• Réadmission des migrants venant d’Europe : #Soueisssya, ciblée pour un centre de transit ?

    Mine de rien, les autorités mauritaniennes et européennes seraient avancées dans leur projet de « #partenariat_renforcé » dans la lutte contre l’immigration clandestine entre les deux rives. Malgré la levée du ton de l’Opposition, le projet commun est déjà -si l’on en croit des sources autorisées- bien lancé. Le dernier déplacement conjoint de la présidente de la commission européenne, Urusla Van Der Leyen, et du premier Ministre espagnol, Pedro Sanchez, attesterait de l’importance de la question pour les deux parties.
    Les discussions entre les deux parties, entamées de plus plusieurs mois, auraient même déjà identifiée la zone de Soueissiya, 60 km de notre capitale économique, sur la route de Nouakchott, pour élire le futur centre de rétention des immigrés interceptés en haute mer.
    Pour ce faire, un autre accord de statut pour les forces du Frontex devrait permettre aux gardes-frontières européens de patrouiller, avec les garde-côtes mauritaniens, pour intercepter les candidats à l’immigration clandestine.
    Ces derniers qui voient les filets se resserrer sur eux pourraient donc être interceptés et renvoyés vers ce centre de reflux où ils devraient être recueillis dans l’optique de les faire retourner chez eux. En plus de soutien sonnant et trébuchant, l’UE aurait également accéder à des demandes locales pour la construction de tronçons routiers entre Boulenouar, 98km, et Tmeimichatt, 319 km sur la voie ferrée. Le projet de centre en lui-même sera bien équipé et gardé. Rien n’a été donc jusqu’à présent scellé. La date butoir du 7 mars 2024 où séjournera une Haute délégation de l’UE à Nouakchott permettra d’entrevoir plus de transparence, peut-être, dans ce dossier qui fait couler beaucoup d’encre. Il aidera, en tout cas, à estomper les supputations qui vont bon train sur cette délicate question.
    Si officiellement on évoque l’enveloppe de 210 millions d’euros, d’ici la fin de l’année, l’investissement européen, pour convaincre la partie mauritanienne, est estimé à quelques 522 millions d’euros.
    Néanmoins, les autorités mauritaniennes dénient tout accord avec l’UE permettant de recaser sur leur territoire d’immigrés chassés d’Europe. La perspective de renvoi d’immigrés, en majorité africains, serait pour le moins imprudente au moment où la Mauritanie tient les brides de l’UA.

    https://ladepeche.mr/?p=8575
    #externalisation #migrations #asile #réfugiés #Mauritanie #accord #partenariat #Europe #UE #EU #centre_de_transit #centre_de_rétention #rétention #détention_administrative #Frontex

    • La Mauritania diventerà un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Europa?

      Il 7 marzo è previsto un nuovo incontro congiunto tra l’Ue, la Spagna e lo Stato africano

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      La Mauritania diventerà un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Europa?

      Il 7 marzo è previsto un nuovo incontro congiunto tra l’Ue, la Spagna e lo Stato africano
      Nagi Cheikh Ahmed
      6 Marzo 2024

      La Mauritania è un paese situato nell’angolo nord-occidentale del continente africano e affacciato sull’oceano Atlantico: questa sua posizione è strategica ed estremamente importante per le persone migranti che cercano di raggiungere il continente europeo e l’arcipelago spagnolo delle Canarie. Negli ultimi anni, infatti, il paese ha registrato un significativo aumento del numero di migranti che lo attraversano nel tentativo di raggiungere le isole spagnole e altri paesi dell’Unione Europea. Le stime indicano che questo aumento potrebbe essere il risultato del rafforzamento delle misure contro le migrazioni nei paesi limitrofi che portano a deviare le rotte verso nuovi percorsi, rendendo la Mauritania un luogo di transito sempre più “attraente” per raggiungere l’Europa.

      È in questo contesto che la Spagna e lo Stato africano stanno avanzando nella costruzione di una forte partnership per combattere l’immigrazione irregolare e rafforzare la sicurezza dei confini attraverso una serie di misure e azioni. Questi sforzi includono la cooperazione nello scambio di informazioni di intelligence, la formazione delle forze di sicurezza e della guardia nazionale, nonché il rafforzamento del controllo delle frontiere e un supporto operativo per lo sviluppo di capacità nell’affrontare tale fenomeno. Secondo i dati spagnoli, l’83% dei migranti che attualmente arrivano alle isole Canarie sono transitati dalla Mauritania.
      I migranti come strumento di pressione e ricatto

      Di fronte alle crescenti tensioni attorno le questioni migratorie, i Paesi europei cercano di trovare “soluzioni” che garantiscano una riduzione del flusso di migranti verso i loro confini. È quella che viene definita la politica di esternalizzazione delle frontiere, ossia una politica di “estensione” dei confini per impedire ai migranti di raggiungere o avvicinarsi al loro territorio, attraverso accordi con diversi Paesi africani considerati punti di transito potenziali per i migranti africani. L’accordo contro l’immigrazione tra la Spagna e la Mauritania è un altro esempio evidente di come i Paesi europei sfruttino le necessità finanziarie dei paesi poveri. Questo accordo che si basa su sforzi congiunti per la lotta all’immigrazione, riflette chiaramente la dinamica tra la necessità di sicurezza europea e la necessità finanziaria dei paesi africani, sollevando controversie sul costo umano che viene pagato in questo processo.

      Nella politica internazionale contemporanea, l’immigrazione emerge come una delle questioni più controverse e complesse, specialmente quando viene utilizzata come strumento di pressione nelle negoziazioni politiche ed economiche. La Turchia, con la sua posizione geografica unica tra l’Europa e il Medio Oriente, ha utilizzato abilmente l’immigrazione nelle sue negoziazioni con l’Unione Europea. L’accordo del 2016 è stato un punto di svolta, in cui l’Unione Europea ha accettato di pagare miliardi di euro ad Ankara in cambio del controllo del flusso di rifugiati verso l’Europa. Questo accordo ha dimostrato come i paesi possano sfruttare le crisi migratorie per rafforzare le loro posizioni economiche e politiche.

      Come la Turchia, anche il Marocco ha sfruttato la sua posizione come principale porta d’accesso all’Europa per ottenere concessioni finanziarie e commerciali dalla Spagna e dall’Unione Europea, e persino posizioni politiche nel suo conflitto con il Fronte Polisario. Controllando i flussi migratori, il Marocco ha rafforzato la sua posizione come partner chiave dell’Unione Europea nella lotta contro l’immigrazione irregolare, migliorando così le sue relazioni economiche e politiche con l’Europa.

      Oltre a Turchia e Marocco, il comportamento di Russia e Bielorussia emerge come un esempio evidente di sfruttamento delle questioni migratorie per il ricatto politico contro l’Unione Europea. Questi due paesi hanno facilitato l’accesso dei migranti ai confini orientali europei, creando una crisi migratoria artificiale mirata a esercitare pressione politica ed economica. La Bielorussia, sotto la guida di Alexander Lukashenko, ha utilizzato l’immigrazione come mezzo per rispondere alle sanzioni europee imposte contro di essa. Facilitando il passaggio dei migranti verso Lituania, Lettonia e Polonia, la Bielorussia ha cercato di creare problemi di sicurezza e umanitari all’Unione Europea, costringendola a rinegoziare i termini delle sanzioni e le relazioni diplomatiche.

      Anche la Mauritania vuole partecipare

      Considerati i numerosi accordi bilaterali sottoscritti negli ultimi anni, anche il governo mauritano cerca opportunità per trarre vantaggio da questa situazione ottenendo guadagni politici e finanziari. Pertanto, l’uso dei migranti come strumento di ricatto riflette una strategia che consente alla Mauritania di richiedere più supporto e assistenza dall’Unione Europea in cambio della sua cooperazione nella lotta contro l’immigrazione irregolare e l’arresto del flusso di migranti. La Mauritania, che trova difficoltà nel controllare i suoi vasti confini, potrebbe tollerare l’ingresso dei migranti nel suo territorio, al fine di accumularne un gran numero per dimostrare la sua necessità di fronte all’Europa e quindi ottenere supporto e assistenza finanziaria, ignorando tutti i rischi che tali politiche potrebbero comportare per un paese già fragile con una infrastruttura carente, trascurando i diritti di migliaia di migranti.

      Il governo nega, ma i documenti confermano

      L’accordo stipulato tra la Mauritania e l’Unione Europea per combattere il fenomeno dell’immigrazione irregolare ha sollevato polemiche a livello locale, considerato come un “accordo” tra le due parti per insediare i migranti sul territorio mauritano in cambio di un pacchetto di aiuti finanziari, cosa che le autorità negano. Alcuni media indipendenti hanno riportato l’intenzione dell’Unione Europea di offrire subito 220 milioni di euro di aiuto alla Mauritania: questa proposta è emersa durante un incontro tenutosi giovedì 8 febbraio nella capitale Nouakchott, tra la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez e il presidente mauritano Mohamed Ould Ghazouani.

      Il Ministero dell’Interno mauritano ha negato ciò, affermando che la Mauritania “non sarà una patria alternativa per i migranti irregolari“, confermando al contempo di aver avviato negoziazioni preliminari con l’Unione Europea “su una bozza di dichiarazione congiunta relativa all’immigrazione, in linea con la roadmap discussa tra le parti a Bruxelles l’11 dicembre 2023“. Il ministero ha aggiunto in una dichiarazione che “le negoziazioni tra le parti rimarranno aperte, al fine di raggiungere un’intesa comune che serva gli interessi di entrambe le parti in materia di immigrazione legale e lotta contro l’immigrazione irregolare, tenendo conto delle sfide che la Mauritania affronta in questo campo, lontano da ciò che alcuni promuovono riguardo l’ipotesi di insediare i migranti irregolari in Mauritania”.

      Il ministero ha negato con enfasi qualsiasi ipotesi di accordo che punti a rendere la Mauritania un luogo dove insediare, accogliere o ospitare temporaneamente migranti stranieri irregolari, affermando che queste voci sono completamente infondate e che questo argomento non è stato affatto discusso, non è all’ordine del giorno e non è assolutamente contemplato. Il ministero ha dichiarato che gli incontri tra le parti hanno discusso la bozza del documento, allo scopo di “avvicinare i punti di vista riguardo ciò che stabilisce un accordo equilibrato e giusto che garantisca il rispetto della sovranità e degli interessi comuni di entrambe le parti, e sia in linea con le convenzioni e le leggi internazionali in materia di immigrazione“.

      Il ministero ha sottolineato che gli incontri continueranno a esaminare e analizzare i termini del documento, incluso ciò che sarà discusso durante l’incontro previsto tra la Mauritania e l’Unione Europea che si terrà nuovamente a Nouakchott giovedì 7 marzo. Tuttavia, il documento ottenuto dai media, relativo al verbale di discussione tra una delegazione mauritana e l’Unione Europea a Bruxelles il 9 febbraio 2024, mostra nei suoi termini l’accettazione della Mauritania di accogliere i rifugiati e i migranti espulsi dall’Europa, al fine di assisterli nella loro integrazione e “facilitare” la loro vita.

      Il documento non parla chiaramente dell’accoglimento da parte della Mauritania di re-insediare in modo permanente i migranti espulsi dagli Stati dell’Ue sul suo territorio, ma c’è un punto che rivela senza ambiguità la sua disponibilità ad accogliere i migranti espulsi dall’Europa, in assenza totale di qualsiasi meccanismo specifico per il successivo rimpatrio nei loro paesi d’origine.

      Questa estrema ambiguità getta diversi dubbi sulla serietà delle misure adottate, specialmente quando si considerano le enormi difficoltà che anche i paesi europei, con le loro vastissime risorse, incontrano nell’identificare i migranti che spesso sono senza documenti. Sembra che la soluzione europea si limiti a liberarsi del problema, rimpatriando i migranti in Mauritania senza considerare il loro destino successivo, il che significa che alla fine rimarranno in Mauritania a tempo indeterminato.

      Questo approccio ignora deliberatamente le cause profonde dell’immigrazione, come i cambiamenti climatici, i conflitti e le violazioni dei diritti umani, che spingono le persone a rischiare la vita in cerca di una loro sicurezza e di una possibilità di vita dignitosa. Concentrandosi esclusivamente sulla deportazione, l’Unione Europea dimostra una certa indifferenza verso la sofferenza delle persone più vulnerabili, ignorando così gli obblighi internazionali relativi alla protezione dei rifugiati e ai diritti umani, che garantiscono il diritto delle persone a presentare domande di protezione internazionale basate sulle loro storie personali e a dare loro tempo sufficiente per elaborare le richieste di protezione e asilo.

      D’altra parte, la firma di tali accordi con la Mauritania solleva serie domande sulla situazione della sicurezza e dei diritti umani nel paese. La disponibilità ad accettare questi migranti senza misure chiare per proteggerli o rispettare i loro diritti trascura gravemente l’assenza di tutele civili e sociali, a causa del pessimo record della Mauritania in materia di diritti umani.

      «Le relazioni internazionali sul Paese mettono in luce violazioni continue che includono schiavitù, discriminazione, detenzione arbitraria e repressione della libertà di espressione.»

      Ad esempio, lunedì 4 marzo 2024 in Mauritania è iniziato il processo contro due giovani. Una ragazza di 19 anni è stata arrestata lo scorso luglio e la pubblica accusa le ha imputato il “reato di derisione e insulto al Profeta Maometto“, chiedendo la sua incarcerazione. È inoltre accusata di utilizzare i social media per offendere l’Islam, reati per cui il codice penale mauritano prevede la pena di morte. L’altro giovane è un mauritano che aveva abbracciato il cristianesimo da tempo e viveva in Germania, dove aveva chiesto protezione, ma le autorità tedesche non hanno riconosciuto la sua richiesta e lo hanno deportato in Mauritania, dove è stato arrestato immediatamente all’arrivo in aeroporto ed è in carcere da mesi. In questo momento, c’è una grande carenza di informazioni sul loro stato di salute fisico e psicologico. Le autorità stanno facendo pressione per oscurare il processo e non parlare di queste vicende, il tutto si svolge in un’atmosfera cupa. Questi due casi sono anche esemplificativi dei seri dubbi sulla volontà della Mauritania di fornire protezione ai migranti e ai rifugiati rimpatriati.

      Inoltre, l’assenza di legislazione specifica per regolare lo status di rifugiati e migranti in Mauritania complica la possibilità di garantire efficacemente i diritti di queste categorie. Senza un quadro legale chiaro che regoli le procedure di asilo e immigrazione, e garantisca la protezione necessaria, rifugiati e migranti rimangono in una posizione legale precaria, esposti a rischi e senza diritti tangibili.

      Il fatto che l’Europa firmi tali accordi ignorando la realtà in Mauritania costituisce una chiara violazione dei trattati internazionali che proibiscono il trasferimento di migranti in paesi dove potrebbero affrontare il rischio di incarcerazione o discriminazione, e subire trattamenti inumani e degradanti. Questo accordo, per gli esperti del diritto, contraddice esplicitamente perfino gli approcci di sicurezza adottati dall’Europa nel settembre 2015, quando la Commissione Europea ha proposto un progetto per creare una lista comune dei “paesi di origine e transito sicuri“, dove i richiedenti asilo che passano attraverso il paese indicato potrebbero essere rimpatriati. Paesi considerati appunto “sicuri” in quanto le procedure relative alle loro richieste di asilo dovrebbero essere in linea con gli standard del diritto internazionale ed europeo sui rifugiati. Tuttavia, l’Unione Europea non ha incluso la Mauritania in questa lista dei paesi sicuri. Quindi, come può l’Europa firmare tali accordi con un paese che non considera sicuro?
      Verso un nuovo orizzonte

      L’incontro congiunto di giovedì 7 marzo nella capitale Nouakchott deve essere considerato come un momento cruciale che richiede una profonda riflessione e una revisione delle basi e dei principi su cui si fondano tali accordi. Entrambe le parti dovrebbero guardare con occhi critici alle esperienze passate, valutando i risultati e gli impatti reali delle politiche adottate sui diritti umani e sulla dignità dei migranti e dei rifugiati.

