• The pact kills : l’istituzionalizzazione della fine del diritto d’asilo nell’UE

    Un documento dell’Associazione #Open_Your_Borders di Padova sul nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo.

    Il 10 aprile il Parlamento europeo ha approvato il Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, frutto di un lungo negoziato cominciato nel 2020 tra Parlamento, Consiglio e Commissione.

    Prima di entrare in vigore, dovrà essere votato anche dal Consiglio dell’UE, l’organo in cui risiedono i rappresentanti dei governi dei 27 stati membri, la cui votazione è attesa entro la fine di aprile.

    In sintesi, questo Nuovo Patto prevede una serie di riforme del sistema di gestione dei flussi migratori e della richiesta di protezione internazionale nel territorio dell’Unione Europea e, in particolare, raccoglie al suo interno dieci proposte di legge che vanno brutalmente a rafforzare l’approccio securitario della ormai consolidata “fortezza Europa”, costituita dalle 27 nazioni, sulle 43 + 7 dell’Europa geografica.

    È evidente che i tempi e i contenuti di questa mossa hanno chiare motivazioni elettoralistiche in vista delle elezioni Europee, con il riposizionamento dei vari partiti nazionali in funzione sia della propria affermazione locale che della futura riaggregazione in probabili inedite coalizioni. Infatti “il Patto” è stato approvato trasversalmente con 301 voti favorevoli, 269 contrari e 51 astensioni.

    La coalizione di centrodestra governativa guidata da Giorgia Meloni è risultata non omogenea, con lo spostamento di Fratelli d’Italia (attualmente all’opposizione in Europa) a favore e con la Lega che ha confermato il proprio voto contrario, probabilmente perché considera la linea adottata troppo moderata e poco sovranista.

    Con motivazioni opposte, si sono schierati contrari anche il PD (che è organico dell’attuale maggioranza in UE) e il Movimento 5 stelle.

    Si rincorrono i toni trionfalistici per la “decisione storica” presa, dipinta come “un enorme risultato per l’Europa”, “un solido quadro legislativo su come affrontare la migrazione e l’asilo nell’Unione europea” e per una fantomatica e propagandistica “vittoria italiana” sottolineata da Meloni, nonostante il tanto criticato Regolamento di Dublino (per cui è il paese di primo ingresso l’unico responsabile di esaminare le richieste di protezione internazionale e di gestire e trattenere al suo interno le persone migranti) sia stato di fatto rafforzato.

    Noi, in questa giornata buia per il diritto d’asilo europeo e per la libertà di movimento internazionale, vediamo solo un consolidamento di pratiche di violazione dei diritti umani, che sono già attuate e condivise da parecchio tempo, sia alle frontiere che nei territori degli Stati dell’Unione Europea, in vista di quello che si prospetta come un inasprimento e allargamento del conflitto mediorientale e di una sempre maggiore instabilità di tutta l’area del Sahel (testimoniato da 7 colpi di Stato in pochi anni e dalla guerra solo apparentemente interna in Sudan che continua nell’indifferenza generale) dove si stanno giocando gli interessi egemonici in Africa dei due blocchi politici ed economici contrapposti, con Stati Uniti e Francia su tutti da un lato, e paesi Brics (Russia, Cina, India, ecc.) dall’altro.

    Con l’Unione Europa dal peso politico inconsistente tra le due parti e i suoi Stati membri che si percepiscono (erroneamente) come meta di approdo per tutti i movimenti di fuga delle popolazioni, i confini esterni dell’Unione diventano in primis la rappresentazione materiale da blindare assolutamente a scopo preventivo.

    Di seguito, analizziamo nello specifico le nuove norme per noi più critiche e problematiche.
    1) Procedure accelerate e sommarie per la richiesta di protezione internazionale

    Il Nuovo Patto divide in maniera importante i percorsi di richiesta di protezione internazionale, con l’applicazione di una procedura accelerata e generalizzata basata soprattutto sulla provenienza geografica legata alla classificazione dei cosiddetti “Stati sicuri” e non sulla storia individuale delle persone.

    Il testo prevede che tali procedure accelerate – che dovrebbero durare al massimo 12 settimane – siano svoltedirettamente nelle zone di frontiera, con il trattenimento di migliaia di persone in centri di detenzione posizionati ai confini degli Stati dell’Unione Europea.

    Lo svolgimento dell’esame approssimativo delle richieste sulla base della nazionalità porterà quindi ad un aumento generalizzato delle espulsioni, limitando la possibilità di richiesta di asilo, in violazione del principio internazionale del non respingimento, ma anche, ad esempio, al diritto alle cure mediche e al ricongiungimento familiare.

    Il criterio basato sullo Stato di provenienza è già stato eccezionalmente usato per velocizzare l’ingresso e l’integrazione diffusa delle persone rifugiate ucraine – però limitato a donne, bambin* e anzian*. Tale applicazione, causata dal conflitto Russia-Ucraina, che evidentemente ci tocca da vicino sia per posizione geografica che etnica, ha però contestualmente escluso l’evacuazione di tutti gli altri “non bianchi” presenti in quel territorio per motivi di lavoro, di studio o in transito migratorio. Anche per questo motivo, utilizzare solamente il criterio di provenienza geografica di origine senza considerare le specificità delle persone nelle procedure accelerate è funzionale alla negazione dell’asilo, in quanto arbitraria e strumentale da parte degli Stati.
    2) Un nuovo regolamento di screening (ovvero l’esercizio della bio-politica)

    Le persone richiedenti asilo non possono scegliere se seguire una procedura tradizionale (che richiede molti mesi) o accelerata, ma vengono divisi e indirizzati in base al loro profilo, stilato attraverso un nuovo e uniforme regolamento di screening obbligatorio inserito nell’Eurodac, creando così una enorme banca dati comune: questa “procedura di frontiera” preliminare, da farsi entro 7 giorni dall’arrivo, comprende identificazione, raccolta dei dati biometrici, controlli sanitari e di sicurezza, controllo di eventuali trasferimenti e precedenti, il tutto a partire dai 6 anni di età. Questa procedura sarà adottata principalmente per le persone richiedenti asilo che per qualche motivo vengono considerati un “pericolo” per i paesi dell’Unione, per coloro che provengono dai paesi considerati “sicuri” e per chi proviene da paesi che, anche per altri motivi, hanno un tasso molto basso (sotto il 20 per cento) di domande d’asilo accolte.
    3) Introduzione del concetto di “finzione del non ingresso”

    Il patto introduce il concetto di “finzione giuridica di non ingresso”, secondo il quale le zone di frontiera sono considerate come non parte del territorio degli Stati membri. Questo interessa in particolare l’Italia, la Grecia e la Spagna per gli sbarchi della rotta mediterranea, mentre sono più articolati “i confini” per la rotta balcanica. Durante le 12 settimane di attesa per l’esito della richiesta di asilo, le persone sono considerate legalmente “non presenti nel territorio dell’UE”, nonostante esse fisicamente lo siano (in centri di detenzione ai confini), non avranno un patrocinio legale gratuito per la pratica amministrativa e tempi brevissimi per il ricorso in caso di un primo diniego (e in quel caso rischiano anche di essere espulse durante l’attesa della decisione che li riguarda). In assenza di accordi con i paesi di origine (come nella maggioranza dei casi), le espulsioni avverranno verso i paesi di partenza.

    Tale concetto creadelle pericolose “zone grigie” in cui le persone in movimento, trattenute per la procedura accelerata di frontiera, non potranno muoversi sul territorio né tantomeno accedere a un supporto esterno. Tutto questo in spregio del diritto internazionale e della tutela della persona che, sulla carta, l’UE si propone(va) di difendere.
    4) L’istituzione di un meccanismo di “solidarietà obbligatoria” e l’esternalizzazione dei confini

    All’interno di una narrazione in cui le persone in movimento sono un onere da cui gli Stati Europei cercano di sottrarsi, viene istituito un meccanismo di “accettazione obbligatoria” di ricollocamento e trasferimento delle persone migranti, ma solo in caso di non precisate impennate di arrivi. Gli Stati potranno però scegliere se “accettare” un certo numero di migranti o, in alternativa all’accoglienza, fornire supporto operativo al paese d’arrivo, inviando del personale o mezzi, oppure pagare una quota di 20mila euro per ogni richiedente che si rifiutano di accogliere, da versare in un fondo comune dell’Unione Europea.

    I soldi versati in questo fondo comune, oltre a poter essere redistribuiti tra i paesi di frontiera (come l’Italia), potranno essere utilizzati per sostenere e finanziare «azioni nei paesi terzi o in relazione ad essi che hanno un impatto diretto sui flussi migratori verso l’UE» ossia paesi, come Libia e Tunisia da cui le persone migranti partono per raggiungere l’Europa.

    Un meccanismo disumanizzante e che trasforma le persone e le garanzie dei diritti umani in merci barattabili con un compenso economico destinabile a rafforzare i confini ancora più esternamente.

    Un ulteriore sviluppo è dato dalla delocalizzazione della zona di frontiera, attraverso la creazione di hotspot al di fuori dei confini nazionali, come nel caso dei futuri centri italiani in Albania.

    L’adozione di questo Nuovo Patto – non ancora definitivo, si ricorda – dimostra come i valori di accoglienza e “integrazione” e il diritto alla libertà di movimento, previsto dall’art. 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, vengano sgretolati di fronte ad una sempre più marcata diffidenza, chiusura e difesa della sovranità nazionale.

    Con la recrudescenza dei nazionalismi negli Stati Europei e la loro incapacità di agire con una lungimiranza alternativa e una visione decolonializzata nello scacchiere geopolitico, la tutela degli individui e della dignità umana viene “semplicemente” sostituita da inquietanti concetti privi di senso legati alla purezza della nazione e dell’etnia e alla difesa, in modalità securitaria e repressiva, della patria e della tradizione, che si traducono in istituzionalizzazione e normalizzazione dell’agire violento ai confini della UE e in una crescente esternalizzazione della frontiera attraverso il respingimento delle persone razzializzate nell’ultimo Paese di partenza, con l’intento dichiarato di voler scoraggiare la mobilità verso l’Europa.

    https://www.meltingpot.org/2024/04/the-pact-kills-listituzionalizzazione-della-fine-del-diritto-dasilo-nell
    #pacte #asile #migrations #réfugiés #droit_d'asile #procédure_accélérée #pays_sûrs #rétention #frontières #rétention_aux_frontières #screening #Eurodac #procédure_de_frontière #biométrie #fiction_juridique #zones_frontalières #solidarité_obligatoire #externalisation #relocalisation #fiction_légale #legal_fiction

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    ajouté à la métaliste sur #Pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile :
    https://seenthis.net/messages/1019088

    ajouté à la métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
    https://seenthis.net/messages/795053

  • À Strasbourg, l’Europe intensifie discrètement le fichage des migrants

    Dans un bâtiment discret, 350 personnes travaillent à renforcer le #contrôle et le #suivi des personnes entrant dans l’#espace_Schengen. Reportage dans l’agence de l’Union européenne qui renforce le fichage des migrants.

    Dans le quartier du Neuhof à Strasbourg, un bâtiment hautement sécurisé attire l’œil. Dissimulée derrière le gymnase du Stockfeld et entourée de terrains vagues, l’#agence_européenne #eu-Lisa est protégée par deux lignes barbelées surplombées de caméras. Aux alentours du bâtiment, les agents de sécurité portent au cœur un petit drapeau bleu aux douze étoiles. Des véhicules immatriculés en France, au Luxembourg, en Belgique et en Allemagne stationnent sur le parking.

    Créée en 2011 et opérationnelle depuis 2012, l’#agence_européenne_pour_la_gestion_opérationnelle_des_systèmes_d’information à grande échelle eu-Lisa développe et fait fonctionner les #bases_de_données de l’Union européenne (UE). Ces dernières permettent d’archiver les #empreintes_digitales des demandeurs et demandeuses d’asile mais aussi les demandes de visa ou les alertes de personnes portées disparues.

    Le siège d’eu-Lisa est à Tallinn, en Estonie. Un bureau de liaison se trouve à Bruxelles et son centre opérationnel a été construit à Strasbourg. Lundi 26 février, le ministre délégué aux affaires européennes, Jean-Noël Barrot, est venu visiter l’endroit, où sont développés les nouveaux systèmes de suivi et de #filtrage des personnes migrantes et des voyageurs et voyageuses non européen·nes. Le « cœur de Schengen », selon la communication de l’agence.

    Sur les écrans de contrôle, des ingénieur·es suivent les requêtes adressées par les États membres aux différents #systèmes_d’information_opérationnels. L’un d’eux raconte que le nombre de cyberattaques subies par l’agence est colossal : 500 000 tentatives par mois environ. La quantité de données gérées est aussi impressionnante : en 2022, le système #VIS (#Visa_Information_System) a enregistré 57 millions de demandes de #visas et 52 millions d’empreintes digitales. La même année, 86,5 millions d’alertes ont été transmises au système #SIS (#Schengen_Information_System).

    Dans l’agence du Neuhof, une vingtaine de nationalités sont représentées parmi les 350 travailleurs et travailleuses. En tout, 500 mètres carrés sécurisés abritent les données confidentielles de dizaines de millions de personnes. 2 500 ordinateurs fonctionnent en permanence pour une capacité de stockage de 13 petabytes, soit 13 milliards de gigabytes. Vingt-quatre heures sur vingt-quatre et sept jours sur sept, l’eu-Lisa répond aux demandes de données des pays membres de l’espace Schengen ou de l’Union européenne.

    Traduire la politique en #technologie

    Au-delà de la salle de réunion, impossible de photographier les murs ou l’environnement de travail. L’enclave européenne est sous haute surveillance : pour entrer, les empreintes digitales sont relevées après un passage des sacs au scanner. Un badge connecté aux empreintes permet de passer un premier sas d’entrée. Au-delà, les responsables de la sécurité suivent les visiteurs de très près, au milieu d’un environnement violet et vert parsemé de plantes de toutes formes.

    Moins de six mois avant le début des Jeux olympiques et paralympiques de Paris et deux mois après l’accord européen relatif au Pacte sur la migration et l’asile, l’agence aux 260 millions d’euros de budget en 2024 travaille à mettre en place le système de contrôle des flux de personnes le plus précis, efficace et complet de l’histoire de l’espace Schengen. Le pacte prévoit, par exemple, que la demande d’asile soit uniformisée à travers l’UE et que les « migrants illégaux » soient reconduits plus vite et plus efficacement aux frontières.

    Pour accueillir le ministre, #Agnès_Diallo, directrice de l’eu-Lisa depuis 2023, diffuse une petite vidéo en anglais dans une salle de réunion immaculée. L’ancienne cadre de l’entreprise de services numériques #Atos présente une « agence discrète » au service de la justice et des affaires intérieures européennes. À l’eu-Lisa, pas de considération politique. « Notre agence a été créée par des règlements européens et nous agissons dans ce cadre, résume-t-elle. Nous remplaçons les frontières physiques par des #frontières_numériques. Nous travaillons à laisser passer dans l’espace Schengen les migrants et voyageurs qui sont légitimes et à filtrer ceux qui le sont moins. »

    L’eu-Lisa invente, améliore et fait fonctionner les sept outils informatiques utilisés en réseau par les États membres et leurs institutions. L’agence s’assure notamment que les données sont protégées. Elle forme aussi les personnes qui utiliseront les interfaces, comme les agents de #Frontex, d’#Europol ou de la #police_aux_frontières. Au Neuhof, les personnes qui travaillent n’utilisent pas les informations qu’elles stockent.

    Fichés dès l’âge de 6 ans

    L’agence eu-Lisa héberge les empreintes digitales de 7,5 millions de demandeurs et demandeuses d’asile et « migrants illégaux » dans le système appelé Eurodac. Pour le moment, les données récoltées ne sont pas liées à l’identité de la personne ni à sa photo. Mais avec l’adoption des nouvelles règles relatives au statut de réfugié·e en Europe, Eurodac est en train d’être complètement refondé pour être opérationnel en 2026.

    La réforme décidée en décembre 2023 prévoit que les demandeurs d’asile et « migrants illégaux » devront fournir d’autres informations biométriques : en plus de leurs empreintes, leur photo, leur nom, prénom et date et lieu de naissance seront enregistrés lors de leur entrée dans Schengen. La procédure vaudra pour toute personne dès l’âge de 6 ans (contre 14 avant la réforme). Les #données qui étaient conservées pour dix-huit mois pourront l’être jusqu’à cinq ans.

    La quantité d’informations stockées va donc croître exponentiellement dès 2026. « Nous aurons énormément de données pour #tracer les mouvements des migrants irréguliers et des demandeurs d’asile », se félicite #Lorenzo_Rinaldi, l’un des cadres de l’agence venant tout droit de Tallinn. Eurodac permettra à n’importe quelle autorité policière habilitée de savoir très précisément par quel pays est arrivée une personne, ainsi que son statut administratif.

    Il sera donc impossible de demander une protection internationale dans un pays, puis de s’installer dans un autre, ou de demander une seconde fois l’asile dans un pays européen. Lorenzo Rinaldi explique : « Aujourd’hui, il nous manque la grande image des mouvements de personnes entre les États membres. On pourra identifier les tendances, recouper les données et simplifier l’#identification des personnes. »

    Pour identifier les itinéraires et contrôler les mouvements de personnes dans l’espace Schengen, l’agence travaille aussi à ce que les sept systèmes d’information fonctionnent ensemble. « Nous avions des bases de données, nous aurons désormais un système complet de gestion de ces informations », se réjouit Agnès Diallo.

    L’eu-Lisa crée donc également un système de #traçage des entrées et des sorties de l’espace Schengen, sobrement appelé #Entry-Exit_System (ou #EES). Développé à l’initiative de la France dès 2017, il remplace par une #trace_numérique le tamponnage physique des passeports par les gardes-frontières. Il permet notamment de détecter les personnes qui restent dans Schengen, après que leur visa a expiré – les #overstayers, celles qui restent trop longtemps.

    Frontières et Jeux olympiques

    « Toutes nos équipes sont mobilisées pour faire fonctionner le système EES [entrées-sorties de l’espace Schengen – ndlr] d’ici à la fin de l’année 2024 », précise Agnès Diallo. Devant le Sénat en 2023, la directrice exécutive avait assuré que l’EES ne serait pas mis en place pendant les Jeux olympiques et paralympiques si son influence était négative sur l’événement, par exemple s’il ralentissait trop le travail aux frontières.

    En France et dans onze autres pays, le système EES est testé depuis janvier 2024. L’agence estime qu’il sera prêt pour juillet 2024, comme l’affirme Lorenzo Rinaldi, chef de l’unité chargé du soutien à la direction et aux relations avec les partenaires de l’eu-Lisa : « Lorsqu’une personne non européenne arrive dans Schengen, elle devra donner à deux reprises ses #données_biométriques. Donc ça sera plus long la première fois qu’elle viendra sur le territoire, mais ses données seront conservées trois ans. Les fois suivantes, lorsque ses données seront déjà connues, le passage sera rapide. »

    Ce système est prévu pour fonctionner de concert avec un autre petit nouveau, appelé #Etias, qui devrait être opérationnel d’ici au premier semestre de 2025. Les personnes qui n’ont pas d’obligation d’avoir de visa pour entrer dans 30 pays européens devront faire une demande avant de venir pour un court séjour – comme lorsqu’un·e citoyen·ne français·e demande une autorisation électronique de voyage pour entrer aux États-Unis ou au Canada. La procédure, en ligne, sera facturée 7 euros aux voyageurs et voyageuses, et l’autorisation sera valable trois ans.

    L’eu-Lisa gère enfin le #système_d’information_Schengen (le #SIS, qui gère les alertes sur les personnes et objets recherchés ou disparus), le système d’information sur les visas (#VIS), la base de données des #casiers_judiciaires (#Ecris-TCN) et le #Codex pour la #coopération_judiciaire entre États membres.

    L’agence travaille notamment à mettre en place une communication par Internet entre ces différents systèmes. Pour Agnès Diallo, cette nouveauté permettra une coordination sans précédent des agents aux frontières et des institutions judiciaires nationales et européennes dans les 27 pays de l’espace Schengen.

    « On pourra suivre les migrants, réguliers et irréguliers », se félicite Fabienne Keller, députée européenne Renew et fervente défenseuse du Pacte sur les migrations. Pour la mise en place de tous ces outils, l’agence eu-Lisa devra former les États membres mais également les transporteurs et les voyageurs et voyageuses. L’ensemble de ces systèmes devrait être opérationnel d’ici à la fin 2026.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/050324/strasbourg-l-europe-intensifie-discretement-le-fichage-des-migrants

    #fichage #migrations #réfugiés #biométrie
    via @karine4
    ping @_kg_

  • Border security with drones and databases

    The EU’s borders are increasingly militarised, with hundreds of millions of euros paid to state agencies and military, security and IT companies for surveillance, patrols and apprehension and detention. This process has massive human cost, and politicians are planning to intensify it.

    Europe is ringed by steel fences topped by barbed wire; patrolled by border agents equipped with thermal vision systems, heartbeat detectors, guns and batons; and watched from the skies by drones, helicopters and planes. Anyone who enters is supposed to have their fingerprints and photograph taken for inclusion in an enormous biometric database. Constant additions to this technological arsenal are under development, backed by generous amounts of public funding. Three decades after the fall of the Berlin Wall, there are more walls than ever at Europe’s borders,[1] and those borders stretch ever further in and out of its territory. This situation is the result of long-term political and corporate efforts to toughen up border surveillance and controls.

    The implications for those travelling to the EU depend on whether they belong to the majority entering in a “regular” manner, with the necessary paperwork and permissions, or are unable to obtain that paperwork, and cross borders irregularly. Those with permission must hand over increasing amounts of personal data. The increasing automation of borders is reliant on the collection of sensitive personal data and the use of algorithms, machine learning and other forms of so-called artificial intelligence to determine whether or not an individual poses a threat.

    Those without permission to enter the EU – a category that includes almost any refugee, with the notable exception of those who hold a Ukrainian passport – are faced with technology, personnel and policies designed to make journeys increasingly difficult, and thus increasingly dangerous. The reliance on smugglers is a result of the insistence on keeping people in need out at any cost – and the cost is substantial. Thousands of people die at Europe’s borders every year, families are separated, and people suffer serious physical and psychological harm as a result of those journeys and subsequent administrative detention and social marginalisation. Yet parties of all political stripes remain committed to the same harmful and dangerous policies – many of which are being worsened through the new Pact on Migration and Asylum.[2]

    The EU’s border agency, Frontex, based in Warsaw, was first set up in 2004 with the aim of providing technical coordination between EU member states’ border guards. Its remit has been gradually expanded. Following the “migration crisis” of 2015 and 2016, extensive new powers were granted to the agency. As the Max Planck Institute has noted, the 2016 law shifted the agency from a playing “support role” to acting as “a player in its own right that fulfils a regulatory, supervisory, and operational role.”[3] New tasks granted to the agency included coordinating deportations of rejected refugees and migrants, data analysis and exchange, border surveillance, and technology research and development. A further legal upgrade in 2019 introduced even more extensive powers, in particular in relation to deportations, and cooperation with and operations in third countries.

    The uniforms, guns and batons wielded by Frontex’s border guards are self-evidently militaristic in nature, as are other aspects of its work: surveillance drones have been acquired from Israeli military companies, and the agency deploys “mobile radars and thermal cameras mounted on vehicles, as well as heartbeat detectors and CO2 monitors used to detect signs of people concealed inside vehicles.”[4] One investigation described the companies that have held lobbying meetings or attended events with Frontex as “a Who’s Who of the weapons industry,” with guests including Airbus, BAE Systems, Leonardo and Thales.[5] The information acquired from the agency’s surveillance and field operations is combined with data provided by EU and third country agencies, and fed into the European Border Surveillance System, EUROSUR. This offers a God’s-eye overview of the situation at Europe’s borders and beyond – the system also claims to provide “pre-frontier situational awareness.”

