ingiustamente definita ancora oggi “Decreto Cutro), trattandosi di richiedenti asilo che chiedono di fare valere un loro diritto fondamentale, e deve essere prevista una completa base legale con la indicazione precisa delle modalità di trattenimento -che ancora manca- conformi alla normativa europea (Direttiva procedure 2013/32/UE e Direttiva Accoglienza 2013/33/UE). Rimane a tale riguardo una grave violazione del principio di legalità in materia di misure detentive, che la Corte Costituzionale non ha ancora rilevato.

    In ogni caso il trattenimento amministrativo non può essere finalizzato esclusivamente al’esame della domanda di protezione, o per accertare il diritto all’ingresso nel territorio, come sembrerebbe affermare la legge 50/2023, perchè proprio nelle circostanze di limitazione della libertà personale che si riscontrano nei centri “chiusi” risulta più difficile avere contatti con organizzazioni che difendono i diritti umani e raccogliere prove per dimostrare la fondatezza della propria richiesta. Dal tenore della legge sembrerebbe che le strutture detentive riservate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri” siano strutture extra-territoriali, come se le persone trattenute non avessero ancora fatto ingresso nel territorio nazionale, circostanza che legittimerebbe l’aggiramento dei principi costituzionali e delle Convenzioni internazionali. Si tratta invece di luoghi che non possono sottrarsi alla giurisdizione italiana, unionale e internazionale dove i diritti e le garanzie non possono essere riconosciuti solo sul piano formale per venire poi negati nelle prassi applicate dalle autorità di polizia. Dunque è il tempo delle denunce e dei ricorsi, mentre l’opinione pubblica sembra ancora rimanere ostaggio delle politiche della paura e dell’odio. Fondamentale l’accesso civico agli atti e la possibilità di ingresso di giornalisti ed operatori umanitari indipendenti, se occorre con gruppi di parlamentari, in tutti i centri in cui si pratica la detenzione amministrativa.

    4. Vanno comunque garantiti diritti di informazione ed accesso alle procedure ordinarie, e quindi nel sistema di centri aperti di accoglienza (CAS, SAI, CPSA) per tutti i richiedenti asilo che adducano a supporto della domanda gravi motivi di carattere personale, pure se provengono da paesi terzi ritenuti sicuri.

    L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
    In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

    I piani sui rimpatri “veloci” del governo Meloni non sono dunque applicabili su vasta scala, presentano caratteri fortemente discriminatori, ed avranno costi umani ed economici insostenibili. Se si spera negli accordi bilaterali e nel sostegno di Frontex, si dovrà comunque fare i conti con i ricorsi ai Tribunali in Italia ed in Europa, e con un ulteriore aggravamento delle crisi di legittimazione dei governi africani che accettano lo scambio della propria gente con una manciata di denaro.

    Una particolare attenzione dovrà rivolgersi alle persone vulnerabili per età, salute, genere e orientamento sessuale, ma anche per le ferite o per le torture subite durante il transito in Libia o in Tunisia. Una serie di condizioni che potrebbero di per sè legittimare il riconoscimento di uno status di protezione, a prescindere del paese di origine dal quale si è partiti.

    In ogni caso, dopo le decisioni di diniego da parte delle Commissioni territoriali, che potrebbero essere orientate da indirizzi politici, dovranno garantirsi tempi di esecuzione delle misure di allontanamento forzato che non cancellino la portata sostanziale del diritto al ricorso.

    Gli accordi bilaterali, come quelli con l’Egitto e la Tunisia, che prevedono procedure “semplificate”di rimpatrio, magari in aeroporto, senza la compiuta identificazione individuale,e senza un diritto effettivo di ricorso, vanno sospesi.

    Il provvedimento giudiziale che convalida la proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza delle ragioni addotte a sostegno della richiesta (Cass. n. 5200/2023). Non si può continuare oltre con le decisioni di rigetto”fotocopia” o con le espulsioni ed i respingimenti con accompagnamento forzato adottati prima della convalida giurisdizionale. I termini di trattenimento amministrativo in assenza di una convalida giurisdizionale sono inderogabili. Come si rilevava al tempo dei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) e dei Centri Hotspot, lo stesso vale oggi per i “centri di transito” e per i centri per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, nelle more delle procedure accelerate in frontiera.

    Occorre ricordare che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, proprio con riferimento a cittadini tunisini, nel dicembre 2016, nel caso Khlaifia e altri c. Italia, e poi ancora quest’anno, nel caso J.A. c.Italia, ha condannato il nostro Paese per violazione, tra gli altri motivi, dell’articolo 5 della Convenzione per aver trattenuto per un periodo prolungato persone appena arrivate in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorso. Con riferimento alle nuove strutture detentive che il governo Meloni si accinge ad aprire, resta da verificare il rispetto dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo e dei diritti fondamentali, a partire dal diritto di asilo costituzionale, sanciti dalla Costituzione italiana. Sarà anche l’occasione per verificare la legittimità costituzionale di molte disposizioni del decreto “Cutro” che, fin dalla entrata in vigore del provvedimento, hanno evidenziato sotto questo profilo gravi criticità, prima ancora che riuscissero ad avere concreta applicazione.

    https://www.a-dif.org/2023/09/26/oltre-le-sigle-la-detenzione-amministrativa-si-diffonde-nelle-procedure-in-fr

    #rétention #détention_administrative #frontières #migrations #asile #réfugiés #CPR #Italie #procédures_accélérées #pays_sûrs #pays_d'origine_sûrs #decret_Cutro #decreto_Cutro #garantie_financière #5000_EUR #5000_euros #decreto_Sud #Modica #Sicile #Porto_Empedocle #Messina #centres_fermés

    • Turning the Exception into the Rule

      Assessing Italy’s New Border Procedure

      Having promised its electorate a strong stance towards immigration, in January 2023 Italy’s new government adopted a reform that heavily curtailed immigrant rights to speed up return procedures. However, between September and October, several judgments issued by the Catania Tribunal declared it in violation of EU law (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf). In particular, when requested to review the detention of asylum applicants, the judges found the new Italian asylum border procedure contrary to the Procedures Directive 2013/32 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032) and the Reception Conditions Directive 2013/33 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32013L0033).

      The judgments led to a backlash, with PM Meloni and other members of the government accusing them of being politically motivated. One minister even published a video on social media showing a judge of the Catania Tribunal taking part in a pro-migrant rights demonstration in 2018, thus accusing her of partiality.

      Such political attacks (https://www.associazionemagistrati.it/doc/4037/lanm-sul-caso-catania.htm) must always be condemned, for they pose a significant threat to judicial independence and thus Italian democracy. Yet, they are particularly unwarranted given that the Catania Tribunal’s judges were correct in finding the new Italian border procedures incompatible with EU law.

      Detention as the Rule for Asylum Seekers

      The 2023 reform (https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2023-03-10&atto.codice) of Italy’s asylum system included the introduction of an accelerated border procedure which allows for the detention (https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-bestia-tentacolare) of asylum seekers „exclusively to determine the applicant’s right to enter the territory“ (Art. 6 bis, Law Decree 142/2015).

      This new procedure is applied when an asylum application is made „at the border or in a transit zone“ by a person who either a) evaded or attempted to evade border controls, or b) hails from a safe country of origin, which were determined by a Ministerial Decree in 2019 (https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2019/10/decreto_paesi_sicuri.pdf), later updated in 2023 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg).

      Another Ministerial Decree (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg) identified the „border and transit zones“ where the border procedure can be used, without providing a clear definition of these concepts nor explaining the distinction between them. Instead, it lists 16 provinces where the procedure applies (Trieste, Gorizia, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi, Caltanissetta, Ragusa, Syracuse, Catania, Messina, Trapani, Agrigento, Cagliari, and South Sardinia).

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/09/21/23A05308/sg). This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.

      [voir aussi: https://seenthis.net/messages/1018093]

      Following a recent increase in migrant flows from Tunisia, the Italian authorities extensively relied on the new border procedure to detain several Tunisian citizens on the ground that they come from a “safe country of origin” (https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-protezione-dei-cittadini-stranieri-provenienti-da-cd-paesi-sic). However, on September 29 (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf) and October 8 (https://www.questionegiustizia.it/data/doc/3650/2023-tribunale-catania-8-10-2023-non-convalida-oscurato.pdf), the Catania Tribunal issued a series of similar rulings in which it annulled the detention orders because they were in conflict with EU law. In the following sections, we analyze and expand the three main arguments advanced by the Tribunal, showing that they were largely correct in their findings that the new Italian border procedure exceeds what is permissible under EU law.

      The ‘Border’ under EU Law

      The first argument made by the Catania Tribunal regards the correct initiation of a border procedure. According to the judge, the procedure was not applied „at the border“, as understood by EU law (Art. 43 Directive 2013/32). Indeed, the applicants arrived and made their asylum application in Lampedusa (province of Agrigento) but the detention was ordered several days later in Pozzallo (Ragusa province) when the applicants were no longer „at the border.“ Because the border procedure (involving detention) was utilized at a later stage and in a different place, it was not appropriately initiated.

      In support of the Catania Tribunal’s conclusion, we should recall that Article 43 the Procedures Directive requires a spatial and temporal link between the border crossing and the activation of the border procedure (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032). Although the Directive does not define the terms „border“ or „transit zone“, it clearly distinguishes these areas from other „locations in the proximity of the border or transit zone“ (Article 43(3)), where applicants can be exceptionally accommodated but never detained. The distinction between the border and other places in its vicinity suggests that the procedure provided for in Art. 43 can only be applied in narrow and well-defined areas or in pre-identified transit zones (such as the Hungarian transit zones examined by the Court in FMS and Commission v Hungary).

      Other EU law instruments support this narrow interpretation of the “border” concept. Regulation 1931/2006 defines a „border area“ as a delimited space within 30 km from the Member State’s border. In the Affum case, the Court also called for a narrow interpretation of the spatial concept of „border.“ There, the Court clarified that the Return Directive allows Member States to apply a simplified return procedure at their external borders in order to „ensure that third-country nationals do not enter [their] territory“ (a purpose which resonates with that of Art. 8(3)(c) Reception Directive). However, such a procedure can only be applied if there is a „direct temporal and spatial link with the crossing of the border“, i.e. „at the time of the irregular crossing of the border or near that border after it has been crossed“ (par. 72).