      C’è un bisogno urgente di adottare un approccio più inclusivo e umano nel trattare le questioni dell’immigrazione, un approccio che vada oltre le misure di sicurezza e restrittive per includere le dimensioni sociali e umane. Questo approccio dovrebbe concentrarsi sul diritto e sulla libertà dell’individuo di muoversi e migrare, piuttosto che limitarsi alla semplice gestione dei flussi migratori o tutt’al più a deviare i tragitti da un paese all’altro.

      È anche essenziale rafforzare i meccanismi di trasparenza e responsabilità nell’attuazione e nel monitoraggio degli accordi. L’Unione Europea e la Mauritania devono garantire che le politiche sull’immigrazione siano conformi agli obblighi internazionali e rispettino i diritti umani e la dignità di tutte le persone. La cooperazione internazionale in materia di immigrazione non dovrebbe portare a minare questi diritti o ignorare le difficili condizioni umane affrontate da migranti e rifugiati.

      È richiesto inoltre che la Mauritania lavori per migliorare il suo approccio sui diritti umani e rafforzare la protezione per migranti e rifugiati sul suo territorio. Ciò dovrebbe includere la riforma delle leggi e delle pratiche che permettono l’arresto arbitrario e la discriminazione, e fornire meccanismi efficaci per il ricorso e la protezione legale degli individui.

      Dall’altro lato, spetta all’Unione Europea non solo fornire supporto finanziario e tecnico, ma anche lavorare con la Mauritania e altri paesi partner per sviluppare politiche sull’immigrazione giuste ed eque, che rispettino i diritti e la dignità umana di tutte le persone, indipendentemente dal loro status migratorio.

      La sfida che l’Unione Europea e la Mauritania devono affrontare non è solo rinnovare questi accordi, ma reinventarli in modo che realizzino sicurezza e stabilità e, allo stesso tempo, rispettino i diritti umani e promuovano lo sviluppo sostenibile e inclusivo.

      Questo incontro congiunto a Nouakchott dovrebbe essere un’opportunità per presentare una nuova visione della cooperazione in materia di immigrazione, una visione basata sulla responsabilità condivisa, solidarietà e rispetto reciproco. Infine, l’obiettivo dovrebbe essere costruire un futuro in cui le persone possano vivere con dignità e sicurezza nei loro paesi, o scegliere di migrare come un diritto e non come una necessità imposta dalla disperazione.

      https://www.meltingpot.org/2024/03/la-mauritania-diventera-un-centro-di-accoglienza-per-i-migranti-espulsi-

    • Migration : petit à petit, l’UE verrouille des accords fragiles avec les pays tiers

      Ce jeudi, la secrétaire d’Etat de Moor, accompagne la commissaire européenne aux Affaires intérieures à Nouakchott pour signer un mémorandum d’accord migratoire avec la Mauritanie. Après la Turquie, la Libye, et la Tunisie récemment, ces accords se multiplient autant que les critiques qui les entourent.

      Ce dimanche, partis de Mauritanie, six migrants voulant rallier l’Europe ont péri dans leur traversée. 65 autres personnes, également à bord de leur pirogue, sont toujours portées disparues. En 2023, plus de 40.000 personnes ont risqué leur vie dans l’Atlantique – près de 1.000 en sont mortes – en voulant rejoindre l’Espagne via les îles Canaries au départ de l’Afrique de l’Ouest. Une hausse sans précédent (+ 160 % par rapport à 2022) que les autorités locales ont du mal à gérer. C’est dans ce contexte que la commissaire européenne aux Affaires intérieures Ylva Johansson, le ministre de l’Intérieur espagnol Fernando Grande-Marlaska et notre secrétaire d’Etat à l’Asile et la Migration Nicole de Moor se rendent à Nouakchott ce jeudi afin de signer un mémorandum d’accord avec la Mauritanie.

      Ce protocole d’accord s’inscrit dans la lignée de celui, polémique, conclu en juillet dernier avec la Tunisie. Avec ces « partenariats stratégiques mutuellement bénéficiaires », la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen entend « combattre la migration irrégulière à la racine et travailler mieux avec des pays partenaires », c’est-à-dire ceux où les migrants embarquent ou prennent la route pour l’UE. L’idée est que les pays de départ ou de transit bloquent l’arrivée de migrants vers les côtes européennes et réadmettent leurs citoyens en séjour illégal dans l’UE en échange d’investissements ou de coups de pouce économiques. Contacté, il est question, pour l’exécutif européen, de passer d’autres « partenariats sur mesure » similaires avec l’Egypte, prochainement. Voire avec le Maroc ? Bref, petit à petit, la Commission complète sa carte du pourtour méditerranéen.

      Stratégie électoraliste

      « Ce type d’accord n’est pas nouveau », avance Eleonora Frasca, chercheuse doctorante sur la coopération entre l’UE et les pays africains en matière d’immigration (UCLouvain). « Il y a notamment celui passé avec la Libye ou encore avec la Turquie. Mais le deal passé avec Ankara, aussi critiqué soit-il, avait le mérite de prévoir des fonds pour l’accueil et l’accompagnement des exilés sur le sol turc. Ce qui a disparu des accords qui ont suivi et qui se concentrent sur les aspects sécuritaires. »

      Certes, la coopération migratoire n’est pas neuve. Ce qui l’est davantage, c’est la stratégie de communication de l’UE autour de ce type de deal, pointe Eleonora Frasca : « On déplace des membres de la Commission pour en faire un événement majeur. » Florian Trauner, doyen de la Brussels School of Governance (VUB) et spécialiste de la politique migratoire de l’UE, y lit une stratégie électoraliste. « Ces accords symbolisent une politique migratoire plus restrictive. En année électorale, les dirigeants européens envoient un signal à la population : “Regardez, on empêche les migrants d’arriver en Europe.” » Pour lui, cela montre aussi que les Etats membres s’accordent plus facilement sur une politique d’externalisation des frontières plutôt que sur une réponse solidaire. « La négociation du nouveau pacte sur la migration et l’asile l’illustre très bien. »

      Ces annonces et ces signatures en grande pompe contrastent avec l’opacité des négociations. « Les pourparlers avec la Tunisie hier, la Mauritanie aujourd’hui et l’Egypte demain en sont les parfaits exemples. Il est très difficile, voire impossible, de suivre les discussions. On assiste à un processus “d’informalisation ou de déformalisation” du droit international auquel l’UE contribue de manière significative, ainsi qu’à la multiplication d’instruments de droit non contraignant », regrette la chercheuse de l’UCLouvain. Pour son collègue de la VUB, ces accords informels sont par définition plus flexibles, moins contraignants juridiquement et politiquement. « Ce qui arrange les deux parties. Ils permettent, pour les pays tiers, de mettre hors du débat public ces arrangements souvent contestés par la population locale. »

      Le « chantage » aux migrants

      Et puis ces accords reposent sur le bon vouloir des régimes en place. En témoignent les soubresauts dans l’application de l’accord tunisien, décrié puis accepté… par le même président qui l’avait signé. « L’exemple récent du Niger est criant », ajoute Eleonora Frasca. « Depuis le coup d’Etat de juillet dernier et l’abrogation d’une loi réprimant le trafic illicite de migrants, l’UE est très préoccupée. »

      Florian Trauner soulève un autre « danger » : le « chantage » aux migrants. « Sachant l’Europe divisée, sensible et fragile quand il s’agit d’immigration, les pays tiers en jouent pour négocier, notamment de l’argent. Ce n’est pas pour rien qu’autant de migrants sont arrivés à Lampedusa depuis la Tunisie cet été… » Et le doyen de la Brussels School of Governance de citer les pressions d’Erdogan en 2020 afin que l’Europe appuie ses initiatives en Syrie ou encore le jeu du Maroc avec l’Espagne sur la question du Sahara occidental. Par ailleurs, pointent nos deux experts, ces accords sont passés avec des pays loin d’être des exemples en termes de respect des droits fondamentaux. L’exemple tunisien est encore une fois parlant : la situation déplorable des migrants en Tunisie ne s’est pas améliorée depuis la signature, dénoncent les ONG.

      Mais ces arrangements sont-ils « efficaces » ? S’il est impossible de chiffrer le nombre d’entrées évitées grâce aux accords, Florian Trauner les a étudiés sur dix ans, entre 2008 et 2018. « Hormis l’accord passé avec la Turquie qui a montré des résultats dans la prise en charge par Ankara des réfugiés syriens, ces accords ont un bilan modeste. Les pays des Balkans jouent le jeu, mais les pays africains peu ou pas du tout », constate-t-il. « A court terme, ces arrangements peuvent paraître efficaces parce qu’ils font écho à une réduction des entrées irrégulières », explique Eleonora Frasca. « On a dans un premier temps diminué les flux au départ de la Libye, ils se sont alors dirigés vers la Tunisie. Raison pour laquelle on a passé un accord avec Tunis, dont on voit timidement les résultats… Mais les migrations s’adaptent et se réorganisent. Ça ne sert à rien de passer des accords avec tous les pays africains, cela rend juste les routes de plus en plus dangereuses. »

      https://www.lesoir.be/572896/article/2024-03-06/migration-petit-petit-lue-verrouille-des-accords-fragiles-avec-les-pays-tiers

    • La Mauritanie, nouvelle voie d’entrée de migrants vers l’Union européenne... qui réagit

      L’Union européenne a initié jeudi un nouveau partenariat en matière de migration avec la Mauritanie, État d’Afrique du Nord-Ouest par où transitent des migrants vers les îles Canaries (Espagne). La route des îles Canaries, passant par une dangereuse traversée dans l’Atlantique, est davantage fréquentée ces derniers temps. Plus de 12.000 personnes l’ont empruntée sur les deux premiers mois de cette année, soit plus de six fois plus que sur la même période l’an dernier.

      Ce partenariat doit ouvrir la voie à un financement européen afin de soutenir la gestion des migrations - notamment la lutte contre le trafic de migrants -, ainsi que la sécurité et la stabilité, l’aide humanitaire en faveur des réfugiés et le soutien aux communautés d’accueil.

      Une déclaration en ce sens a été signée à Nouakchott par la commissaire aux Affaires intérieures, Ylva Johansson, et le ministre mauritanien de l’Intérieur, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine, en présence de son homologue espagnol, Fernando Grande-Marlaska, et de la secrétaire d’État belge à l’Asile et à la Migration, Nicole de Moor, au nom de la présidence belge du Conseil. « Nous avons besoin de partenariats avec ces pays d’Afrique du Nord pour prévenir les départs irréguliers et les pertes de vies humaines. Une gestion efficace des migrations constitue un défi européen nécessitant une réponse collective », a déclaré Mme de Moor.

      Le partenariat vise entre autres à renforcer les capacités des garde-frontières mauritaniens, en accroissant la coopération avec Frontex, l’agence européenne de garde-frontières et garde-côtes, pour ce qui est de la formation et des équipements. La coopération sur les opérations de recherche et de sauvetage sera aussi intensifiée. L’UE veut également appuyer les efforts de la Mauritanie dans ses capacités d’accueil, en particulier des plus vulnérables. Dans le pays résident quelque 150.000 réfugiés du Mali. Des enquêtes conjointes doivent aussi aider à prévenir la migration irrégulière.

      La coopération sera renforcée en matière de retour et de réadmission en ce qui concerne les Mauritaniens en séjour irrégulier dans l’UE, « dans le respect de leurs droits et de leur dignité », assure la Commission dans un communiqué. Comme c’est le cas pour d’autres accords en gestation, ou pour l’accord controversé avec la Tunisie, l’UE vise un partenariat large. Il visera donc aussi la création de perspectives d’emploi (accès à la formation professionnelle et au financement pour les entreprises), mais aussi la promotion de la migration légale (mobilité des étudiants, chercheurs et entrepreneurs). Le mois dernier, la présidente de la Commission Ursula von der Leyen avait annoncé, lors d’un déplacement en Mauritanie, la mobilisation de 210 millions d’euros en faveur de ce pays.

      L’UE cherche encore à nouer un autre partenariat stratégique de ce type avec l’Égypte, qui est non seulement un pays de transit, mais aussi de départ et de destination. « Des Égyptiens quittent leur pays, qui est le cinquième pays d’entrée dans l’UE, tandis que de nombreuses autres personnes fuient vers l’Égypte. Un partenariat solide est plus que nécessaire pour ne pas les laisser seuls dans cette tâche difficile », selon Mme de Moor.

      https://www.rtbf.be/article/la-mauritanie-nouvelle-voie-d-entree-de-migrants-vers-l-union-europeenne-qui-re

  • "On nous a abandonnés dans le désert à 2h du matin" : le calvaire des migrants refoulés de l’Algérie vers le Niger

    Chaque année, l’Algérie expulse des milliers d’Africains subsahariens vers le Niger, abandonnant les migrants non-nigériens au lieu dit Point-Zéro, qui marque la frontière entre les deux pays en plein Sahara. Le village nigérien d’#Assamaka, à plusieurs heures de #marche au sud, est aujourd’hui débordé par ces vagues de refoulements successives. Reportage.

    Quinze kilomètres de marche dans le Sahara avec un pied cassé. Les efforts pour soulever les béquilles qui s’enfoncent trop profondément lors des franchissements de dune, tandis que les grains de sable s’infiltrent dans les pansements à chaque pas, pendant des heures et des heures. C’est ce qu’ont enduré Alpha Mohamed et Houssain Ba début novembre lorsque ces deux jeunes Guinéens ont été abandonnés au #Point-Zéro, qui marque la frontière entre l’Algérie et le Niger.

    Un lieu inhospitalier avec du sable à perte de vue, où les autorités algériennes ont refoulé des dizaines de milliers d’Africains subsahariens ces dernières années.

    « On nous a abandonnés à Point-Zéro à 2h du matin et nous avons dû marcher avec nos béquilles pendant des heures. Nous ne sommes arrivés à Assamaka qu’à 11h du matin », confie Alpha Mohamed à InfoMigrants.

    Les deux amis de 18 ans sont alors loin d’être seuls. Autour d’eux, plus de 600 Maliens, Guinéens, Ivoiriens, Soudanais, Nigérians et Sénégalais errent hagards, la peau du visage recouverte par la poussière ocre du Sahara, les yeux plissés vers les quelques lumières scintillant à 15 kilomètres un peu plus au sud.

     Une armée de l’ombre composée d’ouvriers, de serveurs, de boulangers - les petites mains qui contribuent à faire tourner l’économie algérienne. Certains ont encore les bottes de chantier qu’ils portaient lorsque les autorités les ont arrêtés sur leur lieu de travail. Tous ont été brutalement arrachés à leur quotidien, alors qu’ils étaient chez eux au réveil, dans un restaurant pendant un repas, lors d’une quelconque sortie en ville, ou au travail.

    C’est le cas de Alpha et Houssain, qui ont été arrêtés sur le chantier d’un immeuble à Oran, où ils travaillaient comme manoeuvres. « Les policiers sont arrivés à 9h du matin et tous les ouvriers noirs se sont aussitôt enfuis. Nous, on a essayé de partir en montant dans les étages mais un policier nous a rattrapés. Il nous a bousculés exprès et nous sommes tombés : c’est comme ça qu’on s’est cassé le pied », se remémore Alpha.

    Après un passage express dans un hôpital oranais, les deux jeunes Guinéens sont déportés vers le centre de refoulement de #Tamanrasset, à 1 900 kilomètres de route au sud d’Alger. Les migrants qui s’y trouvent ont été complètement dépouillés de leurs maigres biens : téléphones portables, argent liquide, passeports, bijoux... Entassés dans des bétaillères, les migrants sont ensuite abandonnés au Point-Zéro. Pour Alger, c’est la fin de l’opération appelée sobrement « #reconduite_à_la_frontière ».

    Pour Alpha et Houssain, c’est juste le début du calvaire. Après des heures de marche dans le sable, balayé sans répit par l’Harmattan - un vent du Sahara en provenance du Nord-Est qui vous glace les os pendant la nuit - les deux jeunes passent à proximité du lieu-dit La Dune. Situé à trois kilomètres au nord d’Assamaka, c’est le premier endroit où certains des migrants les plus fatigués décident de passer la nuit, dans un décor post-apocalyptique. Le soleil levant découpe les silhouettes des carcasses de voitures, des pneus à demi-enterrés, et des vieux bidons de gasoil utilisés pour délimiter les territoires des cabanes des mécaniciens et commerçants de carburants qui peuplent les lieux.

