• Georges Abdallah dépose une nouvelle demande de libération
    Juin 8, 2023 | Palestine Vaincra
    https://palestinevaincra.com/2023/06/georges-abdallah-depose-une-nouvelle-demande-de-liberation

    Ce jeudi 8 juin 2023, l’avocat de Georges Abdallah, maître Jean-Louis Chalanset, a déposé une nouvelle demande de libération conditionnelle expulsion devant le juge d’Application des Peines de Paris. Cette démarche est un appel à intensifier la mobilisation pour qu’enfin celui qui est devenu le plus ancien prisonnier politique d’Europe puisse être libéré et retourner dans son pays, le Liban.

    #Georges_Abdallah |

  • L’affare CPR, un sistema che fa gola a detrimento dei diritti

    Sono 56 i milioni di euro previsti complessivamente, nel periodo 2021-2023, dagli appalti per affidare la gestione dei #Centri_di_Permanenza_per_il_Rimpatrio (CPR) ai soggetti privati. Costi da cui sono esclusi quelli relativi alla manutenzione delle strutture e del personale di polizia. Cifre che fanno della detenzione amministrativa una filiera molto remunerativa che, non a caso, ha attratto negli ultimi anni gli interessi economici di grandi multinazionali e cooperative. La privatizzazione della gestione è, infatti, uno degli aspetti più controversi di questa forma di detenzione senza reato e ne segna un ulteriore carattere di eccezionalità: il consentire che su quella privazione della libertà personale qualcuno possa trarne profitto.

    Ad illustrare questa situazione è la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD), che questa mattina a Roma ha presentato un nuovo rapporto sul tema, intitolato “L’affare CPR. Il profitto sulla pelle delle persone migranti”, all’interno del quale grande attenzione è stata dedicata alle multinazionali #Gepsa e #ORS, alla società #Engel s.r.l. e alle Cooperative #Edeco-Ekene e #Badia_Grande che hanno contribuito, negli anni recenti, a fare la storia della detenzione amministrativa in Italia.

    Una storia tutt’altro che nobile fatta di sistematiche violazioni dei diritti delle persone detenute, con la possibilità per gli enti gestori di massimizzare -in maniera illegittima- i propri profitti anche a causa della totale assenza di controlli da parte delle pubbliche autorità. Nel Rapporto, infatti, si dà ampio spazio alla denuncia delle condizioni di detenzione che rischiano di configurarsi come inumane e degradanti e alla strutturale negazione dei diritti fondamentali dei detenuti. Il diritto alla salute, alla difesa, alla libertà di corrispondenza non sono, infatti, tutelati all’interno dei CPR: luoghi brutali che consentono ai privati di speculare sulla pelle dei reclusi, grazie anche alla totale assenza di vigilanza da parte del pubblico.

    “Da sempre questi centri – ha dichiarato Arturo Salerni, presidente di CILD – hanno rappresentato un buco nero per l’esercizio dei diritti da parte delle persone trattenute. Essi rappresentano un buco nero anche sotto il profilo delle modalità e dell’entità della spesa, a carico dell’erario, a fronte delle gravi carenze nella gestione e delle condizioni in cui si trovano a vivere i soggetti che incappano nelle maglie della detenzione amministrativa, ovvero della privazione della libertà in assenza di qualunque ipotesi di reato. Il proposito del governo di aumentarne il numero è il frutto di scelte dettate da un approccio tutto ideologico che non trova fondamento nell’analisi del fenomeno. L’esperienza degli ultimi 25 anni, a prescindere dalla gestione pubblica o privata dei centri, ci dice che bisogna guardare a forme alternative e non coercitive per affrontare la questione delle presenze irregolari sul territorio nazionale, che bisogna accompagnare le persone in percorsi di regolarizzazione e di emersione, cancellando l’obbrobrio della detenzione senza reato”.

    https://cild.eu/blog/2023/06/08/laffare-cpr-un-sistema-che-fa-gola-a-detrimento-dei-diritti

    Une #carte localisant les lieux de rétention administrative en Italie :


    #cartographie

    Pour télécharger le rapport :
    https://wp-buchineri.cild.eu/wp-content/uploads/2023/06/ReportCPR_2023.pdf

    #rapport #CPR #CILD #détention_administrative #rétention #business #privatisation #Italie #multinationales #coopératives #profits #droits_humains #CIE

    –—

    ajouté au fil de discussion sur la présence d’ORS en Italie :
    https://seenthis.net/messages/884112

    lui-même ajouté à la métaliste autour de #ORS, une #multinationale #suisse spécialisée dans l’ « #accueil » de demandeurs d’asile et #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/802341

    • “L’affar€ CPR”: un rapporto di CILD mette alla sbarra gli enti gestori

      Il profitto sulla pelle delle persone migranti

      Nel giugno scorso la Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD) ha pubblicato un accurato rapporto dal titolo “L’affar€ CPR: il profitto sulla pelle delle persone migranti” 1, che analizza la gestione dei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) italiani da parte delle principali cooperative e imprese private che ne detengono o ne hanno detenuto l’appalto, vincendo i diversi bandi di gara istituiti dalle prefetture.

      Introdotta formalmente nel 1998 2 la detenzione amministrativa in Italia prevedeva inizialmente la facoltà per i questori, qualora non fosse possibile eseguire immediatamente l’espulsione delle persone extracomunitarie, di disporne il trattenimento per un massimo di 20 giorni (prorogabile di ulteriori 10) all’interno dei CPTA, Centri di Permanenza Temporanea e di Assistenza.

      Nel 2008 3, i CPTA diventano Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), e, nel 2009 4, i termini massimi di trattenimento vengono estesi a 180 giorni, per poi venire portati a 18 mesi nel 2011 5. Nel 2017 6, la c.d legge Minniti-Orlando ha ulteriormente modificato la denominazione di tali centri, rinominandoli Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR). Infine, il decreto Lamorgese del 2020 ha emendato alcune disposizioni, riducendo i termini massimi di trattenimento a 90 giorni per cittadini stranieri il cui paese d’origine ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri con l’Italia 7.

      Inizialmente, i CPTA erano gestiti dall’ente pubblico Croce Rossa Italiana, e già all’ora diverse organizzazioni della società civile avevano denunciato le pessime condizioni di trattenimento, l’inadeguatezza delle infrastrutture e il sovraffollamento. In seguito al “pacchetto sicurezza” varato dal Ministro Maroni nel 2008, la situazione si aggrava, con la progressiva tendenza dello Stato a cercare di contenere i costi il più possibile. Così, diverse cooperative iniziano a partecipare ai bandi di gara, proponendo offerte a ribasso ed estromettendo la Croce Rossa. Infine, dal 2014, non solo le cooperative ma anche grandi multinazionali che già gestiscono centri di trattenimento in tutta Europa, iniziano a presentarsi e vincere i diversi bandi per l’assegnazione della gestione dei CPR.

      Multinazionali che si aggiudicano gare d’appalto proponendo ribassi aggressivi, a totale discapito dei diritti umani delle persone trattenuti. L’esempio più lampante è l’assistenza sanitaria, in quanto nei CPR, non è il SSN ad esserne competente, bensì l’ente gestore. Infine, nel triennio 2021-2023, le prefetture competenti hanno bandito gare d’appalto per la gestione dei 10 CPR presenti in Italia, complessivamente, per 56 milioni di euro, da sommare al costo del personale di polizia e la manutenzione delle strutture.

