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  • Stabilo Due : Un exercice de l’armée suisse fait jaser jusqu’aux USA - Suisse - lematin.ch

    Par Laureline Duvillard
    18.10.2012

    http://www.lematin.ch/suisse/exercice-armee-suisse-jaser-jusquaux-usa/story/21024571

    En cause ? Un scénario qui met en avant l’instabilité de l’#Europe. Et le devoir de la Suisse de s’en protéger.

    https://www.youtube.com/watch?v=-AJo64jy5wM

    #stabilo_due #réfugié⋅es ; prévention #militaire d’un #chaos_social

    • "Se Lisa è colpevole, lo sarebbero tutti coloro che hanno provato a alleviare le sofferenze dei profughi". Chiesta la cittadinanza onoraria di Como

      Una trentina di consiglieri comunali ha inviato la richiesta al sindaco, in segno di solidarietà dopo il decreto d’accusa che ha colpito la deputata, che scrive: «sono intimorita dall’onore che mi fate»

      http://www.ticinolibero.ch/it/article/34687/se-lisa-colpevole-lo-sarebbero-tutti-coloro-che-hanno-provato-a-allevia

    • La passionaria des migrants condamnée à Bellinzone

      Tout en reconnaissant les valeurs humanistes de Lisa Bosia Mirra, le Tribunal de Bellinzone a confirmé la peine pécuniaire pour infraction à la loi fédérale sur les étrangers. L’élue a fait passer clandestinement 24 migrants en Suisse


      https://www.letemps.ch/suisse/2017/09/28/passionaria-migrants-condamnee-bellinzone
      #condamnation

    • v. aussi :
      Délit de solidarité | Procès de Lisa Bosia Mirra

      Aujourd’hui, le 21 septembre 2017 à 9 heures, Lisa Bosia Mirra comparaît devant le Tribunal pénal fédéral de Bellinzone. Elle est accusée d’avoir facilité à neuf reprises l’entrée irrégulière de personnes migrantes, dont des mineur-e-s non accompagné-e-s, entre août et septembre 2016. Le site Osservatorio Giuridico propose une documentation exhaustive de l’affaire (en italien, lire le communiqué ci-dessous).

      https://asile.ch/2017/09/21/tessin-proces-de-lisa-bosia-mirra

    • Migranti tra Como e Ticino, la socialista Bosia Mirra ricorrerà in appello

      Ricorrerà in appello Lisa Bosia Mirra, la deputata socialista ticinese accusata di aver aiutato, tra l’agosto e il settembre 2016, in almeno 9 circostanze, alcuni rifugiati, tra cui bambine e bambini, a entrare illegalmente in Svizzera (erano i mesi caldi della tendopoli alla Stazione San Giovanni di Como).


      http://www.corrieredicomo.it/migranti-como-ticino-la-socialista-bosia-mirra-ricorrera-appello

    • La pasionaria tessinoise des migrants en appel

      Condamnée en 2017 pour avoir fait entrer illégalement 24 migrants en Suisse, Lisa Bosia Mirra réclame son acquittement.
      Une peine d’un franc symbolique. C’est ce qu’a réclamé Lisa Bosia Mirra devant la Cour d’appel aujourd’hui à Locarno. Trois semaines après la confirmation de la sentence d’Anni Lanz en Valais pour violation de la loi fédérale sur les étrangers (LEtr), la travailleuse sociale et ancienne députée socialiste tessinoise fait appel contre sa condamnation qui l’a frappée il y a deux ans.
      L’inertie des autorités italiennes

      En 2017, Lisa Bosia Mirra, 46 ans, avait été condamné à une amende de 8800 francs, pour avoir fait entrer illégalement 24 migrants en Suisse. Mardi, lors de son procès en appel, la militante tessinoise est revenue, la voix tremblante d’émotion, sur la crise migratoire de 2016. En réponse aux questions de la juge Giovanna Roggero-Will, elle a décrit comment les jeunes refoulés à la frontière suisse vivaient dans le parc devant la gare de Côme et souligné l’inertie des autorités italiennes. « Ils se lavaient et faisaient leurs besoins dans les toilettes de la gare, a-t-elle expliqué. Ils dormaient par terre, et l’eau pour boire et nettoyer les vêtements provenait d’une petite fontaine. »

      Elle a cité quelques cas spécifiques de migrants qui avaient traversé le Sahara à pied, avant d’être incarcérés et torturés en Libye, dont elle a facilité la réunification avec des parents en Allemagne. Elle assure avoir fourni de l’aide « aux personnes que je jugeais comme étant les plus vulnérables, afin de les soustraire à l’extrême précarité du site de Côme, pour qu’ils rejoignent des membres de leur famille et se retrouvent dans un lieu sûr ».
      « Ce n’est pas ainsi qu’on aide les migrants »

      S’exprimant à son tour, la procureure Margherita Lanzillo a réitéré la justesse du décret d’accusation et la peine qu’elle a émis en avril 2017, confirmés par le Tribunal de Bellinzone en septembre 2017, lequel « tient compte des valeurs humanistes qui ont motivé Lisa Bosia Mirra ». La solidarité ne peut cependant pas primer sur la justice, a-t-elle fait valoir, ajoutant que l’inculpée a commis des illégalités en connaissance de cause, de surcroît en faisant courir des risques aux migrants.

      https://www.letemps.ch/suisse/pasionaria-tessinoise-migrants-appel

    • Pena ridotta per Lisa Bosia Mirra

      Parziale vittoria in Appello per Lisa Bosia Mirra. Il suo ricorso contro la sentenza di primo grado è stato infatti parzialmente accolto dalla Corte d’appello e revisione penale (CARP), che l’ha prosciolta dall’accusa di aiuto al soggiorno illegale e riconosciuta invece colpevole di ripetuto aiuto all’entrata e alla partenza illegale. Nella sua senzenza, comunicata oggi alle parti, la Corte ha ridotto la pena pecuniaria sospesa portandola da 8’800 a 2’200 franchi, e ha annullato la multa di 1’000 franchi inflittale in primo grado.

      In sostanza, la CARP ha ritenuto la colpa dell’autrice qualificata in considerazione del numero di persone che ha aiutato/cercato di aiutare ad eludere le norme della Legge federale sugli stanieri (LStr), ma la stessa è «notevolmente attenuata» dal fatto Bosia Mirra ha «agito per motivi non solo ideali ma, in parte, anche onorevoli, spinta dall’ansia di aiutare persone che vivevano momenti di evidente difficoltà e sofferenza che lei - sofferente di un burnout dovuto a precedenti esperienze vissute con i migranti - riteneva, non solo ingiuste e indegne di una società civile, ma anche non più sopportabili da persone che già avevano vissuto tragedie», ha «collaborato praticamente sin dall’inizio delle indagini con il Ministero pubblico, ammettendo, da subito, i fatti che le venivano contestati e, persino, confessando un episodio di cui gli inquirenti non sapevano» e ha «già pesantemente pagato in termini di sofferenza e perdita di qualità di vita a causa di una campagna denigratoria (in particolare, via social) insolitamente e incomprensibilmente aspra e feroce».

      «La Corte - si legge in una nota dell’Osservatorio giuridico, che ha commentato la sentenza definendola «una vittoria per i diritti umani» - ha però ritenuto che alla stazione di Como erano accampati tra 400 e 600 migranti con minori non accompagnati, donne con bambini, in un giardino pubblico, cioè in uno spazio assolutamente non attrezzato quale centro di accoglienza». La CARP ha però negato che esistesse uno stato di necessità per i rifugiati che Lisa Bosia Mirra aiutò ad entrare in Svizzera, pertanto - conferma l’Osservatorio - si presenterà ricorso al Tribunale federale (TF).

      Nel processo di primo grado, celebrato il 28 settembre 2017, il giudice della Pretura penale Siro Quadri aveva sì tenuto conto del «sentimento umanitario» dell’imputata, ma non aveva riconosciuto l’attenuante dei «motivi onorevoli», né quella del «pericolo imminente» per la vita dei migranti, condannandola a una pena pecuniaria di 80 aliquote giornaliere e a una multa per ripetuta incitazione all’entrata, alla partenza e al soggiorno illegale. Il processo di appello si era invece tenuto il 10 settembre scorso.

      https://www.cdt.ch/ticino/pena-ridotta-per-lisa-bosia-mirra-LG1976926

    • Sono felice e grata perché la corte di appello ha notevolmente ridotto la pena inflittami e riconosciuto l’attenuante dei motivi onorevoli. Ma soprattutto sono contenta che la corte abbia riconosciuto, in maniera inequivocabile in alcuni passaggi della sentenza, la gravità della situazione di Como e la sofferenza delle persone che li si trovavano.
      È un passo nella giusta direzione perché viene riconosciuto il diritto a esprimere solidarietà e pena per chi si trova nella sfortunata condizione di essere migrante senza alcuna sicurezza (e verso chiunque altro nelle medesime condizioni). Per contro la Corte conferma che l’attraversamento della frontiera è un delitto punibile.

      Condivido la mia gioia con tutte le persone che in Svizzera e altrove si impegnano per i diritti delle persone migranti e con chi ha sofferto per me è con me in questi lunghi 3 anni.

      A loro, alle persone in cammino va invece, ancora e sempre, tutta la mia ammirazione e la mia solidarietà. La condizione di esule è una delle peggiori condizioni al mondo. Nessuno lascia il proprio Paese e affronta un viaggio tanto pericoloso senza una buona motivazione, per una volta, sta scritto su una sentenza.

      Grazie di cuore

      https://www.facebook.com/lisabosiamirra/photos/a.780405752046847/2530247523729319/?type=3&theater

    • Un geste insuffisant : la solidarité n’est pas un crime !

      La Cour d’appel de Locarno a allégé la peine infligée à Lisa Bosia Mirra par le Tribunal de Bellinzone. Un geste insuffisant déplore Amnesty International Suisse, qui estime que les pouvoirs judiciaires des différents cantons devraient cesser de poursuivre et de condamner les actes de solidarité. Elle avait aidé 20 personnes, pour la plupart des mineurs non accompagnés, à franchir la frontière entre l’Italie et la Suisse entre août et septembre 2016.

      Suite au procès en appel, qui a eu lieu mardi 10 septembre, la Cour d’appel de Locarno a acquitté Lisa Bosia Mirra de l’accusation d’aide au séjour illégal, mais a maintenu l’accusation d’aide à l’entrée et à la sortie illégales. La Cour a allégé la peine pécuniaire de 8800 francs avec sursis de deux ans assortie d’une amende de 1000 francs. Selon le verdict, la peine pécuniaire est réduite à 2’200 francs et l’amende est supprimée. L’ancienne élue tessinoise fera appel devant le Tribunal fédéral.