    Les Guinéens ont eux continué directement leur chemin jusqu’au centre d’enregistrement des autorités nigériennes, avant de se présenter au #centre_de_transit de l’Organisation internationale des migrations (#OIM), le bras de l’ONU qui assiste les retours volontaires des migrants vers leur pays d’origine.

    Des autorités débordées par l’afflux des expulsés

    L’arrivée à Assamaka marque pour les refoulés d’Algérie le début d’une longue attente. La multiplication des vagues d’expulsion conjuguée au ralentissement des #rapatriements a fait gonfler le nombre de migrants sur place à près de 3 000 individus - plus du double de la population initiale d’Assamaka. Alpha et Houssain ont pu s’installer à l’intérieur du camp de transit de l’OIM - dont la capacité maximale est de 1 000 personnes - mais la grande majorité des migrants dort à la belle étoile, s’abritant comme ils peuvent dans des hangars ouverts. Leur patience est mise à rude épreuve.

    « Cela fait deux mois qu’on nous dit qu’on va partir bientôt ! », s’exclame Seyni Diallo, un jeune Sénégalais expulsé après un séjour de six mois en Algérie. « On manque de nourriture et de couvertures, c’est vraiment dur de dormir dehors ici, les nuits sont très fraîches », renchérit Sagma Kaboré, originaire du Burkina Faso.

    La #promiscuité de 3 000 migrants dans ces conditions donne des sueurs froides à plusieurs ONG. « On craint une véritable crise humanitaire à Assamaka si cette situation se prolonge. Une épidémie d’ampleur peut se déclarer très rapidement si une personne a la rougeole, la méningite ou le covid, », affirme Diabry Talaré, coordinatrice de Médecins sans frontières (MSF) à Agadez. L’isolement géographique d’Assamaka renforce les difficultés, à la fois pour la logistique humanitaire et pour la vie quotidienne des migrants qui y sont bloqués.

    Assamaka, un îlot surpeuplé isolé dans le désert

    Assamaka est une bourgade si isolée qu’elle donne l’impression d’un îlot surpeuplé perdu au milieu d’une mer de sable. Les pistes défoncées qui mènent à Arlit puis Agadez pullulent de bandits coupeurs de route. De simples voyageurs sont régulièrement braqués par ces pirates des sables - un 4x4 utilisé comme ambulance a même été intercepté et volé sur la route menant d’Assamaka à Arlit.

     L’#isolement est également marquant sur le plan des télécommunications. La plupart des réseaux téléphoniques nigériens ne fonctionnent pas à Assamaka. Au centre du village, on remarque ainsi quelques échoppes avec de drôles d’antennes improvisées - de longues tiges de bois d’environ six mètres de haut, d’où pendouille une demi-bouteille en plastique contenant un téléphone avec une carte SIM algérienne. C’est le principal moyen de se connecter à Internet.

    Mais pour beaucoup de migrants expulsés d’Algérie sans argent ni téléphone, il est quasiment impossible de contacter leurs proches durant leurs longues semaines d’attente.

    « Certains migrants ont passé deux ou trois mois sans nouvelles de leur famille, c’est une inquiétude permanente qui a un impact sur la santé mentale », explique Mahamadou Toidou, chargé des consultations psychologiques pour MSF à Assamaka. « Il y a des cas comme ce jeune Guinéen, qui a été arrêté dans la rue par les policiers algériens, alors que sa femme enceinte de deux mois et demi était à la maison. Depuis son expulsion il n’a pas pu la contacter, il s’isole dans son coin et pense tout le temps à ça... Il souffre énormément dès qu’il voit une femme avec son enfant », ajoute le psychologue.

    Opérations de « #ratissage » dans le désert

    Le fait que les autorités algériennes procèdent à ces #refoulements sans aucune coordination avec les autorités nigériennes a parfois des conséquences dramatiques. Une trentaine de corps sans vie ont été retrouvés au nord d’Assamaka depuis 2020. Pour éviter que des migrants se perdent et s’épuisent dans le désert, des équipes de l’OIM et de MSF lancent des opérations de ratissage lorsqu’un « #convoi_piéton » est signalé. Des 4x4 s’élancent alors vers le Point-Zéro à la recherche de personnes perdues ou trop fatiguées pour avancer.

    Ils sont rejoints depuis juillet dernier par une équipe d’Alarme Phone Sahara (APS), une organisation humanitaire nigérienne qui dispose d’un tricycle tout-terrain pour aller porter secours aux migrants égarés.

    « Je ne pouvais plus supporter de voir ces pauvres gens dans cette situation », confie Ibrahim François, un membre de l’équipe d’APS qui participe régulièrement aux opérations de ratissage. « Maintenant que les nuits sont froides, les Algériens refoulent toujours les migrants vers 2 ou 3h du matin. C’est fait exprès pour qu’ils se mettent en route pour chercher un abri, et qu’ils ne restent pas sur place », affirme t-il.

    L’éprouvante marche forcée dans le désert vécue par les deux jeunes Guinéens blessés reste marquée au fer rouge dans leur esprit. « On nous a traités comme des animaux en Algérie, on ne veut plus jamais y retourner », affirme Houssain Ba. « Maintenant on veut enfin pouvoir quitter Assamaka et rentrer chez nous. »

    L’expression « convois piétons » au Niger fait référence aux personnes refoulées d’Algérie qui sont non-nigériennes et que les autorités algériennes abandonnent au Point-Zero, à 15 km d’Assamaka. Les migrants nigériens sont refoulés lors de « convois officiels » qui ont fait l’objet d’un accord entre l’Algérie et le Niger en 2014. Les camions des convois officiels sont opérés par le Croissant Rouge algérien, qui transportent directement les expulsés jusqu’à la ville d’Agadez. Pour donner un ordre de grandeur, le « convoi piéton » du 1er novembre comptait 634 individus tandis que le « convoi officiel » du 3 novembre comptait 840 personnes (dont quelques non-Nigériens). Les 3 000 migrants actuellement à Assamaka sont les reliquats des vagues successives de « convois piétons ».

    #asile #migrations #réfugiés #abandon #expulsions #renvois #déportation #désert #Algérie #Niger #Sahara #désert_du_Sahara
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    Ajouté à la métaliste des « #left-to-die in the Sahara desert »
    https://seenthis.net/messages/796051

    via @rhoumour

  • #Midnight_Traveler

    Lorsque les talibans mettent sa tête à prix, le réalisateur afghan Hassan Fazili est forcé de prendre la fuite avec sa femme et ses deux jeunes filles. Saisissant leur parcours incertain à l’aide de trois smartphones, Fazili montre à la fois le danger et le désespoir auxquels sont confrontés les réfugiés demandeurs d’asile mais aussi l’immense amour qui le lie à sa famille.

    « Lorsque les talibans mettent sa tête à prix, le réalisateur afghan Hassan Fazili, sa femme et leurs deux filles sont contraints de fuir leur pays. Leur crime ? Avoir ouvert un café proposant des activités culturelles. D’abord réfugiés au Tadjikistan, l’impossibilité d’obtenir l’asile les pousse à prendre à nouveau la route, cette fois pour l’Europe. Commence alors un périple incertain et dangereux qui les met à la merci des passeurs. Pendant trois ans, Hassan Fazili filme sa famille et leur vie d’attente, de peur, d’ennui. Cinéaste sans autre caméra que son téléphone portable, il filme la lutte quotidienne qu’est devenue leur existence, ses filles qui grandissent dans des camps de transit, et l’amour qui les unit. Il filme pour ne pas être oublié. Il filme pour ne pas devenir fou. Ce désir impérieux de créer, même dans les pires conditions, Midnight Traveler nous le fait partager avec une intensité rare. Pour nos yeux tristement accoutumés aux images des migrants, le film est non seulement une odyssée familiale bouleversante, mais aussi une réflexion sur la nature et le pouvoir de ces images. »

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_actualite_film/55325

    –-> film réalisé avec un téléphone portable

    #film #film_documentaire #documentaire

    #Tadjikistan #migrations #talibans #Afghanistan #Hassan_Fazili #asile #réfugiés #réfugiés_afghans #Iran #Qom #frontière_Iran-Turquie #Iran #Turquie #Istanbul #Bulgarie #Sofia #passeurs #camps_de_réfugiés #Ovcha_Kupel #Dimitrovgrad #forêt #Belgrade #Serbie #route_des_Balkans #Krnjaca #Hongrie #Röszke #centre_de_transit

  • Hundreds of migrants stuck in #Niger amid coronavirus pandemic

    As countries close borders to curb spread of coronavirus, aid groups in Niger ’overwhelmed’ by requests of support.

    While countries across Africa have been closing their borders as part of efforts to contain the coronavirus pandemic, migrants and people on the move are paying a high price.

    Over the past two weeks, hundreds of women, men and children have been stuck in Niger, a country that represents a traditional corridor of transit for seasonal labourers from West Africa heading to Libya or Algeria, as well as people hoping to move further to Europe across the Mediterranean Sea.

    “We’re being overwhelmed by requests of support,” said Barbara Rijks, Niger director for the International Organization for Migration (IOM).

    Deportations from Algeria to Niger have been a continuing trend since late 2016, with figures decreasing last year only to begin growing again from February onwards. The migrants, who were arrested during police roundups in Algeria’s coastal cities and forced to travel for days in overloaded trucks, were usually offered assistance by the IOM to return to their countries of origin.

    But now amid the pandemic, they are forced to quarantine in tent facilities set up in the military border post of Assamaka, where temperatures touch 50 degrees Celsius (122 degrees Fahrenheit), or in the southern city of Arlit.

    With borders closed all across West Africa, they risk being stuck in Niger much longer than they expected.

    “We’re extremely worried,” said Abderahmane Maouli, the mayor of Arlit, a city that hosts one of the six IOM transit centres in Niger and a new facility for those that end their quarantine in Assamaka.

    “Despite the border closure, we see that movements are continuing: People travel through minor routes to avoid border controls and reach Arlit without going through the quarantine, and this is a major public health issue for our community,” Maouli told Al Jazeera.

    The deportation of more than 8,000 people by Algeria since January this year, he says, had already put local welfare services under strain.

    ’First warning sign’

    An uncommon push-back operation happened also in late March at the border between Niger and Libya, where a convoy of travellers was intercepted and sent back in the middle of the desert, forcing the IOM to organise humanitarian assistance.

    The quarantine of these groups and other travellers - in a makeshift camp set up in record time - fosters worries from both migrants and local communities in a country already standing at the bottom of the United Nations human development index and facing deadly seasonal outbreaks of malaria and measles. Some 1,400 doctors are operational in Niger, according to the government, serving a population of about 22 million.

    “A first warning sign,” Rijks told Al Jazeera, “was the arrival of 767 people, half of which foreigners, at the border between Niger and Algeria, on March 19: From that moment on, we registered continuous arrivals and each one of these people needs to quarantine for 14 days.”

    Later in March, a convoy of pick-up cars carrying 256 people was pushed-back by Libyan militiamen close to Tummo, a military outpost marking the frontier between Niger and Libya, some 900 kilometres (559 miles) northeast of Agadez, where their perilous desert crossing started.

    Blocked in the garrison village of Madama, Nigeriens and migrants mostly from Nigeria, Ghana and Burkina Faso suffered the unmerciful Saharan heat for days before receiving humanitarian assistance by the IOM and Niger’s Civil Protection Department that organised their transfer to Agadez. Their drivers were arrested for breaching anti-smuggling rules.

    In Agadez, a once-coveted tourist destination for Europeans willing to explore Saharan dunes, they were lodged in a tent facility set up by the IOM alongside the main sports arena, where football games have been temporarily suspended due to the coronavirus pandemic.

    “It’s been a huge challenge, we had to boost our activities in less than one week, adopting hygienic measures in our six transit centres, that are already at full capacity, and opening up new structures to lodge people quarantining,” Rijks said.

    Another 44 people were found at Assamaka in the night between April 4-5 and welcomed at IOM’s quarantine site, where Doctors Without Borders (Medecins Sans Frontieres, or MSF) and the International Federation of the Red Cross provide medical and psychosocial assistance.
    ’Humanitarian corridors’

    IOM operations in Niger scaled up after the government enforced anti-smuggling measures in 2015, to prevent migrants from taking dangerous Saharan trails to Libya or Algeria.

    In the span of a few years, the number of crossings reduced, from about 330,000 in 2016 to 100,000 in 2018, while hundreds of “passeurs” - the French word for smugglers and middlemen active in the transportation business - were jailed.

    As a consequence, more and more people ended up being blocked in the country and turned to the organisation’s voluntary return programmes. From 2017 to early 2020, some 32,000 migrants returned home from Niger with IOM assistance.

    “People were usually staying for a few weeks in transit centres, where we arranged travel documents with consulates, before going back to their country of origin, while now they’re stuck in our transit centres and this adds frustrations,” said Rijks.

    She hopes that - despite border closures - governments in West Africa will agree soon on organising “humanitarian corridors to return their citizens from Niger”.

    While Rijks noted that countries are willing to receive back their citizens, the closure of land and air transportation routes, coupled with the need to set up costly quarantine facilities for returnees on arrival, put more strain on an already fragile logistic organisation.

    Currently, 2,371 people - mostly Nigerians, Guineans, Cameroonians and Malians - are lodged in the IOM’s six transit centres, Rijks said, while the size and number of new facilities set up to quarantine migrants are increasing by the day.
    ’Perfect storm’

    Niger has confirmed 342 coronavirus cases and 11 deaths as of Thursday, with the vast majority of cases found in the capital, Niamey. The country has introduced a series of containment measures to slow the spread of COVID-19, the disease caused by the coronavirus, including the closure of international borders, a ban on gatherings and non-essential activities and a night curfew.

    In addition to migrants on the move, humanitarian organisations are particularly concerned about the fate of 420,000 refugees and internally displaced Nigeriens who escaped violence by armed groups along the country’s borders with Nigeria, Chad, Mali and Burkina Faso. These people often live in crowded settlements, where physical distancing is a luxury.

    “On top of displacement caused by jihadists, malnutrition risks and socio-economic vulnerability, COVID-19 represents the perfect storm for Niger,” said Alessandra Morelli, country director for the UN’s refugee agency (UNHCR), pointing also at the interruption of evacuation flights for refugees from Libyan detention centres who are temporarily hosted in Niger while awaiting opportunities to resettle to Europe or North America.

    Morelli said the programme was launched in 2017 to offer “a vital lifeline” for the most vulnerable refugees detained in Libya.

    “We took them out of prisons, brought them here by plane and assisted them in their asylum and resettlement claim.”

    About 3,000 people have been evacuated to Niger so far and more than 2,300 resettled to Canada, Germany, Sweden, Netherlands, France and other countries.

    All operations are currently suspended.

    While the number of coronavirus cases grow by the day, with deepening worries over the effect of a severe outbreak in already fragile countries in the region, some refugees hosted in the reception centre of Hamdallaye started producing soap for local communities.

    “It’s a sign of hope in the midst of this situation,” said Morelli, whose WhatsApp account blinks continuously with information on new displacements and violence along Niger’s sealed borders.

    https://www.aljazeera.com/news/2020/04/hundreds-migrants-stuck-niger-coronavirus-pandemic-200409131745319.html
    #IOM #OIM #immobilité #confinement #fermeture_des_frontières #Assamaka #épidémie #Arlit #Afrique_de_l'Ouest #centre_de_transit #centres_de_transit #renvois #Algérie #refoulement #push-back #quarantaine #migrerrance #frontières #Tummo #Madama #Agadez #passeurs
    ping @ceped_migrinter_afrique @karine4 @isskein

  • Migrants en Libye, les oubliés de l’exil

    Venus le plus souvent d’Érythrée, les migrants sont détenus dans des conditions lamentables, et souvent les victimes de milices qui les torturent et les rançonnent. Les Nations unies et l’Union européenne préfèrent détourner le regard. Témoignages.

    L’odeur d’excréments s’accentue à mesure que nous approchons de l’entrepôt qui constitue le bâtiment principal du centre de détention de #Dhar-El-Djebel, dans les montagnes du #djebel_Nefoussa. Un problème de plomberie, précise le directeur, confus.

    Il ouvre le portail métallique du hangar en béton, qui abrite environ 500 détenus, presque tous érythréens. Les demandeurs d’asile reposent sur des matelas gris à même le sol. Au bout d’une allée ouverte entre les matelas, des hommes font la queue pour uriner dans l’un des onze seaux prévus à cet effet.

