• N.N. – No Name, No Nation, Not Necessary, No Noise
    https://www.meltingpot.org/2024/03/n-n-no-name-no-nation-not-necessary-no-noise

    di Diego Saccora, Lungo la rotta balcanica APS e Andrea Rizza Goldstein, Arci Bolzano-Bozen É a partire dalla fine del 2017 che il flusso delle persone in movimento per le rotte dei Balcani ha cominciato a interessare in maniera sempre più consistente la Bosnia-Erzegovina. Se all’inizio del 2018 la via di accesso principale passava dal Montenegro e prima ancora dalla Grecia e dall’Albania, già qualche segnale di quella che sarebbe poi diventata la via più utilizzata dal 2019 lo si registrava lungo le rive del fiume Drina, al confine tra Serbia e Bosnia-Erzegovina. Uno degli indicatori di questi attraversamenti, (...)

    #Notizie #Confini_e_frontiere #Redazione

  • Réadmission des migrants venant d’Europe : #Soueisssya, ciblée pour un centre de transit ?

    Mine de rien, les autorités mauritaniennes et européennes seraient avancées dans leur projet de « #partenariat_renforcé » dans la lutte contre l’immigration clandestine entre les deux rives. Malgré la levée du ton de l’Opposition, le projet commun est déjà -si l’on en croit des sources autorisées- bien lancé. Le dernier déplacement conjoint de la présidente de la commission européenne, Urusla Van Der Leyen, et du premier Ministre espagnol, Pedro Sanchez, attesterait de l’importance de la question pour les deux parties.
    Les discussions entre les deux parties, entamées de plus plusieurs mois, auraient même déjà identifiée la zone de Soueissiya, 60 km de notre capitale économique, sur la route de Nouakchott, pour élire le futur centre de rétention des immigrés interceptés en haute mer.
    Pour ce faire, un autre accord de statut pour les forces du Frontex devrait permettre aux gardes-frontières européens de patrouiller, avec les garde-côtes mauritaniens, pour intercepter les candidats à l’immigration clandestine.
    Ces derniers qui voient les filets se resserrer sur eux pourraient donc être interceptés et renvoyés vers ce centre de reflux où ils devraient être recueillis dans l’optique de les faire retourner chez eux. En plus de soutien sonnant et trébuchant, l’UE aurait également accéder à des demandes locales pour la construction de tronçons routiers entre Boulenouar, 98km, et Tmeimichatt, 319 km sur la voie ferrée. Le projet de centre en lui-même sera bien équipé et gardé. Rien n’a été donc jusqu’à présent scellé. La date butoir du 7 mars 2024 où séjournera une Haute délégation de l’UE à Nouakchott permettra d’entrevoir plus de transparence, peut-être, dans ce dossier qui fait couler beaucoup d’encre. Il aidera, en tout cas, à estomper les supputations qui vont bon train sur cette délicate question.
    Si officiellement on évoque l’enveloppe de 210 millions d’euros, d’ici la fin de l’année, l’investissement européen, pour convaincre la partie mauritanienne, est estimé à quelques 522 millions d’euros.
    Néanmoins, les autorités mauritaniennes dénient tout accord avec l’UE permettant de recaser sur leur territoire d’immigrés chassés d’Europe. La perspective de renvoi d’immigrés, en majorité africains, serait pour le moins imprudente au moment où la Mauritanie tient les brides de l’UA.

    https://ladepeche.mr/?p=8575
    #externalisation #migrations #asile #réfugiés #Mauritanie #accord #partenariat #Europe #UE #EU #centre_de_transit #centre_de_rétention #rétention #détention_administrative #Frontex

    • La Mauritania diventerà un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Europa?

      Il 7 marzo è previsto un nuovo incontro congiunto tra l’Ue, la Spagna e lo Stato africano

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      La Mauritania diventerà un centro di accoglienza per i migranti espulsi dall’Europa?

      Il 7 marzo è previsto un nuovo incontro congiunto tra l’Ue, la Spagna e lo Stato africano
      Nagi Cheikh Ahmed
      6 Marzo 2024

      La Mauritania è un paese situato nell’angolo nord-occidentale del continente africano e affacciato sull’oceano Atlantico: questa sua posizione è strategica ed estremamente importante per le persone migranti che cercano di raggiungere il continente europeo e l’arcipelago spagnolo delle Canarie. Negli ultimi anni, infatti, il paese ha registrato un significativo aumento del numero di migranti che lo attraversano nel tentativo di raggiungere le isole spagnole e altri paesi dell’Unione Europea. Le stime indicano che questo aumento potrebbe essere il risultato del rafforzamento delle misure contro le migrazioni nei paesi limitrofi che portano a deviare le rotte verso nuovi percorsi, rendendo la Mauritania un luogo di transito sempre più “attraente” per raggiungere l’Europa.

      È in questo contesto che la Spagna e lo Stato africano stanno avanzando nella costruzione di una forte partnership per combattere l’immigrazione irregolare e rafforzare la sicurezza dei confini attraverso una serie di misure e azioni. Questi sforzi includono la cooperazione nello scambio di informazioni di intelligence, la formazione delle forze di sicurezza e della guardia nazionale, nonché il rafforzamento del controllo delle frontiere e un supporto operativo per lo sviluppo di capacità nell’affrontare tale fenomeno. Secondo i dati spagnoli, l’83% dei migranti che attualmente arrivano alle isole Canarie sono transitati dalla Mauritania.
      I migranti come strumento di pressione e ricatto

      Di fronte alle crescenti tensioni attorno le questioni migratorie, i Paesi europei cercano di trovare “soluzioni” che garantiscano una riduzione del flusso di migranti verso i loro confini. È quella che viene definita la politica di esternalizzazione delle frontiere, ossia una politica di “estensione” dei confini per impedire ai migranti di raggiungere o avvicinarsi al loro territorio, attraverso accordi con diversi Paesi africani considerati punti di transito potenziali per i migranti africani. L’accordo contro l’immigrazione tra la Spagna e la Mauritania è un altro esempio evidente di come i Paesi europei sfruttino le necessità finanziarie dei paesi poveri. Questo accordo che si basa su sforzi congiunti per la lotta all’immigrazione, riflette chiaramente la dinamica tra la necessità di sicurezza europea e la necessità finanziaria dei paesi africani, sollevando controversie sul costo umano che viene pagato in questo processo.

      Nella politica internazionale contemporanea, l’immigrazione emerge come una delle questioni più controverse e complesse, specialmente quando viene utilizzata come strumento di pressione nelle negoziazioni politiche ed economiche. La Turchia, con la sua posizione geografica unica tra l’Europa e il Medio Oriente, ha utilizzato abilmente l’immigrazione nelle sue negoziazioni con l’Unione Europea. L’accordo del 2016 è stato un punto di svolta, in cui l’Unione Europea ha accettato di pagare miliardi di euro ad Ankara in cambio del controllo del flusso di rifugiati verso l’Europa. Questo accordo ha dimostrato come i paesi possano sfruttare le crisi migratorie per rafforzare le loro posizioni economiche e politiche.

      Come la Turchia, anche il Marocco ha sfruttato la sua posizione come principale porta d’accesso all’Europa per ottenere concessioni finanziarie e commerciali dalla Spagna e dall’Unione Europea, e persino posizioni politiche nel suo conflitto con il Fronte Polisario. Controllando i flussi migratori, il Marocco ha rafforzato la sua posizione come partner chiave dell’Unione Europea nella lotta contro l’immigrazione irregolare, migliorando così le sue relazioni economiche e politiche con l’Europa.

      Oltre a Turchia e Marocco, il comportamento di Russia e Bielorussia emerge come un esempio evidente di sfruttamento delle questioni migratorie per il ricatto politico contro l’Unione Europea. Questi due paesi hanno facilitato l’accesso dei migranti ai confini orientali europei, creando una crisi migratoria artificiale mirata a esercitare pressione politica ed economica. La Bielorussia, sotto la guida di Alexander Lukashenko, ha utilizzato l’immigrazione come mezzo per rispondere alle sanzioni europee imposte contro di essa. Facilitando il passaggio dei migranti verso Lituania, Lettonia e Polonia, la Bielorussia ha cercato di creare problemi di sicurezza e umanitari all’Unione Europea, costringendola a rinegoziare i termini delle sanzioni e le relazioni diplomatiche.

      Anche la Mauritania vuole partecipare

      Considerati i numerosi accordi bilaterali sottoscritti negli ultimi anni, anche il governo mauritano cerca opportunità per trarre vantaggio da questa situazione ottenendo guadagni politici e finanziari. Pertanto, l’uso dei migranti come strumento di ricatto riflette una strategia che consente alla Mauritania di richiedere più supporto e assistenza dall’Unione Europea in cambio della sua cooperazione nella lotta contro l’immigrazione irregolare e l’arresto del flusso di migranti. La Mauritania, che trova difficoltà nel controllare i suoi vasti confini, potrebbe tollerare l’ingresso dei migranti nel suo territorio, al fine di accumularne un gran numero per dimostrare la sua necessità di fronte all’Europa e quindi ottenere supporto e assistenza finanziaria, ignorando tutti i rischi che tali politiche potrebbero comportare per un paese già fragile con una infrastruttura carente, trascurando i diritti di migliaia di migranti.

      Il governo nega, ma i documenti confermano

      L’accordo stipulato tra la Mauritania e l’Unione Europea per combattere il fenomeno dell’immigrazione irregolare ha sollevato polemiche a livello locale, considerato come un “accordo” tra le due parti per insediare i migranti sul territorio mauritano in cambio di un pacchetto di aiuti finanziari, cosa che le autorità negano. Alcuni media indipendenti hanno riportato l’intenzione dell’Unione Europea di offrire subito 220 milioni di euro di aiuto alla Mauritania: questa proposta è emersa durante un incontro tenutosi giovedì 8 febbraio nella capitale Nouakchott, tra la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez e il presidente mauritano Mohamed Ould Ghazouani.

      Il Ministero dell’Interno mauritano ha negato ciò, affermando che la Mauritania “non sarà una patria alternativa per i migranti irregolari“, confermando al contempo di aver avviato negoziazioni preliminari con l’Unione Europea “su una bozza di dichiarazione congiunta relativa all’immigrazione, in linea con la roadmap discussa tra le parti a Bruxelles l’11 dicembre 2023“. Il ministero ha aggiunto in una dichiarazione che “le negoziazioni tra le parti rimarranno aperte, al fine di raggiungere un’intesa comune che serva gli interessi di entrambe le parti in materia di immigrazione legale e lotta contro l’immigrazione irregolare, tenendo conto delle sfide che la Mauritania affronta in questo campo, lontano da ciò che alcuni promuovono riguardo l’ipotesi di insediare i migranti irregolari in Mauritania”.

