• #TuNur, il modello di esportazione di energia verde dal Nord Africa all’Ue

    Un’impresa britannico-tunisina sta progettando una gigantesca centrale solare a nel deserto della Tunisia, un impianto che richiede un enorme consumo d’acqua. L’energia verde però andrà solo all’Europa.

    Produrre energia pulita a basso costo tra le soleggiate dune del deserto del Sahara è stato per decenni il sogno di diverse aziende private, alla costante ricerca di nuove fonti energetiche. “Il Sahara può generare abbastanza energia solare da coprire l’intero fabbisogno del globo” è un mantra ripetuto più o meno frequentemente, da aziende e lobby, a seconda della congiuntura economica o politica.

    Tra costi esorbitanti e accordi internazionali irrealizzabili, i progetti di esportazione di energia solare dal Nord Africa all’Europa sono però stati messi da parte per anni. Tornano di attualità oggi, nel contesto di crisi energetica legata alla guerra in Ucraina. Con un inverno freddo alle porte, senza il gas russo, gli Stati europei puntano gli occhi sulle contese risorse dei vicini meridionali. Con l’impennata dei prezzi dei combustibili fossili, la transizione energetica non è più semplicemente urgente in funzione della crisi climatica, ma anche economicamente conveniente, quindi finanziariamente interessante.

    A maggio 2022 l’Unione europea ha annunciato di voler aumentare gli obiettivi di energia prodotta da fonti rinnovabili fino al 40% entro il 2030, dotandosi di 600 GWh supplementari di energia solare. Ma il vecchio continente non ha né lo spazio né le risorse per produrre internamente la totalità del proprio fabbisogno di energia verde. Ed ecco che gli annunci di mega progetti di centrali solari in Nord Africa, così come quelli di cavi sottomarini nel mediterraneo, non fanno che moltiplicarsi.

    Il miracolo del sole africano torna a suggestionare un’Europa che ancora fatica a liberarsi del proprio retaggio coloniale quando guarda alla riva sud del Mediterraneo. Buona parte delle compagnie che promettono energia pulita importata continuano a raccontare una favola distorta e romanticizzata dei deserti: terre vuote, inutili, da colonizzare.

    Una narrazione contestata da chi, invece, quel deserto lo abita: «Non ci opponiamo alle rinnovabili, ma chiediamo una transizione energetica equa, che prenda in considerazione le rivendicazioni sociali e ambientali locali e non riproduca le dinamiche dell’industria fossile», ripetono le comunità che osservano l’installazione dei pannelli solari europei dalla finestra di casa.
    La transizione europea si farà sulle spalle del Nord Africa?

    Lungo il confine fra Tunisa e Algeria, a 120 chilometri dalla città più vicina, Kebilli, l’unica strada che porta a Rjim Maatoug è percorsa avanti e indietro dai camion cisterna che vanno ai giacimenti di petrolio e gas del Sud tunisino. Cittadina in mezzo al deserto negli anni ‘80 monitorata dai soldati del Ministero della difesa tunisino, Rjim Maatoug è stata costruita ad hoc con l’aiuto di fondi europei, e in particolar modo dell’Agenzia Italiana per lo Sviluppo e la cooperazione (AICS).

    Un tempo abitato da comunità nomadi, il triangolo desertico che delimita il confine tunisino con l’Algeria da un lato, la Libia dall’altro, è oggi un’immensa zona militare accessibile ai non residenti solo con un permesso del Ministero della difesa. Questi terreni collettivi sono da sempre la principale fonte di sostentamento delle comunità del deserto, che un tempo si dedicavano all’allevamento. Occupate durante la colonizzazione francese, queste terre sono state recuperate dallo Stato dopo l’indipendenza nel 1957, poi concesse a compagnie private straniere, principalmente multinazionali del petrolio. Prima nella lista: l’italiana #Eni.

    In questa zona, dove la presenza statale è vissuta come una colonizzazione interna, villaggi identici delimitati da palmeti si sussegono per 25 chilometri. «Abbiamo costruito questa oasi con l’obiettivo di sedentarizzare le comunità nomadi al confine», spiega uno dei militari presenti per le strade di Rjim Maatoug. Dietro all’obiettivo ufficiale del progetto – “frenare l’avanzata del deserto piantando palmeti” – si nasconde invece un’operazione di securizzazione di un’area strategica, che ha radicalmente modificato lo stile di vita delle comunità locali, privandole dei loro mezzi di sussistenza. Un tempo vivevano nel e del deserto, oggi lavorano in un’immensa monocultura di datteri.

    È di fronte alla distesa di palme di Rjim Maatoug, piantate in centinaia di file parallele, che la società tunisino-britannica TuNur vuole costruire la sua mega centrale solare. L’obiettivo: «Fornire elettricità pulita a basso costo a 2 milioni di case europee», annuncia la società sul suo sito internet.

    Per la sua vicinanza all’Italia (e quindi all’Europa), la Tunisia è il focus principale delle aziende che puntano a produrre energia solare nel deserto. In Tunisia, però, solo il 3% dell’elettricità per ora è prodotta a partire da fonti rinnovabili. Nell’attuale contesto di grave crisi finanziaria, il Paese fatica a portare avanti i propri ambiziosi obiettivi climatici (35% entro il 2030). Ma l’opportunità di vendere energia all’Ue sembra prendersi di prepotenza la priorità sulle necessità locali, anche grazie a massicce operazioni di lobbying.

    TuNur si ispira apertamente alla Desertec Industrial Initiative (Dii), un progetto regionale abbandonato nel 2012, portato avanti all’epoca da alcuni tra gli stessi azionisti che oggi credono in TuNur. Desertec mirava all’esportazione di energia solare prodotta nel Sahara attaverso una rete di centrali sparse tra il Nord Africa e il Medio Oriente per garantire all’Europa il 15% del proprio fabbisogno di elettricità entro il 2050. Se neanche il progetto pilota è mai stato realizzato, i vertici della compagnia proiettavano i propri sogni su due deserti in particolare: quello tunisino e quello marocchino.

    Oggi il progetto è stato relativamente ridimensionato. La centrale tunisina TuNur prevede di produrre 4,5 GWh di elettricità – il fabbisogno di circa cinque milioni di case europee – da esportare verso Italia, Francia e Malta tramite cavi sottomarini.

    Il progetto è sostenuto da una manciata di investitori, ma i dipendenti dell’azienda sono solo quattro, conferma il rapporto del 2022 di TuNur consultato da IrpiMedia. Tra questi, c’è anche il direttore: il volto dell’alta finanza londinese Kevin Sara, fondatore di diversi fondi di investimenti nel Regno Unito, ex membro del gigante finanziario giapponese Numura Holdings e della cinese Astel Capital. Affiancato dal direttore esecutivo, l’inglese Daniel Rich, Sara è anche amministratore delegato dello sviluppatore di centrali solari Nur Energie, società che, insieme al gruppo maltese Zammit, possiede TuNur ltd. Il gruppo Zammit, che raccoglie imprese di navigazione, bunkering, e oil&gas, è apparso nel 2017 nell’inchiesta Paradise Papers sugli investimenti offshore. Il braccio tunisino del comitato dirigente, invece, è un ex ingegnere petrolifero che ha lavorato per anni per le multinazionali del fossile Total, Shell, Noble Energy e Lundin, Cherif Ben Khelifa.

    Malgrado le numerose richieste di intervista inoltrate alla compagnia, TuNur non ha mai risposto alle domande di IrpiMedia.

    TuNur opera in Tunisia dalla fine del 2011, ed ha più volte annunciato l’imminente costruzione della mega centrale. Finora, però, neanche un pannello è stato installato a Rjim Maatoug, così che numerosi imprenditori del settore hanno finito per considerare il progetto “irrealistico”, anche a causa dei costi estremamente elevati rispetto al capitale di una compagnia apparentemente piccola. Eppure, ad agosto 2022 l’amministratore delegato di TuNur annunciava all’agenzia Reuters «l’intenzione di investire i primi 1,5 miliardi di euro per l’installazione della prima centrale». Non avendo potuto parlare con l’azienda resta un mistero da dove venga, e se ci sia davvero, un capitale così importante pronto per essere investito.

    Ma che la società sia ancora alla ricerca del capitale necessario, lo spiega lo stesso direttore esecutivo Daniel Rich in un’intervista rilasciata a The Africa Report nel 2022, affermando che TuNur ha incaricato la società di consulenza britannica Lion’s Head Global Partners di cercare investimenti. Poco dopo queste dichiarazioni, Rich ha ottenuto un incontro con il Ministero dell’energia. Anticipando i dubbi delle autorità, ha assicurato «la volontà del gruppo di espandere le proprie attività in Tunisia grazie ai nuovi programmi governativi». Secondo i documenti del registro di commercio tunisino, la sede tunisina della società TuNur – registrata come generica attività di “ricerca e sviluppo” – possiede un capitale di appena 30.000 dinari (10.000 euro). Una cifra infima rispetto a quelle necessarie ad eseguire il progetto.

    Secondo Ali Kanzari, il consulente principale di TuNur in Tunisia, nonché presidente della Camera sindacale tunisina del fotovoltaico (CSPT), il progetto si farà: «Il commercio Tunisia-Europa non può fermarsi ai datteri e all’olio d’oliva», racconta nel suo ufficio di Tunisi, seduto accanto ad una vecchia cartina del progetto. Ai suoi occhi, la causa del ritardo è soprattutto «la mancanza di volontà politica». «La Tunisia è al centro del Mediterraneo, siamo in grado di soddisfare il crescente fabbisogno europeo di energia verde, ma guardiamo al nostro deserto e non lo sfruttiamo», conclude.
    Ouarzazate, Marocco: un precedente

    La Tunisia non è il primo Paese nordafricano sui cui le compagnie private hanno puntato per sfruttare il “potenziale solare” del deserto. Il progetto di TuNur è ricalcato su quello di una mega centrale solare marocchina fortemente voluta da re Mohamed VI, diventata simbolo della transizione del Paese della regione che produce più elettricità a partire da fonti rinnovabili (19% nel 2019).

    Nel febbraio 2016, infatti, il re in persona ha inaugurato la più grande centrale termodinamica del mondo, Noor (suddivisa in più parti, Noor I, II, III e IV). Acclamato dai media, il progetto titanico Noor, molto simile a TuNur, non produce per l’esportazione, ma per il mercato interno ed ha una capacità di 580 MWh, solo un ottavo del progetto tunisino TuNur. Il sito è attualmente gestito dal gruppo saudita ACWA Power insieme all’Agenzia marocchina per l’energia sostenibile (MASEN). Secondo quanto si legge sul sito della società, anche Nur Energie, azionista di TuNur e di Desertec, avrebbe partecipato alla gara d’appalto.

    Nel paesaggio desertico roccioso del Marocco sud-orientale, a pochi chilometri dalla città di Ouarzazate, ai piedi della catena dell’Alto Atlante, centinaia di pannelli si scorgono a distanza tra la foschia. Sono disposti in cerchio intorno a una torre solare, e si estendono su una superficie di 3.000 ettari. Si tratta di specchi semiparabolici che ruotano automaticamente durante il giorno per riflettere i raggi solari su un tubo sottile posto al centro, da dove un liquido viene riscaldato, poi raccolto per alimentare una turbina che produce elettricità. Così funziona la tecnologia CSP (Concentrated Solar Power) riproposta anche per il progetto tunisino TuNur. «Con il CSP possiamo immagazzinare energia per una media di cinque ore, il che è molto più redditizio rispetto all’uso delle batterie», afferma Ali Kanzari, consulente principale della centrale TuNur, che vuole utilizzare la stessa tecnologia.

    Diversi grandi gruppi tedeschi sono stati coinvolti nella costruzione del complesso marocchino Noor. Ad esempio, il gigante dell’elettronica Siemens, che ha prodotto le turbine CSP. Secondo il media indipendente marocchino Telquel, i finanziatori del progetto – la Banca Mondiale e la banca tedesca per lo sviluppo Kfw – avrebbero perorato l’adozione di questa tecnologia, difendendo gli interessi dei produttori tedeschi, mentre gli esperti suggerivano – e suggeriscono tutt’ora – una maggiore cautela. La causa: l’elevato consumo di acqua di questo tipo di tecnologia durante la fase di raffreddamento.

    La valutazione dell’impatto ambientale effettuata prima della costruzione del progetto, consultata da IrpiMedia, prevede un consumo idrico annuale di sei milioni di metri cubi provenenti dalla diga di El Mansour Eddahbi, situata a pochi chilometri a est di Ouarzazate, che attualmente dispone solo del 12% della sua capacità totale. «Tuttavia, è impossibile ottenere statistiche ufficiali sul consumo effettivo, che sembra molto maggiore», osserva la ricercatrice Karen Rignall, antropologa dell’Università del Kentucky e specialista della transizione energetica in zone rurali, che ha lavorato a lungo sulla centrale solare di Noor.

    Il Marocco attraversa una situazione di «stress idrico strutturale», conferma un rapporto della Banca Mondiale, e la regione di Ouarzazate è proprio una delle più secche del Paese. Nella valle del Dadès, accanto alla centrale Noor, dove scorre uno degli affluenti della diga, gli agricoltori non hanno dubbi e chiedono un’altra transizione rinnovabile, che apporti riscontri positivi anche alle comunità della zona: «La nostra valle è sull’orlo del collasso, non possiamo stoccare l’acqua perché questa viene deviata verso la diga per le esigenze della centrale solare. Per noi Noor è tutt’altro che sostenibile», afferma Yousef il proprietario di una cooperativa agricola, mentre cammina tra le palme secche di un’oasi ormai inesistente, nella cittadina di Suq el-Khamis.

    In questa valle, conosciuta per le coltivazioni di una varietà locale di rosa, molti villaggi portano il nome del oued – il fiume, in arabo – che un tempo li attraversava. Oggi i ponti attraversano pietraie asciutte, e dell’acqua non c’è più traccia. I roseti sono secchi. A metà ottobre, gli abitanti della zona di Zagora, nella parallela ed egualmente secca valle di Draa, sono scesi in piazza per protestare contro quello che considerano water grabbing di Stato, chiedendo alle autorità una migliore gestione della risorsa. «In tanti stanno abbandonando queste aree interne, non riescono più a coltivare», spiega il contadino.

    Nel silenzio dei media locali, le manifestazioni e i sit-in nel Sud-Est del Marocco non fanno che moltiplicarsi. I movimenti locali puntano il dito contro la centrale solare e le vicine miniere di cobalto e argento, che risucchiano acqua per estrare i metalli rari. «In entrambi i casi si tratta di estrattivismo. Sono progetti che ci sono stati imposti dall’alto», spiega in un caffè di Ouarzazate l’attivista Jamal Saddoq, dell’associazione Attac Marocco, una delle poche ad occupasi di politiche estrattiviste e autoritarismo nel Paese. «È paradossale che un progetto che è stato proposto agli abitanti come soluzione alla crisi climatica in parte finisca per esserne responsabile a causa di tecnologie obsolete e dimensioni eccessive», riassume la ricercatrice Karen Rignall.

    È una centrale molto simile, ma di dimensioni nove volte maggiori, quella che TuNur intende installare nel deserto tunisino, dove l’agricoltura subisce già le conseguenze della siccità, di un’eccessiva salinizzazione dell’acqua a causa di infiltrazioni nella falda acquifera e di una malagestione delle risorse idriche. Secondo i dati dell’associazione Nakhla, che rappresenta gli agricoltori delle oasi nella regione di Kebili (dove si trova Rjim Maatoug), incontrata da IrpiMedia, viene pompato il 209% in più delle risorse idriche disponibili annualmente.

    La monetizzazione del deserto

    Eppure, ancora prima della pubblicazione della gara d’appalto del Ministero dell’energia per una concessione per l’esportazione, prerequisito per qualsiasi progetto di energia rinnovabile in Tunisia, e ancor prima di qualsiasi studio di impatto sulle risorse idriche, nel 2018 TuNur ha «ottenuto un accordo di pre-locazione per un terreno di 45.000 ettari tra le città di Rjim Maatoug e El Faouar», riferisce Ali Kanzari, senior advisor del progetto, documenti alla mano.

    Per il ricercatore in politiche agricole originario del Sud tunisino Aymen Amayed, l’idea dell’”inutilità” di queste aree è frutto di decenni di politiche fondarie portate avanti dall’epoca della colonizzazione francese. Le terre demaniali del Sud tunisino sono di proprietà dello Stato. Come in Marocco e in altri Paesi nord africani, le comunità locali ne rivendicano il possesso, ma queste vengono cedute alle compagnie private. «Queste terre sono la risorsa di sostentamento delle comunità di queste regioni, – spiega Aymen Amayed – Lo Stato ne ha fatto delle aree abbandonate, riservate a progetti futuri, economicamente più redditizi e ad alta intensità di capitale, creando un deserto sociale».

    TuNur promette di creare più di 20.000 posti di lavoro diretti e indiretti in una regione in cui il numero di aspiranti migranti verso l’Europa è in continua crescita. Ma nel caso di questi mega-progetti, «la maggior parte di questi posti di lavoro sono necessari solo per la fase di costruzione e di avvio dei progetti», sottolinea un recente rapporto dell’Osservatorio tunisino dell’economia. A confermarlo, è la voce degli abitanti della zona di Ouarzazate, in Marocco, che raccontano di essersi aspettati, senza successo, «una maggiore redistribuzione degli introiti, un posto di lavoro o almeno una riduzione delle bollette».

    La caratteristica di questi mega progetti è proprio la necessità di mobilitare fin dall’inizio una grande quantità di capitale. Tuttavia, «la maggior parte degli attori pubblici nei Paesi a Sud del Mediterraneo, fortemente indebitati e dipendenti dai finanziamenti delle istituzioni internazionali, non possono permettersi investimenti così cospicui, così se ne fanno carico gli attori privati. In questo modo i profitti restano al privato, mentre i costi sono pubblici», spiega il ricercatore Benjamin Schütze, ricercatore in relazioni internazionali presso l’Università di Friburgo (Germania) che lavora sul rapporto tra autoritarismo ed estrattivismo green.

    Questa dinamica è illustrata proprio dalla mega centrale solare marocchina Noor. Fin dalla sua costruzione, l’impianto marocchino è risultato economicamente insostenibile: l’Agenzia marocchina per l’energia sostenibile (MASEN) ha garantito alla società privata saudita che lo gestisce un prezzo di vendita più elevato del costo medio di produzione dell’energia nel Paese. Un divario che costa allo Stato marocchino 800 milioni di dirham all’anno (circa 75 milioni di euro), anche a causa della scelta di una tecnologia costosa e obsoleta come il CSP, ormai sostituito dal fotovoltaico. A sostenerlo è il rapporto sulla transizione energetica del Consiglio economico, sociale e ambientale (CESE), un’istituzione consultiva indipendente marocchina. Le critiche emesse dal CESE sul piano solare marocchino sono costate il posto al direttore e a diversi esponenti dell’agenzia MASEN, anche se vicini al re.

    Per questi motivi, sostiene il ricercatore tedesco, i mega-progetti che richiedono una maggiore centralizzazione della produzione sono più facilmente realizzabili in contesti autoritari. In Tunisia, se per un certo periodo proprio il difficile accesso a terreni contesi ha rappresentato un ostacolo, la legislazione è cambiata di recente: il decreto legge n. 2022-65 del 19 ottobre 2022, emesso in un Paese che dal 25 luglio 2021 è senza parlamento, legalizza l’esproprio di qualsiasi terreno nel Paese per la realizzazione di un progetto di “pubblica utilità”. Una porta aperta per le compagnie straniere, non solo nell’ambito energetico.

    Lobbying sulle due rive

    Ma perché la porta si spalanchi, ai privati serve soprattutto una legislazione adatta. Anche se per ora la mega centrale TuNur esiste solo su carta, la società sembra esser stata riattivata nel 2017, pur rimanendo in attesa di una concessione per l’esportazione da parte del Ministero dell’energia tunisino.

    Se c’è però un settore nel quale la compagnia sembra essere andata a passo spedito negli ultimi anni, questo è proprio quello del lobbying. A Tunisi come a Bruxelles. Dal 2020, l’azienda viene inserita nel Registro della trasparenza della Commissione europea, che elenca le compagnie che tentano di influenzare i processi decisionali dell’Ue. Secondo il registro, TuNur è interessata alla legislazione sulle politiche energetiche e di vicinato nel Mediterraneo, al Green Deal europeo e alla Rete europea dei gestori dei sistemi di trasmissione di energia elettrica, un’associazione che rappresenta circa quaranta gestori di diversi Paesi. La sede italiana della compagnia TuNur è stata recentemente inclusa nel piano decennale di sviluppo della rete elettrica Ue dalla Rete europea.

    «Abbiamo bisogno che lo Stato ci dia man forte così da poter sviluppare una roadmap insieme ai Paesi europei, in modo che l’energia pulita tunisina possa risultare competitiva sul mercato», spiega il consulente Ali Kanzari consultando un dossier di centinaia di pagine. E conferma: TuNur ha già preso contatti con due società di distribuzione elettrica, in Italia e in Francia. Anche in Tunisia le operazioni di lobbying della società, e più in generale dei gruppi privati presenti nel Paese, sono cosa nota. «Questo progetto ha costituito una potente lobby con l’obiettivo di ottenere l’inclusione di disposizioni sull’esportazione nella legislazione sulle energie rinnovabili», conferma un rapporto sull’energia dell’Observatoire Tunisien de l’Economie, che analizza le ultime riforme legislatve e i casi di Desertec e TuNur.

    Approvata nel 2015, la legge n. 2015-12 sulle energie rinnovabili ha effettivamente aperto la strada ai progetti di esportazione di energia verde. A tal fine, ha quindi autorizzato la liberalizzazione del mercato dell’elettricità in Tunisia, fino ad allora monopolio della Socetà tunisina dell’Elettricità e del Gas (STEG), di proprietà statale, fortemente indebitata. La legge favorisce il ricorso a partenariati pubblico-privato, i cosidetti PPP.

    «Alcune raccomandazioni dell’Agenzia tedesca per la cooperazione internazionale allo sviluppo (GIZ) e dell’Iniziativa industriale Desertec (Dii) hanno anticipato alcune delle misure contenute nella legge del 2015», sottolinea ancora il rapporto dell’Osservatorio economico tunisino. Emendata nel 2019, la legge sulle rinnovabili è stata fortemente contestata da un gruppo di sindacalisti della società pubblica STEG, che chiedono che il prezzo dell’elettricità rimanga garantito dallo Stato.

    Dopo aver chiesto formalmente che la non-privatizzazione del settore nel 2018, due anni più tardi, in piena pandemia, i sindacalisti della STEG hanno bloccato la connessione alla rete della prima centrale costruita nel Paese, a Tataouine, che avrebbe quindi aperto il mercato ai privati. Cofinanziata dall’Agenzia francese per lo sviluppo (AFD), la centrale fotovoltaica da 10 MW appartiene alla società SEREE, una joint venture tra la compagnia petrolifera italiana Eni e la compagnia petrolifera tunisina ETAP.

    «Chiediamo allo Stato di fare un passo indietro su questa legge, che è stata ratificata sotto la pressione delle multinazionali. Non siamo contrari alle energie rinnovabili, ma chiediamo che rimangano a disposizione dei tunisini e che l’elettricità resti un bene pubblico», spiega in forma anonima per timore di ritorsioni uno dei sindacalisti che hanno partecipato al blocco, incontrato da IrpiMedia. Tre anni dopo la fine dei lavori e un lungo braccio di ferro tra governo e sindacato, la centrale solare di Tataouine è infine stata collegata alla rete elettrica all’inizio di novembre 2022.

    «Sbloccare urgentemente il problema della connessione delle centrali elettriche rinnovabili» è del resto una delle prime raccomandazioni citate in un rapporto interno, consultato da IrpiMedia, che la Banca Mondiale ha inviato al Ministero dell’economia tunisino alla fine del 2021. Anche l’FMI, con il quale la Tunisia ha concluso ad ottobre un accordo tecnico, incoraggia esplicitamente gli investimenti privati nelle energie rinnovabili attraverso il programma di riforme economiche presentato alle autorità, chiedendo tra l’altro la fine delle sovvenzioni statali all’energia. «Con la crisi del gas russo in Europa, la pressione nei nostri confronti è definitivamente aumentata», conclude il sindacalista.

    Nonostante un impianto legale che si è adattato ai progetti privati, i lavori di costruzione di buona parte delle centrali solari approvate in Tunisia, tutti progetti vinti da società straniere, sono rimasti bloccati. Il motivo: «La lentezza delle procedure amministrative. Nel frattempo, durante l’ultimo anno il costo delle materie prime è aumentato notevolmente sul mercato internazionale», spiega Omar Bey, responsabile delle relazioni istituzionali della società francese Qair Energy. «Il budget con il quale sono stati approvati i progetti qualche anno fa, oggi manderebbe le compagnie in perdita».

    Solo le multinazionali del fossile quindi sembano potersi permettere gli attuali prezzi dei pannelli solari da importare. «Non è un caso che l’unica centrale costruita in tempi rapidi e pronta ad entrare in funzione appartiene alla multinazionale del petrolio Eni», confida una fonte interna alla compagnia petrolifera tunisina ETAP. Le stesse multinazionali erano presenti al Salone internazionale della transizione energetica, organizzato nell’ottobre 2022 dalla Camera sindacale tunisina del fotovoltaico (CSPT), di cui TuNur è membro, riunite sotto la bandiera di Solar Power Europe, un’organizzazione con sede a Bruxelles. Sono più di 250 le aziende che ne fanno parte, tra queste TotalEnergies, Engie ed EDF, le italiane ENI, PlEnitude ed Enel, ma anche Amazon, Google, Huawei e diverse società di consulenza internazionali. Società con obiettivi diversi, spesso concorrenti, si riuniscono così di fronte all’esigenza comune di influenzare le autorità locali per rimodellare la legge a proprio piacimento.

    L’associazione di lobbying, infatti, si è presentata con l’obiettivo esplicito qui di «individuare nuove opportunità di business» e «ridurre gli ostacoli legislativi, amministrativi e finanziari allo sviluppo del settore». Per il consulente di TuNur Ali Kanzari, «la legge del 2015 non è sufficientemente favorevole alle esportazioni e va migliorata».

    Se gli studi tecnici e d’impatto per collegare le due rive si moltiplicano, sono sempre di più le voci che si levano a Sud del Mediterraneo per reclamare una transizione energetica urgente e rapida sì, ma innanzitutto equa, cioè non a discapito degli imperativi ambientali e sociali delle comunità locali a Sud del Mediterraneo «finendo per riprodurre meccanismi estrattivi e di dipendenza simili a quelli dell’industria fossile», conclude il ricercatore Benjamin Schütze. Molti sindacati e associazioni locali in Tunisia, in Marocco e nel resto della regione propongono un modello decentralizzato di produzione di energia verde, garanzia di un processo di democratizzazione energetica. Proprio il Partenariato per una Transizione energetica equa (Just Energy Transition Partnership) è al centro del dibattito di una COP27 a Sud del Mediterraneo.

    https://irpimedia.irpi.eu/greenwashing-tunur-energia-verde-da-nord-africa-a-europa
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  • Territoires palestiniens : Naplouse, un deuxième Gaza ?
    RFI – Publié le : 26/10/2022 – Avec notre envoyé spécial à Naplouse, Sami Boukhelifa
    https://www.rfi.fr/fr/moyen-orient/20221026-territoires-palestiniens-naplouse-un-deuxi%C3%A8me-gaza

    (...) Depuis deux semaines, le siège israélien prive la ville de ses visiteurs. D’habitude, les 30 chambres de l’hôtel accueillent surtout des étrangers, membres d’ONG, ou bien des Arabes israéliens. Salem Hantoli dénonce une punition collective. « Comment peut-on accepter que 250 000 personnes soient assiégées ? Et pour quelle raison ? Parce que vous pourchassez quinze combattants palestiniens, qui luttent pour la liberté, et qui se trouvent quelque part dans la vieille ville ? Et donc pour cette raison, vous enfermez toute une population, et vous tuez l’économie ? Et personne ne dit rien ! Ni les pays arabes, ni les États-Unis, et encore moins les Nations unies ! Comme si rien ne se passait. C’est le 15ᵉ jour de siège. Bienvenue en Palestine… Désormais, Naplouse, c’est Gaza. Une deuxième Gaza », estime-t-il.
    (...)
    Selon Nacer Abu Jeish, le siège, les opérations de l’armée israélienne, tout cela fait partie de la stratégie des responsables israéliens. En période électorale, comme en ce moment, ils intensifient la répression. Leur but, explique-t-il, est de séduire un pays de plus en plus raciste, et bien ancré à droite. « L’histoire se répète à chaque scrutin. Les bulletins de vote israéliens sont imprégnés de sang palestinien. Notre peuple paye le prix de leur propagande électorale. Et il le paye de sa vie. Ils souhaitent nous détruire. Ils nous oppriment, ils s’accaparent nos terres. »

    C’est pourquoi, malgré toutes les difficultés endurées par les habitants de Naplouse depuis le début du siège, la population soutient la brigade Areen Al Oussoud. Et voit en son combat contre les forces israéliennes, une nécessité.

    #Naplouse #Areen_Al_Oussoud #Lion's_Den #Fosse_aux_lions

  • « Bref, Lionel Corre est un pur macronien.
    Dans une démocratie, il devrait être interdit de faire la navette entre le public et le privé pour faire du pognon dans le privé en utilisant son carnet d’adresse acquis dans le public, pas ici.
    Ce pays est malade… »
    #McKinsey #BCG #Macronie

    Quand le Trésor public félicite un haut-fonctionnaire pour un pantouflage
    https://www.marianne.net/economie/finance/quand-le-tresor-public-felicite-un-haut-fonctionnaire-pour-un-pantouflage

    Sur le réseau LinkedIn, Le haut-fonctionnaire Lionel Corre a été félicité par le Trésor public pour son passage du service d’État au groupe privé de conseil Boston consulting. La preuve que le pantouflage est bien ancré dans les mœurs.

    On trouve de tout sur le réseau social professionnel LinkedIn… et même un service d’État qui félicite l’un de ses agents pour un pantouflage ! Ainsi, l’ancien sous-directeur des assurances à la direction générale du Trésor (DGT) Lionel Corre a reçu les louanges de son ex-employeur pour avoir rejoint le cabinet de conseil Boston consulting group, un prestigieux cabinet de conseil en stratégie. Sur le visuel partagé par la DGT sur le réseau social LinkedIn, sa nomination au poste de « Partner Finance » prend des airs de promotion.

    • « Un pantouflage salué en fanfare », une « république bananière » ou encore « une collusion publique privé renforcée » : les critiques pleuvent en commentaire de la publication pour dénoncer cette communication hasardeuse. Que l’on annonce le départ d’un haut fonctionnaire public vers le privé est tout à fait normal et même recommandable, mais de là à s’en vanter… Les allées et venues de ces fonctionnaires, passant du service de l’État aux sirènes du bizness et du privé, sont tellement rentrées dans les mœurs que les intéressés ne semblent plus voir le problème.
      Un « cursus honorum »

      « Partir à Boston consulting group, pour #Lionel-Corre, c’est vraiment un accomplissement, le signe de sa valeur », ironise auprès de Marianne Michel Crinetz, ancien superviseur financier. Le départ du haut fonctionnaire n’a rien d’étonnant selon lui. « Ses orientations de droite libérales étaient connues de tous dès le départ précise-t-il. Ça a joué dans sa nomination au Trésor et dans les réformes qu’il a impulsées. » Les allées et venues entre public et privé sont devenues monnaie courante aujourd’hui, d’après Michel Crinetz. « Il ne se passe pas un mois sans mouvement de porte tournante, au niveau français et européen. Ça fait partie du cursus honorum et ce genre de carrière est d’autant plus valorisée qu’elle additionne les postes sur le CV. »

      Cette pratique n’est pas nouvelle pour autant. On peut dater le début progressif des pantouflages aux années 80, et plus précisément au tournant de la rigueur sous François Mitterand et Pierre Mauroy en 1983. « La tendance s’est confirmée dans les mandats de droite comme de gauche qui ont succédé et s’est particulièrement accentuée sous Macron, analyse l’ancien superviseur financier. Auparavant c’était plus discret car ces fonctionnaires pouvaient travailler dans des sociétés nationalisées. »

      La place prépondérante des cabinets

      Mais ce n’est pas parce que Lionel Corre part dans le privé qu’il ne pourra pas faire facturer ses services par l’État. Les cabinets comme #BostonConsultingGroup où il a été nommé, ou le cabinet #McKinsey, sont de plus en plus sollicités par l’État pour produire des notes de conseil. Entre mars 2020 et janvier 2021, le ministère de la Santé a ainsi dépensé 11,35 millions d’euros auprès de sept cabinets différents pour être épaulé sur la gestion de la crise sanitaire. Matignon a même annoncé au début de l’année dernière 65 millions de dépenses annuelles en « conseil en stratégie et organisation » entre 2018 et 2020, tous ministères confondus.

      Avant de quitter le Trésor pour travailler dans le privé, Lionel Corre doit toutefois soumettre un dossier de déontologie qui doit permettre de savoir si son départ est autorisé. Les contrats peuvent spécifier qu’il ne puisse pas entretenir de relation avec d’anciens collègues, détaille Michel Crinetz. « C’est déjà arrivé qu’un départ soit interdit. » Mais l’ancien superviseur financier craint que des délais de confidentialité trop courts ne soient fixés. « Et puis, ces clauses ne sont pas toujours respectées … »

  • Australia signs deal with Nauru to keep asylum seeker detention centre open indefinitely

    Australia will continue its policy of offshore processing of asylum seekers indefinitely, with the home affairs minister signing a new agreement with Nauru to maintain “an enduring form” of offshore processing on the island state.Since 2012 – in the second iteration of the policy – all asylum seekers who arrive in Australia by boat seeking protection have faced mandatory indefinite detention and processing offshore.

    There are currently about 108 people held by Australia on Nauru as part of its offshore processing regime. Most have been there more than eight years. About 125 people are still held in Papua New Guinea. No one has been sent offshore since 2014.

    However, Nauru is Australia’s only remaining offshore detention centre.PNG’s Manus Island centre was forced to shut down after it was found to be unconstitutional by the PNG supreme court in 2016. Australia was forced to compensate those who had been illegally detained there, and they were forcibly moved out, mostly to Port Moresby.

    But the Nauru detention facility will remain indefinitely.

    In a statement on Friday, home affairs minister #Karen_Andrews said a new #memorandum_of_understanding with Nauru was a “significant step forwards” for both countries.

    “Australia’s strong and successful border protection policies under #Operation_Sovereign_Borders remain and there is zero chance of settlement in Australia for anyone who arrives illegally by boat,” she said.“Anyone who attempts an illegal maritime journey to Australia will be turned back, or taken to Nauru for processing. They will never settle in Australia.”Nauru president, #Lionel_Aingimea, said the new agreement created an “enduring form” of offshore processing.

    “This takes the regional processing to a new milestone.

    “It is enduring in nature, as such the mechanisms are ready to deal with illegal migrants immediately upon their arrival in Nauru from Australia.”Australia’s offshore processing policy and practices have been consistently criticised by the United Nations, human rights groups, and by refugees themselves.

    The UN has said Australia’s system violates the convention against tortureand the international criminal court’s prosecutor said indefinite detention offshore was “cruel, inhuman or degrading treatment” and unlawful under international law.

    At least 12 people have died in the camps, including being murdered by guards, through medical neglect and by suicide. Psychiatrists sent to work in the camps have described the conditions as “inherently toxic” and akin to “torture”.In 2016, the Nauru files, published by the Guardian, exposed the Nauru detention centre’s own internal reports of systemic violence, rape, sexual abuse, self-harm and child abuse in offshore detention.

    The decision to extend offshore processing indefinitely has been met with opprobrium from those who were detained there, and refugee advocates who say it is deliberately damaging to those held.

    Myo Win, a human rights activist and Rohingyan refugee from Myanmar, who was formerly detained on Nauru and released in March 2021, said those who remain held within Australia’s regime on Nauru “are just so tired, separated from family, having politics played with their lives, it just makes me so upset”.

    “I am out now and I still cannot live my life on a bridging visa and in lockdown, but it is 10 times better than Nauru. They should not be extending anything, they should be stopping offshore processing now. I am really worried about everyone on Nauru right now, they need to be released.