      « La Cour de Locarno a confirmé que le fait d’accueillir un migrant clandestin en Suisse pour quelques jours n’est pas punissable. Elle a en outre confirmé qu’il n’est pas punissable de fournir de la nourriture à un étranger en difficulté, ni d’offrir une assistance médicale et des conseils juridiques à un immigrant clandestin sur le point de passer la frontière. C’est un pas dans la bonne direction », a déclaré Pablo Cruchon, responsable de campagne Migrations pour Amnesty Suisse. « Toutefois la peine infligée à Lisa Bosia Mirra demeure inscrite dans son casier judiciaire. Or, elle n’est ni une passeuse, ni une criminelle, elle n’aurait jamais dû être poursuivie ni condamnée en première instance ». Désemparée face au désespoir des jeunes rencontrés à la gare de Côme, et face aux violations de leurs droits de la part des autorités suisses et italiennes, l’ancienne élue tessinoise n’a eu d’autre choix que d’agir selon sa conscience, même si ceci impliquait de violer la loi. »

      « L’article 18 du code pénal prévoit une possibilité de supprimer la peine lorsque l’auteur d’un acte illicite l’a commis pour préserver autrui d’un grave danger. Pourtant, les autorités judiciaires se sont abstenues d’acquitter Lisa Bosia Mirra », déplore Pablo Cruchon. « Les pouvoirs judiciaires des différents cantons devraient cesser complètement de poursuivre et de condamner les personnes qui s’engagent en faveur des droits des migrants, des requérants d’asile et des exilés ».
      Une situation catastrophique aux portes de la Suisse

      En première ligne dans la défense des droits des personnes migrantes et réfugiées, pendant l’été 2016, l’ancienne élue tessinoise avait joué un rôle crucial dans la mise en place de l’aide aux migrants et aux réfugiés qui, dans l’impossibilité de franchir la frontière suisse, campaient aux alentours de la gare de Côme, à quelques kilomètres de la frontière entre l’Italie et la Suisse. Avec son association Firdaus elle a organisé la distribution quotidienne de nourriture et de vêtements, et la mise en place d’une d’assistance légale minimum, en particulier pour les mineurs non accompagnés et les personnes les plus vulnérables.

      La situation précaire à Côme a été amplifiée par de graves violations des droits fondamentaux de la part des autorités italiennes et suisses. L’Italie n’a pas été en mesure de garantir une assistance sanitaire ou un soutien aux mineurs non accompagnés et aux personnes les plus vulnérables, les structures disponibles étant toutes surpeuplées.

      « De son côté, la Suisse à elle aussi agi en violation des droits des mineurs. Pendant l’été 2016, les gardes-frontières suisses ont régulièrement renvoyé vers l’Italie des mineurs, même lorsque ceux-ci avaient demandé la protection de la Suisse, pays dans lequel beaucoup d’entre eux affirmaient avoir de la famille », rappelle Pablo Cruchon. Les autorités chargées de la surveillance des frontières ont aussi empêché des mineurs de transiter par la Suisse pour rejoindre leurs familles en Allemagne ou ailleurs en Europe, en violation du règlement sur le regroupement familial prévu par les accords de Dublin. »
      La société civile se mobilise

      Avec une pétition, Amnesty International et Solidarité sans frontières demandent la révision des lois qui limitent et répriment la solidarité envers les migrants et les réfugiés. Les deux organisations demandent notamment aux parlementaires de soutenir l’initiative parlementaire 18.461 « En finir avec le délit de solidarité », déposée par la conseillère nationale verte Lisa Mazzone, qui vise à modifier l’article 116 de la Loi sur les étrangers et l’intégration (LEI) de façon à ce que la justice ne puisse plus criminaliser des individus prêtant assistance, dès lors qu’ils agissent de manière désintéressée et n’en retirent aucun profit.

      L’initiative parlementaire rappelle que jusqu’à 2008, la Loi fédérale sur le séjour et l’établissement des étrangers (LSEE) contenait une disposition selon laquelle prêter assistance n’était pas punissable dans certaines situations et si les mobiles étaient honorables (art. 23 al. 3 LSEE). Cette disposition a disparu en 2008, lors du remplacement de la LSEE par la Loi sur les étrangers (LEtr).

      Un appel au changement des lois en vigueur est aussi partagé par 134 avocats suisses qui ont rejoint la campagne en faveur de la modification de l’article 116 de la loi sur les étrangers et l’intégration (LEI) et de la dépénalisation de l’aide aux personnes en fuite lorsque le mobile est honorable. Dans leur Déclaration commune, ils invitent les pouvoirs judiciaires des différents cantons à cesser de poursuivre et de condamner des actes de solidarité.

      https://www.amnesty.ch/fr/pays/europe-asie-centrale/suisse/docs/2019/la-peine-de-lisa-bosia-mirra-allegee

  • Suisse Le laser a la cote chez les casseurs - 9 policiers Suisses bléssés Le Matin - 28 Février 2017 - Benjamin Pillard
    http://www.lematin.ch/suisse/Le-laser-a-la-cote-chez-les-casseurs/story/29776820

    En plus des « traditionnels » barricades, engins pyrotechniques, vitrines brisées et véhicules en feu, les images rendant compte des violents heurts survenus samedi soir en ville de Berne entre manifestants et forces de l’ordre montrent aussi de larges faisceaux de lumière verte. De puissants rayons lasers, pointés par les protestataires en direction des policiers.

    Dans les villes alémaniques, ces petits appareils font partie intégrante de la panoplie des casseurs, au même titre que les pierres, bouteilles et autres pétards, et ce depuis plusieurs années (à Zurich fin 2014, à la Foire de Bâle et dans la capitale fédérale au printemps 2013…). Si bien que les gendarmes, bernois notamment, partent systématiquement en mission équipés de lunettes spéciales antilasers pour ce type d’intervention. Contrairement aux agents des corps de police romands. Du moins pour l’instant ; les black blocs à l’œuvre dans les villes vaudoises ou genevoises n’ayant encore jamais fait usage de ces dangereux rayons susceptibles d’occasionner des lésions irréversibles à la rétine s’ils sont plus puissants que 1 milliwatt.
    . . . . . .

    #police #Manifestation #Laser #Suisse #Berne

    Drôles de pub sur SeenThis : https://seenthis.net/messages/572538

  • La police s’équipe d’une nouvelle arme contre les manifestant-es
    https://larotative.info/la-police-s-equipe-d-une-nouvelle-2097.html

    Nantes, 25 février. Une partie des manifestant-es est obligée de se replier vers la préfecture, avant de repartir pour tenter de rejoindre l’avant du cortège. Mais l’avancée du groupe est interrompue par une charge de la BAC, casquée et masquée, qui se rue sans raison sur un manifestant et le plaque violemment au sol. Les personnes autour sont repoussées à coup de matraques et par l’envoi d’une volée de grenades assourdissantes. Forcément, elles reculent. Pour voir apparaître soudain un rayon vert qui les cible. C’est un pointeur laser, équipé sur un LBD. Le rayon balaye la foule, désignant successivement chaque personne marquée comme une victime potentielle. On était habitué-es à voir les policiers viser à hauteur de visage ; là, l’effet psychologique est décuplé.

    #violences_policières #répression #armes #terreur

  • On est foutus : notre plus grand combattant contre les forces du mal vient de mourir… (j’ai pensé que ça devrait t’intéresser) : L’ancien exorciste du Vatican, le P. Gabriele Amorth, est décédé
    http://www.la-croix.com/Religion/Pape/L-ancien-exorciste-du-Vatican-le-P-Gabriele-Amorth-est-decede-2016-09-18-1

    L’ancien exorciste du Vatican et du diocèse de Rome, le P. Gabriele Amorth est mort vendredi 16 septembre à l’âge de 91 ans.

    Ordonné prêtre en 1954, il est chargé quelques années plus tard de seconder celui qui est alors le prêtre exorciste du Vatican, le P. Candido Amantini, avant de lui succéder en 1990. Il fonde à cette date l’Association internationale des exorcistes (AIE), qu’il présidera jusqu’à sa retraite à l’âge de 75 ans en 2000. Cette association compte aujourd’hui 250 exorcistes dans 30 pays.

    L’exorcisme, auquel Jésus avait recours selon la tradition des Évangiles, revient à « chasser les démons », forces du mal qui « possèdent » une personne.

    Le P. Amorth était l’auteur de nombreux livres sur l’exorcisme, dont le dernier est publié en 2013 en français sous le titre : « Moi, le dernier exorciste – Une vie de lutte contre le mal ». Celui qui a réalisé 160.000 exorcismes, selon sa maison d’édition française, était aussi journaliste pour le journal italien Famiglia cristiana.

    Avec les journalistes, toujours ces chiffres inexplicables – miraculeux ! Si le type a officié à partir du milieu des années 50 jusqu’à sa mort, il a travaillé pendant 60 ans, c’est-à-dire grosso modo 22.000 jours. Ça fait une moyenne de plus de 7 exorcismes par jour. Ohhhh…

    • Suisse / Exorcisme : J’ai retrouvé ce billet dans mes archives

      l’évêché va se renforcer Toujours plus de Romands se disent victimes d’attaques démoniaques. Le diocèse de Lausanne Fribourg et Genève prépare la riposte. Un article du 1 novembre 2010, Le Matin.ch
      L’article n’est plus en ligne, (2010)

      Les prêtres exorcistes du diocèse de Lausanne, Genève et Fribourg ont toujours plus de travail.

      L’an passé, ils ont rencontré 550 personnes qui se disaient possédées par le diable. Leur nombre a augmenté d’un tiers depuis 2006. A cause de cet afflux, l’évêché envisage de renforcer sa structure « d’écoute et de délivrance » pour répondre à cette demande croissante.

      « Nous souhaiterions centraliser les appels et recourir à des laïcs formés pour une première prise de contact avec les personnes qui se croient victimes de forces occultes. Ce n’est qu’ensuite que nous enverrions éventuellement nos prêtres sur le terrain », explique Rémy Berchier, vicaire général de l’évêché et responsable des prêtres exorcistes.

      « La demande d’exorcisme augmente bel et bien, mais les cas de présence démoniaque sont extrêmement rares », précise Luigi Griffa, prêtre exorciste en charge du canton de Vaud.