      Il ministero ha negato con enfasi qualsiasi ipotesi di accordo che punti a rendere la Mauritania un luogo dove insediare, accogliere o ospitare temporaneamente migranti stranieri irregolari, affermando che queste voci sono completamente infondate e che questo argomento non è stato affatto discusso, non è all’ordine del giorno e non è assolutamente contemplato. Il ministero ha dichiarato che gli incontri tra le parti hanno discusso la bozza del documento, allo scopo di “avvicinare i punti di vista riguardo ciò che stabilisce un accordo equilibrato e giusto che garantisca il rispetto della sovranità e degli interessi comuni di entrambe le parti, e sia in linea con le convenzioni e le leggi internazionali in materia di immigrazione“.

      Il ministero ha sottolineato che gli incontri continueranno a esaminare e analizzare i termini del documento, incluso ciò che sarà discusso durante l’incontro previsto tra la Mauritania e l’Unione Europea che si terrà nuovamente a Nouakchott giovedì 7 marzo. Tuttavia, il documento ottenuto dai media, relativo al verbale di discussione tra una delegazione mauritana e l’Unione Europea a Bruxelles il 9 febbraio 2024, mostra nei suoi termini l’accettazione della Mauritania di accogliere i rifugiati e i migranti espulsi dall’Europa, al fine di assisterli nella loro integrazione e “facilitare” la loro vita.

      Il documento non parla chiaramente dell’accoglimento da parte della Mauritania di re-insediare in modo permanente i migranti espulsi dagli Stati dell’Ue sul suo territorio, ma c’è un punto che rivela senza ambiguità la sua disponibilità ad accogliere i migranti espulsi dall’Europa, in assenza totale di qualsiasi meccanismo specifico per il successivo rimpatrio nei loro paesi d’origine.

      Questa estrema ambiguità getta diversi dubbi sulla serietà delle misure adottate, specialmente quando si considerano le enormi difficoltà che anche i paesi europei, con le loro vastissime risorse, incontrano nell’identificare i migranti che spesso sono senza documenti. Sembra che la soluzione europea si limiti a liberarsi del problema, rimpatriando i migranti in Mauritania senza considerare il loro destino successivo, il che significa che alla fine rimarranno in Mauritania a tempo indeterminato.

      Questo approccio ignora deliberatamente le cause profonde dell’immigrazione, come i cambiamenti climatici, i conflitti e le violazioni dei diritti umani, che spingono le persone a rischiare la vita in cerca di una loro sicurezza e di una possibilità di vita dignitosa. Concentrandosi esclusivamente sulla deportazione, l’Unione Europea dimostra una certa indifferenza verso la sofferenza delle persone più vulnerabili, ignorando così gli obblighi internazionali relativi alla protezione dei rifugiati e ai diritti umani, che garantiscono il diritto delle persone a presentare domande di protezione internazionale basate sulle loro storie personali e a dare loro tempo sufficiente per elaborare le richieste di protezione e asilo.

      D’altra parte, la firma di tali accordi con la Mauritania solleva serie domande sulla situazione della sicurezza e dei diritti umani nel paese. La disponibilità ad accettare questi migranti senza misure chiare per proteggerli o rispettare i loro diritti trascura gravemente l’assenza di tutele civili e sociali, a causa del pessimo record della Mauritania in materia di diritti umani.

      «Le relazioni internazionali sul Paese mettono in luce violazioni continue che includono schiavitù, discriminazione, detenzione arbitraria e repressione della libertà di espressione.»

      Ad esempio, lunedì 4 marzo 2024 in Mauritania è iniziato il processo contro due giovani. Una ragazza di 19 anni è stata arrestata lo scorso luglio e la pubblica accusa le ha imputato il “reato di derisione e insulto al Profeta Maometto“, chiedendo la sua incarcerazione. È inoltre accusata di utilizzare i social media per offendere l’Islam, reati per cui il codice penale mauritano prevede la pena di morte. L’altro giovane è un mauritano che aveva abbracciato il cristianesimo da tempo e viveva in Germania, dove aveva chiesto protezione, ma le autorità tedesche non hanno riconosciuto la sua richiesta e lo hanno deportato in Mauritania, dove è stato arrestato immediatamente all’arrivo in aeroporto ed è in carcere da mesi. In questo momento, c’è una grande carenza di informazioni sul loro stato di salute fisico e psicologico. Le autorità stanno facendo pressione per oscurare il processo e non parlare di queste vicende, il tutto si svolge in un’atmosfera cupa. Questi due casi sono anche esemplificativi dei seri dubbi sulla volontà della Mauritania di fornire protezione ai migranti e ai rifugiati rimpatriati.

      Inoltre, l’assenza di legislazione specifica per regolare lo status di rifugiati e migranti in Mauritania complica la possibilità di garantire efficacemente i diritti di queste categorie. Senza un quadro legale chiaro che regoli le procedure di asilo e immigrazione, e garantisca la protezione necessaria, rifugiati e migranti rimangono in una posizione legale precaria, esposti a rischi e senza diritti tangibili.

      Il fatto che l’Europa firmi tali accordi ignorando la realtà in Mauritania costituisce una chiara violazione dei trattati internazionali che proibiscono il trasferimento di migranti in paesi dove potrebbero affrontare il rischio di incarcerazione o discriminazione, e subire trattamenti inumani e degradanti. Questo accordo, per gli esperti del diritto, contraddice esplicitamente perfino gli approcci di sicurezza adottati dall’Europa nel settembre 2015, quando la Commissione Europea ha proposto un progetto per creare una lista comune dei “paesi di origine e transito sicuri“, dove i richiedenti asilo che passano attraverso il paese indicato potrebbero essere rimpatriati. Paesi considerati appunto “sicuri” in quanto le procedure relative alle loro richieste di asilo dovrebbero essere in linea con gli standard del diritto internazionale ed europeo sui rifugiati. Tuttavia, l’Unione Europea non ha incluso la Mauritania in questa lista dei paesi sicuri. Quindi, come può l’Europa firmare tali accordi con un paese che non considera sicuro?
      Verso un nuovo orizzonte

      L’incontro congiunto di giovedì 7 marzo nella capitale Nouakchott deve essere considerato come un momento cruciale che richiede una profonda riflessione e una revisione delle basi e dei principi su cui si fondano tali accordi. Entrambe le parti dovrebbero guardare con occhi critici alle esperienze passate, valutando i risultati e gli impatti reali delle politiche adottate sui diritti umani e sulla dignità dei migranti e dei rifugiati.

      C’è un bisogno urgente di adottare un approccio più inclusivo e umano nel trattare le questioni dell’immigrazione, un approccio che vada oltre le misure di sicurezza e restrittive per includere le dimensioni sociali e umane. Questo approccio dovrebbe concentrarsi sul diritto e sulla libertà dell’individuo di muoversi e migrare, piuttosto che limitarsi alla semplice gestione dei flussi migratori o tutt’al più a deviare i tragitti da un paese all’altro.

      È anche essenziale rafforzare i meccanismi di trasparenza e responsabilità nell’attuazione e nel monitoraggio degli accordi. L’Unione Europea e la Mauritania devono garantire che le politiche sull’immigrazione siano conformi agli obblighi internazionali e rispettino i diritti umani e la dignità di tutte le persone. La cooperazione internazionale in materia di immigrazione non dovrebbe portare a minare questi diritti o ignorare le difficili condizioni umane affrontate da migranti e rifugiati.

      È richiesto inoltre che la Mauritania lavori per migliorare il suo approccio sui diritti umani e rafforzare la protezione per migranti e rifugiati sul suo territorio. Ciò dovrebbe includere la riforma delle leggi e delle pratiche che permettono l’arresto arbitrario e la discriminazione, e fornire meccanismi efficaci per il ricorso e la protezione legale degli individui.

      Dall’altro lato, spetta all’Unione Europea non solo fornire supporto finanziario e tecnico, ma anche lavorare con la Mauritania e altri paesi partner per sviluppare politiche sull’immigrazione giuste ed eque, che rispettino i diritti e la dignità umana di tutte le persone, indipendentemente dal loro status migratorio.

      La sfida che l’Unione Europea e la Mauritania devono affrontare non è solo rinnovare questi accordi, ma reinventarli in modo che realizzino sicurezza e stabilità e, allo stesso tempo, rispettino i diritti umani e promuovano lo sviluppo sostenibile e inclusivo.

      Questo incontro congiunto a Nouakchott dovrebbe essere un’opportunità per presentare una nuova visione della cooperazione in materia di immigrazione, una visione basata sulla responsabilità condivisa, solidarietà e rispetto reciproco. Infine, l’obiettivo dovrebbe essere costruire un futuro in cui le persone possano vivere con dignità e sicurezza nei loro paesi, o scegliere di migrare come un diritto e non come una necessità imposta dalla disperazione.

      https://www.meltingpot.org/2024/03/la-mauritania-diventera-un-centro-di-accoglienza-per-i-migranti-espulsi-

    • Migration : petit à petit, l’UE verrouille des accords fragiles avec les pays tiers

      Ce jeudi, la secrétaire d’Etat de Moor, accompagne la commissaire européenne aux Affaires intérieures à Nouakchott pour signer un mémorandum d’accord migratoire avec la Mauritanie. Après la Turquie, la Libye, et la Tunisie récemment, ces accords se multiplient autant que les critiques qui les entourent.

      Ce dimanche, partis de Mauritanie, six migrants voulant rallier l’Europe ont péri dans leur traversée. 65 autres personnes, également à bord de leur pirogue, sont toujours portées disparues. En 2023, plus de 40.000 personnes ont risqué leur vie dans l’Atlantique – près de 1.000 en sont mortes – en voulant rejoindre l’Espagne via les îles Canaries au départ de l’Afrique de l’Ouest. Une hausse sans précédent (+ 160 % par rapport à 2022) que les autorités locales ont du mal à gérer. C’est dans ce contexte que la commissaire européenne aux Affaires intérieures Ylva Johansson, le ministre de l’Intérieur espagnol Fernando Grande-Marlaska et notre secrétaire d’Etat à l’Asile et la Migration Nicole de Moor se rendent à Nouakchott ce jeudi afin de signer un mémorandum d’accord avec la Mauritanie.

      Ce protocole d’accord s’inscrit dans la lignée de celui, polémique, conclu en juillet dernier avec la Tunisie. Avec ces « partenariats stratégiques mutuellement bénéficiaires », la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen entend « combattre la migration irrégulière à la racine et travailler mieux avec des pays partenaires », c’est-à-dire ceux où les migrants embarquent ou prennent la route pour l’UE. L’idée est que les pays de départ ou de transit bloquent l’arrivée de migrants vers les côtes européennes et réadmettent leurs citoyens en séjour illégal dans l’UE en échange d’investissements ou de coups de pouce économiques. Contacté, il est question, pour l’exécutif européen, de passer d’autres « partenariats sur mesure » similaires avec l’Egypte, prochainement. Voire avec le Maroc ? Bref, petit à petit, la Commission complète sa carte du pourtour méditerranéen.