      By contrast, under the Italian accelerated procedure, the border has blurred contours. The new procedure, relying on the “#fiction_of_non-entry” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/654201/EPRS_STU(2020)654201_EN.pdf), can be carried out not only „at“ the border and in transit zones or in areas territorially „close“ to the border, but in entire provinces in southern and northern Italy. This far exceeds the narrow definition of border or border area derived from EU law.

      The Regulation of Detention under EU Law

      The second argument of the Catania Tribunal turned on the lack of motivation for the detention orders. The applicants were detained solely because they were from Tunisia, did not submit a valid passport nor pay the bail. As such, the orders lacked any case-by-case assessment of the applicant’s individual circumstances, and they did not apply the proportionality and necessity principles, as prescribed by EU law under art. 8(2) Directive 2013/33 and art. 52 and 6 of the Charter.

      Indeed, even if a border procedure is correctly initiated, Italy’s new provisions on the detention of asylum seekers do not meet the requirements of Article 8(2) of the Reception Directive. According to the CJEU, this authorizes asylum seekers‘ detention “only where, following an assessment carried out on a case-by-case basis, that is necessary” and where other less coercive measures cannot be applied effectively. (ex multis, FMS, par. 258; VL, par. 102; M.A., par. 82).

      Italy’s norms contain no reference to the principles of necessity and proportionality nor to the need for a case-by-case assessment (Art. 6 bis D. Lgs. 142/2015). In so far as the Italian provisions allow for an automatic application of detention whenever the border procedure is activated, they are incompatible with Art. 8(2) of the Reception Directive. In light of the primacy and direct effect of EU law, Italian public authorities are required to give direct application to the principles of proportionality and necessity and to carry out an individual assessment, even if not directly foreseen by Italian law.
      The Possibility of Bail

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      Concluding Thoughts

      Several aspects of the new law foresee a system in which the border procedure is systematically applied, rendering detention the rule, instead of the exception. This follows from the geographic expansion of the “borders areas and transit zones”, the automatic (indiscriminate) application of the safe country of origin concept, the lack of a proportionality assessment, and the practical impossibility of applying the only alternative measure foreseen.

      More and more Italian courts are annulling detention orders, on the grounds that the Italian border procedure is in conflict with EU law. While the Italian government considers this an unacceptable form of judicial activism, this blog has shown that the judges’ concerns are well-founded.

      Member States’ courts are “EU law judges”, they must give precedence to EU law and general principles and set aside any incompatible national law. The recent personal attacks against some of the judges show that the government struggles to come to terms with this thick form of judicial review which takes seriously European and human rights standards.

      https://verfassungsblog.de/turning-the-exception-into-the-rule
      #exception #justice #détention #rétention #détention_administrative #décret #procédure_accélérée #garantie_financière #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros #tribunal_de_Catane #procédure_frontière #directive_procédures #zone_de_transit #proximité #distance #zone_frontalière #directive_retour #frontière_extérieure #fiction_de_non-entrée

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      La partie sur les frontières ajouté à cette métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
      https://seenthis.net/messages/795053

  • Touriste bloquée dans la zone de transit de l’aéroport de Francfort par ce qu’elle n’a pas de visa (sa destination : USA) :

    I have a flight from TUN to US thru Frankfurt and right when I make it to my layover in Frankfurt, @United
    texts me that the flight is canceled and that I’m rebooked for FRIDAY. There are no flights flying out of Frankfurt in the next days bc of a strike.

    All the white passengers get to leave the airport while PoC people with no German visas stay behind. All Lufthansa passengers get hotel vouchers. I get left behind. I am alone in a shut off terminal. All restaurants closed bc there are no flights operating.

    The only 2 security people working took my last bottle of water even tho I begged them to keep it bc everything is shut. Water vending machines are shut off.

    I go to the office of the federal police and request an emergency exit permit as it’s humanly impossible for me to spend Tues-Fri stuck at an international gate in a non operational airport with no aircrafts landing or taking off or no personnel or passengers around me. The police denies my permit and says they’ll grant it in case something (aka medical emergency) happens to me now if something was to happen, there isn’t anyone around me to alert them. I have no idea how I’ll spend tonight curled up on an airport bench with no fresh clothes, food, or water- or how I’ll continue to do this for the coming nights. All I’m here to say is borders are gross and passport discrimination is gross and this airport’s police is absolutely inhumane to non-visa carriers and the airlines are holding us hostage until further notice while every European/ USian walked out the door and got themselves a bed to sleep on and food to eat for the next few days.

    Finally, I am not surprised to say @United are absolutely useless.

    https://twitter.com/AnaneBelkis/status/1552154927044214785

    #aéroport #visa #horreur #non-assistance #zone_de_transit #limbe #immobilité

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    ajouté à la métaliste sur des cas de personnes bloquées dans les aéroports (en général, des exilé·es/demandeurs d’asile) :
    https://seenthis.net/messages/720652

  • Droit d’asile : la Hongrie condamnée par la justice européenne

    La #Cour_de_justice de l’Union européenne estime notamment que « la limitation de l’accès à la procédure de protection internationale » constitue « des manquements au droit de l’Union ».

    La Hongrie a été condamnée, jeudi 17 décembre, par la Cour de justice de l’Union européenne (UE) pour avoir violé le droit européen en matière d’asile, avec la mise en place de « zones de transit » à sa frontière avec la Serbie.

    La Cour estime que « la limitation de l’accès à la procédure de protection internationale, la rétention irrégulière des demandeurs de cette protection dans des zones de transit ainsi que la reconduite dans une zone frontalière de ressortissants de pays tiers en séjour irrégulier, sans respecter les garanties entourant une procédure de retour, constituent des manquements au droit de l’Union », selon un communiqué.
    Des « zones de transit » mises en place en 2015

    La Cour de justice de l’UE avait exigé en mai la libération des demandeurs d’asile se trouvant dans des camps de ces zones de transit à la frontière avec la Serbie, estimant qu’ils étaient retenus sans motif valable. Ce qui avait conduit la Hongrie à évacuer ces camps controversés.

    Les « zones de transit » de Röszke et Tompa ont été mises en place après que la Hongrie a érigé des clôtures barbelées le long de sa frontière avec la Serbie et avec la Croatie, en 2015, lors de la crise migratoire.

    https://www.lemonde.fr/international/article/2020/12/17/droit-d-asile-la-hongrie-condamnee-par-la-justice-europeenne_6063704_3210.ht
    #justice #cour_de_justice #asile #migrations #réfugiés #condamnation #CJUE #Hongrie #zones_de_transit #frontières #zone_de_transit #Röszke #Tompa #murs #barrières_frontalières

    • La Hongrie condamnée par la justice européenne pour sa politique d’asile

      La Hongrie a été condamnée jeudi par la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) pour avoir enfreint le droit européen en matière d’asile. Il s’agit de la troisième condamnation cette année de la CJUE envers le gouvernement de Viktor Orban.

      C’est un nouvel affront pour la politique anti-migrants du président hongrois Viktor Orban. La Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) a condamné Budapest jeudi 17 décembre pour avoir enfreint le droit de l’UE en matière d’asile.

      https://twitter.com/EUCourtPress/status/1339490322661990402

      Il s’agit de la troisième condamnation cette année de la CJUE envers le gouvernement de Viktor Orban. La Cour avait déjà jugé en mai que les demandeurs d’asile étaient retenus sans motif valable dans des camps situés dans des « zones de transit » à la frontière avec la Serbie, et exigé qu’ils puissent en sortir. Ce qui avait conduit le gouvernement hongrois à fermer ces camps controversés, ouverts en 2015.

      Hostile à l’accueil des demandeurs d’asile, la Hongrie avait également été condamnée en avril – tout comme la Pologne et la République tchèque - pour avoir refusé un quota d’accueil de réfugiés décidé dans le cadre du programme lancé en 2015 de répartition par État membre de dizaines de milliers de demandeurs d’asile.
      La Hongrie a manqué à « ses obligations »

      Jeudi, la CJUE s’est prononcée sur le recours introduit en 2018 par la Commission européenne contre « une partie substantielle » de la réglementation hongroise sur les demandes d’asile et sur le retour des migrants en situation irrégulière.

      La Cour a estimé que Budapest, en exigeant que les demandes d’asile ne soient présentées que dans une zone de transit et en limitant drastiquement le nombre de demandeurs autorisés à pénétrer dans ces zones, « a manqué à son obligation d’assurer un accès effectif à la procédure d’octroi de la protection internationale ».

      La CJUE a également confirmé que l’obligation faite aux demandeurs de demeurer dans une zone de transit durant toute la procédure d’examen de leur demande constitue une rétention. Et que cette rétention, « en raison notamment de son caractère généralisé et automatique », ne respecte pas les garanties prévues par le droit européen.
      « L’une des pratiques les plus honteuses de la politique hongroise »

      « Le verdict d’aujourd’hui mettra, espérons-le, un terme à l’une des pratiques les plus honteuses de la politique d’asile hongroise » a réagi dans un communiqué András Kristóf Kádár, co-président du Comité Helsinki hongrois une ONG qui a représenté les demandeurs devant la CJUE. « Depuis l’été 2016, le Comité Helsinki hongrois a documenté les violations causées par le refoulement. Depuis le début, nous avons attiré l’attention du gouvernement, de la police et du médiateur sur le fait que les refoulements sont en violation des obligations internationales de la Hongrie. Dans de nombreux cas, les victimes ont fait état de mauvais traitements extrêmement graves liés aux mesures de rétorsion », a-t-il ajouté.