      Tra le principali imprese messe alla sbarra dal Report di CILD ci sono:

      Gruppo ORS (Organisation for Refugees Services). Multinazionale con sede a Zurigo, gestisce oltre 100 strutture di accoglienza e detenzione tra Svizzera, Austria, Germania e Italia. Sebbene risulti iscritta nel registro delle imprese dal 2018, ha iniziato la sua attività economica in Italia solo nel 2020. Nel 2019, si aggiudica l’appalto per la gestione del CPR di Macomer, in Sardegna (sebbene risultasse ancora “inattiva”). Nel 2020, gestisce il Cas di Monastir (Sardegna), due centri d’accoglienza a Bologna nel 2021, alcuni Cas a Milano, il CPR di Roma (Ponte Galeria) e quello di Torino.

      Nel centro di Macomer, personale medico ha denunciato l’assenza di interventi da parte delle autorità competenti in seguito a diversi episodi che hanno visto i trattenuti mettere a rischio la propria sicurezza. Inoltre, a più riprese è stata riportata l’impossibilità di effettuare ispezioni all’interno del centro da parte del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Infine, un’avvocata che seguiva diversi clienti trattenuti, ha denunciato la sporcizia e l’inadeguatezza delle visite mediche di idoneità, che ha portato, tra l’altro, al trattenimento di soggetti affetti da gravi forme di diabete e soggetti sottoposti a terapia scalare con metadone, condizioni incompatibili con la detenzione amministrativa.

      Nel CPR di Roma è stata più volte denunciata l’insufficienza di personale, l’inadeguatezza dei locali di trattenimento (per esempio, l’assenza di luce naturale) e l’assenza della possibilità, per le persone recluse, di svolgere qualsiasi attività ricreativa. Anche a Torino, la delegazione CILD in visita ha riportato l’illegittimo trattenimento di persone soggette a terapia scalare con metadone, alto tasso di autolesionismo e abuso di psicofarmaci e tranquillanti somministrati.

      Cooperativa EKENE. Cooperativa sociale padovana che nel corso degli ultimi 10 anni ha spesso cambiato nome (nata come Ecofficina, poi Edeco 8 e infine Ekene), in quanto spesso al centro di inchieste giornalistiche, interrogazioni parlamentari e procedimenti giudiziari legati ad una cattiva gestione di alcuni centri d’accoglienza, come lo SPRAR di Due Carrare (Padova), dove la Procura di Padova aveva aperto un’indagine per truffa e falso in atto pubblico, tramutatasi in una maxi indagine estesasi ad alcuni vertici della Prefettura di Padova, per gare truccate e rivelazioni di segreto d’ufficio.

      Nel 2016, diversi giornalisti e ricercatori avevano ripetutamente denunciato il sovraffollamento e la malnutrizione di diversi centri in gestione alla cooperativa, come l’ex Caserma Prandina, il centro di Bagnoli e Cona (VE), dove, nel 2017, la donna venticinquenne Sandrine Bakayoko è morta per una trombosi polmonare, quando all’interno del centro erano ospitate più di 1.300 persone, in una situazione di sovraffollamento e forte carenza di personale. Nel 2016, è stata espulsa da Confcooperative Veneto, con l’accusa di gestire l’accoglienza seguendo un modello che guardava al business a discapito della qualità dei servizi.

      Tuttavia, nel 2019 si aggiudica l’appalto del CPR di Gradisca d’Isonzo, a Gorizia in FVG, un appalto da circa 5 milioni di euro per un anno, attualmente in proroga tecnica. Dalla riapertura nel 2019, il CPR di Gradisca è quello dove si sono verificati più decessi. Dal 2019, quattro persone sono decedute, due per complicazioni in seguito all’abuso di farmaci, e due suicidi. Ciò mette in risalto la malagestione delle visite di idoneità all’ingresso, nonché l’inadeguatezza delle condizioni di trattenimento. Inoltre, diversi avvocati hanno denunciato la difficoltà nello svolgere colloqui coi trattenuti, e come le persone trattenute non venissero nemmeno informate del diritto a fare domanda d’asilo una volta entrate in Italia.
      Nel dicembre 2021 Ekene si aggiudica anche la gestione del CPR di Macomer.

      ENGEL ITALIA S.R.L. Società costituita nel 2012 con sede legale a Salerno. Nata come ente gestore nel settore alberghiero, presto inizia ad occuparsi di strutture d’accoglienza per persone richiedenti asilo nella zona di Capaccio-Paestum. Sebbene sia una società fallibile dal 2020, è riuscita ad ottenere la gestione del CPR di Palazzo San Gervasio (Basilicata) e Via Corelli (Milano), grazie alla cessione di un ramo dell’azienda ad una società terza, Martinina s.r.l, con la stessa persona come amministratrice unica.

      Già nel 2014, Engel era stata al centro della cronaca per la discutibile gestione del centro di accoglienza di Capaccio-Paestum, dove agli ospiti non venivano erogati beni di prima necessità come cibo e vestiti. Era stata denunciata anche l’assenza di corsi d’italiano e l’irregolarità nell’erogazione del pocket money. Inoltre, molti ospiti avevano denunciato abusi e maltrattamenti all’interno del centro.

      Nel 2018 Engel si aggiudica l’appalto del CPR di Palazzo San Gervasio, con un ribasso sul prezzo d’asta del 28,60%, che ha gestito fino al marzo 2023. Fin da subito, il Garante nazionale per le persone private della libertà, in seguito ad una visita al centro, ne aveva denunciato le pessime condizioni: assenza di locali comuni, trattenuti costretti a consumare i pasti in piedi, e la presenza di solo tre docce comuni. Gli ambienti di pernotto, privi di un sistema di isolamento, risultavano caldissimi d’estate e molto freddi d’inverno.

      Sebbene il centro sia stato chiuso a metà del 2020 per lavori e riaperto a febbraio 2021, secondo CILD le condizioni continuerebbero ad essere critiche. Continua a mancare un locale mensa, e in stanze da 25mq sono ospitate fino ad 8 persone. Inoltre, anche per Palazzo San Gervasio è stata denunciata l’inadeguatezza delle visite di idoneità al trattenimento e la difficoltà per i trattenuti di avere accesso alla corrispondenza coi propri avvocati.

      Anche nel CPR di Milano, per il quale Engel ha ottenuto l’appalto nel 2021 e nel 2022, sono state denunciate le terribili condizioni dei locali, e l’incredibile numero di gabbie e reti di ferro, che danno l’impressione di isolamento estremo, non solo dall’esterno ma anche dal personale all’interno del centro. Anche il cibo e i letterecci erogati risultano di pessima qualità.

      GEPSA. Multinazionale francese che dal 2011 inizia ad investire in Italia nel campo dell’accoglienza, si aggiudica diversi appalti proponendo una strategia aggressiva, con un ribasso sulle basi d’asta dal 20% al 30%. Dal 2014 al 2017 gestisce il CIE di Ponte Galeria, dal 2014 al 2017 il CIE di Milano e dal 2015 al 2022 il CIE di Torino. Dal 2011 al 2014 avrebbe dovuto gestire anche il CIE e CARA di Gradisca d’Isonzo, ma l’aggiudicazione è stata annullata dal TAR del Friuli-Venezia Giulia per la mancanza di requisiti adeguati delle imprese facenti parti della rete.