    ”Jana Favero from the Asylum Seeker Resource Centre said the new memorandum of understanding only extended a “failed system”.“An ‘enduring regional processing capability’ in Nauru means: enduring suffering, enduring family separation, enduring uncertainty, enduring harm and Australia’s enduring shame.

    “The #Morrison government must give the men, women and children impacted by the brutality of #offshore processing a safe and permanent home. Prolonging the failure of #offshore_processing on Nauru and #PNG is not only wrong and inhumane but dangerous.”

    https://www.theguardian.com/australia-news/2021/sep/24/australia-signs-deal-with-nauru-to-keep-asylum-seeker-detention-centre-

    #Australie #Pacific_solution #asile #migrations #réfugiés #Nauru #externalisation #île #détention #emprisonnement

    • Multibillion-dollar strategy with no end in sight: Australia’s ‘enduring’ offshore processing deal with Nauru

      Late last month, Home Affairs Minister #Karen_Andrews and the president of Nauru, #Lionel_Aingimea, quietly announced they had signed a new agreement to establish an “enduring form” of offshore processing for asylum seekers taken to the Pacific island.

      The text of the new agreement has not been made public. This is unsurprising.

      All the publicly available information indicates Australia’s offshore processing strategy is an ongoing human rights — not to mention financial — disaster.

      The deliberate opaqueness is intended to make it difficult to hold the government to account for these human and other costs. This is, of course, all the more reason to subject the new deal with Nauru to intense scrutiny.
      Policies 20 years in the making

      In order to fully understand the new deal — and the ramifications of it — it is necessary to briefly recount 20 years of history.

      In late August 2001, the Howard government impulsively refused to allow asylum seekers rescued at sea by the Tampa freighter to disembark on Australian soil. This began policy-making on the run and led to the Pacific Solution Mark I.

      The governments of Nauru and Papua New Guinea were persuaded to enter into agreements allowing people attempting to reach Australia by boat to be detained in facilities on their territory while their protection claims were considered by Australian officials.

      By the 2007 election, boat arrivals to Australia had dwindled substantially.

      In February 2008, the newly elected Labor government closed down the facilities in Nauru and PNG. Within a year, boat arrivals had increased dramatically, causing the government to rethink its policy.

      After a couple of false starts, it signed new deals with Nauru and PNG in late 2012. An expert panel had described the new arrangements as a “necessary circuit breaker to the current surge in irregular migration to Australia”.

      This was the Pacific Solution Mark II. In contrast to the first iteration, it provided for boat arrivals taken to Nauru and PNG to have protection claims considered under the laws and procedures of the host country.

      Moreover, the processing facilities were supposedly run by the host countries, though in reality, the Australian government outsourced this to private companies.

      Despite the new arrangements, the boat arrivals continued. And on July 19, 2013, the Rudd government took a hardline stance, announcing any boat arrivals after that date would have “have no chance of being settled in Australia as refugees”.
      New draconian changes to the system

      The 1,056 individuals who had been transferred to Nauru or PNG before July 19, 2013 were brought to Australia to be processed.

      PNG agreed that asylum seekers arriving after this date could resettle there, if they were recognised as refugees.

      Nauru made a more equivocal commitment and has thus far only granted 20-year visas to those it recognises as refugees.

      The Coalition then won the September 2013 federal election and implemented the military-led Operation Sovereign Borders policy. This involves turning back boat arrivals to transit countries (like Indonesia), or to their countries of origin.

      The cumulative count of interceptions since then stands at 38 boats carrying 873 people. The most recent interception was in January 2020.

      It should be noted these figures do not include the large number of interceptions undertaken at Australia’s request by transit countries and countries of origin.

      What this means is the mere existence of the offshore processing system — even in the more draconian form in place after July 2013 — has not deterred people from attempting to reach Australia by boat.

      Rather, the attempts have continued, but the interception activities of Australia and other countries have prevented them from succeeding.

      No new asylum seekers in Nauru or PNG since 2014

      Australia acknowledges it has obligations under the UN Convention Relating to the Status of Refugees — and other human rights treaties — to refrain from returning people to places where they face the risk of serious harm.

      As a result, those intercepted at sea are given on-water screening interviews for the purpose of identifying those with prima facie protection claims.

      Those individuals are supposed to be taken to Nauru or PNG instead of being turned back or handed back. Concerningly, of the 873 people intercepted since 2013, only two have passed these screenings: both in 2014.

      This means no asylum seekers have been taken to either Nauru or PNG since 2014. Since then, Australia has spent years trying to find resettlement options in third countries for recognised refugees in Nauru and PNG, such as in Cambodia and the US.

      As of April 30, 131 asylum seekers were still in PNG and 109 were in Nauru.

      A boon to the Nauruan government

      Australia has spent billions on Pacific Solution Mark II with no end in sight.

      As well as underwriting all the infrastructure and operational costs of the processing facilities, Australia made it worthwhile for Nauru and PNG to participate in the arrangements.

      For one thing, it promised to ensure spillover benefits for the local economies by, for example, requiring contractors to hire local staff. In fact, in 2019–20, the processing facility in Nauru employed 15% of the country’s entire workforce.

      And from the beginning, Nauru has required every transferee to hold a regional processing centre visa. This is a temporary visa which must be renewed every three months by the Australian government.

      The visa fee each time is A$3,000, so that’s A$12,000 per transferee per year that Australia is required to pay the Nauruan government.

      Where a transferee is found to be a person in need of protection, that visa converts automatically into a temporary settlement visa, which must be renewed every six months. The temporary settlement visa fee is A$3,000 per month — again paid by the Australian government.

      In 2019-20, direct and indirect revenue from the processing facility made up 58% of total Nauruan government revenue. It is no wonder Nauru is on board with making an “enduring form” of offshore processing available to Australia.

      ‘Not to use it, but to be willing to use it’

      In 2016, the PNG Supreme Court ruled the detention of asylum seekers in the offshore processing facility was unconstitutional. Australia and PNG then agreed to close the PNG facility in late 2017 and residents were moved to alternative accommodation. Australia is underwriting the costs.

      Australia decided, however, to maintain a processing facility in Nauru. Senator Jim Molan asked Home Affairs Secretary Michael Pezzullo about this in Senate Estimates in February 2018, saying:

      So it’s more appropriate to say that we are not maintaining Nauru as an offshore processing centre; we are maintaining a relationship with the Nauru government.

      Pezzullo responded,

      the whole purpose is, as you would well recall, in fact not to have to use those facilities. But, as in all deterrents, you need to have an asset that is credible so that you are deterring future eventualities. So the whole point of it is actually not to use it but to be willing to use it.

      This is how we ended up where we are now, with a new deal with the Nauru government for an “enduring” — that is indefinitely maintained — offshore processing capability, at great cost to the Australian people.

      Little has been made public about this new arrangement. We do know in December 2020, the incoming minister for immigration, Alex Hawke, was told the government was undertaking “a major procurement” for “enduring capability services”.

      We also know a budget of A$731.2 million has been appropriated for regional processing in 2021-22.

      Of this, $187 million is for service provider fees and host government costs in PNG. Almost all of the remainder goes to Nauru, to ensure that, beyond hosting its current population of 109 transferees, it “stands ready to receive new arrivals”.

      https://theconversation.com/multibillion-dollar-strategy-with-no-end-in-sight-australias-enduri
      #new_deal

  • Lionel Messi en partie payé en « fan token », nouvel instrument économique du sport professionnel
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2021/08/13/le-fan-token-nouvel-instrument-economique-du-sport-professionnel_6091348_323

    Doté d’un salaire de quelque 41 millions d’euros par an hors prime, selon Le Parisien, le footballeur argentin Lionel Messi a déjà écrit l’histoire. Sa rémunération inclut en effet une part de « fan tokens », selon Reuters, confirmé depuis par un communiqué du Paris-Saint-Germain. Le montant de ces jetons n’a en revanche pas été précisé.

    Jetons numériques destinés à fidéliser l’audience des clubs de sport professionnels, les fan tokens s’appuient sur une technologie similaire à celle du bitcoin, la blockchain, un registre de transactions public et numérique, à la différence notable que celle du PSG fan token est bien plus centralisée. Les jetons sont ainsi émis sur la blockchain de la compagnie Chiliz, propriétaire de Socios.com, la plate-forme partenaire du PSG. Le club parisien fut d’ailleurs le premier à s’associer il y a trois ans à cette start-up détenue par Mediarex, une société du Lyonnais Alexandre Dreyfus, dont le siège est situé à Malte.

    Il y a bien eu un effet Messi puisque en juillet, la valeur du jeton fluctuait autour des 10 euros, une variation habituelle car tous les événements liés au club sont prétexte à spéculer : le prix record de 47,70 euros fut en effet atteint le 27 avril, à la veille de la première manche de demi-finale de Ligue des champions contre Manchester City. « Ce sont les traders qui se sont positionnés sur le PSG Fan Token, et pas des fans lambda, poursuit Stanislas Barthelemi. Dès les rumeurs de l’arrivée de Messi à Paris, ils ont commencé à spéculer avec effet de levier sur le jeton, avec un brin de chance puisqu’ils ignoraient cette information des PSG fan tokens compris dans le bonus de signature. »
    Faible intérêt financier

    Un effet d’aubaine potentiellement dangereux pour les néophytes en quête de pactole : outre l’instabilité des cours inhérente au marché des cryptomonnaies, c’est le club qui détermine le nombre de jetons en circulation. Aujourd’hui, environ 2,9 millions de jetons sont sur le marché pour un total émis de 20 millions, soit encore 85,5 % de jetons dans les réserves du club. L’entrée de nouveaux PSG fan tokens sur le marché pourrait entraîner une dilution de leur valeur « sauf si la demande explose ». Or, en dehors de ce moment d’euphorie, l’analyste de KPMG n’a pas « le souvenir d’un engouement autour de ces jetons destinés aux fans ».

    #NFT #Evasion_fiscale #Lionel_Messi #PSG

  • Le gouvernement Legault n’est pas prêt à exempter les sans-abri du couvre-feu Thomas Gerbet - Radio Canada
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1764124/couvre-feu-itinerants-exemption-quebec-mort-refuge

    Québec refuse de faire une exception pour les itinérants, malgré les demandes de Valérie Plante et de l’opposition.

    Malgré l’indignation causée par la mort tragique d’un sans-abri caché dans une toilette chimique, le gouvernement du Québec n’est pas prêt à exempter les itinérants de l’interdiction de se trouver dehors après 20 h.

    “Il n’est pas envisagé d’offrir une exception aux personnes en situation d’itinérance”, indique le cabinet du ministre délégué à la Santé et aux Services sociaux, Lionel Carmant. “Cela amènerait une complexité quant à l’application du couvre-feu.”

    " Si on mettait dans le règlement le fait qu’un itinérant ne peut pas recevoir de contravention, n’importe qui pourrait dire qu’il est itinérant."
    François Legault, premier ministre du Québec »

    Québec rappelle qu’il existe déjà “un accompagnement vers les bonnes ressources et il y a collaboration”. Le gouvernement ajoute que “personne ne veut judiciariser les personnes en situation d’itinérance”.

    Raphaël André était originaire de la communauté de Matimekush-LacJohn, près de Schefferville.


    Photo : Courtoisie John Tessier/The Open Door

    Des groupes communautaires réclament plus que jamais l’exemption des itinérants à la suite du décès de Raphaël André, dans la nuit de samedi à dimanche https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1763930/itinerant-montreal-mort-toilettes-nuit-dehors-refuge-ferme . Selon les intervenants, des sans-abri se cachent des policiers après 20 h, de peur de recevoir une contravention.

    L’homme de 51 ans, originaire d’une communauté innue de la Côte-Nord, est mort après avoir passé plusieurs heures dehors, à quelques mètres d’un refuge qu’il avait quitté à 21 h 30 après la fermeture exceptionnelle des lieux en raison de recommandations de la santé publique.

    Le ministre Lionel Carmant a offert ses condoléances aux proches de la victime et à sa communauté. “Il s’agit d’un événement d’une grande tristesse”, indique le cabinet du ministre. “Nous laisserons le coroner faire son enquête afin de faire la lumière sur les événements.”

    Valérie Plante implore Québec de faire une exception
    “ Ça crée trop de stress présentement”, déplore la mairesse de Montréal au sujet du couvre-feu. Valérie Plante affirme même que la mesure augmente l’insécurité des itinérants.
    Même si elle « n’encourage pas les gens à aller dans la rue », la mairesse explique que les refuges « débordent » certaines nuits, malgré le « nombre record » de lits disponibles.

    « Il y a des soirs où il n’y a plus de lits."
    Valérie Plante, mairesse de Montréal »

    La Ville travaille à trouver une nouvelle ressource d’hébergement pour augmenter la capacité d’accueil de 100 lits.
    Ce n’est « pas facile pour le SPVM [Service de police de la Ville de Montréal] », raconte Valérie Plante, alors que les policiers ont déjà interpellé 400 itinérants dehors après 20 h. Ceux-ci n’ont pas été verbalisés, mais plutôt accompagnés vers des refuges.

    L’opposition unie pour demander l’exemption
    “Le couvre-feu est une mesure complètement inadaptée à la réalité des personnes en situation d’itinérance”, dénonce la députée libérale Paule Robitaille, porte-parole de l’opposition officielle en matière de pauvreté et de solidarité sociale.

    « Nous demandons au gouvernement de la CAQ de reconsidérer sa décision et d’exempter les itinérants de ce couvre-feu. C’est une question de dignité humaine. »
    Paule Robitaille, porte-parole de l’opposition libérale en matière de pauvreté et de solidarité sociale.

    “Depuis une semaine, Raphaël André se cachait des policiers durant le couvre-feu”, rappelle la co-porte-parole de Québec solidaire, Manon Massé. “Serait-il encore vivant si les pouvoirs publics connaissaient la réalité de l’itinérance ? Si les intervenants sur le terrain avaient été consultés avant le couvre-feu ? Je crois que oui.”

    Pour sa part, la députée du Parti québécois Véronique Hivon croit que “le couvre-feu dont le gouvernement refuse d’exempter les sans-abri exacerbe la pression déjà énorme qu’ils vivent depuis le début de la pandémie”.

    Elle parraine une pétition signée plus de 10 000 fois pour demander l’exemption des itinérants du couvre-feu.

    #François_Legault #SDF #sans-abri #police #SPVM #couvre-feu #inuits #Lionel_Carmant #canada #québec #quebec #peuples_autochtones #peuples_autochtones #peuples_premiers #nations_premières #premières_nations #autochtones #colonialisme

  • Et S.I.Lex devint un livre… – – S.I.Lex –
    https://scinfolex.com/2019/12/31/et-s-i-lex-devint-un-livre

    L’information a déjà un peu tourné sur les réseaux sociaux, il y a quelques jours, mais je tenais à la diffuser également sur ce blog, in extremis avant que l’année ne s’achève. En février 2018, j’avais écrit un billet pour relayer un appel à contributions lancé par les Presses de l’ENSSIB (Ecole Nationale Supérieure des Sciences de l’Information et des Bibliothèques). Le projet, initié par Muriel Amar, directrice de la collection La Numérique, consistait à réaliser un livre à l’occasion des 10 ans de ce blog, mais en faisant appel non pas à son auteur, mais à ses lecteurs. La démarche m’avait paru excellente, notamment parce qu’elle utilisait pleinement la liberté de réutilisation que j’offre en publiant les contenus de ce site sous licence libre (CC0). Un certain nombre de personnes ont manifesté leur intérêt pour cette entreprise et une équipe s’est rassemblée pour réaliser l’ouvrage, sous la direction de Mélanie Leroy-Terquem et Sarah Clément. Un an et demi plus tard, le pari a été tenu et le livre « S.I.Lex, le blog revisité. Parcours de lectures dans le carnet d’un juriste et bibliothécaire » est paru au mois de décembre dernier.

    #SILex #Lionel_Maurel #Blog #Blogosphère

  • Le #campement sauvage près de la gare de #Grenoble sur le point d’être démantelé

    #Lionel_Beffre, le préfet de l’#Isère a annoncé ce mardi 19 novembre l’#évacuation imminente du campement de migrants situé entre la gare de Grenoble et le quartier Saint-Bruno. Une annonce intervenue lors de la présentation du dispositif mis en place dans le cadre du plan d’#hébergement_d’urgence hivernal. D’après Droit au logement, l’expulsion est imminente et aura lieu dès ce jeudi matin à 7 h 30.

    Alors qu’il présentait le plan d’hébergement d’urgence hivernal 2019-2020, Lionel Beffre, le préfet de l’Isère a annoncé le prochain démantèlement du camp de migrants situé sous l’estacade entre la gare de Grenoble et le quartier Saint-Bruno.


    Ce campement, déjà plusieurs fois évacué, notamment au mois de juin, abrite sous des tentes plusieurs dizaines de personnes, dont des enfants. Leurs profils ? Des demandeurs d’asile et des migrants, arrivés pour la plupart des Balkans, n’ayant pas encore fait de demande administrative d’asile.

    En toile de fond, un nouveau duel à fleurets mouchetés entre le représentant de l’État et la #Ville_de_Grenoble. La #municipalité demandant au préfet « de respecter les compétences de l’État et de la loi pour mettre toutes les personnes à l’abri à Grenoble […] pour que personne ne reste dans le plus grand dénuement après l’évacuation […] », rapporte le Dauphiné libéré.

    « Les services de l’État seront mobilisés pour procéder à l’évacuation »

    « Nous serons amenés prochainement à prendre nos responsabilités parce que ce campement devient dangereux à bien des égards », a ainsi prévenu Lionel Beffre. « Des immondices en tous genres, des braséros de fortune dans lesquels sont brûlés du bois, des cartons... Sans oublier la production de fumées incommodantes », liste le haut fonctionnaire. De surcroît, ajoute-t-il, « il y a parmi les occupants des passeurs, voire des dealers. Mais aussi et surtout la présence d’enfants dans une situation préoccupante ».

    Devant l’état sanitaire déplorable du campement, Corinne Torre. cheffe de mission à Médecins sans frontières (MSF) venue à Grenoble le visiter, avait rappelé à l’État ses responsabilités. Pour mémoire, Eric Piolle avait signé, en avril dernier avec treize autres édiles, une lettre adressée au gouvernement dénonçant les conditions d’accueil des migrants.

    « J’ai fait savoir au maire de Grenoble, puisque le pouvoir de police lui appartient, qu’il pouvait prendre un arrêté pour mettre un terme à cette situation et mettre ces personnes à l’abri », déclare Lionel Beffre. Une décision dont il pense « qu’elle ne viendra pas » et qu’en conséquence, « les services de l’État procéderont à l’évacuation ».

    Par ailleurs, le préfet assure qu’il prendra « des mesures empêchant que d’autres personnes en difficulté se réinstallent sur le site ». De quoi rappeler, dans un autre registre, les dix-neuf blocs rocheux destinés à dissuader « les passeurs et les locataires d’emplacements » installés par la mairie de Grenoble au mois de juillet dernier.

    « Nous ne reconduisons pas assez vite à la frontière les demandeurs d’asile déboutés »

    Pourquoi des demandeurs d’asile se retrouvent-ils dans ce genre ce campement ? « Parce que nous n’avons pas assez de places d’hébergement et n’arrivons pas à reconduire assez vite à la frontière les demandeurs d’asile déboutés ». Si c’était le cas, « ces derniers n’occuperaient pas des places indument, pérennisant ainsi au fil du temps leur situation », explique le préfet.

    « Aujourd’hui nous sommes dans une situation où le droit d’asile est très clairement dévoyé », lance Lionel Beffre. Qui s’en explique. « Une partie non négligeable des ces demandeurs d’asile sont originaires des Balkans. Or, dans ces pays-là, même si ça a été le cas dans le passé, il n’y a plus de dictatures, persécutions ou oppressions qui sont le fondement du droit d’asile », expose le préfet.

    Pour le haut fonctionnaire, les chances qu’ont donc leurs ressortissant d’obtenir le sésame du droit d’asile est très minime, « de l’ordre de 10 à 15 % ». Pour les autres, « notre devoir c’est de les accueillir dans des lieux spécialisés », conclut le préfet. Notamment pour les accompagner dans la constitution de leur dossier de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra).

    Si aucune date n’a été officiellement annoncée pour l’expulsion, elle aura lieu ce jeudi 21 novembre au matin selon Droit au logement. Qui déplore qu’« au moins un tiers des familles, si ce n’est plus, ne seront pas relogées, et laissées dans le froid, sans tente ni lieu ou s’installer, après un tri humain effectué par l’État. » Le Dal appelle ainsi à un rassemblement en solidarité à 7 h 30 en face du camp, côté Saint-Bruno.

    https://www.placegrenet.fr/2019/11/20/campement-gare-de-grenoble-demantele/268584
    #SDF #sans-abrisme #sans-abri #démantèlement #destruction #campement_sauvage #préfecture #migrations #asile #réfugiés #hébergement #logement #déboutés #expulsions #renvois

    ping @karine4 @albertocampiphoto

  • Privatisations : la République en marché - #DATAGUEULE 88
    https://www.youtube.com/watch?v=1hYR2o1--8s

    Tout doit disparaître... surtout les limites ! Depuis 30 ans, les privatisations, à défaut d’inverser la spirale de la dette, déséquilibrent le rapport de force entre Etat et grandes entreprises à la table des négociations. Infrastructures, télécoms, BTP, eau ... les géants des marchés voient leur empire s’élargir dans un nombre croissant de secteurs vitaux. Cédant le pas et ses actifs au nom de la performance ou de l’efficacité, sans autre preuve qu’un dogme bien appris, la collectivité publique voit se dissoudre l’intérêt général dans une somme d’intérêts privés ... dont elle s’oblige à payer les pots cassés par des contrats où elle se prive de ses prérogatives. Mais comment donc les agents de l’Etat ont-ils fini par se convaincre qu’il ne servait à rien ?

  • Lionel Astruc : « À travers sa fondation, Bill Gates contourne l’État et s’achète du pouvoir »
    https://www.franceinter.fr/emissions/l-interview/l-interview-16-mars-2019

    Le journaliste a enquêté sur la fondation du patron de Microsoft et de sa femme. La fondation Bill et Melinda Gates, dont l’intention affichée est de lutter contres les inégalités, investirait dans des activités "peu éthiques" et "nourrirait les fléaux contre lesquels elle prétend lutter". Écoutez cette interview... #ogm et produits phyto de #monsanto, investissement dans le pétrole, la malbouffe,... — Permalink

    #capitalisme

  • JE COMMENCE ICI LA SUITE DU FIL DE DISCUSSION SUR LES MIGRATIONS DANS LE BRIANÇONNAIS :
    https://seenthis.net/messages/733720
    –-> qui elle-même est la suite de celle-ci :
    https://seenthis.net/messages/688734

    Opération antimigrants : des membres de Génération identitaire en #garde_à_vue

    Plusieurs membres du groupuscule d’extrême droite Génération Identitaire ont été placés en garde à vue mardi en lien avec leurs patrouilles antimigrants dans les Alpes au printemps dernier, a-t-on appris de sources concordantes.

    « @RomainEspino, porte-parole de Génération Identitaire vient d’être placé en garde à vue pour sa participation à la mission dans les #Alpes », annonce le groupe sur son compte Twitter.

    Contacté par l’AFP, le président de ce mouvement, Clément Galant indiquait peu avant 11H00 entrer en garde à vue avec Romain Espino à Lyon.

    Le parquet de Gap a confirmé à l’AFP que plusieurs membres du groupuscule ont effectivement été placés en garde à vue en lien avec les opérations menées au col de l’Échelle près de Briançon, sans plus de détail.

    Au printemps dernier, des militants identitaires avaient multiplié les démonstration d’hostilité aux migrants, participant au contrôle de la frontière aux côtés des forces de l’ordre, sous la bannière de « Defend Europe », mouvement qui a déjà fait parler de lui en Méditerranée. Ils s’étaient notamment félicités de la remise de quatre « clandestins » à la police et de l’arrestation de sept migrants « repérés et signalés » par leurs soins.

    Aucune poursuite n’avait jusqu’à maintenant été engagée contre eux, au grand dam des militants promigrants dont sept d’entre eux ont été poursuivis et condamnés pour avoir facilité l’entrée de migrants en France au même moment.

    Une première enquête ouverte le 27 avril 2018 avait été classée sans suite faute d’infraction ou de plainte. Puis le procureur de Gap, Raphaël Balland, avait ouvert une enquête préliminaire plus globale au motif d’’immixtion dans une fonction publique (article 433-12), confiée à la gendarmerie de Briançon.

    Les membres de Génération Identitaire ont toujours assuré que leurs actions étaient protégées par l’article 73 du code pénal qui prévoit que « dans les cas de crime ou délit flagrant puni d’une peine d’emprisonnement, toute personne a qualité pour appréhender l’auteur et le conduire devant l’officier de police judiciaire le plus proche ».

    La préfecture des Hautes-Alpes dénonçait elle « une opération de communication (...) visant à faire croire qu’ils contribuent à la lutte contre l’immigration clandestine ».

    https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/01/29/operation-antimigrants-dans-les-alpes-des-membres-de-generation-identita
    #Briançon #génération_identitaire #justice #extrême_droite #Hautes-Alpes #migrations #frontières #Italie #France #réfugiés #asile #frontière_sud-alpine

    • Des clubs #FSGT dans le Briançonnais solidaires des migrant.e.s et des militant.e.s locaux

      Du 02 au 09 février 2019, des adhérent.e.s de la montagne-escalade, issu.e.s de différents clubs affiliés à la FSGT se retrouvent pour organiser un séjour sports de montagne dans le Briançonnais.

      Ce rassemblement, sportif et convivial est essentiellement basé sur des activités telles que le ski de randonnée ou de piste, les raquettes et randonnée en montagne ; en parallèle il propose aux participant.e.s qui le souhaitent un axe sur la solidarité avec les migrant.e.s et les personnes aidantes, notamment regroupées au sein de « Tous migrants ».

      Il s’inscrit également dans la convergence avec le mouvement associatif et coopératif dans la Haute Durance pour construire des partenariats et des initiatives communes, pouvant dépasser la question migratoire actuelle. Cela pourrait se construire dans le temps, comme dans le cadre du rassemblement fédéral omnisports montagne en juillet à Freissinieres, ou encore là où d’autres adhérent.e.s s’en saisiront.

      La FSGT s’est félicitée à l’unanimité de cette initiative originale qui incarne et porte les valeurs de #solidarité dans le #sport associatif défendues depuis sa création.

      Dans cette perspective, les militant.e.s porteurs de cette action peuvent se réclamer de la FSGT et disposeront du soutien, si nécessaire, en terme juridique, logistique et de communication.

      La FSGT milite pour que tous les pratiquant.e.s puissent devenir des premier.e.s de cordées, mais des premier.e.s de cordés associatifs responsables et solidaires.

      La Direction Fédéral Collégiale de la FSGT


      https://www.fsgt.org/federal/communiqu%C3%A9-de-la-fsgt-des-clubs-fsgt-dans-le-brian%C3%A7onnais-solidaires

    • Reportage | Hautes Alpes : une frontière miroir des politiques européennes

      Grâce, entre autres, aux articles de « Vivre Ensemble », j’ai suivi avec effroi ce qui se passait dans la région des Hautes Alpes entre l’Italie et la France pour les réfugiés ainsi que pour les personnes solidaires. Après avoir lu l’article « Chronique d’une mort annoncée » (VE n°168/juin 2018 : https://asile.ch/2018/08/14/temoignage-chronique-dune-mort-annoncee) qui témoigne de la mort d’une jeune femme sur cette frontière, mon sang n’a fait qu’un tour. Je décide de me rendre sur place. En tant que réalisatrice et citoyenne, il est toujours important pour moi de voir de mes propres yeux les conséquences humaines d’une machine institutionnelle, de rencontrer les personnes concernées et d’accumuler des témoignages pour un futur film qui sait… Je veux également me rendre compte du relief ; les deux cols, les villages que je ne connaissais que de nom. Je veux aussi rencontrer des réfugiés et les bénévoles des refuges solidaires en Italie (avant la traversée) et en France (après la traversée).


      https://asile.ch/2019/01/31/reportage-hautes-alpes-une-frontiere-miroir-des-politiques-europeennes-2-cols-

    • I valdesi volontari al confine Italia-Francia: «Sui migranti le violenze della gendarmerie e i muri del #Decreto_Salvini»

      A #Bardonecchia flussi diminuiti, a #Claviere stabili. «Ma ora è gente che scappa dai centri e, non potendo stare negli Sprar, prova a sconfinare»

      Rincorso dai cani sguinzagliati dalla gendarmerie, ha passato la notte, con le temperature che possono scendere fino a meno dodici gradi, nascosto nella neve. I piedi non gli verranno amputati, ma i medici dicono che per tornare a camminare ci vorrà tempo. Ha quindici anni. Cinque in meno del ventenne che ha raccontato di essere stato inseguito dalla polizia francese in motoslitta, portato in caserma e derubato del denaro. Entrambi migranti che di recente avevano provato a raggiungere la Francia dall’Italia, entrambi respinti. Storie oscurate dall’odissea dei quarantanove a bordo di Sea Watch e Sea Eye.

      «La quotidianità di quello che accade sul confine», ha scritto qualche giorno fa su Facebook, rilanciando le due testimonianze raccolte da volontari francesi di Briançon, #Davide_Rostan, pastore valdese, membro della rete di volontari che in Val di Susa offre assistenza e supporto quotidiani ai migranti che provano a passare la frontiera. Dove, oltre a «episodi di ordinaria violenza arbitraria - così li definisce - da parte della gendarmerie, che continua a respingere anche i minori, in certi casi falsificando le date di nascita», si registrano quelli che secondo il pastore valdese sono «gli effetti del decreto Salvini».

      A Bardonecchia e Clavière. Se a Bardonecchia, dopo il caso, anche diplomatico, esploso a marzo scorso in seguito all’irruzione di agenti della dogana francese in un presidio per migranti, i flussi di quanti tentavano di oltrepassare il confine sono diminuiti, a Clavière, sul limite della frontiera, la situazione è rimasta pressoché stabile. Stime ufficiali ancora non ce ne sono, «ma i numeri sono più o meno quelli di sempre, forse c’è stata una flessione anche per la diminuzione degli sbarchi, ma è minima», scandisce Rostan.

      Le differenze rispetto al passato, però, ci sono. «È cambiata la composizione: per la stragrande maggioranza, non si tratta più, come accadeva fino all’anno passato, di persone arrivate in Italia e parcheggiate negli hotspot, non seguite in un percorso concreto di accoglienza e integrazione. Ora in gran parte è gente che scappa dai centri, magari ancora prima di ricevere il responso della Commissione territoriale o perché l’ha ottenuto ed è negativo o che è già stata in un Cas, ha il permesso di soggiorno per motivi umanitari e, sulla base del dispositivo firmato da Salvini, non può rientrare negli Sprar. Probabilmente se non ci fosse stato il decreto sicurezza non sarebbero andati via tutti coloro che rischiano di ritrovarsi in mezzo alla strada».

      A Ventimiglia. Tentativi di passaggio e respingimenti - in media una cinquantina di persone al giorno vengono rimandati in Italia - da parte della polizia francese continuano anche alla frontiera di Ventimiglia, «anche se - puntualizza Chiara Romagno, referente di Oxfam Italia nella cittadina ligure - il numero dei migranti che restano qui si è molto ridotto. Ora molti arrivano da Genova o da Milano, in bus o in treno, provano a passare e se vengono respinti tornano nei luoghi da cui si sono mossi». Anche Romagno ha notato un cambio nella composizione dei gruppi di migranti intenzionati a oltrepassare il confine. «In gran parte - spiega ad HuffPost - si tratta di persone che stanno da più tempo in Italia. I flussi, comunque, un po’ si sono assottigliati, anche per effetto della riduzione degli sbarchi, conseguenza diretta degli accordi con la Libia stretti da Minniti». Il decreto Salvini non c’entra?

      «Ancora non abbiamo evidenze di correlazione tra i flussi di coloro che provano a raggiungere la Francia da Ventimiglia e gli effetti del decreto sicurezza» risponde Romagno ma racconta che, di recente, ha incontrato un ragazzo richiedente asilo che aveva trovato un datore di lavoro pronto a fargli il contratto. Gli aveva chiesto la carta d’identità, che lui, impossibilitato a iscriversi all’anagrafe sulla base di quanto prevede il decreto sicurezza, non può avere. «Dovrebbe essere sufficiente il permesso di soggiorno - fa notare la referente di Oxfam - ma né i datori di lavoro né i sistemi informatici sono ancora aggiornati sulle nuove procedure».

      Intanto, va avanti Romagno, «la polizia continua a prendere i migranti e trasferirli da Ventimiglia a Taranto. Gruppi molto esigui, dieci dodici persone, caricati su bus che costano migliaia di euro, risorse sprecate» e «anche se non si dice, proseguono gli sbarchi spontanei, come dimostra quanto accaduto a Crotone».

      «No» al decreto Salvini. Visto dalle frontiere, alla luce del decreto Salvini, il futuro non sembra incoraggiante. «Porterà più gente per strada - taglia corto Rostagno - Si pensi a tutte le famiglie che hanno protezione umanitaria e non possono più entrare negli Sprar. E, a causa della riduzione delle risorse erogate per il supporto e l’integrazione dei migranti, i centri potranno offrire meno servizi. Resteranno solo i centri grandi e, certo, con fondi esigui, non potranno essere gestiti al meglio».

      «Il rischio è che la gran parte di coloro che arriveranno in Italia in futuro - ragiona Rostan - verrà parcheggiata in centri grandi, dove seguirli in percorsi reali di integrazione sarà più difficile. Strutture che, con ogni probabilità, saranno in prevalenza al Sud, in posti più vicini ai luoghi di sbarco e dove cibo e riscaldamento costano meno che al Nord».

      Contro il decreto Salvini anche in Val di Susa è scattata la mobilitazione. Le amministrazioni di Oulx e Vaie hanno già adottato una delibera per ufficializzare la loro contrarietà al provvedimento firmato dal ministro dell’Interno, un po’ sulla falsariga di quanto ha fatto a Palermo il sindaco Leoluca Orlando, e il 26 gennaio si terrà una manifestazione che coinvolgerà la valle. «Il decreto sicurezza - ha scritto su Facebook Rostan - serve a far lavorare di più mafia e criminalità e a criminalizzare la solidarietà e chi fa l’accoglienza in modo trasparente e onesto, chi crea integrazione e chi vuole che le persone che arrivano in Italia possano stare in Italia».

      https://www.huffingtonpost.it/2019/01/11/i-valdesi-volontari-al-confine-italia-francia-sui-migranti-le-violenz

    • Migrants : le parquet ouvre une enquête préliminaire sur de possibles infractions de la #police_aux_frontières à #Menton

      Lors de son point presse mensuel, le procureur de la République #Jean-Michel_Prêtre a annoncé qu’il lançait cette procédure. Il s’agit de faire la lumière sur des #infractions qui auraient pu être commises par la police au détriment de mineurs étrangers isolés.

      Les agents de la Police aux Frontières, en poste à Menton, ont-ils commis des faux en écriture pour refouler les mineurs isolés en Italie ?
      Jean-Michel Prêtre, procureur de la République à Nice, a annoncé lors de sa rencontre mensuelle avec la presse, qu’il avait été saisi
      en novembre dernier par la Ligue des droits de l’homme, le syndicat des avocats de France (SAF) et trois élus, l’eurodéputée Michèle Rivasi (EELV), le sénateur Guillaume Gontard (DVG) et la conseillère régionale Myriam Laïdouni-Denis (EELV).

      De possibles infractions selon le procureur

      Dans un document de vingt pages, trois cas de faux en écriture de la part des policiers de manière à pouvoir refouler les mineurs vers l’Italie sont notamment répertoriés par les élus, à l’issue d’une visite d’observation à la frontière franco-italienne au printemps 2018.
      Des cas de « retenues arbitraires » de mineurs, « plusieurs heures, parfois jusqu’à dix ou onze heures » dans les locaux de la police aux frontières (PAF) de Menton, y étaient également dénoncés.