      Stratégie électoraliste

      « Ce type d’accord n’est pas nouveau », avance Eleonora Frasca, chercheuse doctorante sur la coopération entre l’UE et les pays africains en matière d’immigration (UCLouvain). « Il y a notamment celui passé avec la Libye ou encore avec la Turquie. Mais le deal passé avec Ankara, aussi critiqué soit-il, avait le mérite de prévoir des fonds pour l’accueil et l’accompagnement des exilés sur le sol turc. Ce qui a disparu des accords qui ont suivi et qui se concentrent sur les aspects sécuritaires. »

      Certes, la coopération migratoire n’est pas neuve. Ce qui l’est davantage, c’est la stratégie de communication de l’UE autour de ce type de deal, pointe Eleonora Frasca : « On déplace des membres de la Commission pour en faire un événement majeur. » Florian Trauner, doyen de la Brussels School of Governance (VUB) et spécialiste de la politique migratoire de l’UE, y lit une stratégie électoraliste. « Ces accords symbolisent une politique migratoire plus restrictive. En année électorale, les dirigeants européens envoient un signal à la population : “Regardez, on empêche les migrants d’arriver en Europe.” » Pour lui, cela montre aussi que les Etats membres s’accordent plus facilement sur une politique d’externalisation des frontières plutôt que sur une réponse solidaire. « La négociation du nouveau pacte sur la migration et l’asile l’illustre très bien. »

      Ces annonces et ces signatures en grande pompe contrastent avec l’opacité des négociations. « Les pourparlers avec la Tunisie hier, la Mauritanie aujourd’hui et l’Egypte demain en sont les parfaits exemples. Il est très difficile, voire impossible, de suivre les discussions. On assiste à un processus “d’informalisation ou de déformalisation” du droit international auquel l’UE contribue de manière significative, ainsi qu’à la multiplication d’instruments de droit non contraignant », regrette la chercheuse de l’UCLouvain. Pour son collègue de la VUB, ces accords informels sont par définition plus flexibles, moins contraignants juridiquement et politiquement. « Ce qui arrange les deux parties. Ils permettent, pour les pays tiers, de mettre hors du débat public ces arrangements souvent contestés par la population locale. »

      Le « chantage » aux migrants

      Et puis ces accords reposent sur le bon vouloir des régimes en place. En témoignent les soubresauts dans l’application de l’accord tunisien, décrié puis accepté… par le même président qui l’avait signé. « L’exemple récent du Niger est criant », ajoute Eleonora Frasca. « Depuis le coup d’Etat de juillet dernier et l’abrogation d’une loi réprimant le trafic illicite de migrants, l’UE est très préoccupée. »

      Florian Trauner soulève un autre « danger » : le « chantage » aux migrants. « Sachant l’Europe divisée, sensible et fragile quand il s’agit d’immigration, les pays tiers en jouent pour négocier, notamment de l’argent. Ce n’est pas pour rien qu’autant de migrants sont arrivés à Lampedusa depuis la Tunisie cet été… » Et le doyen de la Brussels School of Governance de citer les pressions d’Erdogan en 2020 afin que l’Europe appuie ses initiatives en Syrie ou encore le jeu du Maroc avec l’Espagne sur la question du Sahara occidental. Par ailleurs, pointent nos deux experts, ces accords sont passés avec des pays loin d’être des exemples en termes de respect des droits fondamentaux. L’exemple tunisien est encore une fois parlant : la situation déplorable des migrants en Tunisie ne s’est pas améliorée depuis la signature, dénoncent les ONG.

      Mais ces arrangements sont-ils « efficaces » ? S’il est impossible de chiffrer le nombre d’entrées évitées grâce aux accords, Florian Trauner les a étudiés sur dix ans, entre 2008 et 2018. « Hormis l’accord passé avec la Turquie qui a montré des résultats dans la prise en charge par Ankara des réfugiés syriens, ces accords ont un bilan modeste. Les pays des Balkans jouent le jeu, mais les pays africains peu ou pas du tout », constate-t-il. « A court terme, ces arrangements peuvent paraître efficaces parce qu’ils font écho à une réduction des entrées irrégulières », explique Eleonora Frasca. « On a dans un premier temps diminué les flux au départ de la Libye, ils se sont alors dirigés vers la Tunisie. Raison pour laquelle on a passé un accord avec Tunis, dont on voit timidement les résultats… Mais les migrations s’adaptent et se réorganisent. Ça ne sert à rien de passer des accords avec tous les pays africains, cela rend juste les routes de plus en plus dangereuses. »

      https://www.lesoir.be/572896/article/2024-03-06/migration-petit-petit-lue-verrouille-des-accords-fragiles-avec-les-pays-tiers

    • La Mauritanie, nouvelle voie d’entrée de migrants vers l’Union européenne... qui réagit

      L’Union européenne a initié jeudi un nouveau partenariat en matière de migration avec la Mauritanie, État d’Afrique du Nord-Ouest par où transitent des migrants vers les îles Canaries (Espagne). La route des îles Canaries, passant par une dangereuse traversée dans l’Atlantique, est davantage fréquentée ces derniers temps. Plus de 12.000 personnes l’ont empruntée sur les deux premiers mois de cette année, soit plus de six fois plus que sur la même période l’an dernier.

      Ce partenariat doit ouvrir la voie à un financement européen afin de soutenir la gestion des migrations - notamment la lutte contre le trafic de migrants -, ainsi que la sécurité et la stabilité, l’aide humanitaire en faveur des réfugiés et le soutien aux communautés d’accueil.

      Une déclaration en ce sens a été signée à Nouakchott par la commissaire aux Affaires intérieures, Ylva Johansson, et le ministre mauritanien de l’Intérieur, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine, en présence de son homologue espagnol, Fernando Grande-Marlaska, et de la secrétaire d’État belge à l’Asile et à la Migration, Nicole de Moor, au nom de la présidence belge du Conseil. « Nous avons besoin de partenariats avec ces pays d’Afrique du Nord pour prévenir les départs irréguliers et les pertes de vies humaines. Une gestion efficace des migrations constitue un défi européen nécessitant une réponse collective », a déclaré Mme de Moor.

      Le partenariat vise entre autres à renforcer les capacités des garde-frontières mauritaniens, en accroissant la coopération avec Frontex, l’agence européenne de garde-frontières et garde-côtes, pour ce qui est de la formation et des équipements. La coopération sur les opérations de recherche et de sauvetage sera aussi intensifiée. L’UE veut également appuyer les efforts de la Mauritanie dans ses capacités d’accueil, en particulier des plus vulnérables. Dans le pays résident quelque 150.000 réfugiés du Mali. Des enquêtes conjointes doivent aussi aider à prévenir la migration irrégulière.

      La coopération sera renforcée en matière de retour et de réadmission en ce qui concerne les Mauritaniens en séjour irrégulier dans l’UE, « dans le respect de leurs droits et de leur dignité », assure la Commission dans un communiqué. Comme c’est le cas pour d’autres accords en gestation, ou pour l’accord controversé avec la Tunisie, l’UE vise un partenariat large. Il visera donc aussi la création de perspectives d’emploi (accès à la formation professionnelle et au financement pour les entreprises), mais aussi la promotion de la migration légale (mobilité des étudiants, chercheurs et entrepreneurs). Le mois dernier, la présidente de la Commission Ursula von der Leyen avait annoncé, lors d’un déplacement en Mauritanie, la mobilisation de 210 millions d’euros en faveur de ce pays.

      L’UE cherche encore à nouer un autre partenariat stratégique de ce type avec l’Égypte, qui est non seulement un pays de transit, mais aussi de départ et de destination. « Des Égyptiens quittent leur pays, qui est le cinquième pays d’entrée dans l’UE, tandis que de nombreuses autres personnes fuient vers l’Égypte. Un partenariat solide est plus que nécessaire pour ne pas les laisser seuls dans cette tâche difficile », selon Mme de Moor.

      https://www.rtbf.be/article/la-mauritanie-nouvelle-voie-d-entree-de-migrants-vers-l-union-europeenne-qui-re

  • Statement of the Board of the German Association of Social and Cultural Anthropology (GASCA) on Academic Freedom in Germany

    As the Executive Board of the German Society of Social and Cultural Anthropology (GASCA), we would like to voice our grave concern over the fact that researchers working in Germany are finding their fundamental rights to academic freedom and freedom of expression increasingly restricted. Both, research and international academic exchange are at risk of being impaired if renowned researchers who work internationally and who come to Germany with different political commitments and persuasions are told that they cannot freely pursue their work or make public statements in Germany.

    We emphasize the absolute necessity of combating antisemitism, racism and islamophobia in Germany and worldwide. However, this cannot be achieved through the surveillance of academics, their academic work or statements they make as private persons, as has now been brought to our attention in several cases from Germany, Austria and Switzerland. We are concerned to see how academics, in particular those who come to Germany from contexts where political discussions are held differently, and/or those who are precariously employed, have to fear for their reputation or feel restricted in their freedom of expression when they comment on the Israel/Palestine conflict. Disputes over the Israel/Palestine conflict cannot be understood exclusively by means of theories of critiques of antisemitism. It is necessary and legitimate to take into account the historical, political, religious, cultural, economic, ethnic and nationalist dimensions of the conflict. The marginalization of academics who exercise their academic freedom and freedom of opinion as enshrined in German Basic Law must not become the vehicle through which debates are shaped in this country; on the contrary, these acts of marginalization prevent necessary debates.

    The terror, war and destruction in Israel/Palestine and the immeasurable suffering on all sides has provoked an intensification of political positioning and polarized public debate. This is particularly true of debates on social media platforms such as Facebook and X (formerly known as Twitter). These intensifications can become problematic if they reduce complex discussions to a few characters and are instrumentalized for simplistic, often tendentious attacks. We are seeing our public sphere shaped by reductionist judgements of socially complex conflict dynamics and indiscriminate accusations of antisemitism that lead increasingly to the breakdown of conversations. This is why we insist that one of the core tasks of universities, research institutes and cultural institutions must be to maintain spaces for difficult discussions in highly polarized social moments. Linked to these tasks is the responsibility to take a stand against all forms of antisemitism, racism and islamophobia, all of which destroy the foundations of democratic coexistence and cooperation. If universities and research institutions do not succeed in cultivating spaces for discussion, including also discussions where we might disagree with each other, and if they cannot counter hasty condemnations with open debates, they contribute to destroying trust in democratic publics and play right into the hands of extremist populism.