    The EU and its member states also fund research and development on these technologies. From 2014 to 2022, 49 research projects were provided with a total of almost €275 million to investigate new border technologies, including swarms of autonomous drones for border surveillance, and systems that aim to use artificial intelligence to integrate and analyse data from drones, satellites, cameras, sensors and elsewhere for “analysis of potential threats” and “detection of illegal activities.”[6] Amongst the top recipients of funding have been large research institutes – for example, Germany’s Fraunhofer Institute – but companies such as Leonardo, Smiths Detection, Engineering – Ingegneria Informatica and Veridos have also been significant beneficiaries.[7]

    This is only a tiny fraction of the funds available for strengthening the EU’s border regime. A 2022 study found that between 2015 and 2020, €7.7 billion had been spent on the EU’s borders and “the biggest parts of this budget come from European funding” – that is, the EU’s own budget. The total value of the budgets that provide funds for asylum, migration and border control between 2021-27 comes to over €113 billion[8]. Proposals for the next round of budgets from 2028 until 2035 are likely to be even larger.

    Cooperation between the EU, its member states and third countries on migration control comes in a variety of forms: diplomacy, short and long-term projects, formal agreements and operational deployments. Whatever form it takes, it is frequently extremely harmful. For example, to try to reduce the number of people arriving across the Mediterranean, member states have withdrawn national sea rescue assets (as deployed, for example, in Italy’s Mare Nostrum operation) whilst increasing aerial surveillance, such as that provided by the Israel-produced drones operated by Frontex. This makes it possible to observe refugees attempting to cross the Mediterranean, whilst outsourcing their interception to authorities from countries such as Libya, Tunisia and Egypt.

    This is part of an ongoing plan “to strengthen coordination of search and rescue capacities and border surveillance at sea and land borders” of those countries. [9] Cooperation with Tunisia includes refitting search and rescue vessels and providing vehicles and equipment to the Tunisian coastguard and navy, along with substantial amounts of funding. The agreement with Egypt appears to be structured along similar lines, and five vessels have been provided to the so-called Libyan Coast Guard in 2023.[10]

    Frontex also plays a key role in the EU’s externalised border controls. The 2016 reform allowed Frontex deployments at countries bordering the EU, and the 2019 reform allowed deployments anywhere in the world, subject to agreement with the state in question. There are now EU border guards stationed in Albania, Montenegro, Serbia, Bosnia and Herzegovina, and North Macedonia.[11] The agency is seeking agreements with Niger, Senegal and Morocco, and has recently received visits from Tunisian and Egyptian officials with a view to stepping up cooperation.[12]

    In a recent report for the organisation EuroMed Rights, Antonella Napolitano highlighted “a new element” in the EU’s externalisation strategy: “the use of EU funds – including development aid – to outsource surveillance technologies that are used to entrench political control both on people on the move and local population.” Five means of doing so have been identified: provision of equipment; training; financing operations and procurement; facilitating exports by industry; and promoting legislation that enables surveillance.[13]

    The report highlights Frontex’s extended role which, even without agreements allowing deployments on foreign territory, has seen the agency support the creation of “risk analysis cells” in a number of African states, used to gather and analyse data on migration movements. The EU has also funded intelligence training in Algeria, digital evidence capacity building in Egypt, border control initiatives in Libya, and the provision of surveillance technology to Morocco. The European Ombudsman has found that insufficient attention has been given to the potential human rights impacts of this kind of cooperation.[14]

    While the EU and its member states may provide the funds for the acquisition of new technologies, or the construction of new border control systems, information on the companies that receive the contracts is not necessarily publicly available. Funds awarded to third countries will be spent in accordance with those countries’ procurement rules, which may not be as transparent as those in the EU. Indeed, the acquisition of information on the externalisation in third countries is far from simple, as a Statewatch investigation published in March 2023 found.[15]

    While EU and member state institutions are clearly committed to continuing with plans to strengthen border controls, there is a plethora of organisations, initiatives, campaigns and projects in Europe, Africa and elsewhere that are calling for a different approach. One major opportunity to call for change in the years to come will revolve around proposals for the EU’s new budgets in the 2028-35 period. The European Commission is likely to propose pouring billions more euros into borders – but there are many alternative uses of that money that would be more positive and productive. The challenge will be in creating enough political pressure to make that happen.

    This article was originally published by Welt Sichten, and is based upon the Statewatch/EuroMed Rights report Europe’s techno-borders.

    Notes

    [1] https://www.tni.org/en/publication/building-walls

    [2] https://www.statewatch.org/news/2023/december/tracking-the-pact-human-rights-disaster-in-the-works-as-parliament-makes

    [3] https://www.mpg.de/14588889/frontex

    [4] https://www.theguardian.com/global-development/2021/dec/06/fortress-europe-the-millions-spent-on-military-grade-tech-to-deter-refu

    [5] https://frontexfiles.eu/en.html

    [6] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [7] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [8] https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/europe-s-techno-borders

    [9] https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-

    [10] https://www.statewatch.org/media/4103/eu-com-von-der-leyen-ec-letter-annex-10-23.pdf

    [11] https://www.statewatch.org/analyses/2021/briefing-external-action-frontex-operations-outside-the-eu

    [12] https://www.statewatch.org/news/2023/november/eu-planning-new-anti-migration-deals-with-egypt-and-tunisia-unrepentant-, https://www.statewatch.org/publications/events/secrecy-and-the-externalisation-of-eu-migration-control

    [13] https://privacyinternational.org/challenging-drivers-surveillance

    [14] https://euromedrights.org/wp-content/uploads/2023/07/Euromed_AI-Migration-Report_EN-1.pdf

    [15] https://www.statewatch.org/access-denied-secrecy-and-the-externalisation-of-eu-migration-control

    https://www.statewatch.org/analyses/2024/border-security-with-drones-and-databases
    #frontières #militarisation_des_frontières #technologie #données #bases_de_données #drones #complexe_militaro-industriel #migrations #réfugiés #contrôles_frontaliers #surveillance #sécurité_frontalière #biométrie #données_biométriques #intelligence_artificielle #algorithmes #smugglers #passeurs #Frontex #Airbus #BAE_Systems #Leonardo #Thales #EUROSUR #coût #business #prix #Smiths_Detection #Fraunhofer_Institute #Engineering_Ingegneria_Informatica #informatique #Tunisie #gardes-côtes_tunisiens #Albanie #Monténégro #Serbie #Bosnie-Herzégovine #Macédoine_du_Nord #Egypte #externalisation #développement #aide_au_développement #coopération_au_développement #Algérie #Libye #Maroc #Afrique_du_Nord

  • Immigration en Europe : la France à la manœuvre pour autoriser la rétention des enfants dès le plus jeune âge
    https://disclose.ngo/fr/article/immigration-en-europe-la-france-a-la-manoeuvre-pour-autoriser-la-retention

    La France a œuvré dans le plus grand secret, pour obtenir l’autorisation d’enfermer des mineurs, sans limite d’âge, dans des centres construits aux frontières de l’Europe. Cette disposition inscrite dans le Pacte sur la migration et l’asile, qui sera voté au printemps par le Parlement européen, pourrait violer la Convention internationale des droits de l’enfant. Lire l’article

  • « Si “réarmement agricole” il y a, c’est surtout d’un “réarmement chimique” de l’agriculture qu’il est question »

    Le surgissement et la diffusion éclair de certains mots, qui sculptent tout à coup le débat public, a quelque chose de fascinant. Ainsi du vocabulaire martial subitement apparu le 31 décembre 2023 dans la parole présidentielle et, depuis, inlassablement commenté, répercuté, repris, répété, et surtout raccommodé jusqu’à l’indigestion par les membres du gouvernement : il faut se réarmer, il faut tout #réarmer.
    L’armement, les armes sont devenus en quelques semaines la métrique de toute chose. « Réarmement démographique », « réarmement civique », « réarmement moral », « réarmement des services publics »… C’est donc dans le contexte d’une propagation rapide – et assez inquiétante – de cette terminologie guerrière, que le premier ministre, Gabriel Attal, et le ministre de l’agriculture, Marc Fesneau, ont annoncé, jeudi 1er février, la mise en branle des grandes manœuvres du « #réarmement agricole ».
    Si « réarmement agricole » il y a, c’est surtout d’un « réarmement chimique » de l’agriculture qu’il est question. A l’heure où l’#infertilité et les #maladies_chroniques s’envolent dans la population générale, où environ un tiers des foyers français reçoivent au robinet une eau non conforme aux critères de qualité pour cause de métabolites de #pesticides, où sans doute plus de 80 % de la #biomasse d’insectes volants et 60 % des oiseaux des champs ont disparu en quarante ans, on se plaît à imaginer le fou rire nerveux d’hypothétiques historiens qui chercheraient, dans les prochaines décennies, à décrire et surtout comprendre la logique de ce qui se produit ces jours-ci.

    Le plan #Ecophyto est d’abord mis à l’arrêt, le temps, comme l’a dit M. Attal, de « mettre en place un nouvel indicateur ». Bénigne en apparence, cette annonce signe en réalité la mort du plan destiné à réduire l’usage des pesticides en France. Mais après tout qu’importe, peut-on objecter, puisque le plan Ecophyto a, depuis son lancement en 2008, complètement échoué à atteindre ses objectifs.
    Ce n’est pas si simple. D’abord, malgré sa relative inefficience, le plan était l’incarnation d’une volonté partagée de réduire la pression des pesticides sur l’environnement et la #santé. Ensuite et surtout, il reposait sur un indicateur stable – le NODU (nombre de doses unités) – reflétant la réalité des usages de « phytos » et de leur évolution dans le temps.

    C’est une question bien plus importante et subtile qu’il n’y paraît. Une expérience de pensée toute simple permet de comprendre pourquoi. Figurez-vous un indicateur principalement lié à la quantité des différents produits utilisés sur les parcelles. Si vous remplacez 10 kilogrammes de DDT (un insecticide organochloré) épandus sur un champ, par 1 kg d’imidaclopride (un insecticide #néonicotinoïde) utilisés sur ce même champ, votre indicateur vous dira que vous avez fait baisser le recours aux #insecticides de 90 %. Vous serez donc très satisfait et vous pourrez annoncer ce chiffre sans craindre de démenti. Mais cette diminution de 90 % correspondrait en réalité à une aggravation des dommages sur les pollinisateurs d’environ 80 000 %, puisque 1 gramme d’imidaclopride peut tuer autant d’abeilles que 8 kg de DDT.

    Il ne fait ainsi aucun doute que le démantèlement du NODU et la coconstruction d’un nouvel indicateur d’usage – avec l’aimable concours des syndicats agricoles productivistes –, signerait la mort du plan Ecophyto, donc la fin d’une ambition.

    Tutelle politique

    Dans ce plan de « réarmement chimique » de l’#agriculture française, il y a plus inquiétant que la destruction du thermomètre. Il y a les pressions sur ceux qui sont chargés, au sein des institutions publiques, de le lire et de l’interpréter. Gabriel Attal a ainsi mis en cause, sans la nommer, l’Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation, de l’environnement et du travail (#Anses), chargée d’évaluer les risques sanitaires et environnementaux des pesticides et de leur octroyer (ou leur retirer) leur autorisation de mise sur le marché. Le premier ministre annonce de facto vouloir placer l’agence – coupable selon lui d’interdire des molécules en France avant qu’elles ne soient interdites dans l’Union européenne –, sous une forme de tutelle politique.
    Pour Dominique Potier, agriculteur de métier et député (Parti socialiste) de Meurthe-et-Moselle, rapporteur de la commission d’enquête sur les pesticides tenue en 2023, il s’agit là « d’un recul de l’Etat de droit ». « Dans une démocratie, la remise en cause par le pouvoir politique d’une autorité scientifique constituée n’est pas un acte banal, dit au Monde cet élu peu coutumier des outrances et des vociférations d’Hémicycle. C’est un moment de bascule. »

    Bien sûr, l’expertise peut – et doit – être constamment interrogée dans sa rigueur, son indépendance, dans ses choix de tenir compte de tel ou tel élément plutôt que de tel autre. Mais elle doit l’être avec les instruments intellectuels de la disputatio savante, et il va sans dire que l’injonction politique n’en fait pas partie. La volonté de contrôle de la science et de l’expertise est un trope des régimes césaristes ou à tentation autoritaire. De fait, on se souvient que parmi les premières décisions de Donald Trump, à son arrivée à la présidence des Etats-Unis, figuraient la reprise en main de l’Agence fédérale américaine pour la protection de l’environnement (EPA) et sa mise sous tutelle par le pouvoir.
    Le « réarmement chimique » de l’agriculture française et ses modalités ne sont donc pas seulement une catastrophe environnementale et sanitaire dont les effets seront irréversibles à brève ou moyenne échéance. Ils s’inscrivent, comme pour la question migratoire, dans un mouvement de ratification culturelle de l’#extrême droite : est-ce vraiment une bonne idée ?

    https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/02/03/si-rearmement-agricole-il-y-a-c-est-surtout-d-un-rearmement-chimique-de-l-ag

  • Le coût du travail humain reste généralement inférieur à celui de l’IA, d’après le MIT FashionNetwork.com ( Bloomberg )

    Pour le moment, employer des humains reste plus économique que de recourir à l’intelligence artificielle pour la majorité des emplois. C’est en tout cas ce qu’affirme une étude menée par le Massachusetts Institute of Technology, alors que bon nombre de secteurs se sentent menacés par les progrès faits par l’IA.

    Il s’agit de l’une des premières études approfondies réalisées à ce sujet. Les chercheurs ont établi des modèles économiques permettant de calculer l’attractivité de l’automatisation de diverses tâches aux États-Unis, en se concentrant sur des postes “digitalisables“, comme l’enseignement ou l’intermédiation immobilière.

    Source : https://fr.fashionnetwork.com/news/premiumContent,1597548.html

    #ia #intelligence_artificielle #algorithme #surveillance #ai #google #technologie #facebook #technologisme #travail #biométrie #bigdata #coût #MIT

  • Decoding #Balkandac : Navigating the EU’s Biometric Blueprint

    This report, authored by the Border Violence Monitoring Network with support from Privacy International, investigates the development of interoperable biometric databases, akin to Eurodac, in the Western Balkans, referred to as the “Balkandac” system. It highlights a lack of transparency in current regional data-sharing systems and underscores the significant role of EU institutions in their creation.

    The report employs a comprehensive methodology, combining grassroots observations, open-source research, and Freedom of Information Requests (FOI) submissions to address human rights violations.

    This report aims to contextualise recent developments towards the digitalisation of biometric data collection in the Western Balkans into wider shifts in migration policy and data-sharing frameworks at the EU level. In order to achieve this, the report first unpacks the key regulations envisioned under the EU’s New Pact on Migration and Asylum and how these are envisioned to operate within EU Member States. Collectively, they establish a system whereby people on the move are prevented from entering the territory of Member States, subjected to expedited procedures, and returned directly to “safe third countries”. This manifests as a legalisation of the pushback process; individual claims will undergo insufficient scrutiny within compressed timeframes and procedural rights, such as access to free legal aid and the suspensive effect of appeals against inadmissabiliy decisions, are not yet guaranteed at the time of writing. These legal shifts unequivocally obstruct access to the right to asylum within the new regulatory framework.

    A key ongoing development in this line is the development of biometric data collection systems that are modelled off the EURODAC system, allowing for seamless interoperability in the future. Funding from the EU’s Instruments for Pre-Accession Assistance and bilateral agreements with Member States have supported these data systems in the Western Balkans, mirroring Eurodac. Critiques arise from increased interoperability of EU databases, which blur immigration and criminal law purposes, lack anti-discrimination safeguards, and bypass key data protection principles.

    The core issue lies in the balance between personal data protection and fundamental rights, contrasted with the use of biometric systems for mass surveillance and data analysis. The report emphasizes the merging of migration and security discourses, underscoring the potential for unjust criminalisation of migrants, making it harder for them to seek asylum and international protection.

    https://borderviolence.eu/reports/balkandac
    #biométrie #Balkans #rapport #Border_Violence_Monitoring_Network (#BVMN) #interopérabilité #données #base_de_données #Balkans_occidentaux #données_biométriques #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile #migrations #asile #réfugiés #frontières #pays-tiers_sûrs #accès_à_l'asile #eurodac #Instruments_for_Pre-Accession_Assistance #droits_fondamentaux

  • EU’s AI Act Falls Short on Protecting Rights at Borders

    Despite years of tireless advocacy by a coalition of civil society and academics (including the author), the European Union’s new law regulating artificial intelligence falls short on protecting the most vulnerable. Late in the night on Friday, Dec. 8, the European Parliament reached a landmark deal on its long-awaited Act to Govern Artificial Intelligence (AI Act). After years of meetings, lobbying, and hearings, the EU member states, Commission, and the Parliament agreed on the provisions of the act, awaiting technical meetings and formal approval before the final text of the legislation is released to the public. A so-called “global first” and racing ahead of the United States, the EU’s bill is the first ever regional attempt to create an omnibus AI legislation. Unfortunately, this bill once again does not sufficiently recognize the vast human rights risks of border technologies and should go much further protecting the rights of people on the move.

    From surveillance drones patrolling the Mediterranean to vast databases collecting sensitive biometric information to experimental projects like robo-dogs and AI lie detectors, every step of a person’s migration journey is now impacted by risky and unregulated border technology projects. These technologies are fraught with privacy infringements, discriminatory decision-making, and even impact the life, liberty, and security of person seeking asylum. They also impact procedural rights, muddying responsibility over opaque and discretionary decisions and lacking clarity in mechanisms of redress when something goes wrong.

    The EU’s AI Act could have been a landmark global standard for the protection of the rights of the most vulnerable. But once again, it does not provide the necessary safeguards around border technologies. For example, while recognizing that some border technologies could fall under the high-risk category, it is not yet clear what, if any, border tech projects will be included in the final high-risk category of projects that are subject to transparency obligations, human rights impact assessments, and greater scrutiny. The Act also has various carveouts and exemptions in place, for example for matters of national security, which can encapsulate technologies used in migration and border enforcement. And crucial discussions around bans on high-risk technologies in migration never even made it into the Parliament’s final deal terms at all. Even the bans which have been announced, for example around emotion recognition, are only in place in the workplace and education, not at the border. Moreover, what exactly is banned remains to be seen, and outstanding questions to be answered in the final text include the parameters around predictive policing as well as the exceptions to the ban on real-time biometric surveillance, still allowed in instances of a “threat of terrorism,” targeted search for victims, or the prosecution of serious crimes. It is also particularly troubling that the AI Act explicitly leaves room for technologies which are of particular appetite for Frontex, the EU’s border force. Frontex released its AI strategy on Nov. 9, signaling an appetite for predictive tools and situational analysis technology. These tools, which when used without safeguards, can facilitate illegal border interdiction operations, including “pushbacks,” in which the agency has been investigated. The Protect Not Surveil Coalition has been trying to influence European policy makers to ban predictive analytics used for the purposes of border enforcement. Unfortunately, no migration tech bans at all seem to be in the final Act.

    The lack of bans and red lines under the high-risk uses of border technologies in the EU’s position is in opposition to years of academic research as well as international guidance, such as by then-U.N. Special Rapporteur on contemporary forms of racism, E. Tendayi Achiume. For example, a recently released report by the University of Essex and the UN’s Office of the Human Rights Commissioner (OHCHR), which I co-authored with Professor Lorna McGregor, argues for a human rights based approach to digital border technologies, including a moratorium on the most high risk border technologies such as border surveillance, which pushes people on the move into dangerous terrain and can even assist with illegal border enforcement operations such as forced interdictions, or “pushbacks.” The EU did not take even a fraction of this position on border technologies.

    While it is promising to see strict regulation of high-risk AI systems such as self-driving cars or medical equipment, why are the risks of unregulated AI technologies at the border allowed to continue unabated? My work over the last six years spans borders from the U.S.-Mexico corridor to the fringes of Europe to East Africa and beyond, and I have witnessed time and again how technological border violence operates in an ecosystem replete with the criminalization of migration, anti-migrant sentiments, overreliance on the private sector in an increasingly lucrative border industrial complex, and deadly practices of border enforcement, leading to thousands of deaths at borders. From vast biometric data collected without consent in refugee camps, to algorithms replacing visa officers and making discriminatory decisions, to AI lie detectors used at borders to discern apparent liars, the roll out of unregulated technologies is ever-growing. The opaque and discretionary world of border enforcement and immigration decision-making is built on societal structures which are underpinned by intersecting systemic racism and historical discrimination against people migrating, allowing for high-risk technological experimentation to thrive at the border.

    The EU’s weak governance on border technologies will allow for more and more experimental projects to proliferate, setting a global standard on how governments will approach migration technologies. The United States is no exception, and in an upcoming election year where migration will once again be in the spotlight, there does not seem to be much incentive to regulate technologies at the border. The Biden administration’s recently released Executive Order on the Safe, Secure, and Trustworthy Development and Use of Artificial Intelligence does not offer a regulatory framework for these high-risk technologies, nor does it discuss the impacts of border technologies on people migrating, including taking a human rights based approach to the vast impacts of these projects on people migrating. Unfortunately, the EU often sets a precedent for how other countries govern technology. With the weak protections offered by the EU AI act on border technologies, it is no surprise that the U.S. government is emboldened to do as little as possible to protect people on the move from harmful technologies.

    But real people already are at the centre of border technologies. People like Mr. Alvarado, a young husband and father from Latin America in his early 30s who perished mere kilometers away from a major highway in Arizona, in search of a better life. I visited his memorial site after hours of trekking through the beautiful yet deadly Sonora desert with a search-and-rescue group. For my upcoming book, The Walls have Eyes: Surviving Migration in the Age of Artificial Intelligence, I was documenting the growing surveillance dragnet of the so-called smart border that pushes people to take increasingly dangerous routes, leading to increasing loss of life at the U.S.-Mexico border. Border technologies as a deterrent simply do not work. People desperate for safety – and exercising their internationally protected right to asylum – will not stop coming. They will instead more circuitous routes, and scholars like Geoffrey Boyce and Samuel Chambers have already documented a threefold increase in deaths at the U.S.-Mexico frontier as the so-called smart border expands. In the not so distant future, will people like Mr. Alvarado be pursued by the Department of Homeland Security’s recently announced robo-dogs, a military grade technology that is sometimes armed?

    It is no accident that more robust governance around migration technologies is not forthcoming. Border spaces increasingly serve as testing grounds for new technologies, places where regulation is deliberately limited and where an “anything goes” frontier attitude informs the development and deployment of surveillance at the expense of people’s lives. There is also big money to be made in developing and selling high risk technologies. Why does the private sector get to time and again determine what we innovate on and why, in often problematic public-private partnerships which states are increasingly keen to make in today’s global AI arms race? For example, whose priorities really matter when we choose to create violent sound cannons or AI-powered lie detectors at the border instead of using AI to identify racist border guards? Technology replicates power structures in society. Unfortunately, the viewpoints of those most affected are routinely excluded from the discussion, particularly around areas of no-go-zones or ethically fraught usages of technology.

    Seventy-seven border walls and counting are now cutting across the landscape of the world. They are both physical and digital, justifying broader surveillance under the guise of detecting illegal migrants and catching terrorists, creating suitable enemies we can all rally around. The use of military, or quasi-military, autonomous technology bolsters the connection between immigration and national security. None of these technologies, projects, and sets of decisions are neutral. All technological choices – choices about what to count, who counts, and why – have an inherently political dimension and replicate biases that render certain communities at risk of being harmed, communities that are already under-resourced, discriminated against, and vulnerable to the sharpening of borders all around the world.