      Une #enquête_préliminaire ouverte

      « Ce n’est pas une plainte mais une transmission à titre de révélation de faits auprès du procureur. Pour certains faits, il y a des noms, des dates, des faits » avait analysé le procureur en décembre, avant de déterminer quel service d’enquête saisir. Depuis mars 2017, le préfet des Alpes-Maritimes Georges-François Leclerc et ses services ont été pris en défaut à plusieurs reprises par la justice administrative pour le renvoi expéditif en Italie de migrants au mépris du droit d’asile.
      « Nous mettons un soin particulier à respecter le droit », assurait pourtant ce dernier il y a un an, en réponse à des questions, notamment sur la possibilité que les forces de l’ordre puissent commettre des entorses à la légalité au vu du flot de procédures et du nombre d’interpellations (une centaine par jour en moyenne depuis 2016 même si les chiffres ont diminué en 2018).

      https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/alpes-maritimes/menton/migrants-parquet-ouvre-enquete-preliminaire-possibles-i
      #PAF #justice

    • Cadavere di un migrante trovato sulla strada del Monginevro: voleva andare in Francia

      Un uomo di 29 anni proveniente dal Togo sepolto dalla neve.

      ll cadavere di un migrante di 29 anni, proveniente dal Togo, è stato ritrovato questa mattina in mezzo alla strada nazionale 94 del colle del Monginevro. Da quanto si apprende da fonti italiane, sul posto è presente la polizia francese. Le abbondanti nevicate degli scorsi giorni e il freddo intenso hanno complicato ulteriormente l’attraversamento della frontiera per i migranti. Si tratta del primo cadavere trovato quest’anno sul confine italo-francese dell’alta Val Susa dopo che l’anno scorso erano stati rinvenuti tre corpi (https://torino.repubblica.it/cronaca/2018/05/25/news/bardonecchia_il_corpo_di_un_migrante_affiora_tra_neve_e_detriti_su).

      https://torino.repubblica.it/cronaca/2019/02/07/news/cadavere_di_un_migrante_trovato_sulla_strada_del_monginevro_voleva
      #décès #mort #mourir_aux_frontières

      –-> il s’agit de #Derman_Tamimou, voir ce fil de discussion:
      https://seenthis.net/messages/1030586

    • Ghiaccioli d’Europa: dove eravamo mentre i migranti alla frontiera della Francia morivano congelati

      Una storia da togliere il respiro. E in effetti di mezzo c’è il cuore e ci sono le vene ghiacciate di Derman Tamimou che, dal Togo, ha attraversato prima il Mediterraneo e poi si è inerpicato sulla strada del Monginevro per riuscire a scavallare in Francia. La polizia l’ha trovato sepolto dalla neve. Ci deve essere scritto da qualche parte che i cadaveri di questo secolo debbano rimanere nascosti, con i polmoni pieni d’acqua o pieni di ghiaccio, il più invisibili possibile per non disturbare nessuno, per non togliere l’appetito all’opinione pubblica e per non disturbare i regnanti. Eppure il cadavere surgelato di Deman se ci pensate è una statua di questo Natale, passato fingendo di non vedere le centinaia di presepi sparsi in Europa che accolgono famiglie in tettoie o ripari di fortuna e che pregano, ognuno nella propria lingua e ognuno il proprio Dio, per chiedergli come sia possibile che esista un inferno più infernale di quello da cui sono scappati.

      Fa sorridere anche che la Procura di Gap abbia aperto un fascicolo per omicidio involontario: viene da chiedersi cosa ci sia di involontario nel militarizzare la zona di Ventimiglia continuando a credere che le armi, i muri, le dogane e i confini possano fermare i disperati, quelli disperati davvero, che scappano dalla fame e dal piombo. “Nessuno può fermare un popolo che scappa dalla fame e dal piombo, voi vi state illudendo” mi disse un giorno un pescatore tunisino. Come hobby seppelliva i corpi dei migranti che gli riportava la risacca. Suona così comico chiamare involontario l’indifferenza e le rumorosa inefficienza e nullafacenza di un’Europa che si è aperta per i flussi finanziari e intanto si chiude a riccio di fronte alle persone. Il ghiacciolo di Deman è la cristallizzazione impermeabile di un’umanità che ormai non tiene nemmeno più le righe sui giornali a disposizione per raccontare i morti.

      Ho pensato che forse sarebbe da andare da quel ghiacciolo, avvicinarsi piano piano, bussargli sulla lastra di vetro che il ghiaccio ha spalmato sulla faccia e chiedergli “sei un migrante economico?”, “sei un migrante climatico?” Oppure “scappi davvero da una guerra?”, “ma siamo davvero sicuri?”, e a che punto è la tua domanda d’asilo?

      Se avvicinate l’orecchio vi parrà di non sentire niente ma basterà che si sciolga un po’ di ghiaccio, poco appena, e Deman vi dirà che è niente. È niente perché non ha niente. È talmente niente che è stato disposto a farsi diventare i polmoni duri come sassi pur di fare capire che militarizzare una via serve solo a costringere i disperati ad aprirne un’altra, che sarà molto probabilmente più fredda, più difficile, più pericolosa. È niente, uno che arriva sulla battigia oppure calpesta un confine che solo gli altri riescono a vedere, come in una Cecità di Saramago ma al contrario, e alza le braccia e dice “sono qui, sono niente, non ho niente da offrire”.

      E sicuramente arriverà il tempo in cui i nostri figli e i figli degli sopravvissuti ci chiederanno dove eravamo noi, cosa abbiamo fatto noi, mentre i migranti alla frontiera della Francia diventavano stalagmiti e noi passavamo i sabati come tutti gli altri sabati, come se Deman, fosse fuori di noi, altra cosa da noi.

      https://www.tpi.it/2019/02/09/migrante-morto-congelato-confine

    • Nevica ancora sulla rotta di montagna

      Nevica ancora, sul passo del Colle della Scala, sulla rotta da Bardonecchia a Briançon, e su quella nuova che si è aperta sulla pista da sci di Claviere. I giovani migranti affrontano il cammino in scarpe da ginnastica tentando di arrivare in Francia. Lorenzo Sassi ed Emanuele Amighetti hanno passato un po’ di tempo con loro - e con gli abitanti del posto che si adoperano per aiutarli in armonia con la legge della montagna.

      Il Colle della Scala, a 1.762 metri di altezza, è il passaggio più basso delle Alpi occidentali. Da lì passa la cosiddetta “nuova rotta dei migranti” che va da Bardonecchia a Briançon. La stampa francese e quella locale italiana avevano già cominciato a parlarne sul finire dell’estate scorsa. Con l’arrivo dell’inverno, e il conseguente aumento dei rischi, l’attenzione si è riaccesa. La tratta di cui si è parlato parte da Melzet, una frazione di Bardonecchia che ospita anche un impianto sciistico, e arriva a Nevache, primo paesino oltre il confine. Tempo di percorrenza stimato: sei ore.

      Finché è rimasto aperto il passaggio di confine a Ventimiglia, che serviva da valvola di sfogo e canale di redistribuzione dei migranti, la tratta di Bardonecchia non ha impensierito nessuno. Il problema è arrivato dopo. Una volta blindata la frontiera a Ventimiglia, i migranti hanno fatto dietrofront fino a Torino. Da lì, una volta saputo di questo passo tra le montagne che conduce in Francia con relativa facilità, sono confluiti in massa verso l’agglomerato urbano che si frappone fra il Colle della Scala, il confine e, ovviamente, la Francia. Le città coinvolte sono cinque: Bardonecchia, che è la città di riferimento per tutti i giovani migranti perché lì si trova il centro di accoglienza gestito da Rainbow4Africa; Oulx, cittadina a circa 15 minuti da Bardonecchia, usata dai migranti come appoggio per evitare i controlli della polizia nelle città cardine; Clavière, cioè l’ultima località italiana prima del confine; Nevache, primo villaggio oltre la dogana; e infine Briançon, l’Eden sognato dai migranti, ovvero la città in cui la paura svanisce. Lì si è già ben lontani dal confine, al sicuro – in teoria.
      Sul versante italiano

      Per via dell’insistente via vai di giornalisti, fotografi e videomaker che ha in parte scombussolato l’ordine urbano di Bardonecchia e dintorni, gli abitanti sono un po’ restii a parlare, almeno all’inizio. A irrigidire gli animi è anche il freddo: le temperature arrivano fino a 10 sottozero e si vive intorno ai 1700 metri di altezza, dove tira un vento che congela anche lo stomaco.

      Colle della Scala è una vecchia mulattiera, quindi un facile passo di montagna che in estate viene battuto da famiglie e amatori, non solo da montanari esperti. A complicare le cose, tuttavia, è il clima. Nei giorni che hanno preceduto il nostro arrivo, una tormenta ha scaricato dai tre ai cinque metri di neve su strade, case e, ovviamente, il sentiero del Colle. L’impresa era già difficile per un migrante che camminasse in scarpe da ginnastica su un sentiero di montagna a gennaio, ma l’arrivo della bufera ha peggiorato le cose.

      A pochi passi dall’inizio del sentiero c’è una baita che offre rifugio a sciatori stanchi, passeggiatori occasionali e abitanti del posto. Il gestore della baita mi racconta che è ormai un anno e mezzo che ogni giorno vede passare davanti alle finestre del locale dieci o venti migranti. Tra di loro anche donne e bambini – “ma finché era estate, sai, non era un problema. La strada è relativamente facile. Il problema si pone ora, con tutta questa neve. È impossibile proseguire oltre i primi 500 metri”. Mi racconta di un ragazzo che, un paio di mesi fa, con delle semplici scarpe da corsa, si è fatto il Colle in solitaria: “è arrivato in Francia, ce l’ha fatta, però una volta arrivato gli hanno amputato i piedi”. L’ispettore capo di Bardonecchia Nigro Fulvio conferma la storia. Il ragazzo oggi vive a Briançon, in una delle case messe a disposizione dall’amministrazione comunale.

      Qui è anche molto difficile tentare un soccorso. Molti migranti tentano comunque il valico senza conoscere la natura volubile della montagna e le sue asperità, e spesso senza un abbigliamento adeguato. I più fortunati arrivano in Francia, altri vengono fermati dalla “gendarmerie” francese; molti, invece, rimangono intrappolati tra i boschi e la neve dopo aver smarrito il sentiero. Per la comunità locale e per il sindaco, Francesco Avato, il timore più grande – che giorno dopo giorno diventa certezza – è che, con l’arrivo della primavera, la neve sciolta riconsegni i corpi dei dispersi.
      Il lavoro dei volontari

      A Bardonecchia vengono accolti tutti i migranti che arrivano da Torino, che provano a passare il Colle e poi vengono rispediti indietro dalla polizia francese. All’inizio incontro soltanto i volontari di Rainbow4Africa che da tempo si occupano insieme alla Croce Rossa di dare aiuto ai migranti: un pasto caldo, assistenza medica (ogni notte un dottore volontario dell’associazione resta a vegliare il dormitorio) e assistenza legale – cioè altri volontari come Maurizio Cossa dell’Associazione Asgi. Il compito di Maurizio – e degli avvocati che, come lui, offrono questo tipo di prestazioni gratuite – non è tanto quello di riuscire a sbloccare procedimenti legali, quanto piuttosto quello di chiarire ai giovani migranti la loro “situazione legale”, perché molti di loro non sanno perché non possono andare in Francia, non sanno perché vogliono andarci e, il più delle volte, non sanno che, andando in Francia di nascosto, rischiano di perdere quei pochi diritti conquistati in Italia. Diritti che, per quanto scarni, restano comunque diritti.

      Il centro di Bardonecchia funziona a pieno regime, ospitando in media una ventina di ragazzi al giorno. Per ordinanza comunale, però, apre soltanto alle 22:30 – così da accogliere i migranti per la notte e rifocillarli – per poi chiudere i battenti all’alba, subito dopo la colazione, intorno alle 7:30. Al centro troviamo Marina Morello, dottoressa in pensione e volontaria di Rainbow4Africa. Mi racconta subito che qui c’è stata una risposta corale da parte di tutta la comunità locale. Tutti vogliono dare una mano e tutti, nei modi più vari, contribuiscono a fare in modo che i migranti si sentano il più possibile a loro agio.

      Al centro i migranti ricevono cibo, acqua e, nel caso in cui comunichino di voler partire per le montagne, viene dato loro l’equipaggiamento appropriato. Tutti i vestiti, gli scarponcini, le sciarpe e i guanti arrivano al centro direttamente dalle case di volontari, per lo più del posto.

      Arriva l’ultimo treno: non scende nessuno. Per stanotte è andata bene, non c’è nessuno da convincere a non fare pazzie.
      Dov’è la Francia?

      Sul versante francese, il contraltare di Bardonecchia e Rainbow4Africa è Briançon, dove si trova il centro d’accoglienza Tous Migrants. Dopo non poca diffidenza davanti all’ennesimo “journaliste italien” che temono sia un poliziotto sotto copertura, mi fanno fare un giro all’interno. La scena è meravigliosa: circa 30 ragazzi che, insieme ai volontari della piccola cittadina francese, cucinano come se fossero in una brigata di un ristorante stellato. Al piano di sopra ci sono i letti, al piano di sotto lo stanzone coi vestiti, la sala da pranzo, una stanza per giocare a dama o Mah Jong, e un ufficio. I volontari di Tous Migrants offrono assistenza, e all’occorrenza spiegano ai ragazzi come raggiungere le città dove sanno di potersi ricongiungere con amici o parenti. Stando a quanto mi dicono i volontari, sembra che da luglio 2017 a fine gennaio 2018 siano arrivati a Briançon più di 2 mila migranti. Il sostegno del sindaco e degli abitanti nei confronti di Tous Migrants è molto forte. Ed è probabilmente per questo che, come mi dice il sindaco di Bardonecchia, “il sindaco di Briançon non è ben visto dal governo centrale”.

      La seconda sera che passo a a Bardonecchia c’è il caos. Si sono riversati alla stazione tutti i migranti che non erano arrivati nei giorni precedenti per via di un grosso blocco della polizia a Torino. Tra questi c’è un gruppetto che soprannominiamo i Big4, che non ha ben chiara in testa la situazione. Per dare un’idea del loro smarrimento, scendono dal treno, si accendono una sigaretta nella stazione e chiosano: dov’è la Francia? Non hanno idea di cosa fare, dove andare, solo un obbiettivo: la Francia. E l’obbiettivo è completamente sfasato rispetto al calcolo dei rischi, delle perdite o delle prospettive.

      Probabilmente dal Colle, qualche tempo fa, passò anche Annibale con i suoi elefanti. Il che rende più facile capire la caparbietà di alcuni dei ragazzi che si trovano al centro di accoglienza di Bardonecchia. Non è soltanto che ormai hanno visto il deserto, l’hanno attraversato e poi si sono fatti traghettare su un gommone nel Mediterraneo da un tizio senza scrupoli che ha pure chiesto loro dei soldi, e quindi pensano, cosa vuoi che sia la neve – che fra l’altro molti di loro vedono per la prima volta. È anche che, alla fine, non hanno più nulla da perdere. Uno dei ragazzi che ho conosciuto ed è riuscito ad arrivare in Francia, stava tentando quella tratta da due anni. Due anni in cui si è consumato spirito e corpo. Qui si finisce con l’impazzire, perché in Italia molti vengono rimpallati tra un ufficio e l’altro della burocrazia e la Francia, d’altra parte, sembra deriderli: per un verso vicinissima, a portata di mano, eppure così distante da sembrare irraggiungibile.
      Le ronde solidali

      Molti giovani vengono dissuasi dall’inerpicarsi sul Colle. Nel frattempo, però, è andata creandosi un’altra tratta. Parte da Claviere, e segue la pista da sci da fondo che attraversa il confine. Qui il problema non è il rischio, visto che la tratta si trova tutta in piano, ma la più alta probabilità di essere avvistati dalla “gendarmerie”.

      Molte persone del luogo, per aiutare i ragazzi, fanno ronde notte e giorno, così da recuperare chi si perde – o chi riesce a passare il confine – prima che lo faccia la polizia. Una di queste ronde si chiama “Briser les Frontières”: un gruppo di volontari italiani e francesi che, oltre a offrire pasti caldi, vestiti e rifugio, hanno creato una fitta rete cooperativa per recuperare i migranti dispersi. La bussola che orienta il loro lavoro è una legge della montagna – così simile a quella del mare – per la quale è necessario aiutare chiunque si trovi in difficoltà. Molto vicini al movimento No Tav, di recente hanno organizzato una marcia che ripercorre la tratta dei migranti, in segno di protesta e rappresentazione. Per loro non esistono confini, e infatti se la prendono con il Ministro dell’Interno Minniti per aver permesso la creazione dei durissimi campi di detenzione in Libia.

      Nel frattempo la “Paf”, la polizia di frontiera – oltre a fermare e poi rimandare indietro chiunque provi a valicare il confine senza i documenti necessari – ha seminato paura pattugliando la zona tra Bardonecchia e Oulx per fermare i migranti ancor prima che raggiungano il confine.

      Dopo vari tentennamenti, anche i Big4 provano a passare. Li incontro il giorno dopo dall’altra parte, al centro Tous Migrants. Sono al settimo cielo. Intanto il sindaco di Bardonecchia ospita una commissione dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. La domanda è cosa succederà adesso.

      https://openmigration.org/analisi/nevica-ancora-sulla-rotta-di-montagna

    • Dans les Alpes, les migrants fuient l’Italie de Salvini

      Alors que des petits groupes passent quasi quotidiennement la frontière, un Togolais de 28 ans est mort au début du mois.

      L’odeur de la pâte à pizza s’échappe par endroits d’un restaurant. Derrière les vitres des commerces de la station de sports d’hiver de Montgenèvre (Hautes-Alpes), ce mardi 19 février, les clameurs des vacanciers se devinent. Quelque part, tout près de ces lieux conviviaux, dans la montagne qui s’élève, immergée dans la nuit, un petit groupe de huit personnes est en train de passer le col, frontière physique entre l’Italie et la France.

      Par endroits, leurs corps plongent jusqu’aux hanches dans la neige. A d’autres, leurs semelles glissent sur un bout de piste damé qu’ils essayent de remonter, pour s’éloigner davantage des lumières de la ville. Sans savoir ce qu’ils trouveront au-delà de la ligne de crête que dessine la pleine lune. « On va où, là ? » , chuchote l’un. « C’est par où, là ? » , s’impatiente un autre. Ils suivent une trace. Se séparent. Se retrouvent presque par hasard un peu plus loin. Avant de s’éloigner de nouveau.

      C’est ainsi tous les jours ou presque, des migrants tentent d’atteindre la France par les cols alpins, en échappant aux contrôles policiers. Après plus de cinq heures de marche dans la vallée de la Durance, ceux-là arriveront à Briançon, 12 kilomètres après la frontière, la plus haute ville de France. Pendant plus d’une heure, ils ont dû porter l’un d’entre eux, mortifié par le froid, qui avait entrepris la marche sans bonnet, sans gants, avec de simples tennis aux pieds.

      " Courage, courage « Au Refuge solidaire de Briançon, ils trouveront un premier abri et de la chaleur, comme plus de 5 200 personnes avant eux en 2018. Ils sont guinéens, ivoiriens, maliens, sénégalais... » Dieu est grand « , s’exclame Demba, un Sénégalais de 22 ans, arrivé sain et sauf. Il avait déjà » tenté sa chance trois fois « ces derniers jours. La première fois, la gendarmerie française l’a arrêté à Briançon. La deuxième, un peu plus haut, à La Vachette. La troisième, dès Montgenèvre. Systématiquement, lui et les deux amis qui l’accompagnent ont été renvoyés en Italie.
       » La police et la gendarmerie sont très gentilles , assure Demba. Ils nous disent « courage, courage » et « la prochaine fois, vous y arriverez », mais ils nous disent aussi que les montagnes sont très dangereuses. « Chef de service des urgences à l’hôpital de Briançon, Yann Fillet n’a pas encore eu à mener d’opération de secours en montagne cet hiver pour venir en aide à des migrants, mais » on a largement plus de cas de gelures graves que l’an dernier « , constate-t-il. Collé contre un radiateur, dans une salle commune du Refuge solidaire, Mohammed présente des oedèmes à presque tous les doigts de la main. Une partie de sa peau est totalement dépigmentée. Et ses ongles tombent les uns après les autres. Il portait pourtant des gants lorsque, il y a un mois, il a entrepris de rejoindre Briançon depuis Clavière, la dernière ville italienne avant la frontière. Mais il lui a fallu marcher douze heures et planter ses poings dans la neige lorsque ses jambes enfoncées tout entières ne lui permettaient plus d’avancer.

      Le 7 février, un Togolais de 28 ans est mort d’hypothermie aux abords de la route nationale, non loin du village de La Vachette. L’an dernier, trois personnes sont décédées au cours de ces traversées. » Deux personnes ont aussi disparu « , ajoute Michel Rousseau, de Tous migrants, une association briançonnaise qui organise des maraudes et vient en aide aux migrants qui, depuis 2016, pour échapper aux nombreux refoulements au passage frontalier de loin le plus emprunté, entre Vintimille et Menton (Alpes-Maritimes), se lancent à l’assaut des Alpes.
       » Il faut l’énergie du désespoir pour y arriver « , croit Michel Rousseau. La population qui tente le passage n’est plus tout à fait la même, depuis l’entrée en vigueur du décret-loi anti-immigration Salvini, du nom du ministre de l’intérieur d’extrême droite italien. Le texte a notamment supprimé les permis de séjour humanitaires, jusque-là octroyés à 25 % des demandeurs d’asile pour deux ans. » Le climat a changé. Avant, les gens qui arrivaient avaient passé six mois tout au plus en Italie. Ceux qui viennent désormais sont ceux qui n’ont pas la possibilité d’obtenir un titre de séjour ou qui n’ont aucune chance de le renouveler « , remarque #Davide_Rostan, pasteur dans le val de Suse et militant » solidaire ". « Depuis qu’il y a Salvini, ils ont peur » , assure Silvia Massara, bénévole qui oeuvre dans un refuge mis à disposition par une congrégation religieuse à Oulx, petite commune italienne et presque frontalière.

      Demba a passé pas loin de deux ans et demi dans un centre de la petite commune de Gagliano del Capo, dans les Pouilles. Il conserve fièrement les preuves de ses efforts, deux diplômes attestant des formations qu’il a suivies en apiculture biologique et en nutrition. Mais sa demande d’asile a été rejetée et il a été mis à la porte du centre il y a deux mois. « J’ai loué une petite chambre chez un agriculteur, pour 150 euros par mois, explique-t-il. J’avais trouvé du travail dans un restaurant à Leuca, de 8 heures à 19 heures, sept jours par semaine, pour 750 euros par mois. » L’ex-périence n’est pas concluante : « Dans le sud de l’Italie, ils n’aiment pas les Noirs, c’est du racisme, assure Demba. La majorité des clients ne mangeaient pas si c’était moi qui servais. Le patron ne voulait pas que je continue. »

      " Chaque camp a sa loi « Fils unique, Demba a quitté la Casamance il y a sept ans déjà. Il est passé par la Libye, la Tunisie, l’Algérie, mais aussi le Maroc, où il a tenté » plus de dix fois « de franchir les grillages qui protègent l’enclave espagnole de Ceuta et » peut-être sept fois « de traverser le détroit de Gibraltar en canot pneumatique. Il a fini par retourner en Libye et par gagner l’Italie par la mer.
       » Quelqu’un qui a traversé le désert, la mer, la neige, il va avoir peur de quoi ? « , fait mine de demander, amer, Ousmane, un Guinéen de 28 ans rencontré au Refuge solidaire de Briançon. Lui aussi a vu sa demande d’asile refusée, après deux ans et trois mois dans un centre pour demandeurs d’asile dans les Pouilles. » J’ai pris deux ans de retard dans ma vie, dit-il. Dans mon camp,on était deux cents. Seulement un Malien a obtenu le titre de séjour de cinq ans. « 
      A ses côtés, un autre Guinéen, âgé de 21 ans, et qui s’appelle Ousmane également. Lui a passé un an et huit mois dans le centre de Mineo, perdu au milieu des champs d’orangers siciliens, tristement célèbre pour avoir été un temps le plus grand centre de migrants d’Europe lorsqu’il accueillait jusqu’à 4 000 personnes, dans des bâtiments conçus à l’origine pour héberger les soldats américains d’une base voisine. En début d’année, Matteo Salvini a annoncé sa fermeture prochaine, après des arrestations sur fond de scandales autour de trafics de drogue et de violences sexuelles organisés par une mafia nigériane à l’intérieur du camp.

      Comme d’autres passés par Mineo, Ousmane décrit un autre business, qui prospère sur le dos des migrants, avec l’assentiment des gestionnaires du lieu : » Au lieu de nous donner les 75 euros par mois d’allocation pour demandeur d’asile, on nous donne des cartes de téléphone et des cigarettes qu’on n’arrive à revendre que 3 euros le paquet. « En Italie, » chaque camp a sa loi « , résume ses compatriotes. Ousmane a quitté Mineo, où il ne faisait » rien que manger et dormir « . Il a vécu un mois dans la rue, à Turin, avant de décider de rejoindre la France. » Je voulais faire un recours contre le rejet de ma demande d’asile. Mais j’ai dû me présenter huit fois au service de l’immigration en Italie. J’ai compris qu’on ne pouvait plus m’aider. « 
      A Briançon, ils reprennent des forces, passent des appels, se renseignent. La plupart repartent au bout de quelques jours. » On réfléchit à ce qu’on va faire « , confie l’un d’eux. Camara est à Briançon depuis un mois déjà. Ce Guinéen de 22 ans a passé trois ans en Italie dans divers centres, avant d’être prié de quitter les lieux. Il s’y est repris à deux fois pour entrer en France. » La première fois, la police nous a arrêtés , dit-il. Ils ont déchiré mon extrait de naissance et le plan des montagnes. « Le lendemain, il a réussi à rallier Briançon. » Je suis là parce qu’on m’a dit que je ne pouvais pas rester en Italie et que je parle un peu français . Mais je ne connais personne ici. "


      https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/02/21/dans-les-alpes-les-migrants-fuient-l-italie-de-salvini_5426270_3224.html

    • @sinehebdo, je copie-colle ici le message que tu as signalé, pour ne pas le perdre...
      #merci

      Une politique migratoire aux allures de « chasse à l’homme » à la frontière franco-italienne

      Ce sont 144 pages qui indignent. Elles décrivent la politique migratoire mise en œuvre par la France à la frontière franco-italienne, de Menton à Chamonix : non respect des droits essentiels des personnes, violations de traités signés par la France, indifférence et mépris pour les mineurs isolés et les réfugiés qui ont besoin de soins, militarisation à outrance de la frontière, harcèlement des personnes solidaires... Telles sont les observations réalisées pendant deux ans par l’Anafé, l’association qui publie ce rapport sans concession.

      Des allures de vaste « chasse à l’homme » : c’est ce à quoi ressemble la politique sécuritaire et migratoire mise en œuvre à la frontière franco-italienne. Une « chasse à l’homme » qui cible plusieurs dizaines de milliers de personnes chaque année, dont des enfants, à qui on refuse l’entrée sur le territoire au mépris de leurs droits les plus essentiels. Depuis 2016, l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé) collecte des témoignages, mène des enquêtes de terrain, observe, constate, échange et travaille avec des associations locales, de Menton à Chamonix, en passant par la vallée de la Roya, le col de Montgenèvre ou le tunnel de Fréjus. Le résultat est édifiant : un rapport de 144 pages, intitulé Persona non grata publié ce 21 février, qui documente l’ensemble des violations de droits perpétrées par l’État français à l’encontre des personnes migrantes qui tentent de traverser la frontière [1].
      Emmenés au commissariat à 17h13, expulsés à 17h15

      Les personnes interpellées se voient le plus souvent prononcer un « refus d’entrée » : un formulaire administratif rempli à la va-vite par un CRS ou un gendarme, sur un parking ou un quai de gare, sans même un passage par les locaux de la Police aux frontières (PAF), ni d’interprète pour les personnes ne maîtrisant pas le français, encore moins d’examen approfondi de la situation des réfugiés. Rien que dans les Alpes-Maritimes, 44 433 refus d’entrée ont ainsi été prononcés, souvent de manière expéditive, en 2017 (une même personne peut être concernée par plusieurs refus d’entrée quand elle tente de repasser la frontière), et 7000 en Haute Maurienne, en Savoie !

      « Le 17 mars 2018, cinq personnes, dont une avec une jambe cassée, ont été emmenées par les CRS à 17h13 au poste de la PAF de Menton Pont Saint-Louis. Elles ont attendu à l’extérieur du poste. À 17h15, soit trois minutes après leur arrivée, les cinq personnes ont été refoulées en Italie, munies d’un refus d’entrée qui leur a été donné en-dehors du poste », notent des observateurs lors d’une mission conjointe avec Amnesty international et Médecins du monde. Ces témoignages sont légion.
      Pas d’accès à un médecin, encore moins à un avocat

      Pas question pour ces personnes de pouvoir accéder à un médecin, qu’elles soient blessées, malades ou sur le point d’accoucher. Pas question non plus pour elles d’avoir accès à un conseil (assistance juridique, avocat…) ni de respecter le droit au jour franc, qui permet à une personne qui le demande de ne pas être refoulée avant 24 heures afin de pouvoir exercer les droits prévus par la loi. Ces pratiques « mises en œuvre par la France à la frontière franco-italienne depuis 2015 représentent un non-respect ou des violations des conventions internationales ratifiées, de la Convention européenne de sauvegarde des droits humains et des libertés fondamentales, du code frontières Schengen et des accords de coopération avec l’Italie », rappelle l’Anafé. Quand il s’agit de migrants, les textes signés par la France ne semblent plus valoir grand-chose.

      Pour les enfants, c’est pareil. Ce ne sont pas des personnes mineures à protéger, mais des menteurs à refouler d’urgence : « On est allés au poste. On est rentrés dans les bureaux. On a été fouillés », raconte un adolescent, interpellé à Clavière, près du col de Montgenèvre. « Le policier me bousculait. Ils ont pris mon téléphone mais me l’ont rendu ensuite. Ils ont pris mon empreinte. Le policier a pris ma main de force pour la mettre sur la machine. Ils étaient plusieurs autour de moi. Un policier m’a demandé ma nationalité, mon âge. J’ai dit que j’avais 16 ans. Ils ont dit que je ne suis pas mineur. Ils ont changé ma date de naissance. Le policier a signé le document à ma place parce que je ne veux pas retourner en Italie. J’ai dit : “Je veux rester en France, je veux aller à l’école pour pouvoir me prendre en charge”. Mais ils ne voulaient rien comprendre. »
      Militarisation « impressionnante » de la frontière

      Le rapport de l’Anafé décrit également la militarisation « impressionnante » de la frontière. La présence des force de l’ordre – militaires, compagnies républicaines de sécurité (CRS), gendarmes, police nationale, police aux frontières... –, souvent lourdement armées, équipées de lunettes de vision nocturne ou de détecteurs de mouvement, sature l’espace frontalier, gares, routes ou chemins de randonnées. Ce qui créée une ambiance bien particulière : « Quelques minutes avant l’arrivée du train, dix gendarmes et quatre militaires lourdement armés se présentent sur le quai. Le train s’arrête, certains montent de chaque côté et se rejoignent au centre du train. Une personne sort escortée par les gendarmes », décrivent des observateurs en gare de Breil-sur-Roya, au nord de Menton (Alpes-Maritimes).

      « Pendant ce temps, les forces de l’ordre restées sur le quai observent les passagers qui descendent. Une personne qui semble d’origine africaine descend, un gendarme lui dit « bonjour », la personne répond « bonjour », dans un français parfait. Nous nous interrogeons sur le fait que les forces de l’ordre ont dit bonjour uniquement à cette personne alors qu’elles étaient une dizaine à descendre du train. » Une scène digne du film La Grande Evasion.

      Ce déploiement militaire à la frontière, rien que pour la vallée de la Roya, coûterait 1,8 million d’euros par mois, près de 22 millions par an, selon le chercheur Luca Giliberti [2]. La vallée ne représente pourtant qu’une petite partie de la frontière franco-italienne, qui s’étend sur 515 kilomètres en tout. Cette militarisation, ces pratiques de « chasse à l’homme » permanentes, poussent aussi les personnes migrantes à prendre de plus en plus de risques pour traverser la montagne et tenter d’esquiver les patrouille, pour simplement être en mesure de faire valoir leurs droits bafoués.
      Un jeune Guinéen mort d’hypothermie après avoir été refoulé

      Les corps de jeunes Guinéen et Sénégalais ont déjà été retrouvés, tués après avoir chuté dans un ravin. « Le 25 mai 2018, à Bardonecchia (Italie), un corps est retrouvé dans un état de décomposition avancée. Son identité est retrouvée par la police italienne grâce à un reste de peau et une enquête est ouverte : il s’agit d’un jeune Guinéen souffrant de poliomyélite, refoulé le 26 janvier par les autorités françaises, à 10 kilomètres de Bardonecchia. Il est décédé d’hypothermie », illustre l’Anafé. Deux semaines plus tôt, c’est le corps d’une Nigériane, Blessing Matthew, qui est retrouvée par des agents EDF dans la Durance, qui prend sa source à Montgenèvre. Toujours en mai, entre Montgenèvre et Clavière, un jeune sénégalais est retrouvé mort par des randonneurs. Épuisé, il serait tombé d’une falaise.

      Face à cette situation scandaleuse qui dure depuis trois ans, « l’Anafé ne peut que déplorer la difficulté à entrer en dialogue avec plusieurs autorités françaises tant au niveau local qu’au niveau national. Les droits fondamentaux, la fraternité et la solidarité ont été relégués au second plan, en violation des engagements internationaux, européens et nationaux. » Les seuls qui sauvent l’honneur d’une politique en perdition à la frontière franco-italienne sont les milliers de bénévoles, de militants associatifs qui font vivre « les valeurs d’humanité, de solidarité et de fraternité » en venant en aide aux victimes de cette « chasse à l’homme ». Mais elles aussi sont désormais la cible de harcèlements, de violences, et poursuivis pour « délit de solidarité ». Elles sont devenues des « militants politiques qu’il faut museler ».

      https://www.bastamag.net/Une-politique-migratoire-aux-allures-de-chasse-a-l-homme-a-la-frontiere-fr

    • #Persona_non_grata - Conséquences des politiques sécuritaires et migratoires à la frontière franco-italienne, Rapport d’observations 2017-2018

      Faisant écho à l’actualité particulièrement tragique de ces dernières semaines à la frontière franco-italienne, l’Anafé publie aujourd’hui son rapport d’observations 2017-2018 sur les conséquences des politiques sécuritaires et migratoires à la frontière franco-italienne intitulé Persona non grata. Ce rapport décrit les pratiques illégales, les privations de liberté irrégulières et les violations des droits que subissent les personnes exilées. Il aborde également la question de la solidarité qui, bien que menacée par les autorités publiques, se renforce et fédère des milliers de personnes autour d’un idéal commun de fraternité.

      Le durcissement croissant des politiques européenne et française pour lutter contre un soi-disant afflux massif de personnes en situation irrégulière et la multiplication des lois liberticides au profit d’une rhétorique sécuritaire mettent en danger la société démocratique européenne. Si cette situation n’est pas nouvelle, le rétablissement des contrôles frontaliers à l’intérieur de l’espace Schengen a ajouté des entraves supplémentaires. Les premières victimes sont d’abord les personnes étrangères qui sont bien souvent érigées en indésirables à expulser du territoire, puis les personnes solidaires qu’il faut museler.

      C’est la réalité depuis 2015 à la frontière franco-italienne. Les personnes exilées font ainsi quotidiennement l’objet de pratiques illégales de l’administration française qui ne respecte pas la législation en vigueur, met en œuvre des procédures expéditives et viole les droits humains et les conventions internationales pourtant ratifiées par la France. Les personnes exilées sont pourchassées dans les montagnes ou sur les chemins de randonnée, sont traquées dans les bus et les trains par les forces de l’ordre mais aussi par des groupes d’extrême-droite et peuvent faire l’objet de violences. Bien souvent, les personnes en exil sont privées de liberté irrégulièrement dans des conditions inhumaines et refoulées irrégulièrement. Les personnes souhaitant demander l’asile se voient opposer un refus d’enregistrement systématique avant d’être refoulées. Si certains mineurs ont pu être pris en charge suite aux dénonciations courant 2018 de pratiques illégales, nombre d’entre eux continuent d’en être victimes et une enquête a d’ailleurs été ouverte par le parquet de Nice [1].

      Ces politiques et ces pratiques ont eu pour conséquence la perte de vies humaines des deux côtés de la frontière et ce, encore très récemment près de Briançon [2].