    We are deeply concerned over the attacks that renowned and internationally respected intellectuals such as Masha Gessen and Ghassan Hage are facing in Germany. As social and cultural anthropologists in Germany, we are convinced that debates in academic and civil society circles need to renew their commitment to discussion, dissent, and cooperation across difference in order to enable constant shifts in perspective and to challenge epistemic and political certainties. We urge universities and research institutions to commit themselves to building and maintaining spaces for discussion and encounter, which welcome plurality and contradiction. Only in such spaces can variously positioned, carefully reasoned and empirically founded perspectives be developed and mutually criticised, in order for us to learn from each other.

    https://www.dgska.de/stellungnahme-des-vorstands-zur-wissenschaftsfreiheit-in-deutschland
    #liberté_d'expression #Allemagne #liberté_académique #libertés_académiques #recherche #université #Autriche #Suisse #Israël #Palestine #peur #réputation #marginalisation #réseaux_sociaux #Masha_Gessen #Ghassan_Hage

  • Voyage : engagé
    Date : mi mai c-a-d dans 2 mois 1/2
    Billets : réservés
    Destination : Prague, (une ville en Europe) *
    Oups : passeport à refaire. On fait tout en ligne maintenant ?
    Constat : Aucun rendez-vous en mairie avant le 17 mai, c-a-d après la date de départ.

    #Schengen #liberté_de_circulation #entraves #macronistes

    *Où plûtot à l’intérieur de cet saloperie d’espace Schengen qui ne laisse ni entrer ni circuler personne.

    • @touti la CNI ne suffit pas ?
      De son coté,notre fille cadette a fini pas trouver un rdv dans une mairie de banlieue à 40 km de là. Tu peux allez n’importe où, si tu paye le carburant et as du temps.

    • Oui, je vais sûrement trouver une solution et je vous remercie de vos témoignages également.
      J’ai écris ce post non tant pour me plaindre de ma situation (privilégiée de pouvoir voyager au regard d’autres problématiques vitales) mais pour témoigner de cette absurdité politique : décider de forcer tout le monde #au_pas_du_numérique et des #services_en_ligne et de la #surveillance_généralisée. J’ai omis de dire que j’ai coché que je n’autorisai pas le ministère de l’intérieur à vérifier mon adresse par exemple (…)
      Et parce que cette question est politique et concerne une #liberté_fondamentale.
      La liberté de circulation est une des bases du droit français depuis la révolution dont se torche allégrement toutes les politiques (à commencer par frontex jusqu’au portillon du métro). Et la dégradation des libertés ne cesse d’empirer, ici, sous prétexte d’imprimerie de l’état incapable de suivre la fabrication des passeports (depuis 10 ans …)

    • https://www.youtube.com/watch?v=i3ldEFj56XI

      Sento le scarpe pesanti. Non sono affaticato, mi piace avere le scarpe pesanti, sento il cammino di mio padre nelle mie scarpe. Camminava verso il lavoro per dieci giorni e superava la frontiera. Al di là del muro sgobbava come un mulo, poi ripartiva per tornare a casa, in tasca il frutto del suo lavoro e nelle scarpe il suo cammino. Quando arrivava si toglieva le scarpe e le lasciava riposare.

      Passo dopo passo mangio un altro sasso spingere in salita strada infinità
      Quando arrivo busso chiederò il permesso vivere la vita non è mai finita

      Io guardavo le sue scarpe e mi raccontavano le sue giornate, io le guardavo e mi raccontavano mio padre. Poi, un giorno, i piedi di mio padre entravano di nuovo in quelle scarpe, così lui ripartiva, ancora una volta, senza pesi nelle tasche ma con
      dieci giorni di cammino nella testa. I[o ho iniziato a camminare per mio padre, perché mi voleva con scarpe pulite, con scarpe leggere. Ma le mie scarpe sono pesanti e mi piace avere le scarpe pesanti.

      Passo dopo passo mangio un altro sasso spingere in salita strada infinità
      Quando arrivo busso chiederò il permesso vivere la vita non è mai finita

      Sotto le suole delle mie scarpe ci sono le strade che hanno percorso, sotto le suole delle mie scarpe le case che hanno visto da lontano. Non potevo avvicinarmi, potevo solo spiare la vita di chi le scarpe le lascia fuori dalla porta. Le mie scarpe mi ricordano che non ho ricevuto l’invito, ma sono entrato lo stesso, perché le mie scarpe non hanno bisogno dell’invito, la porta è sempre aperta per il bagaglio che trascino sotto le suole, fatemi entrare, lascerò le mie scarpe fuori dalla porta.

      Passo dopo passo mangio un altro sasso spingere in salita strada infinita
      Quando arrivo busso chiederò il permesso vivere la vita non mai finita

      Lascio le mie scarpe a riposare, ascoltate la storia che hanno da raccontare. Non ho le tasche piene ma porto ricchezza, vi lascio in pegno le mie scarpe, sono regalo di chi ha camminato tanto, il peso delle mie scarpe è la mia eredità.

      Passo dopo passo mangio un altro sasso spingere in salita strada infinita
      Quando arrivo busso chiederò il permesso vivere la vita non mai finita

      #Collettivo_Migrado #chanson #musique #chaussures #marche

  • Debout chômeur·euses !
    https://www.autonomiedeclasse.org/theorie/debout-chomeur%C2%B7euses

    Le travail : ce passe-temps salutaire, jamais pénible1 ET MÊME : émancipateur2. Qu’est-ce que les #chômeur·euses n’ont pas compris ? Pourquoi un tel manque de volonté ? « Ceux qui ne sont rien »3 ne veulent plus se lever le matin ? Il serait quand même bien temps d’arrêter de se plaindre, il ne suffit que de « traverser la rue »4, alors bon, quoi : debout les chômeur·euses !

    #france_travail #A2C

  • se méfie toujours des littérateurices qui ont l’air en bonne santé, vous savez, ces auteurices aux joues rebondies que l’on voit parfois faire leur promo à la Une des magazines littéraires ou sur les plateaux de télévision, sourire, dents blanches, raie au milieu, ou rouge à lèvres assorti aux boucles d’oreilles. Aux yeux de la vieille Garreau ça cache quelque vice caché, ce n’est pas naturel ; un·e écrivain·e, un·e vrai·e, ce doit être blafard, poitrinaire, hypocondriaque et neurasthénique, ce doit être débraillé, un peu cracra, vivre dans la semi-obscurité et se balader en peignoir élimé avec les bigoudis de traviole. Là oui, là d’accord, là on veut bien croire que ces gens savent écrire, ne serait-ce que parce que l’on ne voit pas très bien ce qu’ils pourraient savoir faire d’autre.

    Quoique comme toujours il y a des exceptions, hein. Si l’on regarde Proust, il avait bien l’air d’un rutabaga bouilli mais son interminable saga était illisible quand même.

    #MamieNicoleIsTheNewBernadettePivote.

  • L’entretien du bocage par les agriculteurs est trop peu valorisé - Splann ! | ONG d’enquêtes journalistiques en Bretagne
    https://splann.org/enquete/bocage/entretien-haies

    Les services rendus par le #bocage profitent à l’ensemble de la société, mais les agriculteurs sont trop seuls et peu aidés pour en assurer l’entretien.
    Les réglementations liées à la #haie sont très complexes et hors-sol.
    L’agrandissement des #fermes et des #machines nuit au bocage.
    Cette tendance va s’aggraver avec les nombreux départs en retraites et le recul de l’élevage bovin à l’herbe.

    #remembrement

  • Des salarié(e)s malades du management qui démissionnent... | Didier Dubasque
    https://dubasque.org/des-salariees-malades-du-management-qui-demissionnent

    Les assistantes sociales qui interviennent dans les entreprises le constatent aussi. De plus en plus de salariés ne supportent plus la façon dont ils sont traités. Ils soulignent une perte de sens dans leur travail et la multiplication des procédures accompagnées d’un contrôle de leurs faits et paroles pouvant aller jusqu’à la suppression de leurs primes liées « au mérite ». Au bout d’un moment, ils s’en vont.J’ai pu récemment recueillir plusieurs témoignages révélateurs d’un management hors-sol et particulièrement néfaste pour les salariées concernées. Je ne dirai pas quel service est concerné. Sachez que ces faits se déroulent dans des entreprises privées qui vendent et organisent des services qui ne relèvent pas du travail social.

    #management #maltraitance (au travail) #travail_salarié #burn_out

  • #Marie-Louise_Berneri
    https://www.partage-noir.fr/marie-louise-berneri-1484

    Fille aînée de Camillo et #Giovanna_Berneri, Marie-Louise Berneri est née le 1er mars 1918 à Arezzo, près de Florence. Son père, d’abord socialiste, puis devenu anar­chiste au début des années 20, avait quitté l’Italie avec sa famille en 1926 pour Paris. La maison familiale devint vite un centre d’acti­vité antifasciste et cette ambiance eut une pro­fonde influence sur Marie-Louise (et sur sa sœur Giliane). C’est là aussi qu’elle rencontre à l’âge de 13 ans le fils d’un autre anarchiste et (...) #Itinéraire_-_Agenda_2001

    / #Camillo_Berneri, Giovanna Berneri, Marie-Louise Berneri, #Vernon_Richards, #Freedom, #Grande-Bretagne, #@narlivres, Archives Autonomies , Itinéraire - Une vie, une (...)

    #Archives_Autonomies #Itinéraire
    https://archivesautonomies.org/spip.php?rubrique324
    https://freedomnews.org.uk/archive/#archive1930s
    https://www.deviantart.com/xit666/gallery

  • #Chlordécone : l’Assemblée nationale reconnaît symboliquement la responsabilité de l’État dans l’empoisonnement des Antilles - Outre-mer la 1ère
    https://la1ere.francetvinfo.fr/chlordecone-l-assemblee-nationale-reconnait-symboliquement-la-re

    Malgré les réticences de la majorité présidentielle, les députés ont largement voté en faveur de la proposition de loi défendue par Elie Califer, jeudi 29 février. Le texte, qui devra désormais passer devant le Sénat, reconnaît le rôle de l’État dans les préjudices sanitaires, environnementaux et économiques subis en #Guadeloupe et en #Martinique, où le #pesticide a été autorisé jusqu’en 1993. Mais sa portée reste très limitée.

    • Chlordécone : les députés reconnaissent la responsabilité de l’État
      https://reporterre.net/Chlordecone-les-deputes-reconnaissent-la-responsabilite-de-l-Etat

      Un nouveau volet s’ouvre dans le dossier des Antilles empoisonnées au chlordécone. Les députés ont adopté en première lecture, le 29 février, une proposition de loi reconnaissant symboliquement la « responsabilité » de l’État, et visant à indemniser les victimes.