      Dans le diocèse, on ne compte qu’entre 4 et 5 cas par année.

      Comment expliquer le phénomène ?
      Pour l’homme d’Eglise, plusieurs éléments se conjuguent. « La diminution de la foi, la médecine et la psychologie ne sont pas toujours en mesure d’apporter des réponses et nombreux sont ceux qui refusent d’accepter certaines limites de notre condition humaine. »

      L’abbé constate aussi un désenchantement complet de la société. « Ce contexte renforce l’idée absurde que toute souffrance serait due aux forces occultes », analyse-t-il.

      Reste que même extrêmement rares, les victimes du diable existent, selon Luigi Griffa. « Le but de Satan est de gâcher la vie d’un humain et de l’éloigner de Dieu. Son action peut prendre différentes formes, comme par exemple des suites d’accidents, des maladies ou des déséquilibres de la personnalité. » Dans les cas les plus graves, le corps d’une personne est possédé par le diable.

      Signes de la possession
      
L’Eglise catholique a défini depuis des siècles les signes pour reconnaître un cas de possession. La directive actuelle, revue en 2005, est prudente et recommande aux exorcistes de chercher d’abord toute trace de maladie psychique, au besoin en se faisant aider par un professionnel.

      Parmi les éléments caractéristiques, la victime possédée par un esprit maléfique parle ou comprend une langue qu’elle ne connaît pas.

      Autre caractéristique, elle présente une force surnaturelle et sait des choses qu’elle ne devrait normalement pas savoir. « A l’exception de la dernière, qui est déterminante, ce sont effectivement des choses que l’on observe. Mais il faut rester vigilant. Si des acteurs ont pu imiter de tels phénomènes, on ne peut exclure que dans certaines situations une personne puisse en faire autant », confirme l’exorciste vaudois.

      Pour lui, le meilleur moyen de se protéger contre l’influence du diable, est une vie de foi et de prière et de s’abstenir de recourir à la divination ou à la magie, car elles sont potentiellement dangereuses.

      Ce n’est que dans des cas de présence diabolique « avérée », que les prêtres effectuent un exorcisme. Ce temps de prière se compose notamment de lectures de la Bible, de prières usuelles. En son cœur, il y a la prière d’exorcisme où le prêtre ordonne, au démon de laisser sa victime. Dans les cas plus légers, les exorcistes récitent une prière de délivrance. « Nous sommes souvent sur le fil du rasoir pour savoir si nous sommes face à un cas spirituel ou psychologique, explique Rémy Berchier. Nous ne souhaitons pas empiéter sur le suivi médical d’une personne. »

      Pour ce faire, des réunions ont lieu tous les deux mois entre les prêtres exorcistes, un psychologue, un médecin et un responsable des ressources humaines. « Nous discutons des cas difficiles et les orientons en fonction de nos conclusions. »

    • Religion L’exorcisme en odeur de sainteté Le Matin.ch Renaud Michiels 16.04.2015
      L’Europe connaît un boom des exorcismes, selon des spécialistes. Qui serait dû à un « effet pape François ».
      http://www.lematin.ch/suisse/L-exorcisme-en-odeur-de-saintete/story/31950855

      Le diable s’emparerait de plus en plus de personnes. Qu’il faut donc délivrer du malin. Un « boom de l’exorcisme » qui serait dû à un « effet pape François », titrait avant-hier le Telegraph. « Le pape parle souvent du diable, ce qui a certainement élevé la prise de conscience », note Cesare Truqui dans le quotidien britannique.

      D’origine mexicaine, ce prêtre exerçant pour le diocèse de Coire dit avoir participé à une centaine d’exorcismes.

      Il assiste actuellement à une semaine de conférences à l’Athénée Pontifical Regina Apostolorum, à Rome. Où les intervenants semblent d’accord pour constater une hausse de l’emprise du mal.

      Le nombre d’exorcismes pratiqués n’est pas avancé. Mais on y évoque une « explosion des demandes » en Espagne, Grande-Bretagne ou Italie. Et on y note un besoin toujours accru d’exorcistes formés. Il y en avait par exemple cinq dans les diocèses de Rome et Milan. Ils sont aujourd’hui respectivement dix et douze.

      Force surnaturelle
      Dans le Telegraph, le père Truqui souligne que les exorcismes restent très rares par rapport aux demandes. « Certains ont des troubles mentaux et n’en ont pas besoin. Mais d’autres si, et il existe des signes classiques – parler des langues anciennes par exemple. D’autres ont une force surnaturelle et les symptômes incluent des comportements obsessionnels. J’ai traité une femme qui se peignait les cheveux huit heures par jour. »

      En Suisse romande, pourtant, on ne semble pas crouler sous les possédés. « Aucun exorcisme n’a été pratiqué dans le diocèse depuis que Mgr Morerod a été ordonné évêque, fin 2011 », note Laure-Christine Grandjean, porte-parole du diocèse de Lausanne, Genève et Fribourg, qui n’a qu’un prêtre exorciste.

      Influence des vampires
      Le diocèse de Sion, lui, en compte quatre. « Je ne constate aucune augmentation, ni des demandes ni des rituels exercés. Depuis 2006, j’ai été approché une centaine de fois et j’ai en tout pratiqué trois exorcismes », nous explique le plus expérimenté d’entre eux, qui préfère conserver l’anonymat.

      Reste qu’à en croire des spécialistes réunis à Rome, l’augmentation perçue chez nos voisins s’expliquerait en partie par une diffusion planétaire d’occultisme, de satanisme ou de séries et films avec par exemple des suceurs de sang. Ainsi, dans The Independent, le Pr Giuseppe Ferrari, membre d’un groupe catholique de recherche socio-religieuse (GRIS), pointe « ceux qui essaient de transformer les gens en vampires et leur faire boire le sang d’autres personnes ». En octobre dernier, le porte-parole de l’Association internationale des exorcistes (AIE) Valter Cascioli estimait lui aussi que « le nombre de personnes qui souffrent de graves dommages sociaux, psychologiques, spirituels et moraux est en constante augmentation », en partie à cause de la diffusion de l’occultisme.

      Soutien du souverain pontife
      Et l’« effet pape François » ? Plus que ses prédécesseurs, il évoque régulièrement la présence néfaste du « malin », du « démon » ou de « Satan » dans ses messages. Le souverain pontife a également plusieurs fois montré son soutien aux exorcistes. En juillet dernier, la Congrégation vaticane pour le clergé a reconnu juridiquement l’AIE, forte de quelque 250 exorcistes de trente pays. Et en octobre, le Saint-Père lui a écrit pour remercier ceux qui en exerçant ce « ministère particulier » manifestent « l’amour et l’accueil de l’Eglise envers ceux qui souffrent à cause de l’œuvre du Malin ». Bref : si l’exorcisme a pu par le passé être un sujet de discorde au sein de l’Eglise catholique, il semble aujourd’hui en odeur de sainteté.

    • Il y a quelque temps, j’avais croisé quelqu’un qui avait eu affaire au Service de l’exorcisme de l’Île-de-France pour un proche qui souffrait de délires de persécutions mystiques. Il y avait trouvé un accueil psychiatrique d’une grande qualité, d’un niveau rarement rencontré ailleurs.

      Je me souviens qu’il lui avait été dit que la très grande majorité des demandes qui lui parvenaient étaient réorientées et accompagnées vers des prises en charge plus « classiques » et qu’un très faible nombre débouchait sur un véritable exorcisme. Dans le cas en question, d’ailleurs, il n’y en avait pas eu.

    • (suite du (joli) trollage, pour @aude_v )
      Oui, je connais plutôt bien (j’ai vécu là bas adolescent…) c’est tout aussi festif, mais ce n’est pas en Asie du sud-est…

      Hallaca — Wikipédia
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Hallaca

      La hallaca est un mets traditionnel vénézuélien, typique de Noël. Il s’agit d’une crêpe carrée généralement fourrée de viande de bœuf ou de porc, d’olives, de poivrons, de raisins secs et enfermée dans une feuille de bananier dans laquelle elle est cuite dans de l’eau bouillante. Sa préparation diffère sensiblement selon les régions du pays.

  • Wo andere Ferien machen, stranden nun die Flüchtlinge

    Das Grenzwachtkorps hat die Südgrenze für illegale Einwanderer abgeriegelt – die Asylsuchenden stauen sich jetzt am Bahnhof von Como.
    Sie versuchen es immer wieder. Wenn es eindunkle, werde er den Zug in die Schweiz nehmen, sagt einer der Eritreer, die unterhalb des Bahnhofs Como San Giovanni unter den Laubbäumen im Schatten sitzen. «Das kannst du vergessen!», meint ein anderer. Die Züge würden alle überwacht.

    Tatsächlich staunen die Passagiere, wie viele Grenzwächter in Chiasso den Grenzbahnhof bevölkern – und wie viele davon akzentfrei Schweizerdeutsch sprechen. «Das Grenzwachtkorps (GWK) führt im Tessin eine Schwerpunktaktion durch», heisst es aus dem GWK. «Stellen Sie sich vor, ich bin Single und werde jetzt Knall auf Fall für fünf Tage am Stück in den Süden geschickt. Denen ist es egal, wer in dieser Zeit meinen Hund versorgt», regt sich ein Grenzwächter auf.

    Offiziell verwehrt sich das GWK aber gegen die Kritik, entgegen den Schengen-Regeln im Tessin wieder systematische Grenzkontrollen durchzuführen. Ein Sprecher erklärt: «Da die Schweiz nicht Teil der Europäischen Zollunion ist, kann das GWK im Zusammenhang mit den Zollkontrollen weiterhin die dafür notwendige Identitätskontrolle durchführen.»

    Und da in den vergangenen Wochen eine ausserordentlich hohe Anzahl sich rechtswidrig in der Schweiz aufhaltender Personen festgestellt worden sei, müsse man von vermehrter «grenzüberschreitender Kriminalität wie Schleppertätigkeit» ausgehen. Deshalb mache man diese Kontrollen. Und die sind rigoros: «Ich habe es per Bahn, aber auch zu Fuss über die grüne Grenze probiert. Mal vor Mitternacht, mal ganz früh am Morgen. Immer haben sie mich geschnappt», klagt einer.
    Tessiner Regierungsrat Gobbi fordert noch mehr Präsenz

    Während sich italienische Touristiker schon Sorgen darüber machen, dass wegen der vielen Flüchtlinge an Comos Bahnhof die Feriengäste ausbleiben, geht dem Tessiner Regierungsrat Norman Gobbi die Abriegelung der Grenze nicht weit genug. Der Lega-Mann fordert, der Bundesrat müsse nun öffentlich erklären, «dass die Schweiz kein Flüchtlingskorridor nach Norden ist, sondern es für Wirtschaftsflüchtlinge kein Durchkommen gibt». Nur so blieben die Migranten fern. Und es brauche noch zusätzlich «eine starke Präsenz von Militärpolizei an der grünen Südgrenze». Schliesslich mache das Tessin «die Drecksarbeit für die Schweiz», sagt er.