      Face à cette situation, des personnes et des associations travaillent des deux côtés de la frontière franco-italienne pour faire vivre la solidarité et la fraternité et ainsi redonner aux personnes exilées un peu d’espoir et de dignité. Certaines de ces personnes militantes – dont plusieurs membres de l’Anafé – font l’objet de pressions quotidiennes, de poursuites judiciaires et de condamnations. Ce qui leur est reproché ? Leur humanité !

      « Ce rapport est accablant pour les autorités françaises. Nous appelons d’urgence le ministère de l’intérieur et les préfectures concernées à faire respecter le droit et les conventions internationales, afin de protéger et non rejeter les personnes exilées à la frontière franco-italienne » affirme Laure Palun, co-directrice de l’Anafé.

      Depuis 2011, l’Anafé suit de manière attentive les évolutions à la frontière franco-italienne et a entrepris dès 2015 un travail de collecte d’informations et de témoignages. Aux côtés des acteurs associatifs locaux et nationaux, français et italiens, l’Anafé ne cesse, depuis, de dénoncer les violations exercées par les autorités françaises à la frontière franco-italienne.

      http://www.anafe.org/spip.php?article520

      Pour télécharger le #rapport :
      https://drive.google.com/file/d/15HEFqA01_aSkKgw05g_vfrcP1SpmDAtV/view

    • Migrants : une association dénonce les pratiques de la police française à la frontière franco-italienne

      Le parquet de Nice a annoncé l’ouverture d’une #enquête_préliminaire visant de possibles infractions commises par la police aux frontières.

      La frontière franco-italienne est l’une des frontières internes à l’Europe les plus contrôlées. Elle s’étend sur quelque 515 kilomètres du nord au sud. Rendu public jeudi 21 février, un rapport de l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé), intitulé « Persona non grata », dresse le bilan de deux ans d’observation et dénonce des « pratiques illégales de l’administration française » à l’encontre des migrants qui, chaque jour, tentent de franchir la frontière.

      Les procédures de non-admission des migrants en provenance d’Italie par la police française ont déjà été mises à l’index ces dernières années par des associations, des parlementaires ou encore le contrôleur général des lieux de privation de liberté ou la commission consultative des droits de l’homme. « Nous voulons redonner une visibilité à ces violations de droits, car ce sont des mesures expéditives qui rendent invisibles les pratiques de l’administration », défend Emilie Pesselier, de l’Anafé.

      Les contrôles aux frontières ont été rétablis par la France en novembre 2015, et la loi d’octobre 2017, dite « de sécurité intérieure et de lutte contre le terrorisme », a étendu les périmètres de contrôles d’identité dans les zones frontalières. L’ensemble a permis de refuser l’accès au territoire français à plusieurs dizaines de milliers de migrants – 56 000 refus en 2017, selon les derniers chiffres disponibles –, principalement dans le secteur de Menton (Alpes-Maritimes). L’Anafé dénonce dans son rapport des contrôles « au faciès » effectués de façon systématiques dans les trains reliant l’Italie à la France ou lors de contrôles routiers.
      « Sans information sur les droits »

      Surtout, l’association estime que les étrangers en situation irrégulière sont renvoyés de façon illégale. « Les procédures expéditives sont notifiées en quelques minutes seulement », sans qu’il soit procédé à un entretien individuel ou à un examen approfondi de la situation et « sans information sur les droits », comme celui de bénéficier d’un interprète, d’un médecin, de faire avertir un avocat ou de bénéficier d’une assistance consulaire. « Leur irrégularité est donc patente », souligne le rapport, en dépit du fait que « les préfets des Alpes-Maritimes et des Hautes-Alpes ont toujours garanti (…) que les procédures à la frontière se déroulaient dans les règles et le respect du droit ».

      En outre, poursuit l’Anafé, les migrants désireux de déposer une demande d’asile se trouvent dans l’« impossibilité » de le faire. De la même manière, si les migrants se déclarant mineurs non accompagnés sont davantage « pris en charge et mis à l’abri » depuis des condamnations devant les juridictions administratives, des associations continuent d’être alertées de « pratiques de non-prise en compte de la minorité de certains mineurs isolés », qui sont alors victimes de « pratiques de refoulement abusives », alors qu’ils devraient obtenir une protection de la part des autorités.

      Début février, le parquet de Nice a d’ailleurs annoncé l’ouverture d’une enquête préliminaire visant de possibles infractions commises par la police aux frontières au détriment de mineurs isolés étrangers à Menton (Alpes-Maritimes).

      https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/02/21/migrants-une-association-denonce-les-pratiques-de-la-police-francaise-a-la-f
      #justice

    • Non, les migrant・e・s ne déferlent pas sur la France, mais restent bloqué・e・s aux frontières

      De graves manquements au droit d’asile et à la sécurité des personnes en exil. Voilà le constat dressé par l’Anafé (association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers) dans son dernier rapport. Elle assure également que les migrant・e・s ne sont pas plus nombreux・euses qu’avant. Leur nombre paraît plus important, gonflés par leurs passages répétés aux frontières. Radio Parleur a rencontré Emilie Pesselier et Loïc Le Dall, contributeur・trice de l’enquête.

      « Persona non grata » frappe fort. Dans son rapport publié jeudi 21 février, l’Anafé (association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers) dénonce les politiques migratoires menées aux frontières françaises, qui tuent et blessent les migrant・e・s. Il comptabilise une trentaine de morts entre 2017 et 2018, une réalité sûrement incomplète. « La question des chiffres est compliquée. Il faut penser qu’il y a des personnes qui ont disparu et sûrement d’autres qui sont mortes dont on n’a pas connaissance » explique Emilie Pesselier, l’une des contributrices du rapport. Vingt-deux personnes ont été retrouvées mortes à la frontière franco-italienne du sud de la France. Le sentier abrupt du « Pas de la mort » au-dessus de Menton porte malheureusement bien son nom. Du côté de la frontière haute, dans les Alpes au niveau de Modane, l’Anafé recense trois décès et une disparition. « Depuis le début d’année, tout ce qu’on dénonce continue encore », dénonce Emilie. Un nouveau corps vient d’ailleurs d’être retrouvé en février.
      Des pratiques illégales

      L’Anafé dénonce une militarisation accrue de la frontière franco-italienne. Les contrôles à bord des trains, la surveillance des sentiers et les barrages de routes obligent les personnes à emprunter des voies de passage toujours plus dangereuses. Le rapport fait état de contrôles au faciès répétitifs ainsi que des violences verbales et physiques. Lorsque les personnes ne sont pas renvoyées directement dans un train vers l’Italie, elles sont retenues dans des préfabriqués pendant la nuit. « Elles n’ont pas accès à leurs droits ni à de la nourriture. Ce lieu n’a pas d’existence légale claire », explique Loïc Le Dall, également contributeur du rapport. Le discours des policiers interrogés par les militant・e・s est confus sur l’usage de ces « conteneurs ». Les gens y sont immobilisées parfois pendant plus de 12 heures, alors qu’un lieu de privation de liberté ne peut retenir une personne plus de 4 heures.
      Pays des droits de l’Homme non respectés

      La violation du droit d’asile et des droits à la frontière sont monnaie courante. Pour l’Anafé, « c’est une réelle chasse aux potentiels migrants sans document d’identité ». Lors de leur arrivée en France, la procédure d’asile prévoit que les personnes migrantes soient conduites au poste frontière devant la PAF (police aux frontières), française et italienne, accompagnées d’interprètes pour être informées de leurs droits (possibilité de faire une demande d’asile, avoir droit au jour franc, avoir droit à une assistance médicale). Pour Loïc Le Dall, ces droits sont loin d’être respectés : « au-delà du mépris et de la violence verbale ou physique, ces personnes n’entrent pas au poste frontière. Des CRS rédigent sur le quai de la gare des refus d’entrée qu’ils n’ont pourtant pas le droit de rédiger eux-mêmes. Les documents ne sont pas réglementaires, ils sont pré-cochés avec la mention « je veux repartir en Italie ». »

      Ces pratiques alarmantes concernent également des mineur・e・s isolé・e・s, dont la protection est de la responsabilité de l’Etat français dès leur entrée sur le territoire. L’Anafé constate que ces derniers sont régulièrement renvoyés dès leur arrivée, sans jour franc (délai de 24h avant le renvoi), sans même passer par la PAF italienne. Loïc Le Dall décrit des pratiques aberrantes : « on a vu des jeunes à Vintimille qui traînent à la gare et qui ont trois refus d’entrée différents avec à chaque fois des dates différentes, voire barrées. C’est assez absurde ». Particulièrement vulnérables, ils et elles se retrouvent exposé・e・s à des violences et aux trafiquants d’êtres humains.
      Une politique déshumanisante

      L’Anafé est catégorique : les choix politiques appliqués aux frontières violent les droits humains et mettent en danger les personnes migrantes. Une politique qui s’attaque aussi à celles et ceux qui leur viennent en aide. Et les militant・e・s de l’Anafé en font souvent les frais : « les pressions prennent plusieurs formes. Certains sont poursuivis par des voitures de police, il y a des contrôles d’identité répétitifs, des menaces de poursuites en justice. Il y a aussi le fameux délit de solidarité qui, rien que dans son expression, montre toute son absurdité. »

      Faire la lumière sur les pratiques dangereuses exercées aux frontières : voilà le but de ce rapport de l’Anafé, envoyé aux institutions telles que le Ministère de l’Intérieur ou les directions de la police aux frontières. Le document est pensé comme un témoignage, ou comme un outil de plaidoyer. « L’idée [de ces politiques] est de déshumaniser ces gens-là, on ne parle plus d’humains mais de chiffres. Pour ça, les politiques sont bons, ils manipulent les chiffres. Il y a des personnes qui essayent de traverser la frontière vingt fois donc quand on nous parle de 50 000 entrées en telle année, ça ne veut rien dire », poursuit Loïc Le Dall. Après avoir rappelé le rôle de l’immigration dans l’histoire de l’humanité, il ajoute : « il n’y a pas plus de gens qui arrivent en Europe, il y a surtout plus de gens qui sont coincés aux frontières et qui sont mis en lumière ».

      https://radioparleur.net/2019/03/01/anafe-crise-frontieres-migrations

      A propos du rapport #Persona_non_grata de l’anafé :
      https://seenthis.net/messages/756096#message761995

    • Dans les Alpes, là où des Européens skient, des Africains meurent

      Du côté de Briançon dans les Hautes-Alpes, c’est le troisième hiver au cours duquel des migrants se lancent dans une périlleuse traversée de la frontière avec l’Italie en haute montagne. Ils tentent d’échapper aux contrôles et aux violences policières, au risque de perdre la vie. Trois d’entre eux ont été retrouvés morts en mai 2018, et un quatrième est décédé début février 2019.

      Le 7 février, Tamimou Derman est mort à l’hôpital de Briançon. Le jeune homme de 28 ans avait été secouru deux heures plus tôt en pleine nuit, par un camionneur italien. Il se trouvait au bord de la RN 94 à trois kilomètres de la sous-préfecture des Hautes-Alpes en direction du col de Montgenèvre. Le parquet de Gap a conclu à « une probable mort par hypothermie ». Tamimou avait perdu ses chaussures dans la neige abondante et continué sa marche depuis la frontière à 10 km de là, en chaussettes, ont témoigné ses compagnons de route.

      « Persona non grata »
      Pour sept associations qui se préoccupent des droits humains, ce drame est le résultat de la politique de contrôle de la frontière, faite de « renvois systématiques en Italie au mépris du droit, courses-poursuites, refus de prise en charge y compris des plus vulnérables ». Résultat, « ces pratiques poussent les personnes migrantes à prendre toujours plus de risques, comme celui de traverser par des sentiers enneigés, de nuit, en altitude, par des températures négatives, sans matériel adéquat ». Les actions des forces de police et de gendarmerie sont émaillées d’actes illégaux, de violences et d’humiliations. Comme l’a notamment rapportée l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé) dans un rapport d’observations publié le 21 février et intitulé « #Persona_non_grata ».


      http://umap.openstreetmap.fr/fr/map/hautes-alpes-frontiere-de-tous-les-dangers-pour-le_260402#11/44.9803/6.8335
      #cartographie #visualisation #dangers

      Parce que la frontière s’est durcie plus au sud, dans les Alpes-Maritimes, voilà le troisième hiver que des migrants tentent la traversée par les Hautes-Alpes pour quitter l’Italie. Ce sont principalement de jeunes hommes originaires d’Afrique francophone. Ils prennent le train à Turin pour descendre dans l’une des deux dernières gares avant la frontière : Oulx ou Bardonnecchia. D’Oulx, ils prennent un bus et s’arrêtent la plupart du temps à Clavière, le dernier village italien avant le poste de la police aux frontières (PAF) de Montgenèvre, à 1850 m d’altitude. De Clavière, ils tentent la traversée sur les chemins de montagne. L’hiver dans la neige, sur les pistes de ski. L’été sur les chemins de randonnées.

      « Dans les années 1950, ce sont les italiens qui faisaient peur »
      De Bardonnecchia, les exilés empruntent à pied le col de l’Échelle (1 762 m) pour tenter de rallier le village de Névache, 13 kilomètres plus loin. Et parfois, parce qu’ils se sont égarés ou parce qu’ils tentent de s’éloigner encore davantage de la police ou de la gendarmerie, ils empruntent des cols dépourvus de route pouvant s’élever à plus de 2 500 mètres d’altitude.

      Les Européens quant à eux, skis aux pieds ou volant en main, peuvent aller librement de l’Italie à la France et de la France à l’Italie. La région est très touristique. Le domaine skiable transfrontalier de la Voie Lactée est l’un des plus vaste d’Europe. Montgenèvre, qui en fait partie, se revendique comme « doyenne des stations de ski françaises ». Depuis l’antiquité, son col du même nom est un important lieu de passage. Les migrations qui y transitent sont anciennes. Au XIXe siècle et jusqu’à la première moitié du XXe siècle, les Italiens ont franchi ces montagnes, fuyant la famine, les mauvaises conditions économiques ou la dictature de leur pays. Ils étaient les indésirables de cette époque.

      « Dans les années 1950, les Italiens faisaient peur dans les villages ici, notamment parce que les femmes étaient vêtues tout de noir et voilées », se souvient Gérard Fromm, le maire et le président de la communauté de communes (DVG) de Briançon qui était enfant à l’époque. Aujourd’hui, il est « fier de la solidarité des Briançonnais » qui sont environ 250 à s’investir pour le secours et l’accueil des exilés. D’autres personnes viennent de loin, sur leurs temps libre ou leurs congés, pour participer à des maraudes en montagne ou s’investir au Refuge Solidaire, le lieu de premier accueil mis à disposition par la communauté de commune.

      Des peines de prison pour les solidaires
      Quasiment toutes les nuits, des maraudeurs se relaient à Montgenèvre pour porter secours aux migrants et les descendre dans leurs voitures au Refuge de Briançon. Pour cette action, ils ont été convoqués plus d’une cinquantaine de fois à la PAF ou à la gendarmerie pour expliquer leurs agissements. Et la mesure dissuasive fait parfois l’objet de poursuites pénales et de condamnations. Ainsi, le 10 janvier, le tribunal de Gap a condamné deux maraudeurs, Pierre et Kevin, respectivement à 3 mois de prison avec sursis et 4 mois de prison avec sursis, pour « aide à l’entrée irrégulière d’un étranger en France ». La peine de Kevin est plus importante car il était poursuivi également pour « refus d’obtempérer ».

      Un autre procès a davantage attiré l’attention. Celui de ceux qui ont été surnommés les « 7 de Briançon ». Le 22 avril, ils avaient participé à une manifestation transfrontalière, de Clavière à Briançon, pour dénoncer la présence des militants d’extrême droite du groupe Génération Identitaire qui avaient commencé une opération anti-migrants la veille au col de l’Échelle. Une vingtaine de migrants étaient entrés en France avec la manifestation des 150 militants solidaires. Les « 7 », deux jeune suisses ; Théo et Bastien, une étudiante italienne ; Eleonora et quatre Briançonnais ; Lisa, Benoît, Mathieu et Juan* ont été condamnés à Gap le 13 décembre pour « aide à l’entrée irrégulière d’étrangers ». Benoit, Lisa, Théo, Bastien et Eleonora ont écopé de 6 mois de prison avec sursis. Mathieu et Juan*, qui étaient également poursuivis respectivement pour « rébellion » et « participation à un attroupement », ont quant à eux été condamnés à 12 mois de prison dont 4 fermes. L’ensemble des personnes condamnées le 13 décembre 2018 et le 10 janvier 2019 ont fait appel des décisions. Leurs condamnations sont suspendues en attendant qu’elles soient jugées par la cour d’appel de Grenoble.

      La fraternité n’embrasse pas tout le Briançonnais. La droite et l’extrême droite critiquent l’action des personnes solidaires et la prise de position municipale, en théorisant sur une « majorité silencieuse des Briançonnais » qui y serait défavorable et inquiète de l’arrivée des migrants. A Névache, ils sont une trentaine d’habitants accueillants, soient 10% de la population. Un engagement dont se félicite le maire Jean-Louis Chevalier qui ne veut « aucun mort sur [sa] commune parce qu’une vie humaine, c’est une vie humaine. Il n’est pas question de laisser mourir dans nos montagnes ». Mais en dépit des alertes récurrentes de l’association locale Tous Migrants « pour que [leurs] montagnes ne deviennent pas un cimetière », trois dépouilles ont été retrouvées au mois de mai 2018.

      Le 9 mai, le corps d’une jeune africaine a été retrouvé découvert au barrage de Prelles. Blessing Matthew, une nigériane de 20 ans serait tombée dans la Durance et se serait noyée après une course poursuite nocturne engagée par les forces de police deux jours plus tôt, au niveau du hameau de La Vachette. Là où est également mort Tamimou Derman. Puis « Alpha », comme l’ont baptisé celles et ceux qui sont venus rendre hommage à ce « migrant inconnu », a été retrouvé sur un chemin de randonnée le 19 mai. Il s’est éteint, vraisemblablement d’épuisement, dans un bois en amont du hameau des Alberts sur la commune de Montgenèvre, après avoir passé plusieurs jours en montagne. Côté italien, le corps de Mohamed Fofana, un Guinéen de 28 ans, a été retrouvé le 25 mai dans un vallon de la commune de Bardonnecchia après avoir passé une partie de l’hiver sous la neige. A la fin de cet hiver, d’autres cadavres apparaîtront-ils à la fonte des neiges ? Cette question hante les montagnards solidaires.

      *Juan est un pseudo

      Pierre Isnard-Dupuy (Collectif Presse-Papiers)

      https://www.1538mediterranee.com/2019/02/28/dans-les-alpes-la-ou-des-europeens-skient-des-africains-meurent

    • Frontière franco-italienne : Grande #maraude solidaire

      Dans le cadre d’une grande mobilisation en soutien aux citoyens solidaires
      des personnes réfugiées et migrantes,
      nos associations vous convient à une maraude solidaire

      Le 15 mars 2019 à partir de 18h au col de Montgenèvre
      (Au départ de la marche près de l’Espace Prarial, Route Italie, 05100 Montgenèvre)

      En présence des représentant·e·s des associations nationales
      et de Tous Migrants disponibles pour répondre à des interviews

      Alors que les politiques migratoires des États européens ne cessent de se durcir et que les contrôles aux frontières sont de plus en plus répressifs, les personnes migrantes sont amenées à prendre davantage de risques en montagne comme celui de traverser la frontière par des sentiers enneigés, de nuit, en altitude, par des températures négatives, sans matériel adéquat. Dans le même temps, les citoyens solidaires qui cherchent à leur venir en aide, les « maraudeurs » des vallées alpines, sont de plus en plus inquiétés, inculpés et même condamnés en justice.

      Malgré les alertes des associations lancées aux autorités, malgré les blessures, les gelures et les morts (le dernier décès d’un jeune exilé près de Briançon date du 6 février), la situation n’a cessé de s’aggraver dans la région de Briançon
      (Hautes-Alpes).

      Face à cette situation qui confine à la mise en danger délibérée, le mouvement citoyen Tous Migrants soutenu par les associations Amnesty International France, La Cimade, Médecins du monde, Médecins sans frontières et le Secours Catholique organise une grande maraude solidaire avec plusieurs acteurs locaux, le vendredi 15 mars 2019 à partir de 18h à la frontière franco-italienne, à Montgenèvre. L’objectif est de mobiliser plusieurs centaines de participants.

      Cette action inédite a pour but d’exprimer la solidarité envers les personnes engagées dans des maraudes et qui portent assistance aux personnes exilées qui franchissent la frontière dans des conditions particulièrement dangereuses. En 2018, plusieurs dizaines de personnes solidaires ont été entendues par la police et pour certaines, poursuivies en justice et jugées.

      Programme de la soirée
      18h00 : Rassemblement, prises de paroles des associations, des maraudeurs et témoignages.
      19h00 : Maraudes en groupe avec des responsables expérimentés.
      20h00 : Dénonciation des violences policières.
      20h30 : Témoignages d’exilés et de maraudeurs
      21h15 : Marche animée dans Montgenèvre et descente solidaire aux flambeaux.

      CONTACTS PRESSE
      Amnesty International France
      Véronique Tardivel
      06 76 94 37 05
      vtardivel@amnesty.fr
      La CimadeI Vincent Brossel
      01 44 18 60 56 - 06 42 15 77 14
      vincent.brossel@lacimade.org
      Médecins du Monde I
      Fanny Mantaux
      06 09 17 35 59
      fanny.mantaux@medecinsdumonde.net
      Médecins Sans Frontières France
      Charlotte Nouette-Delorme
      06 76 61 97 80
      charlotte.nouette-delorme@paris.msf.org
      Secours Catholique Caritas FranceI
      Djamila Aribi
      01 45 49 75 24
      djamila.aribi@secours-catholique.org
      Tous Migrants
      Marie Dorléans 06 64 72 95 60
      tousmigrants@gmail.com

      Informations pratiques

      Pour venir en transport en commun à Montgenèvre depuis Paris, le plus simple est de prendre le TGV direct jusqu’à Oulx (4h30), puis navette immédiate qui dessert Montgenèvre (en 30 min) et Briançon.
      Pensez à vous couvrir, les températures pourront être négatives à Montgenèvre (1 800 m d’altitude).

      La maraude et la descente aux flambeaux pourront faire
      l’objet de photos et vidéos.

    • Montgenèvre : de longues recherches de nuit pour retrouver un groupe de migrants

      Ce dimanche 10 mars, de 4 h 30 à 8 h 30, le PGHM de Briançon a entrepris des recherches pour retrouver trois migrants aux abords de la station de Montgenèvre. Le petit groupe, qui a entrepris le franchissement de la frontière franco-italienne dans la nuit, avait alerté les secours italiens. Ils ont été retrouvés sains et sauf au petit matin.

      Vers 4 h 30, ce dimanche 10 mars, trois migrants qui tentaient la traversée à pied de la frontière franco-italienne par le col de Montgenèvre, ont alerté par téléphone les secours italiens déclarant souffrir du froid.

      Des recherches pour retrouver le petit groupe de migrants ont été entreprises du côté italien, dans le secteur de Clavière, et du côté français par le PGHM aux alentours de la station de Montgenèvre.
      Quatre heures de recherches

      En caravane terrestre, les militaires du peloton de gendarmerie de haute montagne, ont recherché quatre heures durant les trois requérants. Ceux-ci s’étaient, à priori, réfugiés dans un sous-bois non loin du village de Montgenèvre, pour y allumer un feu.

      Vers 8 h 30 ce dimanche matin, les trois migrants commençaient à repartir lorsqu’ils ont été localisés par les gendarmes du #PGHM.


      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/03/10/immigration-hautes-alpes-montgenevre-de-longues-recherches-de-nuit-pour-

    • TRIBUNE. Sauver des vies n’est pas un délit, dans les montagnes comme ailleurs

      Six organisations humanitaires dénoncent dans cette tribune la criminalisation par les autorités françaises de l’assistance apportée aux exilés.

      "Aujourd’hui, dans certaines régions françaises, des citoyens qui viennent en aide à des personnes en détresse sont considérés comme des délinquants par les autorités françaises. C’est le cas dans plusieurs vallées alpines où celles-ci surveillent, interpellent et poursuivent en justice des hommes et des femmes qui apportent un soutien humanitaire aux personnes exilées qui, malgré le froid, la neige et le manque d’équipement, traversent la frontière franco-italienne au péril de leur vie.

      Pourtant, ces citoyens solidaires, « maraudeurs » et « maraudeuses », portent comme ailleurs en France assistance par des gestes simples à ceux et celles qui en ont besoin : donner une couverture de survie, des gants, des chaussures de montagne, une boisson chaude ; conduire une personne à l’hôpital ou dans un refuge. Une assistance essentielle qui a le pouvoir de sauver des vies. Ces « maraudes humanitaires » dans les régions alpines ne sont pourtant pas différentes de celles menées dans nos villes où ces dernières sont soutenues par la société civile et les pouvoirs publics. Comment comprendre que ces personnes qui font preuve d’humanité dans la région de Briançon puissent être inquiétées, et leurs actes criminalisés, alors que leurs actions ont pour objectif d’éviter les blessés et les morts dans nos montagnes ?

      Les autorités françaises portent atteinte aux droits fondamentaux des personnes exilées et les mettent en danger

      Le récent décès de Tamimou Derman, un Togolais mort à 28 ans à la descente du col de Montgenèvre, en France, le 7 février dernier, est l’illustration tragique de ce que nos associations dénoncent depuis plus de deux ans. En poursuivant les personnes migrantes et réfugiées dans les montagnes, en les renvoyant systématiquement en Italie au mépris du droit, en refusant de les prendre en charge, y compris les plus vulnérables et les demandeurs d’asile, les autorités françaises portent atteinte aux droits fondamentaux des personnes exilées et les mettent en danger.

      Les habitants des vallées se mobilisent pour venir en aide à ces personnes. Elus locaux, citoyens, personnels hospitaliers s’unissent pour faire du territoire briançonnais une terre d‘accueil. Ce mouvement de solidarité se heurte pourtant à la réaction des pouvoirs publics : refus de dialogue, intimidation, poursuites judiciaires allant jusqu’à des peines de prison, etc.

      Le 15 mars prochain, à Montgenèvre, près de Briançon, ce sont des centaines de citoyens qui se mobiliseront lors d’une « grande maraude solidaire ». Nos organisations prendront part à cette action symbolique en faveur de la protection de ceux et celles qui œuvrent à la défense des droits des personnes exilées dans les montagnes."

      https://www.lejdd.fr/Societe/tribune-sauver-des-vies-nest-pas-un-delit-dans-les-montagnes-comme-ailleurs-38

    • Dans les Alpes, des élus maraudent au secours des migrants et s’invitent à la PAF

      À la veille d’une maraude géante le 15 mars, des élus écologistes se sont invités dans les Hautes-Alpes pour « patrouiller » de nuit au secours des migrants. Et contrôler par surprise les pratiques de la police aux frontières.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/140319/dans-les-alpes-des-elus-maraudent-au-secours-des-migrants-et-sinvitent-la-

    • Hautes-Alpes : une maraude pour soutenir les migrants

      Une maraude géante a été organisée au col du Montgenèvre, entre les Hautes-Alpes et l’Italie. Ce vendredi, 300 personnes environ ont marché sur les pas des migrants pour dénoncer la façon dont ils sont traités.

      Leur action peut s’appeler « une grande maraude solidaire ». 300 militants environ, issues d’associations d’aide aux migrants, se sont retrouvés au col de Montgenèvre, entre la France et l’Italie. Ils témoignaient ainsi de leur solidarité et dénonçaient la répression contre les militants.
      Sur les pas des migrants
      Les sentiers des Hautes-Alpes sont parcourus par les migrants depuis que le passage par la Vallée de la Roya, dans les Alpes-Maritimes, a été freiné. Le Briançonnais est devenu un haut-lieu de la solidarité avec les migrants. Ce vendredi, en début de soirée, les militants, venus de France, Italie et Suisse, ont commencé à gravir dans un froid glacial les sentiers enneigés, encadrés par des pros de la montagne. Ils ont atteint 1.800 mètres d’altitude, à la frontière franco-italienne. Sur leurs banderoles ils avaient inscrit « Nos montagnes ne sont pas des cimetières » ou encore « Solidarité = Délit ».

      Cette maraude symbolique doit se terminer par une soupe chaude suivie d’une descente aux flambeaux. Parmi les marcheurs, on retrouve le mouvement citoyen Tous migrants, soutenu par Amnesty International France, Médecins du Monde, Médecins sans frontières, le Secours catholique et la Cimade.

      Avant leur départ, beaucoup avaient déjà témoigné des conditions particulièrement dangereuses dans lesquelles les migrants franchissent la frontière. La nuit, dans le froid et la neige, sans équipement adéquat. Il en résulte des blessures, des gelures graves et même des morts. Le dernier date du 6 février.
      Une piqûre de rappel de solidarité
      Selon les associations, « la situation n’a cessé de s’aggraver dans la région, avec la répression et les contrôles des forces de l’ordre qui se multiplient ».

      « Nous voulons rappeler, en écho au rapport du Défenseur des droits publié ce mardi, que l’assistance aux migrants n’est pas illégale et que les réfugiés ont le droit de demander l’asile », explique à l’AFP Marie Dorléans, de Tous Migrants.

      En juillet, le Conseil constitutionnel a estimé qu’au nom du « principe de fraternité », une aide désintéressée au « séjour » irrégulier ne saurait être passible de poursuites, l’aide à « l’entrée » sur le territoire restant illégale.


      https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/hautes-alpes/hautes-alpes-maraude-soutenir-migrants-1639466.html

    • "C’est de la bienveillance, comme il y en a chez les #marins" : une « grande maraude solidaire » d’aide aux migrants a réuni 300 personnes dans les Hautes-Alpes

      L’événement était organisé par des associations d’aide aux migrants pour soutenir les personnes qui viennent en aide aux centaines d’exilés qui franchissent la frontière entre l’Italie et la France.

      Une « grande marause solidaire » s’est déroulée vendredi 15 mars, à Montgenèvre, dans les Hautes-Alpes, près de Briançon, en soutien aux migrants. L’événement était organisé par des associations d’aide aux migrants dans le but de soutenir les personnes qui aident les centaines d’exilés qui franchissent la frontière entre l’Italie et la France. Les bénévoles dénoncent notamment la répression dont ils estiment être les victimes après plusieurs condamnations prononcées en justice. Par petits groupes, les maraudeurs - français, suisses et italiens - ont donc gravi dans le froid les sentiers enneigés de la station, à 1 800 mètres d’altitude.

      Sur le front de neige de Montgenèvre, à l’heure des dameuses, le petit groupe de maraudeurs est guidé par Pierre, qui vient en aide aux migrants depuis trois ans : « Il faut essayer d’être un peu vigilant, regarder autour de nous », confie Pierre. « Il faut se rendre compte que tout ce que vous avez autour de vous, le moindre petit recoin, c’est aussi une cachette où les gens se mettent à l’abri parce qu’ils n’ont pas envie de vous voir », explique-t-il.

      On essaie d’être discret parce que les personnes que l’on rencontre sont plutôt apeurées. Elles ne savent pas de quel côté on est.Pierre, bénévoleà franceinfo

      Les migrants se cachent parfois dans des cabanes, sous des abribus, dans des toilettes publiques ou des abris poubelles. La plupart du temps, quand les maraudeurs les retrouvent, ils ne sont vêtus que d’un jean et d’une paire de basket. Corinne Torre, responsable au niveau national de Médecins sans frontières déplore : « Il y a eu des morts. On défie quiconque de pouvoir rester dans des conditions comme ça, à -15 degrés l’hiver. C’est extrêmement dangereux. »

      Ils se font pourchasser par la police et se blessent. Ils peuvent tomber, ils peuvent mourir.Corinne Torre, de Médecins sans frontièresà franceinfo

      Trois migrants ont perdu la vie, deux autres ont disparu l’année dernière, en tentant de franchir la dizaine de kilomètres qui séparent Clavière, en Italie, de Briançon. Côté français, ils sont 200 bénévoles à venir régulièrement secourir les migrants. Même si certains ont été condamnés après des actions parfois houleuses, cela ne dissuade pas Gaspard, guide de haute montagne. « C’est de la bienveillance, comme il y en a chez les marins. Cela me semble être tout à fait logique », estime-t-il. Quand on voit les montagnes ici, illuminées et pleines de touristes... Pour eux, ce n’est pas la magie de Noël, la féerie de la neige."

      C’est parfois aussi dur que de traverser la Méditerranée. Ils l’appréhendent avec la même peur, la même crainte.Gaspard, guide de haute montagneà franceinfo

      Vendredi soir, aucun migrant n’a été secouru sur les pentes glacées de Montgenèvre, mais depuis le début de l’année, plus de 4 000 exilés, en provenance d’Italie, sont parvenus jusqu’à Briançon.

      https://mobile.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/hautes-alpes-une-grande-maraude-solidaire-a-montgenevre-pour-sou
      #pêcheurs

    • Maraude solidaire : ils étaient des dizaines…

      Hier soir (vendredi 15 mars 2019), 18h sonne au clocher de l’église de Montgenèvre, 400 personnes se retrouvent sous une banderole « Solidarité=Délit », devant les caisses des remontées mécaniques, bien couvertes et pleines de motivations.

      A l’appel de l’association Tous Migrants, la grande Maraude solidaire commence ce vendredi 15 mars en début de soirée. Les objectifs, annoncés au micro par Tous Migrants, sont multiples mais convergent tous vers un seul mot, humanité : faire découvrir la maraude et devenir tous maraudeur, être solidaires avec les maraudeurs inquiétés par la justice, faire prendre conscience de ce que vivent les exilés en ces lieux, dénoncer les violences policières, et rappeler les droits des demandeurs d’asile.

      Cinq ONG qui soutiennent ce rassemblement sont présentes et prennent la parole. Le secours catholique apporte un franc soutient aux bénévoles. La CIMADE dénonce les atteintes aux droits des personnes exilés et demandeurs d’asiles rappelant que l’Etat en est responsable, et que ces atteintes ne sont pas isolées mais générales sur tout le territoire. Médecins Sans Frontières compare les pressions policières et juridiques faites aux maraudeurs, aux identiques que l’ONG vit avec l’Aquarius en méditerranée. Amnesty international est présente en tant que défenseuses et défenseurs des droits de l’Homme qui sont bien oubliés sur nos frontières. Enfin Médecin Du Monde qui travaille en collaboration avec les solidaires briançonnais depuis 3 ans, rappelle que le gouvernement est en totale illégalité aux frontières, que d’accéder aux soins est fondamental, et que le combat doit continuer.

      Le refuge solidaire de Briançon annonce des chiffres renversants, 5205 personnes sont passés au refuge en 2018, 410 personnes aux mois, pourtant froid de janvier et février 2019, soit une moyenne de 7 passages par jour, 53000 repas ont été servi au refuge depuis sa création en 2017, 6 maraudeurs parcourent tous les jours dans les montagnes, 3 jours de périple pour les exiles en moyenne entre Clavière et Briançon, 4 décès connus et 3 disparitions, et des blessés… Toutes les remontées mécaniques sont maintenant fermées.

      Il est temps pour les maraudeurs en masse, qui sont venus parfois de loin pour comprendre ce qui se passent ici au fin fond des Hautes-Alpes, de partir en marche dans la nature. Des petits groupes se forment autour de maraudeurs plus habitués, et partent dans toutes les directions dans la neige à la nuit tombante.

      Les manifestants comprendront qu’à l’écoute des réponses, « il n’y a pas de règles il n’y a pas de plans » « juste, on marche, ou on ski et on regarde si on voit une personne en difficulté pour lui porter secours, sans jamais passer la frontière franco-italienne comme seule règle » « juste éviter des drames, aider simplement » « les exilés passent parfois très hauts et se perdent, se retrouvant dans une autre vallée » « on apporte des boissons chaudes, des couvertures de survies »… Cela semble si simple et pourtant tellement compliqué dans ce lieu exigeant par son relief, son climat, devenu une prison à ciel ouvert avec des policiers munis de projecteurs, de caméra infrarouge, de moto-neiges…scrutant les pistes.