      « À la suite de la décision de la Cour, le gouvernement hongrois est contraint de soumettre des propositions d’amendements au Parlement pour se conformer au droit européen. Dans l’intervalle les autorités hongroises doivent s’abstenir de tout nouveau refoulement », a précisé András Kristóf Kádár.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/29175/la-hongrie-condamnee-par-la-justice-europeenne-pour-sa-politique-d-asi

  • CJUE | Hongrie, les zones de transit doivent être qualifiés de “rétention”
    https://asile.ch/2020/05/22/cjue-hongrie-les-zones-de-transit-doivent-etre-qualifies-de-retention

    La Cour de justice de l’Union Européenne (CJUE) a rendu le 14 mai 2020 une décision importante qualifiant les “zones de transit” situées en Hongrie comme de la “rétention”. La CJUE avait été saisie par des migrants iraniens et afghans, détenus depuis plus d’un an dans un camp de la « zone de transit » de Röszke […]

  • Migrants au pays d’Orbán : ces « #prisons_maternelles » remplies d’enfants

    Dans les « #zones_de_transit » hongroises où sont enfermés les demandeurs d’asile, les enfants sont majoritaires. Avant 2017, les autorités pouvaient les garder un mois, elles n’ont plus de limites aujourd’hui. Troisième volet de notre série sur les #mineurs étrangers aux portes de l’UE.

    « Désolé de ne pas vous avoir rappelé plus tôt… J’étais malade, j’ai dû être emmené chez le médecin hier. » À l’autre bout du fil en Hongrie, Reza, 17 ans, la voix grave encore adolescente, répond dans un anglais balbutiant : « Depuis que ma dernière demande d’asile a été rejetée il y a trois jours, je ne dors plus… Le médecin m’a donné des comprimés en me disant de ne pas stresser, mais c’est dur. »

    Grâce au selfie qu’il nous a envoyé, on l’imagine passer sa main dans ses cheveux noirs soigneusement peignés en arrière, serrer sa doudoune bleu marine contre lui dans le froid glacial de janvier. Il y a comme un décalage entre le look de l’ado apprêté et le décor carcéral du cliché. La photo aurait dû être prise dans le couloir d’un lycée, dans sa chambre ou au ciné, ailleurs, n’importe où sauf devant ces immenses barrières en métal, surmontées de fils barbelés, éclairées par la lumière crue des projecteurs. « Je pense sans arrêt au futur, je revois le passé, déverse-t-il dans le combiné. Ici, votre esprit n’est pas libre, il tourne sans cesse. Trop de réflexion, c’est comme une bombe dans la tête. »
    Le jeune Iranien a passé en janvier 2019 les grilles de la zone de transit de Röszke, un centre à la frontière sud de la Hongrie où sont enfermés les demandeurs d’asile, pour déposer sa requête en même temps que son oncle, sa tante et leurs deux enfants. Menacée, toute sa famille a rapidement obtenu le statut de « réfugié protégé » (l’équivalent de l’asile en termes de droits). Sauf lui. « Les autorités ont jugé que la relation oncle-neveu n’était pas établie », explique son avocate Timea Kovàcs, qui défend plusieurs personnes à Röszke pour le compte du Comité Helsinki, une des rares ONG à informer sur les zones de transit (bien que le gouvernement de Victor Orbán l’en ait bannie). « Elles l’ont séparé de sa famille, son seul repère stable. Elles ont fait de lui un mineur isolé. » Le seul mineur non accompagné de toute la zone de transit. L’adolescent vulnérable dispose d’un secteur entier pour lui tout seul. « Je l’appelle “Reza Land”, sourit son avocate. Il est le petit prince de son royaume. »

    S’il est alors le seul mineur isolé, Reza est loin d’être le seul enfant de Röszke. Budapest ne publie aucune donnée officielle, mais le Comité Helsinki estime qu’entre 350 et 400 personnes sont enfermées à Röszke et Tompa (autre zone de transit, voisine de 50 kilomètres), et parmi elles, une majorité d’enfants. Bernadett Szél, ancienne députée du parti vert-libéral devenue « sans étiquette », qui s’est rendue sur place en décembre 2019 et a pu consulter les registres de la police, affirme à Investigate Europe que 57 % des personnes enfermées à Röszke sont des enfants (99 sur 175 sont des mineurs accompagnés, un seul est mineur isolé – Reza, au moment de cette enquête). Une particularité si frappante que la députée n’a pas manqué de dénoncer cet état de fait publiquement.
    « Comme ni les journalistes, ni les ONG, ni même les émissaires des Nations unies ne sont autorisés à entrer dans les zones de transit, raconte-t-elle, c’est moi qui ai révélé qu’elles étaient en majorité peuplées d’enfants. Quand je suis arrivée là-bas, il y avait des petitspartout qui jouaient dans la saleté.C’était tellement frappant que je les ai appelées “les prisons maternelles”. »

    Le gouvernement a préféré les baptiser « zones de transit ». Construites en 2015 à la frontière entre la Serbie et la Hongrie, au plus fort de la crise de l’accueil des migrants, Röszke et Tompa ont été pensés comme de véritables filtres à demandeurs d’asile – pendant la pandémie de Covid-19, aucun demandeur n’est même plus admis à l’intérieur et les personnes s’entassent côté Serbie dans un camp de fortune.

    Fonctionnant comme des clapets en temps normal, ces prisons qui ne disent pas leur nom, sont ouvertes côté Serbie et fermées côté Hongrie. Un système pervers qui permet au gouvernement mais aussi à la Cour européenne des droits de l’homme (CEDH) d’affirmer qu’il ne s’agit pas de détention. Après tout, les personnes sont libres de repartir dans l’autre sens. Un choix impossible, en réalité : en quittant la zone de transit sans la réponse à leur requête, elles perdent à jamais le droit de faire une autre demande d’asile dans l’Union européenne.
    À Röszke et Tompa, Budapest ne s’est pas contenté de créer un énième centre de détention pour migrants, comme il en existe des dizaines en Europe. Les autorités hongroises ont inventé un véritable système carcéral visant à décourager celles et ceux qui se présentent aux frontières du pays depuis quatre ans.

    Même pénétrer dans les zones relève du parcours du combattant. Chaque jour de la semaine, seulement une personne est autorisée à passer le tourniquet de l’entrée. Dix chaque semaine, si on additionne les quotas des deux zones de transit (les week-ends sont chômés). Les autres, hommes, femmes, enfants, prennent un numéro dans la file et patientent des mois dans les camps de fortune plantés de l’autre côté des grillages, en Serbie.
    Les rares « élus » sont fouillés, leurs empreintes sont prises et croisées avec les bases de données criminelles internationales. On leur attribue ensuite « un logement » sous la forme d’un conteneur métallique et ils ont le droit de patienter là en attendant que leur demande soit étudiée. Un concept qui légalise la détention systématique des demandeurs d’asile, rigoureusement interdite par le droit international et communautaire, comme n’ont pas manqué de le dénoncer Amnesty International et le Haut- Commissariat aux réfugiés (HCR) de l’ONU. Mais en dépit des condamnations internationales, Budapest est restée droite dans ses bottes.

    Depuis 2017, tous, y compris les familles avec enfants, mineurs isolés au-dessus de 14 ans, par tous les temps, sont parqués dans ces 324 boîtes métalliques (les mineurs en dessous de 14 ans sont envoyés au centre social voisin de la ville de Fót).
    Andras Lederer, du Comité Helsinki Hongrie, estime que les demandeurs d’asile passent en moyenne 400 jours dans les zones de transit, 300 jours pour les mineurs isolés, le record de 458 jours appartenant à une famille avec enfants qui était encore enfermée à Röszke en décembre dernier. Un an et trois mois dans un conteneur... Pas de quoi inquiéter les autorités : depuis deux ans, le législateur a supprimé la limite de détention des mineurs, fixée auparavant à 30 jours.

    Dans le plus grand silence des institutions européennes, en Hongrie, désormais, des enfants peuvent être enfermés sans limitation de durée, le temps du traitement de leur demande d’asile.

    Enfermés à Röszke depuis un an et un mois au moment de notre enquête, Abouzar Soltani et son fils, Armin, 10 ans, ne savent pas quand ils quitteront leur conteneur. Cheveux longs ramenés dans un catogan et grands yeux noirs, cet ancien décorateur iranien a fui le pays des mollahs il y a trois ans, car« il refusait depenser comme tout le monde ». Il s’est rendu célèbre dans toute la zone de transit en filmant au téléphone portable le quotidien de son fils et « son enfance volée » derrière les barreaux de la zone. Au bout de quelques semaines passées dans le conteneur, Armin, petit garçon brun et joufflu« plein de vie », avait commencé à arrêter de parler et de jouer. Son père a donc eu l’idée de le distraire de cette façon.« Le temps passe dans cet endroit, lent comme un escargot », dit-il. Les enfants n’ont rien à faire que« dessiner, jouer sur les téléphones portables, dormir et rêver ». Grâce au documentaire, le réalisateur en herbe lui donne aussi l’occasion de s’exprimer :« Je ne comprends pas pourquoi les adultes veulent nous cacher le monde avec des fils barbelés », interroge Armin à l’image.

    En novembre dernier, le film qui a réussi à passer clandestinement les barrières de la zone de transit a été présenté à Verzio, le festival italien du documentaire des droits humains. Rien qui ne fasse plier les autorités hongroises, qui continuaient, au moment de notre enquête, à débouter la famille Soltani de ses différentes procédures judiciaires intentées contre l’État pour vices de forme dans leur dossier. Au contraire, Budapest veut à ce point les pousser à quitter la zone de transit qu’elle les a sciemment affamés pendant plusieurs jours, avant que la CEDH, saisie en urgence par le Comité Helsinki, n’ordonne qu’ils soient immédiatement nourris.
    Affamer les familles fait partie des techniques régulièrement utilisées dans les zones de transit. Les directions de Röszke et Tompa réservent ce traitement particulier aux personnes dont la demande a été rejetée et qui ont lancé un recours contre leur arrêté d’expulsion, comme Abouzar et son fils. La logique est implacable : comme ils ne sont plus demandeurs d’asile, le gouvernement considère qu’il n’a plus à leur fournir la nourriture. Lajos Kósa, député de la majorité, ironisait ainsi devant le Parlement : « 10millions de touristes entrent en Hongrie chaque année, le gouvernement ne les nourrit pas non plus ! »

    Lors de sa visite à Röszke, Bernadett Szél, la députée de l’opposition, a pu constater comment les personnes sont affamées de manière systématique. « Lorsqu’une demande d’asile est refusée, nous explique-t-elle, la famille est emmenée dans un autre secteur où elle ne reçoit plus de nourriture. » À l’heure des repas, les enfants sont emmenés dans une salle à part pour être nourris par les gardes, mais « certains sont si stressés qu’ils ne peuvent pas manger ». La parlementaire a assisté à une scène cruelle où les gardes forçaient les enfants à jeter les biscuits qu’ils avaient fourrés dans leurs poches pour les apporter à leurs parents affamés.