    As is once again clear with the EU’s AI Act and the direction of U.S. policy on AI so far, the impacts on real people seems to have been forgotten. Kowtowing to industry and making concessions for the private sector not to stifle innovation does not protect people, especially those most marginalized. Human rights standards and norms are the bare minimum in the growing panopticon of border technologies. More robust and enforceable governance mechanisms are needed to regulate the high-risk experiments at borders and migration management, including a moratorium on violent technologies and red lines under military-grade technologies, polygraph machines, and predictive analytics used for border interdictions, at the very least. These laws and governance mechanisms must also include efforts at local, regional, and international levels, as well as global co-operation and commitment to a human-rights based approach to the development and deployment of border technologies. However, in order for more robust policy making on border technologies to actually affect change, people with lived experiences of migration must also be in the driver’s seat when interrogating both the negative impacts of technology as well as the creative solutions that innovation can bring to the complex stories of human movement.

    https://www.justsecurity.org/90763/eus-ai-act-falls-short-on-protecting-rights-at-borders

    #droits #frontières #AI #IA #intelligence_artificielle #Artificial_Intelligence_Act #AI_act #UE #EU #drones #Méditerranée #mer_Méditerranée #droits_humains #technologie #risques #surveillance #discrimination #transparence #contrôles_migratoires #Frontex #push-backs #refoulements #privatisation #business #complexe_militaro-industriel #morts_aux_frontières #biométrie #données #racisme #racisme_systémique #expérimentation #smart_borders #frontières_intelligentes #pouvoir #murs #barrières_frontalières #terrorisme

    • The Walls Have Eyes. Surviving Migration in the Age of Artificial Intelligence

      A chilling exposé of the inhumane and lucrative sharpening of borders around the globe through experimental surveillance technology

      “Racism, technology, and borders create a cruel intersection . . . more and more people are getting caught in the crosshairs of an unregulated and harmful set of technologies touted to control borders and ‘manage migration,’ bolstering a multibillion-dollar industry.” —from the introduction

      In 2022, the U.S. Department of Homeland Security announced it was training “robot dogs” to help secure the U.S.-Mexico border against migrants. Four-legged machines equipped with cameras and sensors would join a network of drones and automated surveillance towers—nicknamed the “smart wall.” This is part of a worldwide trend: as more people are displaced by war, economic instability, and a warming planet, more countries are turning to A.I.-driven technology to “manage” the influx.

      Based on years of researching borderlands across the world, lawyer and anthropologist Petra Molnar’s The Walls Have Eyes is a truly global story—a dystopian vision turned reality, where your body is your passport and matters of life and death are determined by algorithm. Examining how technology is being deployed by governments on the world’s most vulnerable with little regulation, Molnar also shows us how borders are now big business, with defense contractors and tech start-ups alike scrambling to capture this highly profitable market.

      With a foreword by former U.N. Special Rapporteur E. Tendayi Achiume, The Walls Have Eyes reveals the profound human stakes, foregrounding the stories of people on the move and the daring forms of resistance that have emerged against the hubris and cruelty of those seeking to use technology to turn human beings into problems to be solved.

      https://thenewpress.com/books/walls-have-eyes
      #livre #Petra_Molnar

  • Retard dans la délivrance de passeports : Les mesures d’urgences prises par l’ambassade du Sénégal au Canada
    https://www.dakaractu.com/Retard-dans-la-delivrance-de-passeports-Les-mesures-d-urgences-prises-par

    Retard dans la délivrance de passeports : Les mesures d’urgences prises par l’ambassade du Sénégal au Canada
    L’ambassade du Sénégal au Canada informe ses ressortissants qui sont enrôlés dans la période du 10 juillet au 16 octobre 2023, que « la valise biométrique confiée à FEDEX, pour expédition à Dakar, aux fins de production des passeports, n’est toujours pas arrivée à destination ». Dans son communiqué, l’ambassade informe que « FEDEX, qui a scanné le colis, le 28 octobre 2023, dans ses entrepôts de Memphis (États-Unis d’Amérique), ne parvient plus, depuis cette date, à en donner une localisation exacte ». D’où la décision de prendre des mesures dérogatoires pour les demandeurs, de recevoir leurs passeports. L’ambassade du Sénégal au Canada décide de reprendre l’enrôlement de ressortissants concernés. L’ambassade informe qu’une « nouvelle valise biométrique est mise à sa disposition à Ottawa par le ministère de l’intérieur pour que les opérations d’enrôlement des demandeurs de passeports reprennent.
    Ainsi, apprend le communiqué, en vue de la poursuite des opérations de recherche de la valise retardée, « les équipes de l’Ambassade sont en train de contacter les compatriotes impactés pour les modalités liées à leur nouvel enrôlement. Lesdites modalités, parmi lesquelles le déploiement de missions mobiles à Québec et à Montréal, feront l’objet d’un communiqué ultérieur ». Aussi, des dispositions spéciales sont en train d’être prises par les autorités pour qu’à la fin des opérations d’enrôlement, les passeports puissent être produits en urgence, dans les semaines à venir, au niveau du Consulat général du Sénégal à New York.
    Il y aura aussi une prorogation d’une année, à titre dérogatoire, des passeports dont la date d’expiration est imminente. D’après le communiqué, « les compatriotes, dont le passeport expire en décembre 2023 ou janvier 2024, peuvent exceptionnellement, en obtenir la prorogation d’une année. Pour ce faire, il leur faut se présenter à l’Ambassade, munis de l’original du passeport et de leur récépissé d’enrôlement ; ou envoyer à l’Ambassade, l’original du passeport à proroger et le récépissé d’enrôlement, en prenant le soin d’y joindre une enveloppe retour Xpress Post portant leur adresse exacte à la place destinataire (préciser, s’il y a lieu, le numéro d’appartement). L’Ambassade, qui reste saisie de cette question, informera les usagers de toute évolution à ce sujet.

    #Covid-19#migrant#migration#canada#senegal#passeport#biometrie

  • #Interpol makes first border arrest using Biometric Hub to ID suspect

    Global database of faces and fingerprints proves its worth.

    European police have for the first time made an arrest after remotely checking Interpol’s trove of biometric data to identify a suspected smuggler.

    The fugitive migrant, we’re told, gave a fake name and phony identification documents at a police check in Sarajevo, Bosnia and Herzegovina, while traveling toward Western Europe. And he probably would have got away with it, too, if it weren’t for you meddling kids Interpol’s Biometric Hub – a recently activated tool that uses French identity and biometrics vendor Idemia’s technology to match people’s biometric data against the multinational policing org’s global fingerprint and facial recognition databases.

    “When the smuggler’s photo was run through the Biometric Hub, it immediately flagged that he was wanted in another European country,” Interpol declared. “He was arrested and is currently awaiting extradition.”

    Interpol introduced the Biometric Hub – aka BioHub – in October, and it is now available to law enforcement in all 196 member countries.

    Neither Interpol nor Idemia immediately responded to The Register’s questions about how the technology and remote access works.

    But Cyril Gout, Interpol’s director of operational support and analysis, offered a canned quote: “The Biometric Hub helps law enforcement officers know right away whether the person in front of them poses a security risk.”

    That suggests Interpol member states’ constabularies can send biometric data to BioHub from the field and receive real-time info about suspects’ identities.

    The multinational policing org has said that Hub’s “biometric core” combines Interpol’s existing fingerprint and facial recognition databases, which both use Idemia tech, with a matching system also based on Idemia’s biometric technology.

    Interpol and Idemia have worked together for years. In 1999, he police organization chose Idemia to develop its fingerprint database, called the Automated Fingerprint Identification System (AFIS). And then in 2016, Interpol inked another contract with Idemia to use the French firm’s facial recognition capabilities for the Interpol Face Recognition System (IFRS).

    According to Idemia, the latest version of its Multibiometric Identification System, MBIS 5, uses “new generation algorithms which provide a higher matching accuracy rate with a shorter response time and a more user-friendly interface.”

    In its first phase, Interpol will use MBIS 5 to identify persons of interest (POIs) for police investigations.

    A second phase, which will take two years to become fully operational, will extend the biometric checks to border control points. During this phase the system will be able to perform up to one million forensic searches per day – including fingerprints, palm prints, and portraits.

    Interpol expects the combined fingerprints and facial recognition system will speed future biometric searches. Instead of running a check against separate biometric databases, BioHub allows police officers to submit data to both through one interface, and it only requires human review if the “quality of the captured biometric data is such that the match falls below a designated threshold.”

    To address data governance concerns, Interpol claims BioHub complies with its data protection framework. Additionally, scans of faces and hands uploaded to the Hub are not added to Interpol’s criminal databases or made visible to other users. Any data that does not result in a match is deleted following the search, we’re told.

    While The Register hasn’t heard of any specific data privacy and security concerns related to BioHub, we’re sure it’s only a matter of time before it’s misused.

    America’s Transportation Security Agency (TSA) over the summer also said it intends to expand its facial recognition program, which also uses Idemia’s tech, to screen air travel passengers to 430 US airports. The TSA wants that capability in place within ten years.

    The TSA announcement was swiftly met with opposition from privacy and civil rights organizations, along with some US senators who took issue [PDF] with the tech.

    https://www.theregister.com/2023/12/01/interpol_biohub_arrest

    #frontières #contrôles_frontaliers #technologie #empreintes_digitales #biométrie #Interpol #migrations #asile #réfugiés #Biometric_Hub #Balkans #route_des_Balkans #Bosnie-Herzégovine #Idemia #reconnaissance_faciale #passeurs #BioHub #extradition #sécurité #risque #interopérabilité #base_de_données #Automated_Fingerprint_Identification_System (#AFIS) #Interpol_Face_Recognition_System (#IFRS) #Multibiometric_Identification_System #MBIS_5 #algorithmes #persons_of_interest (#POIs) #portraits #Transportation_Security_Agency (#TSA)

  • Greek data watchdog to rule on AI systems in refugee camps

    A forthcoming decision on the compliance of surveillance and security systems in Greek refugee camps could set a precedent for how AI and biometric systems are deployed for ‘migration management’ in Europe

    Greece’s data protection watchdog is set to issue a long-awaited decision on the legality of controversial high-tech surveillance and security systems deployed in the country’s refugee camps.

    The Greek Data Protection Authority’s (DPA) decision, expected by the end of the year, concerns in part a new multimillion-euro Artificial Intelligence Behavioural Analytics security system, which has been installed at several recently constructed refugee camps on the Aegean islands.

    The system – dubbed #Centaur and funded through the European Union (EU) – relies on algorithms and surveillance equipment – including cameras, drones, sensors and other hardware installed inside refugee camps – to automatically detect purported threats, alert authorities and keep a log of incidents. Hyperion, another system that relies on biometric fingerprint data to facilitate entry and exit from the refugee camps, is also being examined in the probe.

    Centaur and #Hyperion came under investigation in March 2022, after several Greek civil society organisations and a researcher filed a complaint to the Greek DPA questioning the legality of the programs under Greek and European laws. The Greek DPA’s decision could determine how artificial intelligence (AI) and biometric systems are used within the migration management context in Greece and beyond.

    Although the data watchdog’s decision remains to be seen, a review of dozens of documents obtained through public access to documents requests, on-the-ground reporting from the islands where the systems have been deployed, as well as interviews with Greek officials, camp staff and asylum seekers, suggest the Greek authorities likely sidestepped or botched crucial procedural requirements under the European Union’s (EU) privacy and human rights law during a mad rush to procure and deploy the systems.

    “It is difficult to see how the DPA will not find a breach,” said Niovi Vavoula, a lecturer at Queen Mary University of London, who petitioned the Greek DPA alongside Greek civil society organisations Homo Digitalis, The Hellenic League for Human Rights, and HIAS Greece.

    She said “major shortcomings” identified include the lack of appointment of a data protection officer at the Greek Migration Ministry prior to the launch of its programs.

    Security systems a hallmark of new EU camps

    Centaur and Hyperion are hallmarks of Greece’s newest migrant facilities, also known as Closed Controlled Access Centres (CCACs), which began opening in the eastern Aegean in 2021 with funding and supervision from the European Commission (EC). Greek authorities have lauded the surveillance apparatus at the revamped facilities as a silver-bullet solution to the problems that plagued previous makeshift migrant camps in Greece.

    The Centaur system allows authorities to monitor virtually every inch of the camps’ outdoor areas – and even some indoor spaces – from local command and control centres on the islands, and from a centralised control room in Athens, which Greece’s former migration minister Notis Mitarachi unveiled with much fanfare in September 2021.

    “We’re not monitoring people. We’re trying to prevent something bad from happening,” Anastasios Salis, the migration ministry’s director general of ICT and one of the self-described architects of the Centaur system, told me when I visited the ministry’s centralised control room in Athens in December 2021. “It’s not a prison, okay? It’s something different.”

    Critics have described the new camps as “prison-like” and a “dystopian nightmare”.

    Behind closed doors, the systems have also come under scrutiny by some EU authorities, including its Fundamental Rights Agency (FRA), which expressed concerns following a visit to one of the camps on Samos Island in May 2022.

    In subsequent informal input on Greece’s refugee camp security measures, the FRA said it was “concerned about the necessity and proportionality of some of the measures and their possible impact on fundamental rights of residents” and recommended “less intrusive measures”.

    Asked during the control room tour in 2021 what is being done to ensure the operation of the Centaur system respects privacy laws and the EU’s General Data Protection Regulation (GDPR), Salis responded: “GDPR? I don’t see any personal data recorded.”

    ‘Spectacular #experimentation’

    While other EU countries have experimented with myriad migration management and surveillance systems, Greece’s refugee camp deployments are unique.

    “What we see in Greece is spectacular experimentation of a variety of systems that we might not find in this condensed way in other national contexts,” said Caterina Rodelli, a policy analyst at the digital rights non-profit Access Now.

    She added: “Whereas in other European countries you might find surveillance of migrant people, asylum seekers … Greece has paved the way for having more dense testing environments” within refugee camps – particularly since the creation of its EU-funded and tech-riddled refugee camps.

    The #Samos facility, arguably the EU’s flagship camp, has been advertised as a model and visited by officials from the UK, the US and Morocco. Technology deployments at Greece’s borders have already been replicated in other European countries.

    When compared with other Mediterranean states, Greece has also received disproportionate funding from the EU for its border reinforcement projects.

    In a report published in July, the research outfit Statewatch compared commission funds to Greece between 2014 and 2020 and those projected to be paid between 2021 and 2027, finding that “the funding directed specifically towards borders has skyrocketed from almost €303m to more than €1bn – an increase of 248%”.

    Greece’s Centre for Security Studies, a research and consulting institution overseen by the Greek minister of citizen protection, for example, received €12.8m in EU funds to develop border technologies – the most of any organisation analysed in the report during an eight-year period that ended in 2022.

    Surveillance and security systems at Greek refugee camps are funded through the EU’s Covid recovery fund, known formally as the European Commission’s Recovery and Resilience Facility, as well as the Internal Security Fund.
    Early warnings

    At the heart of the Greek DPA probe are questions about whether Greece has a legal basis for the type of data processing understood to be required in the programs, and whether it followed procedures required under GDPR.

    This includes the need to conduct data protection impact assessments (DPIAs), which demonstrate compliance with the regulation as well as help identify and mitigate various risks associated with personal data processing – a procedure the GDPR stipulates must be carried out far in advance of certain systems being deployed.

    The need to conduct these assessments before technology deployments take place was underscored by the Greek DPA in a letter sent to the Greek migration ministry in March 2022 at the launch of its probe, in which it wrote that “in the case of procurement of surveillance and control systems” impact studies “should be carried out not only before their operation, but also before their procurement”.

    Official warnings for Greece to tread carefully with the use of surveillance in its camps came as early as June 2021 – months before the opening of the first EU-funded camp on Samos Island – when the FRA provided input on the use of surveillance equipment in Greek refugee camps, and the Centaur project specifically.

    In a document reviewed by Computer Weekly, the FRA wrote that the system would need to undergo “a thorough impact assessment” to check its compatibility with fundamental rights, including data protection and privacy safeguards. It also wrote that “the Greek authorities need to provide details on the equipment they are planning to use, its intended purpose and the legal basis for the automated processing of personal data, which to our understanding include sensitive biometric data”.
    A botched process?

    However, according to documents obtained through public record requests, the impact assessments related to the programs were only carried out months after the systems were deployed and operational, while the first assessments were not shared with the commission until late January 2022.

    Subsequent communications between EU and Greek authorities reveal, for the first time, glaring procedural omissions and clumsy efforts by Greek authorities to backpedal into compliance.

    For example, Greece’s initial assessments of the Centaur system covered the use of the CCTV cameras, but not the potentially more sensitive aspects of the project such as the use of motion analysis algorithms and drones, a commission representative wrote to Greek authorities in May 2022. The representative further underscored the importance of assessing “the impact of the whole project on data protection principles and fundamental rights”.

    The commission also informed the Greek authorities that some areas where cameras were understood to have been placed, such as common areas inside accommodation corridors, could be deemed as “sensitive”, and that Greece would need to assess if these deployments would interfere with data protection, privacy and other rights such as non-discrimination or child rights.

    It also requested more details on the personal data categories being processed – suggesting that relevant information on the categories and modalities of processing – such as whether the categories would be inferred by a human or an algorithm-based technology – had been excluded. At the time, Greek officials had reported that only “physical characteristics” would be collected but did not expand further.

    “No explanation is provided on why less intrusive measures cannot be implemented to prevent and detect criminal activities,” the commission wrote, reminding Greece that “all asylum seekers are considered vulnerable data subjects”, according to guidelines endorsed by the European Data Protection Board (EDPB).

    The FRA, in informal input provided after its visit to the Samos camp in May 2022, recommended basic safeguards Greece could take to ensure camp surveillance systems are in full compliance with GDPR. This included placing visible signs to inform camp residents and staff “about the operation of CCTV cameras before entering a monitored area”.

    No such signs were visible in the camp’s entry when Computer Weekly visited the Samos camp in early October this year, despite the presence of several cameras at the camp’s entry.

    Computer Weekly understands that, as of early October, procedural requirements such as impact assessments had not yet been finalised, and that the migration ministry would remain in consultation with the DPA until all the programs were fully GDPR-compliant.

    Responding to Computer Weekly’s questions about the findings of this story, a Greek migration ministry spokesperson said: “[The ministry] is already in open consultation with the Greek DPA for the ‘Centaur’ and ‘Hyperion’ programs since March 2022. The consultation has not yet been completed. Both of these programs have not been fully implemented as several secondary functions are still in the implementation phase while the primary functions (video surveillance through closed circuit television and drone, entry – exit through security turnstiles) of the programs are subject to continuous parameterisation and are in pilot application.

    “The ministry has justified to the Greek DPA as to the necessity of implementing the measure of installing and operating video surveillance systems in the hospitality structures citing the damage that the structures constantly suffer due to vandalism, resulting in substantial damage to state assets … and risking the health of vulnerable groups such as children and their companions.”

    The commission wrote to Computer Weekly that it “do[es] not comment on ongoing investigations carried out by independent data protection authorities” and did not respond to questions on the deployment of the systems.

    Previous reporting by the Greek investigative outlet Solomon has similarly identified potential violations, including that the camp programs were implemented without the Greek ministry of migration and asylum hiring a data protection officer as required under the GDPR.
    Lack of accountability and transparency?

    The commission has said it applies all relevant checks and controls but that it is ultimately up to Greece to ensure refugee camps and their systems are in line with European standards.

    Vavoula, the researcher who was involved in the Greek DPA complaint, said the EU has been “funding … these initiatives without proper oversight”.

    Saskia Bricmont, a Belgian politician and a Member of the European Parliament with the Greens/European Free Alliance, described unsuccessful efforts to obtain more information on the systems deployed at Greece’s camps and borders: “Neither the commission nor the Greek authorities are willing to share information and to be transparent about it. Why? Why do they hide things – or at least give the impression they do?”

    The European Ombudsman recently conducted a probe into how the commission ensures fundamental rights are being respected at Greece’s EU-funded camps. It also asked the commission to weigh in on the surveillance systems and whether it had conducted or reviewed the data protection and fundamental rights impact assessments.

    The commission initially reported that Greece had “completed” assessments “before the full deployment of the surveillance systems”. In a later submission in August, however, the commission changed its wording – writing instead that the Greek authorities have “drawn up” the assessments “before the full deployment” of the tools.

    The commission did not directly respond to Computer Weekly’s query asking it to clarify whether the Greek authorities have “completed” or merely “drawn up” DPIAs, and whether the commission’s understanding of the status of the DPIAs changed between the initial and final submissions to the European ombudsman.

    Eleftherios Chelioudakis, co-founder of the Greek digital rights organisation Homo Digitalis, rejected the suggestion that there are different benchmarks on deployment. “There is no legal distinction between full deployment of a system or partial deployment of a system,” he said. “In both cases, there are personal data processing operations taking place.”

    Chelioudakis added that the Greek DPA holds that even the mere transmission of footage (even if no data is recorded/stored) constitutes personal data processing, and that GDPR rules apply.
    Check… check… is this camera on?

    Greek officials, initially eager to show off the camps’ surveillance apparatus, have grown increasingly tight-lipped on the precise status of the systems.

    When visiting the ministry’s centralised control room at the end of 2021, Computer Weekly’s reporter was told by officials that three camps – on Samos, Kos and Leros islands – were already fully connected to the systems and that the ministry was working “on a very tight timeframe” to connect the more than 30 remaining refugee camps in Greece. During a rare press conference in September 2022, Greece’s then-migration minister, Notis Mitarachi, said Centaur was in use at the three refugee camps on Samos, Kos and Leros.

    In October 2022, Computer Weekly’s reporter was also granted access to the local control room on Samos Island, and confirmed that monitoring systems were set up and operational but not yet in use. A drone has since been deployed and is being used in the Samos camp, according to several eyewitnesses.

    Officials appear to have exercised more caution with Hyperion, the fingerprint entry-exit system. Computer Weekly understands the system is fully set up and functioning at several of the camps – officials proudly demonstrated its functions during the inauguration of the Kos camp – but has not been in use.

    While it’s not yet clear if the more advanced and controversial features of Centaur are in use – or if they ever will be – what is certain is that footage from the cameras installed on several islands is being fed to a centralised control room in Athens.

    In early October, Computer Weekly’s reporter tried to speak with asylum seekers outside the Samos camp, after officials abruptly announced the temporary suspension of journalist access to this and other EU-funded camps. Guards behind the barbed wire fence at the camp’s gate asked the reporter to move out of the sight of cameras – installed at the gate and the camp’s periphery – afraid they would receive a scolding call from the migration ministry in Athens.

    “If they see you in the cameras they will call and ask, ‘Why is there a journalist there?’ And we will have a problem,” one of the guards said. Lawyers and others who work with asylum seekers in the camp say they’ve had similar experiences.

    On several occasions, Computer Weekly’s reporter has asked the Greek authorities to provide proof or early indications that the systems are improving safety for camp residents, staff and local communities. All requests have been denied or ignored.

    Lawyers and non-governmental organisations (NGOs) have also documented dozens of incidents that undermine Greek officials’ claims of increased safety in the tech-riddled camps.
    Unmet promises of increased security

    In September 2022, a peaceful protest by some 40 Samos camp residents who had received negative decisions on their asylum claims escalated into a riot. Staff evacuated the camp and police were called in and arrested several people.

    Lawyers representing those accused of instigating the brawl and throwing rocks at intervening police officers said they were struck by the absence of photographic or video evidence in the case, despite their clients’ request to use the footage to prove their innocence.

    “Even with all these systems, with all the surveillance, with all the cameras … there were no photographs or video, something to show that those arrested were guilty,” said Dimitris Choulis, a lawyer with the Human Rights Legal Project on Samos.

    Asked about the incident, the Samos camp director at the time explained that the system has blind spots and that the cameras do not cover all areas of the camp, a claim contrary to other official statements.

    Choulis’s organisation and the legal NGO I Have Rights have also collected testimonies from roughly a dozen individuals who claim they were victims of police brutality in the Samos CCAC beginning in July 2022.