      Les dameuses commencent à lisser le front de neige…

      Il est 20h30, rendez-vous, pour les maintenant 500 solidaires, devant la PAF. Sous les airs de musique de la fanfare, à la lumière des lampions, en cette journée du 15 mars internationale de luttes contre les violences policières, les témoignages des exilés lors de leur passage entre les mains de la police, sont écrits sur des pancartes et lus. Les automobilistes bloqués de part et d’autre du poste de frontière ont éteint leur moteur et écoutent. Les pancartes font faces aux cortèges de policiers, crs… ils ne peuvent faire autrement que de lire, d’entendre… Amnesty International leur rappelle qu’ils ont droits de refuser d’obéir si les ordres sont contraires à la loi, si un ose dire beaucoup d’autres suivront… et pourtant rien ne bouge. Ce face à face ravive les souvenirs des solidaires qui sont bien trop nombreux en ce même lieu. Le cortège repart au centre de la station en musique. La dameuse travaille la neige au milieu de la pente…

      Il est 22h la soupe est servie, on se réchauffe, un S.O.S apparaît dans la montagne, et au même moment une chasse à l’homme commence à la frontière… la foule se disperse, des petits groupes partent en maraude, un gros cortège retourne à la PAF vers la frontière. C’est à ce moment que la police déploie ses forces humaines pour traquer les migrants qui tentent de passer devant les yeux, les caméras des manifestants… On a peine à y croire et pourtant cela n’est pas un film, un migrant est attrapé sous les huées de la foule, des rangées de CRS se suivent pour remonter aux postes après avoir contenu la foule, la chasse continue tout autour. La station n’a jamais vu autant de personnes circuler dans tous les sens, partout à pied à cette heure-ci, il est 23h30. La dameuse est tout en haut de la piste…

      La grande maraude continuera bien longtemps dans la nuit. Les voitures des forces de l’ordre diminuent au fur et à mesure. Une dizaine de migrants sont arrivés au refuge cette nuit, quelques-uns sont restés bloqués à la PAF, un migrant a chuté et a été transporté par les pompiers. Les maraudeurs sont rentrés se reposer pour demain soir. La piste est damée, les skieurs vont se régaler….


      https://alpternatives.org/2019/03/17/maraude-solidaire-ils-etaient-des-dizaines

    • Du coup, @sinehebdo : #Voies_libres_Drôme #Drôme #Vercheny

      Voies Libres Drôme a un double objet : organiser, informer et promouvoir l’#accueil ; informer et sensibiliser sur la réalité des la situation des exilé.e.s, sur les politiques migratoires.

      Et cette #chanson :
      #Hermann - Ton visage est sur le mien
      https://www.youtube.com/watch?v=V90-TlrM98o


      #clip #vidéo #musique

    • Un arrêt de La #cjue qui met par terre tout le système mis en place en France depuis trois ans aux #frontières_terrestres.
      La cour estime que l’on peut pas considérer une #frontière_interne comme une #frontière_extérieure et que la #directive_retour avec ses droits (départ volontaire recours urgent contre les mesures et rétention) s’applique.
      En gros la cjue dit que l’on doit appliquer le #droit_commun soit des obligations de quitter soit des réadmissions Schengen même si on contrôle systématiquement. Or en France la paf notifie des refus d’entrée comme à Menton ou à montgenevre.
      Et on doit appliquer Dublin si demande d’asile dans un état membre. Cela veut dire recours suspensif possible.

      https://twitter.com/SadikGerard/status/1110226044538310657

      Arrêt de la cjue :

      « Renvoi préjudiciel – Espace de liberté, de sécurité et de justice – Contrôle aux frontières, asile et immigration – Règlement (UE) 2016/399 – Article 32 – Réintroduction temporaire par un État membre du contrôle à ses frontières intérieures – Entrée irrégulière d’un ressortissant d’un pays tiers – Assimilation des frontières intérieures aux frontières extérieures – Directive 2008/115/CE – Champ d’application – Article 2, paragraphe 2, sous a) »

      http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=A3D538BB2F6BB87A3A1145B398F89039?text=&docid=21

    • Remise du #prix suisse des droits humains #Alpes_ouvertes 2019 aux « #7_de_Briançon »

      En présence des personnalités internationales

      Le prix suisse des droits humains "Alpes ouvertes" 2019 du Cercle d’Amis Cornelius Koch (l’abbé suisse des réfugié·es, 1940-2001) est remis aux "7 de Briançon" en signe de reconnaissance et de remerciement pour leur engagement courageux dans le sauvetage de réfugié·es en montagne et dans la dénonciation des actes racistes et xénophobes. Le prix se monte à 12.000 CHF.

      Date : Mardi, 23 avril 2019

      Heures et lieux :

      9.30 h rassemblement à l’Obélisque Napoléon au Col de Montgenèvre, cérémonie de la remise du prix, prises de parole, acte symbolique à la frontière franco-italienne.

      12h - 14.30 h : A Briançon dans la salle communale du Vieux Colombier, Ch. de Ronde, Cité Vauban : buffet, musique et éloges. Ensuite visite des lieux d’accueil pour les réfugié·es.

      Prises de parole de personnalités internationales :

      Pinar Selek, écrivaine et sociologue (F, Turquie)

      Dick Marty, anc. procureur du canton du Tessin, anc. membre de l’Assemblée Parlementaire du Conseil d’Europe, (CH)

      Don Giusto de la Valle, prêtre et lauréat Alpes ouvertes 2017, Progetto Accoglienza Rebbio (I)

      Mussie Zerai, prêtre et co-fondateur du « Watch the Med Alarmphone » (I, Érythrée)

      Communiqué

      Le prix suisse des droits humains "Alpes ouvertes" 2019 est remis aux "7 de Briançon" en signe de reconnaissance et de remerciement pour leur engagement courageux dans le sauvetage de réfugié·es en montagne et dans la dénonciation des actes racistes et xénophobes. Nous avons décidé de décerner ce prix aux citoyens suisses Théo Buckmaster, Bastien Stauffer et à la citoyenne italienne Eleonora Laterza, dénommé·es les "trois de Briançon", et à quatre habitant·es des Alpes françaises – Mathieu Burellier, Benoît Ducos, Jean-Luc Jalmain et Lisa Malapert – dénommé·es les "quatre de Briançon". Nous souhaitons ainsi épauler ces personnes engagées, tout en interpellant l’opinion publique sur le sort intenable des réfugié·es qui traversent les Alpes franco-italiennes. Historiquement, les Alpes ont souvent été un lieu de refuge pour les persécuté·es et les résistant·es. Aujourd’hui elles sont le dernier verrou de l’Europe Forteresse, de Vintimille (Italie) au Montgenèvre (France), au col du Brenner (Autriche), en passant par Chiasso (Suisse). Ouvrons les Alpes pour un accueil humain !

      Delémont, 3 avril 2019

      Claude Braun et Michael Rössler

      Pour l’Association "Cercle d’Amis Cornelius Koch" et le Forum Civique Européen

      L’histoire du Prix Alpes ouvertes

      Le prix suisse des droits humains "Alpes ouvertes", instauré par Cornelius Koch, l’abbé suisse des réfugié·es (1940-2001), est décerné à des personnes et à des groupes engagés activement pour les droits des réfugié·es, des migrant·es, des personnes socialement défavorisées et des minorités menacées en Europe. Le prix se monte à 12.000 CHF. Les précédent·es lauréat·es : Don Renzo Beretta, Ponte Chiasso (I), en 1997 ; le syndicat ACLI, Côme (I), en 1998 ; Edition Drava, Klagenfurt (A), et "Mujeres Progresistas", El Ejido (Espagne), en 2000, en présence de Monseigneur Jacques Gaillot (F) ; Comité d’aide médicale en Transcarpatie (CAMZ), Oujgorod, Ukraine, 2012, en présence de Dick Marty (CH) ; l’Association "Firdaus" de Lisa Bosia Mirra (CH) et le "Progetto Accoglienza Rebbio" de Don Giusto della Valle, Côme (I), en 2017, en présence de Monseigneur Jacques Gaillot (F).

      Claude Braun & Michael Rössler : Un chrétien subversif – Cornelius Koch, l’abbé des réfugiés, Editions d’en bas, Lausanne, 2013.

    • Briançon : ville refuge à l’heure de la criminalisation de la solidarité

      Depuis 2015, la région de Briançon (Hautes-Alpes) est devenue un espace de tension migratoire, ce qui a valu à cette cité Vauban de 12 000 habitants d’être largement médiatisée à l’échelle nationale comme internationale. L’arrivée d’un nombre grandissant d’exilés depuis l’Italie à mesure que la frontière sud était militarisée a engendré un élan de solidarité parmi les citoyens briançonnais, dont certains ont récemment été jugés coupables « d’aide à l’entrée de personnes en situation irrégulière ». Les deux procès qui ont eu lieu à leur encontre au tribunal de Gap le 8 novembre 2018 et le 10 janvier 2019 témoignent de cette tension : les neuf accusés ont écopé de peines de prison avec sursis et de condamnations de plusieurs mois de prison ferme (cf. les communiqués de presse de l’Anafé et de La Cimade).

      ’étude menée par Aude Vinck-Keters en 2018 s’intéresse à l’accueil des exilés dans cette ville frontalière et cherche à identifier l’ensemble des acteurs briançonnais de cette solidarité envers les primo-arrivants ayant traversé la frontière franco-italienne par la montagne, mais également des demandeurs d’asile ayant souhaité s’installer dans la plus haute ville d’Europe. Si « la ville qui grimpe » a vu transiter par sa commune, et a accueilli en une année (juillet 2017 – juillet 2018) plus de 4 361personnes arrivant d’Italie, Briançon peut être considérée comme une ville-refuge au sens du refuge en montagne, c’est-à-dire un abri, un lieu-étape de repos et de transit pour continuer la course – et en l’occurrence ici, le parcours migratoire ; mais aussi un lieu d’accueil plus pérenne, un refuge au sens où des individus s’y installent sur un temps plus long, s’y mettent en sûreté pour échapper à une menace et y recherchent une protection internationale. Ainsi au sein de la région de Briançon, aux côtés des quelques dispositifs d’accueil établis par les autorités, s’est mise en place, avec plus ou moins de difficultés,une formidable mobilisation citoyenne soutenue par le pouvoir public local et notamment une municipalité qui s’est positionnée, sans hésitations, en faveur de l’accueil des exilés.

      Néanmoins, dans un contexte politique national et européen marqué par la volonté d’exclure les exilés de nos territoires et de nos frontières, par des politiques sécuritaires, de gestion de flux et de contrôle, celles et ceux que l’on appelle les « migrants » se voient criminalisés et ont bien souvent leurs droits bafoués, notamment en raison du choix pernicieux des autorités de chercher à distinguer les « bons réfugiés » des « mauvais migrants économiques ». Si les exilés sont criminalisés(car parfois assimilés à des « terroristes », des « profiteurs », des « envahisseurs », des « indésirables »), les personnes leur apportant un soutien le sont également. En effet, en Briançonnais, les personnes solidaires n’échappent pas aux contrôles, aux auditions, aux gardes-à-vue et aux poursuites en justice – l’exemple le plus probant étant le procès desdits « Sept de Briançon », suivi de celui de deux maraudeurs. Aussi s’agit-il ici de questionner l’accueil et la solidarité en Briançonnais à l’heure de la criminalisation des solidarités ; une criminalisation qui prend différentes formes et qui répond à une stratégie d’intimidation et de répression– en dépit de la décision du Conseil constitutionnel du 6 juillet 2018 consacrant le principe de fraternité –, en réponse à la théorie de « l’appel d’air » souvent défendue par certains responsables politiques.

      https://migrinter.hypotheses.org/category/retour-de-mission

    • Alpes du Sud : « #refus_d’entrée » pour les migrants, vers une évolution de la loi

      Le député (LREM) des Hautes-Alpes, Joël Giraud, a déposé deux amendements afin de répondre à des questions de droit difficilement applicables sereinement sur des territoires frontaliers en faveur des migrants mais aussi des forces de l’ordre.

      – Alpes du Sud -

      Actuellement discuté en commission, le texte sur la #loi_asile_et_immigration pourrait évoluer sur un point : le refus d’entrée en France. Dans un contexte du rétablissement des contrôles aux frontières intérieures, les #non-admissions ou #refus_d’entrée_d’étrangers ont fortement augmenté. En 2017, 85.408 personnes se sont vues notifier un refus d’entrer, soit une hausse de 34 %. Une pratique surtout mise en œuvre à la frontière franco-italienne, qu’a fait amender le député (LREM) des Hautes-Alpes Joël Giraud.

      « Les trous dans la raquette du droit sont aussi dangereux pour les personnes en détresse que sont les migrants, que pour les agents en charge de la sécurité publique », J.Giraud.

      Qu’est-ce que le refus d’entrée ?

      Lorsqu’un étranger arrive en France sans visa ou autorisation, il s’expose à un refus d’entrée sur le territoire français et pourra être placé en zone d’attente le temps pour l’administration d’organiser son retour vers son pays d’origine ou le pays d’où il provient. Une décision susceptible de recours du Tribunal administratif pour les étrangers qui ont fui leur pays pour demander l’asile en France. Ce dispositif mis en place en 2015, prévu essentiellement pour les aéroports et plus marginalement les gares internationales, a été entendu aux #frontières_terrestres.

      Mais le bât blesse dans des territoires, qui contrairement aux aéroports, n’ont pas de zones de rétention. « Cette imprécision juridique pouvait conduire à des interpellations très loin de la frontière. Là où considérer qu’une personne n’était entrée sur le territoire était parfois surréaliste », constate Joël Giraud.

      Dans un amendement, l’élu a proposé « une zone limitée aux communes limitrophes ou une bande de 10 kms par rapport à la frontière. » Le gouvernement en a accepté le principe, mais « le délimitera de manière précise par décret pour coller à la réalité du terrain. »

      Une attention particulière pour les personnes vulnérables

      Un deuxième amendement déposé par Joël Giraud fait écho aux situations dramatiques qui ont défrayé la chronique avec des personnes enceintes ou malades, à l’image de la jeune Nigériane ramenée en gare de Bardonecchia, enceinte et atteinte d’un lymphome, décédée peu de temps après à l’hôpital de Turin. Celui-ci prévoit « une attention particulière pour les personnes vulnérables, en insistant sur la situation des mineurs y compris accompagnés. »

      Joël Giraud rappelle que la vulnérabilité est définie par une directive de l’Union Européenne, transposée en 2015 en droit français qui dresse la liste exhaustive des personnes vulnérables (telles que les mineurs non accompagnés, les personnes handicapées, les personnes âgées, les femmes enceintes, les parents isolés accompagnés d’enfants mineurs, les victimes de la traite des êtres humains…) Preuve par l’exemple pour le député haut-alpin : « la précision sur les mineurs y compris accompagnés est utile devant, par exemple, les atermoiements, qui avaient conduit dans un premier temps à séparer à la suite d’un contrôle près de Briançon une femme en train d’accoucher, de son mari et de ses deux enfants mineurs, avant que les autorités nationales ne se ravisent. »

      Pour Joël Giraud, ces amendements seront « à la fois protecteurs de droits humains et des forces de l’ordre car les trous dans la raquette du droit sont aussi dangereux pour les personnes en détresse que sont les migrants, que pour les agents en charge de la sécurité publique, dont les missions doivent être définies non pas oralement, mais par des textes juridiques précis. »

      http://alpesdusud.alpes1.com/news/locales/67705/alpes-du-sud-refus-d-entree-pour-les-migrants-vers-une-evolution-
      #frontière_mobile #frontières_mobiles #10_km #zone_frontalière #bande_frontalière

    • Sulla rotta alpina con i migranti che cercano di entrare in Francia

      “Stiamo lasciando l’Italia, siamo quasi in Francia, ma sulle montagne in mezzo alla neve soffriamo il freddo. Abbiamo già passato la parte più dura delle frontiere, che è la Libia”, dice nel video Ousmane Touré, migrante ivoriano.

      Nel 2018 circa cinquemila persone hanno attraversato la frontiera tra Italia e Francia passando da Bardonecchia e dal Colle della Scala. Almeno tre persone sono morte lungo la traversata per ipotermia o perché si sono perse o sono cadute in un crepaccio. Nei primi mesi del 2019 ogni notte tra i dieci e i quindici migranti sono soccorsi sui sentieri che collegano Claviere, in Italia, al valico del Monginevro, in Francia. Nella maggior parte dei casi la gendarmeria francese li ferma e li riporta indietro sul versante italiano, operando di fatto dei respingimenti illegali di gruppo e non valutando le loro domande di asilo. Ma dopo qualche giorno i ragazzi riprovano ad attraversare la frontiera.

      https://www.internazionale.it/video/2019/04/12/rotta-alpina-migranti-francia-italia
      #vidéo

    • Angeli sotto accusa : quando la solidarietà diventa un crimine

      Chi lavora a contatto con i migranti è esposto a crescenti rischi di criminalizzazione. La denuncia arriva dalle Nazioni Unite, nell’ultimo rapporto sullo stato dei diritti umani l’ONU parla di un fenomeno globale che investe gli operatori della solidarietà in molte regioni del mondo ed è correlato alla chiusura delle frontiere. La preoccupazione è forte in tutta Europa, dove il tema dei migranti è terreno di scontro politico tra opposti estremismi.

      http://www.rainews.it/dl/rainews/media/angeli-sotto-accusa-1b555f32-1679-4b77-8820-13d564896233.html
      #Martine_Landry #solidarité #délit_de_solidarité

      Avec interview d’une représentante de Tous Migrants.

      Riccardo Noury parle de la naissance de la criminalisation des ONG (à partir de la minute 3’20) :

      "La criminalizzazione delle ONG è iniziata, per rimanere in questo decennio e per rimanere in Europa, in Russia con delle leggi contro le associazioni, sempre accusate di essere spie o agenti stranieri per il fatto di ricevere dei finanziamenti dall’estero. Poi questa legge è stata fotocopiata in Ungheria. Poi questa legge è stata promossa in Polonia. E oltre alle leggi che colpiscono tanto la libertà di associazione quanto singoli comportamenti di assistenza, c’è una deligittimazione fatta di titoli di giornale, fatta di dichiarazioni politiche. Io ricordo sempre quel giorno di aprile 2017 in cui gli ’angeli del mare’ diventarono coloro che, da un giorno all’altro, non salvavano più persone ma erano in commutta (?) con i trafficanti. E lì questa narrazioni è esplosa anche in Italia.

    • Les 7 des Briançon recevront le prix suisse « Alpes Ouvertes »

      Le prix suisse des droits humains « Alpes ouvertes » 2019 est remis aux « 7 de Briançon » en signe de reconnaissance et de remerciement pour leur engagement courageux dans le sauvetage de réfugié·es en montagne et dans la dénonciation des actes racistes et xénophobes. Nous avons décidé de décerner ce prix aux citoyens suisses Théo Buckmaster, Bastien Stauffer et à la citoyenne italienne Eleonora Laterza, dénommé·es les « trois de Briançon », et à quatre habitant·es des Alpes françaises – Mathieu Burellier, Benoît Ducos, Jean-Luc Jalmain et Lisa Malapert – dénommé·es les « quatre de Briançon ». Nous souhaitons ainsi épauler ces personnes engagées, tout en interpellant l’opinion publique sur le sort intenable des réfugié·es qui traversent les Alpes franco-italiennes. Historiquement, les Alpes ont souvent été un lieu de refuge pour les persécuté·es et les résistant·es. Aujourd’hui elles sont le dernier verrou de l’Europe Forteresse, de Vintimille (Italie) au Montgenèvre (France), au col du Brenner (Autriche), en passant par Chiasso (Suisse). Ouvrons les Alpes pour un accueil humain !


      https://alpternatives.org/2019/04/03/les-7-des-briancon-recevront-le-prix-suisse-alpes-ouvertes

    • Revue de presse de la #Grande_Maraude_Solidaire du 15 mars 2019

      https://gallery.mailchimp.com/f35dd1350edd04425c785ace6/files/b9a3f7fc-9d26-4124-81e6-b19136ec9331/Revue_de_presse.pdf

      #maraude_solidaire #Briançonnais #Briançon #migrations #solidarité #asile #réfugiés #frontière_sud-alpine #frontières

      Et deux vidéos :

      La Grande Maraude Solidaire - 15 mars 2019
      https://www.youtube.com/watch?v=plsJ1K9NNfc

      Transcription de quelques extraits :

      #Marie_Dorléans, Tous Migrants :

      « Pour nous il y avait 3 raisons professionnelles [d’organiser cette maraude solidaire] :
      – démontrer que notre solidarité est toujours intacte vis-à-vis des exilés quelque soit la forme d’intimidations qui peuvent essayer de décourager la solidarité et la fraternité, qui a été consacrée comme un principe constitutionnel récemment
      – on voulait soutenir pleinement l’action au quotidien, dans l’ombre des maraudeurs solidaires. Vous savez qu’il y a un certain nombre de maraudeurs qui sont intimidé, inquiétés, incriminés et condamnés (il y a eu des condamnations fermes, de la prison ferme, des amendes, du sursit, il y a 9 personnes qui sont dans ce cas-là actuellement, il pourrait y en avoir beaucoup plus). Chaque soir il y a 6 personnes qui partent en maraude. Ce sont des personnes qui, en plus d’aller sauver des vies, doivent se confronter très souvent à des contrôles, à des amendes.
      – qu’on se rappelle bien tous et qu’on martèle que nous sommes, non pas hors la loi, mais que nous sommes exactement dans la loi.

      Il y a certaines personnes qui mettent jusqu’à 3 jours pour traverser les 17 km qui séparent Clavière, du côté italien, à Briançon. 3 jours ça fait pas une grosse moyenne à l’heure en marchant. Il y a la neige, mais il n’y a pas que ça. Il y a le fait d’être terrorisé, de devoir se cacher, de devoir échappé aux traques policières. Et il y en a beaucoup qui sont refoulés 1 fois, 2 fois, 3 fois et qui finissent par passer. Ce qui signifie aussi qu’on pourra mettre toutes les frontières qu’on veut, quand des personnes sont désespérées, ce ne sont pas les frontières ou les dangers qui les arrêtent. Certaines ont évité de justesse la mort et les amputation grâce à l’intervention des secours en montagne ou des pompiers mais beaucoup d’entre elles garderont des séquelles physiques ou psychologiques évidemment.

      Au-delà de ces personnes qui ont survécu et échappé au pire, on voulait absolument rappeler aussi aujourd’hui celles qui n’ont pas eu cette chance et notamment parce qu’il faut pas s’habituer, parce qu’il ne faut pas que ces gens tombent dans l’anonymat. Le 7 février 2019, Tamimou, un jeune togolais de 28 ans, est mort d’épuisement et de froid au bord de la route nationale que la plupart d’entre vous viennent de monter. »

      #Joël_Pruvot, Refuge solidaire :

      "Notre mission c’est de proposer un temps de repos, une pause de quelques jours dans le long et dangereux voyage qui mène les exilés d’Afrique en Europe. Nous offrons le gîte et le couvert en lieu et place de l’Etat dont c’est pourtant la responsabilité pleine et entière. Le premier accueil c’est ce qu’on appelle une compétence régalienne. Nous assurons aussi le suivi médical des arrivants. Et là nous sommes de plus en plus inquiets. En effet, nous constatons une augmentation continue des personnes épuisées, en état de fatigue extrême, d’hypothermie, qui présentent des gelures et des blessures graves, que nous sommes obligés d’amener à l’hôpital.

      #Juliette_Delaplace, secours catholique :

      "Nous ce qu’on souhaiterait c’est que derrière le terme ’management des migrations’, ’gestion des flux’, ’sécurisation des frontières’ on se hisse à la hauteur d’hommes et de femmes qui sont en fait des géants et qu’on s’approche d’eux comme humains de manière fraternelle.

      #Pâquerette_Forest, SOS Alpes solidaires :

      « Ils marchent quelques fois avec google maps sur le portable, si le portable fonctionne, parce que si il fait trop froid ils n’ont plus de batterie, et au bout d’un moment ça marche plus. Après il y a un peu des traces de gens qui se promènent et du passage quand il y a des gens qui passent tous les jours, donc ça peut aussi les aider. Après ils se repèrent aux lumières des villages. #Tamimou qui est décédé, il a perdu ses bottes au-dessus de La Vachette. Ils ont coupé, et on a bien compris qu’au début ils étaient sur une espèce de piste et puis à un moment ils ont coupé la piste et ils avaient de la neige jusque là [elle montre la hauteur de la neige avec ses mains sur les jambes, on ne voit pas sur la vidéo]. Lui il a perdu ses bottes, après ils ont essayé de le porter, et puis il était épuisé et puis il est mort »

      Un maraudeur :

      « On trouve des personnes qui ne sont pas toujours en bonne santé : le froid, l’eau, ils n’ont pas forcément mangé depuis un petit moment. En général on a du thé et de quoi les faire manger un petit peu. Il n’y a pas de règles. C’est-à-dire que si vous savez... En général il y a des décisions qui se prennent vers minuit-une heure du matin, mais si vous savez qu’il y a encore du monde dans la montagne, vous ne rentrez pas forcément facilement »

      Une maraudeuse :


      « Si on ne veut pas se faire repérer, avec les lumières qu’il y a, c’est quand même extrêmement compliqué. »

      Autre maraudeur sur la présence policière et la difficulté à la fois du passage pour les exilés et d’apporter de l’aide par les maraudeurs :

      « Là-bas il y a un phare qui éclaire sur je ne sais pas combien... ils ont les motoneiges... Si nous on le fait à pied, il nous faut un quart d’heure ou 20 minutes... eux... ça veut dire que quand bien même vous pensez avoir potentiellement recueilli des personnes... tac... ça débarque ici et... voilà »

      Une participante à la maraude solidaire qui dit, en s’adressant à un policier :

      « Et on sait qu’il y a des gens qui sont très très bien et qui respectent les migrants aussi. On a de beaux témoignages aussi »

      Mauraudeuse :

      "Il y en a qui se cachent dans la neige pour échapper aux flics et qui restent parfois plus d’une heure. Tu imagines, dans un trou, recouvert de neige ? Et du coup il y a le stress de pouvoir aider les exilés, parce que clairement ils prennent de gros risques. Tu sais qu’il y en a 10 qui sont descendus du bus à Claviere. Tu essaies de trouver les 10. Il faut les trouver. Et tu restes jusqu’au bout tant que tu n’as pas trouvé tout le monde. Un soir il y en a 53 qui sont partis et il fallait être surs que les 53 arrivent à Briançon sains et saufs. Des fois tu passes toute la nuit là-haut. Tu rentres chez toi à 3 heures du matin. Et si il y en a un que tu n’as pas pu aider, tu penses à celui-là et tu ne dors pas.

      –---------
      MARAUDE TOUS MIGRANTS - Mars19
      https://www.youtube.com/watch?v=UF0MfYBTlRI

    • Vidéo sur Facebook :
      AU COL DE MONTGENÈVRE LORS DE LA REMISE DU PRIX ALPES OUVERTES UN DES SEPT DE BRIANÇON INTERPELLE LES FORCES D’UN ORDRE ARBITRAIRE

      Ici la transcription d’une partie du discours, la partie qui a été enregistrée sur cette vidéo :

      Est-ce un jeu de contribuer au gaspillage de dizaines de milliers d’euro chaque jour pour contrôler cette frontière lorsqu’on sait pertinemment que cela ne sert à rien ? Est-ce un jeu de poursuivre cette politique absurde qui perpétue la souffrance et ne peut conduire qu’au pire ? Est-ce un jeu de n’être qu’un pion dans la mise en scène du risque d’invasion, pour s’employer à convaincre que la migration est une menace et qu’on y fait face ? Est-ce un jeu de continuer à rester sourd aux dangers et souffrances que la politique que vous appliquez engendre ? Et de répondre ainsi aux injonctions de quelques nantis dont la préoccupation consiste seulement à préserver la sécurité de leur fortune personnelle, la permanence de leurs privilèges, à nourrir leurs appétits de puissance et de dividendes, à poursuivre le pillage de la planète et l’appropriation de tous les biens communs ? Est-ce un jeu de n’avoir à proposer en guise de réponse que la violence, l’intimidation, la criminalisation, le rejet, le découragement, ou est-ce un aveu de faiblesse ? Non, ce n’est pas un jeu, il ne tient qu’à vous d’avoir le courage de l’arrête. Ce qui se passe est sérieux ici. Ce n’est pas un jeu d’avoir à ce cacher de la police comme on se cacherait d’une milice alors qu’on est juste là pour sauver des vies. Ce n’est pas un jeu de dénoncer ce système dont cette frontière est l’avant-goût parce que c’est la réalité. Un système qui a juste décidé de dégoûter des gens de venir en France en leur rendant la vie invivable. Un système qui vise juste à créer, jusqu’en France, des conditions encore pire que dans les pays d’origine de ces exilés. Un système qui sans cesse détruit le moindre abri, remet les personnes à terre et organise leur découragement. Ce n’est pas un jeu non plus de dénoncer la répartition géographique entre des lieux de misère et des lieux d’abondance, entre des ayants-droit et des sans-droits. Parce que cette misère est le résultat de la construction de systèmes de production inéquitables, de rapports de domination parfaitement intentionnels."

      https://www.facebook.com/alex.robin.7505/videos/10216193363258819

      Le texte complet

      Remise du Prix Alpes Ouvertes : « Ce n’est pas un jeu ! » la déclaration de #Benoit_Ducos

      Un prix décerné à 7 personnes condamnées en France, par le tribunal de Gap, pour leur engagement courageux dans le sauvetage des refugiés et la dénonciation d’actes racistes et xénophobes, remise par une organisation suisse, sur le territoire français. On croit rêver. Dans ce pays qui arbore pourtant si fièrement les mots Liberté, Egalité, Fraternité et République Française, les Autorités ne récompensent pas ce genre d’action, mais la condamne. Par contre, le chef de l’Etat se permet de donner des leçons de droits de l’homme au monde entier :

      « Nous avons des valeurs, chaque fois que nous les avons trahies nous avons créé le pire. C’est le respect des droits de l’homme, de l’individu, des autres Etats et de leur intégrité qui nous lie. »

      « Pour les persécutés et les combattants de la liberté, je serais intraitable. Ils doivent être accueillis sur notre territoire. Les laisser errer de frontière en frontière ce n’est pas la France. »

      Ces mots révèlent la façon dont l’Etat français s’accommode avantageusement de valeurs qu’en réalité il piétine.

      Il en est de même de la foule de textes et de pactes internationaux, de directives européennes que la France se vante d’avoir signé, qui fondent une éthique de la solidarité et de l’humanité, mais qui ne sont plus que des mots vidés de leur sens parce qu’elle les invoque juste pour faire oublier qu’elle ne les respecte pas.

      Nous sommes là parce que la politique migratoire de ce pays, prétendument des plus avancés et respectueux des droits de l’homme, voire mythifié comme terre d’asile, touche en réalité un véritable seuil de barbarie consciente et déterminée.

      « Plus que des mots, des valeurs qui font la France. » nous dit-on encore : et bien, oui, nous sommes parfaitement conscients et fiers de la faire la France, en allant à la rencontre de personnes qui franchissent nos montagnes au péril de leur vie pour venir chercher un peu de paix, en leur donnant à manger et à boire, en leur donnant des vêtements chauds, en leur proposant de retrouver un peu de dignité, en défendant leurs droits, en dénonçant des actes racistes et xénophobes, en nous offusquant de la violence dont elles sont victimes, en les secourant lorsqu’elles sont en difficulté, en leur offrant un abri lorsqu’elles sont mises en danger, en ne les laissant pas au bord de la route, comme nous le ferions ou le faisons pour n’importe qui d’autre.

      Depuis son rétablissement en 2015, cette frontière broie de l’humain, pousse les corps et les esprits à bout, dit non à la vie qui vient.

      Les personnes migrantes y voient leurs droits bafoués, se font dépouiller de leur argent, subissent des pressions psychologiques qui visent à les décourager, sont délaissées sur la voie publique alors que leur état nécessiterait des soins voire une hospitalisation, sont traquées et prises en chasse comme du gibier, sont accueillies, à coup de matraques, à coup de pied, à coup de poings, à coup de menaces, d’insultes, de guets apens, sont mises en danger, voire poussées vers des parcours mortels.

      Répondre à leurs SOS est un devoir, cela s’appelle de l’assistance à personnes en danger.

      Nous l’avons entendu cet hiver de la part de policiers et gendarmes en service en train de nous traquer, sans doute bien briefés par leurs supérieurs :

      « De toute façon, on va finir par tous vous avoir. »

      « Ici c’est grillé, il va falloir trouver un autre endroit. Quand vous l’aurez, nous le trouverons aussi et il faudra de nouveau changer. C’est le jeu. »

      Mais est-ce un jeu que cette répétition systématique d’actes de violence, d’humiliations, de vols, de graves atteintes aux droits, de chasse à l’homme, de menaces envers des personnes qui ont la peau noire ou bien est ce que cela porte un nom ?

      Est-ce un jeu que de contrarier les opérations de secours et de mise à l’abri de personnes vulnérables, de jouer avec des vies au risque de les mettre en danger comme on joue avec des pions ?

      Est-ce un jeu de prendre l’aspect de randonneurs afin que les exilés s’enfuient lorsque des solidaires sont là pour leur porter assistance ?

      Est-ce un jeu lorsque dans le froid de la nuit du 6 au 7 février 2019 Tamimou s’efface ?

      Est-ce un jeu que de réprimer et décourager les solidarités, et les idéaux de fraternité et d’humanité, de nous intimider, de nous harceler, de nourrir l’ambition de nous avoir tous ?

      Est-ce un jeu de croire que se feront avoir ceux qui défendent des valeurs d’égalité et non pas ceux qui décident et se rendent complices de l’hécatombe quotidienne en Méditerrannée et en Libye, ceux qui décident et se rendent complices de la mise en œuvre de politiques inhumaines et de rejets, ceux qui l’auront pour toujours sur la conscience, tandis que l’histoire révélera à leurs enfants ces pratiques criminelles d’élimination ?

      Est-ce un jeu que d’être les instruments d’un laboratoire du recul des droits fondamentaux qui progressivement nous touche toutes et tous, faisant vaciller l’Etat de droits et agoniser la démocratie ?

      Est-ce un jeu que d’être les serviteurs d’un véritable dispositif de guerre disproportionné face à des personnes totalement désarmées à tous les sens du terme ou bien est ce juste inhumain et honteux ?

      Est-ce un jeu de contribuer au gaspillage de dizaines de milliers d’euros chaque jour pour contrôler cette frontière lorsqu’on sait pertinement que cela ne sert à rien ?

      Est-ce un jeu de poursuivre cette politique absurde qui perpétue la souffrance et ne peut conduire qu’au pire ?

      Est-ce un jeu que de n’être qu’un pion dans la mise en scène du risque d’invasion pour s’employer à convaincre que l’immigration est une menace et qu’on y répond ?

      Est-ce un jeu que de continuer à rester sourds aux dangers et souffrances que la politique que vous appliquez engendre et de répondre ainsi aux injonctions de quelques nantis dont la préoccupation consiste seulement à vouloir préserver la sécurité de leurs fortunes personnelles et la permanence de leur bien être, à vouloir nourrir leurs appétits de puissance et de dividendes, à poursuivre leur pillage de la planète et leur appropriation de tous les biens communs.

      Est-ce un jeu que de n’avoir à proposer en guise de réponse que la violence, l’intimidation, la criminalisation, le rejet, le découragement, ou est ce un aveu de faiblesse ?

      Ce qui se passe ici est sérieux.

      Ce n’est pas un jeu d’avoir à se cacher de la Police comme on se cacherait d’une milice alors qu’on est là juste pour sauver des vies.

      Ce n’est pas un jeu de dénoncer le système dont cette frontière est l’avant goût parce que c’est la réalité. Un système qui a juste décidé de dégoûter des gens de rester en France en leur rendant la vie invivable, qui vise juste à créer, jusqu’en France, des conditions encore pire que les pays d’origine des exilés, un système qui sans cesse détruit le moindre abri, remet les personnes à terre, organise le découragement, le fait qu’elles n’arrivent jamais, qu’il leur faudra sans cesse recommencer.

      Ce n’est pas un jeu de dénoncer la partition géographique entre des lieux de misère et des lieux d’abondance, entre des ayant droits et des sans droits.

      Parce que cette misère est le résultat de la construction de système de production inéquitables, de rapports de domination parfaitement intentionnels, institués et entretenus.