    Ganz anders sehen das die Flüchtlinge, die sich in Como stauen: «Micki», wie hier den kleinen Jungen alle nennen, schüttelt nur den Kopf. Er versteht nicht, weshalb ihn die Schweizer nicht nach Deutschland lassen. Micki ist «nicht zwölf, sondern ein Jahr anders» wie er in schlechtem Englisch erklärt. Ob ein Jahr jünger oder älter, kann er nicht verständlich erklären. Zu mehr kommt er auch nicht, denn einer der Älteren ruft ihn und steckt ihm ein Stück Brot zu. Der Junge müsse unbedingt etwas essen, erklärt der Mann. Und: «Micki muss nach Deutschland, seine Mutter ist dort», sagt er.

    Ein weiterer Eritreer, der bislang gedöst hat, schaltet sich ein: «Man will uns hier nicht. Man denkt nicht gut über uns», wiederholt er mehrmals. Zwar seien nicht alle schlecht zu ihnen, aber viele Leute. «Nur zwei von hundert geben uns Lebensmittel», erklärt er.

    Für die meisten aber sind die Flüchtlinge Luft. Touristen fahren in den Bahnhof ein und nehmen sich ein Taxi. Andere gehen zu Fuss weiter zum nächsten Campingplatz, um sich dort zwei Wochen zu erholen. Manche Flüchtlinge sagen, sie campierten schon zwei Monate im Freien. Anders als die Feriengäste können sie aber nicht weiter nach Luzern oder Zürich oder wie die Frau, die in Lugano zusteigt, nach Genf. Sie wohne schon lange in der Schweiz, brauche aber keinen Schweizerpass, erzählt die Dänin. «Und also ganz schlimm, also wirklich ganz schlimm» seien diese Flüchtlinge, wird sie später erklären. «Wie Ratten», sagt sie dann wörtlich. «Man denkt nicht gut über uns», ist da noch milde ausgedrückt.

    http://www.sonntagszeitung.ch/read/sz_17_07_2016/nachrichten/Wo-andere-Ferien-machen-stranden-nun-die-Fluechtlinge-69124
    #Côme #Italie #Suisse #frontières #fermeture_des_frontières #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine

  • Projet : Vous prendrez bien un petit café pipe ? - Suisse - lematin.ch
    http://www.lematin.ch/suisse/Vous-prendrez-bien-un-petit-caf-pipe/story/18340324

    Les tarifs ? 60 francs le café, peut-être 5 francs supplémentaires pour un latte machiato. En tout cas pas de champagne, ni d’alcool fort. Quelques pâtisseries, des sandwiches et autres petits délices. Les horaires ? De 6 h du matin à 20 heures.

    #prostitution #mépris #gorafi_encore_plagié

  • Plonk & Replonk au bord du gouffre
    Rattrapés par des arriérés d’impôts désormais remboursés, les humoristes et éditeurs chaux-de-fonniers lancent un appel à l’aide.

    On a beau passer dans l’émission de Laurent Ruquier « On n’est pas couché », livrer des illustrations au journal « Le Monde » et diffuser un peu partout des cartes postales et des nains de jardin « bétonnés », la richesse n’est pas forcément au rendez-vous. La preuve avec Plonk & Replonk, un collectif animé surtout par les frères Hubert et Jacques Froidevaux, qui s’emploient depuis 1997 « à amuser vigoureusement ses contemporains au moyen d’œuvres et interventions diverses et variées ». Malgré « une popularité considérable et un succès médiatique qui ne se dément pas », selon les termes de leur appel au secours, leur association est entrée dans une phase critique de son existence. « À brève échéance, celle-ci n’est plus du tout assurée ».


    Un lot d’actions libellées en euros et indexées à terme « sur le zloty de Singapour (dans le Var) » ont été éditées. L’appel lancé mercredi a été entendu : « Nous avons reçu 200 courriels : ça fait chaud au coeur », commente Hubert Froidevaux, qui comptait 4568 francs de dons mercredi à 21h13. But avoué : 50’000 euros.

    Salaires, loyers, fournisseurs : Plonk & Replonk veut se mettre à jour, mais les rencontres avec les autorités communales et cantonales n’ont pas débouché sur des promesses de subventions. Conséquence : un déménagement et une externalisation des activités hors de La Chaux-de-Fonds est envisagée.

    Deux licenciements n’ont pas remis la navire à flot. Explication : les ventes en librairie en France ont été « très décevantes » ces deux dernières années, à tel point que les recettes ne couvrent plus les charges fixes. S’y ajoute l’abandon du taux plancher du franc suisse face à l’euro.

    Menacé d’extinction Le collectif Plonk & Replonk craint de rejoindre bientôt « le dodo et le diable de Tasmanie sur la liste des créatures pittoresques victimes d’une extinction brutale ». Ouf, l’humour n’est pas perdu : « Nous avons bien songé à une cryogénisation volontaire dans une piscine d’azote liquide en attendant des jours meilleurs mais, la dernière facture d’électricité n’étant pas payée et les pressions familiales s’accentuant, nous avons écarté cette option pour le moment ».
    . . . . . .
    Source : http://www.lematin.ch/suisse/plonk-replonk-bord-gouffre/story/16680841

  • Fuir l’impôt, la planète vue des paradis fiscaux et des zones franches, par Philippe Rekacewicz (décembre 2008)
    http://www.monde-diplomatique.fr/cartes/paradisfiscauxetzonesfranches #st

    Lieux privilégiés où peuvent s’épanouir des activités industrielles, commerciales et financières en dehors des normes législatives et fiscales habituelles, les #paradis_fiscaux et les #zones_franches sont aux marges de la loi. Ils couvrent une grande variété de situations, mais permettent avant tout d’échapper à l’impôt, aux contributions sociales, et souvent au droit du travail. Lors de la crise financière d’octobre 2008, ils ont été « dénoncés » par des dirigeants de pays riches (qui les ont mis en place) comme contraires à l’éthique…

    http://zinc.mondediplo.net/messages/23095 via Le Monde diplomatique

  • Les abus commis dans un pensionnat de la Broye secouent l’#Eglise catholique

    De graves faits se sont déroulés à l’#Institut_Marini, dans la Broye, alors qu’il dépendait de l’évêché. Mgr Charles Morerod livre ce mardi les conclusions de l’enquête.
    Des #abus_sexuels graves et répétés se sont produits à l’Institut Marini et le souci principal des responsables de l’époque a été de les dissimuler. Telle est la conclusion d’un rapport publié ce mardi sur cet établissement de Montet, dans la Broye fribourgeoise, alors qu’il était placé sous la responsabilité directe de l’évêché, entre 1929 et 1955.


    http://www.letemps.ch/suisse/2016/01/26/abus-commis-un-pensionnat-broye-secouent-eglise-catholique
    #viols #culture_du_viol #Suisse #histoire

    • Maltraitances et abus sexuels ont bien eu lieu à l’Institut Marini

      Francis Python, professeur émerite d’histoire à l’UNIFR. Des maltraitances et des abus sexuels « graves et répétés » sur des enfants ont bien eu lieu à l’Institut Marini, à Montet (FR), selon le rapport des historiens chargés par Mgr Charles Morerod d’éclairer les faits.

      http://ht.ly/XDlpN

    • Les murs du silence. Abus sexuels et maltraitances d’enfants placés à l’Institut Marini

      Des enfants fragiles, des prêtres respectés et soutenus par leur hiérarchie, une maison fermée où règne une discipline de fer, un silence pesant sur la sexualité. Telles sont les composantes du drame des abus sexuels survenus dans de nombreux établissements de placement d’enfants au cours du XXe siècle. Les recherches historiques ont mis en évidence, de la part des responsables, les mêmes stratégies de dissimulation et d’impunité des coupables.
      Pour l’Institut Marini de Montet (Fribourg/Suisse), théâtre d’abus graves et répétés, le silence n’a été levé que récemment, grâce à la recherche historique indépendante mandatée par Mgr Morerod, évêque de Lausanne, Genève et Fribourg. Cet ouvrage, édition révisée et complétée de l’enquête initiale, revient sur la poursuite du processus de réparation et propose une conclusion situant le cas Marini dans le développement international des études sur les abus sexuels et maltraitances.
      La recherche historique participe pleinement du processus de reconnaissance et de réparation actuellement en cours en Suisse. En rédigeant cet ouvrage, les auteurs ont également eu une pensée pour tous les ex-pensionnaires de Marini qui n’ont pas souhaité confier leur témoignage, ainsi qu’à tous les ex-enfants placés, qui ont vécu des expériences similaires à celles rapportées dans ces pages. Que ce livre puisse répondre à certaines de leurs questions et, peut-être, les aider à vivre.


      http://www.alphil.com/index.php/les-murs-du-silence.html
      #livre

  • [Zoug] 23.01.16 : Wipe Out WEF ! Assécher l’oasis fiscale
    https://renverse.ch/Zoug-23-01-16-Wipe-Out-WEF-Assecher-l-oasis-fiscale-486

    Comme chaque année, les dirigeant_es de l’économie et de la politique.se retrouvent fin janvier à Davos. Isolés, bien gardés_es et renfermé_es sur eux_elles mêmes, ils_elles essayent de trouver les sorties de la crise capitaliste contemporaine. Avec cette préoccupation, difficile de faire plus cynique.

    • A Davos, l’armée se déploie en vue du WEF 07.01.2016
      Environ 450 militaires ont commencé à mettre en place le dispositif de sécurité.

      L’engagement de l’armée aux Grisons pour le Forum économique mondial (WEF) de Davos vient de commencer. Quelque 450 militaires ont commencé à mettre en place le dispositif de sécurité prévu.

      Ils accomplissent des travaux de préparation et de mise en place dans les domaines de la sécurité, de la logistique et de l’aide au commandement, a communiqué jeudi le Département fédéral de la défense. Le Parlement a limité à 5000 le nombre de militaires pouvant être engagés pour un service d’appui aux autorités civiles du 15 au 25 janvier.