      Del CPR di Torino, era stata denunciata l’eccessiva militarizzazione e la carenza di personale civile, nonché l’assenza di relazioni tra trattenuti ed operatori, che non entravano quasi mai nelle aree di detenzione. In particolare, Il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, in seguito ad una visita al centro, aveva denunciato come i trattenuti fossero costantemente sorvegliati da personale militare, che stavano letteralmente in mezzo tra trattenuti ed operatori, con funzioni di sorveglianza, ma senza interagire coi primi. Sempre nel CIE di Torino, sono stati riportati numerosi casi di malasanità, assenza di personale medico e la presenza di locali per l’isolamento dei trattenuti, che, secondo ASGI, poteva protrarsi fino a 5 mesi, in maniera del tutto arbitraria e illegittima.
      Durante gli anni della gestione Gepsa, nel CPR di Torino si sono verificate due morti e numerosi casi di autolesionismo e rivolta.

      BADIA GRANDE. Cooperativa sociale fondata nel febbraio 2007, con sede legale a Trapani, e presto si impone come colosso nel settore dell’accoglienza migranti nel Sud d’Italia, vincendo numerose gare d’appalto, soprattutto nel siciliano. Dal 2018 al 2022 gestisce il CPR di Bari-Palese e dal 2019 al 2020 quello di Trapani Milo. Nel 2021, diverse fonti giornalistiche denunciano la mala gestione del CPR di Bari, e diverse personalità dipendenti della cooperativa vengono rinviate a giudizio per casi di frode nell’esecuzione del contratto d’affidamento, in particolare nell’assistenza sanitaria e le misure di sicurezza sul lavoro.

      Anche per la gestione del CPR di Trapani la cooperativa viene indagata per frode nelle pubbliche forniture e truffa. Inoltre, in una visita nel 2019, il Garante nazionale riscontra l’assenza di vetri in molte finestre, assenza di porte e separatori che garantiscano la privacy nell’accesso ai servizi igienici, e l’assenza di locali per il consumo dei pasti, che i trattenuti sono obbligati a consumare sui letti o in piedi.

      Il rapporto si conclude con un’accurata riflessione sull’istituto della detenzione amministrativa, e su come ciò si sia dimostrata terreno fertile per “una pericolosissima extraterritorialità giuridica”, in cui non trovano applicazione neanche quei principi costituzionali che dovrebbero considerarsi inderogabili”. Infine, CILD sostiene che, sebbene la detenzione amministrativa abbia progressivamente creato un sistema che consente ad enti privati di “fare profitto sulla pelle delle persone detenute”, la soluzione non sarebbe la gestione dei CPR da parte del settore pubblico, bensì il superamento del sistema della detenzione amministrativa, da collocare in un quadro più ampio di gestione del fenomeno migratorio attraverso politiche più aperte verso la regolarizzazione degli ingressi, per motivi di lavoro, familiari o di protezione internazionale.

      https://www.meltingpot.org/2023/08/laffare-cpr-un-rapporto-di-cild-mette-alla-sbarra-gli-enti-gestori

  • Quand une approche “pratique” de l’adressage d’un campus impose un environnement toponymique toujours plus masculin (94%). Le cas de Grenoble-Université-Alpes à Saint-Martin-d’Hères
    https://neotopo.hypotheses.org/5855

    Le Campus historique et principal de l’Université Grenoble-Université-Alpes situé sur la commune de Saint-Martin-d’Hères connaît quelques changements d’adressage liés à une restructuration de son secteur central. Changements qui se traduisent par l’adjonction de trois...

    #Billets #Toponobservations #ToponoGender

    • Réponse des services centraux de l’UGA, reçus par mail, le 8 juin 2023 :

      « Ces propositions permettent juste de résoudre un problème urgent, cela en avance de phase d’une réflexion plus globale portant sur la nécessité de dénommer les accès aux bâtiments, afin que ces derniers soient adressés directement sur les voies qui les desservent. Il nous faudra alors faire le choix d’un certain nombre de toponymes et cela sur la base de critères qui intègreront bien évidemment le problème de parité que vous soulevez et qu’il nous faut corriger. Cette démarche a fait l’objet d’une proposition de méthodologie en cours de validation pour une réflexion que j’espère pouvoir mener l’an prochain. »

      #urgence

    • ll est possible de faire autrement...

      Des amphis aux noms de femmes : ces universités s’emparent de la question

      Amphithéâtres, salles de TD, learning centers… Dans les universités françaises, les lieux nommés d’après des personnalités portent, dans leur écrasante majorité voire en totalité, des noms d’hommes. Certains établissements veulent changer la donne et se tournent vers leur communauté pour soumettre ou sélectionner des noms de femmes.

      En France, à peine 5 % des rues portent un nom de femme. Un constat partagé dans les universités que certains acteurs s’efforcent de faire évoluer. Comment s’y prennent-ils ?
      Des noms de femmes pratiquement toujours absents

      Sur 1 328 lieux recensés sur son campus par l’Université de Strasbourg (Unistra), seuls neuf portent le nom d’une femme contre 78 pour les hommes. Du côté des #amphithéâtres, l’un d’eux est nommé d’après une déesse, pour 37 aux noms masculins.

      Les universités de #Lille et de #Haute-Alsace n’ont pas fait un tel recensement, complexe pour des campus de plus en plus tentaculaires, mais le constat est le même : les femmes sont aux abonnées absentes.

      « Avec un très grand nombre de sites faisant partie de l’#Université_de_Lille, il est difficile d’obtenir des listings complets. Avant la consultation, nous avions seulement trouvé deux salles sur le campus scientifique avec des noms de femmes : Marie Curie et Marie-Louise Delwaulle. Cette dernière est une ancienne chercheuse de l’université qui n’est désignée que par son nom de famille, alors que les autres amphithéâtres ont également des prénoms et certains ont même des plaques biographiques », rapporte Hermeline Pernoud, cheffe de projet égalité-diversité de l’établissement.

      Deux autres salles qui devaient s’appeler Rosalind Franklin et Ada Lovelace n’ont jamais été renommées, pour des raisons inconnues. « Nous voulons les faire réapparaître, dit Hermeline Pernoud. »

      À l’#Université_de_Haute-Alsace (UHA), le syndicat étudiant Communauté solidaire des terres de l’Est ne décompte aucun amphithéâtre avec des #noms_féminins, contre une dizaine de masculins. Les femmes sont pour l’heure seulement présentes sur quelques salles du learning center.

      Impliquer la communauté via consultation ou votes

      Pour faire bouger les choses, les vice-présidentes égalité des universités lilloise et strasbourgeoise, mais aussi le syndicat étudiant de Haute-Alsace se tournent vers la communauté universitaire. « L’idée de renommer 15 amphis a été lancée par Sandrine Rousseau, alors vice-présidente égalité de l’Université de Lille en 2019. 45 noms ont été proposés au vote en 2020. L’objectif est d’inviter chacun et chacune à s’interroger sur ses figures au quotidien et d’inviter chaque faculté à s’approprier les noms mis en avant », retrace Hermeline Pernoud.

      Le travail autour des noms à soumettre au vote a également permis d’impliquer l’association de solidarité des anciens personnels (Asap) de l’université lilloise qui a pu se souvenir de chercheuses illustres de la région.

      L’Unistra a opté pour une consultation : étudiants, enseignants-chercheurs et personnels peuvent soumettre des noms de femmes emblématiques de l’histoire de l’université ou d’une discipline, ayant travaillé ou étudié dans l’établissement et ayant contribué à son rayonnement ou à celui de son pays par ses travaux. Huit seront choisis pour apparaître sur des amphithéâtres, un chiffre faisant référence à la journée des droits des femmes, le 8 mars.

      « Cette initiative produit une #émulation_positive en interne, notamment au sein d’une composante d’enseignement s’étant particulièrement investie allant jusqu’à faire voter les noms soumis devant le conseil de composante ! », se réjouit Isabelle Kraus, vice-présidente égalité, parité, diversité et maîtresse de conférences en physique.