      Le chlordécone est un insecticide très toxique, qui a été utilisé entre 1972 et 1993 dans les bananeraies de Guadeloupe et de Martinique, alors que ce produit avait été qualifié de « cancérogène possible » dès 1979 par l’Organisation mondiale de la santé. Faisant fi de ces alertes, la France ne l’a interdit qu’en 1990. Il a même été utilisé en Guadeloupe et en Martinique jusqu’en 1993, à cause de dérogations signées par les ministres de l’Agriculture de l’époque.

      La proposition de loi reconnaissant la responsabilité de l’État, portée par le député de Guadeloupe Elie Califer, a été votée à l’unanimité des 101 votants. Les députés de la majorité se sont abstenus. Le texte va désormais être transmis au Sénat.
      Toxique pour le système nerveux, reproductif et hormonal

      La responsabilité pénale de l’État avait précédemment été discutée devant le tribunal. Après de nombreuses années de bataille judiciaire, le pôle de santé publique du tribunal judiciaire de Paris avait finalement signé une ordonnance de non-lieu, le 2 janvier. Il avait certes reconnu un « scandale sanitaire », mais avait estimé qu’il était trop difficile de « rapporter la preuve pénale des faits dénoncés ».

      En 2019, une expertise pesticides et santé de l’Inserm a conclu à la présomption forte d’un lien entre l’exposition de la population au chlordécone et le risque d’apparition d’un cancer de la prostate. Reconnue comme perturbateur endocrinien, la molécule est aussi toxique pour le système nerveux, reproductif, hormonal et le fonctionnement de plusieurs organes. D’après une étude de Santé publique France, plus de 90 % des Guadeloupéens et des Martiniquais adultes sont aujourd’hui contaminés au chlordécone.

  • How an EU-funded security force helped Senegal crush democracy protests

    An elite EU-trained Senegalese police unit was meant to tackle cross-border crime. Instead it was used to quash a popular movement, an Al Jazeera investigation has found.

    The Senegalese government deployed a special counterterrorism unit, created, equipped, and trained with funding from the European Union, to violently suppress recent pro-democracy protests, a joint investigation between Al Jazeera and porCausa Foundation reveals.

    Since 2021, the trial of popular and controversial opposition leader #Ousmane_Sonko has led to demonstrations across the West African nation, in which dozens have been killed. Al Jazeera and porCausa obtained visual evidence, Spanish government contracts, a confidential evaluation report, and testimonies from multiple sources suggesting that the EU-funded #Rapid_Action_Surveillance_and_Intervention_Group, also known as #GAR-SI, was used to violently crush those protests.

    In one video, security personnel in the same type of armoured vehicles the EU bought for #GAR-SI_Senegal are seen firing tear gas at a protest caravan organised by Sonko last May. Al Jazeera verified that the incident happened in the southern Senegalese village of #Mampatim, about 50km (31 miles) from Kolda, in the Casamance region.

    The EU-funded elite units were instead meant to be based in Senegal’s border areas with Mali to fight cross-border crime.

    Elite unit

    #GAR-SI_Sahel was a regional project lasting between 2016 and 2023 and funded with 75 million euros ($81.3m) from the EU’s Emergency Trust Fund for Africa (#EUTF_for_Africa), a pot of development funding dedicated to addressing the root causes of migration in Africa.

    The programme was implemented by the #International_and_Ibero-American_Foundation_for_Administration_and_Public_Policies (#FIIAPP), a development agency belonging to Spain’s Ministry of Foreign Affairs. GAR-SI units were created across the region, in countries like Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania, Niger and Senegal, “as a prerequisite for their sustainable socio-economic development”.

    The Senegalese 300-strong unit, created in 2017, cost more than 7 million euros ($7.6m at the current exchange rate) and was aimed at creating a special intervention unit in the town of #Kidira, on the border of Mali, to protect Senegal from potential incursions by armed groups and cross-border crimes, including migrant smuggling.

    Modelled after Spanish units that fought against the separatist movement Basque Homeland and Liberty, also known by the Spanish initials ETA, GAR-SI Senegal has received technical training and mentoring from the Spanish Civil Guard as well as French, Italian and Portuguese security forces.

    After the completion of the project, at the request of all stakeholders, the EU delegation in Senegal continued with a second phase using another funding mechanism, according to one Spanish and one Senegalese police source familiar with the matter. About 4.5 million euros ($4.9m) was earmarked for a second 250-strong GAR-SI Senegal unit near the town of Saraya, close to the border with Guinea and Mali.

    A second unit was also created in Mali but for other countries, especially Chad, the project was considered to be a “failure”, according to the former Senegalese police official, who said the EU lost money by paying for equipment that was not appropriate for use.

    https://www.aljazeera.com/features/2024/2/29/how-an-eu-funded-security-force-helped-senegal-crush-democracy-protests

    #Sénégal #police #formation #EU #UE #Union_européenne #démocratie #ingérence #contre-terrorisme #Trust_Fund #Espagne #France #Italie #Portugal #frontières #financement #Mali #Tchad #équipement

  • Le monde selon Elon Musk
    https://www.arte.tv/fr/videos/117797-000-A/le-monde-selon-elon-musk

    Doucumentaire disponible du 27/02/2024 au 26/05/2024 - le contenu de la vidéo correspond à un texte qui se lit en dix minutes. On y apprend surtout une chose : X/Twitter n’est pas le dada d’un milliardaire excentrique mais la clé de voûte d’un empire dont le seigneur correspond assez à l’entrepreneur-surhomme d’Ayn Rand dans Atlas Shrugged . C’est assez flippant que ces énergumènes soient à la tête de puissantes organisations.

    Twitteur compulsif, Elon Musk s’est offert en 2022 son réseau social préféré, et l’a brutalement façonné selon ses désirs. Cette enquête punchy relate les relations orageuses entre la plate-forme et le milliardaire, et leurs incidences sur le débat public.

    « Certains s’expriment à travers leurs cheveux, moi je me sers de Twitter. » En 2010, l’entrepreneur Elon Musk a rejoint la « conversation mondiale » et s’est vite fait remarquer par ses tweets potaches ou absurdes. Cette notoriété a rejailli sur ses activités industrielles, axées notamment sur la conquête spatiale et les voitures électriques, contribuant à réduire les dépenses marketing de son empire. Mais les relations entre le magnat d’origine sud-africaine et Twitter ont connu des hauts et des bas. Elon Musk, influencé par ses aspirations libertariennes, a souvent vitupéré contre sur ce qu’il considérait comme des atteintes à la liberté d’expression, quand l’équipe dirigeante de Twitter, longtemps accusée de laxisme face aux propos haineux et aux fake news, tentait, elle, de redresser la barre. Il a par exemple volé au secours de Donald Trump en janvier 2021, lorsque le compte Twitter de ce dernier a été supprimé après l’assaut du Capitole. Pour modeler son réseau social favori à sa guise, Elon Musk a fini par se l’offrir en octobre 2022, après une bataille juridique mémorable. Depuis, Twitter, rebaptisé X en 2023, a licencié des milliers de salariés, notamment des modérateurs de contenu, et ouvert les vannes du complotisme et de l’incitation à la haine.

    Choc des cultures
    Selon la recette éprouvée qui fait la force des documentaires d’actualité Frontline, ce film de James Jacoby entremêle témoignages clés et archives récentes. Il nous replonge jour après jour dans un haletant feuilleton qui a mal fini : la reprise en main de Twitter et une « conversation mondiale » qui vire à la polarisation et à la virulence. Plusieurs ex-salariés de la plate-forme livrent d’éclairants témoignages sur l’avant et l’après-Elon Musk, racontant le choc des cultures entre monde industriel et pépite de la tech, les licenciements brutaux et même un inquiétant déchaînement de haine, complaisamment relayé par le réseau social, à l’encontre de l’un d’entre eux, Yoel Roth, en charge du département de la confiance et de la sécurité de la plate-forme au moment du rachat. Retraçant une décennie de relations orageuses entre Twitter et l’impulsif milliardaire, et le débat sur la liberté d’expression et la désinformation qu’elles ont alimenté, cette enquête à l’efficacité anglo-saxonne montre comment la démocratie a perdu quelques plumes dans l’aventure.

    Réalisation : James Jacoby

    Pays : Etats-Unis

    Année : 2023
    Durée : 91 min

    Disponible du 27/02/2024 au 26/05/2024

    Genre : Documentaires et reportages

    #impérialisme #propagande #relatiins_publiques #manipulation #réseaux_sociaux #économie #idéologie #culte_de_la_personne #monopoles #film #documentaire #TV

  • Travailleurs saisonniers du #Maghreb : la #FNSEA lance son propre business

    Grâce à des #accords passés en #Tunisie et au #Maroc, le syndicat agricole a décidé de fournir des « saisonniers hors Union européenne » aux agriculteurs. Elle fait des prix de gros et recommande d’éviter de parler de « migrants ».

    Le syndicat de l’#agrobusiness ne laisse décidément rien au hasard. Après avoir mis des pions dans la banque, l’assurance, les oléoprotéagineux ou le biodiesel, la FNSEA vient de lancer un service destiné à fournir des saisonniers aux agriculteurs français. #Jérôme_Volle, vice-président du syndicat agricole, a organisé, mercredi, au Salon de l’agriculture, une réunion de présentation du dispositif, fermée au public et aux journalistes.

    Pour l’instant, la chambre d’agriculture Provence-Alpes-Côte d’Azur (Paca) a été la seule à promouvoir ce « nouvel outil » destiné « à faire face à la pénurie de main-d’œuvre ». Le nom du service, « Mes #saisonniers_agricoles », a été déposé, le 9 janvier, à l’Institut national de la propriété industrielle (Inpi).

    Ce « #service_de_recrutement » de la FNSEA repose sur « un #partenariat avec les ministères et les partenaires emploi de la Tunisie et du Maroc » et ne proposera que des saisonniers recrutés hors Union européenne. Ce #service n’est pas sans but lucratif. Selon des documents obtenus par Mediapart, le syndicat s’apprête à facturer aux agriculteurs « 600 euros hors taxe » par saisonnier en cas de commande « de 1 à 3 saisonniers », mais il fait un prix « à partir du 4e saisonnier » : « 510 euros hors taxe le saisonnier ».

    Cette note interne précise qu’un montant de 330 euros est affecté à la « prestation fixe » du syndicat (« rétribution FNSEA »), pour la « recherche / formalité » et le fonctionnement de la « #cellule_recrutement ». Et qu’une rétribution de 270 euros, « ajustable », pourra être perçue par la fédération départementale du syndicat.

    Ces montants sont calculés « pour la première année », car la FNSEA propose aussi son « offre renouvellement », pour un ou plusieurs saisonniers « déjà venu(s) sur l’exploitation », soit « 120 euros hors taxe par saisonnier, puis au 4e 20 euros par saisonnier ». Le syndicat entend donc prélever sa dîme aussi pour les saisonniers déjà connus de l’employeur.