    According to Nikos Phokas, a resident of Leros Island, which houses one of the EU-funded facilities, while the surveillance system has proven incapable of preventing harm on several occasions, the ability it gives officials in Athens to peer into the camps at any moment has shifted dynamics for camp residents, staff and the surrounding communities. “This is the worst thing about this camp – the terror the surveillance creates for people. Everyone watches their backs because of it.”

    He added the surveillance apparatus and the closed nature of the new camp on Leros has forced some camp employees to operate “under the radar” out of fear of being accused of engaging in any behaviour that may be deemed out-of-line by officials in Athens.

    For example, when clothes were needed following an influx of arrivals last summer, camp employees coordinated privately and drove their personal vehicles to retrieve items from local volunteers.

    “In the past, it was more flexible. But now there’s so much surveillance – Athens is looking directly at what’s happening here,” said Catharina Kahane, who headed the NGO ECHO100PLUS on Leros, but was forced to cut down on services because the closed nature of the camp, along with stricter regulations by the Greek migration ministry, made it nearly impossible for her NGO to provide services to asylum seekers.

    Camp staff in one of the island facilities organised a protest to denounce being subjected to the same monitoring and security checks as asylum seekers.

    Residents of the camps have mixed views on the surveillance. Heba*, a Syrian mother of three who lodged an asylum claim in Samos and was waiting out her application, in early October said the cameras and other security measures provided a sense of safety in the camp.

    “What we need more is water and food,” said Mohammed*, a Palestinian asylum seeker who got to Samos in the midst of a recent surge in arrivals that brought the camp’s population to nearly 200% capacity and has led to “inhumane and degrading conditions” for residents, according to NGOs. He was perplexed by the presence of high-tech equipment in a refugee camp that has nearly daily water cuts.

    https://www.computerweekly.com/feature/Greek-data-watchdog-to-rule-on-AI-systems-in-refugee-camps
    #camps_de_réfugiés #surveillance #AI #IA #intelligence_artificielle #Grèce #asile #migrations #réfugiés #camps_de_réfugiés #biométrie #algorithmes

  • Database delays: new timetable for interoperable EU policing and migration systems by 2027

    EU interior ministers have agreed another revised timeline for the plan to make all justice and home affairs databases “interoperable”, with the aim now to have the systems up and running by 2027. Mandatory biometric border checks may now be introduced progressively, in the hope of limiting delays at border crossing points.

    The new timetable, agreed at the Justice and Home Affairs Council last week, follows on from previous delays. A revision to the timeline adopted in November 2021 included a plan for the Entry/Exit System (EES), a biometric border-crossing registration database, to be functional by September 2022. Further changes saw the deadline extended to May this year. A Belgian proposal to “decouple” the EES and the European Travel Information and Authorisation System (ETIAS) does not appear to have been taken on board.

    Under the new plan, the EES is supposed to come into use at some point in the second half of 2024 - though a note from the Spanish Presidency (pdf) suggests that even then, the “capturing and storing of biometrics... could be activated progressively.” This is because of the extra waiting times that the introduction of mandatory biometric capture, storage and verification at all EU border crossing points is likely to introduce.

    As previously reported by Statewatch, the Austrian government expects “process times to double compared to the current situation,” the Croatian government is clear that “the waiting time for border checks will certainly be significantly longer,” and the German government has said “control times for passengers will increase significantly by the introduction of EES.”

    To mitigate this, the Spanish Presidency’s note says that “derogation measures will be available for activation at individual border crossing points to prevent long waiting times. The date that will be retained for the entry into operation will be outside periods of major events and high travel times.”

    The introduction of the EES in the second half of 2024 is supposed to be followed by the ETIAS in the first half of 2025, the European Criminal Records Information System for Third Country Nationals (ECRIS-TCN) in mid-2026, finalisation of “the technical implementation of the IO [interoperability] architecture” in late 2026, followed by work to “upgrade and evolve the IO architecture” from 2027 onward.

    The timetable published by eu-Lisa also foresees the eventual integration of the expanded #Eurodac database, depending on the adoption of the law, which is currently under discussion in the Council and the Parliament.

    https://www.statewatch.org/news/2023/october/database-delays-new-timetable-for-interoperable-eu-policing-and-migratio
    #EU #UE #Union_européenne #biométrie #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #interopérabilité #frontières #Entry/Exit_System (#EES) #European_Travel_Information_and_Authorisation_System (#ETIAS) #European_Criminal_Records_Information_System_for_Third_Country_Nationals (#ECRIS-TCN) #agenda

  • ENQUETE. Idemia : la face cachée de la société qui fabrique notre carte Vitale
    https://www.francetvinfo.fr/sciences/high-tech/enquete-idemia-la-face-cachee-de-la-societe-qui-fabrique-notre-carte-vi


    Portrait du suspect (gauche) et celui de Nijeer Parks (droite), capture d’écran d’une vidéo CNN Business (Youtube). (AUCUN)


    Démonstration de l’utilisation d’un kit d’enregistrement biométrique des électeurs (BVR) à Kasarani, Nairobi, le 6 novembre 2012. (SIMON MAINA / AFP)


    Une femme kényane regarde une caméra biométrique, collecte de données générant un numéro unique qui permet d’accéder aux services gouvernementaux. (SIMON MAINA / AFP)

    Spécialisée dans les technologies de l’identité biométrique, l’entreprise Idemia accumule les déboires en France et à l’étranger. (JOHN LUND / GETTYIMAGES)

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    Le leader français de l’identité biométrique, Idemia, est notamment connu pour fabriquer la carte Vitale française. Mais ces dernières années, il a rencontré de nombreux déboires : sanction du PNF, incarcération abusive après une erreur de son algorithme et annulation d’une élection au Kenya.

    Quand Nijeer Parks répond à l’appel de sa grand-mère, en ce jour de janvier 2019, rien ne pouvait le préparer à ce qui allait suivre. À l’époque, ce charpentier afro-américain de 28 ans mène une vie rangée dans le New Jersey, dans le nord-est des États-Unis. Sa grand-mère lui apprend alors qu’il est recherché par la police de Woodbridge, une ville située à 30 kilomètres de son domicile. Il est accusé de vol à l’étalage et de tentative d’homicide contre un policier.

    >> ENQUETE. Quand le ministère de la Santé retoque deux campagnes de prévention sur l’alcool

    Les faits se sont déroulés à Woodbridge. Mais Nijeer Parks n’y a jamais mis les pieds. Il n’a même aucune idée d’où se trouve cette ville. Il décide donc de se rendre au commissariat pour lever le malentendu et prouver son innocence. Mais rien ne se passe comme prévu : malgré ses explications, Nijeer Parks se retrouve menotté dans une salle d’interrogatoire. Ce qu’il ignore encore, c’est qu’il est victime d’un faux positif produit par un algorithme de reconnaissance faciale fourni par la société française Idemia. Celle-là même qui fabrique les cartes Vitales en France. Une erreur d’identification d’un logiciel couplé à une enquête bâclée. « Ils ont ignoré toutes les preuves qui pouvaient l’innocenter, déplore Daniel Sexton, l’avocat de Nijeer Parks. Ils avaient des empreintes digitales, des traces d’ADN, des images de vidéo-surveillance… Mais comme ils ont eu ce résultat de reconnaissance faciale, ils ont juste ignoré le reste ».

    Selon l’avocat, le procureur avait connaissance de ces manquements de la police. Il requerra pourtant une peine de 20 ans à l’encontre de Nijeer Parks, évoquant ses antécédents judiciaires. Plus jeune, Parks avait été impliqué dans une affaire de possession et de vente de substances illicites.
    Des machines imparfaites

    Les charges seront finalement abandonnées en novembre 2019, compte tenu des preuves présentées devant la cour par la défense. Au moment des faits, Nijeer Parks était en train d’effectuer un transfert d’argent dans une agence Western Union à des kilomètres de Woodbridge. Il aura tout de même passé 13 jours derrière les barreaux pour un délit qu’il n’avait pas commis, et il déposera plainte contre la police.

    « Ils ont fait confiance au logiciel. Sauf que le logiciel n’était pas fiable. C’est un problème que l’on voit dans toutes les affaires d’arrestations injustifiées que nous connaissons, explique Nate Wessler, responsable des questions liées à la vie privée et aux technologies pour l’Union américaine pour les libertés civiles (ACLU). Les gens supposent que ces machines sont plus précises et intelligentes qu’un humain. Sauf que ce sont des programmes informatiques créés par des humains, entraînés sur des données imparfaites et qui font souvent des erreurs ».
    Portrait du suspect (gauche) et celui de Nijeer Parks (droite), capture d’écran d’une vidéo CNN Business (Youtube). (AUCUN)
    Portrait du suspect (gauche) et celui de Nijeer Parks (droite), capture d’écran d’une vidéo CNN Business (Youtube). (AUCUN)

    Interrogé sur cette affaire, Idemia n’a pas souhaité répondre, la société n’étant pas poursuivie par Nijeer Parks. Elle a néanmoins précisé que ses équipes travaillaient activement pour « améliorer l’équité des algorithmes d’intelligence artificielle » et rappelle que ses technologies sont « à la première place au test d’équité pour la détection de fausses correspondances », réalisé par l’Institut national américain des normes et de la technologie, le NIST.

    L’histoire d’Idemia démarre dans les années 1970, en Afrique de l’Ouest sous son nom originel : Morpho. C’est dans les anciennes colonies françaises que l’entreprise, alors une émanation de la Caisse des dépôts et consignations (CDC), développe des solutions de biométrie pour aider à la création d’états-civils inexistants ou imparfaits dans ces pays nouvellement indépendants. « Il fallait trouver un critère physique permettant d’assurer la construction d’un état-civil, se souvient Bernard Didier, fondateur de Morpho. Ils ont pensé que l’empreinte digitale pourrait être un bon moyen de le faire ».

    Mais le marché n’est pas rentable. En dépit des millions d’euros injectés dans le projet par la CDC, les contrats africains ne rapportent pas assez. « C’était un marché insolvable, regrette Bernard Didier. Les États n’avaient pas l’argent nécessaire au financement des équipements de très haute technologie. Nous nous sommes donc rabattus sur des activités de police scientifique. Parce que les polices du monde entier cherchaient des solutions pour les collections d’empreintes digitales ». Le marché « sécurité » devient donc prioritaire. Il conduit la société à démarcher aux États-Unis. À partir des années 1980, elle y signe plusieurs contrats, avec des villes moyennes comme Tacoma, au sud de Seattle, mais aussi la ville puis l’État de New York, et même le FBI en 2009, à qui elle fournit un logiciel de reconnaissance d’empreintes digitales.

    Appareil de reconnaissance digitale, capture d’écran d’une vidéo promotionnelle Idemia, Vimeo, septembre 2023. (AUCUN)
    Appareil de reconnaissance digitale, capture d’écran d’une vidéo promotionnelle Idemia, Vimeo, septembre 2023. (AUCUN)

    Le succès est au rendez-vous. Mais la Caisse des dépôts décide de se séparer de Morpho en 1993. Elle vend la société pour un euro symbolique à Sagem, une entreprise française alors spécialisée dans les télécommunications. S’en suivent un certain nombre de fusions et de rachats. En 2005, Sagem devient Safran. Morpho est rebaptisée plusieurs fois. Puis, en 2017, Safran vend sa filiale biométrique au fonds d’investissement américain Advent, qui la fusionne avec une autre entreprise française : Oberthur Technologies, imprimeur high-tech et spécialiste en sécurité numérique. De là, naît Idemia, qui est aujourd’hui considérée comme une des entreprises leader dans le secteur « identité et sécurité », aux côtés de Thalès.
    Une amende de huit millions d’euros

    Mais la suite ne sera pas de tout repos. En 2017, le parquet national financier (PNF) reçoit un signalement de la National Crime Agency britannique. Il met sur pied une équipe pour enquêter avec elle. Leurs investigations mettront au jour un schéma de corruption : afin d’obtenir le marché des cartes d’identité à puce au Bangladesh, entre 2014 et 2016, Oberthur aurait surfacturé des prestations pour rémunérer un intermédiaire. Selon le PNF, il s’agissait d’"un apporteur d’affaires influent en Asie dans le secteur de l’identité, disposant de connexions avec l’autorité publique du Bangladesh".

    Les enquêteurs du PNF ont retrouvé la trace d’un virement de 730 000 euros entre Oberthur et l’une des sociétés sous-traitantes. Ce paiement devait permettre de rémunérer un agent public bangladais, qui a joué un rôle dans l’attribution de ce marché. Résultat : Idemia (qui de fait a succédé à Oberthur) accepte de signer une convention judiciaire d’intérêt public avec le PNF en 2022. La société payera une amende de près de huit millions d’euros pour éviter un procès. Une partie de ses services sera interdite de concourir à des appels d’offres de la Banque mondiale pendant deux ans et demi. Un coup dur, car c’était un bailleur important pour l’entreprise, notamment pour ses marchés en Afrique.

    Selon une enquête réalisée sur le marché de la biométrie électorale en Afrique par Marielle Debos et Guillaume Desgranges, tous les deux chercheurs à l’université Paris-Nanterre, Idemia fait en effet partie de ces acteurs français qui dominent le marché sur ce continent. En 2020, ils ont recensé au moins huit pays ayant utilisé ses technologies dans le cadre de scrutins électoraux.
    Présence d’Idemia (M) pour chaque recensement biométrique électoral et corrélation entre nationalité des entreprises et ancienne puissance coloniale. (MARIELLE DEBOS ET GUILLAUME DESGRANGES, POUR AFRIQUEXXI)
    Présence d’Idemia (M) pour chaque recensement biométrique électoral et corrélation entre nationalité des entreprises et ancienne puissance coloniale. (MARIELLE DEBOS ET GUILLAUME DESGRANGES, POUR AFRIQUEXXI)

    Mais la médaille a un revers. En Côte d’Ivoire, le scrutin présidentiel de 2010, organisé avec l’aide d’Idemia - Safran, à l’époque - a été le plus cher jamais organisé en Afrique. « Il a battu tous les records avec un coût de quasiment 57 dollars par électeur, dont 46 pour la biométrie, explique Marielle Debos. La facture a atteint des sommes astronomiques en raison des retards pris par le projet. L’entreprise a réclamé 246 millions d’euros à l’État ivoirien ». Idemia justifie cette facture par le périmètre de la mission qui lui avait été confiée : « Il s’agissait d’une intervention qui va bien au-delà de l’organisation de l’élection. Il s’agissait également de procéder au recensement des populations ».

    Cet épisode ne va cependant pas ternir l’image de l’entreprise, puisqu’elle signe de nouveaux contrats en Afrique dans la décennie qui suit, notamment au Kenya. En 2017, le pays prépare son élection présidentielle. Il souhaite s’équiper d’une technologie biométrique. Une démarche motivée par le souvenir douloureux des événements qui ont suivi les élections générales, dix ans plus tôt : « En 2007, suite à des contestations électorales, un certain nombre de violences ont conduit à la mort de quasiment 1 500 personnes en un mois et à plusieurs centaines de milliers de déplacés », précise Tomas Statius, journaliste au média à but non-lucratif Lighthouse Reports.
    Une élection annulée

    Dans l’espoir de ne pas reproduire les erreurs du passé, le Kenya décide donc de faire confiance à la technologie d’Idemia. La société française fournit un système d’inscription biométrique des électeurs, couplé à 45 000 tablettes permettant leur authentification le jour du scrutin. Ces tablettes peuvent également transmettre des formulaires comprenant les résultats de chaque bureau de vote, après leur décompte.

    Mais dans les mois qui précèdent le scrutin, la commission électorale kényane s’inquiète. Les comptes-rendus de ses réunions, obtenus par Lighthouse Reports et le média d’investigation Africa Uncensored, révèlent « à la fois une impréparation des autorités kényanes, mais aussi de l’entreprise française, affirme Tomas Statius. Plusieurs commissaires électoraux kényans considèrent que le contrat a été signé à la hâte. Ils constatent aussi un certain nombre de dysfonctionnements durant les tests réalisés avant les élections ».
    Démonstration de l’utilisation d’un kit d’enregistrement biométrique des électeurs (BVR) à Kasarani, Nairobi, le 6 novembre 2012. (SIMON MAINA / AFP)
    Démonstration de l’utilisation d’un kit d’enregistrement biométrique des électeurs (BVR) à Kasarani, Nairobi, le 6 novembre 2012. (SIMON MAINA / AFP)

    Le jour du scrutin, ces craintes deviennent réalité : « Ce sont d’abord des pannes, avec des tablettes qui n’ont pas assez de batterie pour fonctionner, poursuit Tomas Statius. Des problèmes d’internet évidemment, de 4G qui ne fonctionne pas. Il y a aussi des problèmes de lecture des résultats ». Tous ces dysfonctionnements conduiront la Cour suprême kényane à annuler l’élection. Les Kényans retourneront aux urnes deux mois plus tard. Comme la première fois, le président sortant, Uhuru Kenyatta, remportera l’élection, mais avec 98% des votes. Et il sera le seul candidat, l’opposant Raila Odinga ayant décidé de ne pas se représenter.

    Dans sa réponse à la Cellule Investigation de Radio France, Idemia se félicite « d’avoir pu remplir avec succès ses engagements en faveur de la démocratie kényane, et réaffirme humblement aujourd’hui à quel point il peut considérer positivement le résultat des deux élections de 2017 » malgré un « contexte difficile ».

    Cet échec ne va d’ailleurs pas l’empêcher de participer au programme de carte d’identité biométrique lancée par le gouvernement kényan l’année suivante. L’objectif était de créer un numéro d’identification unique pour chaque citoyen. L’idée, c’était de permettre, par la suite, d’accéder aux services de l’État via cet identifiant, lié aux données biométriques de la personne. Ce conditionnement d’accès aux services de l’État inquiète cependant une minorité ethnique dans le pays : les Nubiens. « La base de données se voulait être le seul outil permettant de vérifier une identité, explique Yassah Musa, responsable de l’ONG Nubian Rights Forum. Mais pour y être enregistré, il fallait présenter des documents tels qu’un certificat de naissance, une carte d’identité, un permis de conduire ou un passeport. Or, la communauté nubienne n’a toujours pas accès à ces documents officiels ».
    Une femme kényane regarde une caméra biométrique, collecte de données générant un numéro unique qui permet d’accéder aux services gouvernementaux. (SIMON MAINA / AFP)
    Une femme kényane regarde une caméra biométrique, collecte de données générant un numéro unique qui permet d’accéder aux services gouvernementaux. (SIMON MAINA / AFP)

    En 2020, saisie par l’association Nubian Rights Forum, la Haute cour du Kenya reconnaît l’existence d’un risque d’exclusion : « Cela peut être le cas pour ceux qui n’ont pas de documents d’identité, ni de données biométriques, telles que les empreintes digitales. Nous pensons donc qu’une partie de la population risquerait d’être discriminée », peut-on lire dans sa décision. En 2021, la Haute cour suspendra ce système d’identité biométrique. De son côté, le Parlement kényan essaye d’interdire Idemia de tout contrat dans le pays pendant dix ans. Une décision qui sera finalement annulée par la Haute cour du Kenya.

    Mais Idemia n’en a pas fini avec ce pays. En septembre 2022, l’ONG Data Rights, aux côtés d’autres associations notamment kényanes, a déposé une plainte auprès de la Commission nationale de l’informatique et des libertés (Cnil) en France. Lors du scrutin kényan, les données des votes des électeurs ont, en effet, été hébergées sur des serveurs européens. Or, en opérant à l’étranger, l’entreprise transporte avec elle ses responsabilités en matière de protection des données en Europe. Celles-ci ont-elles été suffisamment protégées, comme l’exige le RGPD, le règlement européen de protection des données ? C’est là-dessus que la Cnil va devoir se prononcer.

  • La chute du Heron blanc, ou la fuite en avant de l’agence #Frontex

    Sale temps pour Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières : après le scandale des pushbacks dans les eaux grecques, qui a fait tomber son ex-directeur, l’un de ses drones longue portée de type Heron 1, au coût faramineux, s’est crashé fin août en mer ionienne. Un accident qui met en lumière la dérive militariste de l’Union européenne pour barricader ses frontières méridionales.

    Jeudi 24 août 2023, un grand oiseau blanc a fait un plongeon fatal dans la mer ionienne, à 70 miles nautiques au large de la Crète. On l’appelait « Heron 1 », et il était encore très jeune puisqu’il n’avait au compteur que 3 000 heures de vol. Son employeur ? Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes chargée depuis 2004 de réguler les frontières européennes, avec un budget sans cesse en hausse.

    Le Heron 1 est désigné dans la terminologie barbare du secteur de l’armement comme un drone MALE (Medium Altitude Long Endurance) de quatrième génération, c’est-à-dire un engin automatisé de grande taille capable de voler sur de longues distances. Frontex disposait jusqu’au crash de seulement deux drones Heron 1. Le premier a été commandé en octobre 2020, quand l’agence a signé un contrat de 50 millions d’euros par an avec Airbus pour faire voler cet appareil en « leasing » – Airbus passant ensuite des sous-contrats, notamment avec le constructeur israélien IAISystem
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    – pour un total de 2 400 heures de vol, et avec des dépassements qui ont fait monter la facture annuelle. En clair, le coût de fonctionnement de ce drôle d’oiseau est abyssal. Frontex rechigne d’ailleurs à entrer dans les détails, arguant de « données commerciales sensibles », ainsi que l’explique Matthias Monroy, journaliste allemand spécialisé dans l’aéronautique : « Ils ne veulent pas donner les éléments montrant que ces drones valent plus cher que des aéroplanes classiques, alors que cela semble évident. »
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    La nouvelle de la chute de l’onéreux volatile n’a pas suscité beaucoup de réactions publiques – il n’en est quasiment pas fait mention dans les médias autres que grecs, hormis sur des sites spécialisés. On en trouve cependant une trace sur le portail numérique du Parlement européen, en date du 29 août 2023. Ce jour-là, Özlem Demirel, députée allemande du parti de gauche Die Linke, pose la question « E-002469/2023 » (une interpellation enregistrée sous le titre : « Crash of a second long-range drone operated on Frontex’s behalf »), dans laquelle elle interroge la fiabilité de ces drones. Elle y rappelle que, déjà en 2020, un coûteux drone longue distance opéré par Frontex s’était crashé en mer – un modèle Hermes 900 cette fois-ci, tout aussi onéreux, bijou de l’israélien Elbit Systems. Et la députée de demander : « Qui est responsable ? »

    Une question complexe. « En charge des investigations, les autorités grecques détermineront qui sera jugé responsable, explique Matthias Monroy. S’il y a eu une défaillance technique, alors IAI System devra sans doute payer. Mais si c’est un problème de communication satellite, comme certains l’ont avancé, ou si c’est une erreur de pilotage, alors ce sera à Airbus, ou plutôt à son assureur, de payer la note. »
    VOL AU-DESSUS D’UN NID D’EMBROUILLES

    Le Heron 1 a la taille d’un grand avion de tourisme – presque un mini-jet. D’une envergure de 17 mètres, censé pouvoir voler en autonomie pendant 24 heures (contre 36 pour le Hermes 900), il est équipé de nombreuses caméras, de dispositifs de vision nocturne, de radars et, semble-t-il, de technologies capables de localiser des téléphones satellites
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    . Détail important : n’étant pas automatisé, il est manœuvré par un pilote d’Airbus à distance. S’il est aussi utilisé sur des théâtres de guerre, notamment par les armées allemande et israélienne, où il s’est également montré bien peu fiable
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    , sa mission dans le cadre de Frontex relève de la pure surveillance : il s’agit de fournir des informations sur les embarcations de personnes exilées en partance pour l’Europe.