    La « procédure d’immigration », comme les autorités hongroises appellent le fait de priver les personnes de nourriture, dure rarement au-delà de trois jours. Car soixante-douze heures, c’est le délai nécessaire qu’il faut aux avocats du Comité Helsinki pour saisir en urgence la Cour européenne des droits de l’homme (CEDH). Celle-ci ordonne ensuite à Budapest de nourrir à nouveau ses prisonniers.

    Depuis août 2018, l’ONG a gagné 17 affaires de ce type devant la CEDH et permis à 27 personnes de récupérer leur droit à la nourriture. Notamment un père afghan de trois enfants et une femme avec une grossesse à risque, cite le Comité. Des décisions qui jusque-là n’ont pas fait jurisprudence, car la Hongrie considère que la juridiction internationale s’est seulement prononcée sur des cas spécifiques et n’a pas remis en cause l’entièreté du système.

    Le 1er janvier 2020, après plus d’un an de captivité à Röszke, Reza, l’adolescent iranien, était transféré à Tompa, l’autre zone d’attente. Sans explication, les autorités hongroises ont estimé qu’il avait désormais atteint l’âge de 18 ans, la majorité. Le petit prince de Röszke était désormais enfermé avec les adultes célibataires. Il venait de quitter l’enfance, le temps d’une décision administrative, sans même s’en apercevoir.

    Boite noire

    Cette enquête a été réalisée au début de l’année 2020, avant la pandémie de Covid-19. Retrouvez l’ensemble de la série ici.

    Investigate Europe est un collectif de journalistes basés dans plusieurs pays d’Europe, travaillant sur des enquêtes en commun.

    Pour ce projet intitulé « Mineurs migrants en détention », ont collaboré : Ingeborg Eliassen (Norvège), Stavros Malichudis (Grèce), Maria Maggiore (Italie), Nico Schmidt (Allemagne).

    https://www.mediapart.fr/journal/international/110520/migrants-au-pays-d-orban-ces-prisons-maternelles-remplies-d-enfants

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    Voir aussi la vidéo How Europe detains minor migrants https://www.youtube.com/watch?time_continue=17&v=G_Tyey4aFEk&feature=emb_logo

    & the report The United Nations Global Study on Children Deprived Liberty https://childrendeprivedofliberty.info/wp-content/uploads/2020/01/Full-Global-Study-Nov-2019.pdf

    #Hongrie #asile #migrations #réfugiés #enfants #enfance #rétention #détention_administrative #zone_de_transit #mineurs_étrangers

  • No man’s land at Paris airport: Where France keeps foreigners who’ve been refused entry

    Every day, foreigners suspected of trying to enter France illegally are taken to a special area of Paris’s Charles de Gaulle airport where they are held at a facility dubbed #ZAPI. Located just a stone’s throw away from the airport’s runways, the ultra-secure area is closed to the general public. NGOs say ZAPI is just another name for a prison, where foreigner’s rights are flouted and where expulsions are fast-tracked. InfoMigrants was granted exclusive access to it.

    Audrey is pulling funny faces at the little girl she’s holding in her arms. “She’s not mine,” she says, and points to the girl’s mother who is sitting on another bench just a few metres away. “I’m just playing with her to pass the time,” she says. Twenty-eight-year-old Audrey from Gabon currently lives inside the four walls of the Charles de Gaulle airport’s “waiting zone”, or ZAPI, where people who have been refused entry onto French territory are being held while authorities decide what to do with them.

    Audrey’s laugh is barely audible. Neither is that of the little girl. The loud noise of the aircraft that just touched down some 50 metres away from them have drowned out all the surrounding sounds. “The noise, it’s hard… It prevents us from sleeping, we hear the planes all the time…,” the young woman complains without even looking at the giant aircraft whose wings are now gracing the fence of ZAPI.

    This tiny piece of no man’s land lies just next to one of the airport’s runways. “ZAPI is a bit like a protrusion of the international zone,” Alexis Marty explains, who heads up the immigration department at the French border police (PAF). In legal terms, the zone is not deemed to be a part of French territory. “It’s a zone where people end up when they’ve been refused entry into France and the Schengen area” by not having a visa, or because there are suspicions that their travel documents have been forged… Audrey, who’s been there for nearly a week, recalls how she was intercepted just as she was getting off the plane. She says she was placed at ZAPI because she didn’t have a “hotel” and “not enough money”.

    To visit France for a period lasting up to three months, foreigners need to fulfill certain conditions before being allowed to touch French ground: They need to have a valid passport, a visa (depending on the nationality), a medical insurance covering their stay, proof of lodging (hotel reservation or with family members), enough funds to cover their stay as well as a return ticket.

    Ill-prepared tourists or illegal immigrants?

    Foreigners who are stopped by customs officers because they don’t fulfill the conditions linked to their stay generally end up at ZAPI. “We don’t send everyone there,” Marty explains, however, pointing to certain nuances. “There are confused tourists who’ve just prepared their vacations really poorly, and who’ve forgotten essential documents. But there are also those who have different intentions, and who produce forged documents to try to enter European territory illegally.”

    It’s difficult to tell an ill-prepared tourist and a potential illegal immigrant apart. This is why the verification is done in several steps. “We don’t send people to ZAPI right away, we first carry out an initial check. When a suspicious person steps out of the plane, we bring them into a separate room to verify their documents, to ask them questions, listen to their replies and to verify any additional information they give us. If all goes well, we release them after a few hours,” he explains. “But if the incoherencies and the doubts persist, if the person produces fake documents or no documents at all, if a ‘migration risk’ exists for the person, we place them in ZAPI.”

    On this particular October day, the airport’s “waiting zone” houses a total of 96 people, of which one is an unaccompanied minor. The number of people changes on a daily basis. “Generally, a person spends four and a half days at ZAPI, so the rotation is pretty fast,” police commander Serge Berquier, who is the head of ZAPI, says. The maximum time a person can stay there is 20 days. Men, women and children – even minors traveling on their own – may be sent there. There is no age limit.

    After a three-week stay, a so-called “ZAPIst” is left with three options: Either they are finally granted entry into France (with a safe conduct), they are sent back to the country they traveled from, or a legal case is opened against them (for refusing to board, for forging documents, etc.). In 2016, some 7,000 people were held at the airport at some point, of which 53 percent were immediately refused entry into France.

    While “ZAPIsts” wait for their fates to be decided, they do what they can to kill time. They stroll in the outdoor space, they stay in their rooms, or they hang out in the TV room. The PAF makes a point of clarifying that the “ZAPIsts” are not “detainees” but rather “retainees”. This means that they have rights; family members can visit, they have access to catering services and can get legal and humanitarian assistance from the Red Cross which has a permanent presence at the facility.

    “It’s not a prison,” Marty says. “Here, you can keep your personal belongings, your mobile phone, you can go in and out of the rooms as much as you like. The only restriction is that you’re not allowed to exit the premises.”

    It may not be a prison, but it’s definitely a place of deprivation. Not all mobile phones are allowed, and those equipped with a camera are confiscated automatically.

    It’s 11.45am, but no one seems to be around on the ground floor. The TV is on in the communal room, but there’s no one there to watch it. No one is using the public payphones which are available to the “ZAPIsts” 24/7. On the first floor, where the rooms are located, the hallways are more or less empty. “They’re most likely downstairs, in the canteen, lunch will be served soon,” a police officer says. “Otherwise they might be outside, in the garden, talking or smoking.”

    The police presence is fairly discrete on the floor with the rooms, but every now and then the police officers can be heard calling someone through the loud-speakers that have been installed in the building. “We use it to call people who have a visit or a meeting. It helps us avoid having to run through the hallways to find them,” Berquier, the head of ZAPI, explains while showing us around the premises. “There are 67 rooms. Some are reserved for families, and others for people with reduced mobility […] There’s also an area reserved for unaccompanied minors and an area with games for them and for families.”

    La ZAPI compte au total une soixantaine de chambres Crdit InfoMigrants

    ‘Things can be improved’

    The atmosphere at ZAPI is calm, almost peaceful. Until Youssef, an Algerian who’s been held there for four days, turns up. He seems to be on his guard, and appears quite tense. “I’m still waiting for my suitcase, I don’t have any clothes to change with,” he complains and lights a cigarette. “The Red Cross is helping me out.” It can take several days for a person who’ve been placed in ZAPI to have their personal belongings returned to them. Checked-in luggage first has to be located and then controlled… During this period, the Red Cross does what it can in terms of clothing, offering T-shirts and underwear.

    Marty finds the situation with the luggage deplorable. “It’s evident that not everything is perfect, there are things that can be improved,” he admits. “To have a suitcase speedily returned to someone at ZAPI is among the things where progress can be made.”

    Returning home

    Audrey from Gabon and Youssef from Algeria, who have both found themselves blocked in this no-man’s land, have more or less the same story to tell. Both of them claim they came to France to visit family, insisting they did not intend to enter the country illegally. “But now, my situation isn’t very good,” the young woman says. Did she really come for the “tourist visit” she claims? Or did she try her chance at entering France by sneaking through the controls (customs)? It’s hard to know. The police have the same doubts when it comes to Youssef. “I came here to visit family, but I had a problem with my return ticket which didn’t match my visa,” he explains. Youssef says he wants to try to regularize his documents – “to buy a return ticket that conforms to the conditions” – in order to leave ZAPI and thereafter enter France. Audrey, on the other hand, says she has “given up”. She wants to go home now.

    The PAF sometimes comes across “people who ask to go home because they understand that their entry into France is compromised,” Marty explains. The costs of such returns are normally taken out of the pocket of the airline that flew the foreigner in question to France in the first place, and is undoubtedly a way for authorities to sanction the airlines and force them to be more vigilant when it comes to checking their passengers’ travel documents.