      La troupe est alors investie de pouvoirs de police. Une bonne partie soutiendra le service de vol des Forces aériennes. La Confédération doit en effet garantir la sécurité de l’espace aérien. Outre le service de police aérienne, l’armée de l’air effectue des vols de surveillance et des transports au bénéfice du canton des Grisons.

      La libre utilisation de l’espace aérien et des aérodromes de la région de Davos sera limitée le 18 janvier de 8h00 à 18h00 (entraînement), puis du 19 janvier dès 8h00 au 24 janvier à 18h00 au plus tard.
      Atterrissages à Dübendorf
      Comme l’année dernière, des visiteurs du WEF (VIP) atterriront directement à Dübendorf (ZH) avant d’être transférés par hélicoptère vers Davos. La base aérienne de Dübendorf procédera donc à des contrôles de personnes selon les directives Schengen et à des dédouanements.

      A Davos même, durant le WEF, seuls sont engagés les soldats de carrière de la police militaire pour la protection de personnes et les contrôles d’accès, ainsi que des militaires pour remplir diverses tâches transversales. En dehors de la station, l’armée protège des infrastructures et fournit un soutien logistique et de l’aide au commandement.

      Dirigée par le chef de l’Etat-major de conduite de l’armée Jean-Marc Halter, la mission vient en appui aux autorités civiles. L’engagement est sous la responsabilité du commandant de la police cantonale des Grisons, Walter Schlegel.
      http://www.lematin.ch/suisse/davos-armee-deploie-wef/story/11169490

      #Davos

    • Le fondateur du groupe suédois Ikea, Ingvar Kamprad toujours aussi jeune : Ses cabanes pour migrants inflammables, comme dans les camps

      Les autorités zurichoises et argoviennes (#Suisse) ont renoncé vendredi à utiliser ces installations d’urgence pour les requérants d’asile.
      La #Fondation_Ikea a défendu samedi la sécurité de ses cabanes pour #migrants après la décision de la ville de Zurich d’y renoncer en affirmant qu’elles sont inflammables.

      Zurich a dévoilé vendredi des tests montrant que ces cabanes conçues par le géant suédois de l’ameublement prêt-à-monter étaient « facilement inflammables ».
      Les autorités ont donc décidé d’annuler l’accueil de migrants dans 62 de ces petites maisons à partir de janvier. Le canton d’Argovie, qui envisageait lui aussi d’acquérir ces maisonnettes pour accueillir 300 demandeurs d’asile, a annoncé qu’il recherchait d’autres solutions.

      Niveau de sécurité supérieur

      « Nous ne pouvons faire aucun commentaire avant d’avoir reçu la traduction du rapport sur les résultats et la méthode utilisée pour conduire ces tests d’incendie », a indiqué la responsable de la communication du projet « Better Shelter », fruit d’une collaboration entre la Fondation Ikea et le Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (#HCR).

      Les cabanes Ikea, dont la réaction au feu a été testée selon les normes européennes, présentent un niveau de sécurité supérieur à ce qui se fait ailleurs en matière d’hébergement d’urgence, a souligné la responsable, Märta Terne. « Les tests réalisés sur les murs et les panneaux de
      couverture ont montré que le matériau dépasse les niveaux requis de sécurité pour ces logements provisoires ».

      http://www.lematin.ch/suisse/ikea-defend-cabanes-face-critiques-suisses/story/13419837

    • Dans le même temps que se développent des habitats-containers dont se félicitent certains designers et urbanistes, ces logements précaires pour les migrants d’aujourd’hui seront le standard de tous les pauvres de demain. Pour ce faire on insistera bien sur l’aspect bon marché et recyclage de la chose, et on fera des reportages cool et fun montrant des étudiants, pour mieux masquer la #paupérisation généralisée et la baisse des standards de vie que cette évolution entraîne.
      Bientôt on n’en sera plus à exiger un logement digne pour tous, on en sera à se satisfaire de caissons en tôle avec 3 gadgets marketing, pendant que la bourgeoisie rira dans ses villas.
      Comme le dit un type que je n’aime pas mais qui sur ce point a raison :

      Rien de ce que décident les capitalistes n’est bon pour toi. Même si de prime abord ça a l’air sympa.
      Surtout si ça a l’air sympa.

    • Dans le #film / #documentaire « Bienvenue au #Réfugistan », une critique de l’#innovation en matière de #réfugiés :
      http://www.arte.tv/guide/fr/060822-000-A/bienvenue-au-refugistan

      Citation tirée du film :
      Alexander BETTS : « Ce qui inquiète dans le débat actuel autour de l’innovation c’est qu’il renforce avant tout les logiques d’une réponse humanitaire imposée par le haut. Il y a de la part des unités chargées de l’innovation une réticence à aborder frontalement ces questions, à poser les vrais problèmes, à confronter les gouvernements des pays hôtes, les gouvernement des pays donateurs et à remettre en question le cadre légal. Il faudrait remettre en cause ces logiques de #gouvernance_totalitaire imposée par le haut que vous trouvez dans les camps. Il faudrait se battre contre cette culture de la #surveillance et apporter des solutions qui transformeraient beaucoup plus en profondeur la manière dont nous concevons les défis des réfugiés aujourd’hui ».

    • IKEA Foundation and UNHCR put ‘Better Shelters’ to the test in the #Diffa region

      In the region of Diffa, UNHCR have been providing emergency shelter assistance to vulnerable refugees and displaced persons since the first refugees crossed the border fleeing Boko Haram violence in Northern Nigeria in 2013. In 2016 alone, over 65,000 people in the Diffa region benefitted from UNHCR emergency shelters.

      http://unhcrniger.tumblr.com/post/157015341304/ikea-foundation-and-unhcr-put-better-shelters-to

    • Ikea donerà mobili per arredare la #Casa_Valdese di Vittoria e due casa di #Lampedusa

      Ikea Italia arrederà la Casa Valdese di Vittoria, il centro destinato alla prima accoglienza di donne migranti minorenni, non accompagnate, che formalizzeranno richiesta d’asilo. C’è il patrocinio della Prefettura di Ragusa. Si tratta di un’iniziativa di solidarietà Ikea con tre progetti in collaborazione con Unicef, a sostegno dei bambini migranti in fuga dalle guerre e dalla povertà. Interessato anche il Comune di Lampedusa dove saranno arredati due appartamenti di proprietà dell’ente civico che ospiteranno i minori non accompagnati.

      http://www.radiortm.it/2017/03/16/ikea-donera-mobili-per-arredare-la-casa-valdese-di-vittoria-e-due-casa-di-l
      #Italie

    • Why IKEA’s Award-Winning Refugee Shelters Need A Redesign

      Fire safety concerns halted the rollout of Better Shelter and the IKEA Foundation’s portable, flat-pack refugee shelters to camps. The Swedish social enterprise is working on a redesign to launch later this year. We speak to their director about the lessons learned.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2017/05/19/why-ikeas-award-winning-refugee-shelters-need-a-redesign

    • Dossier : un monde de camps — Les réfugiés, une bonne affaire, par Nicolas Autheman (@mdiplo, mai 2017) https://www.monde-diplomatique.fr/2017/05/AUTHEMAN/57444

      Pour faire des économies, l’agence a créé en 2012 une branche intitulée « Laboratoire Innovation », destinée à lancer de nouveaux partenariats : Ikea pour l’habitat, la société de livraison américaine United Parcel Service (UPS) pour la logistique d’urgence, et bientôt Google pour l’apprentissage scolaire. Interrogé sur le risque de voir ces sociétés prendre une place croissante dans les processus de décision, le HCR répond invariablement que leur participation financière reste encore marginale comparée à celle des États. Pour autant, les partenariats conçus à l’origine comme de simples donations prennent de nouvelles formes. Selon M. Parker, l’agence a mis le doigt dans un engrenage dont il devient difficile de sortir : « La Fondation Ikea a promis des dizaines de millions de dollars au HCR. Et, maintenant, elle a envoyé quelqu’un en Suisse pour voir ce qu’il advient de son argent. Au début, je crois que le HCR imaginait pouvoir simplement recevoir du personnel bénévole et des dons. Il est en train d’apprendre que ce n’est pas vraiment comme cela que fonctionne le secteur privé. (...) Les entreprises ne viendront pas sans contreparties. Que dire si Ikea, par exemple, décide de tester du matériel dans les camps de réfugiés ? » Et comment réagir lorsque des parlementaires européens révèlent, comme cela s’est produit en février 2016, qu’Ikea est impliqué dans un vaste scandale d’évasion fiscale, échappant à l’impôt dans des États qui financent le HCR (La Tribune, 13 février 2016) ? L’agence de l’ONU n’en a jamais entendu parler...

    • A Slightly Better Shelter?

      The Shelter

      On January 26, 2017, the IKEA refugee shelter was declared the worldwide Design of the Year in a unanimous decision.[1] When I interviewed one of the jurors about the process I was told that they’d chosen the “obvious winner”: the IKEA shelter was high profile, it had featured widely in the media, it was a positive story with a clear social purpose, and it offered a practical solution to the so-called “refugee crisis,” one of the most significant issues of the previous twelve months.[2] The London Design Museum has been awarding the “Design of the Year” for a decade now, celebrating examples that “promote or deliver change, enable access, extend design practice, or capture the spirit of the year” (Beazley 2017). The IKEA refugee shelter seemed to match all of these aims, claiming to be modular, sustainable, long lasting, recyclable, easily assembled, affordable, and scalable. It was installed on the Greek islands to shelter newly arrived refugees in 2015, and it came with the backing of the United Nations (UN) Refugee Agency, who purchased 15,000 units for distribution around the world.

      The juror I spoke to explained that the shelter won because it “tackles one of the defining issues of the moment: providing shelter in an exceptional situation whether caused by violence and disaster…. [It] provides not only a design but secure manufacture as well as distribution.” A statement described the project as “relevant and even optimistic,” concluding, “it shows the power of design to respond to the conditions we are in and transform them” (Beazley 2017; personal interview, April 25, 2017, Design Museum, London).