    Personne dans cette pièce, m’avait expliqué un détenu lors de ma première visite en mai 2019, n’a vu la lumière du jour depuis septembre 2018, quand un millier de migrants détenus à Tripoli ont été évacués ici. #Zintan, la ville la plus proche, est éloignée des combats de la capitale libyenne, mais aussi des yeux des agences internationales. Les migrants disent avoir été oubliés.

    En Libye, quelque 5 000 migrants sont toujours détenus pour une durée indéterminée dans une dizaine de #centres_de_détention principaux, officiellement gérés par la #Direction_pour_combattre_la_migration_illégale (#Directorate_for_Combatting_Illegal_Migration, #DCIM) du gouvernement d’entente nationale (#GEN) reconnu internationalement. En réalité, depuis la chute de Mouammar Kadhafi en 2011, la Libye ne dispose pas d’un gouvernement stable, et ces centres sont souvent contrôlés par des #milices. En l’absence d’un gouvernement fonctionnel, les migrants en Libye sont régulièrement kidnappés, réduits en esclavage et torturés contre rançon.

    L’Europe finance les garde-côtes

    Depuis 2017, l’Union européenne (UE) finance les #garde-côtes_libyens pour empêcher les migrants d’atteindre les côtes européennes. Des forces libyennes, certaines équipées et entraînées par l’UE, capturent et enferment ainsi des migrants dans des centres de détention, dont certains se trouvent dans des zones de guerre, ou sont gardés par des milices connues pour vendre les migrants à des trafiquants.

    Contrairement à d’autres centres de détention que j’ai visités en Libye, celui de Dhar-El-Djebel ne ressemble pas à une prison. Avant 2011, cet ensemble de bâtiments en pleine campagne était, selon les termes officiels, un centre d’entraînement pour « les bourgeons, les lionceaux et les avant-bras du Grand Libérateur » — les enfants à qui l’on enseignait le Livre vert de Kadhafi. Quand le GEN, basé à Tripoli, a été formé en 2016, le centre a été placé sous l’autorité du DCIM.

    En avril, Médecins sans frontières (MSF) pour lequel je travaillais a commencé à faire des consultations à Dhar-El-Djebel. Le centre retenait alors 700 migrants. La plupart étaient enregistrés comme demandeurs d’asile par l’Agence des Nations Unies pour les réfugiés (UNHCR), mais selon la loi libyenne, ce sont des migrants « illégaux » et ils peuvent être détenus pour une durée indéterminée.

    N’ayant que peu d’espoir de sortir, plusieurs ont tenté de se suicider au contact de fils électriques. D’autres avaient placé leur foi en Dieu, mais aussi dans les réseaux sociaux et leurs talents de bricoleurs. La plupart des détenus érythréens sont chrétiens : sur le mur face à la porte, ils ont construit une église orthodoxe abyssine au moyen de cartons colorés de nourriture et de matelas verts du HCR, avec des croix en cire de bougie. Sur d’autres matelas, ils ont écrit, avec du concentré de tomates et du piment rouge, des slogans tels que « Nous sommes victimes du HCR en Libye ». Avec leurs smartphones, ils ont posté des photos sur les réseaux sociaux, posant avec les bras croisés pour montrer qu’ils étaient prisonniers.

    Leurs efforts avaient attiré l’attention. Le 3 juin, le HCR évacuait 96 demandeurs d’asile à Tripoli. Une semaine plus tard, l’entrepôt bondé dans lequel j’avais d’abord rencontré les migrants était enfin vidé. Mais 450 Érythréens restaient enfermés dans le centre, entassés dans d’autres bâtiments, à plus de vingt dans une vingtaine de cellules, bien que de nombreux détenus préfèrent dormir dans les cours, sous des tentes de fortune faites de couvertures.

    « Ils nous appellent Dollars et Euros »

    La plupart des Érythréens de Dhar-El-Djebel racontent une histoire proche : avant d’être piégés dans le système de détention libyen, ils ont fui la dictature érythréenne, où le service militaire est obligatoire et tout aussi arbitraire. En 2017, Gebray, âgé d’un peu plus de 30 ans, a laissé sa femme et son fils dans un camp de réfugiés en Éthiopie et payé des passeurs 1 600 dollars (1 443 euros) pour traverser le désert soudanais vers la Libye avec des dizaines d’autres migrants. Mais les passeurs les ont vendus à des trafiquants libyens qui les ont détenus et torturés à l’électricité jusqu’à ce qu’ils téléphonent à leurs proches pour leur demander une #rançon. Après 10 mois en prison, la famille de Gebray avait envoyé près de 10 000 dollars (9 000 euros) pour sa libération : « Ma mère et mes sœurs ont dû vendre leurs bijoux. Je dois maintenant les rembourser. C’est très dur de parler de ça ».

    Les migrants érythréens sont particulièrement ciblés, car beaucoup de trafiquants libyens croient qu’ils peuvent compter sur l’aide d’une riche diaspora en Europe et en Amérique du Nord. « Nous sommes les plus pauvres, mais les Libyens pensent que nous sommes riches. Ils nous appellent Dollars et Euros », me raconte un autre migrant.

    Après avoir survécu à la #torture, beaucoup comme Gebray ont de nouveau payé pour traverser la mer, mais ont été interceptés par les garde-côtes libyens et enfermés en centre de détention. Certains compagnons de cellule de Gebray ont été détenus depuis plus de deux ans dans cinq centres successifs. Alors que la traversée de la Méditerranée devenait plus risquée, certains se sont rendus d’eux-mêmes dans des centres de détention dans l’espoir d’y être enregistrés par le HCR.

    Les ravages de la tuberculose

    Dans l’entrepôt de Dhar-El-Djebel, Gebray a retrouvé un ancien camarade d’école, Habtom, qui est devenu dentiste. Grâce à ses connaissances médicales, Habtom s’est rendu compte qu’il avait la tuberculose. Après quatre mois à tousser, il a été transféré de l’entrepôt dans un plus petit bâtiment pour les Érythréens les plus malades. Gebray, qui explique qu’à ce moment-là, il ne pouvait « plus marcher, même pour aller aux toilettes », l’y a rapidement suivi. Quand j’ai visité la « maison des malades », quelque 90 Érythréens, la plupart suspectés d’avoir la tuberculose, y étaient confinés et ne recevaient aucun traitement adapté.

    Autrefois peu répandue en Libye, la tuberculose s’est rapidement propagée parmi les migrants dans les prisons bondées. Tandis que je parlais à Gebray, il m’a conseillé de mettre un masque : « J’ai dormi et mangé avec des tuberculeux, y compris Habtom ».

    Habtom est mort en décembre 2018. « Si j’ai la chance d’arriver en Europe, j’aiderai sa famille, c’est mon devoir », promet Gebray. De septembre 2018 à mai 2019, au moins 22 détenus de Dhar-El-Djebel sont morts, principalement de la tuberculose. Des médecins étaient pourtant présents dans le centre de détention, certains de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), et d’autres d’#International_Medical_Corps (#IMC), une ONG américaine financée par le HCR et l’UE. Selon un responsable libyen, « nous les avons suppliés d’envoyer des détenus à l’hôpital, mais ils ont dit qu’ils n’avaient pas de budget pour ça ». Les transferts à l’hôpital ont été rares. En revanche, une quarantaine des détenus les plus malades, la plupart chrétiens, ont été transférés dans un autre centre de détention à Gharyan, plus proche d’un cimetière chrétien. « Ils ont été envoyés à Gharyan pour mourir », explique Gebray. Huit d’entre eux sont morts entre janvier et mai.

    Contrairement à Dhar-El-Djebel, #Gharyan ressemble à un centre de détention : une série de containers entourés de hauts grillages métalliques. Yemane a été transféré ici en janvier : « Le directeur de Dhar-El-Djebel et le personnel d’IMC nous ont dit qu’ils allaient nous conduire à l’hôpital à Tripoli. Ils n’ont pas parlé de Gharyan... Quand on est arrivés, on a été immédiatement enfermés dans un container ».
    Des migrants vendus et torturés

    Selon Yemane, une femme a tenté de se pendre quand elle a compris qu’elle était à Gharyan, et non dans un hôpital, comme le leur avaient promis les médecins d’IMC. Beaucoup gardaient de mauvais souvenirs de Gharyan : en 2018, des hommes armés masqués y ont kidnappé quelque 150 migrants détenus dans le centre et les ont vendus à des centres de torture. Le centre a alors brièvement fermé, puis rouvert, avec à sa tête un nouveau directeur, qui m’a expliqué que des trafiquants l’appelaient régulièrement pour tenter de lui acheter des migrants détenus.

    En avril 2019, des forces de Khalifa Haftar, l’homme fort de l’est de la Libye, ont lancé une offensive contre les forces pro-GEN à Tripoli et se sont emparées de Gharyan. Les troupes d’Haftar se sont installées à proximité du centre de détention et les avions du GEN ont régulièrement bombardé la zone. Effrayés par les frappes aériennes autant que par les migrants tuberculeux, les gardes ont déserté. Chaque fois que je me suis rendu sur place, nous sommes allés chercher le directeur dans sa maison en ville, puis l’avons conduit jusqu’au portail du centre, où il appelait un migrant pour qu’il lui ouvre. Les détenus lui avaient demandé un cadenas pour pouvoir s’enfermer et se protéger des incursions. De fait, des forces pro-Haftar venaient demander aux migrants de travailler pour eux. Yemane indique qu’un jour, ils ont enlevé quinze hommes, dont on est sans nouvelles.

    MSF a demandé au HCR d’évacuer les détenus de Gharyan. L’agence de l’ONU a d’abord nié que Gharyan était en zone de guerre, avant de l’admettre et de suggérer le transfert des détenus au centre de détention #Al-Nasr, à #Zawiya, à l’ouest de Tripoli. Pourtant, le Conseil de sécurité de l’ONU a accusé les forces qui contrôlent ce centre de trafic de migrants, et placé deux de leurs dirigeants sous sanctions.

    « Si vous êtes malades, vous devez mourir ! »

    Les détenus étaient toujours à Gharyan quand, le 26 juin, les forces du GEN ont repris la zone. Le jour suivant, ils ont forcé le portail du centre de détention avec une voiture et demandé aux migrants de se battre à leurs côtés. Les détenus effrayés ont montré leurs médicaments contre la tuberculose en répétant des mots d’arabe que des employés du HCR leur avaient appris − kaha (#toux) et darn (#tuberculose). Les miliciens sont repartis, l’un d’eux lançant aux migrants : « Si vous êtes malades, on reviendra vous tuer. Vous devez mourir ! ».

    Le 4 juillet, le HCR a enfin évacué les détenus restants vers Tripoli. L’agence a donné à chacun d’eux 450 dinars (100 euros) pour qu’ils subvenir à leurs besoins dans une ville qu’ils ne connaissaient pas. L’abri où ils étaient censés loger s’avérant trop coûteux, ils ont déménagé vers un endroit moins cher, jadis une bergerie. « Le HCR dit qu’on sera en sécurité dans cette ville, mais pour nous, la Libye n’offre ni liberté ni sécurité », explique Yemane.

    La plupart des 29 migrants évacués de Gharyan sont maintenant bloqués, et en danger, dans les rues de Tripoli, mais espèrent toujours obtenir l’asile en dehors de Libye. Les combats se poursuivant à Tripoli, des miliciens ont proposé à Yemane de s’enrôler pour 1 000 dollars (901 euros) par mois. « J’ai vu beaucoup de migrants qui ont été recrutés ainsi, puis blessés », m’a-t-il raconté récemment sur WhatsApp. Deux de ses colocataires ont été à nouveau emprisonnés par des milices, qui leur ont demandé 200 dollars (180 euros) chacun.

    Les migrants de Gharyan ont si peur dans les rues de Tripoli qu’ils ont demandé à retourner en détention ; l’un d’entre eux est même parvenu à entrer dans le centre de détention d’Abou Salim. Nombre d’entre eux ont la tuberculose. Fin octobre, Yemane lui-même a découvert qu’il en était porteur, mais n’a pas encore de traitement.
    « Ils nous ont donné de faux espoirs »

    Contrairement à Gharyan, Dhar-El-Djebel est loin des combats. Mais depuis avril, des migrants détenus à Tripoli refusent d’y être transférés car ils craignent d’être oubliés dans le djebel Nefoussa. Selon un responsable de la zone, « notre seul problème ici, c’est que le HCR ne fait pas son travail. Cela fait deux ans qu’ils font de fausses promesses à ces gens ». La plupart des détenus de Dhar-El-Djebel ont été enregistrés comme demandeurs d’asile par le HCR, et espèrent donc être relocalisés dans des pays d’accueil sûr. Gebray a été enregistré en octobre 2018 à Dhar-El-Djebel : « Depuis, je n’ai pas vu le HCR. Ils nous ont donné de faux espoirs en nous disant qu’ils allaient revenir bientôt pour nous interviewer et nous évacuer de Libye ».

    Les 96 Érythréens et Somaliens transférés en juin de Dhar-El-Djebel au « centre de rassemblement et de départ » du HCR à Tripoli étaient convaincus qu’ils feraient partie des chanceux prioritaires pour une évacuation vers l’Europe ou l’Amérique du Nord. Mais en octobre, le HCR aurait rejeté une soixantaine d’entre eux, dont 23 femmes et 6 enfants. Ils n’ont plus d’autre choix que de tenter de survivre dans les rues de Tripoli ou d’accepter un « retour volontaire » vers les pays dont ils ont fui la violence.

    Le rapport de la visite de l’ONU à Dhar-El-Djebel en juin, durant ce même transfert, avait prévenu que « le nombre de personnes que le HCR sera en mesure d’évacuer sera très faible par rapport à la population restante [à Dhar-El-Djebel] en raison du nombre de places limité offert la communauté internationale ».

    De fait, le HCR a enregistré près de 60 000 demandeurs d’asile en Libye, mais n’a pu en évacuer qu’environ 2 000 par an. La capacité de l’agence à évacuer des demandeurs d’asile de Libye dépend des offres des pays d’accueil, principalement européens. Les plus ouverts n’accueillent chaque année que quelques centaines des réfugiés bloqués en Libye. Les détenus de Dhar-El-Djebel le savent. Lors d’une de leurs manifestations, leurs slogans écrits à la sauce tomate visaient directement l’Europe : « Nous condamnons la politique de l’UE envers les réfugiés innocents détenus en Libye ».

    « L’Europe dit qu’elle nous renvoie en Libye pour notre propre sécurité, explique Gebray. Pourquoi ne nous laissent-ils pas mourir en mer, sans souffrance ? Cela vaut mieux que de nous laisser dépérir ici ».

    https://orientxxi.info/magazine/migrants-en-libye-les-oublies-de-l-exil,3460
    #Libye #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_érythréens #santé #maladie #externalisation

    –-----

    Et pour la liste de @sinehebdo, deux nouveaux #mots : #Dollars et #Euros

    Les migrants érythréens sont particulièrement ciblés, car beaucoup de trafiquants libyens croient qu’ils peuvent compter sur l’aide d’une riche diaspora en Europe et en Amérique du Nord. « Nous sommes les plus pauvres, mais les Libyens pensent que nous sommes riches. Ils nous appellent Dollars et Euros », me raconte un autre migrant.

    #terminologie #vocabulaire

    • Libye : que se passe-t-il dans le « #centre_d’investigations » de #Tripoli ?

      La semaine dernière, environ 300 migrants interceptés en mer par les garde-côtes libyens ont été transférés dans le centre de #Sharah_Zawiya, au sud de la capitale libyenne. Ouvert depuis au moins un an – avec une fermeture de quelques mois fin 2019 – le lieu est depuis peu contrôlé par le #DCIM et accessible à l’Organisation internationale des migrations (#OIM).

      #Centre_de_détention « caché », #centre_de_transit ou centre « d’investigations » ? Le centre de Sharah Zawiya, dans le sud de Tripoli, est l’objet d’interrogations pour nombre d’observateurs des questions migratoires en Libye.

      Selon l’Organisation internationale des migrations (OIM), contactée par InfoMigrants, le lieu est supposé être un centre de transit : les migrants interceptés en mer sont envoyés dans cette structure afin d’y subir un interrogatoire avant leur transfert vers un centre de détention officiel.

      « Théoriquement, ils [les migrants] ne restent pas plus de 48 heures à Sharah Zawiya », précise l’OIM.