      Cette dernière envisage d’embarquer un public plus large encore : « Aujourd’hui, au-delà de l’établissement, les alumni peuvent participer. Nous réfléchissons maintenant à ouvrir la consultation en dehors de l’université, en communiquant à ce propos dans les journaux de l’Est de la France. »

      À l’Université de Haute-Alsace, ce sont les étudiants, via à la Communauté solidaire des terres de l’Est présente sur 13 campus du Haut-Rhin, qui lancent la dynamique et ouvrent une consultation le 22 mars. 115 votes ont déjà été enregistrés par une majorité d’étudiants et une trentaine d’enseignants-chercheurs.

      « Nous y avons réfléchi pendant deux ans avant de lancer la campagne. L’idée est que ce projet soit plutôt ascendant : qu’il vienne des étudiants. La gouvernance était au courant que nous préparions cela et est encline à nous soutenir », expose Axel Renard, étudiant et président de la Communauté des terres de l’Est.

      Des modifications pourraient cependant encore intervenir : « Le projet de base était de renommer des amphithéâtres, mais l’équipe dirigeante semble plutôt s’orienter vers des bâtiments », poursuit Axel Renard.

      Mettre en valeur des personnalités de l’université et #femmes_scientifiques

      Faire sortir les femmes de l’université, souvent des scientifiques, de l’#anonymat : c’est aussi l’objectif de ces initiatives. À l’Université de Lille, en lien avec l’opération Université avec un grand Elles qui a nourri la liste de noms soumis au vote pour renommer les amphis, des stages ont été proposés.

      Les étudiantes ont cherché des portraits correspondant aux critères : 15 femmes de la région, si possible en lien avec l’université, « dans une volonté de matrimoine, afin de rendre femmage -car c’est bien de cela dont il s’agit ici plutôt qu’un « hommage »- à des personnes que l’on connait moins », souligne Hermeline Pernoud.

      Une diversité qu’observe également Isabelle Kraus de l’Unistra : « Parmi les noms proposés, il en y a des connus et d’autre que je découvre. Quelle richesse ! Certains sont remontés dans toutes les disciplines. »

      Pour sa sélection, la Communauté des terres de l’Est demande dans son formulaire d’argumenter le choix soumis. « Nous n’avons pour le moment pas reçu trop de retours négatifs, seulement une dizaine de propositions de trolls », indique Axel Renard.

      Éviter les personnages trop politiques et représenter la diversité

      « Nous évitons les personnes vivantes, pour ne pas avoir de problèmes », poursuit l’étudiant de l’UHA. En effet, la décision peut s’avérer délicate, notamment lorsque la personnalité se politise comme a pu en faire l’expérience l’Université de Lille.

      « Christiane Taubira devait être invitée pour inaugurer un amphi à son nom, mais il s’est avéré que c’était au moment où elle se lançait en politique. Nous avons préféré mettre les choses en pause pour des questions éthiques », explique Hermeline Pernoud. Il faut dire que l’instigatrice même du projet, Sandrine Rousseau, est aujourd’hui députée écologiste après une tentative à la primaire du parti politique Europe écologie les verts en 2021.

      Autre critère pour l’Université de Lille : proposer aussi des noms de femmes non blanches. À ce sujet, il reste du chemin à parcourir chez les hommes également. C’est pourquoi l’établissement a inauguré, en février dernier, sur le campus de Moulin, une salle en hommage au Chevalier Saint-Georges.
      Débaptiser pour renommer : sujet tabou ?

      Pour Pierre-Alain Muller, le président de l’UHA, s’exprimant dans l’Alsace en mai, il n’est pas question de « débaptiser » les amphis qui portent des noms d’hommes. Alexandre Renard remarque : « La décision se fera avec les composantes. Il y a un seul cas où la question de pose, pour la fac de lettres et sciences humaines : trois amphis portent des noms de physicien, ingénieur… Des personnalités qui ne sont pas en lien avec la thématique. »

      Les universités de Lille et Strasbourg s’accordent également sur le fait de choisir des lieux désignés par des chiffres et seulement en dernier recours des noms d’hommes. Pourtant, à l’Université de Lille la problématique risque de se poser : « En médecine il n’y a que des noms d’hommes. Sur le campus de Roubaix, où les bâtiments sont neufs, nous pourrons sûrement en profiter pour mettre des noms féminins, mais, à terme, il faudrait une parité sur tous les sites », souligne Hermeline Pernoud.

      En pratique, une décision qui n’est pas anodine

      Si renommer moins d’une vingtaine de lieux peut sembler bien peu - et largement insuffisant pour atteindre la parité - ce n’est en réalité pas une mince affaire pour les équipes.

      « Je travaille en collaboration avec le vice-président patrimoine, Nicolas Matt, car la partie pratique est la plus difficile, souligne Isabelle Kraus. La direction des affaires logistiques intérieures a dû recenser les noms et le département du patrimoine et de l’immobilier se penche sur l’aspect logistique. Car renommer un amphi ce n’est pas juste poser une plaque : tous les documents, avec les arrivées d’eau et d’électricités, doivent être modifiés ainsi que le logiciel de planning pour l’occupation des salles. Sans l’adhésion du personnel, cela n’aurait pas été possible. »

      Après la consultation, continuer à faire vivre les noms

      Après la fin de la consultation, les premiers baptêmes à l’Unistra sont prévus pour la rentrée 2023-2024 avec l’organisation d’un événement collectif pour dévoiler les huit noms et présenter ces profils. Une plaque avec un résumé de chaque parcours sera également apposée.

      « Les propositions soumises lors de la consultation pourront servir de banque de données pour les années futures. Nous allons reconduire la consultation l’année prochaine, c’est loin d’être fini ! », ajoute Isabelle Kraus.

      Du côté de la Communauté des terres de l’Est, après la période creuse de l’été, la campagne sera relancée à la rentrée. « Le but est ensuite de faire les inaugurations progressivement, pour que chaque inauguration soit accompagnée d’une campagne expliquant le choix du nom », précise Axel Renard.

      À l’Université de Lille, pourtant pionnière avec une inauguration au nom de Laurence Bloch, journaliste à France Inter, dès 5 mars 2020, les événements ont pris du retard et après de nombreux reports, liés à la crise sanitaire, les changements de présidence et plus récemment les grèves ou encore des problématiques en interne, aucune date n’est fixée.

      « Nous devons encore nous accorder sur des détails techniques comme le choix des plaques, de l’affichage : faut-il percer le mur ? Il faut désormais que les différents campus s’emparent de la question », espère Hermeline Pernoud.

      https://www.campusmatin.com/vie-campus/rse-developpement-durable/pratiques/des-amphis-aux-noms-de-femmes-ces-universites-s-emparent-de-la-question

  • L’Oise contaminée par les dangereux polluants éternels

    […] #Générations_futures, l’ONG de défense de l’environnement, revient à la charge concernant les perfluorés (#PFAS), substances chimiques omniprésentes, nocives pour la santé et persistantes dans l’#environnement, encore mal connues et peu surveillées en France. Mises au point dans les années 40 pour leur résistance à l’eau et la chaleur, elles ont colonisé les objets du quotidien et s’accumulent dans l’eau, l’air, les sols ou les organismes humains qui y sont exposés. Générations futures a lancé l’alerte lundi après une nouvelle étude réalisée par ses soins sur la situation de l’#Oise, dans le département du même nom, où sont notamment installés des sites industriels.