    « Le réseau FNSEA est le premier à mettre en place un schéma organisé et vertueux incluant la phase amont de #recrutement dans les pays hors UE », vante un autre document, qui précise les « éléments de langage » destinés à promouvoir le service « auprès des employeurs agricoles ». « La construction d’un cadre administratif conventionné a été réalisée en concertation avec les ministères de l’intérieur, du travail, des affaires étrangères, les agences pour l’emploi », indique ce document, qui signale que « les premiers pays engagés dans la démarche sont la Tunisie et le Maroc », mais que « d’autres suivront ».

    Dans le lot des récentes #concessions_gouvernementales à la FNSEA figure d’ailleurs la possible inscription de plusieurs #métiers_agricoles dans la liste des #métiers_en_tension – agriculteurs, éleveurs, maraîchers, horticulteurs, viticulteurs et arboriculteurs salariés. Cette mesure qui pourrait être prise par arrêté, le 2 mars, après consultation des partenaires sociaux, doit permettre d’accélérer les procédures de recrutement hors UE. Et devrait donc faciliter le fonctionnement de la cellule ad hoc du syndicat.

    Dans sa note de cadrage, la FNSEA avertit son réseau d’un « point de vigilance » sur le #vocabulaire à employer s’agissant des saisonniers et recommande d’éviter d’employer les termes « #migrant » ou « #primo-migrant » dans leur description du service.

    Le fonctionnement de la « cellule recrutement » des saisonniers n’est pas détaillé par la FNSEA. « Les candidats sont retenus selon les critères mis en place par un #comité_de_sélection composé d’exploitants qui examinent la pertinence des candidatures », précise seulement le syndicat.

    « L’exploitant retrouve le pouvoir de déterminer les compétences souhaitées pour les saisonniers qu’il recrute, il redevient donc maître de ses choix en matières RH. La FD [la fédération départementale – ndlr] l’accompagne et vérifie avec lui la cohérence de ses besoins avec les productions pratiquées (nombre de saisonniers, périodes, tâches). »

    –—

    Le précédent de Wizifarm

    « Nos saisonniers agricoles » n’est pas la première tentative de la FNSEA sur le marché du travail des saisonniers. En 2019, sa fédération départementale de la Marne et deux entreprises contrôlées par le syndicat avaient créé une #start-up, #Wizifarm, pour offrir aux agriculteurs une #plateforme de recrutement de saisonniers en ligne « en s’inspirant du modèle des sites de rencontre ». Lors du premier confinement, cette plateforme est mise à profit par la FNSEA et Pôle emploi pour tenter de fournir de la #main-d’œuvre à l’agriculture dans le cadre de l’opération « desbraspourtonassiette.wizi.farm ».

    La structure a été initialement capitalisée à hauteur de 800 000 euros par « l’apport en nature de logiciels » achetés par la FDSEA à la société #TER’informatique – présidée par le secrétaire général adjoint de la FDSEA, #Mickaël_Jacquemin –, et par l’apport de 100 000 euros de la société d’expertise comptable de la fédération, #AS_Entreprises – présidée par le président de la FDSEA #Hervé_Lapie.

    Cinq fédérations départementales du syndicat et la chambre d’agriculture de la Marne ont rejoint la start-up en 2021. Mais, fragile financièrement, Wizifarm s’essouffle. La société vote sa dissolution anticipée et sa mise en liquidation judiciaire fin 2022. Wizifarm laisse un passif de 1,3 million d’euros. Contactés, Hervé Lapie et Mickaël Jacquemin ont refusé de répondre aux questions de Mediapart.

    –—

    On ne sait pas précisément comment la cellule de la FNSEA fonctionnera avec ses « fédés » départementales mais « un process informatique national » doit charpenter l’initiative. Sollicité par Mediapart au Salon de l’agriculture, Jérôme Volle, artisan de ce dispositif, vice-président de la FNSEA et président de sa commission emploi, n’a pas souhaité répondre à nos questions.

    En 2022, il soulignait que « les filières viticoles et arboricoles », « très gourmandes en main-d’œuvre », étaient « les plus mobilisées dans la recherche de candidats », suivies par la filière maraîchage.

    Aucune des différentes notes de cadrage obtenues par Mediapart n’évoque la #rémunération des saisonniers ou leurs #conditions_de_travail ou d’hébergement, pourtant récemment au cœur de l’actualité. En septembre dernier, après la mort de quatre personnes lors des vendanges en Champagne, la Confédération paysanne avait demandé un « plan de vigilance et d’amélioration des conditions de travail et de rémunération » pour les saisonniers, ainsi que « le contrôle des sociétés de prestation de services internationales ».

    https://www.mediapart.fr/journal/france/290224/travailleurs-saisonniers-du-maghreb-la-fnsea-lance-son-propre-business
    #travail_saisonnier #saisonniers #agriculture #France #accords_bilatéraux #migrations #business

  • « La vraie #souveraineté_alimentaire, c’est faire évoluer notre #modèle_agricole pour préparer l’avenir »

    Professeur à l’université Paris-Saclay AgroParisTech, l’économiste de l’environnement #Harold_Levrel estime que le concept de « souveraineté alimentaire » a été détourné de sa définition originelle pour justifier un modèle exportateur et productiviste.

    Hormis les denrées exotiques, dans la plupart des secteurs, la #production_agricole nationale pourrait suffire à répondre aux besoins des consommateurs français, sauf dans quelques domaines comme les fruits ou la volaille. Or, les #importations restent importantes, en raison d’un #modèle_intensif tourné vers l’#exportation, au risque d’appauvrir les #sols et de menacer l’avenir même de la production. D’où la nécessité de changer de modèle, plaide l’économiste.

    Comment définir la souveraineté alimentaire ?

    Selon la définition du mouvement altermondialiste Via Campesina lors du sommet mondial sur l’alimentation à Rome en 1996, c’est le droit des Etats et des populations à définir leur #politique_agricole pour garantir leur #sécurité_alimentaire, sans provoquer d’impact négatif sur les autres pays. Mais les concepts échappent souvent à ceux qui les ont construits. Mais aujourd’hui, cette idée de solidarité entre les différents pays est instrumentalisée pour justifier une stratégie exportatrice, supposée profiter aux pays du Sud en leur fournissant des denrées alimentaires. Le meilleur moyen de les aider serait en réalité de laisser prospérer une #agriculture_vivrière et de ne pas les obliger à avoir eux aussi des #cultures_d’exportation. Au lieu de ça, on maintient les rentes de pays exportateurs comme la France. Quand le gouvernement et d’autres parlent d’une perte de souveraineté alimentaire, ça renvoie en réalité à une baisse des exportations dans certains secteurs, avec un état d’esprit qu’on pourrait résumer ainsi : « Make French agriculture great again. » Depuis le Covid et la guerre en Ukraine, la souveraineté alimentaire est devenue l’argument d’autorité pour poursuivre des pratiques qui génèrent des catastrophes écologiques et humaines majeures.

    Nous n’avons donc pas en soi de problème d’#autonomie_alimentaire ?

    Ça dépend dans quel domaine. Les défenseurs d’un modèle d’exploitation intensif aiment à rappeler que notre « #dépendance aux importations » est de 70 % pour le #blé dur, 40 % pour le #sucre, et 29 % pour le #porc. Mais omettent de préciser que nos taux d’auto-approvisionnement, c’est-à-dire le rapport entre la production et la consommation françaises, sont de 123 % pour le blé dur, 165 % pour le sucre, et 99 % pour le porc. Ça signifie que dans ces secteurs, la production nationale suffit en théorie à notre consommation, mais que l’on doit importer pour compenser l’exportation. Il y a en réalité très peu de produits en France sur lesquels notre production n’est pas autosuffisante. Ce sont les fruits exotiques, l’huile de palme, le chocolat, et le café. On a aussi des vrais progrès à faire sur les fruits tempérés et la viande de #volaille, où l’on est respectivement à 82 et 74 % d’auto-approvisionnement. Là, on peut parler de déficit réel. Mais il ne serait pas très difficile d’infléchir la tendance, il suffirait de donner plus d’aides aux maraîchers et aux éleveurs, qu’on délaisse complètement, et dont les productions ne sont pas favorisées par les aides de la #Politique_agricole_commune (#PAC), qui privilégient les grands céréaliers. En plus, l’augmentation de la production de #fruits et #légumes ne nécessite pas d’utiliser plus de #pesticides.

    Que faire pour être davantage autonomes ?

    A court terme, on pourrait juste rebasculer l’argent que l’on donne aux #céréaliers pour soutenir financièrement les #éleveurs et les #maraîchers. A moyen terme, la question de la souveraineté, c’est : que va-t-on être capable de produire dans dix ans ? Le traitement de l’#eau polluée aux pesticides nous coûte déjà entre 500 millions et 1 milliard d’euros chaque année. Les pollinisateurs disparaissent. Le passage en #bio, c’est donc une nécessité. On doit remettre en état la #fertilité_des_sols, ce qui suppose d’arrêter la #monoculture_intensive de #céréales. Mais pour cela, il faut évidemment réduire certaines exportations et investir dans une vraie souveraineté alimentaire, qui nécessite de faire évoluer notre modèle agricole pour préparer l’avenir.

    https://www.liberation.fr/environnement/agriculture/la-vraie-souverainete-alimentaire-cest-faire-evoluer-notre-modele-agricol
    #agriculture_intensive #industrie_agroalimentaire

  • Alors que dans le cadre d’une « niche parlementaire » du parti socialiste, l’Assemblée nationale vient de voter en première lecture (que fera le sénat ?), une proposition de loi sur la reconnaissance de la responsabilité de l’Etat dans le scandale du chlordécone aux Antilles, je rediffuse cet article publié il y a trois ans dans Libération.

    https://www.liberation.fr/environnement/agriculture/aux-antilles-les-vies-brisees-du-chlordecone-20210401_ZVK6CBMKARG23GFA7RY

    Aux Antilles, les vies brisées du chlordécone

    Interdit en 1990, le pesticide des bananeraies sème désolation et maladies en Guadeloupe et Martinique. Mais après quinze ans d’instruction, l’enquête sur cette catastrophe sanitaire pourrait bien se solder par un non-lieu.

    publié le 1er avril 2021

    Arsène Diomède est une femme byen doubout (« robuste »), comme on dit en créole, malgré sa petite taille et ses mains déformées par le labeur. Pendant des années, sur une exploitation bananière de Goyave, en Guadeloupe, elle a inlassablement transporté des régimes de bananes, empilés sur sa tête. Et une fois la coupe finie, elle se trouvait, comme l’ensemble des ouvriers agricoles, réquisitionnée pour répandre l’engrais et les pesticides, le plus souvent à mains nues, sans aucune protection. Parmi ces produits, le chlordécone, un insecticide massivement utilisé en Guadeloupe et en Martinique pour lutter contre le charançon du bananier.