      « Je suis resté au moins trois mois dans ce centre »

      Or plusieurs migrants, avec qui InfoMigrants est en contact et qui sont passés par ce centre, affirment avoir été enfermés plus que deux jours et disent n’avoir jamais été interrogés. « Je suis resté au moins trois mois là-bas l’été dernier, avant de réussir à m’en échapper », indique Ali, un Guinéen de 18 ans qui vit toujours en Libye. « Durant toute cette période, on ne m’a posé aucune question ».

      Ce dernier explique qu’à leur arrivée, les gardiens dépouillent les migrants. « Ils prennent tout ce qu’on a, le plus souvent nos téléphones et de l’argent ». Ibrahim, un Guinéen de 17 ans qui a – lui aussi - réussi à s’échapper du centre ce week-end après avoir été intercepté en mer, raconte la même histoire. « Ils m’ont forcé à leur donner mon téléphone et les 100 euros que j’avais sur moi », soupire-t-il.

      Ali assure également que les Libyens demandent une #rançon pour sortir du centre, avoisinant les 3 000 dinars libyens (environ 1 950 euros). « Un monsieur, un Africain, nous amenait des téléphones pour qu’on contacte nos familles et qu’on leur demande de l’argent. Un autre, un Arabe, récupérait la somme due ». Il détaille également les #coups portés sur les migrants « sans aucune raison » et le #rationnement_de_la_nourriture – « un morceau de pain pour trois personnes le matin, et un plat de pâtes pour six le soir ».

      D’après des informations recueillies et vérifiées par InfoMigrants, le centre est ouvert depuis au moins un an et a fermé quelques mois fin 2019 avant de rouvrir la semaine dernière avec l’arrivée d’environ 300 migrants. Un changement de chefferie à la tête du centre serait à l’origine de cette fermeture temporaire.

      Changement d’organisation ?

      Ce changement de responsable a-t-il été accompagné d’un changement de fonctionnement ? Ali explique qu’il s’est enfui vers le mois d’octobre, après trois mois de détention, avec l’aide de l’ancienne équipe. « Les Libyens qui contrôlaient le centre nous ont dit de partir car un nouveau chef devait arriver. L’ancien et le nouveau responsable n’étaient d’ailleurs pas d’accord entre eux, à tel point que leurs équipes ont tirés les uns sur les autres pendant que nous prenions la fuite ».
      L’OIM signale de son côté n’avoir reçu l’autorisation d’entrer dans le centre que depuis la semaine dernière. « Avant, le lieu était géré par le ministère de l’Intérieur, mais depuis quelques jours c’est le DCIM [le département de lutte contre la migration illégale, NDLR] qui a repris le contrôle », explique l’agence onusienne à InfoMigrants.

      Ibrahim assure, lui, qu’aucune somme d’argent n’a été demandée par les gardiens pour quitter le centre. Les personnes interceptées en mer, mardi 18 février, ont en revanche été transférées samedi vers le centre de détention de #Zaouia, où une rançon de 2 000 dinars (environ 1 300 euros) leur a été réclamée pour pouvoir en sortir.
      Ce genre de centre n’est pas une exception en Libye, prévient une source qui souhaite garder l’anonymat. « Il existe d’autres centres de ce type en Libye où on ne sait pas vraiment ce qu’il s’y passe. Et de toute façon, #centre_d’investigation, de transit ou de détention c’est pareil. Les migrants y sont toujours détenus de manière arbitraire pour une période indéfinie ».

      https://www.infomigrants.net/fr/post/22991/libye-que-se-passe-t-il-dans-le-centre-d-investigations-de-tripoli
      #Zawiya #IOM #détention

  • Je pensais avoir archivé sur seenthis un article (au moins) qui montrait qu’une partie des personnes rapatriées (#retours_volontaires), par l’#OIM (#IOM) notamment, du #Niger et de #Libye vers leurs pays d’origine reprenaient la route du Nord aussitôt...
    Mais je ne retrouve plus cet article... est-ce que quelque seenthisien se rappelle de cela ? ça serait super !
    #renvois #expulsions #migrations #réfugiés #retour_volontaire

    J’étais presque sûre d’avoir utilisé le tag #migrerrance, mais apparemment pas...

    • #merci @02myseenthis01, en effet il s’agit d’articles qui traitent du retour volontaire, mais non pas de ce que je cherche (à moins que je n’ai pas loupé quelque chose), soit de personnes qui, une fois rapatriées via le programme de retour volontaires, décident de reprendre la route de la migration (comme c’est le cas des Afghans, beaucoup plus documenté, notamment par Liza Schuster : https://www.city.ac.uk/people/academics/liza-schuster)

    • Libya return demand triggers reintegration headaches

      “This means that the strain on the assistance to integration of the country of origin has been particularly high because of the success, paradoxically of the return operation,” said Eugenio Ambrosi, IOM’s Europe director, on Monday (12 February).

      “We had to try, and we are still trying, to scale up the reintegration assistance,” he said.

      Since November, It has stepped up operations, along with the African Union, and helped 8,581 up until earlier this month. Altogether some 13,500 were helped given that some were also assisted by African Union states. Most ended up in Nigeria, followed by Mali and Guinea.

      People are returned to their home countries in four ways. Three are voluntary and one is forced. The mixed bag is causing headaches for people who end up in the same community but with entirely different integration approaches.

      “The level of assistance and the type of reintegration assistance that these different programmes offer is not the same,” noted Ambrosi.

      https://euobserver.com/migration/140967
      #réintégration

      Et une partie de cet article est consacrée à l’#aide_au_retour par les pays européens :

      Some EU states will offer in-kind support, used to set up a business, training or other similar activities. Others tailor their schemes for different countries of origin.

      Some others offer cash handouts, but even those differ vastly.

      Sweden, according to a 2015 European Commission report, is the most generous when it comes to cash offered to people under its voluntary return programme.

      It noted that in 2014, the maximum amount of the in-cash allowance at the point of departure/after arrival varied from €40 in the Czech Republic and €50 in Portugal to €3,750 in Norway for a minor and €3,300 in Sweden for an adult.

      Anti-migrant Hungary gave more (€500) than Italy (€400), the Netherlands (€300) and Belgium (€250).

      However, such comparisons on cash assistance does not reveal the full scope of help given that some of the countries also provide in-kind reintegration support.

    • For Refugees Detained in Libya, Waiting is Not an Option

      Niger generously agreed to host these refugees temporarily while European countries process their asylum cases far from the violence and chaos of Libya and proceed to their resettlement. In theory it should mean a few weeks in Niger until they are safely transferred to countries such as France, Germany or Sweden, which would open additional spaces for other refugees trapped in Libya.

      But the resettlement process has been much slower than anticipated, leaving Helen and hundreds of others in limbo and hundreds or even thousands more still in detention in Libya. Several European governments have pledged to resettle 2,483 refugees from Niger, but since the program started last November, only 25 refugees have actually been resettled – all to France.

      As a result, UNHCR announced last week that Niger authorities have requested that the agency halt evacuations until more refugees depart from the capital, Niamey. For refugees in Libya, this means their lifeline to safety has been suspended.

      Many of the refugees I met in Niger found themselves in detention after attempting the sea journey to Europe. Once intercepted by the Libyan coast guard, they were returned to Libya and placed in detention centers run by Libya’s U.N.-backed Government of National Accord (GNA). The E.U. has prioritized capacity building for the Libyan coast guard in order to increase the rate of interceptions. But it is an established fact that, after being intercepted, the next stop for these refugees as well as migrants is detention without any legal process and in centers where human rights abuses are rife.

      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/03/12/for-refugees-detained-in-libya-waiting-is-not-an-option

      #limbe #attente

      #réinstallation (qui évidemment ne semble pas vraiment marcher, comme pour les #relocalisations en Europe depuis les #hotspots...) :

      Several European governments have pledged to resettle 2,483 refugees from Niger, but since the program started last November, only 25 refugees have actually been resettled – all to France.

    • “Death Would Have Been Better” : Europe Continues to Fail Refugees and Migrants in Libya

      Today, European policies designed to keep asylum seekers, refugees, and migrants from crossing the Mediterranean Sea to Italy are trapping thousands of men, women and children in appalling conditions in Libya. This Refugees International report describes the harrowing experiences of people detained in Libya’s notoriously abusive immigration detention system where they are exposed to appalling conditions and grave human rights violations, including arbitrary detention and physical and sexual abuse.

      https://www.refugeesinternational.org/reports/libyaevacuations2018

      #rapport

      Lien vers le rapport :

      The report is based on February 2018 interviews conducted with asylum seekers and refugees who had been evacuated by UNHCR from detention centers in Libya to Niamey, Niger, where these men, women, and children await resettlement to a third country. The report shows that as the EU mobilizes considerable resources and efforts to stop the migration route through Libya, asylum seekers, refugees and migrants continue to face horrendous abuses in Libya – and for those who attempt it, an even deadlier sea crossing to Italy. RI is particularly concerned that the EU continues to support the Libyan coast guard to intercept boats carrying asylum seekers, refugees and migrants and bring them back to Libyan soil, even though they are then transferred to detention centers.

      https://static1.squarespace.com/static/506c8ea1e4b01d9450dd53f5/t/5ad3ceae03ce641bc8ac6eb5/1523830448784/2018+Libya+Report+PDF.pdf
      #évacuation #retour_volontaire #renvois #Niger #Niamey

    • #Return_migration – a regional perspective

      The current views on migration recognize that it not necessarily a linear activity with a migrant moving for a singular reason from one location to a new and permanent destination. Within the study of mixed migration, it is understood that patterns of movements are constantly shifting in response to a host of factors which reflect changes in individual and shared experiences of migrants. This can include the individual circumstance of the migrant, the environment of host country or community, better opportunities in another location, reunification, etc.[1] Migrants returning to their home country or where they started their migration journey – known as return migration—is an integral component of migration.

      Return migration is defined by the International Organization for Migration (IOM) as the act or process of going back to the point of departure[2]. It varies from spontaneous, voluntary, voluntary assisted and deportation/forced return. This can also include cyclical/seasonal return, return from short or long term migration, and repatriation. Such can be voluntary where the migrant spontaneously returns or assisted where they benefit from administrative, logistical, financial and reintegration support. Voluntary return includes workers returning home at the end of their labour arrangements, students upon completion of their studies, refugees and asylum seekers undertaking voluntary repatriation either spontaneously or with humanitarian assistance and migrants returning to their areas of origin after residency abroad. [3] Return migration can also be forced where migrants are compelled by an administrative or judicial act to return to their country of origin. Forced returns include the deportation of failed asylum seekers and people who have violated migration laws in the host country.

      Where supported by appropriate policies and implementation and a rights-based approach, return migration can beneficial to the migrant, the country of origin and the host country. Migrants who successfully return to their country of origin stand to benefit from reunification with family, state protection and the possibility of better career opportunities owing to advanced skills acquired abroad. For the country of origin, the transfer of skills acquired by migrants abroad, reverse ‘brain drain’, and transactional linkages (i.e. business partnerships) can bring about positive change. The host country benefits from such returns by enhancing strengthened ties and partnerships with through return migrants. However, it is critical to note that return migration should not be viewed as a ‘solution’ to migration or a pretext to arbitrarily send migrants back to their home country. Return migration should be studied as a way to provide positive and safe options for people on the move.
      Return migration in East Africa

      The number of people engaging in return migration globally and in the Horn of Africa and Yemen sub-region has steadily increased in recent years. In 2016, IOM facilitated voluntary return of 98,403 persons worldwide through its assisted voluntary return and re-integration programs versus 69,540 assisted in 2015. Between December 2014 and December 2017, 76,589 refugees and asylum seekers were assisted by humanitarian organisations to return to Somalia from Kenya.

      In contexts such as Somalia, where conflict, insecurity and climate change are common drivers for movement (in addition to other push and pull factors), successful return and integration of refugees and asylum seekers from neighbouring countries is likely to be frustrated by the failure to adequately address such drivers before undertaking returns. In a report titled ‘Not Time To Go Home: Unsustainable returns of refugees to Somalia’,Amnesty International highlights ongoing conflict and insecurity in Somalia even as the governments of Kenya and Somali and humanitarian agencies continue to support return programs. The United Nations has cautioned that South and Central parts of Somalia are not ready for large scale returns in the current situation with over 2 million internally displaced persons (IDPs) in the country and at least half of the population in need of humanitarian assistance; painting a picture of returns to a country where safety, security and dignity of returnees cannot be guaranteed.

      In March 2017, the Kingdom of Saudi Arabia ordered all undocumented migrants to regularize their status in the Kingdom giving them a 90-day amnesty after which they would face sanctions including deportations. IOM estimates that 150,000 Ethiopians returned to Ethiopia from Saudi Arabia between March 2017 and April 2018. Since the end of the amnesty period in November 2017, the number of returns to Ethiopia increased drastically with approximately 2,800 migrants being deported to Ethiopia each week. Saudi Arabia also returned 9,563 Yemeni migrants who included migrants who were no longer able to meet residency requirements. Saudi Arabia also forcibly returned 21,405 Somali migrants between June and December 2017.

      Migrant deportations from Saudi Arabia are often conducted in conditions that violate human rights with migrants from Yemen, Somalia and Ethiopia reporting violations. An RMMS report titled ‘The Letter of the Law: Regular and irregular migration in Saudi Arabia in a context of rapid change’ details violations which include unlawful detention prior to deportation, physical assault and torture, denial of food and confiscation of personal property. There were reports of arrest and detention upon arrival of Ethiopian migrants who had been deported from Saudi Arabia in 2013 during which the migrants were reportedly tortured by Ethiopian security forces.

      Further to this, the sustainability of such returns has also been questioned with reports of returnees settling in IDP camps instead of going back to their areas of origin. Such returnees are vulnerable to (further) irregular migration given the inability to integrate. Somali refugee returnees from Kenya face issues upon return to a volatile situation in Somalia, often settling in IDP camps in Somalia. In an RMMS research paper ‘Blinded by Hope: Knowledge, Attitudes and Practices of Ethiopian Migrants’, community members in parts of Ethiopia expressed concerns that a large number of returnees from Saudi Arabia would migrate soon after their return.

      In November 2017, following media reports of African migrants in Libya being subjected to human rights abuses including slavery, governments, humanitarian agencies and regional economic communities embarked on repatriating vulnerable migrants from Libya. African Union committed to facilitating the repatriation of 20,000 nationals of its member states within a period of six weeks. African Union, its member states and humanitarian agencies facilitated the return of 17,000 migrants in 2017 and a further 14,000 between January and March 2018.[4]
      What next?

      Return migration can play an important role for migrants, their communities, and their countries, yet there is a lack of research and data on this phenomenon. For successful return migration, the drivers to migration should first be examined, including in the case of forced displacement or irregular migration. Additionally, legal pathways for safe, orderly and regular migration should be expanded for all countries to reduce further unsafe migration. Objective 21 of the Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration (Draft Rev 1) calls upon member states to ‘cooperate in facilitating dignified and sustainable return, readmission and reintegration’.

      In addition, a legal and policy framework facilitating safe and sustainable returns should be implemented by host countries and countries of origin. This could build on bilateral or regional agreements on readmissions, creation of reception and integration agencies for large scale returns, the recognition and assurance of migrant legal status, provision of identification documents where needed, amending national laws to allow for dual citizenship, reviewing taxes imposed on the diaspora, recognition of academic and vocational skills acquired abroad, support to vulnerable returnees, financial assistance where needed, incentives to returnee entrepreneurs, programs on attracting highly skilled returnees. Any frameworks should recognize that people have the right to move, and should have their human rights and dignity upheld at all stages of the migration journey.

      http://www.mixedmigration.org/articles/return-migration-a-regional-perspective

    • Reçu via la mailing-list Migreurop, le 20.09.2018

      Niamey, le 20 septembre 2018

      D’après des témoignages recueillis près du #centre_de_transit des #mineurs_non_accompagnés du quartier #Bobiel à Niamey (Niger), des rixes ont eu lieu devant le centre, ce mardi 18 septembre.

      A ce jour, le centre compterait 23 mineurs et une dizaine de femmes avec des enfants en bas âge, exceptionnellement hébergés dans ce centre en raison du surpeuplement des structures réservées habituellement aux femmes.