    Les résultats semblent inquiétants : de nombreux PFAS y ont été détectés en quantité très importante. Au niveau d’un point de rejets industriels dans la rivière, « on monte à 4 200 nanogrammes par litre, avec 11 PFAS différents, c’est très important », affirme François Veillerette, directeur et porte-parole de Générations futures.

    Parmi les PFAS recherchés dans la rivière picarde, une molécule, portant le nom de code 6:2 FTS, a été mise au jour à des concentrations importantes. Même si elle ne fait pas l’objet d’une surveillance obligatoire, elle est soupçonnée de pouvoir causer des dommages au foie et aux reins, selon l’ONG. A la lumière de ces analyses, l’association a décidé de porter le combat sur le terrain judiciaire. Des plaintes contre X vont être déposées dans l’Oise mais aussi dans deux autres départements où des zones sont contaminées par les PFAS ou soupçonnées de l’être : à Paimbœuf (Loire-Atlantique), un récent rapport officiel a montré une pollution ; et à Tavaux (Jura), lieu d’implantation d’un des cinq producteurs français de PFAS. […]

    (Libération)

    #pollution

  • L’engagement militant des #femmes : sortir de l’invisibilisation
    https://metropolitiques.eu/Sortir-de-l-invisibilisation-l-engagement-militant-de-femmes.html

    L’inscription des femmes dans les contestations contemporaines est au centre de ce nouvel épisode de l’émission Le #genre en ville. La sociologue Édith Gaillard interroge l’invisibilisation de l’engagement militant des femmes à travers les deux moments qu’ont été en #Allemagne et en #France les squats féministes d’obédience anarchiste et le mouvement des #gilets_jaunes. Émission : Le genre en ville Considérer l’inscription des femmes dans les mouvements sociaux et plus particulièrement dans ceux des squats #Podcasts

    / genre, #féminisme, femmes, #militantisme, gilets jaunes, #squat, Allemagne, #mouvement_social, (...)

  • « Interdit aux #nomades et aux chiens » : le quotidien de l’#antitsiganisme : épisode 1/4 du podcast Dans l’ombre de l’antitsiganisme
    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/interdit-aux-nomades-et-aux-chiens-1889485

    #podcast #serie
    #gitans #bohémiens #manouches

    Pour commencer, il faut peut-être prendre conscience de ce qu’est l’antitsiganisme et surtout de ce que ça signifie de le vivre au quotidien. Des #Voyageurs, souvent militants associatifs, nous mettent à plat ce concept et l’impact direct qu’il a sur leur vie.

    Cet épisode propose des récits croisés de la façon dont ils et elles sont confrontés au quotidien à cet antitsiganisme, qui est aussi souvent administratif, ainsi que des préjugés auxquels ils et elles font face. Dylan Schutt, témoigne ainsi, comment dès son premier jour d’école, il a pris conscience des préjugés existants envers les Voyageurs : “Les autres enfants étaient un peu distants avec moi, j’ai eu des remarques comme quoi je sentais mauvais, les enfants disaient qu’ils ne voulaient pas me toucher parce que j’étais sale, ça m’a suivi toute ma scolarité”. Et puis il raconte un drame marquant : “Une personne a tué mon grand-oncle parce qu’il était nomade, elle a pris huit ans de prison. Sauf qu’avec les remises de peine, elle a fait à peine trois ans, alors que mon grand-oncle a été tué devant ses deux enfants. À l’époque, on avait fait des manifestations, c’était en 2009, mais n’a pas changé grand-chose en fait”.

    En parallèle, en remontant le cours du temps avec des historiennes et des historiens on tente de comprendre la façon dont les clichés se sont ancrés dans les têtes et dans le paysage.

    L’historien Ilsen About revient, par exemple, sur ce cliché qui veut qu’un Voyageur soit forcément un voleur et qui, malheureusement, persiste encore aujourd’hui : “L’itinérance est vue comme étant forcément coupable, car elle serait guidée par des objectifs irréguliers, illégaux de dépossession par le vol, par le brigandage. On a un glissement entre la mobilité, la criminalité itinérante et la question du vol. Et puis, de l’autre côté, il y a la mythologie de la mendicité. Les occurrences qui associent les Roms à la mendicité sont extrêmement nombreuses et la mendicité est souvent associée dans les esprits à la question du vol, à la ruse, à une dépossession déguisée.”

    Alors, en fabriquant cette série, en écoutant les récits des unes et des autres, la violence du rejet auxquels ils et elles font face et les embuches inventées par l’administration, plusieurs fois on s’est dit que c’était trop, que les gens n’allaient pas nous croire.

    Saimir Mile, militant et fondateur de la Vois des Roms, évoque ce racisme séculaire et dresse un constat qui est lui aussi terrible quant à ce racisme particulier : “Il faut combattre les préjugés et se faire connaître ne sert pas à grand-chose. Il faut aller au-delà de ça, il faut vraiment dénoncer ce racisme qui est omniprésent, qui est très ancien, très populaire. C’est la dernière forme de racisme acceptable en fait”.

    Et pourtant, paradoxalement, on a beaucoup ri pendant les enregistrements, ri des blagues corrosives de ceux et celles à qui on tendait le micro, emportés par l’humour noir et féroce ou l’ironie constante de nos interlocuteurs et puis, au bout d’un moment ça ne nous a plus fait rire du tout.

    Un documentaire de Perrine Kervran, réalisé par Gaël Gillon.
    Avec :

    Ilsen About, historien,
    #William_Acker, délégué général de l’association nationale des gens du voyage citoyens,
    Henriette Asseo, historienne,
    Saimir Mile, militant et fondateur de la Voix des Rroms,
    Emile Scheitz, fondateur de l’association familiale des gens du voyage d’ile de France,
    Dylan Schutt, militant pour la Voix des #Rroms.

    Merci à Lény Mauduit de la médiathèque Mateo Maximoff.

    Prise de son et mixage Florent Layani .
    Bibliographie :

    Lise Foisneau, Les Nomades face à la guerre (1939-1946), Klincksieck, 2022
    Lise Foisneau , Kumpania vivre et resister en pays #gadjo , éditions Wildproject, 2023
    Henriette Asseo , Les #Tsiganes, une destinée européenne , coll. « Découvertes Gallimard / Histoire » (no 218), Gallimard, 1994, réédition en 2006
    Henriette Asseo, De la « science raciale » aux camps. Les Tsiganes en Europe sous le régime nazi, Éditions du Centre régional de documentation pédagogique de Paris (CRDP Paris), université Paris-Descartes, 1996
    William Acker , Où sont les gens du voyage , éditions du commun, 2021
    Ilsen About , Présence tsigane , éditions du cavalier bleu, 2018
    Theophile Leroy , L’internement des nomades une histoire française , Mémorial de la Shoah, 2019
    Raymond Gurème , Isabelle Ligner , Interdit aux nomades , Calmann Levy, 20&1
    Françoise Dallemagne , Julia Ferloni , Alina Maggiore , Anna Mirga-Kruszelnicka et Jonah Steinberg , BARVALO / Roms, Sinti, Gitans, Manouches, Voyageurs... , Muceum, 2023

    Liens :