    Frontex disposait de deux drones Heron 1 jusqu’au crash. Airbus était notamment chargé d’assurer le transfert des données recueillies vers le quartier général de Frontex, à Varsovie (Pologne). L’engin qui a fait un fatal plouf se concentrait sur la zone SAR(Search and Rescue
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    ) grecque et avait pour port d’attache la Crète. C’est dans cette même zone SAR que Frontex a supervisé plus ou moins directement de nombreux pushbacks (des refoulements maritimes), une pratique illégale pourtant maintes fois documentée, ce qui a provoqué un scandale qui a fini par contraindre le Français Fabrice Leggeri à démissionner de la tête de l’agence fin avril 2022. Il n’est pas interdit de penser que ce Heron 1 a joué en la matière un rôle crucial, fournissant des informations aux gardes-côtes grecs qui, ensuite, refoulaient les embarcations chargées d’exilés.

    Quant à son jumeau, le Heron positionné à Malte, son rôle est encore plus problématique. Il est pourtant similaire à celui qui s’est crashé. « C’est exactement le même type de drone », explique Tamino Bohm, « tactical coordinator » (coordinateur tactique) sur les avions de Sea-Watch, une ONG allemande de secours en mer opérant depuis l’île italienne de Lampedusa. Si ce Heron-là, numéro d’immatriculation AS2132, diffère de son jumeau, c’est au niveau du territoire qu’il couvre : lui survole les zones SAR libyennes, offrant les informations recueillies à ceux que la communauté du secours en mer s’accorde à désigner comme les « soi-disant gardes-côtes libyens »
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    – en réalité, des éléments des diverses milices prospérant sur le sol libyen qui se comportent en pirates des mers. Financés en partie par l’Union européenne, ils sont avant tout chargés d’empêcher les embarcations de continuer leur route et de ramener leurs passagers en Libye, où les attendent bien souvent des prisons plus ou moins clandestines, aux conditions de détention infernales
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    .

    C’est ainsi qu’au large de Lampedusa se joue une sorte de guerre aérienne informelle. Les drones et les avions de Frontex croisent régulièrement ceux d’ONG telles que Sea-Watch, dans un ballet surréaliste : les premiers cherchant à renseigner les Libyens pour qu’ils arraisonnent les personnes exilées repérées au large ; les seconds s’acharnant avec leurs maigres moyens à documenter et à dénoncer naufrages et refoulements en Libye. Et Tamino d’asséner avec malice : « J’aurais préféré que le drone crashé soit celui opérant depuis Malte. Mais c’est déjà mieux que rien. »
    BUDGET GONFLÉ, MANDAT ÉLARGI

    Tant que l’enquête sur le crash n’aura pas abouti, le vol de drones Heron 1 est suspendu sur le territoire terrestre et maritime relevant des autorités grecques, assure Matthias Monroy (qui ajoute que cette interdiction s’applique également aux deux drones du même modèle que possède l’armée grecque). Le crash de l’un de ses deux Heron 1 est donc une mauvaise nouvelle pour Frontex et les adeptes de la forteresse Europe, déjà bien éprouvés par les arrivées massives à Lampedusa à la mi-septembre et l’hospitalité affichée sur place par les habitants. À l’image de ces murs frontaliers bâtis aux frontières de l’Europe et dans l’espace Schengen – un rapport du Parlement européen, publié en octobre 2022 « Walls and fences at EU borders » (https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/EPRS_BRI(2022)733692), précise que l’on en est à 2 035 kilomètres de barrières frontalières, contre 315 en 2014 –, matérialisation d’un coûteux repli identitaire clamant une submersion fantasmée, il est évident que la démesure sécuritaire ne freine en rien les volontés de rejoindre l’Europe.

    Ce ne sont pourtant pas les moyens qui manquent. Lors de sa première année d’opérations, en 2005, Frontex disposait d’un budget de 6 millions d’euros. Depuis, celui-ci n’a cessé d’enfler, pour atteindre la somme de 845,4 millions d’euros en 2023, et un effectif de plus de 2 100 personnels – avec un budget prévisionnel 2021-2027 de 11 milliards d’euros et un objectif de 10 000 gardes d’ici à 2027 (dont 7 000 détachés par les États membres).

    Depuis 2019, Frontex dispose d’un mandat élargi qui autorise l’acquisition et la possession d’avions, de drones et d’armes à feu. L’agence s’est aussi géographiquement démultipliée au fil de temps. Ses effectifs peuvent aussi bien patrouiller dans les eaux de Lampedusa que participer à des missions de surveillance de la frontière serbo-hongroise, alors que son rôle initial était simplement d’assister les pays européens dans la gestion de leurs frontières. L’agence européenne joue aussi un rôle dans la démesure technologique qui se développe aux frontières. Rien que dans les airs, l’agence se veut novatrice : elle a déjà investi plusieurs millions d’euros dans un projet de #zeppelin automatisé relié à un câble de 1 000 mètres, ainsi que dans le développement de drones « #quadcopter » pesant une dizaine de kilos. Enfin, Frontex participe aussi à la collecte généralisée de #données migratoires dans le but d’anticiper les refoulements. Elle soutient même des projets visant à gérer les flux humains par #algorithmes.

    Traversée comme les armées par une culture du secret, l’agence s’est fait une spécialité des zones grises et des partenariats opaques, tout en prenant une place toujours plus importante dans la hausse de la létalité des frontières. « Frontex est devenue l’agent de la #militarisation_des_frontières européennes depuis sa création, résume un rapport de la Fondation Jean-Jaurès sorti en juillet 2023. Fondant son fonctionnement sur l’#analyse_des_risques, Frontex a contribué à la perception des frontières européennes comme d’une forteresse assiégée, liant le trafic de drogue et d’êtres humains à des mouvements migratoires plus larges. »

    « VOUS SURVEILLEZ LES FRONTIÈRES, NOUS VOUS SURVEILLONS »

    Dans sa volonté d’expansion tous azimuts, l’agence se tourne désormais vers l’Afrique, où elle œuvre de manière plus ou moins informelle à la mise en place de politiques d’#externalisation des frontières européennes. Elle pèse notamment de tout son poids pour s’implanter durablement au #Sénégal et en #Mauritanie. « Grâce à l’argent des contribuables européens, le Sénégal a construit depuis 2018 au moins neuf postes-frontières et quatre antennes régionales de la Direction nationale de lutte contre le trafic de migrants. Ces sites sont équipés d’un luxe de #technologies de #surveillance_intrusive : outre la petite mallette noire [contenant un outil d’extraction des données], ce sont des #logiciels d’#identification_biométrique des #empreintes_digitales et de #reconnaissance_faciale, des drones, des #serveurs_numériques, des lunettes de vision nocturne et bien d’autres choses encore », révèle une enquête du journal étatsunien In These Times. Très impopulaire sur le continent, ce type de #néocolonialisme obsidional se déploie de manière informelle. Mais il porte bien la marque de Frontex, agence agrippée à l’obsession de multiplier les murs physiques et virtuels.

    Au Sénégal, pour beaucoup, ça ne passe pas. En août 2022, l’association #Boza_Fii a organisé plusieurs journées de débat intitulées « #Pushback_Frontex », avec pour slogan : « Vous surveillez les frontières, nous vous surveillons ». Une manifestation reconduite en août 2023 avec la mobilisation « 72h Push Back Frontex ». Objectif : contrer les négociations en cours entre l’Union européenne et le Sénégal, tout en appelant « à la dissolution définitive de l’agence européenne de gardes-frontières ». Sur RFI, son porte-parole #Saliou_Diouf expliquait récemment son point de vue : « Nous, on lutte pour la #liberté_de_circulation de tout un chacun. […] Depuis longtemps, il y a beaucoup d’argent qui rentre et est-ce que ça a arrêté les départs ? »

    Cette politique « argent contre muraille » est déployée dans d’autres États africains, comme le #Niger ou le #Soudan. Frontex n’y est pas directement impliquée, mais l’Europe verse des centaines de millions d’euros à 26 pays africains pour que des politiques locales visant à bloquer les migrations soient mises en place.

    « Nous avons besoin d’aide humanitaire, pas d’outils sécuritaires », assure Mbaye Diop, travailleur humanitaire dans un camp de la Croix-Rouge situé à la frontière entre le Sénégal et la Mauritanie, dans l’enquête de In These Times. Un constat qui vaut de l’autre côté de la Méditerranée : dans un tweet publié après le crash du Heron 1, l’ONG Sea-Watch observait qu’avec les 50 millions alloués à Airbus et à ses sous-traitants pour planter son Heron dans les flots, « on pourrait faire voler pendant 25 ans nos avions de secours Seabird 1 et Seabird 2 ».

    https://afriquexxi.info/La-chute-du-Heron-blanc-ou-la-fuite-en-avant-de-l-agence-Frontex

    #drones #Heron_1 #frontières #surveillances_des_frontières #contrôles_frontaliers #migrations #asile #réfugiés #drone_MALE (#Medium_Altitude_Long_Endurance) #crash #Airbus #complexe_militaro-industriel #IAI_System #coût #prix #budget #chute #fiabilité #Hermes_900 #Elbit_Systems #données #push-backs #refoulements #AS2132 #Libye #guerre_aérienne_informelle #biométrie

  • Comment l’Europe sous-traite à l’#Afrique le contrôle des #migrations (1/4) : « #Frontex menace la #dignité_humaine et l’#identité_africaine »

    Pour freiner l’immigration, l’Union européenne étend ses pouvoirs aux pays d’origine des migrants à travers des partenariats avec des pays africains, parfois au mépris des droits humains. Exemple au Sénégal, où le journaliste Andrei Popoviciu a enquêté.

    Cette enquête en quatre épisodes, publiée initialement en anglais dans le magazine américain In These Times (https://inthesetimes.com/article/europe-militarize-africa-senegal-borders-anti-migration-surveillance), a été soutenue par une bourse du Leonard C. Goodman Center for Investigative Reporting.

    Par une brûlante journée de février, Cornelia Ernst et sa délégation arrivent au poste-frontière de Rosso. Autour, le marché d’artisanat bouillonne de vie, une épaisse fumée s’élève depuis les camions qui attendent pour passer en Mauritanie, des pirogues hautes en couleur dansent sur le fleuve Sénégal. Mais l’attention se focalise sur une fine mallette noire posée sur une table, face au chef du poste-frontière. Celui-ci l’ouvre fièrement, dévoilant des dizaines de câbles méticuleusement rangés à côté d’une tablette tactile. La délégation en a le souffle coupé.

    Le « Universal Forensics Extraction Device » (UFED) est un outil d’extraction de données capable de récupérer les historiques d’appels, photos, positions GPS et messages WhatsApp de n’importe quel téléphone portable. Fabriqué par la société israélienne Cellebrite, dont il a fait la réputation, l’UFED est commercialisé auprès des services de police du monde entier, notamment du FBI, pour lutter contre le terrorisme et le trafic de drogues. Néanmoins, ces dernières années, le Nigeria et le Bahreïn s’en sont servis pour voler les données de dissidents politiques, de militants des droits humains et de journalistes, suscitant un tollé.

    Toujours est-il qu’aujourd’hui, une de ces machines se trouve au poste-frontière entre Rosso-Sénégal et Rosso-Mauritanie, deux villes du même nom construites de part et d’autre du fleuve qui sépare les deux pays. Rosso est une étape clé sur la route migratoire qui mène jusqu’en Afrique du Nord. Ici, cependant, cette technologie ne sert pas à arrêter les trafiquants de drogue ou les terroristes, mais à suivre les Ouest-Africains qui veulent migrer vers l’Europe. Et cet UFED n’est qu’un outil parmi d’autres du troublant arsenal de technologies de pointe déployé pour contrôler les déplacements dans la région – un arsenal qui est arrivé là, Cornelia Ernst le sait, grâce aux technocrates de l’Union européenne (UE) avec qui elle travaille.

    Cette eurodéputée allemande se trouve ici, avec son homologue néerlandaise Tineke Strik et une équipe d’assistants, pour mener une mission d’enquête en Afrique de l’Ouest. Respectivement membres du Groupe de la gauche (GUE/NGL) et du Groupe des Verts (Verts/ALE) au Parlement européen, les deux femmes font partie d’une petite minorité de députés à s’inquiéter des conséquences de la politique migratoire européenne sur les valeurs fondamentales de l’UE – à savoir les droits humains –, tant à l’intérieur qu’à l’extérieur de l’Europe.

    Le poste-frontière de Rosso fait partie intégrante de la politique migratoire européenne. Il accueille en effet une nouvelle antenne de la Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT), fruit d’un « partenariat opérationnel conjoint » entre le Sénégal et l’UE visant à former et équiper la police des frontières sénégalaise et à dissuader les migrants de gagner l’Europe avant même qu’ils ne s’en approchent. Grâce à l’argent des contribuables européens, le Sénégal a construit depuis 2018 au moins neuf postes-frontières et quatre antennes régionales de la DNLT. Ces sites sont équipés d’un luxe de technologies de surveillance intrusive : outre la petite mallette noire, ce sont des logiciels d’identification biométrique des empreintes digitales et de reconnaissance faciale, des drones, des serveurs numériques, des lunettes de vision nocturne et bien d’autres choses encore…

    Dans un communiqué, un porte-parole de la Commission européenne affirme pourtant que les antennes régionales de la DNLT ont été créées par le Sénégal et que l’UE se borne à financer les équipements et les formations.

    « Frontex militarise la Méditerranée »

    Cornelia Ernst redoute que ces outils ne portent atteinte aux droits fondamentaux des personnes en déplacement. Les responsables sénégalais, note-t-elle, semblent « très enthousiasmés par les équipements qu’ils reçoivent et par leur utilité pour suivre les personnes ». Cornelia Ernst et Tineke Strik s’inquiètent également de la nouvelle politique, controversée, que mène la Commission européenne depuis l’été 2022 : l’Europe a entamé des négociations avec le Sénégal et la Mauritanie pour qu’ils l’autorisent à envoyer du personnel de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes, Frontex, patrouiller aux frontières terrestres et maritimes des deux pays. Objectif avoué : freiner l’immigration africaine.

    Avec un budget de 754 millions d’euros, Frontex est l’agence la mieux dotée financièrement de toute l’UE. Ces cinq dernières années, un certain nombre d’enquêtes – de l’UE, des Nations unies, de journalistes et d’organisations à but non lucratif – ont montré que Frontex a violé les droits et la sécurité des migrants qui traversent la Méditerranée, notamment en aidant les garde-côtes libyens, financés par l’UE, à renvoyer des centaines de milliers de migrants en Libye, un pays dans lequel certains sont détenus, torturés ou exploités comme esclaves sexuels. En 2022, le directeur de l’agence, Fabrice Leggeri, a même été contraint de démissionner à la suite d’une cascade de scandales. Il lui a notamment été reproché d’avoir dissimulé des « pushbacks » : des refoulements illégaux de migrants avant même qu’ils ne puissent déposer une demande d’asile.

    Cela fait longtemps que Frontex est présente de façon informelle au Sénégal, en Mauritanie et dans six autres pays d’Afrique de l’Ouest, contribuant au transfert de données migratoires de ces pays vers l’UE. Mais jamais auparavant l’agence n’avait déployé de gardes permanents à l’extérieur de l’UE. Or à présent, Bruxelles compte bien étendre les activités de Frontex au-delà de son territoire, sur le sol de pays africains souverains, anciennes colonies européennes qui plus est, et ce en l’absence de tout mécanisme de surveillance. Pour couronner le tout, initialement, l’UE avait même envisagé d’accorder l’immunité au personnel de Frontex posté en Afrique de l’Ouest.

    D’évidence, les programmes européens ne sont pas sans poser problème. La veille de leur arrivée à Rosso, Cornelia Ernst et Tineke Strik séjournent à Dakar, où plusieurs groupes de la société civile les mettent en garde. « Frontex menace la dignité humaine et l’identité africaine », martèle Fatou Faye, de la Fondation Rosa Luxemburg, une ONG allemande. « Frontex militarise la Méditerranée », renchérit Saliou Diouf, fondateur de l’association de défense des migrants Boza Fii. Si Frontex poste ses gardes aux frontières africaines, ajoute-t-il, « c’est la fin ».

    Ces programmes s’inscrivent dans une vaste stratégie d’« externalisation des frontières », selon le jargon européen en vigueur. L’idée ? Sous-traiter de plus en plus le contrôle des frontières européennes en créant des partenariats avec des gouvernements africains – autrement dit, étendre les pouvoirs de l’UE aux pays d’origine des migrants. Concrètement, cette stratégie aux multiples facettes consiste à distribuer des équipements de surveillance de pointe, à former les forces de police et à mettre en place des programmes de développement qui prétendent s’attaquer à la racine des migrations.

    Des cobayes pour l’Europe

    En 2016, l’UE a désigné le Sénégal, qui est à la fois un pays d’origine et de transit des migrants, comme l’un de ses cinq principaux pays partenaires pour gérer les migrations africaines. Mais au total, ce sont pas moins de 26 pays africains qui reçoivent de l’argent des contribuables européens pour endiguer les vagues de migration, dans le cadre de 400 projets distincts. Entre 2015 et 2021, l’UE a investi 5 milliards d’euros dans ces projets, 80 % des fonds étant puisés dans les budgets d’aide humanitaire et au développement. Selon des données de la Fondation Heinrich Böll, rien qu’au Sénégal, l’Europe a investi au moins 200 milliards de francs CFA (environ 305 millions d’euros) depuis 2005.

    Ces investissements présentent des risques considérables. Il s’avère que la Commission européenne omet parfois de procéder à des études d’évaluation d’impact sur les droits humains avant de distribuer ses fonds. Or, comme le souligne Tineke Strik, les pays qu’elle finance manquent souvent de garde-fous pour protéger la démocratie et garantir que les technologies et les stratégies de maintien de l’ordre ne seront pas utilisées à mauvais escient. En réalité, avec ces mesures, l’UE mène de dangereuses expériences technico-politiques : elle équipe des gouvernements autoritaires d’outils répressifs qui peuvent être utilisés contre les migrants, mais contre bien d’autres personnes aussi.

    « Si la police dispose de ces technologies pour tracer les migrants, rien ne garantit qu’elle ne s’en servira pas contre d’autres individus, comme des membres de la société civile et des acteurs politiques », explique Ousmane Diallo, chercheur au bureau d’Afrique de l’Ouest d’Amnesty International.

    En 2022, j’ai voulu mesurer l’impact au Sénégal des investissements réalisés par l’UE dans le cadre de sa politique migratoire. Je me suis rendu dans plusieurs villes frontalières, j’ai discuté avec des dizaines de personnes et j’ai consulté des centaines de documents publics ou qui avaient fuité. Cette enquête a mis au jour un complexe réseau d’initiatives qui ne s’attaquent guère aux problèmes qui poussent les gens à émigrer. En revanche, elles portent un rude coup aux droits fondamentaux, à la souveraineté nationale du Sénégal et d’autres pays d’Afrique, ainsi qu’aux économies locales de ces pays, qui sont devenus des cobayes pour l’Europe.

    Des politiques « copiées-collées »

    Depuis la « crise migratoire » de 2015, l’UE déploie une énergie frénétique pour lutter contre l’immigration. A l’époque, plus d’un million de demandeurs d’asile originaires du Moyen-Orient et d’Afrique – fuyant les conflits, la violence et la pauvreté – ont débarqué sur les côtes européennes. Cette « crise migratoire » a provoqué une droitisation de l’Europe. Les leaders populistes surfant sur la peur des populations et présentant l’immigration comme une menace sécuritaire et identitaire, les partis nationalistes et xénophobes en ont fait leurs choux gras.

    Reste que le pic d’immigration en provenance d’Afrique de l’Ouest s’est produit bien avant 2015 : en 2006, plus de 31 700 migrants sont arrivés par bateau aux îles Canaries, un territoire espagnol situé à une centaine de kilomètres du Maroc. Cette vague a pris au dépourvu le gouvernement espagnol, qui s’est lancé dans une opération conjointe avec Frontex, baptisée « Hera », pour patrouiller le long des côtes africaines et intercepter les bateaux en direction de l’Europe.

    Cette opération « Hera », que l’ONG britannique de défense des libertés Statewatch qualifie d’« opaque », marque le premier déploiement de Frontex à l’extérieur du territoire européen. C’est aussi le premier signe d’externalisation des frontières européennes en Afrique depuis la fin du colonialisme au XXe siècle. En 2018, Frontex a quitté le Sénégal, mais la Guardia Civil espagnole y est restée jusqu’à ce jour : pour lutter contre l’immigration illégale, elle patrouille le long des côtes et effectue même des contrôles de passeports dans les aéroports.

    En 2015, en pleine « crise », les fonctionnaires de Bruxelles ont musclé leur stratégie : ils ont décidé de dédier des fonds à la lutte contre l’immigration à la source. Ils ont alors créé le Fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique (EUTF). Officiellement, il s’agit de favoriser la stabilité et de remédier aux causes des migrations et des déplacements irréguliers des populations en Afrique.

    Malgré son nom prometteur, c’est la faute de l’EUTF si la mallette noire se trouve à présent au poste-frontière de Rosso – sans oublier les drones et les lunettes de vision nocturne. Outre ce matériel, le fonds d’urgence sert à envoyer des fonctionnaires et des consultants européens en Afrique, pour convaincre les gouvernements de mettre en place de nouvelles politiques migratoires – des politiques qui, comme me le confie un consultant anonyme de l’EUTF, sont souvent « copiées-collées d’un pays à l’autre », sans considération aucune des particularités nationales de chaque pays. « L’UE force le Sénégal à adopter des politiques qui n’ont rien à voir avec nous », explique la chercheuse sénégalaise Fatou Faye à Cornelia Ernst et Tineke Strik.

    Une mobilité régionale stigmatisée

    Les aides européennes constituent un puissant levier, note Leonie Jegen, chercheuse à l’université d’Amsterdam et spécialiste de l’influence de l’UE sur la politique migratoire sénégalaise. Ces aides, souligne-t-elle, ont poussé le Sénégal à réformer ses institutions et son cadre législatif en suivant des principes européens et en reproduisant des « catégories politiques eurocentrées » qui stigmatisent, voire criminalisent la mobilité régionale. Et ces réformes sont sous-tendues par l’idée que « le progrès et la modernité » sont des choses « apportées de l’extérieur » – idée qui n’est pas sans faire écho au passé colonial.

    Il y a des siècles, pour se partager l’Afrique et mieux piller ses ressources, les empires européens ont dessiné ces mêmes frontières que l’UE est aujourd’hui en train de fortifier. L’Allemagne a alors jeté son dévolu sur de grandes parties de l’Afrique de l’Ouest et de l’Afrique de l’Est ; les Pays-Bas ont mis la main sur l’Afrique du Sud ; les Britanniques ont décroché une grande bande de terre s’étendant du nord au sud de la partie orientale du continent ; la France a raflé des territoires allant du Maroc au Congo-Brazzaville, notamment l’actuel Sénégal, qui n’est indépendant que depuis soixante-trois ans.

    L’externalisation actuelle des frontières européennes n’est pas un cas totalement unique. Les trois derniers gouvernements américains ont abreuvé le Mexique de millions de dollars pour empêcher les réfugiés d’Amérique centrale et d’Amérique du Sud d’atteindre la frontière américaine, et l’administration Biden a annoncé l’ouverture en Amérique latine de centres régionaux où il sera possible de déposer une demande d’asile, étendant ainsi de facto le contrôle de ses frontières à des milliers de kilomètres au-delà de son territoire.