    The risk of failing an attempt to enter a country illegally is often higher for those who try to do so via air travel. “It’s an expensive trip, you have to pay for the ticket as well as the forged passport you need to fool the authorities, and this is before having to take the rigorous controls at the airports into account,” Marty says.

    The nationalities of migrants arriving by plane are often different from those who try to reach Europe by sea or by land. “The people at ZAPI are mainly from South America, Honduras, Brazil, and Nicaragua. Also from China and Russia. Some also come from North Africa and Sub-Saharan Africa, but they are fewer in numbers.” On this particular day, the people in ZAPI’s courtyard are from Gabon, Chad, Sri Lanka, Turkey, Morocco, Tunisia, Algeria, and South America.

    ’The aim is to deport’

    ZAPI also houses people seeking asylum. “There are people who demand protection in France as soon as they step off the plane,” Marty explains. “They tell border police […] Everything has been organized so that they know they have the right to demand asylum and that we’re ready to help them in their attempt to do so.”

    Charlene Cuartero-Saez works for Anafé, an association that helps foreigners who have been blocked between borders, and which has an office at ZAPI. She almost chokes when she hears the “model” description of the facility that Marty has given, saying it is far from the benevolent place he has been talking about.

    Cuartero-Saez has her desk in room 38 of the building, which has been converted into an Anafé office, Cuartero-Saez lists the different dysfunctions of the place: the poor ventilation, the restricted outdoor access, cameras in the communal areas, no laundry room… “It’s true that here, the material conditions are less difficult than elsewhere. Charles de Gaulle’s ZAPI is a bit like the display window for other ‘waiting zones’ in France. But that doesn’t prevent people from having their rights flouted, especially here.”

    ’Some are sent back just a few hours after their arrival in France’

    “[Police] say that people are informed of their rights in their native language, but in my opinion that is not always true. Many [officers] work on the principle that if the migrants speaks a few words of English, he or she doesn’t need an interpreter.”

    Anafé is also alarmed over the fast-speed returns of “ZAPIsts” – despite the existence of a “clear day” which normally gives a person 24 hours of respite at ZAPI. “This ‘clear day’ exists, yes, but you only get it if you ask for it! Many people don’t even know what it is,” Cuartero-Saez says. “There have been cases where people have been sent back to their countries just a few hours after arriving in France.”

    The law stipulates that asylum request can be filed at any moment – and thereby suspending an imminent deportation. In those cases, an Ofpra official comes to ZAPI to carry out a pre-assessment of the person’s request. The interview doesn’t decide on the asylum application itself, but evaluates the pertinence of the demand. A decision should be made within 20 days. If the demand is rejected, a deportation is imminent. A person filing a demand for asylum while at ZAPI can therefore receive a definite response within just a few days, whereas the average waiting time in France is between two and eight months or even more, depending on the case.

    Ces trois jeunes Sri-Lankais ont dpos une demande dasile aux frontires Crdit InfoMigrants

    “The aim of keeping [people in] this waiting area is to be able deport them, Cuartero-Saez states, and gives three asylum-seeking Sri Lankans who are currently staying at ZAPI as an example. The three men – all under the age of 30 – are in the courtyard and explain how they fear for their lives because they’re members of the separatist Tamil Tigers (LTTE) movement. All three have just been notified that their demands for asylum have been rejected.

    They show their rejection letters while seated on a bench in the sunshine. They speak neither French nor English and they don’t seem to know what to do next. They’ve been there for two weeks now. “We told them that they can appeal the decision. They didn’t know they could do that, no one had informed them of that,” Cuartero-Saez says.

    The three Tamils appear to be quite lost. They don’t seem to understand that they could face imminent deportation. In five days’ time, their retention at ZAPI will expire. “We don’t want to go back to Sri Lanka,” they say smiling. “We want to stay in France.”

    Aja, from Chad, and her two small daughters are in the same situation. They have been held at ZAPI for four days. Aja doesn’t want them to be returned to Chad, but she doesn’t want to demand asylum either. “I think I had a problem with money… That’s why they’re keeping me here. I’m here as a tourist,” she says, but adds that she “would very much like” to stay in France if it was possible. Because of this deadlock, she and her daughters also risk deportation.

    For those staying at ZAPI, the place is not synonymous with neither violence nor mistreatment but rather anxiety. At any given moment, PAF officers can try to force someone at ZAPI onboard a plane. “We have examples of people who don’t manage to register their asylum request in time,” Cuartero-Saez at Anafé says. “When the demand hasn’t been registered, the process is never launched… And so, without recourse, a person can be sent back in less than four days without even knowing his or her rights.”

    http://www.infomigrants.net/en/webdoc/146/no-man-s-land-at-paris-airport-where-france-keeps-foreigners-who-ve-be
    #Paris #aéroport #zone_de_transit #limbe #asile #migrations #réfugiés #déboutés #renvois #expulsions #détention #rétention #détention_administrative

  • Gestrandet im Terminal – diese Kurden leben seit 49 Tagen im Transit des Flughafens Zürich

    Vier kurdische Familien wollen in der Schweiz Asyl beantragen. Unbemerkt von der Öffentlichkeit stecken sie in der Transitzone des Flughafens Zürich fest – teilweise seit sieben Wochen. watson hat sie vor Ort besucht.

    «I am going home» – «Ich gehe nach Hause», sagt Tom Hanks in seiner Rolle als Viktor Navorski am Ende des Hollywood-Blockbusters «Terminal» von Steven Spielberg. Er spielt einen im New Yorker Flughafen JFK gestrandeten Touristen aus Osteuropa. Als in seiner Heimat ein Bürgerkrieg ausbricht, wird Navorskis Pass ungültig. Er harrt neun Monate im Transitbereich aus, bevor er endlich wieder nach Hause darf.

    Die Realität der acht kurdischen Kinder und Jugendlichen, vier Frauen und acht Männer, welche sich teilweise seit 49 Tagen im Transitbereich des Flughafens Zürich aufhalten, hat wenig mit Spielbergs Komödie zu tun. In ihren Gesichtern spiegeln sich Anspannung, Müdigkeit, Angst und Apathie.

    Mithilfe eines günstigen One-Way-Tickets verschafft sich das watson-Reporterteam Zugang zum Transitbereich. In einem öffentlichen Wartebereich hinter der Passkontrolle für die B- und D-Gates sitzen die Gestrandeten in kleinen Gruppen verteilt auf Stühlen. Teilweise tragen sie weisse Hausschuhe aus Filz, wie man sie aus Hotels kennt. Gesprochen wird nicht viel. Die Blicke sind ins Leere gerichtet oder aufs Smartphone.
    «Helfen uns, so gut wir können»

    Ein kleines Mädchen drückt sein Gesicht an die Glastüre für das Flughafenpersonal am Rand des Wartebereichs. Immer wieder klopft sie mit ihren kleinen Fäusten ans Glas. Die Angestellten, für welche sich die Türe dank Badge automatisch öffnet, schenken dem Mädchen ein Lächeln oder streichen ihm übers Haar. Doch rauslassen dürfen sie das Kind nicht. Ihm und den anderen Asylbewerbern wurde die Transitzone des Flughafens als Aufenthaltsort zugewiesen, für die Dauer der Überprüfung ihrer Asylgesuche.

    Bis zu 60 Tage können sie laut Gesetz in der Transitzone festgesetzt werden. In dieser Zeit leben sie in der dort von der Asylorganisation Zürich (AOZ) im Auftrag des Staatssekretariats für Migration (SEM) betriebenen Asylunterkunft im Transit. Sie versteckt sich hinter einer unauffälligen Tür in einem Korridor, der zu einer Lounge für Business-Passagiere führt.
    Die vier Familien und die fünf alleine geflüchteten Männer haben sich vor ihrer Ankunft in Zürich nicht gekannt. Doch man versucht sich gegenseitig so gut zu helfen, wie es geht.

    Im Wartebereich gibt sich ein Mann in seinen Dreissigern mit Dreitagebart und Brille als unsere Kontaktperson zu erkennen. Es ist Mustafa Mamay, ein kurdischer Journalist aus der Türkei. Via WhatsApp ruft er eine Bekannte an, welche das Gespräch vom Kurdischen ins Englische übersetzt. Zunächst bedankt er sich für unseren Besuch. Er ist froh, dass sich jemand für die Situation der Gruppe interessiert und gibt bereitwillig Auskunft.

    Der Alltag in der Transitzone sei für alle belastend, sagt Mamay. Die vier Familien und die fünf alleine geflüchteten Männer, insgesamt 20 Personen, hätten sich vor ihrer Ankunft in Zürich nicht gekannt. Doch man versuche sich gegenseitig so gut zu helfen, wie es geht. Die Einöde des Alltags, die engen Platzverhältnisse, der hohe Lärmpegel in den Gemeinschaftsräumen. «Alle Männer schlafen in einem Raum und alle Frauen und Kinder in einem anderen. Fenster gibt es dort keine», so Mamay. Der einzige Fernseher im Speisesaal biete wenig Zerstreuung, da man angesichts der Gesprächslautstärke kaum etwas höre.
    «Kinder müssen oft weinen»

    Besonders für die Kinder sei es hart: «Ihnen macht das Eingeschlossen-Sein besonders zu schaffen.» Das jüngste Mitglied der kurdischen Gruppe ist ein einjähriges Mädchen. Insgesamt acht Minderjährige sind darunter. Viele von ihnen könnten nicht gut schlafen, hätten keinen Appetit und die wenigen Spielzeuge würden sie nach kurzer Zeit beiseitelegen, sagt Mamay. «Sie müssen oft weinen und sehnen sich danach, draussen spielen zu können.»

    Manchmal unternehmen die Mitglieder der Gruppe kleine Spaziergänge durch den Transitbereich. Hin und wieder leisten sie sich etwas Kleines vom Kiosk, doch viel Geld haben sie nach der teuren Flucht nicht zur Verfügung. Für die Erwachsenen ist das Smartphone das wichtigste Beschäftigungsmittel. Um die Computer im Wartebereich vor ihrer Unterkunft nutzen zu können, fragen sie Reisende nach ihren Flugdaten. Denn Zugang zu den PCs gibt es nur mit einer gültigen Boardingkarte.
    «Die Kinder müssen oft weinen und sehnen sich danach, draussen spielen zu können.»