      It is easy to understand why this shelter has generated so much interest since it was first announced in 2013. It has received funding from IKEA, a company that has shaped so much of everyday life in the Global North and whose minimalist modernism has populated so many domestic environments. As Keith Murphy points out, there is a social democratic spirit underpinning so much of Swedish design, a combination of simplicity, affordability, and universality that both reflects and promotes a more egalitarian social order (Murphy 2015; see also Garvey 2017). When applied to refugee housing, this has all the makings of positive story. The media are given something their readers can relate to—the experience of unpacking and constructing IKEA flat-pack furniture—and can connect it to a problem that concerns us all: how to house the millions of refugees we see on the news. The IKEA refugee shelter, the story goes, can be assembled in four to six hours with a basic manual and no specialist tools. Everything comes in two compact boxes, much like those that contain your new bed and table from the IKEA store. More attractively, the design arrives with a number of innovative little tricks, including a photovoltaic panel that provides sufficient electricity to power a small light and mobile phone charger. It seems like a heartwarming example of philanthro-capitalism, good design, and humanitarian innovation (Scott-Smith 2016). What’s not to like?

      For anyone who has actually seen the shelter up close, it looks rather mundane after this hyperbolic description. It has a rectangular floor plan, vertical walls, and a pitched roof. The shelter is fairly small, covering an area of 17.5 square meters, and it is designed to house a family of up to five people. When inside, you can look up and see the entire structure laid bare: a standalone steel frame with imposing horizontal beams, onto which foam panels are clipped. These panels are made from polyolefin, a light, flexible plastic, and they have the feeling and texture of swimming floats. They have been attached to the frame with hand-tightened bolts and brackets, and the shelter has four small ‘window’ openings, ventilation slots, and a lockable door. The main designer described its chunky, basic appearance as the kind of house “a 5-year-old would draw” (personal interview, May 18, 2017, Stockholm). It is, indeed, visually uninspiring, but this is because it is meant to be basic. Like much of IKEA’s product line, it is mass-produced, economical modernism. It is meant to offer a shelter that is immediate, quick, affordable, and easily transportable, staying as close as possible to the price and weight of the main alternative: the tent.

      Tents have been the go-to shelter for humanitarian organizations for more than 50 years. The UN Refugee Agency distributes tens of thousands of them annually, and they are still valued for their lightweight, inexpensive simplicity. To be taken seriously as a humanitarian product, therefore, the IKEA shelter needs to be comparable to the tent in terms of price and weight while making some crucial improvements. There are four, in particular, that can be found in this design. First, the IKEA shelter provides increased security through a lockable door. Second, it provides greater privacy through firmer and more opaque walls. Third, it provides improved communication with a mobile phone-charging station. And fourth, it lasts considerably longer: up to four years rather than just one. These improvements encapsulate the basic requirements for dignified living according to the designers, combining security, privacy, durability, and connection to the outside world. These features, the narrative goes, are particularly important given the protracted nature of so many contemporary refugee situations and the likelihood of a lengthy exile.[3]

      When I spoke to the designers about dignity, they came back again and again to the same material expressions, which were fascinating in their tangibility and their conception of refugee social worlds. Dignity meant being able to stand up in the IKEA shelter, which is impossible in a tent. Dignity meant having walls that were “knocky”: firmer, more secure, more resonant when tapped, which distinguished the materials from tarpaulin. Dignity meant privacy: whereas silhouettes can cause a problem in tents, the IKEA shelter does not reveal activity inside when the lights are on at night; its material is more opaque and disperses the shadows. Such improvements, however small, allow the design team to mobilize a more expansive, idealistic rhetoric. In its publicity materials, the shelter has become a “safer, more dignified home away from home for millions of displaced people across the world.” It has channeled “smart design, innovation and modern technology” to offer “a sense of peace, identity and dignity.” It is “universally welcoming”, a “home away from home” that balances “the needs of millions of people living in different cultures, climates and regions with a rational production—a single solution” (Better Shelter 2015; personal interview, May 19, 2017, Stockholm, Sweden). Far from being a better tent, this shelter has some revolutionary ambitions. But is it a better tent? Does it live up to its aims of producing a compact, cheap, lightweight product for meeting a basic human need?
      The Reaction

      The day after the announcement of the prize I sensed a collective sigh of despair among my colleagues working on refugee issues, which was tangible in personal conversations, snarky asides, and exasperated emails. The failures of the shelter were, for many of them, far too obvious. It was meager, limited, with no proper floor, no insulation, no natural light, and with a structure that let in drafts and dust. It had been oversold, under-ordered, and was described as sustainable when in fact it involved flying piles of metal and plastic around the world. It ignored established practice in the humanitarian shelter sector, which advocates the use of local materials and abundant local labor, and, above all, it was accompanied by an insistent triumphalism, with media reports pushing the narrative that an intractable problem had been solved. It had not. Managing refugee arrivals is a complex political issue that requires sustained political engagement, legal reform, and advocacy in host states to ensure investment in welfare and protection. Although these were not the aims of the IKEA refugee shelter, such lavish praise and attention, my informants felt, were a distraction. Many such “innovative designs” have become a fetish, creating a mistaken reassurance that circumstances can be controlled while obscuring a series of more serious, structural issues that remain unaddressed (Scott-Smith 2013).
      The most tangible criticisms of the IKEA shelter, I soon realized, came from two opposing directions. On the one hand, there were those who argued the shelter did too little. It was a mean little space, they suggested, that looked like a garden shed or, due to its plastic panels, a chemical toilet. This line of critique usually came from architects, who filed the object contemptuously under “product design” and declared that it involved no architectural thinking at all. Architecture, they pointed out, should respond to the site and local environment, not mass-produce a universal design with no adaptability or control. Architecture should create sensitive and carefully planned responses to specific problems, not ignore basic elements such as insulation, proper flooring, and natural light. Architecture should also be pleasing to the eye. If you took the Vitruvian triad of architectural virtues, the IKEA shelter seemed to fail on every count. Firmitas, utilitas, and venustas was the aim, but the shelter was flimsy rather than firm, flawed rather than useful, ugly rather than beautiful.[4] It was particularly galling for this group of critics that the shelter won not just Design of the Year, but that it won the architectural category as well.

      The other type of criticism came from humanitarians. They argued not that the shelter did too little, but that it did too much. It provided a fully integrated, flat-pack solution when this was rarely required or appropriate. It flew in a prefabricated house when there were better opportunities to work from the bottom up. It lionized designers when design was rarely a priority. Unlike architects, humanitarians were working in a context of limited time and limited resources. They worked with the mantra that “shelter is a process not a product,” a slogan that derives from the work of Ian Davis (1978), one of the founding thinkers of the humanitarian shelter sector, who argued that humanitarians needed to focus on the way people shelter themselves. Davis said that disaster-affected communities had their own techniques for finding and building shelter, suggesting that humanitarian shelter should mean discouraging designers and other outside “experts.” The priority should be to provide materials such as wood, nails, tarpaulin, and tape that help people build their own homes. These could be used and reused as people expanded their accommodation. The crucial task, in other words, was not to provide finished shelters, but to support people in their own process of sheltering.[5]
      The Tension

      In the middle of May 2017, I took a trip to Stockholm to meet the IKEA shelter’s design team and see how they navigated these two very different criticisms. I arrived at their headquarters on the 11th floor of the old Ericsson building in a southern suburb of the city, and spent some days learning about their brief, their aims, and their ways of thinking. The first thing that became clear was that this was not, in fact, an “IKEA shelter.” It was a designed by a group of independent Swedish industrial designers who had met at college and developed the basic idea in discussion with humanitarians in Geneva. They later received substantial financial support from the IKEA Foundation, which allowed them to refine, test, and iterate the idea, eventually leading to a commitment from the UN Refugee Agency to purchase a large number of units.

      As I learned more about the project, it soon became clear that the story of the shelter seemed to be constantly swinging like a pendulum. It was caught between the expansive utopian idealism that so often underpins the announcement of new humanitarian designs and the restricted, mundane implications of their actual implementation. Both types of criticism, in other words, were basically correct: the IKEA shelter is both ‘too much’ and ‘too little’. It is clearly a product rather than a process, so it ends up being overwrought, top-down, and “too much” for aid workers who are skeptical of universal solutions. At the same time, it has been designed to be cheap and lightweight, so it will always be “too little” for those with bigger ideas about what design can achieve (especially as it lacks many of the basic elements that are crucial to architecture, such as proper flooring, insulation, light, strength, and beauty). The formal name for the shelter seems to encapsulate this tension. It is properly called the “Better Shelter”, and I was reprimanded in Stockholm for using the name “IKEA shelter,” which remains in common parlance but has never been formally adopted.[6] This name emphasizes the restricted horizon of improvement. The product aspires to be better, but it is no more than shelter. It idealistically attempts to improve the world, but pursues this by providing basic shelter rather than engaging with a more expansive terrain of housing.

      The problem of doing too much and too little was powerfully illustrated in December 2015, when the Swiss city of Zurich conducted a fire safety test on the IKEA shelter. The video of the test was screened on the news and subsequently circulated online: it featured a series of terrifying images in which a small fire, illuminating first the translucent sides of the shelter, suddenly engulfed the scene in an explosion of flames and molten plastic. The media picked up on the story, Zurich cancelled its intended use of the shelters for new migrant arrivals, and distribution of the shelter began to slow. This was perhaps the biggest challenge the design had faced since its inception, and the fire test led to more than a year of additional work as the team made changes to the shelter’s design – mostly adjustments to the panel material. During this process, however, the design team found no clear code to work. Fire retardancy standards and testing procedures could not be found in the usual humanitarian handbooks, and so the team felt hostage to unrealistic criteria. The Swiss tests had compared the shelter with a permanent residential building, which seemed unfair (as a tent, which was the closest equivalent, would fare no better), yet it seemed impossible to object when the Swiss fire tests were released. The shelter was meant to be “better,” and the whiff of double standards would drift over the scene very quickly if they argued this was a shelter for a different population. The idea that refugee accommodation should be held to lower standards would not be good publicity for a product so concerned with the promoting dignity.

      The fire tests raised a number of questions. Is this a “slightly” Better Shelter? Or is it “sometimes” a better shelter, depending on location and context? And when, exactly, is it a better shelter – in which times and places? One thing is clear: most people would not choose to live in one of these structures because of its obvious limitations. It has no floor or insulation, barely any natural light, and a tiny living space, even if its three or four tangible improvements certainly make it better than a tent. But then again, it should be better, as it costs a good deal more than a tent: currently twice the price of a UN High Commissioner for Refugees (UNHCR) standard family model. Is this a problem? Don’t we expect a better shelter to be a more expensive shelter? Yet how much is too much? What if twice the price means aiding half as many people? Is this a “better” result?