      Les jeunes du centre font régulièrement état de leurs besoins et du non-respect de leurs droits au directeur du centre. Certains y résident en effet depuis plusieurs mois et ils sont informés des services auxquels ils devraient avoir accès grâce à une #charte des centre de l’OIM affichée sur les murs (accès aux soins de santé, repas, vêtements - en particulier pour ceux qui sont expulsés de l’Algérie sans leurs affaires-, activité récréative hebdomadaire, assistance légale, psychologique...). Aussi, en raison de la lourdeur des procédures de « #retours_volontaires », la plupart des jeunes ne connaissent pas la date de leur retour au pays et témoignent d’un #sentiment_d'abandon.

      Ces derniers jours certains jeunes ont refusé de se nourrir pour protester contre les repas qui leur sont servis (qui seraient identiques pour tous les centres et chaque jour).
      Ce mardi, après un vif échange avec le directeur du centre, une délégation de sept jeunes s’est organisée et présentée au siège de l’OIM. Certains d’entre eux ont été reçus par un officier de protection qui, aux vues des requêtes ordinaires des migrants, s’est engagé à répondre rapidement à leurs besoins.
      Le groupe a ensuite rejoint le centre où les agents de sécurité du centre auraient refusé de les laisser entrer. Des échanges de pierres auraient suivi, et les gardiens de la société #Gadnet-Sécurité auraient utilisé leurs matraques et blessé légèrement plusieurs jeunes. Ces derniers ont été conduits à l’hôpital, après toutefois avoir été menottés et amenés au siège de la société de gardiennage.

      L’information a été diffusée hier soir sur une chaine de télévision locale mais je n’ai pas encore connaissance d’articles à ce sujet.

      Alizée

      #MNA #résistance #violence

    • Agadez, des migrants manifestent pour rentrer dans leurs pays

      Des migrants ont manifesté lundi matin au centre de transit de l’Organisation Internationale pour les Migrations (OIM). Ce centre est situé au quartier #Sabon_Gari à Agadez au Niger. Il accueille à ce jour 800 migrants.

      Parmi eux, une centaine de Maliens. Ces migrants dénoncent la durée de leurs séjours, leurs conditions de vie et le manque de communication des responsables de l’OIM.


      https://www.studiotamani.org/index.php/magazines/16726-le-magazine-du-21-aout-2018-agadez-des-migrants-maliens-manifest
      #manifestation #Mali #migrants_maliens

  • No 24 months in this camp ! Stop deportations ! #Deggendorf transit camp protest 20 Dec 2017

    Demonstration 20 December 2017, Deggendorf transit camp
    Bavaria, Germany

    No 24 months in this camp! Stop deportations! No to racism and torture of migrants!

    On Friday 15th December 2017 around 200 people from Sierra Leone – women, men and children – started a ’strike of closed doors’ in the Deggendorf transit camp against the inhumane conditions and against rejections and deportations. On Wednesday 20th December their protest was joined by other refugees/migrants in the Deggendorf camp, refugees/migrants from other Bavarian camps – of different West African, Arab and Caucasian nationalities – and by activist groups.

    The peaceful protest marched across the town of Deggendorf in six hours, visiting key institutions: The BAMF (Federal Office for Migration and Refugees), via the Landratsamt (Foreigners’ Office), town hall, city center, the Caritas office and police station.

    The protesters objected the ongoing deportations and massive rejections of their asylum applications and the lack of medical care, the miserable hygienic conditions, lack of privacy and the bad quality of the food in the camp as well as the denial of normal schooling and work permits. They refused the new policy to keep people in the transit camp for up to 24 months.

    Since July 2017 a new German law (#Gesetz_zur_besseren_Durchsetzung_der_Ausreisepflicht) has given the Bavarian state the possibility to imprison people in integrated „reception“ and deportation facilities under one roof. In these factual deportation camps Bavaria accomodates asylum seekers from countries with less than 50 % approval rate, that is, from most countries of origin. Basic rights violations in these camps include: Inhabitants are not allowed to leave the town limits without a special permission, not allowed to work nor study, nor are entitled to social support or normal medical care. This system of segregation and quasi-imprisonment has sparked several protests in the Bavarian camps.

    The initial group of Sierra Leoneans in Deggendorf had gone on hunger strike on Saturday 16th December, after starting the ’strike of closed doors’ on Friday 15th December. In protest, the children and young people were refusing to attend the German class in the camp as access to regular educational institutions was denied from them. Adults stayed in the accommodation and refused to work in the 80 cents jobs. The protest began after the violent deportation of a man from Sierra Leone on the morning of 15th December, which had been stopped in the last minute at the airport.

    https://vimeo.com/248613638


    #camp_de_transit #centre_de_transit #asile #migrations #réfugiés #Allemagne #démonstration #manifestation #résistance #Sierra_Leone #camps #détention_administrative #rétention #renvois #expulsions #grève_de_la_faim

    v. aussi :
    http://cultureofdeportation.org/2017/12/24/en-no-24-months

  • There are no camps" in #Libya, only detention centres. Need to protect refugees, migrants before they get there


    Déclaration de #Cochetel, publiée sur twitter le 18.07.2017
    https://twitter.com/UNGeneva/status/887339785081237506

    #terminologie #mots #vocabulaire #camps #centres_de_détention #asile #migrations #réfugiés #Libye #détention #centres

    No detention centres in Libya, just ’prisons’ - UNHCR

    “We can hope that one day there will be decent and open centres, but now they don’t exist,” Cochetel said.

    http://www.ansa.it/english/news/2017/08/04/no-detention-centres-in-libya-just-prisons-unhcr-2_7aba4a80-8178-42b8-9095-f074

    @sinehebdo : la question de la #terminologie est évoquée deux fois :
    – dans le tweet : « Need to protect refugees , migrants before they get there »
    – et puis sur les #camps/#centres_de_détention en Libye

    #cpa_camps

    • Noury (Amnesty Italia): «I centri d’accoglienza in Libia sono in realtà prigioni»

      «Esatto, senza considerare poi che i centri d’accoglienza libici dove verrebbero condotti i respinti sono in realtà delle prigioni, alcune delle quali informali, magari vecchi capannoni industriali, o alberghi, o addirittura case private. Chiamarli “centri d’accoglienza” è del tutto sbagliato, sono luoghi di detenzione nei quali non c’è alcuna garanzia per l’incolumità fisica delle persone. Sappiamo che avvengono stupri e torture quotidianamente, ci sono prigionieri detenuti in ostaggio fino a quando i familiari non pagano, prigionieri venduti da una banda criminale all’altra. E, se noi contribuiamo a rafforzare questo sistema illegale, ne siamo pienamente complici.

      https://left.it/2017/08/12/noury-amnesty-italia-i-centri-daccoglienza-in-libia-sono-in-realta-prigioni

    • Rescue ship says Libyan coast guard shot at and boarded it, seeking migrants

      A Libyan coast guard vessel fired shots and boarded a humanitarian ship in the Mediterranean on Tuesday, demanding that the migrants on board be handed over to them, a spokesman for the Mission Lifeline charity said.

      “The Libyan man said: ‘This is our territory,’” said Axel Steier, a spokesman for the German-based charity that performed its first rescues on Tuesday.

      “After a while, they fired shots,” he said, probably into the air or sea. No one was wounded.

      Afterward two Libyans boarded the Lifeline ship to try to persuade them to hand over some 70 migrants they had just taken off a wooden boat in international waters.

      “We told them we don’t return migrants to Libya. After a while, they gave up,” Steier said. The two men spent about 15 minutes on board, he said.

      A Libyan coast guard spokesman in Tripoli declined to comment, saying he was seeking information. Italy’s coast guard, which coordinates rescues, did not respond to repeated telephone calls.

      It was the latest incident reported between the Libyan coast guard and humanitarian rescue ships operating off North Africa. Financed, trained and equipped by Italy, the Tripoli-based coastguard is intercepting a growing number of migrant boats.

      http://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-ngo/rescue-ship-says-libyan-coast-guard-shot-at-and-boarded-it-seeking-migrants
      #Méditerranée #gardes-côtes

    • Quei campi libici sono irriformabili

      Hai voglia di annunciare bandi, di investire qualche milione di euro per rendere vivibile ciò che vivibile non è. Perché i lager libici sono come il socialismo reale: irriformabili. In discussione non sono le buone intenzioni che animano il vice ministro degli Esteri con delega per la Cooperazione internazionale, Mario Giro: per lui parla il lungo impegno in favore della pace e della giustizia sociale per l’Africa e il fatto, politicamente significativo, che nell’estate dominata dalla «caccia» alle Ong e da una ondata securista, Giro è stata una delle poche voci alzatesi tra le fila del governo per ricordare a tutti che i migranti intercettati sulla rotta del Mediterraneo venivano ricacciati nell’"inferno libico".

      http://www.huffingtonpost.it/umberto-de-giovannangeli/quei-campi-libici-sono-irriformabili_a_23225947

    • L’Onu vuole aprire un centro di transito per i profughi in Libia

      Un contingente di 250 guardie di sicurezza nepalesi arriverà in Libia in questi giorni per garantire sicurezza alla base militare dell’Onu di Tripoli. Se tutto andrà come previsto, spiega Roberto Mignone, capomissione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), all’inizio di novembre anche il personale internazionale dell’organizzazione, che dal 2014 si è spostato a Tunisi per ragioni di sicurezza, potrebbe tornare in Libia in pianta stabile.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2017/09/29/onu-libia-centro-profughi
      #centre_de_transit

    • UN human rights chief: Suffering of migrants in Libya outrage to conscience of humanity

      “The international community cannot continue to turn a blind eye to the unimaginable horrors endured by migrants in Libya, and pretend that the situation can be remedied only by improving conditions in detention,” Zeid Ra’ad Al Hussein said, calling for the creation of domestic legal measures and the decriminalisation of irregular migration to ensure the protection of migrants’ human rights.

      http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=22393&LangID=E

    • Cet extrait tiré d’un article du Sole 24 Ore (journal italien plutôt tourné économie et finance) est quand même assez incroyable, surtout le début, ce « certo »( « certes »)...

      Certes... il y a toujours le problème des centres de détention dans un pays qui n’a pas signé la convention de Genève, mais certaines ONG italiennes sont en train d’entrer dans les centres pour vérifier le respect des principes humanitaires basiques...
      dit l’article... « certes »...

      Certo, resta sempre il problema dei centri di detenzione in un Paese che non ha firmato la convenzione di Ginevra, ma alcune Ong italiane stanno entrando nei centri per verificare il rispetto dei più elementari principi umanitari. Sarebbero oltre 700mila i migranti identificati in Libia tra gennaio e febbraio dall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Ma non ci sono numeri precisi (si parla di altri 300 o 400mila migranti) sparsi in Libia in condizioni anche peggiori dei centri. Per il 63% si tratta di giovani provenienti dall’Africa sub-sahariana, per il 29% da quella settentrionale e per l’8% da Medio Oriente e Asia.


      http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-02-24/libia-e-niger-bilancio-dell-italia-e-l-eredita-il-prossimo-governo--212

      A mettre en lien, comme le suggère @isskein sur FB, avec cet autre article publié l’été passé :

      Italy minister sees light at the end of the tunnel on migrant flows

      Italy’s interior minister said on Tuesday (15 August) he saw light at the end of the tunnel for curbing migrant flows from Libya after a slowdown in arrivals across the Mediterranean in recent months.

      https://www.euractiv.com/section/global-europe/news/italy-minister-sees-light-at-the-end-of-the-tunnel-on-migrant-flows

    • Campi libici, l’inferno nel deserto. La sentenza della Corte di assise di Milano

      La qualità delle indagini e della loro resa dibattimentale, insieme alla ritenuta credibilità delle dichiarazioni delle persone offese, ha confermato, secondo i giudici dell’assise, un contesto di privazione della libertà dei migranti e di violenze di ogni tipo che scolpisce una realtà che per la sorte dei diritti umani è fondamentale non ignorare.

      http://questionegiustizia.it/articolo/campi-libici-l-inferno-nel-deserto-la-sentenza-della-corte-di-ass

    • « Je voudrais faire comprendre qu’une fois entrée dans ce système de traite humaine et de rançonnage, une personne ne peut en sortir qu’en se jetant à la mer. Elle y est poussée. On ne passe plus par ce pays [la Libye], on en réchappe : Yacouba ne cherchait plus à se rendre en Europe, il voulait juste ne pas mourir en Libye. Les migrants qui embarquent sur les zodiacs ont été ballottés de ghetto en ghetto, placés en détention durant plusieurs mois. Maltraités, dépouillés, leurs corps épuisés sont alors portés par le seul espoir de retrouver un semblant de dignité sur le ’continent des droits de l’homme’. »

      Source : Samuel GRATACAP, in Manon PAULIC, « Ce que l’Europe refuse de voir », Le 1, n°188, 7 février 2018, p.3.

    • Libya: Shameful EU policies fuel surge in detention of migrants and refugees

      A surge in migrants and refugees intercepted at sea by the Libyan authorities has seen at least 2,600 people transferred, in the past two months alone, to squalid detention centres where they face torture and extortion, Amnesty International said today.

      The global human rights organisation accuses European governments of complicity in these abuses by actively supporting the Libyan authorities in stopping sea crossings and sending people back to detention centres in Libya.

      “The EU is turning a blind eye to the suffering caused by its callous immigration policies that outsource border control to Libya,” said Heba Morayef, Amnesty International’s Middle East and North Africa Director.

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/05/libya-shameful-eu-policies-fuel-surge-in-detention-of-migrants-and-refugees

    • Ne dites pas que ce sont des #camps !

      Bien sûr, tous ces #centres_fermés de rassemblement de migrants ne peuvent pas être appelés camps. Cela évoquerait des images effrayantes : les camps de concentration nazis, le système des goulags soviétiques, les camps de réfugiés palestiniens de plusieurs générations, le camp de détention de Guantánamo.

      Non, en Allemagne, ces « #non-prisons » devraient être appelées « #centres_de_transit ». Un terme amical, efficace, pratique, comme la zone de transit d’un aéroport où les voyageurs changent d’avion. Un terme inventé par les mêmes personnes qui désignent le fait d’échapper à la guerre et à la pauvreté comme du « #tourisme_d’asile ». Les responsables politiques de l’UE sont encore indécis quant à la terminologie de leurs camps. On a pu lire le terme de « #centres_de_protection » mais aussi celui de « #plateformes_d’atterrissage_et_de_débarquement », ce qui fait penser à une aventure et à un voyage en mer.

      Tout cela est du #vernis_linguistique. La réalité est que l’Europe en est maintenant à créer des camps fermés et surveillés pour des personnes qui n’ont pas commis de crime. Les camps vont devenir quelque chose qui s’inscrit dans le quotidien, quelque chose de normal. Si possible dans des endroits lointains et horribles, si nécessaire sur place. Enfermer, compter, enregistrer.

      https://www.tdg.ch/monde/europe/dites-camps/story/31177430

    • Cruel European migration policies leave refugees trapped in Libya with no way out

      A year after shocking images purporting to show human beings being bought and sold in Libya caused a global outcry, the situation for migrants and refugees in the country remains bleak and in some respects has worsened, said Amnesty International.

      Findings published by the organization today highlight how EU member states’ policies to curb migration, as well as their failure to provide sufficient resettlement places for refugees, continue to fuel a cycle of abuse by trapping thousands of migrants and refugees in appalling conditions in Libyan detention centres.

      “One year after video footage showing human beings being bought and sold like merchandise shocked the world, the situation for refugees and migrants in Libya remains bleak,” said Heba Morayef, Middle East and North Africa Director for Amnesty International.

      “Cruel policies by EU states to stop people arriving on European shores, coupled with their woefully insufficient support to help refugees reach safety through regular routes, means that thousands of men, women and children are trapped in Libya facing horrific abuses with no way out.”

      Migrants and refugees in Libyan detention centres are routinely exposed to torture, extortion and rape.

      One year after video footage showing human beings being bought and sold like merchandise shocked the world, the situation for refugees and migrants in Libya remains bleak
      Heba Morayef, Amnesty International’s Director for the Middle East and North Africa

      The UN refugee agency (UNHCR) has registered 56,442 refugees and asylum seekers in Libya and has repeatedly called on European and other governments to offer resettlement to refugees stranded in Libya, including through evacuation to Niger. However, only 3,886 resettlement places have been pledged by 12 countries and in total just 1,140 refugees have been resettled from Libya and Niger so far. Italy separately evacuated 312 asylum seekers from Libya directly to Italy between December 2017 and February 2018, but no further evacuations took place until the resettlement of 44 refugees on 7 November.