    Mustafa Mamay

    Die gemeinsam in der Asylunterkunft eingenommenen Mahlzeiten geben dem ereignislosen Alltag ein wenig Struktur. Doch als die Betreuerin der Asylunterkunft Mamay während unseres Gesprächs zum Mittagessen bittet, lehnt er ab: «I’m not hungry». Viel wichtiger ist für ihn in diesem Moment das Gespräch mit den watson-Reportern – auch wenn diese bis zum Ende der Mittagspause gewartet hätten. Damit gibt es für Mamay nach dem Morgenkaffee erst am Abend den ersten Bissen zwischen die Zähne. Denn nach den Essenszeiten würden die Nahrungsmittel jeweils weggeschlossen, erklärt er.
    In der Türkei droht Gefängnis

    Am meisten Mühe machen Mustafa Mamay und den anderen die Unsicherheit über die eigene Situation. Mamay ist mit dem Flugzeug aus Südafrika nach Zürich gereist – wie die meisten anderen auch. Zwei Männer sind via Brasilien in die Schweiz eingereist.

    In der Schweiz gelandet, stellten sie sofort ein Asylgesuch. Oftmals wählen kurdische Flüchtlinge solche Routen, weil sie für die direkte Einreise aus der Türkei oder dem Irak ein Visum benötigen, das ihnen nicht ausgestellt wird. Die einzige Möglichkeit ist, über ein anderes Land und von dort aus mit einem Transitflug in die Schweiz zu fliegen. Doch ihre Hoffnungen auf Zuflucht in der Schweiz haben sich bisher nicht erfüllt. Auf die Asylgesuche, die bereits überprüft worden sind, ist das SEM nicht eingetreten. Die Begründung der Migrationsbehörde: Die Einreise sei über einen sicheren Drittstaat erfolgt, in dem sie ein Asylgesuch hätten stellen können.

    Die Fluchtgründe der Kurden widerspiegeln das Schicksal ihres Volkes. Journalist Mamay wurde in der Türkei zu sechs Jahren und drei Monaten Gefängnis verurteilt, weil er als Student ein Statement zur Unterstützung der pro-kurdischen Partei DTP unterzeichnet hatte. Im repressiven Klima wurde er bei seiner Arbeit bedroht. Er floh nach Rojava, dem damals kurdisch kontrollierten Gebiet in Nordwestsyrien. Nach der Invasion türkischer Truppen sei es für ihn auch dort nicht mehr sicher gewesen, sagt Mamay. Die Schweizer Journalistengewerkschaft Syndicom und die European Journalist Federation fordern die Schweiz auf, ihn nicht wegzuweisen.

    Auch der 27-jährige Informatiker Dogan Y. verliess die Türkei aus politischen Gründen. Nach einer Auftragsarbeit für eine Organisation der türkischen Zivilgesellschaft sei ihm vorgeworfen worden, die verbotene kurdische Arbeiterpartei PKK unterstützt zu haben, erklärt er in rudimentärem Englisch.
    Angst vor südafrikanischen Gefängnissen

    Eine der vier kurdischen Familien in der Transitzone stammt aus Syrien und ist laut Mustafa Mamay ebenfalls vor dem Krieg in Syrien geflüchtet. Andere Familien sind türkische Kurden, deren Dörfer während des Konflikts zwischen den türkischen Sicherheitskräften und der kurdischen Arbeiterpartei PKK – in den Augen der Türkei, der EU und der USA eine Terrororganisation – in den 90er-Jahren zerstört wurden. Sie flüchteten in den Nordirak, wo sie in Flüchtlingslagern lebten.

    Ihre Nachkommen wurden als Staatenlose geboren, die türkischen Ausweispapiere der Eltern sind längst abgelaufen. Die Flüchtlingslager gerieten in den letzten Jahren zwischen die Fronten des Konflikts zwischen der Terrorgruppe «Islamischer Staat» und schiitischen Milizen.
    «Die Eltern haben Angst, dass sie von ihren Kindern getrennt untergebracht werden.»

    Mustafa Mamay

    «Going home», nach Hause zurück wie Tom Hanks im Film, das will hier niemand. Die Männer, Frauen und Kinder fürchten eine Ausschaffung nach Südafrika oder nach Brasilien. Dort seien sie nicht sicher. Weil sie sich für ihre Flucht falsche Papiere zugelegt hatten, drohe ihnen Haft in Gefängnissen mit unhaltbaren Zuständen, fasst Mamay die Furcht der Gruppe zusammen. «Die Eltern haben Angst, dass sie von ihren Kindern getrennt untergebracht werden. Die Suizidrate in südafrikanischen Gefängnissen ist erschreckend.» Am meisten fürchten sie sich jedoch davor, in die Türkei ausgeschafft zu werden, wo ihnen Folter und Verfolgung drohten.
    «Südafrika ist kein sicheres Drittland»

    Im Fall der im Sommer 2018 in der Transitzone festgehaltenen kurdischen Journalistin Hülya Emeç ordnete das Bundesverwaltungsgericht das SEM an, ihr Asylgesuch zu prüfen. Und stoppte so die Wegweisung nach Brasilien, wo Emeç die Rückschaffung in die Türkei drohte.

    Gemäss NGOs und Juristen steht es auch in Südafrika schlecht um die Einhaltung des völkerrechtlichen Prinzips, das Abschiebungen in ein unsicheres Land verbietet. Dieses sogenannte Non-Refoulement-Prinzip werde regelmässig verletzt. Gemäss einem Bericht von Menschenrechtsanwälten aus dem Jahr 2016 beantwortet Südafrika nur gerade vier Prozent aller Asylgesuche positiv. Türkische Staatsbürger tauchen in dieser Statistik keine auf.

    «Südafrika ist kein sicheres Drittland für türkische Asylsuchende», sagt die Juristin Nesrin Ulu vom Verein Migration Organisation Recht. Sie vertritt den Journalisten Mustafa Mamay sowie zwei der Familien, die derzeit in der Transitzone ausharren.
    Die Anspannung der Kurdinnen und Kurden im Transit ist mit Händen zu greifen. Trotzdem lässt die Gruppe Reporter nicht gehen, ohne ihnen einen Schwarztee anzubieten.

    Auf das Asylgesuch von Mamay und den beiden Familien ist das SEM nicht eingetreten. Juristisch besteht jetzt im Falle Mamays noch die Option einer Beschwerde beim Bundesverwaltungsgericht. Im Fall der beiden Familien bleibt nur noch die Möglichkeit eines Wiedererwägungsgesuchs. Das hat allerdings keine aufschiebende Wirkung, weswegen eine Ausschaffung jederzeit möglich ist.
    Schwarztee zum Abschied

    Die Anspannung der Kurdinnen und Kurden im Transit ist mit Händen zu greifen. Trotzdem lässt die Gruppe die watson-Reporter am Ende des Gesprächs nicht gehen, ohne ihnen einen Schwarztee anzubieten. Er wird in einer öffentlichen Raucher-Lounge des Flughafens Zürich serviert, wenige Meter vom Eingang zur Asylunterkunft entfernt.

    Mit einem dampfenden Glas gesüssten Schwarztees in der Hand, umhüllt von den leisen Gesprächen der rauchenden Männer, glaubt man für einen kurzen Moment, einen flüchtigen Hauch von Heimat zu spüren. Bei der Verabschiedung vor der Passkontrolle am Ausgang der Transitzone ist das Gefühl wieder verschwunden.

    https://www.watson.ch/!187345199
    #Zurich #Suisse

    Plus sur cette histoire:
    https://www.zsz.ch/ueberregional/kinder-stecken-seit-50-tagen-am-flughafen-fest/story/12171521
    https://www.blick.ch/news/schweiz/zuerich/am-flughafen-zuerich-gestrandet-familien-leben-seit-sieben-wochen-in-der-trans
    https://www.telezueri.ch/zuerinews/transitzone-flughafen-zuerich-was-passiert-nach-ablauf-der-60-tage-frist-1

    • Bloccati da 50 giorni nella zona di transito

      Quattro famiglie curde sono ferme nell’aeroporto di Kloten in attesa di essere rimpatriate.

      Ricorda molto da vicino il film con Tom Hanks, «The Terminal», la vicenda di quattro famiglie curde bloccate nella zona di transito dell’aeroporto di Kloten (ZH). Quanto riportato da Watson.ch, tuttavia, è lungi dall’essere una sceneggiatura hollywoodiana quanto piuttosto la realtà di 20 persone impossibilitate a lasciare l’aeroporto zurighese.

      Le famiglie provengono da Siria, Turchia e Iraq, e sono arrivate in Svizzera passando dal Sud Africa prima di cercare asilo nel nostro paese.

      Per alcune di queste richieste, la Segreteria di Stato per la migrazione (SEM) e il Tribunale amministrativo federale hanno deciso di non entrare nel merito. Le persone interessate devono quindi tornare in Sud Africa. La data di partenza, tuttavia, non è ancora nota. La legge consente al SEM di detenere i rifugiati fino a 60 giorni nella zona di transito.

      «Piangono spesso» - Mustafa Mamay, giornalista curdo proveniente dalla Turchia è una di quelle persone intrappolate a Kloten (ZH). Secondo lui, la vita di tutti i giorni è molto pesante, sia in termini di mancanza di spazio, per il rumore e la noia. «Tutti gli uomini dormono in una stanza e tutte le donne e i bambini dormono in un’altra stanza. Le camere non hanno finestre», spiega. I curdi temono di essere rispediti in Sud Africa, poi in Turchia dove rischiano l’imprigionamento e la tortura.

      Secondo Watson.ch, tra i rifugiati vi sono otto bambini. Mustafa Mamay conferma che la situazione è particolarmente difficile per loro. «Molti dormono male e non mangiano più. Piangono spesso. Vorrebbero andare fuori a giocare, ma non possono».