      Parce que les exemples sont sans fin de cette construction de la misère du fait de la destruction du tissu économique et social et des écosystèmes par les anciennes puissances coloniales qui deviennent les pays de destination d’éxilés dont elles ont participé à rendre invivable le territoire d’origine et qui mettent en œuvre, chez elles, une politique visant à rendre à ces mêmes exilés la vie invivable sur leurs sols.

      Parce que les situations que fuient ces exilés, ce sont bien les nations riches qui les ont créées et qui continuent à les entretenir en négociant des accords de vente d’armes avec les dictateurs de la plupart des anciennes colonies françaises, en négociant et en imposant des accords de partenariats qui ne visent qu’à créer les conditions économiques les plus favorables possibles aux entreprises françaises, en mettant en place une aide au développement qui a pour but de conquérir des marchés plutôt que d’offrir des perspectives d’avenir aux jeunes de ces pays juste parce que ces pays ont toutes les ressources dont la France peut rêver.

      Parce que jamais la richesse ne s’est autant concentrée aux mains de quelques uns mais hors d’atteinte de presque tous alors qu’elle est faîte par tous.

      Parce que dans un monde où tout le monde voit tout le monde, ne cesse de se comparer à l’autre, nul pourra se voir interdire de penser que sa situation pourait être plus enviable ailleurs et de tenter sa chance.

      Ce n’est pas un jeu que de rappeler qu’une autre politique est possible, une politique qui avance des réponses de justice, de solidarité et d’égalité et non des réactions de rejet et d’indifférence qui font de l’Europe la destination du monde la plus meurtrière pour ceux qui cherchent un peu de liberté et de bonheur.

      Ce n’est pas un jeu de rappeler que nous partageons tous une seule et même planète et de prendre conscience que les migrations ne sont que l’une des manifestations de la vie sur cette planète et des menaces qui peuvent l’assaillir.

      Ce n’est pas un jeu de dénoncer que nombre de ces menaces révèlent l’impasse d’un système industriel et financier ultralibéral qui pille et pollue la planète, affaiblit les peuples et les dispositifs sociaux et accroît les inégalités.

      Ce n’est pas un jeu de penser que tout celà appelle à l’invention d’un devenir radicalement autre dans lequel une politique du soin porté aux individus permettra à chacun de se construire une personne, des personnes qui justement prendront soin à leur tour des biens communs à commencer par cette planète.

      Ce n’est pas un jeu de dire que nous pensons qu’il est possible de faire place, de faire vraiment entrer des vies dans notre espace, d’en faire cas parce qu’elles ont quelque chose à nous dire de ce monde, de qu’elles sont et de ce qu’elles souhaitent. De penser qu’il est possible que le vivre ensemble l’emporte sur la peur de se faire remplacer, que la responsabilité et le partage l’emportent sur l’autorité et l’ordre.

      Ce n’est pas un jeu de dire notre vision d’un monde que nous voudrions plus juste ,moins abîmé, d’ invoquer un principe de commune humanité, de vouloir organiser le défi d’un monde partagé et d’accompagner dans la recherche d’un sol durable des gens qui viennent à nous,

      Non ce n’est pas un jeu que de penser le monde de demain, c’est juste faire preuve de responsabilité.

      Pour toutes ces raisons , nous voilà récompensés, en 2018 du Prix Méditerranée de la Paix puis du Prix Suisse des Droits Humains aujourd’hui, ici au pied du Mont Janus et du massif du Chenaillet qui, du haut de leurs 2600 m, ont comme un message à nous envoyer…

      Le Dieu romain Janus est un dieu assimilé au passage, le Dieu ouvreur des portes, des voies, le Dieu des départs et des retours, de tous les possibles.

      Janus est représenté portant une clé pour ouvrir les portes et un bâton pour indiquer le chemin au voyageur.

      Indiquer le chemin au voyageur ! Voilà qui pourrait être source d’inspiration à la fois dans cete station qui communique pour attirer les vacanciers sur le thème ‘Montgenèvre, lieu de passage depuis l’antiquité’ et pour les forces de Police affectées ici aussi car les refoulements et les délivrances immédiates de refus d’entrée sont illégaux.

      Indiquer le chemin reste donc la seule solution pour ne pas contrevenir à la loi.

      Janus est également représenté sous la forme d’un personnage à deux visages opposés. L’un qui regarde derrière lui, vers le passé, l’autre qui regarde devant lui, vers l’avenir. Car, oui, pour bien savoir où l’on va, il faut se souvenir d’où l’on vient et notamment qu’il y a seulement 6000 ans tous nos ancêtres avaient encore la peau foncée, que nous sommes donc bien tous migrants.

      Le massif du Chenaillet est connu des géologues du monde entier pour être un fossile de l’Océan Alpin. On trouve sur ses pentes des basaltes en coussin, les mêmes que ceux qui se forment encore au fond des océans : ces endroits où le basalte remonte à la surface et se fige au contact de l’eau sont reconnus comme des lieux ayant joué un rôle essentiel dans l’apparition de la vie sur terre.

      Tout ça pour dire que la vie ne tient qu’à un fil, à un peu de roche fondue qui remonte des profondeurs et que cela devrait inciter à en prendre, ici comme ailleurs, le plus grand soin.

      Pour terminer, je ne peux m’empêcher de penser au courage dont font preuve aussi sur ce territoire, les habitants solidaires, solidaires d’autres personnes qui ont du quitter leur pays et qui cherchent un coin de terre où elles pourront enfin vivre en paix..

      Au courage dont font preuve toutes les personnes qui les secourent, les transportent, les accueillent, les aident, leur cuisinent un repas, les hébergent, lavent leur linge, les soignent, les aident à trouver des formations.

      Au courage dont font preuve les associations Tous Migrants, Marcel Sans Frontières, Refuge Solidaire, le Secours Catholique, le Secours Populaire, mais aussi Emmaûs, l’ANAFE, la CIMADE, Médecins du Monde, Amnesty International et toutes les autres qui nous soutiennent.

      Au courage dont font preuve nos amis italiens qui les accueillent à Oulx.

      Au courage de certains élus locaux, trop rares, à celui des secouristes, des professionnels de santé, des commerçants, des artisans qui apportent leur contribution en protégeant, en secourant, en soignant, en apportant de la nourriture, en dépannant un équipement.

      Au courage de ceux qui sont devenus bénévoles dans nos lieux d’accueil et qui s’occupent de leurs frères lorsqu’ils arrivent et ont besoin de prendre un peu de repos.

      Au courage de ceux qui, ayant continué leur chemin, se heurtent à des murs.

      Au courage de tous ceux qui depuis des mois arrivent de toute la France et parfois même de l’étranger pour nous aider. Je pense tout particulièrement à la FSGT, à la Fanfare Invisible, au réseau Semences Paysannes, aux Syndicats, à nos amis de la Montagne Limousine, du Trièves, de la région stéphanoise, marseillaise, bordelaise, de Hollande, d’Espagne…

      Au courage de tous ceux qui sont tout autant méritant que nous 7.

      C’est un prix pour nous tous, pour nous encourager tous sur ce chemin de résistance, continuer à être nous mêmes et ne pas devenir les serviteurs dociles d’un Etat qui bafoue les droits fondamentaux et devient de plus en plus répressif..

      Tant qu’il y aura des frontières policières, administratives, économiques qui tuent, des procureurs, des juges, des préfets et des ministres irresponsables, il y aura toujours des délinquants solidaires en bande organisée pour enrayer la machine à broyer de l’humain, pour incarner des oasis de résistance dans un désert d’humanité.

      Benoit Ducos (l’un des 7 de Briançon)

      https://alpternatives.org/2019/04/24/remise-du-prix-alpes-ouvertes-ce-nest-pas-un-jeu-la-declaration-de-be

    • A Montgenèvre, maraude aux confins de la République pour venir en aide aux migrants

      Ce col des Hautes-Alpes est un des tout derniers points de passage vers la France pour les exilés – majoritairement originaires d’Afrique de l’Ouest – qui quittent l’Italie du populiste Matteo Salvini.

      Au crépuscule, la frontière offre au regard de Mila* un paysage incertain avec ses taches d’ombres, de brume et de neige. Cachée sous un rocher moussu, elle peut voir, derrière un col encore enneigé, percer les lumières de Clavière, premier village italien. C’est de là que doivent arriver dans la nuit trois hommes originaires d’Afrique de l’Ouest qui souhaitent rejoindre la France. Cette nuit, Mila, 37 ans, est de maraude.

      Arrivée récemment dans la région, elle a rejoint un collectif informel et changeant, sans liste de membres ni chef, qui, de nuit en nuit, dans la vallée de la Durée, veille pour indiquer le chemin aux migrants perdus, faire en sorte qu’ils atteignent leur destination, la ville voisine de Briançon. Si ces derniers sont interceptés par les gendarmes armés de fusils d’assaut et de lunettes thermiques, déployés aux alentours, ils seront renvoyés de l’autre côté, sans avoir pu demander l’asile.


      https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/05/05/a-montgenevre-maraude-aux-confins-de-la-republique-pour-venir-en-aide-aux-mi
      #paywall

    • #Blessing, migrante noyée dans la Durance : des mois de silence et un dossier en souffrance

      Il y a un an, le corps de #Blessing_Matthew était retrouvé contre un barrage des Hautes-Alpes. La Nigériane, qui venait de franchir la frontière, fuyait une patrouille de gendarmes. Le parquet a écarté lundi leur responsabilité, ce que contestent sa sœur et l’association Tous migrants.

      C’était il y a un an. Le 7 mai 2018, Blessing Matthew s’est noyée dans la Durance à La Vachette (Hautes-Alpes), un lieu-dit de Val-des-Prés situé sur la route de Briançon. Cette Nigériane de 20 ans venait juste de passer la frontière franco-italienne, de nuit, en groupe et par les sentiers, dans le secteur du col de Montgenèvre. Selon ses compagnons de traversée, la dernière fois qu’elle a été vue, peu avant l’aube, elle était poursuivie par les forces de l’ordre, boitillante, épuisée et terrifiée, sur les berges du torrent en crue printanière. Le 9 mai, son corps est retrouvé à dix kilomètres en aval, flottant contre un barrage EDF du village de Prelles. La jeune femme ne porte plus que sa culotte, un anneau d’argent et un collier avec une pierre bleue. C’est le premier cadavre retrouvé depuis le début de l’afflux de migrants à la frontière des Hautes-Alpes, en 2016. Depuis, les corps de trois autres Africains ont été découverts dans la montagne. L’histoire de Blessing est pourtant une tragédie à part. Parce que c’était une femme, alors qu’elles sont ultra-minoritaires sur la frontière, parce que c’était la première victime, et parce que les conditions de sa mort restent troubles.

      Le 25 septembre 2018, sa sœur aînée, Christina, qui vit en Italie, pays dont elle a la nationalité, porte plainte « contre X, pouvant être les représentants de l’autorité publique » pour « homicide involontaire, mise en danger de la vie d’autrui et non-assistance à personne en danger ». Depuis, le parquet de Gap, à l’exception d’une demande d’identité de témoins cités dans la plainte, ne s’était plus manifesté. Sept longs mois de silence donc. Jusqu’au classement sans suite, lundi soir, par le procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, de l’enquête « pour recherche des causes de la mort » ouverte à la découverte du corps.

      Confiée aux gendarmes de Briançon et à ceux de Marseille pour la partie « tentative d’interpellation » de Blessing, l’enquête a conclu « à l’absence d’infraction » de la part des gendarmes mobiles. La plainte de Christina, reçue « en phase de clôture de l’enquête » n’a pas changé sa nature, ni donné lieu à la saisine de l’Inspection générale de la gendarmerie, détaille le procureur : « Les gendarmes n’ont distingué que trois silhouettes dans la nuit, sans déceler qu’il y avait une femme » et « n’ont pas entamé de course-poursuite mais ont mis en œuvre un dispositif de recherche des trois migrants dans la zone de fuite. »

      Trop tard et trop peu pour Christina et l’association briançonnaise Tous migrants : elles se sont constituées partie civile auprès du doyen des juges d’instruction du tribunal de Gap, comme le permet la loi lorsque le parquet ne donne pas suite à une plainte dans un délai de trois mois. Maeva Binimelis, du barreau de Nice, signe la nouvelle plainte au nom des trois avocats de Christina et de Tous migrants.

      L’ouverture d’une instruction, désormais incontournable, permettra aux parties civiles d’avoir accès à l’enquête : « J’ai des doutes sur sa qualité. Le parquet a-t-il fait tout ce qui était en son pouvoir ? » interroge l’avocate. Christina, « terriblement choquée », veut « éclaircir les zones d’ombre. Que s’est-il passé cette nuit-là ? Est-ce un accident ? Quel rôle ont joué les forces de l’ordre ? »
      Lampes torches

      La nouvelle plainte s’appuie sur une version différente de celle des enquêteurs, établie par le travail des militants de Tous migrants, mobilisés dès la découverte du corps. Ils retrouvent Roland, l’un des compagnons de Blessing, Nigérian lui aussi, au principal lieu d’accueil de Briançon, celui de l’association Refuges solidaires qui a accueilli 8 550 migrants depuis juillet 2017. Roland leur raconte que Blessing, épuisée, Hervé (un troisième Nigérian) et lui-même ont été surpris par cinq « policiers » vers 5 heures du matin après avoir marché toute la nuit. Lampes torches allumées près d’eux, ils crient « police ! » Les trois Nigérians détalent vers La Vachette, en contrebas. Roland se cache à l’entrée du hameau, voit les autres s’enfuir et les forces de l’ordre patrouiller longuement avant de partir. Si Roland n’a pas été arrêté, Hervé a été interpellé ce matin-là puis reconduit à la frontière, selon le monde opératoire classique dans les Hautes-Alpes : 1 899 « non-admissions » en 2017, 3 409 en 2018, et 736 déjà en 2019 selon la préfecture, en application de la règle européenne prévoyant que les demandes d’asile doivent être faites dans le premier pays d’arrivée.

      Tous migrants localise Hervé dans un camp de Turin et son témoignage, recueilli par l’avocat italien de Christina, confirme et précise celui de Roland. Les « policiers » qui « leur courent après » ont leurs armes à la main et menacent de tirer, assure-t-il. Caché en contrebas de l’église, au-dessus de la Durance, il aperçoit Blessing sur l’autre rive, accroupie dans un pré, des lampes torches allumées non loin d’elle. Repéré, il s’enfonce dans des taillis et ne la voit plus, mais il l’entend crier et appeler à l’aide pendant plusieurs minutes. Puis plus rien. Les « policiers » continuent à chercher sur la rive.

      Un troisième témoin rencontré par Tous migrants, J., séjournant dans un gîte à proximité, a été réveillé au petit matin par un « déploiement impressionnant » : des ordres sont criés, trois utilitaires de la gendarmerie sont stationnés dans la rue, une dizaine de gendarmes fouillent les jardins, les abords de la rivière. Michel Rousseau, pilier de Tous migrants, détaille ce recueil de témoignages, mission habituelle de l’association : « Ces témoins, choqués mais clairs dans leurs propos, nous ont parlé en toute connaissance de cause. Nous avons vérifié leurs récits sur les lieux. Tout se tient. » Dès le 14 mai 2018, l’association alerte le procureur, par signalement. Ses militants, puis Roland, sont ensuite entendus par les gendarmes. L’association, en parallèle, dénonce publiquement « les pratiques policières révoltantes reposant sur des guets-apens et des courses poursuites ». Ce signalement auprès du procureur avait été le premier. Depuis, Tous migrants, sous l’égide de Me Binimelis, en a déposé huit autres, reprochant aux forces de l’ordre violences, délaissements de personnes vulnérables, faux en écriture publique, destructions de documents, vols, injures à caractère racial… Deux victimes ont même porté plainte pour « violences aggravées » et « vol aggravé ».

      L’avocate explique que le parquet ne lui a fait part d’aucune prise en compte de ces signalements et plaintes. « Il y a pour moi deux poids et deux mesures : pour les militants solidaires, la machine pénale va jusqu’au bout, mais lorsqu’on suspecte des représentants de la force publique, aucune suite ne semble être donnée. » Depuis un an, 10 militants solidaires ou maraudeurs ont été condamnés à Gap pour « aide à l’entrée d’étrangers en situation irrégulière sur le territoire », dont deux, à de la prison ferme.
      « Mise en danger »

      Contacté par Libé , le procureur de Gap assure que « la totalité des signalements et plaintes a été traitée », donnant lieu soit « à des vérifications auprès des services potentiellement concernés », soit « à l’ouverture d’enquêtes préliminaires », dont il ne précise pas la nature, soit à leur ajout« à d’autres procédures en cours ». Il déplore la « posture » de Tous migrants qui consiste à lui fournir des « éléments quasi inexploitables : des témoignages anonymes, ne permettant pas d’identifier les forces de l’ordre visées ».

      Hervé, le témoin clé concernant Blessing, n’a ainsi pas été entendu, explique le procureur qui regrette que Tous migrants ne lui ait pas communiqué « les éléments du témoignage » de cet homme et son identité complète. Les enquêteurs l’avaient joint par téléphone au début de l’enquête mais il avait « refusé de revenir en France pour témoigner », dit le procureur…

      Sur la même période, les témoignages d’infractions commises par les forces de l’ordre, en particulier de par la police aux frontières, se sont multipliés. Les chasses à l’homme - ou « chasses au Noir », comme le lâche Maeva Binimelis - n’ont par ailleurs jamais cessé. « C’est tous les jours, à pied, en quad ou à motoneige, avec des jumelles infrarouges et même des chiens parfois », détaille un maraudeur briançonnais. La Commission nationale consultative des droits de l’homme, institution officielle venue en inspection à Briançon, a invité l’Etat, en juillet, à « prendre immédiatement les mesures qui s’imposent à la frontière franco-italienne pour mettre fin aux violations des droits fondamentaux et aux pratiques inhumaines », à « sortir du déni » et à « modifier radicalement sa politique responsable de la mise en danger d’êtres humains ». La préfecture des Hautes-Alpes indique que « ce rapport à portée nationale n’appelait pas de réponse locale, même si certains faits, appréciations et interprétations pourraient être discutés ».

      Treize ONG, menées par Amnesty et l’Anafé, ont lors d’une mission en octobre récolté « de nombreux témoignages de violation des droits […] et de menaces proférées par les policiers » et déposé 11 référés-liberté, dont 8 pour des mineurs isolés refoulés. La préfecture fustige ce rapport « outrancier et erroné », assurant que les forces de l’ordre « exercent leurs missions dans le strict respect de la loi » et ont « pour consigne constante de considérer en toutes circonstances l’état de vulnérabilité des personnes ». Elle ajoute que signalements et plaintes sont du ressort de la justice et qu’elle n’en a « pas été destinataire ». Michel Rousseau gronde : « Ce qui se passe ici révèle la violence directe, brutale et barbare de notre système. »

      Dans un recoin du cimetière de Prelles, à l’écart, Blessing repose sous un tumulus de terre. Il y a toujours des fleurs fraîches sur sa tombe.

      https://www.liberation.fr/france/2019/05/07/blessing-migrante-noyee-dans-la-durance-des-mois-de-silence-et-un-dossier

    • Cet article qui date de juin 2018 (signalé par @reka), bizarrement pas recensé sur seenthis (car le petit triangle ne devient pas plein quand je mets l’URL) :

      Dans les Alpes, la fonte des neiges révèle les corps de migrants morts en tentant de passer en France

      Des riverains et l’association Tous migrants se battent pour comprendre le parcours des victimes, retrouver leur identité et pouvoir leur offrir une sépulture.


      https://www.lemonde.fr/societe/article/2018/06/07/dans-les-alpes-la-fonte-des-neiges-revele-les-corps-de-migrants-morts-en-ten

      #paywall

    • Austrian far-right leader searched on suspicion of forming terrorist group with #Christchurch shooter

      Investigation widens to include #Martin_Sellner ’s fiancee #Brittany_Pettibone following her contact with Australian far-right figure #Blair_Cottrell

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/26/austrian-far-right-leader-searched-on-suspicion-of-forming-terrorist-gr

      Pourquoi j’ajoute cette nouvelle à ce fil de discussion ?

      Car...

      Ils étaient ts les 2 presents pour bloquer le Col de l’échelle en avril 2018,a l’époque le procureur avait classé l’affaire en 2h


      https://twitter.com/nos_pas/status/1144210049331552259?s=19

    • Nos associations saisissent des instances au niveau national et international pour que cessent les atteintes aux droits à la frontière franco-italienne

      Malgré les nombreuses alertes de nos associations, les violations des droits fondamentaux des personnes en migration se poursuivent à la frontière franco-italienne, de Menton à Briançon. Afin que cessent ces atteintes inacceptables, nos associations font aujourd’hui appel au procureur de la République de Nice ainsi qu’au rapporteur spécial des Nations unies sur les droits de l’homme des migrants.

      Privation illégale de liberté

      Fin juin 2019, treize signalements ont été déposés auprès du procureur de Nice par l’Anafé, Oxfam, WeWorld et Iris. Ces signalements concernent la privation illégale de liberté dont font l’objet des personnes avant leur refoulement en Italie. En effet, chaque soir, des personnes sont enfermées toute la nuit, dans des Algeco attenant au poste de la police aux frontières de Menton. Ces Algeco sont des containers de 15 m2 dépourvus de mobilier pour s’allonger, où des dizaines de personnes peuvent être maintenues en même temps, privées de nourriture, pendant des durées dépassant largement les quatre heures « raisonnables » de privation de liberté admises par le Conseil d’État.

      C’est le cas d’Alpha*, ressortissant nigérian âgé de 17 ans, qui a témoigné auprès des associations avoir été enfermé dans la nuit du 27 au 28 mai 2019 dans un Algeco, pendant plus de dix heures avec une dizaine d’adultes, dans des conditions exécrables avec des toilettes inutilisables. Il aurait pourtant déclaré sa minorité et exprimé son souhait de demander l’asile en France, sans que cela ne soit pris en compte par les forces de l’ordre.

      Les mineurs sont ainsi régulièrement enfermés avec des adultes, et les femmes ne sont pas toujours séparées des hommes. Marie*, ressortissante ivoirienne, a expliqué avoir été enfermée dans la nuit du 6 au 7 juin 2019 pendant près de onze heures et demie, avec une autre femme et deux hommes qu’elle ne connaissait pas, sans savoir pourquoi elle était détenue et jusqu’à quand elle le serait.

      Adama*, ressortissant sénégalais, a témoigné avoir été enfermé dans ces mêmes Algeco pendant plus de neuf heures, dans la nuit du 16 au 17 juin 2019. Il aurait demandé plusieurs fois à voir un médecin en raison de la blessure qu’il avait aux doigts suite à son interpellation, mais il n’a pas pu avoir accès à des soins avant d’être refoulé en Italie.

      Ces témoignages ont été portés à la connaissance du procureur de la République de Nice qui avait annoncé, fin 2018, l’ouverture d’une enquête suite à un signalement déposé le 20 novembre 2018 par des associations et des élus, à propos des pratiques de la police française à l’encontre des personnes en migration, en particulier des mineur.e.s isolé.e.s, lors des refoulements en Italie.

      Ces treize nouveaux signalements doivent être pris en compte dans le cadre de cette enquête, qui n’a pour le moment débouché sur aucun changement des procédures administratives et policières.

      La détention arbitraire est l’une des atteintes aux droits fondamentaux des personnes pour laquelle nos associations, Amnesty International France, l’Anafé, La Cimade, Médecins du Monde, Médecins sans Frontières, le Secours Catholique Caritas France, ainsi que de nombreuses organisations intervenant à la frontière franco-italienne saisissent aujourd’hui le rapporteur spécial des Nations unies sur les droits de l’homme.

      À cette privation de liberté s’ajoutent de multiples violations des droits, telles que l’impossibilité de demander l’asile, que ce soit au poste de la police aux frontières de Montgenèvre ou à celui de Menton. Nos associations dénoncent également la non-protection des mineur.e.s isolé.e.s et le non-respect des garanties légales lors des refoulements vers l’Italie.

      Nos organisations ont invité le rapporteur spécial des Nations unies, Felipe Gonzalez Morales, à venir sur le terrain constater ces graves atteintes aux droits des personnes exilées commises par les autorités françaises et ainsi formuler les recommandations adéquates qui, nous l’espérons, feront enfin respecter les droits à la frontière franco-italienne.

      Cette saisine a également été transmise au défenseur des droits, au contrôleur général des lieux de privation de liberté et à la Commission nationale consultative des droits de l’homme.

      https://www.amnesty.fr/presse/nos-associations-saisissent-des-instances-au-niveau

    • « Patrouilles » anti-migrants : six mois ferme requis à l’encontre de trois militants identitaires

      #Clément_Gandelin, #Romain_Espino et #Damien_Lefèvre ont comparu jeudi 11 juillet pour « confusion avec l’exercice d’une fonction publique » au cours de leur opération anti-migrants du printemps 2018 dans les Alpes françaises. 75 000 euros d’#amende ont été requis à l’encontre de leur association d’#ultra-droite. Le jugement a été mis en délibéré jusqu’au 29 août.

      Il n’a prononcé que quelques mots au début de l’audience, ne souhaitant pas prendre la parole « étant donné que ce procès n’est rien d’autre que politique et que jamais nous [Génération identitaire – ndlr] n’avons dit que nous prenions la place de la police », a-t-il estimé. « Tant pis pour vous, quand les gens parlent c’est pour exprimer leur défense », lui a rétorqué ferme la présidente du tribunal de Gap (Hautes-Alpes), Isabelle Defarge. Mais Clément Gandelin, 24 ans, s’est muré dans son silence le reste de l’audience.

      Impassible, le président de l’association d’ultra-droite Génération identitaire, raide dans sa chemise blanche, était le seul à la barre ce 11 juillet. Les deux autres prévenus, absents, Romain Espino, 26 ans, porte-parole et Damien Lefèvre 29 ans, ex-cadre du mouvement et aujourd’hui attaché parlementaire du député Gilbert Collard (RN), étaient représentés par leur avocat Me Pierre-Vincent Lambert.

      Les trois militants extrémistes étaient poursuivis pour « activités exercées dans des conditions de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique » (article 433-13), lors de leur opération médiatique anti-migrants « #Mission_Alpes » dont ils se sont autoproclamés investis entre le 21 avril et le 29 juin 2018 dans les Alpes françaises, à six kilomètres de la frontière italienne.

      Une centaine de membres de Génération identitaire reconnaissables à leurs doudounes bleu flashy avaient alors investi le temps d’une journée le col de l’Échelle, qui culmine à 1 760 mètres d’altitude, entre les versants donnant sur le village français de Névache d’un côté et la gare italienne de Bardonecchia de l’autre. Une dizaine de militants identitaires, dont les prévenus, étaient ensuite restés pour « patrouiller », se targuaient-ils, plusieurs semaines dans le Briançonnais. Leur but : bloquer ce chemin périlleux emprunté par les exilés, alors souvent des mineurs venus d’Afrique de l’Ouest.

      Pour leur opération, le procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, a requis six mois d’emprisonnement ferme à l’encontre des trois hommes, ainsi que 75 000 euros d’amende à l’encontre du groupe Génération identitaire, également poursuivi en tant que personne morale. Des réquisitions prenant en compte « le casier judiciaire », a-t-il justifié, deux d’entre eux n’étant pas « éligibles à du sursis simple », en raison de leurs précédentes condamnations.

      La délicate notion de « confusion » dans l’exercice d’une fonction publique, un délit « pas simple à manier » en raison du « très peu de jurisprudences », a insisté Raphaël Balland, figurait au cœur de son réquisitoire. Génération identitaire a voulu créer la « confusion avec l’exercice d’une fonction publique ou d’une activité réservée aux officiers publics ou ministériels », a t-il détaillé lors de son accusation. Un développement oral qui lui semblait cher. Lui si souvent accusé de « deux poids deux mesures », dans ses poursuites desdits « pro » et « anti-migrants » dans ce département montagneux devenu le théâtre d’une tension autour de l’accueil des exilés.

      Dans la salle, une poignée de militants identitaires sont restés discrets à l’écoute des réquisitions fermes. À la sortie du tribunal, peu de soutiens visibles, juste deux représentants du mouvement, chemise ou polo proprets, coiffure soignée, incarnation voulue des universitaires bourgeois ou de la classe moyenne qui composent majoritairement ce mouvement de jeunesse des identitaires, selon les politologues experts de l’extrême droite.

      Face à la presse, Clément Gandelin a lâché quelques déclarations qui se voulaient très mesurées, ignorant les huées d’une dizaine d’antifascistes présents devant le palais de justice. « Ce sont des réquisitions assez fortes pour des faits grandement tirés par les cheveux. Si nous sommes condamnés, nous ferons appel (...). Ce n’est pas une condamnation qui nous arrêtera. »

      Une stratégie de communication sobre, peu habituelle pour le groupe identitaire qui mise d’ordinaire sur les sorties spectaculaires pour faire entendre son idéologie anti-islamiste et nationaliste. Sur Twitter, les réactions étaient moins réservées. « Que ce soit clair : je ne regrette rien et si c’était à refaire, je le referais ! » a exprimé l’un des absents Romain Espino, pendant que le militant Clément Martin, parlait de « peine délirante ».

      Plusieurs fois au cours de l’audience, le slogan des antifascistes, « Clément, Clément, on t’attend », a résonné entre les murs de la haute salle d’audience. Remontés dehors sur le parvis, ils voulaient dénoncer ces « racistes » et leur expédition « abjecte ». Elle remonte au 21 avril 2018, comme l’a rappelé la présidente Isabelle Defarge, tout aussi souriante qu’elle a pu être piquante, à l’énoncé des faits.

      Celle-ci les résume comme l’expédition d’« un groupe important de soi-disant randonneurs habillés comme des Schtroumpfs qui ont chaussé les raquettes et sont montés au col » pour barrer la route aux migrants à l’aide d’un filet orange. Certains des policiers auditionnés dans le dossier « confirment la similitude des doudounes bleues et des vestes de dotation de la police aux frontières », rappelle la présidente.

      Doté d’un arsenal volontairement tape-à-l’œil de pick-up, de deux hélicoptères, d’un avion, le groupe communique de façon boulimique sur son action à grand renfort de selfies, vidéos, comme il l’avait fait l’année précédente, pour son opération spectacle anti-migrants à bord du navire C-Star, qui avait croisé dans les eaux internationales entre la Libye et l’Italie.

      Tant de photos, de tweets diffusés sur la Toile, précise Isabelle Defarge, qui ont été portés au dossier. L’opération médiatique du 21 avril fut éphémère, souligne pour sa part le procureur Balland, puisque l’hélicoptère, loué sur un mensonge – au nom d’une prétendue mission écologique –, ne le fut que « le temps d’un aller-retour pour quelques clichés », moque-t-il.

      « Le vrai problème, c’est le droit des migrants à cette frontière »

      Mais leur prétendue « mission » se poursuit avec une dizaine de membres, ils se targuent de « patrouiller », « d’enquêter sur les réseaux de passeurs », de « ramener des clandestins au poste (de police) », égrène la présidente utilisant les propres termes des militants, diffusés sur la Toile entre le 21 avril et le 28 juin 2018.

      Parmi la poignée d’identitaires qui restent actifs entre ces dates, selon l’accusation : Romain Espino, Damien Lefèvre, surnommé dans le milieu « #Damien_Rieu », Clément Gaudelin, alias « #Galant », qui « semblent avoir des problèmes avec leurs identités », ironise la présidente face au prévenu au regard vide.

      Lui est déjà connu de la justice pour sa condamnation en 2015 pour violences sur personne dépositaire de l’autorité publique. Son co-accusé, l’actuel attaché parlementaire du Rassemblement national Damien Lefèvre, l’a également été – entre autres – en 2017. Pour l’occupation de la mosquée de Poitiers en 2012, il a écopé d’un an de prison avec sursis et d’une mise à l’épreuve de deux ans. Cette action avait mis en lumière ce mouvement – alors nouvellement créé – de jeunesse des identitaires. Un nouveau procès devrait avoir lieu en appel.

      Face à l’ampleur de leur « mission » de com’ identitaire, qui a cristallisé les tensions dans les Alpes, une première enquête est ouverte le 25 avril 2018 par Raphaël Balland pour des faits « qui pourraient s’apparenter à des violences » commises par ces militants sur des exilés. Elle est classée sans suite, sous la sidération des bénévoles qui viennent en aide aux migrants.

      Le procureur attend le 11 mai et la publication d’une circulaire du ministère de la justice – révélée par Mediapart – pour déclarer avoir « confié au groupement de gendarmerie des Hautes-Alpes, une enquête préliminaire plus globale ouverte du chef d’immixtion dans une fonction publique ».

      Au terme d’un an d’enquête, il décide finalement de poursuivre les trois militants et leur association pour « activités » exercées « de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique ». Cette dite « confusion » est sanctionnée jusqu’à un an de prison et 15 000 euros d’amende, une peine plus légère que les trois ans de prison et 45 000 euros d’amende encourus pour immixtion.

      « Le délit d’immixtion ne tenait pas », justifie le procureur optant pour le délit de confusion « dont la défense fera son miel, prévient-il, car très peu usité et il y a très peu de jurisprudences ». Raphaël Balland tente à plusieurs reprises d’interpeller le prévenu mutique.

      « De quel droit ? » lance-t-il, regard braqué sur le militant identitaire à l’allure passive. Son avocat maître Pierre-Vincent Lambert répond à sa place : « Tout cela est totalement artificiel. » Et de plaider la relaxe : « Le délit [de confusion] n’est pas constitué. »

      Assis au premier rang, Agnès Antoine et Michel Rousseau sont restés concentrés, prenant des notes au premier rang. Ces membres de l’association humanitaire Tous migrants s’indignent d’un « deux poids, deux mesures au regard des chefs d’accusation des sept de Briançon », résume Michel Rousseau à l’issue de l’audience de plus de quatre heures.

      Dans ce même tribunal, ceux que l’on connaît dans la vallée sous l’appellation des « 3+4 de Briançon » avaient été condamnés à douze mois de prison pour deux d’entre eux, et six mois avec sursis pour les autres, pour avoir « facilité l’entrée » à la frontière d’une vingtaine de migrants lors d’une marche organisée en réponse à l’opération de Génération identitaire, le 22 avril 2018.

      Agnès Antoine et Michel Rousseau avaient assisté, depuis le public, à ce premier procès. De retour pour suivre cette fois le procès des identitaires, Agnès Antoine et Michel Rousseau ont voulu s’y impliquer ce 11 juillet en demandant à se constituer partie civile au nom de leur association. Leur but, disent-ils, est de rappeler que « ce procès mascarade est un dérivatif du vrai problème », à savoir « le droit des migrants à cette frontière », s’indigne Michel à la sortie de l’audience.

      Ils avaient remis au dossier un recueil de témoignages de quatre exilés anonymes. Les premiers concernés et grands absents de ces affaires judiciaires, tant il leur est « difficile de témoigner contre l’action d’un État auprès duquel ils demandent la protection », résument les bénévoles.

      Les paroles ont été portées au dossier, a rappelé leur avocate Maéva Binimelis dans sa plaidoirie, mais rapidement écartées comme non recevables par la présidente. « Nous n’avons pas de noms des témoins », a t-elle tranché. Malgré les réquisitions « mesurées », admet leur avocate, les bénévoles n’y croient pas. « Ils ne prendront jamais autant », prédit Michel Rousseau.

      Le jugement a été mis en délibéré au 29 août. Durant ce long temps judiciaire, estime Agnès Antoine, les drames « sont quotidiens à la frontière, nous sommes comme des urgentistes, peu nombreux et sans moyens ». Et de rappeler, touchée, la mort récente d’un jeune Togolais dans les reliefs frontaliers. Son corps inanimé avait été découvert en février entre Briançon et Montgenèvre.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/120719/patrouilles-anti-migrants-six-mois-ferme-requis-l-encontre-de-trois-milita

    • A Far-Right Group’s Leaders Face Jail For A Stunt That Blocked A Border

      It’s the first case against the French branch of Generation Identity since reports emerged that it had accepted a donation from the suspected #Christchurch shooter.

      A French prosecutor called for prison sentences on Thursday for three leaders of a far-right group that took money from the Christchurch shooter.

      The defendants, Clément Gandelin, Romain Espino, and Damien Lefèvre, are leaders of the French branch of Generation Identity, or Génération Identitaire, an anti-immigrant group best known outside Europe for a stunt in summer 2017 to disrupt rescues of immigrants in the Mediterranean. Later that year, it accepted a 2,200-euro donation from the Christchurch shooting suspect.