    Plate-forme européenne en ligne contre l’antitsiganisme.
    A persisting concern : anti-Gypsyism as a barrier to Roma inclusion. Rapport de l’Agence des droits fondamentaux de l’Union européenne, 2018.
    Antitsiganisme, texte de référence, publié sous les auspices de l’Alliance contre l’antitsiganisme en août 2019.
    Pourquoi les Roms subissent exclusion et discrimination : article d’Aidan McGarry paru dans Slate en mars 2019.
    Un racisme méconnu : l’antitsiganisme, par Leonardo Piasere, in Dadarivista, n°2, décembre 2013.
    Grégoire Cousin, Julie Lacaze : L’éternel retour ; l’antitsiganisme politique. In Communications, n°107, 2020.
    Film - Les Rochers de la Honte, 2023
    Exposition Barvalo, Roms, Sinti, Manouches, Gitans, Voyageurs... Mucem, J4— Niveau 2 | Du mercredi 10 mai 2023 au lundi 4 septembre 2023
    Médiathèque Matéo Maximoff
    ANGVC - Association nationale des #gens_du_voyage #citoyens ...
    Association - La voix des Rroms

    #Sciences et #Savoirs
    #Histoire
    #Documentaire_radiophonique
    #Documentaires de #société

    L’équipe

    Perrine Kervran
    Perrine Kervran
    Production
    Maryvonne Abolivier
    Collaboration
    Anahi Morales
    Collaboration
    Annelise Signoret
    Collaboration
    Gaël Gillon
    Réalisation

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    Episode 4/4 : La politique de la décharge

    18 mai 2023 • 1h 02

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    #LSD, la série documentaire
    "Interdit aux nomades et aux chiens" : le quotidien de l’antitsiganisme

  • Vers quel nouvel ordre mondial ? La fin de la domination étasunienne et ses conséquences, par Jacques Sapir
    https://www.les-crises.fr/vers-quel-nouvel-ordre-mondial-la-fin-de-la-domination-etasunienne-et-ses

    Il devient de plus en plus évident que nous sommes aujourd’hui à l’aube d’un nouvel ordre mondial. Les transformations qui ont affecté les rapports de force géostratégiques, mais aussi les rapports de forces économiques et les règles et pratiques du commerce international l’attestent. L’ordre mondial issu de la fin de la Guerre Froide en 1991, […]

    #Géopolitique #Chine #Europe #France #Russeurope_en_Exil #Russie #Ukraine #Géopolitique,_Chine,_Europe,_France,_Russeurope_en_Exil,_Russie,_Ukraine

  • Blancs des cartes et boîtes noires algorithmiques

    Chaque carte présente ses propres #blancs, inconscients ou volontaires. Ces lacunes ou ces oublis, d’aucuns l’ont bien montré, ont joué un rôle déterminant dans l’histoire, en particulier coloniale. Hier privilège des États, ce pouvoir de blanchir ou de noircir la carte est aujourd’hui celui des données numériques. Car le déluge d’#informations_géographiques, produit par une multitude d’acteurs, n’est pas uniformément réparti sur l’ensemble des territoires, laissant des zones entières vides.
    S’inscrivant dans le champ émergent des #critical_data_studies, cette recherche singulière, abondamment illustrée, revient sur les enjeux politiques des cartes et nous invite à explorer les rouages les plus profonds de la cartographie contemporaine. En s’attachant à l’#Amazonie, Matthieu Noucher déconstruit les vides pour interroger le sens de la #géonumérisation du monde. Pour mener son enquête, il s’intéresse à trois dispositifs en particulier : la détection de l’#orpaillage illégal, la mesure de la #biodiversité et le repérage des #habitats_informels.
    Ce livre débouche sur deux modalités de #résistance au comblement des blancs des cartes : la #contre-cartographie et la #fugue_cartographique pour appréhender les blancs des cartes comme une opportunité de diversifier nos manières de voir le monde.


    https://www.cnrseditions.fr/catalogue/geographie-territoires/blancs-des-cartes-et-boites-noires-algorithmiques
    #cartographie #vides #vide #livre #Matthieu_Noucher #colonialisme #géographie_du_vide #géographie_du_plein

    ping @reka

  • Modification du génome humain | Les questions qui fâchent | ARTE - YouTube
    https://www.youtube.com/watch?v=hWInN83Ems0

    Est-il possible de modifier notre patrimoine génétique ? La science a connu des avancées majeures, telles que le séquençage de l’ADN humain ou le système CRISPR/Cas9. S’il est devenu possible de guérir des maladies congénitales et de traiter à titre préventif les prédispositions à certaines pathologies, ces innovations ne sont pas sans danger et risquent fort d’être utilisées à mauvais escient.

    Ainsi, dans les parcours de procréation médicalement assistée, les ovocytes de meilleure qualité pourraient bientôt être sélectionnés au détriment des autres. Est-il souhaitable que les parents puissent intervenir dans le patrimoine génétique de leur descendance ? Quid de l’avortement lorsqu’il y a suspicion de handicap ? Ainsi, des questions fondamentales émergent, notamment sur les frontières entre santé et handicap et sur les acteurs chargés de définir ces limites.

    Le psychologue Bertolt Meyer s’entretient les parents d’un petit garçon qui pourrait bénéficier d’ une toute nouvelle thérapie génique. Il rencontre également le médecin et chercheur Selim Corbacioglu, qui fonde de grands espoirs sur la thérapie génique par CRISPR/Cas9 tout en appelant à la prudence. Un médecin chinois a récemment été condamné pour avoir modifié le patrimoine génétique de deux jumelles et en Europe, des patients ont développé des effets secondaires graves, dont des cancers. Alena Buyx, présidente du Conseil d’éthique allemand, fait le point sur les pratiques qu’il serait souhaitable d’autoriser à l’avenir.

    Disponible jusqu’au 30/09/2026
    #Génétique #ADN #Arte

    #avortement #eugénisme

  • Les propriétaires invisibles
    https://lvsl.fr/ces-proprietaires-invisibles

    Dans cette perspective, le #logement est considéré comme un actif : quelque chose qui fournira un revenu régulier via le loyer que le locataire paiera et qui générera également une plus-value en cas de vente ultérieure. Étant donné que ce sont là leurs motivations sous-jacentes, que recherchent-ils lorsqu’ils investissent dans l’immobilier ? Ils recherchent la capacité d’accoître les loyers qu’ils peuvent tirer de cette propriété et ce, pour deux raisons. La première est que l’augmentation du loyer signifie plus de revenus à empocher ; la seconde, qui est la plus importante, c’est qu’un loyer plus élevé rend l’actif plus précieux pour les acheteurs potentiels à un moment ultérieur. Les gestionnaires d’actifs ne sont pas principalement chargés d’acheter et de détenir des actifs à perpétuité. Leurs activités consistent plutôt dans l’achat et la vente d’actifs. Et lorsqu’ils en achètent, leur principale préoccupation est sa gestion optimale afin de le rendre plus valable aux yeux du marché. Augmenter les loyers se présente comme la meilleure façon de le faire en matière de logement.

    Au cours de la dernière décennie, leur stratégie la plus courante pour acheter des logements à vocation locative a consisté à chercher du côté des marchés locatifs très tendus, où il n’y a pas assez de logements pour répondre à la demande, ce qui créé une pression à la hausse sur les loyers. Tout aussi important, sinon plus : ils cherchent à acheter dans des endroits où ils estiment qu’il n’y a qu’une perspective limitée de construire beaucoup plus de logements locatifs, car cela représenterait une menace claire et actuelle pour leur modèle commercial…

  • « Fluidifier le trafic » en construisant des routes : obsession du XXe siècle, fausse route du XXIe siècle - Le Temps
    https://www.letemps.ch/opinions/debats/fluidifier-trafic-construisant-routes-obsession-xxe-siecle-fausse-route-xxie

    A quelques jours d’intervalle, deux annonces ont fait couler beaucoup d’encre dans les médias suisses. Le Conseil fédéral a dit souhaiter l’élargissement de l’autoroute A1 à 6 voies, entre Genève et Lausanne et entre Berne et Zurich. Cette annonce s’ajoute à une autre très bonne nouvelle pour le trafic carboné : la suppression, par les CFF, de la ligne directe Genève-Neuchâtel, accompagnée de mesures dégradant la qualité de l’offre ferroviaire en Suisse romande. Tout cela alors que, pour réussir à atteindre le zéro carbone en 2050, nous sommes censés passer de 4,7 millions de voitures individuelles aujourd’hui à 3,6 millions en 2050.