      «È una vergogna» - Per la consigliera nazionale Sibel Arlsan (Verdi) si tratta di una situazione inaccettabile: «È contrario ai diritti umani, una vera vergogna. È un’esperienza svilente e traumatizzante, soprattutto per i bambini».

      Il rinvio in Sudafrica, secondo lei, resta inammissibile perché, in quella nazione, la loro incolumità non sarebbe garantita: «Non sappiamo se da lì saranno poi rinviati in Turchia dove finirebbero molto probabilmente in carcere».

      Rinvio solo se sicuro - Contattata, la SEM garantisce che ogni richiesta è trattata in maniera individuale, «nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali» e «tiene da conto dell’integrità e della sicurezza dei migranti», spiega il portavoce Lukas Rieder. In ogni caso «nessuno viene rimandato in paesi considerati «non sicuri»»

      «Possono muoversi liberamente» - In ogni caso, continua Rieder, la situazione delle famiglie curde a Zurigo è tutt’altro che disumana: «Hanno la possibilità di uscire all’aria aperta e possono muoversi liberamente. Possono anche prendere il trenino-metropolitana fino alla zona E dei gate. Lì ci sono edicole, ristoranti e negozi». Se ve ne fosse bisogno «hanno a disposizione un team medico e psicologico».

      https://www.tio.ch/svizzera/cronaca/1332119/bloccati-da-50-giorni-nella-zona-di-transito

      #limbe #terminal #attente #no-solution #migrations #asile #réfugiés #aéroports #transit #zone-tampon #limbo #rétention #captivité #migrerrance #zone_de_transit

    • Zurich Des enfants bloqués depuis des semaines à l’aéroport

      Quatre familles kurdes se retrouvent coincées à Kloten (ZH) depuis une cinquantaine de jours. Une politicienne est scandalisée. La Confédération, elle, se défend.

      Les témoignages recueillis par Watson.ch sont à peine croyables. Un scénario digne du film « Terminal » dans lequel Tom Hanks se retrouve bloqué à l’aéroport de New York pendant 9 longs mois parce qu’une guerre civile a éclaté dans son pays.

      Or les récits relayés par le site alémanique n’ont rien à voir avec un film hollywoodien, mais reflètent le triste quotidien de vingt Kurdes, actuellement coincés en zone de transit à l’aéroport de Zurich. Certains s’y trouvent depuis sept longues semaines. Les quatre familles, provenant de Syrie, de Turquie et d’Irak, sont arrivées en Suisse via l’Afrique du Sud avant de demander l’asile dans notre pays.

      Pour certaines de ces demandes, le Secrétariat d’État aux migrations (SEM) et le Tribunal administratif fédéral ont décidé de ne pas entrer en matière. Les personnes concernées doivent donc retourner en Afrique du Sud. La date du départ, elle, n’est pas encore connue. La loi autorise le SEM a retenir les réfugiés durant 60 jours au maximum dans la zone de transit.

      « Ils pleurent souvent »

      Mustafa Mamay, un journaliste kurde venant de Turquie, fait partie de ces personnes coincées à Kloten (ZH). Selon lui, le quotidien y est très pesant, tant au niveau du manque de place, du bruit et de l’ennui. « Tous les hommes dorment dans une pièce et toutes les femmes et les enfants dorment dans une autre pièce. Les chambres n’ont pas de fenêtres », explique-t-il au site d’information alémanique. Il explique que tous craignent d’être renvoyés en Afrique du Sud, puis en Turquie où ils risquent l’emprisonnement et la torture.

      Selon Watson.ch, huit enfants figurent parmi les réfugiés kurdes. Mustafa Mamay confirme que la situation est particulièrement difficile pour eux. Nombre d’entre eux dormiraient mal et ne mangeraient plus. « Ils pleurent souvent et veulent aller jouer dehors. »

      « C’est douteux ! »

      Pour la conseillère nationale Sibel Arslan (Verts/BS), cette situation est inacceptable. « Que des familles soient retenues si longtemps alors qu’elles n’ont rien fait et qu’elles ont juste fait usage de leur droit humanitaire est douteux ! Ça peut être traumatisant, surtout pour les enfants. » Renvoyer les familles en Afrique du Sud revient à bafouer la convention relative au statut des réfugiés, critique la Bâloise, qui estime que l’Afrique du Sud ne peut pas être considérée comme un état tiers sûr. « Nous ne savons pas si depuis là les réfugiés sont renvoyés en Turquie, où ils seront très probablement emprisonnés. »

      Contacté, le SEM assure que chaque demande est traitée individuellement dans le cadre des lois nationales et internationales. « Le SEM vérifie si un état tiers est éventuellement responsable et s’assure que la sécurité et l’intégrité des migrants soient garanties », informe le porte-parole Lukas Rieder. Dans tous les cas, dit-il, les personnes ne sont pas renvoyées dans un pays qui n’est pas considéré comme sûr.

      Pris en charge médicale et psychologique

      Lukas Rieder défend par ailleurs les conditions de vie dans l’espace de transit : « A l’aéroport de Zurich, les requérants d’asile ont la possibilité de sortir à l’air libre et ils peuvent se déplacer librement dans la zone. Ils peuvent prendre le métro pour se rendre au dock E où il y a des kiosques, des magasins, des restaurants et une grande terrasse extérieure. »

      Pour finir, le porte-parole rappelle que les migrants ont accès, en cas de besoin, à une prise en charge médicale et psychologique.


      https://www.lematin.ch/suisse/enfants-bloques-semaines-aeroport/story/23427155

  • La #Suisse devrait renforcer son cadre de protection des droits de l’homme et mieux répondre aux besoins des migrants vulnérables

    Le Commissaire salue la nouvelle législation sur l’asile qui devrait accélérer et améliorer la qualité des procédures de détermination du statut de réfugié en apportant notamment une aide juridique gratuite dès le début de la procédure. Notant que les autorités envisagent une révision de l’#admission_provisoire qui s’applique entre autres à des Syriens ayant fuit le conflit, le Commissaire appelle les autorités à mettre en place un statut de protection internationale subsidiaire garantissant les mêmes droits que ceux accordés aux personnes bénéficiant du statut officiel de réfugiés. « Il n’est pas acceptable de placer durablement des personnes qui resteront très probablement à long terme en Suisse dans une situation difficile et précaire entravant leur intégration. C’est pour cela qu’il convient de lever les restrictions juridiques que ce statut impose à des personnes nécessitant une protection internationale, notamment en matière de mobilité géographique, de regroupement familial et d’aide sociale », a déclaré le Commissaire.

    Concernant la détention des migrants, le Commissaire demande à supprimer la possibilité de détenir administrativement des enfants migrants de plus de 15 ans pratiquée dans certains cantons. Il invite également les autorités suisses à cesser de détenir des enfants, avec ou sans famille, dans les zones de transit des aéroports internationaux. Préoccupé par des cas de parents séparés d’avec leurs enfants pour être détenus en vue du renvoi de la famille, le Commissaire recommande de garantir l’unité familiale en cessant toute séparation de famille dans les procédures liées à la migration. De façon générale, il demande à ne recourir à la détention administrative qu’en dernier ressort et de promouvoir les alternatives à la détention.

    https://www.coe.int/fr/web/commissioner/-/switzerland-should-reinforce-its-human-rights-protection-framework-and-better-r

    #Suisse #migrations #réfugiés #vulnérabilité #asile #détention_administrative #rétention #droits_humains #procédure_d'asile #permis_f #aéroport #zone_de_transit

    Lien vers le #rapport :
    https://rm.coe.int/rapport-suite-a-la-visite-en-suisse-du-22-au-24-mai-2017-de-nils-muizn/168075e90c

  • ODAE roman | Un Sri lankais passe deux ans en prison après son renvoi : la CourEDH condamne la Suisse
    http://asile.ch/2017/03/14/odae-roman-sri-lankais-passe-deux-ans-prison-apres-renvoi-couredh-condamne-sui

    Dans un arrêt du 26 janvier 2017 (Cas X c. Suisse, requête n°16744/14), la Cour européenne des droits de l’Homme (CourEDH) a condamné la Suisse pour avoir renvoyé en 2013 un requérant d’asile débouté au Sri Lanka, où il a été arrêté et maltraité à son arrivée. La Suisse a ainsi violé l’art. 3 CEDH […]

    • «Grundsätzlich zumutbar»

      Ein Tamile sucht in der Schweiz Asyl. Unter Zwang wird er nach Sri Lanka zurückgeschafft, wo er sich seither verstecken muss. Die Geschichte von einem, der zwischen die Fronten der schweizerischen Asylpraxis und des sri-lankischen Überwachungssystems geraten ist.


      https://www.woz.ch/1747/abgeschoben-nach-sri-lanka/grundsaetzlich-zumutbar
      #Sri-Lanka #aéroport #zone_de_transit

    • Communiqué de Droit de rester (Suisse), reçu par mail le 15.03.2018 :

      VOL SPÉCIAL VERS LE SRI LANKA QUI MET EN DANGER LES PERSONNES EXPULSÉES

      Mercredi 14 mars, la Suisse a renvoyé de force 21 Tamouls par #vol_spécial, accompagnés par la traditionnelle horde de policiers...comme des criminels. Leur crime ? Avoir demandé l’asile en Suisse, avoir cherché protection dans notre pays.

      Dans ce vol spécial se trouvaient 2 Tamouls qui résidaient dans le canton de Vaud depuis plusieurs années. Ce sont nos amis. Ils avaient fui le Sri Lanka pour sauver leur vie. Pour ne pas être arrêtés. Pour ne pas être torturés.

      Les autorités vaudoises ne les ont pas crus. Eux ils obéissent à Berne, la Berne sourde à toute mise en garde. Depuis octobre 2016, le Secrétariat d’Etat aux Migrations a changé sa pratique et considère « raisonnablement exigibles » les renvois des requérants d’asile sri lankais. La Suisse a signé un accord migratoire avec le gouvernement sri lankais pour faciliter la réadmission des déboutés de l’asile en provenance de ce pays. Mais la Suisse semble ignorer que la situation post-conflit dans ce pays n’est pas encore stabilisée et sûre pour tous les habitants du Sri Lanka.