    « On voyait bien cette tête de mort sur les sacs, mais pour garder notre travail, on ne posait pas de question », se souvient-elle. Nous sommes au début des années 90. Le médecin du travail va découvrir l’empoisonnement d’Arsène Diomède grâce à une analyse de sang. Il va alors lui délivrer un des très rares documents reconnaissant implicitement le rôle du pesticide dans son état de santé puisqu’il écrira au stylo rouge : « Ne pas toucher aux produits pesticides. » Mais il faudra attendre le 19 janvier 2021 pour que le cancérologue Daniel Vacqué lui rédige un certificat médical précisant : « Arsène Diomède est suivie depuis janvier 2015 pour myélome multiple avec chimiothérapie, une pathologie pouvant entrer dans le cadre d’une maladie professionnelle ayant été en rapport avec les pesticides des bananeraies (chlordécone en particulier). »

    Ce document fait l’effet d’une bombe, car c’est le premier du genre. Pourtant, au-delà des ouvriers agricoles, la contamination a atteint de nombreux foyers des Antilles françaises ces dernières décennies. Les chercheurs de l’Institut national de la santé et de la recherche médicale (Inserm) ont prélevé, en Guadeloupe, un échantillon de sang sur 1 042 femmes, pendant leur accouchement, entre 2005 et 2007. L’étude publiée en 2013 conclut que la présence de chlordécone dans le sang diminue le délai normal de grossesse et s’associe à un risque de prématurité. Par ailleurs, l’exposition du fœtus au pesticide a été démontrée par sa présence dans le sang du cordon ombilical. Dans une autre étude parue en 2012, les scientifiques de l’Inserm ont démontré que le chlordécone pouvait avoir des effets négatifs sur le développement cognitif et moteur des nourrissons. Par ailleurs, selon Santé publique France, les populations antillaises présentent un taux d’incidence du cancer de la prostate parmi les plus élevés au monde. Une réalité confirmée par le sénateur guadeloupéen Dominique Théophile, lors d’une présentation de la situation en janvier 2019, au Sénat : « Les Antilles françaises détiennent le triste record du monde en la matière, le taux d’incidence annuel de ce cancer en Martinique est de 227,2 cas sur 100 000 hommes et celui de Guadeloupe est d’un niveau proche. »

    « Des stocks ont continué à circuler jusqu’au début des années 2000 »

    Le scandale sanitaire aurait pourtant pu être évité. Après qu’en 1951 cette nouvelle molécule est découverte aux Etats-Unis et vendue sous le nom de Kepone, les tests lancés sur les animaux laissent rapidement apparaître des carences de fertilité avec suspicion de cancers. La majorité de la production sera exportée vers l’Europe, l’Union soviétique, l’Amérique du Sud, l’Afrique et les Antilles.

    En 1968, en France, la Commission d’études de l’emploi des toxiques en agriculture rejette la demande d’homologation du chlordécone. Le ministère de l’Agriculture le classe alors « substance toxique ». Mais par un étrange tour de passe-passe, quatre ans plus tard, le Kepone se retrouve au rang des « substances dangereuses ». Ce qui permet à Jacques Chirac, alors ministre de l’Agriculture, d’autoriser, pour un an, sa mise sur le marché, histoire de satisfaire les grands propriétaires antillais. Pendant ce temps, aux Etats-Unis, l’usine de Hopewell (Virginie), dont les ouvriers commencent à souffrir des effets toxiques du produit, continue à produire le Kepone à un rythme soutenu, tant la demande est importante. Le site fermera en 1975.

    En 1979, lorsque l’Organisation mondiale de la santé classe le chlordécone comme « cancérigène possible », plusieurs pays européens l’interdisent définitivement, mais pas la France. Deux ans plus tard, l’entreprise martiniquaise Vincent de Lagarrigue commercialise le pesticide sous le nom de Curlone. Elle l’achète à la société Calliope établie à Port-la-Nouvelle, dans l’Aude, qui elle-même importe la molécule du Brésil. Alors qu’elle est enfin interdite en 1990, les planteurs antillais obtiennent un délai exceptionnel de trois ans pour liquider les stocks. « Des stocks qui en réalité ont continué à circuler jusqu’au début des années 2000 », affirme Jean-Marie Nomertin, secrétaire général de la CGT de Guadeloupe, qui se dit « révolté par le traitement différencié » auquel a droit l’outre-mer. « Il est certain, affirme l’avocat Harry Durimel, que la molécule a été utilisée depuis son interdiction. » Le 23 août 2002, une tonne et demie de patates douces contenant des résidus de chlordécone a été saisie par les services de la Direction générale de la concurrence, de la consommation et de la répression des fraudes à Dunkerque.

    Non-lieu

    Il aura fallu attendre 1999 pour qu’un fonctionnaire de la direction départementale des affaires sanitaires et sociales, bien inspiré, mette en place un dispositif de contrôle des rivières. La sentence tombe : l’eau, les terres, les animaux, les poissons, les tubercules, sont contaminés à forte dose par le chlordécone. Même les œufs sont touchés. L’aquaculture s’effondre.

    En 1999, l’entreprise guadeloupéenne d’embouteillage d’eau de source Capès Dolé restera fermée quatre mois et ses stocks seront détruits, jusqu’à l’installation de filtres à charbon actif au niveau du captage. En 2000, Jean-Claude Pitat, son directeur général, porte plainte contre X pour pollution de la ressource. Il récoltera un non-lieu faute de preuves suffisantes. « J’étais furieux de cette décision, mais je n’ai pas fait appel », relate-t-il.

    « Il est souvent affirmé que les premières alertes vinrent des Etats-Unis, rappelle, en 2019, devant une commission parlementaire, Malcom Ferdinand, chercheur au CNRS. C’est faux. Elles furent émises par les ouvriers agricoles martiniquais en février 1974. Deux ans après l’autorisation officielle du chlordécone, les ouvriers de la banane entament l’une des plus importantes grèves de l’histoire sociale de la Martinique et demandent explicitement l’arrêt de l’utilisation de cette molécule parce qu’ils ont fait l’expérience de sa toxicité dans leur chair. »

    Retrouver « dignité et identité »

    Emplies d’un sentiment d’injustice, certaines victimes ont décidé de pousser la porte des tribunaux. En 2006, sous l’impulsion de Harry Durimel, alors porte-parole des verts, une première plainte avec constitution de partie civile est déposée pour « mise en danger de la vie d’autrui ». Ce n’est qu’en janvier 2021, après quinze ans d’instruction, que les premières auditions ont lieu. Entre-temps, d’autres groupements protestataires se sont créés, à l’image de l’association guadeloupéenne Vivre, dédiée à la défense des droits des personnes victimes d’empoisonnement.

    Pour sa présidente Patricia Chatenay-Rivauday, ce scandale ne peut pas rester impuni. Le procès pourrait pourtant bien se terminer en non-lieu du fait d’une possible prescription des faits. Le 15 mars, Rémy Heitz procureur de la République au tribunal judiciaire de Paris, précisait : « Nous pouvons comprendre l’émoi que cette règle suscite, mais nous, magistrats, devons l’appliquer avec rigueur. »

    Pour Harry Durimel, l’argument ne tient pas : « En matière de pollution, nous sommes en présence d’une infraction intemporelle car continue, et occulte du fait qu’elle ne pouvait être connue des victimes. Le point de départ de la prescription interviendra au moment où cessera la pollution. » En appui, la population martiniquaise s’est mobilisée en nombre le 27 mars, dans les rues de Fort-de-France, pour exiger des réparations, retrouver « dignité et identité » et mettre un terme à la « pwofitasyon » (les comportements abusifs), à l’initiative du Collectif des ouvrier·e·s agricoles empoisonné·e·s. Une nouvelle manifestation est prévue le 10 avril.

    La colère de la population est d’autant plus vive que les victimes avaient repris espoir lorsqu’en 2018, en Martinique, Emmanuel Macron avait qualifié le chlordécone de « scandale environnemental » en rappelant que l’Etat devrait prendre sa part de responsabilité. L’année suivante, la commission d’enquête parlementaire présidée par le député martiniquais Serge Letchimy concluait à la « responsabilité première » de la France dans ce désastre sanitaire. En février, le gouvernement a annoncé un quatrième plan contre le chlordécone (2021-2027), et débloqué 92 millions d’euros. Une somme jugée insuffisante par les associations.

    #Martinique #Guadeloupe #pollution #ScandaleSanitaire #chlordécone

  • est contente, bien sûr, que l’IVG soit inscrite dans la Constitution française — c’est effectivement une sorte de garantie, même si intrinsèquement votre dictateuse préférée n’est pas très sûre que ce soit sa place. Est-ce qu’il n’aurait pas mieux valu produire un texte plus général qui dise en substance : « Les femmes sont libres de faire rigoureusement ce qu’elles veulent de leur corps, de s’habiller comme bon leur semble, de b****r avec qui elles le souhaitent et de ne pas b****r si elles ne le souhaitent pas, de n’avoir des mioches que si elles le désirent ou de péter en public si elles en ont envie, elles n’ont de compte à rendre à quiconque sur tous ces sujets, personne n’a donc le moindre avis à émettre là-dessus et le premier (ou la première !) phallocrate que ces droits désormais immarcescibles chagrinent se prend un bon coup de sac à main dans la calebasse » ?

    Paradoxalement c’est parfois en adoptant un point de vue plus global que l’on est plus précise.

    #MamieNicoleCommenteEncoreLActualitéAlorsQuElleAvaitPromisQuElleArrêtait.

  • The limitations of expert-led #fellowships for #Global_health
    https://redasadki.me/2024/02/29/the-limitations-of-expert-led-fellowships-for-global-health

    Coaching and mentoring programs sometimes called “fellowships” have been upheld as the gold standard for developing leaders in #global_health. For example, a fellowship in the field of immunization was recently advertised in the following manner. We will not dwell here on the ‘live engagements’, which are expert-led presentations of technical knowledge. We already know that such ‘webinars’ have very limited learning efficacy, and unlikely impact on outcomes. (This may seem like a harsh statement to global health practitioners who have grown comfortable with webinars, but it is substantiated by decades of evidence from learning science research.) On the surface, the rest of the model sounds highly effective, promising personalized attention and expert guidance. The use of a project-based (...)

    #Theory #coaching #Collective_Intelligence #mathematical_modeling #peer_learning

  • La Regione Lombardia e il rischio di un nuovo “saccheggio” dei fiumi

    La Giunta Fontana a metà febbraio ha disposto l’estrazione di sabbia e ghiaia dall’alveo di diversi fiumi, tra cui l’#Adda e il #Mera, e torrenti. Con la scusa di rimuovere materiali in eccesso e prevenire esondazioni dà il la a nuove concessioni per cavare. Un errore, denuncia il Centro italiano per la riqualificazione fluviale.