    • En tant qu’historienne, je considère ces deux mesures comme tout à fait anachroniques.

      Car ce n’est plus l’apanage des écologistes que de tenter de réduire la dépendance automobile : il s’agit d’une tendance générale et essentielle face à l’enjeu du réchauffement climatique. Des villes, des Etats même, essaient de se défaire sinon de la « bagnole », du moins d’habitudes obsolètes du XXe siècle telles que le financement massif des autoroutes par les pouvoirs publics. Ce n’est pas chose aisée ! Comme l’analyse le chroniqueur québécois Stéphane Laporte au sujet de l’abandon du projet de tunnel entre Lévis et Québec (décidé par une ministre de centre droit) : « L’automobile est la cigarette de la prochaine décennie. On roule partout comme on fumait partout. Ça achève. Dans les villes, il y aura des sections autos, comme il y avait des sections fumeurs. Qui rétréciront jusqu’à disparaître. Pour le bien de tous. Il faut en faire notre deuil. [...] Ce ne sera pas facile, je sais. Notre char est beaucoup plus que notre char [...] Le char ne sera plus l’objet de nos désirs. Au contraire. Il sera l’objet de notre raison. »

      Certaines nations comme le Pays de Galles et les Pays-Bas ont récemment décidé le gel de tout (nouveau) projet de construction de route dédiée au transport motorisé pour soutenir le transfert modal et réduire les émissions de carbone. L’idée est simple et doit évidemment être accompagnée de mesures fortes en faveur des transports publics. Elle fait écho à un phénomène connu depuis les années 1960 : l’évaporation du trafic. Quand un axe est bloqué, parce qu’en travaux par exemple, les analystes de la mobilité constatent qu’un pourcentage important des déplacements réalisés en voiture « disparaît ». Une partie des pendulaires et des autres usagers de ces axes trouvent d’autres solutions (à la condition qu’elles existent !) : c’est le fameux report modal, si difficile à réaliser en temps normal. Certes, une partie des autos ont parfois sans doute pris une autre route, mais d’autres ont été tout bonnement laissées au garage. Récemment, la sociologue Pauline Hosotte mettait en évidence le grand potentiel de l’application de ce concept dans les politiques de mobilité et en faveur du transport modal. Ne pas planifier de nouvelles routes entre dans ce calcul pour autant, nous le répétons, que l’offre de transports en commun soit solide.

      Dans une démarche anachronique, en France et en Suisse, les pouvoirs publics soutiennent massivement des projets de construction d’autoroutes à rebours des objectifs climat. A69 Castres-Toulouse, A133-134 en Normandie, troisième voie sur l’A1 en Suisse : autant de projets d’un autre temps orientés vers la « solution » voiture. En France, plusieurs dizaines de groupes se battent contre des projets de routes inutiles et bien souvent « écocidaires ». « Inutiles » ? Oui, car ce n’est vraiment pas un scoop et on le sait depuis désormais depuis quelque cinquante ans : construire des routes ne « fluidifie » pas le trafic. Toutes les études le montrent : la disponibilité de nouvelles routes amène toujours plus de voitures qui surchargent à leur tour ces nouvelles voies. Un seul exemple parmi des milliers : l’autoroute de contournement de Genève devait décongestionner le pont du Mont-Blanc où passaient 60 000 voitures par jour en 1982. Aujourd’hui, on avoisine toujours les 60 000 passages par jour sur ce même pont.

      La Suisse, qui a déjà l’un des réseaux de routes et d’autoroutes les plus denses du monde, a annoncé le lancement d’extensions sur le réseau des routes nationales pour un montant avoisinant les 11,6 milliards de francs (!) d’ici à 2030. Dans un message qui s’apparente plus à un texte de 1963 que de 2023, le Conseil fédéral annonce qu’il entend ainsi « fluidifier le trafic » et dit souhaiter ainsi « accroître davantage la disponibilité et la sécurité des routes nationales ». Nous sommes en 2023, la maison brûle à cause du CO2. Sans même parler de toutes les autres nuisances liées à l’utilisation massive du transport motorisé individuel (qu’il soit à essence, hybride ou électrique) telles qu’embouteillages, consommation démesurée d’espace dans les villes, bruit, pollution atmosphérique, risques constants pour les piétons, etc., il est temps de se débarrasser des héritages néfastes du XXe siècle dont fait partie le financement massif des routes. Que la route semble longue.

      HISTORIENNE, SPÉCIALISTE DE L’HISTOIRE DE LA VOITURE, UNIDISTANCE SUISSE

    • L’automobile est la cigarette de la prochaine décennie. On roule partout comme on fumait partout. Ça achève. Dans les villes, il y aura des sections autos, comme il y avait des sections fumeurs. Qui rétréciront jusqu’à disparaître. Pour le bien de tous. Il faut en faire notre deuil.

    • On le sait depuis désormais quelque cinquante ans : construire des routes ne « fluidifie » pas le trafic. Toutes les études le montrent : la disponibilité de nouvelles routes amène toujours plus de voitures qui surchargent à leur tour ces nouvelles voies.

      Du coup, construire des routes, ça fluidifie le trafic d’argent vers les poches des vendeurs de voitures, de pétrole/gaz/électricité, d’accès aux autoroutes. Eux vont pas faire leur deuil de si tôt :-)

    • et donc, bien entendu, PAF, la même ou presque, tribune sur Libé :

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/mettons-les-projets-routiers-en-deroute-20230523_TXJVIDESXJD4NMQ7ESWQBIWL

      Pour respecter ses engagements climatiques et garantir à tous des transports à faibles coûts, l’Etat français doit abandonner tout projet autoroutier et investir dans des mobilités vertes, alerte un collectif d’associations écologistes soutenu par des personnalités politiques et des chercheurs.

      ça prétend qu’il y a une pétition, avec 10 000 signatures, mais ça dit pas où.

  • Elon Musk à l’Elysée : peut-on encore recevoir le patron de Twitter comme n’importe quel patron ?
    https://www.lemonde.fr/pixels/article/2023/05/16/elon-musk-a-l-elysee-peut-on-encore-recevoir-le-patron-de-twitter-comme-n-im

    Ça pique, et c’est sacrément bien vu...

    Pour le gouvernement, la venue d’Elon Musk en France était un petit événement. Lundi 15 mai, le patron de Tesla, SpaceX et Twitter était de passage à Paris et Versailles pour Choose France, le désormais rituel grand raout des patrons conviés par le président de la République, Emmanuel Macron. Plusieurs responsables français n’ont pas manqué l’occasion de s’afficher en sa présence : le ministre délégué chargé de la transition numérique et des télécommunications, Jean-Noël Barrot, a fièrement posé à ses côtés sur son compte Instagram ; Emmanuel Macron a, lui, gratifié ses followers d’une photo prise à l’Elysée, où on le voit, souriant et en bras de chemise, devisant avec l’homme d’affaires ; quant au ministre de l’économie, Bruno Le Maire, c’est sur LinkedIn qu’il a posté un selfie avec l’ancien homme le plus riche du monde.