      Over the past two years EU member states have put in place a series of measures to block migration across the central Mediterranean, boosting the capacity of the Libyan Coast Guard to intercept sea crossings, striking deals with militias in Libya and hampering the work of NGOs carrying out search and rescue operations.

      These policies have contributed to a nearly 80% drop in the numbers crossing the central Mediterranean and arriving in Italy, from 114,415 between January and November 2017 to just 22,232 so far in 2018. There are currently around 6,000 refugees and migrants being held in detention centres in Libya.

      With the central Mediterranean sea route almost completely shut off, and the Libyan authorities keeping refugees in unlawful detention and refusing to release them to UNHCR’s care, the only way out of Libyan detention centres is through evacuation to another country via programmes run by the UN. For refugees, who cannot return to their home country, the lack of international resettlement places on offer has left thousands stranded in Libyan detention centres.

      The opening of a long promised UNHCR processing centre in Libya that would offer safety for up to 1,000 refugees by allowing them to relocate from the abusive detention centres has been repeatedly delayed. Its opening would undoubtedly be a positive step, but it would only assist a small proportion of refugees in detention and does not offer a sustainable solution.

      “At the same time as doing their utmost to stop sea crossings and helping the Libyan Coast Guard to intercept people at sea and send them back to notorious detention centres, European governments have catastrophically failed to offer other routes out of the country for those most in need,” said Heba Morayef.

      “While Europe fails to extend the desperately needed lifeline to save those stuck in Libya and at risk of abuse, it is time that the Libyan authorities take responsibility for their atrocious policies of unlawful detention and protect the human rights of all people in their territory.”

      Armed clashes in Tripoli between August and September this year have also made the situation for refugees and migrants more dangerous. Some of those held in detention centres have been wounded by stray bullets. There have also been instances where detention centre guards have fled to escape rocket attacks leaving thousands of inmates locked up without food or water.

      The publication of Amnesty’s findings is timed to coincide with a meeting of Libyan and other world leaders in the Italian city of Palermo on 12 and 13 November. This international conference is intended to find solutions to break the political stalemate in Libya. Amnesty International is calling on all those taking part in the conference to ensure that human rights of all people in the country, including refugees and migrants, are placed at the centre of their negotiations.

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/11/cruel-european-migration-policies-leave-refugees-trapped-in-libya-with-no-w

    • UNHCR Flash Update Libya (9 - 15 November 2018) [EN/AR]

      An estimated 5,400 refugees and migrants are presently held in detention centres in Libya, of whom 3,900 are of concern to UNHCR. Over the past month, UNHCR has registered 2,629 persons of concern in detention centres in and around Tripoli. So far in 2018, UNHCR conducted 1,139 visits to detention centres and distributed CRIs to 19,348 individuals. Through its partner International Medical Corps (IMC), UNHCR continues to provide medical assistance in detention centres in Libya. So far in 2018, IMC provided 20,070 primary health care consultations in detention centres and 237 medical referrals to public hospitals. In detention centres in the East, UNHCR’s partners have so far provided 1,058 primary health care consultations and distributed CRIs to 725 individuals.

      https://reliefweb.int/report/libya/unhcr-flash-update-libya-9-15-november-2018-enar

      #statistiques #chiffres #2018

    • Libia, i minori abusati e torturati nei centri di detenzione per migranti finanziati dall’Ue

      I minori bloccati nei centri di detenzione in Libia, finanziati anche dall’Unione europea tramite il Fondo per l’Africa, subiscono abusi e soffrono di malnutrizione, secondo quanto riportato dal Guardian.

      I bambini hanno raccontato di essere stati picchiati e maltrattati dalla polizia libica e dalle guardie del campo, descrivendo la loro vita come “un inferno in terra”.

      Secondo i dati analizzati dal Guardian, in Libia esistono 26 centri dei detenzione dei migranti, ma il numero dei minori detenuti non è chiaro in quanto non esistono registi affidabili.
      Nonostante ciò, si pensa che siano più di mille i bambini presenti nei campi di detenzione in Libia.Secondo l’Unhcr, almeno 5.400 rifugiati sono detenuti in territorio libico.

      Le rivelazioni dei bambini, che rischiano di essere puniti dalle guardie per aver parlato con i media, forniscono il resoconto più dettagliato della vita nei campi di detenzione.
      Le denunce delle Ong – A inizio di novembre Amnesty International aveva già denunciato le condizioni insostenibili in cui i migranti erano costretti a vivere, raccontando come la tortura e i maltrattamenti fossero all’ordine del giorno.

      “C’è un vero e proprio disprezzo da parte dell’Europa e di altri Stati per la sofferenza di coloro che si trovano nei centri di detenzione”, si legge nel rapporto di Amnesty.

      Un ragazzo di 16 anni ha raccontato al Guardian cosa vuol dire viver nei centri di detenzione in Libia: “Sono qui da quattro mesi. Ho cercato di scappare tre volte per attraversare il mare diretto in Italia ma ogni volta sono stato catturato e riportato al centro di detenzione”.

      “Stiamo morendo, ma nessuno se ne sta assumendo la responsabilità. Dobbiamo essere portati in un posto sicuro, invece siamo rinchiusi qui 24 ore al giorno. Non vediamo l’alba e non vediamo il tramonto “.

      I centri sono progettati per mantenere i richiedenti asilo in Libia ed evitare che attraversino il Mediterraneo diretti verso l’Europa.

      L’Ue ha investito decine di milioni di euro per cercare di impedire ai richiedenti asilo provenienti da zone di conflitto, come l’Eritrea e il Sudan, di entrare in Europa.

      Le testimonianze – Un rifugiato eritreo di 13 anni rinchiuso in un campo di Tripoli ha raccontato che i detenuti ricevono solo una o due piccole porzioni di pasta in bianco al giorno.

      Malattie come la tubercolosi sono diffuse e in molti possiedono solo una maglietta e un paio di pantaloncini, inadatte alle temperature nei centri.

      “Non abbiamo niente qui, niente cibo, niente vestiti, niente telefoni. Mi mancano così tanto mia madre e mio padre”, ha detto il ragazzo.

      Nei giorni precedenti un rifugiato di 24 anni ha cercato di impiccarsi nella toilette di uno dei campi e un altro si è dato fuoco nel campo di Triq al Sikka di Tripoli.

      Un ragazzo eritreo di 17 anni che è fuggito da un centro di detenzione e ha raggiunto il Regno Unito aveva 50 cicatrici sul suo corpo, a dimostrazione delle torture subite in Libia.

      “Quello che giovani, donne, bambini e neonati stanno soffrendo nei centri di detenzione in Libia è uno dei più grandi fallimenti della nostra civiltà”, ha affermato Giulia Tranchina, del Wilsons solicitors, che rappresenta il diciassettenne eritreo.

      “I governi europei, a nostro nome, con il nostro denaro stanno pagando le autorità libiche, le milizie e i generali dell’esercito per continuare a detenere e torturare i profughi per assicurarsi che non arrivino in Europa”.

      Una portavoce dell’UNHCR ha dichiarato: “Siamo incredibilmente preoccupati per la situazione dei profughi e dei migranti detenuti in Libia. Le condizioni di detenzione sono terribili”.

      https://mediterraneomigrante.it/2018/11/26/libia-i-minori-abusati-e-torturati-nei-centri-di-detenzione-per
      #enfants #enfance #torture #abus_sexuels #viols

    • Un #rapport de l’ONU met en lumière les «horreurs inimaginables» des migrants et réfugiés en Libye et au-delà

      Les migrants et les réfugiés sont soumis à des « horreurs inimaginables » dès leur arrivée en Libye, tout au long de leur séjour dans le pays et - s’ils parviennent à ce résultat - lors de leurs tentatives de traverser la Méditerranée, selon un rapport publié jeudi, par la mission politique des Nations Unies en Libye (#MANUL) et le Bureau des droits de l’homme des Nations Unies (HCDH).

      « Il y a un échec local et international à gérer cette calamité humaine cachée qui continue de se produire en Libye », a déclaré Ghassan Salamé, qui dirige la MINUS.

      Assassinats illégaux, détention arbitraire et tortures, viols collectifs, esclavage et traite des êtres humains, le rapport couvre une période de 20 mois jusqu’en août 2018 et détaille une terrible litanie de violations et d’exactions commises par divers agents de l’État, armés contrebandiers et trafiquants contre les migrants et les réfugiés.

      Les conclusions reposent sur 1 300 témoignages de première main recueillis par le personnel des droits de l’homme des Nations Unies en Libye, ainsi que sur des migrants qui sont rentrés au Nigéria ou ont réussi à atteindre l’Italie, retraçant tout le parcours des migrants et des réfugiés de la frontière sud de la Libye, à travers le désert jusqu’à la côte nord.

      Le climat d’anarchie en Libye fournit un terrain fertile pour les activités illicites, laissant les migrants et les réfugiés « à la merci d’innombrables prédateurs qui les considèrent comme des marchandises à exploiter et à extorquer », indique le rapport, notant que « l’écrasante majorité des femmes et des adolescentes »ont déclaré avoir été« violées par des passeurs ou des trafiquants ».
      Trafic d’êtres humains

      De nombreuses personnes sont vendues par un groupe criminel à un autre et détenues dans des centres non officiels et illégaux gérés directement par des groupes armés ou des gangs criminels.

      « D’innombrables migrants et réfugiés ont perdu la vie en captivité tués par des passeurs, après avoir été abattus, torturés à mort ou tout simplement avoir été laissés mourir de faim ou de négligence médicale », indique le rapport.

      « Dans toute la Libye, des corps non identifiés de migrants et de réfugiés portant des blessures par balle, des marques de torture et des brûlures sont fréquemment découverts dans des poubelles, des lits de rivière asséchés, des fermes et le désert. »

      Ceux qui réussissent à survivre aux abus et à l’exploitation, et à tenter la traversée périlleuse de la Méditerranée, sont de plus en plus interceptés - ou « sauvés » comme certains le prétendent - par les garde-côtes libyens. Depuis le début de 2017, les quelque 29 000 migrants renvoyés en Libye par les garde-côtes ont été placés dans des centres de détention où des milliers de personnes restent indéfiniment et arbitrairement, sans procédure régulière ni accès à un avocat ou à des services consulaires.

      Des membres du personnel de l’ONU se sont rendus dans 11 centres de détention où sont détenus des milliers de migrants et de réfugiés. Ils ont constaté des cas de torture, de mauvais traitements, de travaux forcés et de viols commis par les gardes. Les migrants retenus dans les centres sont systématiquement soumis à la famine et à des passages à tabac sévères, brûlés avec des objets chauds en métal, électrocutés et soumis à d’autres formes de mauvais traitements dans le but d’extorquer de l’argent à leurs familles par le biais d’un système complexe de transferts d’argent.
      Surpeuplement des centres de détention

      Les centres de détention se caractérisent par un surpeuplement important, un manque de ventilation et d’éclairage, et des installations de lavage et des latrines insuffisantes. Outre les exactions et les actes de violence perpétrés contre les personnes détenues, beaucoup d’entre elles souffrent de malnutrition, d’infections cutanées, de diarrhée aiguë, d’infections du tractus respiratoire et d’autres affections, ainsi que de traitements médicaux inadéquats. Les enfants sont détenus avec des adultes dans les mêmes conditions sordides.

      Le rapport signale l’apparente « complicité de certains acteurs étatiques, notamment de responsables locaux, de membres de groupes armés officiellement intégrés aux institutions de l’État et de représentants des ministères de l’Intérieur et de la Défense, dans le trafic illicite ou le trafic de migrants et de réfugiés ».

      Nils Melzer, expert indépendant des droits de l’homme des Nations Unies sur la torture, estime que, compte tenu des risques de violations des droits de l’homme dans le pays, les transferts et les retours en Libye peuvent être considérés comme une violation du principe juridique international du « non-refoulement », qui protège les demandeurs d’asile et les migrants contre le retour dans des pays où ils ont des raisons de craindre la violence ou la persécution.

      « La situation est abominablement terrible », a déclaré jeudi Michelle Bachelet, Haut-Commissaire des Nations Unies aux droits de l’homme. « Combattre l’impunité généralisée non seulement mettrait fin aux souffrances de dizaines de milliers de femmes, d’hommes et d’enfants migrants et réfugiés, à la recherche d’une vie meilleure, mais saperait également l’économie parallèle et illégale fondée sur les atteintes à ces personnes et contribuerait à l’instauration de l’état de droit et des institutions nationales ».

      Le rapport appelle les États européens à reconsidérer les coûts humains de leurs politiques et à veiller à ce que leur coopération et leur assistance aux autorités libyennes soient respectueuses des droits de l’homme et conformes au droit international des droits de l’homme et du droit des réfugiés, de manière à ne pas, directement ou indirectement, aboutir à ce que des hommes, des femmes et des enfants soient enfermés dans des situations de violence avec peu d’espoir de protection et de recours.

      https://news.un.org/fr/story/2018/12/1032271

    • Libya: Nightmarish Detention for Migrants, Asylum Seekers

      EU and Italy Bear Responsibility, Should Condition Cooperation

      (Brussels) – European Union policies contribute to a cycle of extreme abuse against migrants in Libya, Human Rights Watch said in a report released today. The EU and Italy’s support for the Libyan Coast Guard contributes significantly to the interception of migrants and asylum seekers and their subsequent detention in arbitrary, abusive detention in Libya.

      The 70-page report, “‘No Escape from Hell’: EU Policies Contribute to Abuse of Migrants in Libya,” documents severe overcrowding, unsanitary conditions, malnutrition, and lack of adequate health care. Human Rights Watch found violent abuse by guards in four official detention centers in western Libya, including beatings and whippings. Human Rights Watch witnessed large numbers of children, including newborns, detained in grossly unsuitable conditions in three out of the four detention centers. Almost 20 percent of those who reached Europe by sea from Libya in 2018 were children.

      “Migrants and asylum seekers detained in Libya, including children, are trapped in a nightmare, and what EU governments are doing perpetuates detention instead of getting people out of these abusive conditions,” said Judith Sunderland, associate Europe director at Human Rights Watch. “Fig-leaf efforts to improve conditions and get some people out of detention do not absolve the EU of responsibility for enabling the barbaric detention system in the first place.”

      In a letter to Human Rights Watch as the report went to print, the European Commission indicated that its dialogue with Libyan authorities has focused on respect for the human rights of migrants and refugees, that the EU’s engagement in Libya is of a humanitarian nature, and that concrete improvements have been achieved though challenges remain.

      Human Rights Watch visited the #Ain_Zara and #Tajoura detention centers in Tripoli, the al-Karareem detention center in Misrata, and the Zuwara detention center in the city of the same name in July 2018. All are under the nominal control of the Directorate to Counter Illegal Migration (DCIM) of the Government of National Accord (GNA), one of two competing authorities in Libya. Human Rights Watch spoke with over 100 detained migrants and asylum seekers, including 8 unaccompanied children, and each center’s director and senior staff. Researchers also met with the head of DCIM; senior officials of Libya’s Coast Guard, which is aligned with the GNA; and representatives of international organizations and diplomats.

      Abdul, an 18-year-old from Darfur, was intercepted by the Libyan Coast Guard in May 2018, when he attempted to reach Europe to apply for asylum. He was subsequently detained in abysmal, overcrowded, and unsanitary conditions in the al-Karareem center. He said that guards beat him on the bottom of his feet with a hose to make him confess to helping three men escape. Abdul’s experience encapsulates the struggle, dashed hopes, and suffering of so many migrants and asylum seekers in Libya today, Human Rights Watch said.

      Senior officials in EU institutions and member countries are aware of the situation. In November 2017, EU migration commissioner, Dimitri Avramopoulos, said: “We are all conscious of the appalling and degrading conditions in which some migrants are held in Libya.” Yet since 2016, the EU and particular member states have poured millions of euros into programs to beef up the Libyan Coast Guard’s capacity to intercept boats leaving Libya, fully aware that everyone is then automatically detained in indefinite, arbitrary detention without judicial review.