      As the IKEA shelter becomes more widely used in different locations, a clear lesson has begun to emerge: that the whole product is deeply dependent on context. It is only “better” in some times and places. It may be “better” when compared with a tent, but not when compared with a Swiss apartment building. It may be “better” in a Middle Eastern refugee camp, but not in a Western European reception facility. It may be “better” when funds are plentiful and refugee numbers limited, but not when refugees are plentiful and funds limited. It might be “better” when there is an urgent need for emergency shelters, but not when there is scope for people to build a home of their own.

      The Lagom Shelter

      Perhaps this, in the end, defines the wider world of little development devices and humanitarian goods: they are simultaneously too much and too little. They are vulnerable to the charge of being too limited as well as the charge of being too expansive. They fail to tackle fundamental global injustices, but they still make numerous ideological assumptions about human life and human dignity beneath their search for modest improvements. The little development device oscillates between its grand visions of human improvement and its modest engineering in a tiny frame. The humanitarian good balances a philanthro-capitalist utopia with the minimalist aim of saving lives. All of this is encapsulated in the slightly Better Shelter. When I discussed these thoughts with the team in Stockholm, they basically agreed, and reached for the Swedish word lagom to describe their aims. It is tricky to translate, but means something like “the right amount,” “neither too little nor too much.” The Better Shelter is lagom because it has to be viable as well as adding value. It has to negotiate with the critics who claim it is “too much” as well as those who say it does “too little.” The shelter could never please architectural critics because it was only designed as a cheap, short-term home, and it would never please bottom-up humanitarian practitioners because it was too top-down and complete. Lagom captures the search for balance while reflecting a wider ethos of democratic Swedish design.[7]

      Yet aspiring to be lagom does not make the central tension disappear. Just like being “better,” being lagom depends on context. What counts as “just enough” depends on where you are, who you are, and what you are doing. Something lagom in Sweden may not be lagom elsewhere. This became apparent just before the Better Shelter was launched, when a handful of units were shipped to Lebanon for a practical test with refugees. On their arrival in the Bekaa Valley, a group of armed and angry Lebanese neighbors appeared. The shelters, in their view, were too permanent. It did not matter that they had no foundations. It did not matter that they could be removed in less than a day. It did not matter that the walls and roof would degrade in just a few years. The structures were too solid, and the authorities agreed.[8] The Better Shelter had become “too much” for the Lebanese political context, just as in Switzerland it had become “too little.” The same features that made it insufficient in one country made it extravagant in another.

      So although the Better Shelter tries to be better everywhere, it can never hope to adapt to the infinite complexity of refugee crises and its scales became disrupted when butting up against hard political realities. Since 2013, the designers have been working assiduously in Stockholm to optimize every component: changing the clips and panel material, redesigning the bolts and vents, refining the door and frame. They think an improved product can overcome both the Swiss fire tests and the Lebanese resistance. But what is “better” will always change with context. The Lagom Shelter can only be truly Lagom on the 11th floor of the old Ericcson building in Stockholm. As soon as it moves, the balance changes. Lagom cannot be built into any universal form.

      https://limn.it/articles/a-slightly-better-shelter

      Avec cette bibliographie :

      Bibliography

      Beazley. 2017. “Flat-packed refugee shelter named best design of 2016”. Beazley Design of the Year Press Release, 26.01.2017. Available at link: https://www.beazley.com/news/2017/winners_beazley_designs_of_the_year.html

      Better Shelter. 2015. Better Shelter: A Home Away From Home. Better Shelter Promotional Leaflet. Available at link: http://www.bettershelter.org/wp-content/uploads/2015/12/About_Better-Shelter.pdf

      Davis, I. 1978. Shelter After Disaster. Oxford, UK: Oxford Polytechnic Press.

      Garvey, P. 2017. Unpacking Ikea Cultures: Swedish Design for the Purchasing Masses. London, UK: Routledge.

      Murphy, K. 2015. Swedish Design: An Ethnography. Ithaca, NY: Cornell University Press.

      Scott-Smith, T. 2013. “The Fetishism of Humanitarian Objects and the Management of Malnutrition in Emergencies.” Third World Quarterly 34(5): 913-28.

      ———. 2016. “Humanitarian Neophilia: The Innovation Turn and Its Implications.” Third World Quarterly 37(12): 2229–2251.

      ———. 2017. “The Humanitarian-Architect Divide.” Forced Migration Review 55:67-8.

      Sewell, Abby, and Charlotte Alfred. 2017. “Evicted Refugees in Lebanon Have Nowhere Left to Run.” Refugees Deeply, September 28. Available at link: https://www.newsdeeply.com/refugees/articles/2017/09/28/nowhere-left-to-run-refugee-evictions-in-lebanon-in-shadow-of-return

  • COP21 bien comprise : Suisse : Le DURO, DUrable et RObuste n’a pas de prix

    Tout le monde a croisé au moins une fois sur sa route un exemplaire de ces camions militaires, les fameux Duro transportant les troupes.

    Dans les années 1990, l’armée suisse en avait acheté environ 2000 auprès de l’entreprise Mowag pour une facture de quelque 230 millions de francs. Duro est une contraction de « DUrable et RObuste ».

    Pour durer, il faut cependant de l’entretien et des adaptations. Certes, mais cela n’a apparemment pas de prix pour l’#armée_suisse.

    Lors de la session d’hiver des Chambres fédérales, le Conseil national a accepté un crédit de 558 millions de francs destinés à mettre à jour la flotte des Duro, notamment leur tableau de bord. Ce qui représente une dépense de 250 000 francs par camion, soit deux fois le prix qu’ils avaient coûté à l’époque.

    Généralement les #dépenses_militaires sont soutenues sans trop de discussion par les partis bourgeois au Parlement. Mais là, la pilule n’a pas passé et le bloc #UDC lui-même s’est divisé en plénum sur la question.


    La fronde a été menée par le conseiller national argovien #Ulrich_Giezendanner (UDC/AG), patron d’une société de transports. Malgré ses arguments sur l’incroyable cherté de l’opération, le crédit, soutenu par le chef de l’armée, Ueli Maurer, a passé de justesse par 98 voix à 90. Mais hier, dans Blick, le transporteur argovien est revenu à l’attaque en disant que cette histoire « pue à plein nez ».

    Il entend intervenir auprès de la Chambre des cantons qui doit statuer à son tour sur cette dépense. En toile de fond, certains soupçonnent que ce crédit vise surtout à subvenir aux besoins de l’entreprise Mowag, située à Kreuzlingen (TG), à qui va revenir le mandat pour bichonner les Duro. Mowag appartient par ailleurs à la société américaine #General_Dynamics.

    Au nom du groupe socialiste, le conseiller national Pierre-Alain Fridez (PS/JU) était intervenu pour dénoncer « la modernisation luxueuse, c’est un euphémisme, de ces camions ». Il relève aujourd’hui que « dans cette histoire, il n’y a pas eu semble-t-il un réel appel d’offres. Pour cette raison on arrive à un prix très élevé et à cette polémique. »

    Il ajoute aussi que « ces dépenses de l’armée sont illogiques. Il n’y a pas que les camions, on capitalise aussi pour 100 millions de munitions. Pendant ce temps la Confédération doit économiser sur la formation, le personnel ou sur l’aide au développement. »

    La « patate chaude » du Duro est dorénavant dans le camp des sénateurs pour la session du mois de mars.
    (Le Matin) 29.12.2015 Source : http://www.lematin.ch/suisse/duro-sent-combine/story/21281710

  • Suisse la belle Démocratie ! - Une manifestation sauvage dégénère à Genève 20.12.2015

    Une #manifestation_non_autorisée a dégénéré dans la nuit de samedi à dimanche au centre-ville de #Genève. Une vingtaine de vitrines ont été brisées et d’innombrables #tags ont été peints sur des façades et sur du mobilier urbain.

    Des dizaines de milliers de francs de dégâts : telle est la conséquence des déprédations commises dans la nuit par près de 500 personnes. La gare, la rue de la Corraterie et le Grand Théâtre ont notamment été prises pour cible par les manifestants.

    Le cortège, qui s’était donné rendez-vous au parc des Cropettes à 22h00, est ensuite descendu de Montbrillant à Cornavin, pousuivant sa route vers Bel-Air plus la Place Neuve. Les #banques et le Grand Théâtre ont été particulièrement visés. Plusieurs inscriptions visent #Pierre_Maudet, conseiller d’Etat en charge de la sécurité et de l’économie.

    Cette manifestation a été initiée pour protester contre les #coupes_budgétaires visant les lieux de culture alternative.

    http://www.lematin.ch/suisse/manifestation-sauvage-degenere-geneve/story/29905738

  • [Genève] Le président d’Égalité et Réconciliation Suisse perquisitionné
    https://renverse.ch/Le-president-d-Egalite-et-Reconciliation-Suisse-perquisitionne-439

    La semaine passée, nos chères autorités locales se sont jointes à l’hystérie sécuritaire et au bal des perquisitions dans laquelle l’europe tourbillonne actuellement. Toute cette agitation a fait sortir une affaire bien cocasse…

    « http://www.letemps.ch/suisse/2015/12/14/geneve-guerre-parquets-exacerbee-menace-terroriste »
    « http://rage.noblogs.org/post/2012/07/09/qui-est-vraiment-piero-san-giorgio »
    « http://www.ghi.ch/le-journal/geneve/je-nai-jamais-appele-la-violence »
    « http://www.lematin.ch/suisse/secretaire-udc-vire-photo-choc/story/10939374 »

    • _ Le fondateur du groupe suédois Ikea, Ingvar Kamprad toujours aussi jeune : Ses cabanes pour migrants inflammables, comme dans les camps _

      Les autorités zurichoises et argoviennes (#Suisse) ont renoncé vendredi à utiliser ces installations d’urgence pour les requérants d’asile.
      La #Fondation_Ikea a défendu samedi la sécurité de ses cabanes pour #migrants après la décision de la ville de Zurich d’y renoncer en affirmant qu’elles sont inflammables.

      Zurich a dévoilé vendredi des tests montrant que ces cabanes conçues par le géant suédois de l’ameublement prêt-à-monter étaient « facilement inflammables ».
      Les autorités ont donc décidé d’annuler l’accueil de migrants dans 62 de ces petites maisons à partir de janvier. Le canton d’Argovie, qui envisageait lui aussi d’acquérir ces maisonnettes pour accueillir 300 demandeurs d’asile, a annoncé qu’il recherchait d’autres solutions.