    Cela dit, au chapitre externalisation des frontières, la politique européenne en Afrique est de loin la plus ambitieuse et la mieux financée au monde.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/06/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-1-4-fron

    #réfugiés #asile #contrôles_frontaliers #frontières #Sénégal #Rosso #fleuve_Sénégal #Mauritanie #Universal_Forensics_Extraction_Device (#UFED) #données #technologie #Cellebrite #complexe_militaro-industriel #Division_nationale_de_lutte_contre_le_trafic_de_migrants (#DNLT) #politique_migratoire_européenne #UE #EU #Union_européenne #partenariat_opérationnel_conjoint #dissuasion #postes-frontières #surveillance #technologie_de_surveillance #biométrie #identification_biométrie #reconnaissance_faciale #empreintes_digitales #drones #droits_fondamentaux #militarisation_des_frontières #Boza_Fii #externalisation #expériences_technico-politiques #Hera #opération_Hera #mobilité_régionale

    • Comment l’Europe sous-traite à l’Afrique le contrôle des migrations (2/4) : « Nous avons besoin d’aide, pas d’outils sécuritaires »

      Au Sénégal, la création et l’équipement de postes-frontières constituent des éléments clés du partenariat avec l’Union européenne. Une stratégie pas toujours efficace, tandis que les services destinés aux migrants manquent cruellement de financements.

      Par une étouffante journée de mars, j’arrive au poste de contrôle poussiéreux du village sénégalais de #Moussala, à la frontière avec le #Mali. Des dizaines de camions et de motos attendent, en ligne, de traverser ce point de transit majeur. Après avoir demandé pendant des mois, en vain, la permission au gouvernement d’accéder au poste-frontière, j’espère que le chef du poste m’expliquera dans quelle mesure les financements européens influencent leurs opérations. Refusant d’entrer dans les détails, il me confirme que son équipe a récemment reçu de l’Union européenne (UE) des formations et des équipements dont elle se sert régulièrement. Pour preuve, un petit diplôme et un trophée, tous deux estampillés du drapeau européen, trônent sur son bureau.

      La création et l’équipement de postes-frontières comme celui de Moussala constituent des éléments clés du partenariat entre l’UE et l’#Organisation_internationale_pour_les_migrations (#OIM). Outre les technologies de surveillance fournies aux antennes de la Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT, fruit d’un partenariat entre le Sénégal et l’UE), chaque poste-frontière est équipé de systèmes d’analyse des données migratoires et de systèmes biométriques de reconnaissance faciale et des empreintes digitales.

      Officiellement, l’objectif est de créer ce que les fonctionnaires européens appellent un système africain d’#IBM, à savoir « #Integrated_Border_Management » (en français, « gestion intégrée des frontières »). Dans un communiqué de 2017, le coordinateur du projet de l’OIM au Sénégal déclarait : « La gestion intégrée des frontières est plus qu’un simple concept, c’est une culture. » Il avait semble-t-il en tête un changement idéologique de toute l’Afrique, qui ne manquerait pas selon lui d’embrasser la vision européenne des migrations.

      Technologies de surveillance

      Concrètement, ce système IBM consiste à fusionner les #bases_de_données sénégalaises (qui contiennent des données biométriques sensibles) avec les données d’agences de police internationales (comme #Interpol et #Europol). Le but : permettre aux gouvernements de savoir qui franchit quelle frontière et quand. Un tel système, avertissent les experts, peut vite faciliter les expulsions illégales et autres abus.

      Le risque est tout sauf hypothétique. En 2022, un ancien agent des services espagnols de renseignement déclarait au journal El Confidencial que les autorités de plusieurs pays d’Afrique « utilisent les technologies fournies par l’Espagne pour persécuter et réprimer des groupes d’opposition, des militants et des citoyens critiques envers le pouvoir ». Et d’ajouter que le gouvernement espagnol en avait parfaitement conscience.

      D’après un porte-parole de la Commission européenne, « tous les projets qui touchent à la sécurité et sont financés par l’UE comportent un volet de formation et de renforcement des capacités en matière de droits humains ». Selon cette même personne, l’UE effectue des études d’impact sur les droits humains avant et pendant la mise en œuvre de ces projets. Mais lorsque, il y a quelques mois, l’eurodéputée néerlandaise Tineke Strik a demandé à voir ces études d’impact, trois différents services de la Commission lui ont envoyé des réponses officielles disant qu’ils ne les avaient pas. En outre, selon un de ces services, « il n’existe pas d’obligation réglementaire d’en faire ».

      Au Sénégal, les libertés civiles sont de plus en plus menacées et ces technologies de surveillance risquent d’autant plus d’être utilisées à mauvais escient. Rappelons qu’en 2021, les forces de sécurité sénégalaises ont tué quatorze personnes qui manifestaient contre le gouvernement ; au cours des deux dernières années, plusieurs figures de l’opposition et journalistes sénégalais ont été emprisonnés pour avoir critiqué le gouvernement, abordé des questions politiques sensibles ou avoir « diffusé des fausses nouvelles ». En juin, après qu’Ousmane Sonko, principal opposant au président Macky Sall, a été condamné à deux ans d’emprisonnement pour « corruption de la jeunesse », de vives protestations ont fait 23 morts.

      « Si je n’étais pas policier, je partirais aussi »

      Alors que j’allais renoncer à discuter avec la police locale, à Tambacounda, autre grand point de transit non loin des frontières avec le Mali et la Guinée, un policier de l’immigration en civil a accepté de me parler sous couvert d’anonymat. C’est de la région de #Tambacounda, qui compte parmi les plus pauvres du Sénégal, que proviennent la plupart des candidats à l’immigration. Là-bas, tout le monde, y compris le policier, connaît au moins une personne qui a tenté de mettre les voiles pour l’Europe.

      « Si je n’étais pas policier, je partirais aussi », me confie-t-il par l’entremise d’un interprète, après s’être éloigné à la hâte du poste-frontière. Les investissements de l’UE « n’ont rien changé du tout », poursuit-il, notant qu’il voit régulièrement des personnes en provenance de Guinée passer par le Sénégal et entrer au Mali dans le but de gagner l’Europe.

      Depuis son indépendance en 1960, le Sénégal est salué comme un modèle de démocratie et de stabilité, tandis que nombre de ses voisins sont en proie aux dissensions politiques et aux coups d’Etat. Quoi qu’il en soit, plus d’un tiers de la population vit sous le seuil de pauvreté et l’absence de perspectives pousse la population à migrer, notamment vers la France et l’Espagne. Aujourd’hui, les envois de fonds de la diaspora représentent près de 10 % du PIB sénégalais. A noter par ailleurs que, le Sénégal étant le pays le plus à l’ouest de l’Afrique, de nombreux Ouest-Africains s’y retrouvent lorsqu’ils fuient les problèmes économiques et les violences des ramifications régionales d’Al-Qaida et de l’Etat islamique (EI), qui ont jusqu’à présent contraint près de 4 millions de personnes à partir de chez elles.

      « L’UE ne peut pas résoudre les problèmes en construisant des murs et en distribuant de l’argent, me dit le policier. Elle pourra financer tout ce qu’elle veut, ce n’est pas comme ça qu’elle mettra fin à l’immigration. » Les sommes qu’elle dépense pour renforcer la police et les frontières, dit-il, ne servent guère plus qu’à acheter des voitures climatisées aux policiers des villes frontalières.

      Pendant ce temps, les services destinés aux personnes expulsées – comme les centres de protection et d’accueil – manquent cruellement de financements. Au poste-frontière de Rosso, des centaines de personnes sont expulsées chaque semaine de Mauritanie. Mbaye Diop travaille avec une poignée de bénévoles du centre que la Croix-Rouge a installé du côté sénégalais pour accueillir ces personnes expulsées : des hommes, des femmes et des enfants qui présentent parfois des blessures aux poignets, causées par des menottes, et ailleurs sur le corps, laissées par les coups de la police mauritanienne. Mais Mbaye Diop n’a pas de ressources pour les aider. L’approche n’est pas du tout la bonne, souffle-t-il : « Nous avons besoin d’aide humanitaire, pas d’outils sécuritaires. »

      La méthode de la carotte

      Pour freiner l’immigration, l’UE teste également la méthode de la carotte : elle propose des subventions aux entreprises locales et des formations professionnelles à ceux qui restent ou rentrent chez eux. La route qui mène à Tambacounda est ponctuée de dizaines et de dizaines de panneaux publicitaires vantant les projets européens.

      Dans la réalité, les offres ne sont pas aussi belles que l’annonce l’UE. Binta Ly, 40 ans, en sait quelque chose. A Tambacounda, elle tient une petite boutique de jus de fruits locaux et d’articles de toilette. Elle a fait une année de droit à l’université, mais le coût de la vie à Dakar l’a contrainte à abandonner ses études et à partir chercher du travail au Maroc. Après avoir vécu sept ans à Casablanca et Marrakech, elle est rentrée au Sénégal, où elle a récemment inauguré son magasin.

      En 2022, Binta Ly a déposé une demande de subvention au Bureau d’accueil, d’orientation et de suivi (BAOS) qui avait ouvert la même année à Tambacounda, au sein de l’antenne locale de l’Agence régionale de développement (ARD). Financés par l’UE, les BAOS proposent des subventions aux petites entreprises sénégalaises dans le but de dissuader la population d’émigrer. Binta Ly ambitionnait d’ouvrir un service d’impression, de copie et de plastification dans sa boutique, idéalement située à côté d’une école primaire. Elle a obtenu une subvention de 500 000 francs CFA (762 euros) – soit un quart du budget qu’elle avait demandé –, mais peu importe, elle était très enthousiaste. Sauf qu’un an plus tard, elle n’avait toujours pas touché un seul franc.

      Dans l’ensemble du Sénégal, les BAOS ont obtenu une enveloppe totale de 1 milliard de francs CFA (1,5 million d’euros) de l’UE pour financer ces subventions. Mais l’antenne de Tambacounda n’a perçu que 60 millions de francs CFA (91 470 euros), explique Abdoul Aziz Tandia, directeur du bureau local de l’ARD. A peine de quoi financer 84 entreprises dans une région de plus d’un demi-million d’habitants. Selon un porte-parole de la Commission européenne, la distribution des subventions a effectivement commencé en avril. Le fait est que Binta Ly a reçu une imprimante et une plastifieuse, mais pas d’ordinateur pour aller avec. « Je suis contente d’avoir ces aides, dit-elle. Le problème, c’est qu’elles mettent très longtemps à venir et que ces retards chamboulent tout mon business plan. »

      Retour « volontaire »

      Abdoul Aziz Tandia admet que les BAOS ne répondent pas à la demande. C’est en partie la faute de la bureaucratie, poursuit-il : Dakar doit approuver l’ensemble des projets et les intermédiaires sont des ONG et des agences étrangères, ce qui signifie que les autorités locales et les bénéficiaires n’exercent aucun contrôle sur ces fonds, alors qu’ils sont les mieux placés pour savoir comment les utiliser. Par ailleurs, reconnaît-il, de nombreuses régions du pays n’ayant accès ni à l’eau propre, ni à l’électricité ni aux soins médicaux, ces microsubventions ne suffisent pas à empêcher les populations d’émigrer. « Sur le moyen et le long termes, ces investissements n’ont pas de sens », juge Abdoul Aziz Tandia.

      Autre exemple : aujourd’hui âgé de 30 ans, Omar Diaw a passé au moins cinq années de sa vie à tenter de rejoindre l’Europe. Traversant les impitoyables déserts du Mali et du Niger, il est parvenu jusqu’en Algérie. Là, à son arrivée, il s’est aussitôt fait expulser vers le Niger, où il n’existe aucun service d’accueil. Il est alors resté coincé des semaines entières dans le désert. Finalement, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) l’a renvoyé en avion au Sénégal, qualifiant son retour de « volontaire ».

      Lorsqu’il est rentré chez lui, à Tambacounda, l’OIM l’a inscrit à une formation de marketing numérique qui devait durer plusieurs semaines et s’accompagner d’une allocation de 30 000 francs CFA (46 euros). Mais il n’a jamais touché l’allocation et la formation qu’il a suivie est quasiment inutile dans sa situation : à Tambacounda, la demande en marketing numérique n’est pas au rendez-vous. Résultat : il a recommencé à mettre de l’argent de côté pour tenter de nouveau de gagner l’Europe.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/07/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-2-4-nous
      #OIM #retour_volontaire

    • Comment l’Europe sous-traite à l’Afrique le contrôle des migrations (3/4) : « Il est presque impossible de comprendre à quoi sert l’argent »

      A coups de centaines de millions d’euros, l’UE finance des projets dans des pays africains pour réduire les migrations. Mais leur impact est difficile à mesurer et leurs effets pervers rarement pris en considération.

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      Au chapitre migrations, rares sont les projets de l’Union européenne (UE) qui semblent adaptés aux réalités africaines. Mais il n’est pas sans risques de le dire tout haut. C’est ce que Boubacar Sèye, chercheur dans le domaine, a appris à ses dépens.

      Né au Sénégal, il vit aujourd’hui en Espagne. Ce migrant a quitté la Côte d’Ivoire, où il travaillait comme professeur de mathématiques, quand les violences ont ravagé le pays au lendemain de l’élection présidentielle de 2000. Après de brefs séjours en France et en Italie, Boubacar Sèye s’est établi en Espagne, où il a fini par obtenir la citoyenneté et fondé une famille avec son épouse espagnole. Choqué par le bilan de la vague de migration aux Canaries en 2006, il a créé l’ONG Horizons sans frontières pour aider les migrants africains en Espagne. Aujourd’hui, il mène des recherches et défend les droits des personnes en déplacement, notamment celles en provenance d’Afrique et plus particulièrement du Sénégal.

      En 2019, Boubacar Sèye s’est procuré un document détaillant comment les fonds des politiques migratoires de l’UE sont dépensés au Sénégal. Il a été sidéré par le montant vertigineux des sommes investies pour juguler l’immigration, alors que des milliers de candidats à l’asile se noient chaque année sur certaines des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Lors d’entretiens publiés dans la presse et d’événements publics, il a ouvertement demandé aux autorités sénégalaises d’être plus transparentes sur ce qu’elles avaient fait des centaines de millions d’euros de l’Europe, qualifiant ces projets de véritable échec.

      Puis, au début de l’année 2021, il a été arrêté à l’aéroport de Dakar pour « diffusion de fausses informations ». Il a ensuite passé deux semaines en prison. Sa santé se dégradant rapidement sous l’effet du stress, il a fait une crise cardiaque. « Ce séjour en prison était inhumain, humiliant, et il m’a causé des problèmes de santé qui durent jusqu’à aujourd’hui, s’indigne le chercheur. J’ai juste posé une question : “Où est passé l’argent ?” »

      Ses intuitions n’étaient pas mauvaises. Les financements de la politique anti-immigration de l’UE sont notoirement opaques et difficiles à tracer. Les demandes déposées dans le cadre de la liberté d’information mettent des mois, voire des années à être traitées, alors que la délégation de l’UE au Sénégal, la Commission européenne et les autorités sénégalaises ignorent ou déclinent les demandes d’interviews.

      La Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT, fruit d’un partenariat entre le Sénégal et l’UE), la police des frontières, le ministère de l’intérieur et le ministère des affaires étrangères – lesquels ont tous bénéficié des fonds migratoires européens – n’ont pas répondu aux demandes répétées d’entretien pour réaliser cette enquête.
      « Nos rapports doivent être positifs »

      Les rapports d’évaluation de l’UE ne donnent pas de vision complète de l’impact des programmes. A dessein ? Plusieurs consultants qui ont travaillé sur des rapports d’évaluation d’impact non publiés de projets du #Fonds_fiduciaire_d’urgence_de_l’UE_pour_l’Afrique (#EUTF), et qui s’expriment anonymement en raison de leur obligation de confidentialité, tirent la sonnette d’alarme : les effets pervers de plusieurs projets du fonds sont peu pris en considération.

      Au #Niger, par exemple, l’UE a contribué à élaborer une loi qui criminalise presque tous les déplacements, rendant de fait illégale la mobilité dans la région. Alors que le nombre de migrants irréguliers qui empruntent certaines routes migratoires a reculé, les politiques européennes rendent les routes plus dangereuses, augmentent les prix qu’exigent les trafiquants et criminalisent les chauffeurs de bus et les sociétés de transport locales. Conséquence : de nombreuses personnes ont perdu leur travail du jour au lendemain.

      La difficulté à évaluer l’impact de ces projets tient notamment à des problèmes de méthode et à un manque de ressources, mais aussi au simple fait que l’UE ne semble guère s’intéresser à la question. Un consultant d’une société de contrôle et d’évaluation financée par l’UE confie : « Quel est l’impact de ces projets ? Leurs effets pervers ? Nous n’avons pas les moyens de répondre à ces questions. Nous évaluons les projets uniquement à partir des informations fournies par des organisations chargées de leur mise en œuvre. Notre cabinet de conseil ne réalise pas d’évaluation véritablement indépendante. »

      Selon un document interne que j’ai pu me procurer, « rares sont les projets qui nous ont fourni les données nécessaires pour évaluer les progrès accomplis en direction des objectifs généraux de l’EUTF (promouvoir la stabilité et limiter les déplacements forcés et les migrations illégales) ». Selon un autre consultant, seuls les rapports positifs semblent les bienvenus : « Il est implicite que nos rapports doivent être positifs si nous voulons à l’avenir obtenir d’autres projets. »

      En 2018, la Cour des comptes européenne, institution indépendante, a émis des critiques sur l’EUTF : ses procédures de sélection de projets manquent de cohérence et de clarté. De même, une étude commanditée par le Parlement européen qualifie ses procédures d’« opaques ». « Le contrôle du Parlement est malheureusement très limité, ce qui constitue un problème majeur pour contraindre la Commission à rendre des comptes, regrette l’eurodéputée allemande Cornelia Ernst. Même pour une personne très au fait des politiques de l’UE, il est presque impossible de comprendre où va l’argent et à quoi il sert. »

      Le #fonds_d’urgence pour l’Afrique a notamment financé la création d’unités de police des frontières d’élite dans six pays d’Afrique de l’Ouest, et ce dans le but de lutter contre les groupes de djihadistes et les trafics en tous genres. Or ce projet, qui aurait permis de détourner au moins 12 millions d’euros, fait actuellement l’objet d’une enquête pour fraude.
      Aucune étude d’impact sur les droits humains

      En 2020, deux projets de modernisation des #registres_civils du Sénégal et de la Côte d’Ivoire ont suscité de vives inquiétudes des populations. Selon certaines sources, ces projets financés par l’EUTF auraient en effet eu pour objectif de créer des bases de #données_biométriques nationales. Les défenseurs des libertés redoutaient qu’on collecte et stocke les empreintes digitales et images faciales des citoyens des deux pays.

      Quand Ilia Siatitsa, de l’ONG britannique Privacy International, a demandé à la Commission européenne de lui fournir des documents sur ces projets, elle a découvert que celle-ci n’avait réalisé aucune étude d’impact sur les droits humains. En Europe, aucun pays ne possède de base de données comprenant autant d’informations biométriques.

      D’après un porte-parole de la Commission, jamais le fonds d’urgence n’a financé de registre biométrique, et ces deux projets consistent exclusivement à numériser des documents et prévenir les fraudes. Or la dimension biométrique des registres apparaît clairement dans les documents de l’EUTF qu’Ilia Siatitsa s’est procurés : il y est écrit noir sur blanc que le but est de créer « une base de données d’identification biométrique pour la population, connectée à un système d’état civil fiable ».

      Ilia Siatitsa en a déduit que le véritable objectif des deux projets était vraisemblablement de faciliter l’expulsion des migrants africains d’Europe. D’ailleurs, certains documents indiquent explicitement que la base de données ivoirienne doit servir à identifier et expulser les Ivoiriens qui résident illégalement sur le sol européen. L’un d’eux explique même que l’objectif du projet est de « faciliter l’identification des personnes qui sont véritablement de nationalité ivoirienne et l’organisation de leur retour ».

      Quand Cheikh Fall, militant sénégalais pour le droit à la vie privée, a appris l’existence de cette base de données, il s’est tourné vers la Commission de protection des données personnelles (CDP), qui, légalement, aurait dû donner son aval à un tel projet. Mais l’institution sénégalaise n’a été informée de l’existence du projet qu’après que le gouvernement l’a approuvé.

      En novembre 2021, Ilia Siatitsa a déposé une plainte auprès du médiateur de l’UE. En décembre 2022, après une enquête indépendante, le médiateur a rendu ses conclusions : la Commission n’a pas pris en considération l’impact sur la vie privée des populations africaines de ce projet et d’autres projets que finance l’UE dans le cadre de sa politique migratoire.

      Selon plusieurs sources avec lesquelles j’ai discuté, ainsi que la présentation interne du comité de direction du projet – que j’ai pu me procurer –, il apparaît que depuis, le projet a perdu sa composante biométrique. Cela dit, selon Ilia Siatitsa, cette affaire illustre bien le fait que l’UE effectue en Afrique des expériences sur des technologies interdites chez elle.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/08/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-3-4-il-e

  • Utiliser en bioénergie 20% du bois des forêts gérées par les humains suffirait à stopper le réchauffement climatique – MAGAZINE ET PORTAIL FRANCOPHONE DES BIOÉNERGIES
    https://www.bioenergie-promotion.fr/97494/utiliser-en-bioenergie-20-du-bois-des-forets-gerees-par-les-hum
    https://www.youtube.com/watch?v=SM8QQa6T8g0


    Le film est notre réponse à la grande quantité de fausses informations et aux campagnes « Better Buy Fossils » qui sont actuellement diffusées à l’occasion des négociations finales dans l’UE sur l’expansion des énergies renouvelables et l’élimination progressive des combustibles fossiles. Cela montre comment la gestion durable des forêts, la protection du climat, la construction bois et la transition énergétique sont étroitement liées et comment nous pouvons éliminer progressivement le pétrole, le gaz naturel et le charbon ensemble », explique Franz Titschenbacher, président de l’Association autrichienne de la biomasse
    #énergie #biomasse

  • Migration : « Inscrivons l’obligation d’identification des défunts anonymes dans le droit européen »

    La recherche d’identité des migrants morts en mer ou sur le territoire européen doit être systématisée afin de permettre aux familles de retrouver leurs proches disparus, plaident quatre professionnels de la médecine légale et des droits humains, dans une tribune au « Monde ».

    Le 9 août, quarante et une personnes ont été portées disparues au large des côtes de Lampedusa (Italie). Les témoignages des quatre survivants nous permettent de savoir que l’embarcation était partie des côtes tunisiennes avec quarante-cinq passagers, dont trois enfants. Cette énième tragédie vient s’ajouter à la longue liste des drames survenus en mer ces dernières années. Elle survient près de dix ans après le naufrage du 3 octobre 2013, là encore au large de Lampedusa, l’une des plus grandes tragédies maritimes du XXIe siècle.

    Dans la nuit du 13 au 14 juin, le naufrage d’une embarcation au large des côtes grecques a entraîné la disparition de plusieurs centaines de personnes. En raison de l’absence de renflouage de l’épave et d’examens médico-légaux, l’identité des hommes, femmes et enfants disparus dans cette tragédie ne sera pas formellement établie.

    Cette absence de collecte de #données_post_mortem ainsi que l’absence d’activation de #procédures de collecte de #données_ante_mortem des proches des #disparus soulèvent de nombreuses questions éthiques et juridiques. Elles entravent en effet la possibilité pour les proches des défunts de faire leur #deuil en l’#absence de #corps, ou d’engager les démarches administratives habituelles en cas de décès, démarches qui nécessitent précisément un #certificat_de_décès.

    Au cours des décennies 2000 et 2010, les #disparitions_anonymes au sein et aux portes de l’Europe ont significativement augmenté. Ce phénomène est intimement lié à la dangerosité croissante des migrations transfrontalières, et notamment des traversées par voies maritimes. Au-delà des disparus en mer, dont l’identité précise demeure bien souvent inconnue, il faut reconnaître la hausse des disparitions anonymes sur le territoire européen. Nous observons l’arrivée croissante, dans nos services médico-légaux de Paris et de Milan, de corps sans aucun élément d’identité et pour lesquels la prise en charge ne fait pas l’objet d’un protocole. Si ce #protocole existe pour les victimes de catastrophe, il est rarement appliqué aux morts du quotidien.