    “Siamo di fronte all’ennesimo episodio di saccheggio dei fiumi: quello approvato da Regione Lombardia è in realtà un ingiustificato programma di ‘disalveo’”, denuncia Andrea Goltara, direttore del Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf) commentando la delibera con cui la giunta regionale ha approvato, a metà febbraio, a un “programma di regimazione idraulica mediante escavazione di materiali litoidi” per l’anno 2024. “Il susseguirsi di più eventi di piena negli ultimi anni ha determinato la formazione di accumuli significativi di materiale litoide in alveo, tali da rendere necessaria la loro rimozione mediante un Programma di interventi di regimazione idraulica mediante escavazione di materiali litoidi”, si legge nel testo del documento.

    In altre parole, Regione Lombardia rilascerà delle concessioni per l’estrazione di sabbia e ghiaia dai letti di una dozzina tra torrenti e fiumi, a partire dall’Adda e dal Mera, giustificando questo intervento con la necessità di rimuovere l’eccessiva quantità di materiali che si è depositata in alcuni punti degli alvei a causa degli eventi alluvionali estremi degli ultimi anni.

    Il programma verrà attuato, prosegue la delibera, “mediante il rilascio di concessioni per l’asportazione del materiale eccedente secondo un progetto definitivo/esecutivo, approvato dall’Ufficio Territoriale Regionale competente per la gestione del corso d’acqua”. Tra quelli in elenco figurano appunto corsi d’acqua importanti come l’Adda (dove sono previsti nove interventi, l’#Oglio e il Mera (cinque gli interventi previsti); ma anche torrenti come il #Federia nel Comune di #Livigno, il #Mallero a #Chiesa_Valmalenco in provincia di #Sondrio o il #Tidone in provincia di Pavia e il torrente #Re in #Valle_Sabbia (BS).

    “La motivazione indicata da Regione Lombardia è la riduzione del rischio di possibili esondazioni a causa degli accumuli di sedimenti -spiega ad Altreconomia Andrea Goltara, direttore del Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf) -. Tuttavia, né la delibera né i suoi allegati contengono dati, risultati di modellazioni o alcuna valutazione che giustifichino la necessità di questo tipo di intervento per ridurre il rischio. Anche le immagini contenute nei documenti mostrano perlopiù normali forme e processi fluviali”.

    Interventi di questo tipo, che si limitano ad estrarre materiali dagli alvei, continua Goltara, risultano ancora più anacronistici se si pensa che dal 2015 è entrato in vigore per le Autorità di bacino distrettuali e le Regioni l’obbligo di elaborare i #Programmi_di_gestione_dei_sedimenti (#Pgs): strumenti conoscitivi, gestionale e di gestione dei sedimenti relativi all’assetto morfologico dei corsi d’acqua finalizzati a mitigare il rischio alluvioni, oltre che a tutelare e migliorare lo stato morfologico ed ecologico dei corsi d’acqua.

    “Non dovrebbe più essere possibile realizzare estesi interventi di questo tipo, in assenza di dimostrate situazioni di emergenza e senza un piano che definisca per ogni corso d’acqua stato di fatto, obiettivi e azioni conseguenti, come previsto dal Pgs”, sottolinea il direttore del Cirf. Anche l’obbligo di intervenire per ridurre i rischi, previsto dalla Direttiva alluvioni dell’Unione europea, non chiede di “regimare” i corsi d’acqua. “Non siamo più negli anni Sessanta -conclude-. Inoltre, è importante ricordare che la Lombardia, in ottemperanza con quanto previsto dalla Direttiva acque, è tra le poche ad aver realizzato una classificazione idro-morfologica dei propri fiumi e torrenti. Viene da chiedersi se e come vengano utilizzate queste informazioni”.

    https://altreconomia.it/la-regione-lombardia-e-il-rischio-di-un-nuovo-saccheggio-dei-fiumi

    #Italie #Lombardie #rivières #sable #extractivisme

  • L’Italie ne fait pas assez pour aider les migrants victimes de traite, estime un rapport européen - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55455/litalie-ne-fait-pas-assez-pour-aider-les-migrants-victimes-de-traite-e

    L’Italie ne fait pas assez pour aider les migrants victimes de traite, estime un rapport européen
    Par La rédaction Publié le : 27/02/2024
    En Italie, l’exploitation sexuelle et économique concernent un nombre croissant de migrants en situation irrégulière, souligne le Conseil de l’Europe dans un rapport. Et le gouvernement italien ne fait pas assez pour protéger les victimes de ces trafics. Les secteurs à haut risque touchent aussi l’agriculture, le textile, et les services domestiques.
    La politique anti-migrants menée par l’Italie tend à favoriser la traite d’êtres humains puisqu’elle dissuade les victimes de se montrer aux autorités et de porter plainte.C’est en substance ce que révèle le Conseil de l’Europe dans un rapport publié le 23 février 2024, rédigé par le Groupe d’experts du Conseil de l’Europe sur la lutte contre la traite des êtres humains (Greta). Ces spécialistes estiment qu’entre 2 100 et 3 800 personnes sont identifiées chaque année en Italie comme victimes potentielles de la traite, très souvent des personnes en situation irrégulière.
    Un chiffre important qui pourtant « ne reflète pas l’ampleur réelle du phénomène ». Selon le National Anti-Trafficking Helpline [une ligne d’assistance téléphonique confidentielle pour les victimes de la traite des êtres humains], cité dans le rapport, il y aurait plutôt entre 15 000 et 20 000 personnes menacées par le trafic d’êtres humains en Italie. Mais « en raison des insuffisances des procédures mises en place pour l’identification des victimes » et du « faible taux de signalement des victimes qui craignent d’être sanctionnées ou expulsées », le chiffre est sûrement sous-estimé, pointe encore l’institution européenne.
    L’exploitation sexuelle reste la forme prédominante d’exploitation des victimes détectées (84% en 2018, diminuant à 59 % en 2022), suivi de l’exploitation par le travail (10 % en 2018, augmentant à 38 % en 2022). La mendicité forcée, la servitude domestique, le mariage forcé et la criminalité forcée représentent chacun 1 à 2% des victimes.La baisse du nombre de victimes d’exploitation sexuelle est à prendre avec précaution : le chiffre a diminué avec la pandémie de Covid-19 qui a déplacé la prostitution de la rue à des lieux fermés, ce qui a rendu plus difficile l’identification des victimes.
    Le Nigeria reste le pays principal d’où sont originaires la plupart des victimes reconnues (68,4%), suivi de la Côte d’Ivoire (3,5%), du Pakistan (3%), du Bangladesh (2,9%) et du Maroc (2,2%).
    Selon les autorités italiennes, la mafia nigériane est largement implantée dans le pays et y développe un large réseau de prostitution. Une figure majeure d’un de ces réseaux, Omoruy Chrity, aussi surnommée « Mommy », a été arrêtée en 2023 et renvoyée au Nigéria. Elle-même ancienne prostituée, Mommy jouait un rôle prépondérant dans l’organisation d’un trafic visant à faire venir des jeunes femmes du Nigeria, selon la police italienne.
    Si le Greta souligne que des efforts ont été déployés pour améliorer la détection des victimes, les auteurs du rapport estiment aussi que « les mesures restrictives adoptées par l’Italie en matière d’immigration favorisent un climat de criminalisation des migrants ». Résultat : de nombreuses victimes potentielles de la traite ne se signalent pas aux autorités par crainte « d’être privées de liberté et expulsées ». Depuis la « crise de Lampedusa » en septembre 2023, en effet, le gouvernement italien a mis en place de nouvelles mesures pour lutter contre les arrivées de migrants sur son sol. Les autorités ont notamment allongé la durée maximale de détention des exilés à 18 mois et créé davantage de centres de rétention.
    Le Greta recommande donc « aux autorités italiennes de prendre des mesures supplémentaires pour garantir que les victimes reçoivent des informations sur leur situation dès qu’elles entrent en contact avec une autorité compétente ».L’exploitation par le travail reste profondément ancrée dans certains secteurs d’activité fortement dépendants de la main-d’œuvre étrangère : « Les secteurs à haut risque sont l’agriculture, le textile, le travail domestique, la construction, l’hôtellerie et la restauration », développe le Greta.
    Si la plupart des victimes sont des femmes, le nombre d’hommes et de personnes transgenres est en augmentation. En outre, le nombre d’enquêtes, de poursuites et de condamnations dans des affaires de traite d’êtres humains a diminué, déplorent les auteurs du rapport, qui appellent Rome à garantir « des sanctions effectives » contre les trafiquants d’êtres humains. Dans un autre rapport publié jeudi 22 février, Dunja Mijatovic, la commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe a aussi appelé les États membres à mettre fin à la « répression » envers les ONG et individus qui défendent les droits des migrants.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#UE#traite#exploitation#maindoeuvre#economie#criminalisation#droitshumains#sante#nigeria

  • Émigration clandestine : Les candidats reprennent la route
    https://www.dakaractu.com/Emigration-clandestine-Les-candidats-reprennent-la-route_a245037.html

    Émigration clandestine : Les candidats reprennent la route
    Émigration clandestine : Les candidats reprennent la route
    Après une courte période de répit, les embarcations clandestines ont repris les routes de l’océan Atlantique.
    Le journal Source A, informe l’interception d’une pirogue, par le patrouilleur de la Marine nationale le Walo à 30 km au sud de Dakar, transportant 154 candidats à l’émigration irrégulière dont cinq femmes et un mineur, le lundi 26 février.
    Dans la même journée, sur la petite côte, à Mbour, la section de recherches n’a pas chômée. En effet, les hommes en bleu ont saisi une pirogue, un moteur hors bord de 60 CV et 5 bidons de 60 litres de carburant.

    #Covid-19#migrant#migration#senegal#mbour#migrationirreguliere#mineur#femme#traversee#routemigratoire#atlantique#sante#pirogue#marine

  • How does #peer_learning compare to expert-led #coaching ‘fellowships’?
    https://redasadki.me/2024/02/28/how-does-peer-learning-compare-to-expert-led-coaching-fellowships

    By connecting practitioners to learn from each other, peer learning facilitates collaborative development. How does it compare to expert-led coaching and mentoring “fellowships” that are seen as the ‘gold standard’ for professional development in #Global_health? Scalability in #global_health matters. Simplified #mathematical_modeling can compare the scalability of expert coaching (“fellowships”) and peer learning Let N be the total number of learners and M be the number of experts available. Assuming that each expert can coach K learners effectively: For N>>M×KN>>M×K, it is evident that expert coaching is costly and difficult to scale. Expert coaching “fellowships” require the availability of experts, which is often optimistic in highly specialized fields. The number of learners (...)

    #Theory #Collective_Intelligence #fellowships