      Pour la première fois depuis la fin de la guerre en 2009, l’État d’urgence a été instauré le 6 mars au Sri Lanka et les réseaux sociaux ont été bloqués suite à de graves violences intercommunautaires. Des foules bouddhistes ont mené des émeutes anti-musulmanes ayant fait au moins trois morts, plus d’une dizaine de blessés et détruits de nombreux bâtiments, commerces et mosquées. La chaîne Al Jazeera a également récemment diffusé un documentaire hallucinant sur les tortures et les mauvais traitements subis actuellement par des opposants tamouls au Sri Lanka.

      Qu’en est-il de nos amis maintenant ? Comment se sont passés ces renvois forcés et leur arrivée dans ce Sri Lanka troublé ? Nous craignons le pire et nous faisons tout ce qui est possible pour avoir de leurs nouvelles.

      Seront-ils eux aussi dédommagés par la Confédération suisse en raison de mauvais traitements subis suite à leur renvoi forcé par la Suisse ? En effet, deux Tamouls ont déjà été dédommagés par la Suisse après avoir été arrêtés et torturés après leur renvoi au Sri Lanka. La dernière décision en date vient d’ailleurs d’être rapportée ce dimanche 11 mars par la SonntagsZeitung et la Zentralschweiz Sonntag. Après un recours au Tribunal fédéral, un arrangement extrajudiciaire a été proposé à l’avocat du Tamoul torturé suite à son renvoi par le Département des finances. Combien de cas similaires la justice suisse devra-t-elle encore juger suite à ces nouveaux renvois forcés ?

      Nous accusons le SEM, mais aussi le Conseiller d’État Leuba et le SPOP de non-assistance à personne en danger. Expulser ces jeunes vers le Sri Lanka et ses dangers est aussi criminel que les agissements du gouvernement sri lankais.

      Nous exigeons l’arrêt immédiat de tout renvoi au Sri Lanka et l’octroi d’un permis stable à ses ressortissants qui luttent depuis longtemps pour plus de justice. Droit de rester pour tou.te.s appelle à manifester contre les renvois aux Sri Lanka mercredi prochain 21 mars à Lausanne. Un rassemblement aura lieu à 17h30 à la Place Chauderon. La manifestation traversera le centre ville avant de se terminer symboliquement devant le Tribunal fédéral.

      #réfugiés_tamouls #accords_de_réadmission #réfugiés_sri-lankais

  • The 8km law and violence on the border

    The 8km law, that we wrote about earlier, took effect on the 5th of July. According to the legislation, anyone who is caught within 8m on the Hungarian side of the border fence may be “escorted” back to the Serbian side of the fence. This legalizes the pushbacks of people to the Serbian side and severely restricts people’s right to seek asylum. In practice, those caught and pushed back are not given a chance to ask for asylum, which is contrary to international law. We find it cruelly ironic that at the same time the Fidesz government claims that the border fence is working, the Hungarian authorities are cutting holes to this fence in order to push people back to the Serbian side. The results of the law have been catastrophic: the number of people waiting at the transit zone to apply for asylum at the border has doubled. There is no legal help available, civilian volunteers and activists have limited access, and the living conditions are abysmal, as this video from Migszol Szeged also shows.

    http://www.migszol.com/blog/the-catastrophic-consequences-of-the-8km-law-and-violence-at-the-hungarian-
    #Hongrie #asile #migrations #réfugiés #frontières #push-back #refoulements #milices #jeu_frontalier #extrême-droite #extrême_droite #8km #8_km

  • Procédure d’asile à l’aéroport : le TAF constate un cumul d’irrégularités
    http://forumasile.org/2016/02/08/procedure-dasile-a-laeroport-le-taf-constate-un-cumul-dirregularites

    C’est un cas précis qui illustre la nécessité impérative d’octroyer l’assistance juridique aux requérants d’asile. L’association ELISA-ASILE qui représente les requérants d’asile à l’aéroport de Genève dénonce aujourd’hui les agissements du Secrétariat d’Etat aux migrations qui a honteusement modifié un document pour justifier l’assignation en zone de transit de deux requérants d’asile arrivés durant la période […]

    #Actualités_/_Fresh_News

  • Frontières / 4. Autour de #Laetitia_Tura

    Depuis une dizaine d’années, la photographe Laetitia Tura mène un projet photographique et audiovisuel autour de la mise en scène des frontières, l’invisibilité et la mémoire des parcours migratoires.

    En présence de l’artiste et de Michel Lussault.

    Projection-débat avec #Michel_Lussault, géographe, président du Conseil supérieur des programmes, directeur de l’Institut français de l’éducation (Lyon), professeur des universités à l’École Normale Supérieure de Lyon et #Chowra_Makaremi, docteure en anthropologie, chargée de recherche au CNRS.

    Laetitia Tura présente notamment trois séries de photographies

    « Linewatch », consacré au dispositif frontalier entre le Mexique et les États-Unis (2004-2006), où elle s’interroge sur la mise en scène de la frontière.
    « Je ne suis pas mort, je suis là », travail consacré à la frontière Maroc / Melilla, où elle s’intéresse à la mise à l’écart et la disparition de migrants (2007-2012).
    « Ils me laissent l’exil », série réalisée autour de la Retirada des Républicains Espagnols en 1939, où elle pose la question de la mémoire de cet exode.

    Laetitia Tura appartient au collectif photographique « Le bar Floréal ».

    http://www.dailymotion.com/video/x2v2gnn

    #spectacle #mise_en_scène #visibilité #invisibilité #lumière #ombre #photographie #murs #barrières_frontalières #frontières #San_Diego #Tijuana #Mexique #USA #Etats-Unis #dispositif_frontalier #traces #Maroc #Melilla #Espagne #blocage #zone_de_transit #disparition #mourir_aux_frontières #mise_à_l'écart #campement #tranquilo #mort #corps #fosse_commune #Tunisie #tombe #cimetière #dueil #Mauritanie #déshumanisation #monument #migrations #asile #réfugiés
    #guerre_d'Espagne #guerre_civile_espagnole #camp_d'internement #franquisme #Retirada #mémoire #loi_de_mémoire_historique #Espagne #déni

    Quelques extraits qui me semblent particulièrement intéressants dans ce débat fort passionnant....

    Michel Lussault : « Autant la frontière se voit, autant le passage se masque. La #traque en revanche se documente, se montre. (...) Le mur est partout, le passage nulle part » (minute 31’00)

    Michel Lussault : « Le spectacle de la puissance que la frontière montre est toujours hanté par le spectre de l’impuissance. Et ce fantôme est le migrant »

    Chowra Makaremi : Il faut parler de « drames du contrôle migratoire » et non pas de « drames de la migration »

    Chowra Makaremi : « L’humanitaire est devenu une façon de regarder le monde, donc la mort est devenue une limite : la mort est devenue une limite : on ne peut pas supporter que des gens meurent, c’est publiquement insupportable. Et le sécuritaire aussi est devenu une façon de regarder le monde : on ne peut pas accepter que nos frontières s’ouvrent. On ne peut ni supporter de les voir mourir, ni supporter qu’ils circulent. Les frontières sont une ligne de #front politique, parce qu’il y a le risque de mourir, mais ’on le prend quand même’. L’enjeu est donc entre la vie et la mort, ce qui ramène à un enjeu révolutionnaire : risquer sa vie pour avoir une vie meilleure. C’est éminemment politique. C’est très rare que dans nos démocraties qu’on arrive sur des lignes de front pareil. La migration est une ligne de front de ce genre-là ».

    La question du #monument aux morts aux frontières... 1’’19’00
    Laetitia Tura fait un parallèle entre un éventuel monument aux morts aux frontières et l’Arc de Triomphe pour le #soldat_inconnu et elle dit : « On en est pas là, puisque la guerre, cette guerre qui n’est pas dite, a encore lieu. Personne, à part quelques rares individus dans des endroits donnés, par leur propre initiative, n’est en mesure de porter et de faire cet acte symbolique du monument »

    La question de la guerre d’Espagne débute à 1’’22’00 —> « Ils me laissent l’exil »

    (merci à @odilon de m’avoir signalé la vidéo)

    @albertocampiphoto @marty @daphne : je vous conseille de le voir...

  • Germany will filter refugees in camps at borders

    Chancellor Angela Merkel and her Bavarian allies have agreed on a plan to set up “transit zones” at the border, to identify migrants who are ineligible for asylum, Bavarian Premier Horst Seehofer said on Monday (12 October).

    http://www.euractiv.com/sections/justice-home-affairs/germany-will-filter-refugees-camps-borders-318437

    #tri #centres_de_tri #asile #migrations #réfugiés #Allemagne #camps_de_réfugiés

    • Reçu via la mailing-list Migreurop:

      Selon Deutsche Welle, agence d’information publique allemande, un nouveau terme est apparu en Allemagne parmi les débats des décideurs politiques, pour ce qui concerne les demandeurs d’asile : les « zones de transit ». Il s’agit de centres qui seraient construits le long des frontières allemandes, ils seraient fermés et entourés de murs, les personnes n’auraient pas le droit de les quitter librement. Dans la « #zone_de_transit » serait décidé si la personne peut poursuivre son parcours en Allemagne, ou si elle doit être renvoyée vers son pays s’il s’agit d’un pays « sûr ». Il s’agit d’une proposition de la CSU, qui semblerait avoir un accueil favorable de la CDU.

      Une revue de presse existe ici (en serbo-croate) : Plašenje izbeglica, smirivanje Nemaca, http://www.dw.com/sr/pla%C5%A1enje-izbeglica-smirivanje-nemaca/a-18778197

  • Traveling in Europe’s River of Migrants

    Tens of thousands of migrants and refugees, mostly fleeing unrest in the Middle East and Afghanistan, are pushing their way through the Balkans to Hungary. From there, many are continuing their desperate trip to Germany and other countries in northern Europe. A team of New York Times journalists is documenting their journey.


    http://www.nytimes.com/interactive/projects/cp/reporters-notebook/migrants?smid=tw-nytimesworld&smtyp=cur
    #Balkans #asile #migrations #réfugiés #Budapest #Hongrie