      The French prosecutor’s proposed sentence — 6 month’s jail time for the three leaders as well as the maximum possible fine of 75,000 for the organization as a whole — is the first time Generation Identity has had charges against it brought before a judge since its connection to the Christchurch shooter was first reported. A judgment is expected on Aug. 29.

      When the link between the Christchurch suspect and the Generation Identity chapter in Austria emerged in March, Austrian officials immediately ordered raids on the branch’s leader, popular white nationalist YouTuber Martin Sellner. Germany has followed suit, stepping up its domestic surveillance on Generation Identity. France has, until now, taken no direct action against the group, despite repeated calls by anti-racism NGOs for its dissolution.

      “It’s a first step in dealing with this group,” Justine Bourasseau, a legal expert working with French NGO SOS Racisme, which has sought four times since 2017 to have the group banned under a French law that prohibits “incitement to racial hatred.”

      “They needed to be condemned to show them that, in fact, they do not have the right to do whatever they want,” Bourasseau continued.

      The men were tried in Gap, a small city near France’s Italian border. The charges relate to an incident in 2018, when more than 100 members blocked the road to people trying to enter France from Italy.

      They used an expensive array of means to do so — drones, a fleet of 4x4s, and even two helicopters and a light aircraft rented for the occasion — funded by donations that got a boost from the Twitter network of ex–Ku Klux Klan leader David Duke in the United States. Generation Identity declined to provide a comment to BuzzFeed News.

      The French arm of Generation Identity was founded in 2012 by former members of Unité Radicale, a far-right group that was banned following a plot to assassinate then-president Jacques Chirac. Its ties to the alleged Christchurch shooter should have been a major wake-up call to security officials, said Dominique Sopo, the president of SOS Racisme, in an interview with BuzzFeed News in March. The group also has close ties to France’s second-largest party, Marine Le Pen’s National Rally. An Al Jazeera documentary released last year showed that figures high up in the party, such as Nicolas Crochet and Frédéric Chatillon, who are known to be Le Pen’s “men in the shadows,” have supported the French group. And one of the three convicted activists, Damien Lefèvre, is a parliamentary assistant for National Rally MP Gilbert Collard.

      Despite this, French officials advise caution before completely banning the French branch of Generation Identity: “When we engage this procedure of dissolution, we have to be sure that everything is well done, and go right to the end of the procedure,” Frédéric Potier, director of the French antidiscrimination agency known as DILCRAH, said in a phone interview with BuzzFeed News. “There is nothing worse than [a request for dissolution] being refused by the justice system: It reinforces and legitimates [the French extension of the organization].”

      Up until this instance, the French government had not taken any legal action against Generation Identity as a movement, relying instead on its new anti–hate speech law to trigger suspensions of members’ Facebook accounts on a case-by-case basis.

      “We think it’s totally inadmissible. ... The government is not doing enough,” Bourasseau said.

      https://www.buzzfeednews.com/amphtml/zorromaplestone/generation-identity-six-months-jail-stunt-france?__twitter_impression=

    • #Témoignage d’une nuit à la frontière franco-italienne : la #solidarité face à la #déshumanisation des exilé.e.s

      Ce 15 mars 2019, nous rejoignons #Montgenèvre (Hautes-Alpes) à l’appel de l’association briançonnaise Tous Migrants, soutenu par cinq associations nationales, afin de participer à une grande maraude solidaire [1]. Suite au rétablissement des contrôles aux frontières intérieures en 2015, cette station de ski perchée à 1860 mètres d’altitude s’est progressivement transformée en théâtre du rejet et des violences institutionnelles envers les exilé.e.s. Certain.e.s y perdent la vie. Face à l’ignominie de cette réalité est né un monde de solidarité, que les maraudes organisées par des citoyens de la vallée symbolisent au mieux. C’est animé.e.s du désir de montrer notre soutien à ces solidaires que nous avons pris la route, mais aussi l’idée qu’il devient nécessaire de témoigner de ce qui se passe au quotidien dans nos montagnes. Cependant, nous ne pensions pas être confronté.e.s à une réalité si brutale. Nous ne pensions pas qu’il serait difficile de verbaliser ce que nous avons vu cette nuit-là, d’exprimer ce que nous avons ressenti ; pourtant il faut nous efforcer de tenter d’en rendre compte.

      Dès notre arrivée à Montgenèvre, le paradoxe de cette frontière nous saute aux yeux. Une frontière à la fois invisible et floue ; étendue et poreuse. Invisible et floue car on ne sait jamais exactement où l’on se trouve par rapport à elle. Là, sommes-nous en France ? Et ici, en Italie ? Les glisseurs de la station slaloment avec la frontière, évoluant entre les arbres sans se soucier de savoir si celui-ci est un sapin italien et celui-là un pin français, s’ils foulent la poudreuse de Clavière, premier village italien après la frontière, ou de Montgenèvre, dernier village français avant la frontière. Etendue et poreuse car les contrôles dits « frontières » peuvent s’étendre sur des dizaines de kilomètres et prennent différentes formes. Ces contrôles se matérialisent par le local de la police aux frontières (PAF), une présence massive des forces de l’ordre et des vrombissements de motoneiges. Ils donnent lieu à des violations quotidiennes des droits, à des humiliations, des violences verbales et physiques. Et cela, depuis près de trois ans.

      - En décembre 2017, un jeune homme refoulé évoquait déjà les violences, les humiliations et les privations de liberté subies à la frontière lors de son refoulement. Interpellé au niveau du col de l’Echelle dans la nuit, il témoigne de coups de pieds que la police lui aurait donné lors de l’interpellation. Amené au poste de la PAF de Montgenèvre, il n’a reçu aucune information, seul un document qu’il n’a pas compris lui a été remis et il a été enfermé dans une petite salle, au fond du poste, seul, sans bagages, sans nourriture, pendant plusieurs heures. A 6h du matin, période de la journée la plus froide, il a été déposé par la PAF à l’entrée du village de Clavière, dans la neige. Il souhaitait faire une demande d’asile en France. [3]

      Cherchant à échapper à ces contrôles, les personnes prennent des risques de plus en plus importants, au péril de leur vie. Elles sont souvent retrouvées exténuées, en hypothermie, déshydratées et effrayées, parfois blessées. Les militants et maraudeurs évoquent avec nous la dureté de cet hiver, où les températures tombent très bas et les nombreux cas de gelures graves qu’ils constatent chez les personnes qui arrivent à Briançon.

      Cette situation a déjà conduit à des évènements dramatiques à plusieurs reprises. Depuis 2017, au moins quatre personnes ont ainsi perdu la vie à cette frontière.

      L’une d’elles est Tamimou : un mois avant cette grande maraude à laquelle nous venons participer, le 6 février 2018, ce jeune Togolais de 28 ans a été retrouvé en état d’hypothermie sur la route entre Montgenèvre et Briançon. Il est décédé avant d’être arrivé à l’hôpital. Il avait perdu ses chaussures en marchant dans les sentiers enneigés, de nuit. [4]

      Une frontière paradoxale donc, aux bords de laquelle l’insouciance des loisirs se mêle à une réalité innommable qui demeure impunie.

      La soirée du 15 mars nous l’a faite entrevoir. Guidé.e.s par des habitant.e.s de la vallée, nous partons d’abord en petits groupes pour comprendre ce qu’est une « maraude solidaire ». Nous suivons alors Dimitri*, qui nous explique qu’il « maraude » presque tous les soirs dans la montagne afin de porter assistance aux personnes en détresse en montagne. Mais c’est surtout la solidarité qu’il incarne que nous retenons des échanges avec lui, quand il évoque l’intensité des moments de partage et la participation croissante des gens de tous horizons à ces maraudes nocturnes.

      Nous rejoignons les autres. Personne ne sait combien nous sommes exactement, mais il semble que nous soyons « 400 ou 500 ». Tou.te.s ensemble, au rythme de la fanfare joyeuse qui joue Bella Ciao, nous partons en direction du poste de la PAF, dernier chalet avant la frontière, situé à dix minutes à pied du centre de Montgenèvre. Nous nous y arrêtons, dans un face-à-face avec les forces de l’ordre qui nous y attendent, lourdement armées. Des témoignages d’exilé.e.s qui ont été interpellées par les forces de l’ordre sont lus par différent.e.s maraudeu.r.se.s et solidaires. Des témoignages de violences, de vols, de menaces, de traques, de douleurs, résonnent dans le micro. La police reste impassible. L’intensité du moment nous monte à la tête.

      Nous retournons ensuite au lieu de rendez-vous initial, au pied des remontées mécaniques. Les associations et citoyen.ne.s prennent tour à tour la parole pour sensibiliser les passants. Une soupe est partagée. Des expériences et idées sont échangées, la soirée de maraude solidaire touche à sa fin.

      Puis, d’un coup, l’alerte.

      Une vingtaine de personnes seraient pourchassées par la police juste en contrebas, devant le poste de la PAF, et « ça se passe mal ». Besoin de renfort, de témoins. Par petits groupes, nous repartons vers la PAF. Les forces de l’ordre se font menaçantes. Vêtues de leurs uniformes « blindés », elles partent en masse, au pas de course, vers la montagne. Dans les paysages devenus d’immenses étendues de nuances d’ombres, des projecteurs balaient les reliefs de leurs larges faisceaux. Quelque chose d’anxiogène se glisse sur les pistes. Des motoneiges. Au loin, des lampes torches s’agitent entre les arbres. La chasse à l’Humain est ouverte.

      Divers sentiments nous traversent : la peur, mais aussi l’urgence et le devoir de solidarité qui nous poussent à continuer d’avancer. Le silence et l’obscurité deviennent pesants. D’un coup se détachent des ombres sur le côté droit. Elles courent et certaines crient « Help ! », « Help ! », des fonctionnaires armés à leurs trousses. La course poursuite dans la neige commence. Traques, chutes, cris, affolement, épuisement, interceptions, blocages. Nous assistons à des scènes d’une violence inouïe avec, sous nos yeux, des personnes qui sont trainées dans la neige par les forces de l’ordre. De nouveau, un face à face pétrifiant s’instaure entre ces forces de l’ordre et les solidaires qui sont là pour témoigner que des personnes sont en train d’être refoulées au mépris de leurs droits et sans considération pour leur vie. Les témoignages lus quelques minutes auparavant devant le poste de la PAF deviennent réalité. Aux aguets, nous perdons la notion du temps. Sous nos yeux embués, défilent ainsi des images qui nous évoquent des scènes de guerre.

      L’allégresse de la journée, celle des vacanciers aux terrasses des restaurants et sur les pistes, tout cela a disparu. La nuit a laissé entrevoir une autre réalité : celle de la frontière qui blesse, de sa militarisation et de la théâtralisation du pouvoir policier. Nous observons les forces de l’ordre remonter vers le poste de la PAF. D’elles émane le visage du travail accompli, de la force et du pouvoir. Les voir évoluer dans la neige, empêtrés dans leurs équipements massifs, rend la situation d’autant plus insoutenable. C’est aussi l’absurdité d’une réalité qui ne devrait pas être qui nous atteint de plein fouet et nous secoue. La déshumanisation est à l’œuvre, sinon comment comprendre que des êtres humains se comportent ainsi vis-à-vis d’autres êtres humains ?

      Le lendemain matin, quelques heures plus tard à peine, le soleil irradie de nouveau la station de ski de Montgenèvre. Les skieurs, sans conscience des événements de la nuit, slaloment de nouveau entre les arbres, balayant ainsi les dernières traces des scènes nocturnes laissées dans la neige. Tout cela a-t-il vraiment eu lieu ? Ces scènes étaient-elles réelles ? Oui. Elles sont même quotidiennes. Pourtant, elles sont insoutenables, presque impossible à raconter et ne peuvent être rationnalisées. Aucun mot, aucune métaphore n’a le pouvoir de retranscrire ce que nous avons vu et ressenti, mais il nous faut tout de même témoigner, même si les mots nous semblent pauvres face à l’horreur des scènes auxquelles nous avons assistées. Il nous faut laisser une trace qui ne sera pas effacée dans la neige. Il nous faut contribuer à dénoncer cette réalité invisibilise qui met à l’écart, déshumanise, criminalise. Il nous faut exprimer notre sentiment de responsabilité face à de tels faits. Il nous paraît aussi essentiel de rendre hommage à la beauté, à la force, à la détermination et au courage de ces citoyen.ne.s, qui, chaque nuit, luttent contre cette inhumanité de la frontière et lui redonnent des visages de solidarité, d’accueil, de partage et de rencontres.

      Ebranlé.e.s par ce à quoi nous avons assisté cette nuit du 15 au 16 mars 2019, nos questionnements se succèdent. Dans cette réalité indigne qui se joue quotidiennement à nos frontières, notre responsabilité à tout.e.s est clairement engagée. Alors, ensemble, que faisons-nous ?

      https://www.humanite.fr/temoignage-dune-nuit-la-frontiere-franco-italienne-la-solidarite-face-la-de

      #humiliations #violence #frontière #motoneiges #PAF #refoulement #push-back #coups_de_pieds #maraude_solidaire #vols #menaces

    • Génération identitaire : condamnés à six mois ferme pour avoir tenté de bloquer la frontière

      Ce jeudi 29 août, le tribunal correctionnel de Gap a prononcé des peines de prison ferme, après l’opération menée au col de l’Échelle (Névache) en avril 2018. Le groupuscule d’ultra-droite et trois de ses membres étaient poursuivis.

      Le tribunal a rendu sa décision : ce sera six mois de prison ferme pour trois prévenus du groupuscule d’ultra-droite Génération identitaire. Ils étaient poursuivis pour avoir « exercé des activités dans des conditions de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique ». Ils écopent également de 2000 € d’amende et de privation des droits civils, civiques et familiaux pendant cinq ans. Enfin, l’association Génération identitaire est condamnée à 75 000 € d’amende.

      Dans le viseur de la justice, ce procès était celui de l’opération menée le 21 avril 2018, lorsque les membre du groupuscule d’ultra-droite Génération identitaire – une centaine – avaient surveillé la frontière pour empêcher des migrants de passer. A grands coups de tweets, vidéos et le recours à un hélicoptère pour une opération baptisée “Defend Europe”.
      Six mois d’emprisonnement ferme avaient été requis

      Lors de l’audience au tribunal correctionnel haut-alpin, le 11 juillet dernier, le procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, avait requis six mois d’emprisonnement ferme et l’interdiction d’exercer les droits civiques pendant un an pour les trois prévenus (Clément Gandelin, Romain Espino et Damien Lefèvre) ainsi que 75 000 € contre l’association Génération identitaire.

      Le seul prévenu présent au procès, le président du mouvement Clément Gandelin, avait gardé le silence. L’avocat de la défense avait plaidé pour la relaxe. Le tribunal a finalement suivi les réquisitions du procureur.

      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/08/29/generation-identitaire-les-trois-prevenus-condamnes-a-six-mois-de-prison

      #condamnation #justice

    • Trois identitaires condamnés à six mois ferme pour des patrouilles anti-migrants

      Deux responsables de Génération identitaire ainsi qu’un ex-cadre ont été condamné jeudi à six mois de prison ferme pour avoir « exercé des activités dans des conditions de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique ». Le groupe Génération identitaire a écopé d’une #amende de 75 000 euros.

      Six mois de #prison_ferme, 2 000 euros d’amende et des privations de droits civiques, civils et familiaux pendant cinq ans. #Clément_Gandelin, 24 ans, le président de l’association d’ultra-droite Génération identitaire, #Romain_Espino, 26 ans, porte-parole, et #Damien_Lefèvre, 29 ans, ex-cadre du mouvement, ont tous les trois été condamnés ce jeudi 29 août par le tribunal de Gap pour leur opération anti-migrants effectuée dans les Alpes au printemps 2018.

      Les trois militants extrémistes étaient plus précisément poursuivis pour « activités exercées dans des conditions de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique » (article 433-13), lors de cette action médiatique qui avait pour but affiché de bloquer un point de passage frontalier emprunté par les exilés passés par l’Italie, à l’époque souvent des mineurs venus d’Afrique de l’Ouest.

      Le groupe Génération identitaire, également poursuivi en tant que personne morale, a, lui, écopé d’une amende de 75 000 euros.

      Le tribunal a estimé jeudi que la prison ferme s’imposait à l’encontre des accusés, « compte tenu de la nature extrêmement grave des faits, de l’importance du trouble à l’ordre public occasionné non seulement pendant leur période de commission mais de manière durable dans le département, de l’importance des valeurs protégées par les infractions reprochées et du passé pénal des prévenus », d’après la motivation du jugement consultée par l’AFP.

      Ladite « Mission Alpes » dont ils s’étaient proclamés investis s’était tenue entre le 21 avril et le 29 juin 2018 dans les Alpes françaises, à six kilomètres de la frontière italienne.

      Une centaine de membres de Génération identitaire reconnaissables à leur doudoune bleue avaient d’abord investi le temps d’une journée le col de l’Échelle, qui culmine à 1 760 mètres d’altitude, entre les versants donnant sur le village français de Névache d’un côté et la gare italienne de Bardonecchia de l’autre. Une dizaine de militants identitaires, dont les trois prévenus, étaient ensuite restés pour « patrouiller », se vantaient-ils, pendant plusieurs semaines dans le Briançonnais.

      Doté d’une flotte tape-à-l’œil de pick-up, de deux hélicoptères et d’un avion, le groupe avait alors communiqué de façon boulimique sur son action, à grand renfort de selfies, de vidéos, comme il l’avait fait l’année précédente, pour son opération spectacle anti-migrants à bord du navire C-Star, qui avait croisé dans les eaux internationales entre la Libye et l’Italie.

      La peine correspond aux réquisitions du procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, prononcées le 11 juillet, lors de la première convocation des trois prévenus. Elles prenaient en compte « le casier judiciaire », avait-il alors justifié, deux d’entre eux n’étant pas « éligibles à du sursis simple », en raison de leurs précédentes condamnations. L’avocat des trois prévenus, Me Pierre-Vincent Lambert, qui réclamait quant à lui la relaxe, a annoncé que ses clients feraient appel de la décision, selon l’AFP.

      Au cœur de son réquisitoire, le procureur a placé la délicate notion de « confusion » dans l’exercice d’une fonction publique, un délit « pas simple à manier », selon lui, en raison du « très peu de jurisprudences ». Raphaël Balland précise que Génération identitaire a voulu créer la « confusion avec l’exercice d’une fonction publique ou d’une activité réservée aux officiers publics ou ministériels » au cours de cette mission.

      Il a parfois été reproché au procureur son « deux poids deux mesures » dans ses poursuites desdits « pro- » et « anti-migrants » dans ce département montagneux devenu le théâtre de fortes tensions autour de l’accueil des exilés.

      Ce même tribunal de Gap avait en effet condamné ceux que l’on connaît dans la vallée sous l’appellation des « 3+4 de Briançon » à 12 mois de prison pour deux d’entre eux et à six mois avec sursis pour les autres, pour avoir « facilité l’entrée » à la frontière d’une vingtaine de migrants lors d’une marche organisée en réponse à l’opération de Génération identitaire, le 22 avril 2018.

      Certains bénévoles ont regretté par ailleurs que le procureur n’ait pas poursuivi les trois militants d’extrême droite au « chef d’immixtion dans une fonction publique », plus sévère, sanctionné de trois ans de prison et de 45 000 euros d’amende. « Le délit d’immixtion ne tient pas », leur a rétorqué le procureur, lui préférant le délit de confusion.

      Le 11 juillet, seul Clément Gandelin, alias Clément « Galant », s’était présenté à la barre. Il n’avait pas souhaité s’exprimer, restant silencieux tout au long de l’audience de quatre heures. Il avait simplement déclaré à la fin que « ce procès n’[était] rien d’autre que politique et que jamais [le groupe Génération identitaire] n’av[ait] dit qu[’il prendrait] la place de la police ».

      Clément Gandelin avait été condamné en 2015 pour violences sur personne dépositaire de l’autorité publique. Son coaccusé, Damien Lefèvre, l’avait également été – entre autres – en 2017. Pour l’occupation de la mosquée de Poitiers en 2012, il avait écopé d’un an de prison avec sursis et d’une mise à l’épreuve de deux ans. Cette action avait mis en lumière ce mouvement de jeunesse – alors nouvellement créé – des identitaires. Un nouveau procès doit avoir lieu en appel.

      L’association locale d’entraide Tous migrants avait demandé à se constituer partie civile au nom de leur collectif. Leur but, expliquaient deux de ses responsables, était de rappeler que « ce procès mascarade est un dérivatif du vrai problème », à savoir « le droit des migrants à cette frontière ».

      Le collectif qui vient en aide aux migrants à Briançon a joint au dossier un recueil de témoignages de quatre exilés anonymes. Les premiers concernés sont aussi les grands absents de ces affaires judiciaires, tant il leur est « difficile de témoigner contre l’action d’un État auprès duquel ils demandent la protection », ont insisté les bénévoles. Portée au dossier, la parole de ces exilés inconnus a rapidement été écartée, jugée non recevable par la présidente du tribunal.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/290819/trois-identitaires-condamnes-six-mois-ferme-pour-des-patrouilles-anti-migr

    • Communiqué de presse, Mercredi 2 octobre à 14h

      Procès d’un citoyen solidaire du Briançonnais. Mobilisation à Grenoble

      Le mercredi 2 octobre à 14h, un solidaire briançonnais (#Kévin) comparaîtra devant la cour d’appel de Grenoble (38) pour délit de solidarité. Il est accusé d’aide à l’entrée de personnes en situation irrégulière sur le territoire français et de délit de fuite, alors qu’il portait secours à des personnes en danger en montagne, en hiver dans les Hautes-Alpes. Le tribunal de grande instance de Gap (05) l’a condamné le 10 janvier 2019 à une peine de 4 mois de prison avec sursis. Ce jugement faisait suite à celui des « 3+4 de Briançon » en décembre 2018, condamnés pour des faits similaires. Une mobilisation citoyenne aura lieu à Grenoble devant la cour d’appel.

      Au-delà d’un soutien face à la répression, au harcèlement et aux intimidations, tous les solidaires veulent - à l’occasion de ce procès en appel d’un citoyen épris de solidarité - dénoncer le durcissement des politiques migratoires françaises et européennes.

      En particulier :

      – Les pratiques illégales et les violences commises contre les personnes exilées aux frontières : traques mortelles et arrestations violentes dans la montagne, refoulements de personnes vers l’Italie sans examen individuel de leur situation ni possibilité d’exercer leur droit à déposer une demande d’asile, non-prise en compte de la minorité de jeunes qui se sont déclarés tels auprès des forces de l’ordre.

      – La situation scandaleuse dans les Centres de Rétention Administrative (CRA), qui procède d’une volonté d’expulser encore plus de personnes réfugiées et migrantes. Notamment les 892 Afghans qu’un projet d’accord européen envisage de renvoyer plus facilement dans de pays dit « sûr ».

      – L’hébergement insuffisant qui laisse à la rue des milliers de personnes sans logements.

      – La volonté française de durcir le règlement Dublin.

      – La diminution et les restrictions de l’Allocation pour Demandeur d’Asile (ADA) et le durcissement de l’accès à l’Aide Médicale d’État (AME).

      – La coopération entre le 115 (hébergement d’urgence) et l’Office Français de l’Immigration et de l’Intégration (OFII) visant à ficher les étrangers, refusée par les travailleurs sociaux.

      – Le manque de moyens consacrés par l’État et les Conseils départementaux pour la prise en charge des Mineurs non Accompagnés (MNA), les logiques arbitraires et les obstacles à la reconnaissance de minorité des jeunes étrangers.

      – La poursuite mortifère du scandale des frontières de l’Europe : en Méditerranée (seulement 80% de rescapés !), en Libye et au Niger, aux abords de Melilla..., scandale lié au refoulement des migrants tentant la traversée par l’opération navale européenne "Sophia", et à la délégation de la gestion des flux migratoires à des États comme la Turquie et la Libye.

      Pour toutes ces raisons ce procès en appel est le symbole d’un délit d’inhumanité commis par des responsables politiques de notre pays. Nous donnons rendez-vous aux citoyen.ne.s le mercredi 2 octobre à 13h30 devant le palais de justice de Grenoble, pour soutenir les solidaires et lutter contre l’aggravation des politiques migratoires.

      Le comité de soutien des 3+4+2+…. de Briançon.

      Autour de ces procès v. aussi :
      https://seenthis.net/messages/734863

    • Samedi 5 octobre 2019 à la Halle de Dieulefit : Les murs ne servent à rien 3
      https://www.facebook.com/events/2556499527734427

      PROGRAMME détaillé :

      Dès 14h De l’autre côté, parcours sonore et photo de T. Fortunato et S. Chatton, 2019.
      De l’autre côté est une invitation à observer et écouter les fruits d’une rencontre : entre de jeunes européens qui voyagent en quête d’autres manières de vivre ou de militer et ceux qui, dans le chemin inverse, tentent leur chance en Europe... Un parcours qui mêle objets, photos, articles, paysages sonores et interviews réalisés sur des lieux d’accueil et de soutien aux migrants, de Briançon à Athènes en passant par l’Italie et les Balkans. Un voyage à découvrir à plusieurs pour se rencontrer, se questionner et réfléchir à notre rapport au monde et à ses frontières. (avant-première)

      16h Passer la porte, reportage radiophonique au refuge solidaire de Briançon, réalisé par Chloé Peytermann et Pauline Lemaire-Démaret, pour RadioLà, 2019.
      Nous avons passé du temps, avec ou sans micro, au refuge solidaire de Briançon. Migrant ou bénévole, comment passe-t-on la porte de ce lieu d’accueil juste en bas de la montagne ? Comment la désorganisation du monde rend-elle possible et indispensable un accueil d’urgence qui vit chaque jour l’obligation de se pérenniser ? D’un côté les chants et musiques des migrants de passage qui ne souhaitent plus raconter leurs histoires aux médias, ne voyant pas de changement dans leurs conditions d’accueil. De l’autre une équipe bénévole à l’écoute, qui se demande toujours, deux ans après l’urgence, comment et pourquoi ils sont encore là. (écoute publique en avant-première)

      16h45 Au pied du mur, film documentaire de P. Bruguière et J. Keogh, 2018
      À plus de 1700 mètres d’altitude, les cols de l’Échelle et de Montgenèvre dans les Hautes-Alpes sont les nouveaux points de passage pour les migrants arrivés en Europe par la mer Méditerranée. Des personnes risquent leur vie dans cette périlleuse traversée de la montagne. Un réseau de citoyens bénévoles s’est créé, organisant des maraudes, où les citoyens apportent des vêtements et repas chauds à ceux qui s’apprêtent à grimper la montagne ; ils soignent et réchauffent ceux qui en descendent. Le film « Au pied du mur » croise ces destins d’exilés et d’habitants engagés. (Lauréat du Prix « Autrement Vu » FIGRA 2019)

      17h45 Lecture d’extraits - Le prince à la petite tasse de E. de Turckheim, par Virginie Komaniecki
      Pendant neuf mois, Émilie, Fabrice et leurs deux enfants ont accueilli dans leur appartement parisien Reza, un jeune Afghan qui a fui son pays en guerre à l’âge de douze ans. Ce journal lumineux retrace la formidable aventure de ces mois passés à se découvrir et à retrouver ce qu’on avait égaré en chemin : l’espoir et la fraternité.

      18h Coeur de pierre, film documentaire de C. Billet et O. Jobard, 2018
      Ghorban a voyagé seul, en clandestin, pendant deux ans pour rejoindre la France depuis son Afghanistan natal. Enfant migrant, il entame en 2010 un long parcours d’intégration. Ses éducateurs le confient à un psychologue pour l’aider à apprivoiser les cauchemars d’un passé fait d’abandons et de pauvreté, auxquels se mêlent ses questionnements d’adolescent. Petit à petit, l’enfant au vécu d’adulte va définir son identité, entre l’Afghanistan et la France... Les réalisateurs l’ont filmé sur 8 ans, jusqu’à son entrée dans l’âge adulte lorsqu’il décide de retrouver sa famille restée en Afghanistan. (Prix du Meilleur Film 2019, Festival One World, Prague. Compétition internationale 2019, Festival Millenium, Bruxelles. Les Découvertes du Saint-André des Arts, Paris.)

      21h Lecture d’extraits – Sidérer, considérer de M. Macé, par Nadine Despert
      Que faire du mélange de colère et de mélancolie que suscite en nous le traitement réservé aux personnes migrantes, cette humanité précarisée, avec tout ce qu’il peut y avoir de paralysant, de sidérant ? S’appuyant sur diverses expériences et sur une analyse nourrie de ses lectures, Marielle Macé tente d’opérer un retournement. Elle oppose à la sidération la considération, qui n’exclut pas la compassion, ni la lutte.

      21h10 Paris Stalingrad, film documentaire de H. Meddeb et T. Naccache, 2019
      Ce film est un portrait de Paris vu par Souleymane, 18 ans, venu du Darfour. Arrivé en France après un périple traumatisant, la « ville lumière » dont il avait rêvé, lui inflige de nouvelles épreuves. A la dureté des situations, répond sa poésie douce-amère. En suivant Souleymane, le film retrace le parcours des exilés dans Paris : les campements de rue, les interminables files d’attente devant les administrations, les descentes de police et la mobilisation des habitants du quartier pour venir en aide aux réfugiés. La caméra témoigne d’une métamorphose d’une ville et nous montre l’émergence de nouvelles frontières intérieures. (Sélection officielle TIFF Docs, Festival international du film de Toronto 2019, sélection officielle Compétition française, Cinéma du réel 2019.)

      22h40 Lecture d’extraits - La loi de la mer de D. Enia, par Chloé Peytermann
      Un père et un fils regardent l’Histoire se dérouler sous leurs yeux, dans l’immensité de la Méditerranée, à Lampedusa. La loi de la mer est le récit de la fragilité de la vie et des choses, où l’expérience de la douleur collective rencontre celle, intime, du rapprochement entre deux êtres. Pendant plus de trois ans, sur cette île entre Afrique et Europe, l’écrivain Davide Enia a rencontré habitants, secouristes, exilés, survivants. En se mesurant à l’urgence de la réalité, il donne aux témoignages recueillis la forme d’un récit inédit, littéraire et poétique.

      22H50 Un jour ça ira, film documentaire de E. et D. Zambeaux, 2017
      Djibi et Ange, deux adolescents à la rue, arrivent à l’Archipel, un centre d’hébergement d’urgence au cœur de Paris. Ils y affrontent des vents mauvais, des vents contraires, mais ils cherchent sans relâche le souffle d’air qui les emmènera ailleurs. Et c’est avec l’écriture et le chant qu’ils le trouvent… et nous emportent. Une plongée au coeur de l’Archipel, un centre qui propose une façon innovante d’accueillir les familles à la rue.

    • Hautes-Alpes : devenez adjoint de sécurité au sein de la PAF à Montgenèvre

      Devenez adjoint de sécurité au sein de la Police aux Frontières à Montgenèvre. Ils assureront les missions de patrouilles, contrôles et interpellations en assistant le personnel de la PAF. Les candidatures sont à renvoyer avant le 12 novembre inclus. Il n’y a pas de condition de diplôme, les candidats doivent être âgés entre 18 et 30 ans et ne pas avoir été adjoints de sécurité pendant plus de trois ans. Des tests de résistance musculaire et d’endurance cardio-respiratoire seront à réaliser lors des épreuves de sélection. Le contrat est d’une durée de trois ans, renouvelable une seule fois, avec des mesures d’insertion professionnelle pendant toute la durée du contrat et l’accès à un concours spécifique pour devenir gardien de la paix. La rémunération est fixée à 1.289 € net par mois. Le dossier de candidature, ainsi que la liste des pièces à fournir, est à retrouver sur le portail Internet des services de l’État : www.hautes-alpes.gouv.fr, rubrique « recrutements et concours ». L’ensemble du dossier est à transmettre au Secrétariat général pour l’administration du Ministère de l’Intérieur (SGAMI SUD) dont l’adresse figure dans le dossier de candidature.

      http://alpesdusud.alpes1.com/news/hautes-alpes/79728/hautes-alpes-devenez-adjoint-de-securite-au-sein-de-la-paf-a-mont

    • Hautes-Alpes : migrants, « il n’y a pas eu d’harcèlement de la police aux frontières »

      Septembre : un rapport de l’ONG Human Rights Watch mettait en cause la gestion des Hautes-Alpes quant au drame migratoire, avec des renvois sommaires de migrants se présentant comme mineurs à la frontière, des intimidations des bénévoles ou des militants pro-migrants de la part des autorités. Face à ces accusations, la préfète est claire : « les autorités italiennes n’ont jamais accepté de reprendre en charge des personnes se déclarant MNA. Il n’y a pas eu d’harcèlement de la part des services de la Police Aux Frontières ».

      http://alpesdusud.alpes1.com/news/hautes-alpes/79866/hautes-alpes-migrants-il-n-y-a-pas-eu-d-harcelement-de-la-police-

    • Une cinquantaine de gendarmes déployés pour rechercher d’éventuels migrants en difficulté

      C’est un gros dispositif de recherches qui a été déployé ce mardi 29 octobre, au matin, du côté de Montgenèvre.

      Le tout après qu’un jeune Ivoirien a été découvert en légère hypothermie sur un des ronds-points de Montgenèvre vers 6 h 30. Le migrant de 28 ans indique alors aux forces de l’ordre que des compagnons de fortune se trouveraient encore dans la montagne et l’un d’eux serait en souffrance.

      Une cinquantaine de gendarmes de la compagnie de Briançon, des agents de la Police aux frontières et des secouristes du Peloton de gendarmerie de haute montagne de Briançon, appuyés par l’hélicoptère du détachement aérien de la gendarmerie, sont alors déployés.

      Ils ratissent la montagne, en vain. Les minutieuses recherches ont fini par être abandonnées en fin de matinée avec la supposition que le groupe a pu rebrousser chemin ou atteindre le Briançonnais.

      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/10/29/une-cinquantaine-de-gendarmes-deployes-pour-rechercher-d-eventuels-migra

    • Migranti in fuga sulla rotta alpina: un racconto senza distacco

      Tra Claviere e Briançon in due anni sono transitate tra le 7 e le 10mila persone. Considerando i valichi nel cuneese e a Nord di Ventimiglia, 30-40mila. Un’“espulsione oscura” seguita e restituita dal giornalista #Maurizio_Pagliassotti.

      “Frequento da giornalista e da volontario gli ultimi 12 chilometri della rotta alpina, quelli tra Claviere (TO), in Alta Val Susa, e Briançon, in Francia. Entrando nel ‘rifugio’ che accoglie coloro che hanno attraversato la frontiera, mi sono reso conto che lì i migranti parlano tra loro diffusamente in italiano. Non usano l’inglese, né il francese, e nemmeno lingue locali: quella a cui stiamo assistendo è una fuga dal nostro Paese. Oggi dall’Italia un africano scappa, perché ha paura, perché è perseguitato, perché viene aggredito. Questo è un aspetto ancora taciuto, che rimanda a tempi oscuri del nostro passato, e ho sentito l’esigenza di raccontarlo”.

      Maurizio Pagliassotti spiega così la genesi di “Ancora dodici chilometri” (https://www.bollatiboringhieri.it/libri/maurizio-pagliassotti-ancora-dodici-chilometri-9788833933030), uscito per Bollati Boringhieri: il libro non è (solo) un reportage, ma è capace di offrire al lettore le immagini vive di un contesto alpino remoto e ai più sconosciuto, di un esodo che l’autore -giornalista, collaboratore del quotidiano il manifesto– definisce “espulsione oscura”. L’obiettivo del racconto, scrive Pagliassotti, è “creare un sentimento che porti alla resa incondizionata rispetto alla speranza che questa armata possa essere fermata”.