    Transformer l’émotion en action

    Une telle réalité s’inscrit dans un contexte plus général où les sciences médico-légales ont fait des progrès significatifs, notamment en ce qui concerne le prélèvement, le croisement et l’archivage des données morphologiques, biométriques et génétiques. La mise en œuvre d’efforts concertés à l’échelle européenne permettrait d’appliquer le #cadre_législatif qui donnerait une chance à ces #corps_anonymes d’être un jour identifiés.

    En inscrivant dans le #droit européen une obligation étatique d’identification des #défunts_anonymes, imposant la collecte de données scientifiques ante mortem auprès des proches (photographies, radiographies, matériel clinique et génétique) et la comparaison avec les données post mortem recueillies lors d’#autopsies complètes sur les corps anonymes, il nous serait ainsi possible de mettre en place et de consolider des #bases_de_données biométriques contenant les caractéristiques et #profils_génétiques afin de maximiser les chances d’identifier les corps anonymes.

    En réponse à l’onde de choc suscitée par le naufrage du 18 avril 2015, l’Italie avait pris l’initiative de renflouer l’épave du chalutier située à 400 mètres de profondeur, afin de permettre à des travaux d’identification des quelque mille victimes d’être engagés. Cette initiative n’a pas été reconduite lors des naufrages successifs et, dans un silence relatif, nos sociétés se sont habituées à ce que des hommes, des femmes et des enfants puissent disparaître sans laisser de trace et sans que leurs proches soient dûment informés.

    Alors que nous nous préparons à commémorer les 10 ans de la tragédie du 3 octobre 2013, il nous semble nécessaire de transformer l’émotion en action. Nous appelons à un engagement collectif pour mettre en œuvre les efforts nécessaires afin d’accélérer et de garantir la recherche d’identité des défunts anonymes, rendant ainsi à leurs familles les proches disparus qu’elles recherchent encore. Cela ne peut se faire sans un nouvel effort législatif à l’échelle de l’Europe.

    #Charles_Autheman, consultant international spécialisé dans les droits humains ; #Cristina_Cattaneo, professeure titulaire en médecine légale à l’institut Labanof, université de Milan ; #Tania_Delabarde, anthropologue légiste, Institut médico-légal de Paris ; #Bertrand_Ludes, professeur de médecine légale, directeur de l’Institut médico-légal de Paris

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/08/30/migration-inscrivons-l-obligation-d-identification-des-defunts-anonymes-dans

    #décès #morts #mourir_aux_frontières #identification #biométrie

  • Conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area

    On 28 March 2023, the European Commission (DG HOME), Frontex and Europol will jointly hold a conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area.


    The conference will provide a platform for dialogue between policy decision-makers, senior technology project managers, and strategic industry leaders, essential actors who contribute to making the Schengen area more secure and resilient. The conference will include discussions on the current situation and needs in Member States, selected innovative technology solutions that could strengthen Schengen as well as selected technology use cases relevant for police cooperation within Schengen.

    The conference target participants are ‘chief technology officers’ and lead managers from each Member State’s law enforcement and border guard authorities responsible for border management, security of border regions and internal security related activities, senior policy-makers and EU agencies. With regards to the presentation of innovative technological solutions, a dedicated call for industry participation will be published soon.

    https://www.europol.europa.eu/publications-events/events/conference-innovative-technologies-for-strengthening-schengen-area

    Le rapport est téléchargeable ici:
    Report from the conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area

    In March 2023, the European Commission (DG HOME), Frontex and Europol jointly hosted a conference on innovative technologies for strengthening the Schengen area. The event brought together policy makers, senior technology project managers, and strategic industry leaders, essential actors who contribute to making the Schengen area more secure and resilient. The conference included discussions on the current situation and needs in Member States, selected innovative technology solutions that could strengthen Schengen as well as selected technology use cases relevant for police cooperation within Schengen.

    https://frontex.europa.eu/innovation/announcements/report-from-the-conference-on-innovative-technologies-for-strengtheni
    Lien pour télécharger le pdf:
    https://frontex.europa.eu/assets/EUresearchprojects/2023/Conference_on_innovative_technologies_for_Schengen_-_Report.pdf

    #technologie #frontières #Frontex #Europol #conférence #Schengen #UE #EU #commission_européenne #droits #droits_fondamentaux #biométrie #complexe_militaro-industriel #frontières_intérieures #contrôles_frontaliers #interopérabilité #acceptabilité #libre-circulation #Advanced_Passenger_Information (#API) #One-stop-shop_solutions #données #EU_Innovation_Hub_for_Internal_Security #Personal_Identification_system (#PerIS) #migrations #asile #réfugiés #vidéosurveillance #ePolicist_system #IDEMIA #Grant_Detection #OptoPrecision #Airbus_Defense_and_Space #Airbus #border_management #PNR #eu-LISA #European_Innovation_Hub_for_Internal_Security

  • Worldcoin just officially launched. Here’s why it’s being investigated. | MIT Technology Review
    https://www.technologyreview.com/2023/08/07/1077250/worldcoin-officially-launched-why-its-being-investigated/?truid=a497ecb44646822921c70e7e051f7f1a

    It’s a project that claims to use cryptocurrency to distribute money across the world, though its bigger ambition is to create a global identity system called “World ID” that relies on individuals’ unique biometric data to prove that they are humans. It officially launched on July 24 in more than 20 countries, and Sam Altman, the CEO of OpenAI and one of the biggest tech celebrities right now, is one of the cofounders of the project.

    The company makes big, idealistic promises: that it can deliver a form of universal basic income through technology to make the world a better and more equitable place, while offering a way to verify your humanity in a digital future filled with nonhuman intelligence, which it calls “proof of personhood.” If you’re thinking this sounds like a potential privacy nightmare, you’re not alone.

    “Our investigation revealed wide gaps between Worldcoin’s public messaging, which focused on protecting privacy, and what users experienced. We found that the company’s representatives used deceptive marketing practices, collected more personal data than it acknowledged, and failed to obtain meaningful informed consent.”

    What’s more, the company was using test users’ sensitive, but anonymized, data to train artificial intelligence models, but Eileen and Adi found that individuals did not know their data was being used that way.

    Importantly, a core objective of the Worldcoin project is to perfect its “proof of personhood” methodology, which requires a lot of data to train AI models. If its proof-of-personhood system becomes widely adopted, this could be quite lucrative for its investors, particularly during an AI gold rush like the one we’re seeing now.

    The company announced this week that it will allow other companies and governments to deploy its identity system.

    “Worldcoin’s proposed identity solution is problematic whether or not other companies and governments use it. Of course, it would be worse if it were used more broadly without so many key questions being answered,” says Eileen. “But I think at this stage, it’s clever marketing to try to convince everyone to get scanned and sign up so that they can achieve the ‘fastest’ and ‘biggest onboarding into crypto and Web3’ to date, as Blania told me last year.”

    #Biométrie #Vie_privée #Données_personnelles #Worldcoin #Proof_of_personhood

  • Lausanne interdira la reconnaissance faciale dans l’espace public Marie Giovanola/lan - RTS
    https://www.rts.ch/info/regions/vaud/13902665-lausanne-interdira-la-reconnaissance-faciale-dans-lespace-public.html

    Lausanne sera la première ville romande à interdire les systèmes de reconnaissance faciale dans l’espace public. C’est ce qu’a décidé mardi soir le Conseil communal de la ville. Elle emboîte ainsi le pas à St-Gall et Zurich.

    Le débat au sein du Conseil communal a été alimenté par le récent revirement des CFF en la matière.

    L’interdiction de la reconnaissance faciale et biométrique a fait l’unanimité des groupes politiques, s’est réjoui dans le 12h30 Benoît Gaillard, conseiller communal socialiste à l’origine de la démarche.

    « Il n’y a pas eu d’opposition. Nous avons voulu agir sur l’espace public où nous pouvons édicter des règlements, que la police qui dépend de la Ville peut également suivre. Un postulat a aussi été adopté. Il demande à la Municipalité de mettre en oeuvre les mêmes lignes directrices dans les sociétés où elles exercent une influence, soit les transports publics et les infrastructures sportives ».

    La balle est maintenant dans le camp de la Municipalité de Lausanne qui va devoir proposer un changement de règlement.
    #biométrie #facial #surveillance #algorithme #reconnaissance #vidéo-surveillance #reconnaissance_faciale #discrimination #police #vie_privée #Suisse #démocratie #bonne_nouvelle

  • Les États membres de l’UE utilisent le bois de chauffage pour gonfler leurs statistiques sur les énergies renouvelables
    https://www.euractiv.fr/section/energie/news/les-etats-membres-de-lue-utilisent-le-bois-de-chauffage-pour-gonfler-leurs-

    Selon M. Rosenow, environ 30 % de l’énergie contenue dans une bûche de bois est réellement transformée en chaleur utilisable lorsqu’elle est brûlée dans un foyer, tandis que les 70 % restants sont simplement perdus et « partent dans votre cheminée ». Toutefois, cela ne se reflète pas dans les statistiques officielles de l’UE, qui considèrent que 100 % de la biomasse est brûlée de manière efficace.

    Les autres technologies de chauffage renouvelables, comme les pompes à chaleur, qui fonctionnent à l’électricité, sont quant à elles évaluées selon un critère différent : la quantité de chaleur délivrée, ou énergie utile.

    Selon M. Rosenow, il en résulte que le chauffage à base de biomasse semble disproportionnellement plus important dans les rapports statistiques officiels de l’UE qu’il ne l’est réellement.

    [...] Pire encore, cette faille statistique incite les États membres de l’UE à encourager le chauffage au bois comme source d’énergie pour atteindre leurs objectifs en matière d’énergies renouvelables, affirme M. Rosenow.

    « Selon la directive sur les énergies renouvelables, plus vous brûlez de biomasse, plus vous atteignez vos objectifs », explique-t-il.

    [...] La consommation d’énergie de la biomasse a plus que doublé dans l’UE depuis 1990, et les chercheurs ont remarqué que la plus forte hausse a eu lieu à partir de 2002, lorsque l’UE a publié sa première directive incluant la biomasse dans les énergies renouvelables.

    Pour les auteurs de l’étude, les politiques de l’UE en matière de biomasse doivent être modifiées de toute urgence afin d’arrêter la disparition des puits de carbone que représentent les forêts européennes et de contenir le réchauffement de la planète.

    [...] Jan Rosenow estime que les réticences au changement sont également dues à la résistance des pays nordiques et de l’Autriche, qui sont parvenus à une part élevée d’énergie renouvelable grâce à la biomasse.

    Un changement de méthodologie « les ferait paraître beaucoup moins performants », a-t-il déclaré. « Et cela constitue une pierre d’achoppement importante dans cette discussion. »

    #biomasse #bois #chauffage #énergie #union_européenne

  • #Chine : le drame ouïghour

    La politique que mène la Chine au Xinjiang à l’égard de la population ouïghoure peut être considérée comme un #génocide : plus d’un million de personnes internées arbitrairement, travail forcé, tortures, stérilisations forcées, « rééducation » culturelle des enfants comme des adultes…
    Quel est le veritable objectif du parti communiste chinois ?

     
    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/64324

    #Ouïghours #Xinjiang #camps_d'internement #torture #stérilisation_forcée #camps_de_concentration #persécution #crimes_contre_l'humanité #silence #matières_premières #assimilation #islam #islamophobie #internement #gaz #coton #charbon #route_de_la_soie #pétrole #Xi_Jinping #séparatisme #extrémisme #terrorisme #Kunming #peur #état_policier #répression #rééducation #Radio_Free_Asia #disparition #emprisonnement_de_masse #images_satellites #droits_humains #zone_de_non-droit #propagande #torture_psychique #lavage_de_cerveau #faim #Xinjiang_papers #surveillance #surveillance_de_masse #biométrie #vidéo-surveillance #politique_de_prévention #surveillance_d'Etat #identité #nationalisme #minorités #destruction #génocide_culturel #Ilham_Tohti #manuels_d'école #langue #patriotisme #contrôle_démographique #contrôle_de_la_natalité #politique_de_l'enfant_unique #travail_forcé #multinationales #déplacements_forcés #économie #colonisation #Turkestan_oriental #autonomie #Mao_Zedong #révolution_culturelle #assimilation_forcée #Chen_Quanguo #cour_pénale_internationale (#CPI) #sanctions

    #film #film_documentaire #documentaire

  • As EU finalizes renewable energy plan, forest advocates condemn biomass
    https://news.mongabay.com/2022/12/as-eu-finalizes-renewable-energy-plan-forest-advocates-condemn-biomas

    The EU hopes to finalize its revised Renewable Energy Directive (RED) soon, even as forest advocates urge last minute changes to significantly cut the use of woody biomass for energy and make deep reductions in EU subsidies to the wood pellet industry.
    Forest advocates are citing a new commentary published in Nature that argues that the EU’s continued expansive commitment to burning forest biomass for energy will endanger forests in the EU, the U.S. and elsewhere — resulting in a major loss in global carbon storage and biodiversity.
    Changing RED to meet forest advocate recommendations seems unlikely at this point, with some policymakers arguing that woody biomass use is the only way the EU can achieve its 2030 coal reduction target. The woody biomass industry is pressing for sustained biomass use and for continued subsidies.
    Russia’s threat of reducing or cutting off its supply of natural gas to the EU this winter is also at issue. In the EU today, 60% of energy classified as renewable comes from burning biomass. If RED is approved as drafted, bioenergy use is projected to double between 2015 and 2050, according to the just published Nature commentary.

    #pellet #granulé #biomasse #énergie #forêt #déforestation #bois

  • Sorvegliare in nome della sicurezza: le Agenzie Ue vogliono carta bianca

    Il nuovo regolamento di #Europol mette a rischio la #privacy di milioni di persone mentre #Frontex, chiamata a controllare le frontiere, punta sull’intelligenza artificiale e la biometria per fermare i migranti. Provando a eludere la legge.

    C’è una lotta interna nel cuore delle istituzioni europee il cui esito toccherà da vicino il destino di milioni di persone. Lo scontro è sul nuovo regolamento di Europol, l’Agenzia europea di contrasto al crimine, entrato in vigore a fine giugno 2022 con la “benedizione” del Consiglio europeo ma che il Garante per la protezione dei dati (Gepd) definisce un “colpo allo Stato di diritto”. “La principale controversia riguarda la possibilità per l’Agenzia di aggirare le proprie regole quando ha ‘bisogno’ di trattare categorie di dati al di fuori di quelli che può raccogliere -spiega Chloé Berthélémy, policy advisor dell’European digital rights (Edri), un’organizzazione che difende i diritti digitali nel continente-. Uno scandalo pari a quanto rivelato, quasi un decennio fa, da Edward Snowden sulle agenzie statunitensi che dimostra una tendenza generale, a livello europeo, verso un modello di sorveglianza indiscriminata”.

    Con l’obiettivo di porre un freno a questa tendenza, il 22 settembre di quest’anno il presidente del Gepd, Wojciech Wiewiórowski, ha comunicato di aver intentato un’azione legale di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea per contestare la legittimità dei nuovi poteri attribuiti a Europol. Un momento chiave di questa vicenda è il gennaio 2022 quando l’ufficio del Gepd scopre che proprio l’Agenzia aveva conservato illegalmente un vasto archivio di dati sensibili di oltre 250mila persone, tra cui presunti terroristi o autori di reati, ma soprattutto di persone che erano entrate in contatto con loro. Secondo quanto ricostruito dal Guardian esisteva un’area di memoria (cache) detenuta dall’Agenzia contenente “almeno quattro petabyte, equivalenti a tre milioni di cd-rom” con dati raccolti nei sei anni precedenti dalle singole autorità di polizia nazionali. Il Garante ordina così di cancellare, entro un anno, tutti i dati più “vecchi” di sei mesi ma con un “colpo di mano” questa previsione viene spazzata via proprio con l’entrata in vigore del nuovo regolamento. “In particolare, due disposizioni della riforma rendono retroattivamente legali attività illegali svolte dall’Agenzia in passato -continua Berthélémy-. Ma se Europol può essere semplicemente esentata dai legislatori ogni volta che viene colta in flagrante, il sistema di controlli ed equilibri è intrinsecamente compromesso”.

    L’azione legale del Gepd ha però un ulteriore obiettivo. In gioco c’è infatti anche il “modello” che l’Europa adotterà in merito alla protezione dei dati: da un lato quello americano, basato sulla sorveglianza pressoché senza limiti, dall’altro il diritto alla protezione dei dati che può essere limitato solo per legge e con misure proporzionate, compatibili con una società democratica. Ma proprio su questo aspetto le istituzioni europee vacillano. “Il nuovo regolamento esplicita l’obiettivo generale della comunità delle forze dell’ordine: quello di poter utilizzare metodi di ‘polizia predittiva’ che hanno come finalità l’identificazione di individui che potranno potenzialmente essere coinvolti nella commissione di reati”, sottolinea ancora la ricercatrice. Significa, in altri termini, l’analisi di grandi quantità di dati predeterminati (come sesso e nazionalità) mediante algoritmi e tecniche basate sull’intelligenza artificiale che permetterebbero, secondo i promotori del modello, di stabilire preventivamente la pericolosità sociale di un individuo.

    “Questo approccio di polizia predittiva si sviluppa negli Stati Uniti a seguito degli attentati del 2001 -spiega Emilio De Capitani, già segretario della Commissione libertà civili (Libe) del Parlamento europeo dal 1998 al 2011 che da tempo si occupa dei temi legati alla raccolta dei dati-. Parallelamente, in quegli anni, inizia la pressione da parte della Commissione europea per sviluppare strumenti di raccolta dati e costruzione di database”.

    “Il nuovo regolamento esplicita l’obiettivo generale della comunità delle forze dell’ordine: quello di poter utilizzare metodi di ‘polizia predittiva’” – Chloé Berthélémy

    Fra i primi testi legislativi europei che si fondano sulla raccolta pressoché indiscriminata di informazioni c’è la Direttiva 681 del 2016 sulla raccolta dei dati dei passeggeri aerei (Pnr) come strumento “predittivo” per prevenire i reati di terrorismo e altri reati definiti come gravi. “Quando ognuno di noi prende un aereo alimenta due archivi: l’Advanced passenger information (Api), che raccoglie i dati risultanti dai documenti ufficiali come la carta di identità o il passaporto permettendo così di costruire la lista dei passeggeri imbarcati, e un secondo database in cui vengono versate anche tutte le informazioni raccolte dalla compagnia aerea per il contratto di trasporto (carta di credito, e-mail, esigenze alimentari, tipologia dei cibi, annotazioni relative a esigenze personali, etc.) -spiega De Capitani-. Su questi dati legati al contratto di trasporto viene fatto un controllo indiretto di sicurezza filtrando le informazioni in relazione a indicatori che potrebbero essere indizi di pericolosità e che permetterebbero di ‘sventare’ attacchi terroristici, possibili dirottamenti ma anche reati minori come la frode o la stessa violazione delle regole in materia di migrazione. Questo perché il testo della Direttiva ha formulazioni a dir poco ambigue e permette una raccolta spropositata di informazioni”. Tanto da costringere la Corte di giustizia dell’Ue, con una sentenza del giugno 2022 a reinterpretare in modo particolarmente restrittivo il testo legislativo specificando che “l’utilizzo di tali dati è permesso esclusivamente per lo stretto necessario”.

    L’esempio della raccolta dati legata ai Pnr è esemplificativo di un meccanismo che sempre di più caratterizza l’operato delle Agenzie europee: raccogliere un elevato numero di dati per finalità genericamente collegate alla sicurezza e con scarse informazioni sulla reale utilità di queste misure indiscriminatamente intrusive. “Alle nostre richieste parlamentari in cui chiedevamo quanti terroristi o criminali fossero stati intercettati grazie a questo sistema, che raccoglie miliardi di dati personali, la risposta è sempre stata evasiva -continua De Capitani-. È come aggiungere paglia mentre si cerca un ago. Il cittadino ci rimette due volte: non ha maggior sicurezza ma perde in termini di rispetto dei suoi diritti. E a perderci sono soprattutto le categorie meno protette, e gli stessi stranieri che vengono o transitano sul territorio europeo”.

    “Il cittadino ci rimette due volte: non ha maggior sicurezza ma perde in termini di rispetto dei suoi diritti. Soprattutto le categorie meno protette” – Emilio De Capitani

    I migranti in particolare diventano sempre più il “banco di prova” delle misure distopiche di sorveglianza messe in atto dalle istituzioni europee europee attraverso anche altri sistemi che si appoggiano anch’essi sempre più su algoritmi intesi a individuare comportamenti e caratteristiche “pericolose”. E in questo quadro Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee gioca un ruolo di primo piano. Nel giugno 2022 ancora il Garante europeo ha emesso nei suoi confronti due pareri di vigilanza che sottolineano la presenza di regole “non sufficientemente chiare” sul trattamento dei dati personali dei soggetti interessati dalla sua attività e soprattutto “norme interne che sembrano ampliare il ruolo e la portata dell’Agenzia come autorità di contrasto”.

    Il Garante si riferisce a quelle categorie speciali come “i dati sanitari delle persone, i dati che rivelano l’origine razziale o etnica, i dati genetici” che vengono raccolti in seguito all’identificazione di persone potenzialmente coinvolte in reati transfrontalieri. Ma quel tipo di attività di contrasto non rientra nel mandato di Frontex come guardia di frontiera ma ricade eventualmente nelle competenze di un corpo di polizia i cui possibili abusi sarebbero comunque impugnabili davanti a un giudice nazionale o europeo. Quindi, conclude il Garante, il trattamento di questi dati dovrebbe essere protetto con “specifiche garanzie per evitare pratiche discriminatorie”.

    Ma secondo Chris Jones, direttore esecutivo del gruppo di ricerca indipendente Statewatch, il problema è a monte. Sono le stesse istituzioni europee a incaricare queste due agenzie di svolgere attività di sorveglianza. “Frontex ed Europol hanno sempre più poteri e maggior peso nella definizione delle priorità per lo sviluppo di nuove tecnologie di sicurezza e sorveglianza”, spiega. Un peso che ha portato, per esempio, a finanziare all’interno del piano strategico Horizon Europe 2020, che delinea il programma dell’Ue per la ricerca e l’innovazione dal 2021 al 2024, il progetto “Secure societies”. Grazie a un portafoglio di quasi 1,7 miliardi di euro è stata commissionata, tra gli altri, la ricerca “ITFlows” che ha come obiettivo quello di prevedere, attraverso l’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale, i flussi migratori. Il sistema predittivo, simile a quello descritto da Berthélémy, è basato su un modello per il quale, con una serie di informazioni storiche raccolte su un certo fenomeno, sarebbe possibile anticipare sugli eventi futuri.

    “Se i dati sono cattivi, la decisione sarà cattiva. Se la raccolta dei dati è viziata dal pregiudizio e dal razzismo, lo sarà anche il risultato finale” – Chris Jones

    “Se le mie previsioni mi dicono che arriveranno molte persone in un determinato confine, concentrerò maggiormente la mia sorveglianza su quella frontiera e potrò più facilmente respingerli”, osserva Yasha Maccanico, ricercatore di Statewatch. Sempre nell’ambito di “Secure societies” il progetto “iBorderCtrl” riguarda invece famigerati “rilevatori di bugie” pseudoscientifici che dedurrebbe lo stato emotivo, le intenzioni o lo stato mentale di una persona in base ai suoi dati biometrici. L’obiettivo è utilizzare questi strumenti per valutare la credibilità dei racconti dei richiedenti asilo nelle procedure di valutazione delle loro richieste di protezione. E in questo quadro sono fondamentali i dati su cui si basano queste predizioni: “Se i dati sono cattivi, la decisione sarà cattiva -continua Jones-. Se la raccolta dei dati è viziata dal pregiudizio e dal razzismo, lo sarà anche il risultato finale”. Per questi motivi AccessNow, che si occupa di tutela dei diritti umani nella sfera digitale, ha scritto una lettera (firmata anche da Edri e Statewatch) a fine settembre 2022 ai membri del consorzio ITFlows per chiedere di terminare lo sviluppo di questi sistemi.