      Italy – the EU country where the majority of migrants departing Libya have arrived – has taken the lead in providing material and technical assistance to the Libyan Coast Guard forces and abdicated virtually all responsibility for coordinating rescue operations at sea, to limit the number of people arriving on its shores. The increase in interceptions in international waters by the Libyan Coast Guard, combined with obstruction by Italy and Malta of rescue vessels operated by nongovernmental organizations, has contributed to overcrowding and deteriorating conditions in Libyan detention centers.

      Enabling the Libyan Coast Guard to intercept people in international waters and return them to cruel, inhuman, or degrading treatment in Libya can constitute aiding or assisting in the commission of serious human rights violations, Human Rights Watch said. EU and member state support for programs for humanitarian assistance to detained migrants and asylum seekers and for evacuation and repatriation schemes have done little to address the systemic problems with immigration detention in Libya, and serve to cover up the injustice of the EU containment policy.

      Libyan authorities should end arbitrary immigration detention and institute alternatives to detention, improve conditions in detention centers, and ensure accountability for state and non-state actors who violate the rights of migrants and asylum seekers. The authorities should also sign a memorandum of understanding with UNHCR, the United Nations refugee agency, to allow it to register anyone in need of international protection, regardless of nationality, in full respect of its mandate.

      EU institutions and member states should impose clear benchmarks for improvements in the treatment of migrants and conditions in detention centers in Libya and be prepared to suspend cooperation if benchmarks are not met. The EU should also ensure and enable robust search-and-rescue operations in the central Mediterranean, including by nongovernmental groups, and significantly increase resettlement of asylum seekers and vulnerable migrants out of Libya.

      “EU leaders know how bad things are in Libya, but continue to provide political and material support to prop up a rotten system,” Sunderland said. “To avoid complicity in gross human rights abuses, Italy and its EU partners should rethink their strategy to truly press for fundamental reforms and ending automatic detention.”

      https://www.hrw.org/news/2019/01/21/libya-nightmarish-detention-migrants-asylum-seekers

    • L’odissea degli ultimi. Libia, nuove cronache dall’orrore

      Ancora foto choc dai campi di detenzione di #Bani_Walid, dove i trafficanti torturano e ricattano le vittime Prigionieri di criminali efferati, 150 profughi subiscono violenza da mesi.

      Le immagini provengono direttamente dall’inferno di Bani Walid, distretto di #Misurata, circa 150 chilometri a sud-est di Tripoli. Sono state mandate ai familiari dai trafficanti di esseri umani per indurli al pagamento del riscatto per rilasciarli. Da sei mesi ogni giorno i detenuti subiscono minacce, percosse, torture e le donne spesso vengono stuprate dai guardiani. Tutti hanno cicatrici e bruciature per la plastica fusa gettata su arti e schiena. Ma la cifra chiesta dai libici – 4 o 5mila dollari – è troppo alta perché i parenti hanno già dovuto pagare le diverse tappe del viaggio e ora stanno chiedendo aiuto ai conoscenti. Come ha scritto di recente anche il Corriere della Sera, nel caos libico lo scontro tra il governo centrale di Serraj e quello di Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, ha lasciato senza paghe i dipendenti pubblici, tra cui i guardiani delle galere.


      https://dossierlibia.lasciatecientrare.it/lodissea-degli-ultimi-libia-nuove-cronache-dallorrore

    • Torture and shocking conditions: the human cost of keeping migrants out of Europe

      It’s been heralded as the start of a new dialogue. The first summit between the League of Arab States and EU member states ended with a lofty statement of shared values.

      European leaders shook hands with their Arab counterparts and discussed issues such as Syria, Yemen and nuclear proliferation. They agreed to tackle the “common challenge” of migration.

      Tonight, we’ve new evidence of how Libyan authorities are tackling that challenge.

      Footage from inside camps in Libya shows migrants living in shocking conditions. And there are disturbing signs that some migrants are being tortured by people traffickers. This report contains images that some viewers will find distressing.


      https://www.channel4.com/news/torture-and-shocking-conditions-the-human-cost-of-keeping-migrants-out-of-

    • Des migrants détenus en Libye, torturés pour s’être rebellés

      L’affaire est révélée par la télévision al-Jazeera. Le sort des migrants et des réfugiés bloqués en Libye ne cesse de se dégrader. Le 26 février 2019, plus d’une centaine se sont révoltés dans le centre de Triq al-Sikka à Tripoli, pour dénoncer leurs conditions de détention. La répression a été terrible. Une trentaine de ces détenus auraient été torturés.


      https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/naufrage-a-lampedusa/des-migrants-detenus-en-libye-tortures-pour-setre-rebelles_3217669.html

    • L’incapacité européenne face à la #maltraitance des réfugiés en Libye

      #Matteo_de_Bellis, chercheur d’Amnesty International sur les migrations, revient sur les tortures et les violences contre les réfugiés et les migrants en Libye et l’incapacité honteuse de l’Europe à y mettre fin.

      Farah, un jeune homme somalien, sa femme et leur fille qui venait de naître avaient passé 12 heures en mer quand les gardes-côtes libyens ont intercepté leur canot. Le couple avait fui la Libye après plusieurs mois de torture dans un hangar dans lequel Farah était battu et sa femme était violée par des bandes criminelles libyennes essayant d’obtenir une rançon de leurs proches.

      Lorsqu’il a réalisé qu’il allait être renvoyé en Libye, le jeune homme de 24 ans a été pris de nausées. « Je savais qu’il valait mieux mourir que retourner en Libye, mais ils nous ont menacés avec des armes. »

      Farah, sa femme et son bébé ont passé les sept mois suivants dans deux centres de détention de Tripoli. « Il n’y avait pas de nourriture ou de soins pour mon bébé. Elle est morte à huit mois. Elle s’appelait Sagal. »

      Leur histoire n’est que l’une des nombreuses histoires déchirantes de violence et de cruauté inimaginable que j’ai pu entendre le mois dernier à Médenine, une petite ville du sud de la Tunisie, qui a accueilli un nombre limité mais constant de réfugiés et de migrants franchissant la frontière pour échapper à l’enfer de la Libye.

      Ce weekend, de nouveaux témoignages faisant état de torture dans le centre de détention de Triq al Sikka ont été recueillis. D’après ces informations, plus de 20 réfugiés et migrants, dont des enfants, ont été conduits dans une cellule en sous-sol et torturés individuellement, à tour de rôle, à titre de punition pour avoir protesté contre leur détention arbitraire dans des conditions déplorables et l’absence de solution. En réponse à cette contestation, plus d’une centaine d’autres personnes détenues ont été transférées vers d’autres centres de détention, notamment celui d’#Ain_Zara, dans lequel Sagal est morte.

      Ces témoignages de violences correspondent à ce que j’ai pu entendre en Tunisie. Un autre homme somalien, Abdi, a décrit l’extorsion et les violences qu’il a subies aux mains des gardiens des centres de détention. Comme Farah, Abdi a été arrêté en mer par les gardes-côtes libyens et renvoyé en Libye où il est passé d’un centre de détention à un autre.

      Parfois, les gardes boivent et fument, puis frappent des gens. Ils demandent aussi aux gens de leur donner de l’argent en échange de leur libération, et ceux qui ne paient pas sont frappés. On voyait les gardes, tant des membres des milices que de la police, venir et frapper des gens qui n’avaient pas payé.

      La plupart des personnes actuellement détenues dans les centres de détention de Libye ont été interceptées en mer par les gardes-côtes libyens, qui ont bénéficié de tout un éventail de mesures de soutien de la part des gouvernements européens en échange de leur coopération en vue d’empêcher les réfugiés et les migrants d’atteindre les côtes européennes.

      L’argent des contribuables européens a été utilisé pour fournir des bateaux, créer une zone de recherche et sauvetage libyenne et construire des centres de coordination, entre autres mesures, en vue de renforcer les capacités de la Libye à empêcher ces personnes de fuir le pays et à les maintenir en détention illégale. Et ces aides ont été accordées sans la moindre condition associée, même si une telle coopération entraîne de graves violations des droits humains, comme des actes de torture.

      Si les États membres de l’Union européenne veulent cesser d’être complices des violences, des viols et de l’exploitation que subissent des femmes, des hommes et des enfants, ils doivent exiger la fermeture de tous les centres de détention pour migrants en Libye et la libération des quelque 5 000 personnes qui y sont actuellement détenues.

      Les gouvernements européens qui, depuis des années, prennent des mesures frénétiques, faisant adopter des politiques destinées à empêcher les arrivées en Europe quel qu’en soit le coût humain, doivent revenir à la raison, surtout maintenant que le nombre de traversées est très faible. Au-delà de mesures en vue de remédier à la crise des droits humains en Libye qui touche tant des Libyens que des ressortissants d’autres pays, la réponse doit prévoir un mécanisme rapide et fiable de débarquement en Europe des personnes en quête d’asile et des migrants secourus en Méditerranée, ainsi qu’un système équitable de partage des responsabilités en matière d’assistance entre les États membres de l’Union européenne.

      Ces mesures permettraient de contribuer à éviter les événements désastreux qui se sont enchaînés l’année dernière : des bateaux de sauvetage bloqués en mer pendant des semaines face au refus des pays de l’Union européenne d’ouvrir leurs ports et de les accueillir. Non seulement ces événements aggravent les souffrances des personnes qui viennent de fuir des traitements épouvantables, mais ils découragent également les navires marchands de porter secours à des personnes en détresse et de veiller à ce que ces personnes puissent débarquer dans un lieu sûr, où elles ne pourront pas être renvoyées en Libye.

      Emmanuel, un réfugié de 28 ans qui a fui le conflit au Cameroun, a décrit sa dérive en mer à bord d’un canot non loin d’une autre embarcation qui prenait l’eau, et sa stupéfaction lorsqu’un bateau a refusé de leur porter secours.

      Depuis le gros bateau, ils ont passé des appels, mais nous ont dit : “Désolé, nous ne pouvons pas vous accueillir, ce n’est pas de ma faute, nous avons ordre de laisser les Libyens venir vous chercher.” Pendant ce temps, je voyais les gens mourir sur l’autre bateau. Des bouts de bateau et des corps flottaient. [Quand] un petit bateau libyen est venu nous chercher... toutes les personnes à bord de l’autre canot étaient mortes. »

      Alors que des informations selon lesquelles des réfugiés de pays comme l’Érythrée retournent dans leur pays en dépit des risques bien connus pesant sur leur vie émergent, l’Europe ne peut pas se permettre d’ignorer les conséquences catastrophiques de ses politiques irresponsables destinées à freiner l’immigration en Méditerranée.

      Les départs depuis la Libye sont en déclin, c’est donc le moment d’exiger des changements, notamment la fermeture des centres de détention pour migrants en Libye, la mise en place d’un système de débarquement et de relocalisation équitable en Europe et des voies sûres et légales qui n’obligent pas les personnes qui cherchent la sécurité à passer par des traversées en mer.

      Cela permettrait à de nombreux enfants et adultes de sortir de ce calvaire et de quitter les centres de détention atroces dans lesquels ils sont actuellement détenus arbitrairement en Libye. Les gouvernements européens, qui ont fermé la route de la Méditerranée centrale et donc abandonné des milliers de personnes prises au piège en Libye, ne doivent pas perdre de temps.

      Nous pourrions aider à sauver des dizaines d’autres Sagal, de pères et de mères.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/lincapacite-europeenne-face-a-la-maltraitance-des

    • Refugees report brutal and routine sexual violence in Libya

      Abuse often filmed and sent to victims’ relatives, Women’s Refugee Commission finds.
      Refugees and migrants trying to reach Europe from Africa are being subjected to horrific and routine sexual violence in Libyan detention centres, a survey has found.

      People arriving at the centres are “often immediately raped by guards who conduct violent anal cavity searches, which serves the dual purpose of retrieving money, as well as humiliation and subjugation”, the report by the Women’s Refugee Commission says. Many of the victims have been forcibly returned to the country by the Libyan coastguard under policies endorsed by the European Union.

      The level of psychological treatment for victims of sexual violence who reach Italy is woefully inadequate, the report adds.

      Sarah Chynoweth, the lead researcher on the report, said: “Profoundly cruel and brutal sexual violence and torture are perpetrated in official detention centers and clandestine prisons, during random stops and checkpoints, and in the context of forced labor and enslavement. The fact that refugees and migrants crossing the Mediterranean are intercepted and forced back into this violence is untenable.”

      The report, released at the Swedish mission in Geneva, is based on surveys and focus groups of people who have reached Italy. Much of the sexual violence it describes is too graphic to detail, but the authors make the broad point that “during the course of this research, almost all refugees, migrants, and key informants emphasised that sexual violence against male and female migrants along the entire central Mediterranean route was exceptionally high”.

      A UN officer estimated that 90% of male refugees and migrants being hosted in the Italian reception system had experienced sexual violence during their journey. A local government official said that, among refugee and migrant boys, “although there are no real numbers, we know that a huge number of the minors have experienced sexual violence on the journey [to Italy]”.

      The extent of sexual violence perpetrated against refugees appears in part to be contingent on their financial resources, their connections, and the year that they travelled – those traveling in recent years are seemingly more likely to have experienced sexual violence.

      In many cases, sexual violence and torture are filmed on Skype and used to try to extract ransom money from the victims’ relatives, the report by the Swedish-funded, US-based commission says.

      Refugees, migrants and informants told researchers that sexual violence was commonplace throughout the journey to Italy. “All along the journey they experienced sexual violence,” a health provider reported. “The whole journey is traumatic. Libya is just [the] icing on the cake.”

      It had been thought that the dominance of young males in the Libyan refugee trail would reduce the risk of sexual violence. It is estimated 72% of sea arrivals in Italy were men and 18% were children, mainly unaccompanied boys.

      In response to questions about sexual violence in Libya, refugees and migrants variously told the researchers that it “happened to everyone”, “is normal in Libya”, “happened to all people inside Libya” and “happened to many, many of my friends”.

      Only two refugees among those surveyed explicitly reported that they had not been exposed to sexual violence, due to their ability to pay large sums in exchange for relatively safe passage.

      A mental health provider in Italy working with refugees and migrants said that most of the men he spoke to had been raped in centres in Libya. A protection officer commented: “It is so widespread. Everyone knows when a man says”: ‘I’ve gone through Libya’ it is a euphemism for rape.”

      Among the forms of sexual violence described to researchers was anal and oral rape, forced rape of others including corpses, castration and forced incest.

      Much of the sexual violence described by research participants contained elements of profound psychological torture and cruelty.

      Violence against detainees is frequently perpetrated in front of others or recorded on mobile phones, compounding the humiliation and reinforcing the experience of subjugation, the researchers found. “Perpetrators send (or threaten to send) the video footage to detainees’ family members for extortion purposes,” the report says.

      A commonly reported torture technique involved forcing men to stand in a circle to watch the rape and sometimes murder of women; men who moved or spoke out were beaten or killed.

      Health and mental health providers who had treated male survivors frequently reported electroshock burns to the genitals. Other genital violence included beating, burning, tying and “pulling of the penis and scrotum”.


      In February 2017, Italy made a deal, backed by the EU, to spend tens of millions of euros funding the Libyan coastguard, which intercepts boats heading for Italy and returns those onboard to Libya.

      From January 2017 to September 2018, the Libyan coastguard intercepted and forcibly returned more than 29,000 people. Many ended up in detention centres or disappeared altogether.

      https://www.theguardian.com/world/2019/mar/25/refugees-face-routine-sexual-violence-in-libyan-detention-centres-repor
      #viols

      Et ce chiffre...

      A UN officer estimated that 90% of male refugees and migrants being hosted in the Italian reception system had experienced sexual violence during their journey.

      v. aussi :

      Il 90% dei migranti visitati nelle cliniche del Medu ha parlato di violenza estrema e torture

      https://seenthis.net/messages/598508#message599359

  • La #Bulgarie, en « première ligne de front » pour l’accueil des #réfugiés #syriens

    Chaque jour, venant de Turquie, des dizaines de réfugiés syriens fuyant la guerre franchissent les frontières de la Bulgarie. Sofia assure que ses capacités d’accueil sont déjà saturées, et attend plus de solidarité européenne. 500 réfugiés ont été installés dans le « #centre_de_transit » de #Pastrogor, près des frontières de la Grèce et de la Turquie. Témoignages et reportage sur les terribles conditions de vie dans cet « angle mort » de l’Union européenne.

    http://balkans.courriers.info/article23198.html

    #migration #Syrie #asile