      Perché?
      MP Stiamo parlando di un esercito in rotta, di uomini che si muovono verso Ovest, sempre avanti, e per questo richiamo l’epica dell’esercito italiano nella campagna di Russia durante la Seconda guerra mondiale, le tragedie descritte da Mario Rigoni Stern (“Il sergente nella neve”), Nuto Revelli (“La strada del Davai”) ma soprattutto Giulio Bedeschi (“Centomila gavette di ghiaccio”). Sono numeri importanti quelli della rotta alpina: tra Claviere e Briançon in due anni sono passate 7-10mila persone. Se prendiamo anche i valichi a Sud, nel cuneese e a Nord di Ventimiglia, stiamo parlando di 30-40mila esseri umani: sono migrazioni di massa che avvengono in contesti alpini, gelidi, oscuri. Di persone che camminano affondando nella neve per due metri, che si devono muovere nel buio assoluto, perché altrimenti vengono fermati dalla Gendarmerie nationale, in aree dove sono presenti animali selvatici come i lupi. È dato questo contesto che mi sono permesso di chiamare in causa dei giganti della letteratura epica della nostra storia nazionale, per dare una forza narrativa a una vicenda così invisibile. Credo che queste storie debbano essere raccontate con un forte impatto retorico, abbandonando lo status della comunicazione razionale, sobria, ed entrando in un campo più militante, che si rivolge a un pubblico che ha bisogno di un forte impatto emotivo. Penso che la comunicazione necessiti di una forte spinta emotiva: ho avuto modo di sperimentare, nelle lunghe soste nei bar di questa nostra Italia ai margini, veri e propri spazi che svolgono un ruolo di servizio sociale, dove le classi più povere sono soggiogate dalla retorica salviniana. Con queste persone oggi non c’è dialogo, numeri e dati non ne modificano il pensiero. Necessitiamo così di nostre forme di retorica, di un arte di narrare, di creare emozioni, di far sentire le persone partecipi di questo mondo.

      Due temi che attraversano il libro sono decoro (con l’esempio di Ventimiglia) e guerra tra poveri. Che legame c’è?
      MP Il decoro è una delle tante forze che agisce per spingere i migranti, i poveri verso l’esterno. Accade a Ventimiglia, con la parrocchia accogliente, e a Torino, dove vivo e in nome del decoro è stato chiuso e sgomberato un mercatino secolare, al Balon, per allontanare i poveri. Il bar degli ultimi, invece, è quel luogo dove la rabbia dilaga, insieme alla noia, dove ci sono dei sacerdoti, che sono presentatori televisivi di talk show politici, e che in particolare nelle ore mattutine martellano e infondono odio in queste classi totalmente smarrite, prive di appartenenza, prive anche di strumenti per capire la manipolazione. I due mondi intersecano nel momento in cui i penultimi attaccano gli ultimi. Sempre a Torino, il quartiere Aurora -che racconto nel libro- crea conflitti sociali che si riproducono su loro stessi, lasciando tranquilli i responsabili della situazione, che non sono solo i politici.

      La costruzione di una narrazione in cui sfuma anche il confine tra buoni e cattivi.
      MP Considero i militari che presidiano il confine tra Italia e Francia delle vittime. Uomini che sono stati esposti per un inverno a temperature di meno 25 gradi per fare il gioco del ministro dell’Interno. Caduto Matteo Salvini, la pattuglia è stata tolta. Era solo propaganda, perché in quel momento si doveva far la guerra alla Francia. Ho anche incontrato un esponente delle forze armate che, spontaneamente, senza sapere che io fossi un giornalista, all’interno del camper di un’associazione che fa sostegno ai migranti, Rainbow for Africa, ci ha raccontato dei suoi incredibili dopocena, quando esce con gli scarponi alla ricerca dei migranti persi nelle Alpi, muovendosi alla cieca in posti dove io da alpinista non andrei. La sua figura rende molto complessa la realtà, perché fa saltare la divisione tra buoni e cattivi: coloro che in linea teorica dovrebbero perseguitare, sono gli stessi che aiutano, che fingono di non vedere passaggi o i rifugi, di non sapere che dentro gli ospedali (in Francia) ci sono degenti abusivi, illegali che sono passati a piedi e hanno gli arti congelati.

      Sono così sfumati, i contorni, che a volte uno si chiede che senso abbia tutta questa storia: perché la realtà è molto diversa della retorica politica, e alla fine passano tutti, il 100 per cento di chi ci prova. A chi serve tutto questo? Credo esista una grande responsabilità politica della destra italiana, che racconta come emergenza un flusso migratorio che potrebbe essere gestito in altro modo.

      Le vicende descritte nel tuo libro si svolgono in Val di Susa. C’è un legame tra il movimento No Tav e la solidarietà alla frontiera.
      MP Credo che chiusa la vicenda dell’opposizione al treno ad alta velocità, il mondo No Tav abbia mosso verso l’aiuto dei migranti e degli ultimi. Ciò crea una sorta di paradosso: coloro che sono considerati degli eroi in questa storia, la maggior parte di quelli che vanno a “cavare” gli assiderati dalla neve, che salvano di fatto la vita degli esseri umani che cercano di attraversare le Alpi in inverno, sono le stesse persone che lo Stato porta sotto processo e accusa di reati gravissimi (tra loro anche la settantenne Nicoletta Dosio, ndr). Coloro che portavano i bidoni di tè ai presidi No Tav, oggi portano lo stesso tè nei rifugi alpini dei migranti.
      C’è bisogno di una riflessione su questa comunità: come li valutiamo? Penso che le due vicende siano legate, che siano parte di un unicum, legato alla giustizia sociale, al rispetto dell’uomo, dell’ambiente e dei diritti umani. Bloccare il Tav e permettere ai migranti di attraversare i confini sono due forme di resistenza all’ultracapitalismo.

      https://altreconomia.it/migranti-in-fuga-sulla-rotta-alpina

    • #The_Milky_Way

      Le Alpi occidentali tra Italia e Francia sono state nel corso dei secoli una frontiera naturale, così come un luogo di passaggio e incontro. I suoi colli costituiscono terra di connessione, mediazione tra popoli e culture differenti. La storia più recente ci racconta come negli ultimi 200 anni siano stati gli italiani ad attraversare clandestinamente il confine per andare a cercare lavoro in Francia, mentre oggi è diventata una rotta utilizzata anche dai migranti di origine africana.

      Le recenti politiche di chiusura dei confini interni europei hanno spinto le persone migranti alla ricerca di strade meno battute per lasciare l’Italia e proseguire il viaggio oltre il confine con la Francia, spingendoli a passare tra i sentieri di alta montagna come quelli che costeggiano gli impianti del comprensorio sciistico “La via lattea”, proprio sul confine tra Claviere (IT) e Monginevro (FR). Durante il giorno le piste da sci sono luogo di divertimento, sport e svago; di notte, si trasformano in un teatro di paura, pericolo e violazione dei diritti umani: i migranti, poco preparati e mal equipaggiati, imboccano i sentieri sfidando il buio, il freddo e i controlli delle autorità francesi, rischiando la vita.

      The #Milky_Way è un film corale che, attraverso il racconto di attivisti, degli abitanti delle montagne, la ricostruzione storica in graphic novel animata dell’emigrazione italiana degli anni ’50, le storie dei migranti messi al sicuro dai solidali sui due lati del confine, getta luce sull’umanità che riaffiora quando il pericolo imminente riattiva la solidarietà, con la convinzione che nessuno si possa lasciare indietro, nessuno si salva da solo.

      https://www.milkywaydoc.com
      #film #film_documentaire #Luigi_D’Alife

      Trailer :
      https://www.youtube.com/watch?v=NlZE8Yl77A8&feature=emb_logo

    • #The_Milky_Way. Nessuno si salva da solo

      Le Alpi occidentali tra Italia e Francia sono state nel corso dei secoli una frontiera naturale, così come un luogo di passaggio e incontro. I suoi colli costituiscono terra di connessione, mediazione tra popoli e culture differenti. La storia più recente ci racconta come negli ultimi 200 anni siano stati gli italiani ad attraversare clandestinamente il confine per andare a cercare lavoro in Francia, mentre oggi è diventata una rotta utilizzata anche dai migranti di origine africana.

      Le recenti politiche di chiusura dei confini interni europei hanno spinto le persone migranti alla ricerca di strade meno battute per lasciare l’Italia e proseguire il viaggio oltre il confine con la Francia, spingendoli a passare tra i sentieri di alta montagna come quelli che costeggiano gli impianti del comprensorio sciistico “La via lattea”, proprio sul confine tra Claviere (IT) e Monginevro (FR). Durante il giorno le piste da sci sono luogo di divertimento, sport e svago; di notte, si trasformano in un teatro di paura, pericolo e violazione dei diritti umani: i migranti, poco preparati e mal equipaggiati, imboccano i sentieri sfidando il buio, il freddo e i controlli delle autorità francesi, rischiando la vita.

      The #Milky_Way è un film corale che, attraverso il racconto di attivisti, degli abitanti delle montagne, la ricostruzione storica in graphic novel animata dell’emigrazione italiana degli anni ’50, le storie dei migranti messi al sicuro dai solidali sui due lati del confine, getta luce sull’umanità che riaffiora quando il pericolo imminente riattiva la solidarietà, con la convinzione che nessuno si possa lasciare indietro, nessuno si salva da solo.

      https://www.milkywaydoc.com
      #film #film_documentaire #Luigi_D’Alife

      Trailer:
      https://www.youtube.com/watch?v=NlZE8Yl77A8&feature=emb_logo

    • Dans les Alpes, maraude aux confins du pays des droits de l’Homme

      Depuis quatre ans, les maraudeurs et maraudeuses de l’association Tous migrants parcourent les Alpes à la recherche des migrant·es qui viennent de passer la frontière franco-italienne. Dissimulé·es dans les bois ou dans les recoins des stations, ils et elles tentent d’échapper à la police. Nous les avons suivi·es pendant la Grande maraude organisée à Montgenèvre le 7 mars dernier.

      « J’ai commencé à faire des maraudes parce que j’aime la montagne et j’ai pas envie qu’il y ait des gens qui meurent en montagne. » Didier a les yeux fixés sur la piste de ski, chaudement habillé avec son bonnet enfoncé sur la tête. Maître d’école de cinquante ans, il fait partie de ces bénévoles qui, de nuit, guettent les ombres fragiles des migrant·es dans les sommets enneigés des Alpes pour leur venir en aide.

      Samedi 7 mars au soir, Didier guide les personnes venues participer à la grande maraude organisée par Tous migrants et Amnesty International sur les pistes de la station de Montgenèvre, dans les Hautes-Alpes. Tout en marchant, il raconte les longues soirées passées à scruter les recoins et les pistes, et l’angoisse d’apprendre la mort d’une personne. « Il y en a plein qui passent sans que personne ne les aide, et on est trop contents qu’ils n’aient pas de pépin. » Son regard se perd dans la montagne. « Mais on ne sait jamais combien ont des pépins, quand ils peuvent passer, à quelle heure … C’est trop grand. Et quand on rentre chez nous, on se demande toujours si on n’a pas laissé quelqu’un dans la panade. »
      Dans les Alpes, protéger les migrants

      « Ralentissez ! » Des voix pressantes se font entendre à l’arrière. Didier s’interrompt brutalement, tourne la tête. Au centre du groupe, une dizaine de nouveaux venus ont fait leur apparition. Recouverts de combinaisons de ski, on les confondrait presque avec le reste des maraudeurs s’ils n’étaient devenus le centre de l’attention. Ce sont des migrant·es qui viennent de passer la frontière. Trouvé·es par des bénévoles, ils et elles rejoignent la masse des maraudeurs et maraudeuses. Les bénévoles se rassemblent autour du groupe pour les accompagner jusqu’aux voitures de Médecins du monde, qui les attendent à la sortie des pistes. Dans le silence tendu, on n’entend que les pas pressés du cortège dans la neige. Au milieu, un homme porte une silhouette enfantine sur ses épaules. Les bénévoles aguerris jettent des coups d’œil anxieux vers la route, où patrouillent des policiers.

      Soudain, un signal. Sur la route, les voitures s’arrêtent une à une. « J’en prends trois ! », crie une voix d’homme. Une portière s’ouvre, une femme et deux enfants s’engouffrent rapidement à l’intérieur. La portière claque. « Ils sont tous rentrés ? », entendons-nous quelques instants plus tard. Tous les bénévoles sont incités à accompagner la voiture en convoi, explique Yves, un bénévole d’Emmaüs Chambéry. Sur le bord de la route, sans mot dire, des policiers regardent défiler les voitures.
      Dans les Alpes, « on assiste à une nouvelle errance », pour le porte-parole de Tous migrants

      Le lendemain matin, assis sur un muret ensoleillé devant le refuge de Briançon, Michel Rousseau, porte-parole de l’association Tous Migrants, enchaîne les coups de fil. Avec les médecins, il tente de savoir si une des accueillies, qui a de la fièvre, est atteinte du coronavirus. Par mesure de précaution, la famille secourue la veille est confinée dans une des chambres du refuge. Ce lieu tenu par des bénévoles, a accueilli 9 553 personnes depuis 2017. « Au début, on voyait arriver des jeunes hommes venus d’Afrique francophone qui voulaient demander l’asile en France », se souvient Michel Rousseau.

      Les arrivées se poursuivent depuis 2018. « Cette année-là, le refuge a accueilli 5 202 personnes, et on a vu arriver les exilés de l’Italie de Salvini, poursuit-il. Ils avaient été rejetés d’Italie et cherchaient un nouveau pays d’accueil. » L’association a reçu 1 968 personnes en 2019, soit deux fois moins que l’année précédente. Il analyse : « Aujourd’hui, on assiste à une nouvelle errance : on accueille beaucoup de personnes qui viennent d’Afghanistan et qui ont été chassées d’autres pays européens. » Il désigne du doigt la porte du refuge. « Regardez cette famille qui vient d’arriver. Quatre ans d’exil sur les routes… » Il soupire. « Quelle vie on inflige à ces gens-là ? »

      https://radioparleur.net/2020/03/26/alpes-maraude-migrants

    • 19 juin 2020 à 20h Amnesty International sur internet, diffusion suivie d’un débat, du #documentaire :
      https://seenthis.net/messages/860536

      Demain est si loin
      Muriel Cravatte (2019, France, 88 min, Couleur)
      https://www.amnesty.fr/cine-debat-demain-est-si-loin
      https://www.facebook.com/events/1165149137184372

      2018, frontière franco-italienne. Chaque jour, des exilés tentent de rejoindre la France à pied, en empruntant des itinéraires de montagne dangereux, pour échapper aux traques policières.

      Le film sera suivi par un temps d’échange en direct depuis Paris et Briançon avec Muriel Cravatte elle-même et des personnes engagées dans l’accueil des réfugiés et migrants à Briançon.

      Dans les Alpes, la fraternité prise pour cible
      Amnesty International, le 3 mars 2020
      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/dans-les-alpes-la-fraternite-prise-pour-cible

      Et une pétition à signer :

      Protégeons les défenseurs des droits des migrants
      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/petitions/protegeons-les-defenseurs-des-droits-des-migrants

    • Cet été, Tous Migrants vous propose des rencontres en montagne, à la frontière, en fraternité avec les exilés : grands bivouacs festifs, randonnées commentées, veillées bavardes au coin du feu.
      Soyons présents et nombreux tout l’été à la frontière pour que la montagne ne devienne pas une zone militarisée ni un cimetière. Pour que la montagne reste synonyme de beauté, sérénité et de solidarité.

      Un été solidaire dans nos montagnes
      Tous Migrants, le 23 juin 2020
      https://tousmigrants.weebly.com/sinformer/un-ete-solidaire-dans-nos-montagnes
      https://tousmigrants.weebly.com/uploads/7/3/4/6/73468541/de%CC%81pliant_exil.pdf

    • Dans les Alpes, #maraude aux confins du pays des droits de l’Homme

      Depuis quatre ans, les #maraudeurs et maraudeuses de l’association Tous migrants parcourent les Alpes pour porter secours aux migrant·es qui viennent de passer la frontière franco-italienne. Dissimulé·es dans les bois ou dans les recoins des stations, ils et elles tentent d’échapper à la police. Nous les avons suivi·es pendant la Grande maraude organisée à Montgenèvre le 7 mars dernier.

      « J’ai commencé à faire des maraudes parce que j’aime la montagne et j’ai pas envie qu’il y ait des gens qui meurent en montagne. » Didier a les yeux fixés sur la piste de ski, chaudement habillé avec son bonnet enfoncé sur la tête. Maître d’école de cinquante ans, il fait partie de ces bénévoles qui, de nuit, guettent les ombres fragiles des migrant·es dans les sommets enneigés des Alpes pour leur venir en aide.

      Samedi 7 mars au soir, Didier guide les personnes venues participer à la grande maraude organisée par Tous migrants et Amnesty International sur les pistes de la station de Montgenèvre, dans les Hautes-Alpes. Tout en marchant, il raconte les longues soirées passées à scruter les recoins et les pistes, et l’angoisse d’apprendre la mort d’une personne. « Il y en a plein qui passent sans que personne ne les aide, et on est trop contents qu’ils n’aient pas de pépin. » Son regard se perd dans la montagne. « Mais on ne sait jamais combien ont des pépins, quand ils peuvent passer, à quelle heure … C’est trop grand. Et quand on rentre chez nous, on se demande toujours si on n’a pas laissé quelqu’un dans la panade. »
      Dans les Alpes, protéger les migrants

      « Ralentissez ! » Des voix pressantes se font entendre à l’arrière. Didier s’interrompt brutalement, tourne la tête. Au centre du groupe, une dizaine de nouveaux venus ont fait leur apparition. Recouverts de combinaisons de ski, on les confondrait presque avec le reste des maraudeurs s’ils n’étaient devenus le centre de l’attention. Ce sont des migrant·es qui viennent de passer la frontière. Trouvé·es par des bénévoles, ils et elles rejoignent la masse des maraudeurs et maraudeuses. Les bénévoles se rassemblent autour du groupe pour les accompagner jusqu’aux voitures de Médecins du monde, qui les attendent à la sortie des pistes. Dans le silence tendu, on n’entend que les pas pressés du cortège dans la neige. Au milieu, un homme porte une silhouette enfantine sur ses épaules. Les bénévoles aguerris jettent des coups d’œil anxieux vers la route, où patrouillent des policiers.

      Soudain, un signal. Sur la route, les voitures s’arrêtent une à une. « J’en prends trois ! », crie une voix d’homme. Une portière s’ouvre, une femme et deux enfants s’engouffrent rapidement à l’intérieur. La portière claque. « Ils sont tous rentrés ? », entendons-nous quelques instants plus tard. Tous les bénévoles sont incités à accompagner la voiture en convoi, explique Yves, un bénévole d’Emmaüs Chambéry. Sur le bord de la route, sans mot dire, des policiers regardent défiler les voitures.
      Dans les Alpes, « on assiste à une nouvelle errance », pour le porte-parole de Tous migrants

      Le lendemain matin, assis sur un muret ensoleillé devant le refuge de Briançon, Michel Rousseau, porte-parole de l’association Tous Migrants, enchaîne les coups de fil. Avec les médecins, il tente de savoir si une des accueillies, qui a de la fièvre, est atteinte du coronavirus. Par mesure de précaution, la famille secourue la veille est confinée dans une des chambres du refuge. Ce lieu tenu par des bénévoles, a accueilli 9 553 personnes depuis 2017. « Au début, on voyait arriver des jeunes hommes venus d’Afrique francophone qui voulaient demander l’asile en France », se souvient Michel Rousseau.

      Sur le même thème : « Je ne savais pas que la neige pouvait brûler »

      Les arrivées se poursuivent en 2018. « Cette année-là, le refuge a accueilli 5 202 personnes, et on a vu arriver les exilés de l’Italie de Salvini, poursuit-il. Ils avaient été rejetés d’Italie et cherchaient un nouveau pays d’accueil. » L’association a reçu 1 968 personnes en 2019, soit deux fois moins que l’année précédente. Il analyse : « Aujourd’hui, on assiste à une nouvelle errance : on accueille beaucoup de personnes qui viennent d’Afghanistan et qui ont été chassées d’autres pays européens. » Il désigne du doigt la porte du refuge. « Regardez cette famille qui vient d’arriver. Quatre ans d’exil sur les routes… » Il soupire. « Quelle vie on inflige à ces gens-là ? »

      https://radioparleur.net/2020/03/26/alpes-maraude-migrants

  • En ce moment, Twitter me balance une vidéo « sponsorisée » d’un festival en Arabie séoudite, dans laquelle l’ambassadeur de France François Gouyette interprète « une mélodie classique » sur un grand piano. Pourquoi pas. (Comme pub Twitter j’ai vu pire :-))

    Mais tant qu’à faire, faudrait préciser : la « mélodie classique », c’est Aatani al nay wa ghanny (Donne-moi la flûte et chante), une chanson qu’on connaît bien à la maison, puisqu’on en a tiré le prénom de notre deuxième fille.

    Alors Aatani al nay, c’est Fairuz qui chante des paroles de Gibran Khalil Gibran, sur une musique de Najib Hankash, et c’est du miel pour tes oreilles. Ça doit être une des plus belles chansons du monde :
    https://www.youtube.com/watch?v=uEXkWCtymeY

    (Beaucoup de reprises, dont une par Shakira. Tu n’auras pas de mal à trouver celle de Lhasa de Sela, particulièrement émouvante.)

  • 4 nouveaux Lodges face aux lions ouvrent au #Zoo de La Flèche !
    http://www.zoonaute.net/2018/04/05/lodgeslionslafleche

    comme le dit le communiqué de presse :

    *Au cœur du #bush_africain*, plongez dans une #nature_sauvage ! Le Kruger Lodge, l’Etosha Lodge, le Serengeti Lodge et le Kwanza Lodge vous réservent un séjour grandiose face aux #lions. Offrez-vous une parenthèse en #terre_africaine. Dépaysement assuré !

    Dans un cadre confidentiel et exclusif, les lodges vous proposent des prestations de haut standing : de larges baies vitrées panoramiques pour une vue imprenable sur l’univers des lions. Votre suite dispose d’un salon « cosy », d’un espace dining, d’une chambre équipée d’une literie douce format « #Kingsize », d’une seconde chambre avec de confortables lits doubles superposés et d’une salle de bain au charme unique. Vous disposerez également d’un jardin privatif, équipée d’une douche extérieure pour les plus audacieux !

    Les lodges, soigneusement aménagés aux #couleurs_chaudes_de_l’Afrique vous promettent une ambiance feutrée, intime et conviviale, où vous partagerez, en famille ou entre amis, un dîner raffiné, pensé et réalisé par notre Chef Cuisinier, ainsi qu’un copieux petit déjeuner.

    Du rêve à la réalité, ces lodges africains vous feront passer un moment d’exception au cœur d’une oasis de verdure !

    La journée vous profiterez de la visite du zoo : 18 hectares, 1 500 animaux, ainsi que d’une animation privative. Un des plus beaux parcs d’Europe !

    c’est du grand luxe, 5 étoiles, on peut voir les photos ici
    http://www.familydays.fr/offre-vacances/441-safari-lodge-du-zoo-de-la-fleche.php
    http://www.familydays.fr/uploads/medias/produits/images/1429618911vacances-famille-location-lodge-la-fleche-animaux-11.JPG
    http://www.familydays.fr/uploads/medias/produits/images/1429618901vacances-famille-location-lodge-la-fleche-animaux-10.JPG
    http://www.familydays.fr/uploads/medias/produits/images/1429618889vacances-famille-location-lodge-la-fleche-animaux-9.JPG

    et la question : tout ça n’est-il pas quand même un poil … colonial ?

    Ce à quoi Myriam répond : Je confirme. Il y a d’ailleurs un beau texte de Njabulo Ndebele sur ce genre de choses, qui s’appelle “game lodges and leisure colonialists” (1998).

    https://www.njabulondebele.co.za/work/game-lodges-and-leisure-colonialists
    http://www.njabulondebele.co.za/wp-content/uploads/2015/11/Game_Lodges_and_Leisure_Colonialists_1.pdf

    As we exchanged experiences of life in a game lodge, one of my new friends commented, ‘Now I understand what it meant to be a colonialist’.

    Merci Myriam et merci Njabulo.

  • Affaire Benalla-Macron : ce que révèle l’affaire sur la mixité dans l’administration - Terrafemina
    http://www.terrafemina.com/article/affaire-benalla-macron-ce-que-revele-l-affaire-sur-la-mixite-dans-l-administration_a344160/1

    Ce mardi 24 juillet, le JT de France 2 a largement parlé de l’affaire Benalla : les auditions du jour devant la commission d’enquête de l’Assemblée nationale, les dernières infos sorties à son propos, l’absence de réaction du président Macron... Dans l’un des sujets, les journalistes de la chaîne ont fait un récapitulatif de la galaxie de personnes qui sont partie prenante dans ce scandale. Le journal Le Monde a aussi fait un beau graphique pour tout nous expliquer. On compte bien évidemment le principal protagoniste Alexandre Benalla et Emmanuel Macron, mais aussi :

    Gérard Colomb, le ministre de l’Intérieur, son directeur de cabinet Sébastien Fratacci et son chef de cabinet Jean-Marie Girier.

    Le préfet de police de Paris Michel Delpuech et son subordonné, le contrôleur général Laurent Simonin (accusé d’avoir organisé la venue de Benalla sur la manifestation le 1er mai sans prévenir Delpuech), mais également Jean-Yves Hunault et Maxime Creusat, respectivement commandant chargé de la liaison entre la préfecture et l’Élysée et commissaire de police, tout les deux mis en examen pour avoir transmis la vidéo surveillance des faits.

    Le directeur de cabinet d’Emmanuel Macron : Patrick Strzoda, qui suspend Benalla deux semaines et qui prévient le secrétaire général de l’Elysée, un proche du président : Alexis Kholer.

    le chef de cabinet d’Emmanuel Macron : François-Xavier Lauch, le supérieur hiérarchique direct d’Alexandre Benalla.

    Laurent Hottiaux, le conseiller « intérieur et justice » d’Emmanuel Macron qui prévient par téléphone Michel Delpuech dès le 2 mai des agissements de Benalla. On compte aussi Vincent Caure, le conseiller réseaux sociaux d’Emmanuel Macron qui a repéré la vidéo scandale le 2 mai.

    Vincent Crase, le chargé de sécurité de La République en Marche.

    Reportage du 20h de France 2 sur les hommes autour de l’affaire Benalla

    Mais pas besoin de graphique pour comprendre une chose. Rien ne vous choque ? Tous les protagonistes de cette histoire sont des hommes. A l’exception près, Marie-France Monéger-Guyomarc’h, directrice de l’inspection générale de la Police nationale, la fameuse « police des polices ».

    Une absence de mixité effarante et qui n’a pas manqué de faire réagir l’ex-députée Cécile Duflot, actuellement à la tête d’Oxfam France, sur Twitter :

    Nous aussi, on se fait la réflexion. L’absence de cette belle égalité femmes-hommes tant vantée par Emmanuel Macron (qui promettait d’en faire la grande cause de son quinquennat), nous saute aux yeux dans toute les sphères de son entourage. Le milieu de la police est connu pour être masculin, mais ce n’est pas que la police. Toute la galaxie des personnes des cabinets qui naviguent autour de la présidence et du ministère de l’Intérieur sont des hommes.

    Tenez-vous bien : dans la haute fonction publique, 72% des postes sont occupés par des hommes. Bel exemple que l’État donne à la société civile. Sauf que la parité, cela n’est pas beau que sur le papier glacé des rapports RSE ou dans les coquilles vides des labels égalité. Il faut que cela soit effectif dans la réalité.

    Autre chiffre frappant datant de 2011 et fournis par l’Institut Montaigne : dans l’administration publique, 51% des agent·e·s sont des femmes et elles ne sont que 16 % à des postes de direction.
    Une obligation de recrutement bien faible

    Comme le rapporte Le Monde dans un article de décembre 2017, selon le Journal officiel du 18 septembre, l’équipe d’Emmanuel Macron à l’Élysée comptait 53 personnes, dont 36 hommes et 17 femmes. « Parmi les douze conseillers directement nommés auprès de la présidence (les autres sont rattachés au cabinet), une seule femme, la secrétaire générale adjointe, Anne de Bayser. »

    Celui qui n’était pas encore président avait aussi promis la nomination d’une femme à Matignon et d’une présidente à l’Assemblée nationale. On sait ce qui est advenu par la suite. Le secrétaire d’État chargé des Relations avec le Parlement et porte-parole du gouvernement, Christophe Castaner, avait alors eu cette phrase : « Les recrutements ne se font pas en fonction des sexes mais de la qualité des personnes, et il y a un objectif qui est celui de la parité »

    Argument éculé auquel nous pouvons répondre grâce à l’aide de la grande Françoise Giroud : « La femme serait vraiment l’égale de l’homme le jour où, à un poste important, on désignerait une femme incompétente. »

    Tout ne va malheureusement pas changer du jour au lendemain. Cela tombe bien, parce que depuis une loi de 2012, les administrations sont obligées d’embaucher 30 % de femmes parmi les personnes nommées pour la première fois. Aujourd’hui, en lissant les différents ministères, on atteint le mirobolant 33 %.

    Une lettre ouverte des femmes de l’administration laissée lettre morte

    Le ministère de la Justice est l’avant-dernier cancre du gouvernement avec 20 % de nominations féminines. Interrogée par France 2 en janvier 2018, Françoise Lebon-Banchard, présidente de l’association Femmes et Justice, dénonçait cette situation : « Ce que je peux dire, c’est qu’il y a des femmes de qualité qui méritent des hauts postes. Il y a des femmes qui se sont préparées, qui sont compétentes mais malheureusement, on ne les voit pas. »

    Dans une lettre ouverte en début d’année, les réseaux féminins de l’administration avaient interpellé Emmanuel Macron sur le sujet : « Force est de constater que, malgré les annonces faites dans les premiers mois de votre quinquennat, que les réseaux féminins saluent, l’inquiétude prédomine sur la place des femmes dans le pilotage de l’État, sur leurs parcours professionnels et sur la lutte contre les stéréotypes, le sexisme et le harcèlement sexuel. »

    Elles ajoutent : « Le portage politique de ce sujet par vos ministres régresse par rapport à la mandature précédente. La composition de leurs cabinets en témoigne, les nominations aux postes de responsabilité également. » Elles se désolaient notamment des « mécanismes d’éviction des femmes au cours de leur vie » de l’administration, proposant une modernisation de l’organisation du travail pour qu’hommes et femmes puissent « mieux articuler leur vie professionnelle et leur vie personnelle. »

    Loin de nous l’idée de penser que si cela avait été des femmes, les dysfonctionnements autour de l’affaire d’Alexandre Benalla auraient été plus minimes. Si elles sont capables de grandes choses, les femmes foirent (parfois) aussi bien que les hommes.

  • Les mensonges sur France Télécom éclairent ceux sur la #SNCF
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/160318/les-mensonges-sur-france-telecom-eclairent-ceux-sur-la-sncf

    Pour justifier les ordonnances sur la SNCF, le gouvernement assure que son seul objectif est d’améliorer le fonctionnement de l’entreprise dans le cadre de l’ouverture à la concurrence. Les mêmes arguments, avancés pour France Télécom voilà 20 ans, ont débouché… sur une cascade de mensonges !

    #Economie #France_Telecom #Lionel_Jospin #Michel_Delebarre #Orange #Service_public

  • Les enfants tueurs de l’État islamique
    https://www.mediapart.fr/journal/france/050318/les-enfants-tueurs-de-l-etat-islamique

    Capture d’écran d’une vidéo de propagande intitulée « Mon père a dit » et diffusée fin décembre 2016. © DR Un djihadiste toulousain a expliqué, lors de son audition à son retour de Syrie, que l’État islamique projetait en Europe des attentats commis par des enfants. Si un seul cas suspect a été détecté parmi les quelque soixante-dix mineurs rentrés en #France, le parquet de Paris adapte sa politique pénale. Selon nos informations, les enfants âgés de 13 ans seront désormais placés en garde à vue à leur arrivée dans l’Hexagone.

    #Abou_Moussab_al-Zarqaoui #DGSI #enfants_soldats #Etat_islamique #Jonathan_Geffroy #Kevin_Guiavarch #Laurent_Nunez #Lionceaux_du_Califat #Oussama_Ben_Laden #Patrick_Calvar #Reda_Hame

  • S.I.Lex va devenir un livre (mais on a besoin de vous !) – – S.I.Lex –
    https://scinfolex.com/2018/02/19/s-i-lex-va-devenir-un-livre-mais-on-a-besoin-de-vous

    Mais de manière assez paradoxale, ce blog cherche aussi depuis longtemps à retrouver le chemin du livre… sans y parvenir ! Dès 2012, des éditeurs m’ont adressé des propositions pour publier sous la forme d’un ouvrage une compilation de billets. A l’origine, je voyais plutôt d’un bon oeil ce type de projets, car si le blog a ses avantages, il a aussi quelques faiblesses. Un livre permet notamment de poser une somme et de dégager par la réorganisation des contenus une cohérence, là où l’accumulation des billets dans le flux rend le schéma d’ensemble difficilement perceptible pour les lecteurs.

    D’abord, on ne peut pas vraiment compiler tels quels des billets de blog, car ceux-ci sont en général écrits à partir d’un contexte donné et en réaction à une actualité, ce qui nécessite une réécriture (ou au moins une recontextualisation) pour pouvoir les intégrer dans un livre. Or tout cela prend du temps – voire même énormément de temps – et c’est précisément la chose dont je manque le plus au monde. Travailler sur un livre nécessiterait sans doute que j’arrête de publier des billets pendant quelques temps, chose que je ne peux faire sans me mettre rapidement à suffoquer… Dès lors l’équation devient insoluble, car compiler ce blog dans un livre finirait par dévorer S.I.Lex lui-même, ce à quoi je ne peux me résoudre (oui, j’assume une certaine forme d’addiction…).

    L’idée de l’équipe éditoriale qui s’est rassemblée pour réaliser ce projet consiste à proposer des « parcours de lecture » à travers les billets de ce blog que des personnes le fréquentant pourront suggérer, en les accompagnant d’un commentaire. C’est donc un mélange de compilation, de curation et d’éditorialisation qui devrait donner naissance à ce livre d’un genre assez nouveau (une sorte de livre d’or 2.0 ?). Et quelle est ma place dans ce dispositif ? Et bien aucune ! En choisissant la licence CC0, je me suis comme déjà absenté par avance de mon « oeuvre » pour la rendre la plus disponible possible. Je n’aurai pas de droit de regard, pas de droit d’auteur, et pas même de droit moral à faire valoir dans ce projet ! Mais je suis certain que c’est de cette manière – dans la pleine confiance accordée à ses porteurs – que ce livre pourra voir le jour, car j’ai été pour l’instant le principal obstacle à ce qu’il se réalise…

    #Edition #Lionel_Maurel

  • Fondation Messi : des matchs de charité qui rapportent surtout aux stars du foot
    https://www.mediapart.fr/journal/international/150118/fondation-messi-des-matchs-de-charite-qui-rapportent-surtout-aux-stars-du-

    Affiche promotionnelle d’un des matchs de gala, à Chicago © DR La Fondation Lionel-Messi a organisé des matchs pour aider des enfants réfugiés syriens et des mineurs en souffrance. Les #football Leaks montrent qu’en réalité, la presque totalité des recettes a atterri ailleurs, notamment dans les poches de stars du football déjà multimillionnaires. La justice a classé l’affaire, contre l’avis de policiers qui pensent que Messi a été « couvert ».

    #International #Economie #Amigos_de_Messi #charité #Edinson_Cavani #Fabio_Capello #Fondation_Leo_Messi #football_leaks #Lionel_Messi #Neymar

  • #Lionel_Messi: un contrat à plus de 100 millions d’euros par an
    https://www.mediapart.fr/journal/international/120118/lionel-messi-un-contrat-plus-de-100-millions-d-euros-par

    D’après de nouveaux documents obtenus dans le cadre des #football Leaks, Lionel Messi a obtenu du #FC_Barcelone un revenu minimum qui dépasse les 100 millions d’euros par saison. Du jamais vu. Plus de deux fois les revenus de Cristiano Ronaldo, qui va à cette occasion découvrir que le #Real_Madrid a tenté de recruter son rival Lionel Messi.

    #International #Economie #Florentino_Perez #football_leaks #Jorge_Messi

  • Sa fondation pour les enfants : une charité bien ordonnée...
    https://www.mediapart.fr/journal/international/120118/sa-fondation-pour-les-enfants-une-charite-bien-ordonnee

    Bien loin des intérêts des enfants malades et défavorisés, #Lionel_Messi s’est servi de sa fondation, basée en Espagne, pour optimiser ses revenus en secret. Il a dû régulariser sa situation au plus vite pour éviter des poursuites. C’est le #FC_Barcelone qui s’est chargé de régler son ardoise fiscale.

    #International #Economie #football_leaks