    Anche sul tema dei migranti il legislatore europeo tenta di creare, come per Europol, una scappatoia per attuare politiche di per sé illegali. Nell’aprile 2021 la Commissione europea ha proposto un testo per regolamentare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e degli strumenti basati su di essa (sistemi di videosorveglianza, identificazione biometrica e così via) escludendo però l’applicazione delle tutele previste nei confronti dei cittadini che provengono da Paesi terzi. “Rispetto ai sistemi di intelligenza artificiale quello che conta è il contesto e il fine con cui vengono utilizzati. Individuare la presenza di un essere umano al buio può essere positivo ma se questo sistema è applicato a un confine per ‘respingere’ la persona diventa uno strumento che favorisce la lesione di un diritto fondamentale -spiega Caterina Rodelli analista politica di AccessNow-. Si punta a creare due regimi differenti in cui i diritti dei cittadini di Paesi terzi non sono tutelati come quelli degli europei: non per motivi ‘tecnici’ ma politici”. Gli effetti di scarse tutele per gli uni, i migranti, ricadono però su tutti. “Per un motivo molto semplice. L’Ue, a differenza degli Usa, prevede espressamente il diritto alla tutela della vita privata nelle sue Carte fondamentali -conclude De Capitani-. Protezione che nasce dalle più o meno recenti dittature che hanno vissuto gli Stati membri: l’assunto è che chi è o si ‘sente’ controllato non è libero. Basta questo per capire perché sottende l’adozione di politiche ‘predittive’ e la riforma di Europol o lo strapotere di Frontex, stiano diventando un problema di tutti perché rischiano di violare la Carta dei diritti fondamentali”.

    https://altreconomia.it/sorvegliare-in-nome-della-sicurezza-le-agenzie-ue-vogliono-carta-bianca
    #surveillance #biométrie #AI #intelligence_artificielle #migrations #réfugiés #Etat_de_droit #données #protection_des_données #règlement #identification #police_prédictive #algorythme #base_de_données #Advanced_passenger_information (#Api) #avion #transport_aérien #Secure_societies #ITFlows #iBorderCtrl #asile #

    • New Europol rules massively expand police powers and reduce rights protections

      The new rules governing Europol, which came into force at the end of June, massively expand the tasks and powers of the EU’s policing agency whilst reducing external scrutiny of its data processing operations and rights protections for individuals, says a report published today by Statewatch.

      Given Europol’s role as a ‘hub’ for information processing and exchange between EU member states and other entities, the new rules thus increase the powers of all police forces and other agencies that cooperate with Europol, argues the report, Empowering the police, removing protections (https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/empowering-the-police-removing-protections-the-new-europol-regulation).

      New tasks granted to Europol include supporting the EU’s network of police “special intervention units” and managing a cooperation platform for coordinating joint police operations, known as EMPACT. However, it is the rules governing the processing and exchange of data that have seen the most significant changes.

      Europol is now allowed to process vast quantities of data transferred to it by member states on people who may be entirely innocent and have no link whatsoever to any criminal activity, a move that legalises a previously-illegal activity for which Europol was admonished by the European Data Protection Supervisor.

      The agency can now process “investigative data” which, as long it relates to “a specific criminal investigation”, could cover anyone, anywhere, and has been granted the power to conduct “research and innovation” projects. These will be geared towards the use of big data, machine learning and ‘artificial intelligence’ techniques, for which it can process sensitive data such as genetic data or ethnic background.

      Europol can now also use data received from non-EU states to enter “information alerts” in the Schengen Information System database and provide “third-country sourced biometric data” to national police forces, increasing the likelihood of data obtained in violation of human rights being ‘laundered’ in European policing and raising the possibility of third states using Europol as a conduit to harass political opponents and dissidents.

      The new rules substantially loosen restrictions on international data transfers, allowing the agency’s management board to authorise transfers of personal data to third states and international organisations without a legal agreement in place – whilst priority states for international cooperation include dictatorships and authoritarian states such as Algeria, Egypt, Turkey and Morocco.

      At the same time, independent external oversight of the agency’s data processing has been substantially reduced. The threshold for referring new data processing activities to the European Data Protection Supervisor (EDPS) for external scrutiny has been raised, and if Europol decides that new data processing operations “are particularly urgent and necessary to prevent and combat an immediate threat,” it can simply consult the EDPS and then start processing data without waiting for a response.

      The agency is now required to employ a Fundamental Rights Officer (FRO), but the role clearly lacks independence: the FRO will be appointed by the Management Board “upon a proposal of the Executive Director,” and “shall report directly to the Executive Director”.

      Chris Jones, Director of Statewatch, said:

      “The proposals to increase Europol’s powers were published six months after the Black Lives Matter movement erupted across the world, calling for new ways to ensure public safety that looked beyond the failed, traditional model of policing.

      With the new rules agreed in June, the EU has decided to reinforce that model, encouraging Europol and the member states to hoover up vast quantities of data, develop ‘artificial intelligence’ technologies to examine it, and increase cooperation with states with appalling human rights records.”

      Yasha Maccanico, a Researcher at Statewatch, said:

      “Europol has landed itself in hot water with the European Data Protection Supervisor three times in the last year for breaking data protection rules – yet the EU’s legislators have decided to reduce the EDPS’ supervisory powers. Independent, critical scrutiny and oversight of the EU’s policing agency has never been more needed.”

      The report (https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/empowering-the-police-removing-protections-the-new-europol-regulation) has been published alongside an interactive ’map’ of EU agencies and ’interoperable’ policing and migration databases (https://www.statewatch.org/eu-agencies-and-interoperable-databases), designed to aid understanding and further research on the data architecture in the EU’s area of freedom, security and justice.

      https://www.statewatch.org/news/2022/november/new-europol-rules-massively-expand-police-powers-and-reduce-rights-prote
      #interopérabilité #carte #visualisation

    • EU agencies and interoperable databases

      This map provides a visual representation of, and information on, the data architecture in the European Union’s “area of freedom, security and justice”. It shows the EU’s large-scale databases, networked information systems (those that are part of the ’Prüm’ network), EU agencies, national authorities and international organisations (namely Interpol) that have a role in that architecture. It is intended to facilitate understanding and further investigation into that architecture and the agencies and activities associated with it.

      https://www.statewatch.org/eu-agencies-and-interoperable-databases
      #réseau #prüm_II

  • At the heart of Fortress Europe: A new study about Austria’s role in border externalization policies in the Balkans

    On the 28th of September 2020, Ayoub N. and six of his friends were chain pushed back from Austria to Slovenia, Croatia, and eventually back to Bosnia and Herzegovina (BiH), from where Ayoub had begun his journey to Austria a few weeks earlier. Ayoub, like many others, had been stuck for years in between the EU member states, in the Balkans, and this was just another attempt to reach the Schengen Zone. He continued trying even after this push-back. In July 2022, Ayoub was still stuck inside the Balkan Circuit (Stojić Mitrović and Vilenica 2019), a region of transit with many loops, within which movement is circular, going forward and backwards because of border violence.

    Exactly one year after Ayoub and his group of friends experienced the chain push-back, Austrian Interior Minister, Karl Nehammer, finished his trip to Kosovo, Albania, and Montenegro meant to coordinate joint frameworks for fighting what he calls illegal migration, terrorism, and organized crime. During the trip, he announced that a “Return Conference” would take place a few months later in Vienna. The gathering in February 2022 brought together high-ranking officials from more than 22 countries, including representatives of EU agencies and think tanks. The main focus of the event was supporting Western Balkan[1] states with effective deportation practices through the newly established “Joint Coordination Platform against irregular migration.” BiH was mentioned as one of the platform’s main partners, and during the press conference organized after the event BiH Security Minister Selmo Cikotić stated that “With the support of the EU and some proactive partners, like Austria, we could move from a crisis situation to migration management.”

    It is not known to the public how the “return mechanisms” discussed would materialize and on what legal grounds the return of people would take place. In 2021, a parliamentary request for information focused specifically on Austria’s plans to return people to the Western Balkans, while another asked details about the role of BiH. In response to the queries, the interior minister emphasized that Austria is “only” providing good practice, expertise, and training, while partner countries can state their specific needs and are, in the end, responsible for ensuring that the human rights of those concerned will be upheld. This is a common rhetorical practice in the context of EU border externalization policies, with EU countries only providing knowledge and equipment, while “accession” countries in the Balkans have to fulfil the dark side of Europeanization.

    Austria took over a key role in building up a network of multilateral stakeholders that enables the fortification of Europe on diplomatic and informal levels, while states and locations near and far from Central Europe face the consequences of these policies; BiH is one example.

    Lobbying for Externalization

    In July 1998, Austria took over the EU presidency. As its first intervention on the issue of EU-migration policy, it introduced the Strategy Document on Immigration and Asylum Policies, which was sent to the European Council for further discussion. In this document, Austria advocated for a unified approach to migration in the Schengen area, which at that moment comprised 15 countries. It proposed the “Europeanization of migration policy,” while describing the existing approach and structures dealing with migration as “relatively clumsy.” The document called for more cooperation with “third states” in exchange for economic and other benefits. The Strategy envisaged that “Fortress Europe” should be replaced by the “concentric circles of the migration policy,” which included EU neighboring countries. Further, the neighboring partners “should be gradually linked into a similar system” that would eventually be similar to the “first circle,” meaning the EU member states. As for “transit countries,” the main approach would be to “eliminate push factors” in them. The Strategy called for the “tightening of the pre-accession strategy… as far as migration policies are concerned.” In addition, it stressed the need for agreements with third countries that would allow the return of people whose asylum applications were rejected, as well as the introduction of policies that would deter migration in general. The paper also argued that the Geneva Convention was outdated and that individual rights should be replaced with “political offers” of EU membership, or other types of cooperation.

    By the end of the year, this proposal had been amended twice, but in the end it was rejected. A number of non-governmental organizations, including the International Federation for Human Rights, condemned the document on account of its harsh language and the restrictive measures proposed. Even though it was never adopted, the document remains a guideline, and some of its measures were put in place, especially in Austria. Along with several Balkan neighboring countries, Austria became more involved in security-related questions in the region, establishing various organizations and groups that are visibly active in the field, including the Salzburg Forum as one key intergovernmental group. Since the early 1990s, the forum functioned as a lobbying group, not only within the framework of the EU and on a regional level between its partners, but also on an often invisible level that reaches far beyond the EU. Austria played a key role in establishing the forum and is also one of its leading members. While the forum did not always achieve its strategic goals (Müller 2016, 28), it became a testing ground for fueling anti-Muslim and anti-migrant sentiments in Europe, and spearheaded plans for the dark future of EU border externalization policies. The multilateral cooperation within the Forum was based on debate, dialogue, exchange of ideas, and strategic planning; the establishment of its operative tool, the Joint Coordination Platform, is another step in cementing the externalization of border management to the Balkans.

    Coordinating “Migration Management”

    The Joint Coordination Platform (JCP) is a network that coordinates political and strategic intervention outside the Schengen Area, monitoring and controlling the EU’s external borders, as well as actions in third countries. Although it was already in the planning for several years, the JCP was inaugurated in Vienna after the Return Conference in February 2022. The JCP office is led by former Frontex Vice-President Berndt Körner and by lawyer Bohumil Hnidek,[2] and will provide a hinge function for Frontex operations in the Balkans (Monroy 2022). As the Frontex agency is not allowed to organize deportations to third countries, in the future it may support deportations from different EU countries to the Balkans, while the JCP would coordinate and monitor the rest of the “local” operations. In September 2022, the first deportations from Bosnia to Morocco with the support of the JCP already took place.

    The investigative journalist Matthias Monroy further links the Vienna-based think tank ICMPD, led by former Austrian Vice-Chancellor Michael Spindelegger (ÖVP), to the operational implementation of regional return mechanisms to the Balkans. As early as 2020, the JCP started training police officers from BiH for conducting deportations. The training of 50 “return specialists” was recently described by Austrian Interior Minister Karner: “We help with training, impart standards, but that doesn’t change the responsibility that remains in the respective countries. It is about observing all international standards.”

    To understand ICMPD’s practices on the ground, it is worth reviewing the project descriptions of its Western Balkans and Turkey office in recent years. The long-standing partner of the Salzburg Forum implements migration management, border management, and capacity building in the Balkans, for example by providing the border police in Kosovo[3] with technical and biometric equipment to register people on the move; and supporting the border police in Albania[4] with equipment for land border surveillance and maritime border surveillance and control. Capacity building in Albania means in particular providing patrol boats and surveillance vehicles. The regional capacity building projects further cover information campaigns for people in Afghanistan, Iraq, and people on the move in the Western Balkans.[5] Labelled as protection and support for migrants, ICMPD invests in the enhancement of migrant information systems[6] for authorities in BiH to implement entry control, registration, and data collection mechanisms. The “electronic biometric residence permit cards,” which should be made available through such projects, point not only to the on-ground preparation but also to the implementation of what investigative journalists call “extra-European Dublin.” This includes for example “Balkandac,” a fingerprint database in the Balkans that would allow countries to deport third-country nationals to countries with readmission agreements before entering the EU Schengen area.

    It is important to highlight that ICMPD has entered the Joint Coordination Platform with years of experience in implementing EU border externalization projects in Africa and the Middle East (Naceur 2021).

    Another active regional partner of the Joint Coordination Platform is Hilfswerk International. Next to the 1 million Euro in Austrian Development Aid that was used as an emergency relief fund through IOM in BiH in 2021, the Upper Austrian Federal Government donated 100,000 Euro to support the construction of a water system in the Lipa camp.[7] The project was implemented by Hilfswerk International, which has been working in the Balkans and especially in BiH as a humanitarian aid organization since 1996. While the organization covers a broad range of services in BiH, it recently joined the niche of network and capacity building in the field of “migration management” in BiH, Serbia, North Macedonia, and Montenegro.

    Hilfswerk International has joined the field of migration management in Bosnia and Herzegovina as a player that can offer extensive experience on the ground. Considering the top-down and dysfunctional approach implemented by IOM in the region, Hilfswerk International is an organization that is closely linked to Austria-based actors and accessible for unbureaucratic and, according to its managing director, pragmatic solutions. As Regional Director Jašarević stated in an interview about their most recent project:

    … we all know, and it is not a secret, that the EU does not want migrants on their territory. And what now? Should we leave them here to suffer or to disappear? It’s not possible.

    They [the JCP] can use our infrastructure here if needed, but they also organize some events themselves. They are connecting donors and infrastructure. They know what is going on at a much deeper level than we do. And we are happy to contribute. They are working very hard as far as I know. Very few people and very big plans, but very capable people. I think it will be more visible this year. But it has only just started.[8]

    Balkan Route: better coordination with Austrian aid

    Even at the end of the 1990s, Austria’s political landscape paved the way for defining the Western Balkans as a strategic buffer zone for Europe’s increasingly restrictive migration and asylum policies. What has been drafted as a strategy to contain migration in “concentric circles” has since developed into the full-scale implementation of land and sea border zones that legitimate legislation, control, tracking, management of, and violence against people moving in circuits while trying to reach the EU Schengen zone.

    Our study can be used as a tool to further investigate Austrian-based and Austrian-initiated organizations, security corporations, and individual actors that are heavily involved in violent EU border externalization from Vienna to Sarajevo and beyond.

    The full study can be accessed here.

    References:

    Müller, Patrick. 2016. “Europeanization and regional cooperation initiatives: Austria’s participation in the Salzburg Forum and in Central European Defence Cooperation.” Österreichische Zeitschrift für Politikwissenschaft 45, no. 2: 24-34.

    Stojić Mitrović, Marta, and Ana Vilenica. 2019. “Enforcing
    and disrupting circular movement in an EU
    Borderscape: housingscaping in Serbia.” Citizenship Studies 23, no. 6: 540-55.

    Stojić Mitrović, Marta, Nidzara Ahmetašević, Barbara Beznec, and Andrej Kurnik. 2020. The Dark Sides of Europeanisation: Serbia, Bosnia and Herzegovina, and the European Border Regime. Belgrade: Rosa-Luxemburg Stiftung Southeast Europe; and Ljubljana: Inštitut Časopis za kritiko znanosti. https://rosalux.rs/wp-content/uploads/2022/04/169_the-dark-side-of-europeanisation-_vladan_jeremic_and_wenke_christoph_rls.

    [1] The authors only use the term Western Balkans in relation to the process of EU border externalization and accession plans of Albania, BiH, Kosovo, Montenegro, North Macedonia, and Serbia. See Stojić Mitrović et al. 2020, 20-22.

    [2] Bohumil Hnidek is a lawyer and the former Director for International Cooperation and EU Affairs to the Ministry of interior of the Czech Republic.

    [3] MIK: Manage increased influx of migrants in Kosovo, April, March 2021 (Fact Sheet ICMPD, 4).

    [4] EU4SAVEALB: EU Support for the Effective Management of Green and Blue Borders in Albania, February 2019-April 2022 (Fact Sheet ICMPD, 7-8).

    [5] IKAM: Information and capacity building on asylum, legal and irregular migration in Afghanistan, Iraq and the Western Balkans, March 2021-March 2022 (ICMPD Fact Sheet, 9).

    [6] MiS BiH: Enhancement of Migration Information System for Strengthening Migration, Asylum and Border Management in Bosnia and Herzegovina, November 2021-March 2023 (ICMPD Fact Sheet, 9-10).

    [7] In mid-June 2022, people living in Lipa reached out to local volunteers in BiH to inform them that for a week they did not have running water. At that moment, the temperatures were over 40 degrees. Even though less than 400 people were in the camp (capacity is 1,500), people were crammed in containers (six in each) with one small fan, and were receiving a gallon of water per person a day. Every day, one cistern was used. According to the testimony, there was no water in the bathrooms and toilets, either. After the information was published on social media, people in the camp told local volunteers that the employees in the camp threatened some of the residents, warning them that they cannot talk about the camp and saying that if they did not like the place they could leave.

    [8] Interview Suzana Jašarević online, 15 March 2022.

    https://lefteast.org/fortress-europe-austria-border-externalization

    #Autriche #externalisation #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Balkans #route_des_Balkans #push-backs #refoulements #refoulements_en_chaîne #Slovénie #Croatie #migrerrance #violence #Balkan_Circuit #Return_Conference #Joint_Coordination_Platform_against_irregular_migration #renvois #expulsions #Joint_Coordination_Platform (#JCP) #Frontex #ICMPD #Michael_Spindelegger #return_specialists #spécialistes_du_retour #Salzburg_Forum #Kosovo #militarisation_des_frontières #complexe_militaro-industriel #Albanie #surveillance #surveillance_des_frontières #biométrie #Balkandac #empreintes_digitales #réadmission #Hilfswerk_International #Lipa #Bosnie #Bosnie_et_Herzégovine #Serbie #Macédoine_du_Nord #Monténégro

    • At the Heart of Fortress Europe

      The study provides a broad mapping of Austrian-based multilateral cooperation, actors, and or­ganisations that are heavily involved in EU border externalisation policies far beyond Austrian borders – and therefore in the violent and sometimes lethal approach to people on the move.

      Since the ‘long summer of migration’ in 2015 and the sealing of the Balkan Route in 2016, people on the move are trying to make their way to the European Schengen area via Bosnia-Herzegovina. According to Frontex, the Western Balkans has become one of the main migrant routes to Europe. The actors examined here are therefore of particular importance.

      https://www.transform-network.net/publications/issue/at-the-heart-of-fortress-europe

      #rapport

    • Balkans : la #Serbie, la #Hongrie et l’Autriche s’unissent contre l’immigration illégale

      La Serbie a accepté mercredi, en concertation avec la Hongrie et l’Autriche, de déployer des forces de police supplémentaires à sa frontière Sud avec la Macédoine du Nord, afin de lutter contre l’immigration illégale. L’Autriche va envoyer 100 policiers en renfort dans cette zone.

      La Serbie est parvenue à un accord avec la Hongrie et l’Autriche, mercredi 16 novembre, sur le déploiement de patrouilles de police conjointes le long de sa frontière Sud.

      « Nous avons convenu d’engager plus de police (...) à la frontière avec la Macédoine du Nord », a déclaré le président serbe Aleksandar Vucic, lors d’une conférence de presse organisée après la signature de l’accord avec les Premiers ministres hongrois et autrichien, Viktor Orban et Karl Nehammer.

      L’accord vise à freiner en amont les arrivées dans l’Union européenne (UE), la Serbie étant utilisée comme un pays de transit par les migrants. La route des Balkans occidentaux, via la Turquie, la Bulgarie, la Macédoine du Nord et la Serbie, reste la principale porte d’entrée dans l’UE pour les migrants. Près de 130 000 entrées irrégulières dans l’UE à partir de la route des Balkans occidentaux ont été enregistrées sur les dix premiers mois de l’année 2022, soit le nombre le plus fort depuis le pic de la crise migratoire de 2015, selon Frontex.
      « La migration illégale ne devrait pas être gérée, elle devrait être stoppée »

      Karl Nehammer a annoncé que son pays allait déployer 100 officiers de police pour aider son voisin serbe à patrouiller la frontière avec la Macédoine du Nord. Ces patrouilles seront secondées par des moyens techniques tels que « des caméras à vision thermique, des drones et des véhicules », a précisé le Premier ministre autrichien. Le même genre de matériel est déjà utilisé à la frontière serbo-hongroise où, depuis 2017, une clôture s’étend sur 160 km.

      Viktor Orban a, de son côté, affirmé que, depuis le début de l’année 2022, la Hongrie avait empêché 250 000 franchissements illégaux de frontières, dont beaucoup organisés par des passeurs armés. « La migration illégale ne devrait pas être gérée, elle devrait être stoppée », a-t-il ajouté, décrivant la situation à la frontière avec la Serbie comme « difficile ».

      Conséquence du mur érigé entre la Serbie et la Hongrie : les migrants se tournent vers les passeurs, seuls espoirs pour les aider à franchir. Résultat, dans la zone, leur mainmise s’exerce partout, dans les camps informels comme à l’intérieur des centres officiels, comme a pu le constater InfoMigrants sur place en octobre.
      En finir avec le « tourisme de l’asile »

      Toujours mercredi, Aleksandar Vucic a déclaré que son pays imposait désormais des visas aux ressortissants de la Tunisie et du Burundi, une mesure déjà annoncée en octobre mais qui entre ces jours-ci en vigueur.

      L’UE et la Suisse avaient fait pression pendant plusieurs semaines sur la Serbie afin qu’elle modifie sa politique des visas. Ces pays avaient reproché à la Serbie de servir de porte d’entrée vers l’UE à des migrants turcs, indiens, tunisiens, cubains et burundais, dispensés de visas jusque là pour venir dans le pays. C’est maintenant chose faite.

      Le président de la Serbie, du pays candidat à l’UE depuis 2012, avait promis que Belgrade alignerait sa politique des visas sur celle de Bruxelles « d’ici la fin de l’année » en commençant par la révocation des dispenses accordées aux Tunisiens, Burundais et Indiens. « Bientôt, deux autres pays seront soumis à cette même mesure car nous devrons avoir le même régime de visas que l’UE », a-t-il prévenu, sans préciser de quels pays il s’agissait.

      « Je suis reconnaissant envers le président de la Serbie pour tout ce qu’il fait pour en finir avec le ’tourisme de l’asile’ », a réagi, mercredi, Karl Nehammer.

      Ensemble, les Tunisiens, les Burundais, les Indiens, les Cubains et les Turcs représentent seulement 20% des migrants passés par la route des Balkans occidentaux depuis janvier 2022. La grande majorité des personnes qui transitent par la Serbie ne sont donc pas des exilés exemptés de visas. La plupart sont originaires d’Afghanistan et de Syrie.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/44816/balkans--la-serbie-la-hongrie-et-lautriche-sunissent-contre-limmigrati