      Niveau de sécurité supérieur

      « Nous ne pouvons faire aucun commentaire avant d’avoir reçu la traduction du rapport sur les résultats et la méthode utilisée pour conduire ces tests d’incendie », a indiqué la responsable de la communication du projet « Better Shelter », fruit d’une collaboration entre la Fondation Ikea et le Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (#HCR).

      Les cabanes Ikea, dont la réaction au feu a été testée selon les normes européennes, présentent un niveau de sécurité supérieur à ce qui se fait ailleurs en matière d’hébergement d’urgence, a souligné la responsable, Märta Terne. « Les tests réalisés sur les murs et les panneaux de
      couverture ont montré que le matériau dépasse les niveaux requis de sécurité pour ces logements provisoires ».

      Examen par le HCR

      De son côté, le HCR « va regarder de près le rapport anti-incendie » évoqué par les autorités zurichoises, a écrit un porte-parole, Adrian Edwards, dans un courrier électronique.
      Ces petites maisons, facilement montables et peu onéreuses, ont déjà été déployées par centaines dans des camps de réfugiés au Tchad, en Ethiopie et en Irak, selon le site internet de « Better Shelter ». Depuis cet été, quelque 1200 maisonnettes ont aussi été montées en #Grèce pour accueillir le flux croissant de migrants.

      Les autorités cantonales suisses avaient demandé une vérification du respect des normes anti-incendie après qu’une étude allemande a mis en doute cette semaine la fiabilité des informations données par le HCR et des experts suédois.

      Première en Argovie

      Fin octobre, les cabanes Ikea avaient été présentées en première suisse en Argovie pour servir de centre d’urgence pour requérants d’asile. Le canton prévoyait d’en acquérir 200 pour héberger des réfugiés dans des halles industrielles.
      Il avait choisi un premier site : les halles des ateliers d’entretien de l’autoroute A3 à Frick (AG). Trois cents personnes devaient y séjourner dès le printemps 2016.
      Le Département argovien des affaires sociales a indiqué vendredi soir qu’il renonçait à ce projet, suite aux résultats négatifs du test anti-incendie réalisé à Zurich.

      Cabanes démontées

      Dans la métropole alémanique, les cabanes qui ont déjà été installées seront donc démontées. L’organisation AOZ, qui devait gérer l’hébergement de 250 réfugiés dès le 4 janvier prochain dans une halle de la Foire de Zurich, doit désormais trouver une alternative pour loger les personnes concernées.

      D’une capacité de cinq personnes chacune, les cabanes de 17,5 m2 ne disposent pas de fenêtres, mais de plusieurs bouches d’aération. Ces installations donnent accès à la lumière du jour, contrairement aux abris de la protection civile. Montées en une demi-journée, elles sont en outre peu coûteuses : 1200 francs suisses par abri et 500 francs suisses par lit et armoire.

      Source : http://www.lematin.ch/suisse/ikea-defend-cabanes-face-critiques-suisses/story/13419837
      +
      Le fondateur d’Ikea rattrapé par ses relations avec les nazis - L’Express

      http://lexpansion.lexpress.fr/actualite-economique/le-fondateur-d-ikea-rattrape-par-ses-relations-avec-les-nazis_10

      Proche d’un leader nazi
      Même après la guerre, #Ingvar_Kamprad est resté ami avec Per Engdahl (décédé en 1994). Elisabeth Aasbrink a rappelé notamment qu’il avait invité le leader #nazi à son premier mariage en 1950 - épisode admis par Ingvar Kamprad dans la biographie autorisée qui lui est consacrée. Elisabeth Aasbrink a également découvert que le jeune Kamprad, qui a admis avoir rejoint le Nouveau mouvement suédois de Per Engdahl, avait auparavant été membre d’un groupuscule plus extrémiste, le Rassemblement socialiste suédois (SSS). Sa carte de membre portait le numéro 4014. 

      Autre élément nouveau dans le livre, la police de sécurité suédoise, la Saepo, avait ouvert un dossier intitulé "nazi" sur le compte d’Ingvar Kamprad en 1943, l’année où il avait fondé, à 17 ans, une petite entreprise, Ikea, dans un village du sud de la Suède. Elisabeth Aasbrink a précisé ne pas avoir pu consulter ce dossier au-delà de l’année 1949. Dans la partie du document à laquelle elle a eu accès, la journaliste a lu qu’Ingvar Kamprad affirmait à l’époque "avoir recruté des membres (...) et ne semblait pas manquer une occasion de servir le parti", le SSS. 

      Ni le Suédois, domicilié en Suisse depuis 1978, ni son porte-parole ne pouvait être joint pour un commentaire jeudi soir. Sur son site Internet, Ikea a souligné que "ce qui s’est passé il y a 70 ans est quelque chose pour laquelle Ingvar a présenté ses excuses à de nombreuses reprises (...) et cela n’a rien à voir avec les activités d’Ikea". "Ingvar a dédié sa vie d’adulte à Ikea et aux valeurs démocratiques que représente Ikea", est-il ajouté. 

      #administration_du_désastre

    • Zurich a changé d’avis...
      Zurich : les réfugiés n’emménageront pas dans des cabanes Ikea

      Asile - Les réfugiés accueillis à Zurich seront finalement logés dans des installations en bois aggloméré. Ces dernières remplacent les cabanes Ikea initialement envisagées.

      http://www.lenouvelliste.ch/articles/suisse/zurich-les-refugies-n-emmenageront-pas-dans-des-cabanes-ikea-477132

  • La vidéosurveillance monte dans le bus
    http://www.lematin.ch/suisse/La-videosurveillance-monte-dans-le-bus/story/16002686

    Un trolleybus est-il une zone de non-droit ? « Il paraît qu’en hiver, des dealers prenaient une carte journalière pour trafiquer au chaud », rapporte Christophe Kneuss, directeur des Transports publics biennois (TPB). Chauffeur giflé par un usager mécontent, agressions verbales, menaces et injures… La liste est malheureusement longue des incivilités commises envers le personnel ou les autres passagers. Au printemps 2013, un resquilleur de 28 ans avait même poignardé au bras une employée lors d’un (...) #CCTV, #vidéo-surveillance, #surveillance_des_voyageurs

  • DÉCEPTION : Les réseaux ne font pas les élus - Suisse - lematin.ch
    http://www.lematin.ch/suisse/reseaux-elus/story/13791682

    Ce week-end, les « superconnectés » du Parlement ont été largués dans les urnes. Au début de la campagne, les sortants Aline Trede (Les Verts/BE), Balthasar Glättli (Les Verts/ZH), Jean Christophe Schwaab (PS/VD) et Beat Flach (Vert’libéraux/AG) squattaient pourtant les quatre premières places d’un classement très pointu de Blick. Le journal alémanique avait noté tout le Parlement en fonction de l’activité de ses membres sur les réseaux sociaux (Facebook, Twitter, Instagram, Google +, Linkedln).

    Dimanche, il a fallu déchanter. Aline Trede n’a pas été réélue dans le canton de Berne, où les Verts ont perdu un siège. Balthasar Glättli a été réélu à Zurich, mais son score a été faible, alors qu’il était considéré comme un des « geeks » à Berne aux côtés de Jean Christophe Schwaab. Celui-ci, comme Adèle Thorens (Les Verts/VD), est en ballottage en attendant le second tour du Conseil des Etats dans le canton de Vaud. Le quatrième a sauvé de justesse le siège des Vert’libéraux en Argovie, où il arrive dernier élu. Et, pour la petite histoire, Christoph Mörgeli (UDC/ZH), excellent onzième de ce ranking, a perdu son siège.

    Adèle Thorens, elle, pointait fièrement à la septième place de Blick. Aujourd’hui, elle est prise d’un grand doute : « Après les résultats de dimanche, je me suis vraiment fait la réflexion : quel est l’impact des #réseaux_sociaux ? Peut-on faire changer d’avis des personnes ? Ils permettent certainement de maintenir le lien avec les sympathisants, c’est le côté positif, mais comme instrument électoral, il nous faut sérieusement revoir la question. »

  • La Russie dénonce un incident impliquant un avion de chasse français, Paris dément
    http://www.lemonde.fr/europe/article/2015/10/19/incident-diplomatique-avec-la-russie-dans-l-espace-aerien-francais_4792561_3

    Le ministère des affaires étrangères russe, Sergueï Lavrov, a convoqué l’ambassadeur de France à Moscou, lundi 19 octobre. Selon la Russie un avion de chasse français s’est « dangereusement » approché d’un avion de ligne transportant Sergueï Narichkine, président de la chambre basse du Parlement russe, alors qu’il se trouvait dans l’espace aérien français.

    Le Quai d’Orsay a immédiatement démenti : il n’y a pas eu d’incident dans l’espace aérien français et l’avion impliqué n’était pas, non plus, français. Il s’agirait d’un chasseur F18 suisse. Sergueï Narichkine, un proche du président russe, Vladimir Poutine, se rendait à Genève pour une conférence internationale. L’aéroport de Genève est situé à proximité de la frontière franco-suisse.

    En 20 minutes, déjà 2 titres :
    16h54 (original) : Incident diplomatique avec la Russie dans l’espace aérien français
    17h17 : La Russie dénonce un incident impliquant un avion de chasse français, Paris dément
    Le prochain devrait annoncer que la Suisse crée un incident diplomatique entre la France et la Russie.

    • France : Un F/A-18 suisse a collé de trop près un avion russe - Suisse - lematin.ch
      http://www.lematin.ch/suisse/Un-FA18-suisse-a-colle-de-trop-pres-un-avion-russe/story/14324696

      Le ministère de la Défense suisse a confirmé dans la soirée qu’un avion F/A-18 de l’armée suisse avait approché pour un « contrôle de routine » celui du président de la chambre basse du Parlement russe, Sergueï Narychkine, en route pour une réunion de l’Assemblée de l’Union interparlementaire (UIP) à Genève.

      Le contrôle a eu lieu « sur le territoire suisse, au-dessus de Bienne », a déclaré à l’AFP un porte-parole du ministère, Peter Minder, précisant que la Suisse faisait de tels contrôles « de temps en temps ».

      « C’était un contrôle normal des forces aériennes suisses. (...) On a fait un contact visuel avec le pilote, on a noté l’immatriculation. Tout était en ordre. C’était une procédure standard, une vérification », a-t-il expliqué.

      La Suisse, en application d’un accord visant la protection de Genève, a une autorisation de survol dans l’est de la France, selon le ministère français des Affaires étrangères.