    Le texte qui accompagne cette photo vante un « échange constructif » au sujet du « climat », des « véhicules électriques », de « l’intelligence artificielle », de « l’attractivité de la France » et de « l’espace ». Au-delà de ces discussions pourtant, le gouvernement espérait surtout décrocher de la part du patron de Tesla un investissement dans l’Hexagone. C’est raté. Mollement, Elon Musk s’est contenté de se dire « confiant [sur le fait] que Tesla fera des investissements significatifs en France ».

    Mais cet engagement très vague n’est pas le réel problème posé par la venue, la réception et la mise en scène de la présence d’Elon Musk à Choose France. Le chef de l’Etat et les ministres pensaient sans doute s’afficher avec le visionnaire patron de Tesla, qui a contribué à la popularisation des voitures électriques, et de SpaceX, qui a révolutionné l’industrie spatiale. Mais nous sommes en 2023. Nul ne peut plus ignorer qu’Elon Musk est aussi un patron de plus en plus extrême, qui a plongé un réseau social au rôle déjà ambigu sur le débat démocratique dans des abîmes de complotisme et de désinformation.

    C’est aux côtés du héraut de l’extrême droite américaine, qui multiplie les appels du pied au mouvement suprémaciste blanc américain, que Bruno Le Maire s’est ainsi tenu, épaule contre épaule et le téléphone à bout de bras. C’est le patron d’un réseau social ayant, deux jours plus tôt, fait une faveur à l’autocrate Erdogan en censurant son opposition la veille d’une élection, qu’Emmanuel Macron a reçu. C’est avec un patron à la dérive vers un complotisme primaire que Jean-Noël Barrot a mis en scène son échange.
    Haine et désinformation

    Nul besoin d’être un exégète de sa prose pour comprendre qu’Elon Musk n’est pas simplement le patron d’entreprises à succès. Une rapide lecture de ses tweets devrait convaincre n’importe quel responsable politique qu’Elon Musk pourrait davantage relever d’une commission d’enquête parlementaire ou d’un régulateur que d’une invitation à l’Elysée.

    Il n’avait ainsi quitté Emmanuel Macron que depuis quelques heures qu’il reprenait à son compte une des principales obsessions antisémites. Dans un tweet, vu, au 16 mai à 21 heures, plus de 6,2 millions de fois, il prête au financier George Soros la volonté d’« éroder le tissu même de la civilisation ». « Soros déteste l’humanité », poursuit le patron de Twitter, qui ne fait même plus mine de cacher ses idées.

    @krassenstein You assume they are good intentions. They are not. He wants to erode the very fabric of civilization. Soros hates humanity.
    — elonmusk (@Elon Musk)

    Et Elon Musk est loin de s’arrêter là. Il a également appuyé une théorie complotiste remettant en question le caractère néonazi de la dernière tuerie de masse aux Etats-Unis, pourtant perpétrée par un homme arborant un tatouage représentant une croix gammée. Il a accusé notamment le site d’investigation Bellingcat, qui a révélé le profil du tueur, d’être coutumier de psyops (« opérations psychologiques », un terme issu du vocable militaire et à la forte consonance complotiste). Des tweets mensongers qui ont été vus plus de 15 millions de fois.
    Lire aussi la synthèse : Complotistes, homophobes, néonazis… Dix comptes emblématiques de la dérive de Twitter sous Elon Musk

    Elon Musk a aussi multiplié les références, qui font le bonheur de la droite radicale américaine, au « virus de la pensée woke » (responsable, dans un raisonnement qui n’appartient qu’à lui, des difficultés… de la ville de San Francisco) ; il a aligné les marques d’intérêt pour, voire de soutien à, des théories proches du suprémacisme blanc ; il a montré son intérêt à un tweet hostile au soutien américain à l’Ukraine ; il a aussi publié des tweets conspirationnistes sur le Covid-19, mais aussi sur son rival Facebook ou encore sur les médias américains… Et tout cela en seulement une semaine.

    Sauf qu’au-delà de ces sept derniers jours, le fil Twitter d’Elon Musk, c’est aussi l’augmentation « sans précédent » des contenus haineux et le départ d’une bonne partie des équipes responsables de la modération. Un exode qui est allé jusqu’à alarmer l’Arcom, l’Autorité de régulation de la communication audiovisuelle et numérique, que le gouvernement voit en fer de lance de la lutte contre la haine en ligne.
    Lire aussi l’analyse : Article réservé à nos abonnés Sur Twitter, Elon Musk et sa « bulle de filtre » très droitière

    Le Twitter d’Elon Musk, c’est celui qui suspend (avant de les rétablir sous la pression) les comptes de journalistes critiques, qui amnistie une foule de comptes suspendus, permettant le retour de ce que le réseau social a de pire en matière de désinformation et de haine. C’est aussi celui dont les changements des règles de modération concernant le Covid-19 lui ont attiré les vives critiques de nombreux experts en santé publique.

    Depuis des années, ce gouvernement alerte sur les dérives des réseaux sociaux et martèle sa volonté de mieux les encadrer, comme en témoigne son nouveau projet de loi visant à lutter contre « l’insécurité numérique », qui prévoit notamment de mieux lutter contre le harcèlement et l’appel à la haine sur Internet. Cela aurait pu le faire hésiter à se prendre en selfie avec l’un de ses pires représentants, accueilli en grande pompe sous les dorures de Versailles.

    Martin Untersinger

    #Elon_Musk #France #Génuflexions

  • Libia, chiesti 6 mandati di cattura dalla Corte penale dell’Aja

    I nomi sono coperti dal segreto. Per 4 c’è l’ordine di arresto, per altri due si attende il via libera del tribunale. Il procuratore Khan: «Esecrabile spirale di violenza»

    «Posso annunciare oggi che i giudici indipendenti della Corte penale internazionale hanno emesso i quattro mandati d’arresto». Le parole del procuratore internazionale #Karim_Khan segnano un salto in avanti nelle inchieste per crimini contro i diritti umani in Libia. I mandati sono coperti dal segreto allo scopo di proteggere le operazioni investigative che potrebbero portare alla cattura dei ricercati. Ai quattro ordini di cattura convalidati se ne aggiungono altri due chiesti nelle ultime ore e sottoposti al vaglio dei giudici.

    Gli indagati provengono sia da forze affiliate al governo di Tripoli che da milizie legate al generale Haftar, che controlla la Cirenaica fino al confine meridionale con il Sudan. Nei mesi scorsi “Avvenire” aveva rivelato la richiesta d’arresto firmata dalla Procura internazionale, in attesa del vaglio dei giudici (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-corte-penale-internazionale-in-libia-mandati-d). Ma ieri è arrivato il via libera. A quanto trapela, i destinatari sono nomi noti ai governi europei e a quello italiano, anche per aver cooperato con alcuni gruppi criminali coinvolti nel traffico di esseri umani, petrolio e droga.

    Il rapporto della procura internazionale, pur senza rivelare i nomi degli indagati, circoscrive con precisione i reati per i quali sono perseguiti e conferma come i crimini siano ancora in corso. Sono compresi i crimini commessi a partire dal 2011, dal momento dell’esplosione del conflitto interno al momento della caduta del colonnello Gheddafi fino alle violazioni dei diritti umani «contro libici e non libici che continuano a essere commessi nei centri di detenzione» di tutto il Paese.

    «I crimini contro i migranti continuano a essere diffusi e numerosi in Libia», si legge. Già dal settembre 2022 l‘ufficio del procuratore si era unito a una «squadra congiunta» che indaga «sui principali sospetti responsabili di crimini contro i migranti, tra cui la tratta di esseri umani, il contrabbando di esseri umani, la riduzione in schiavitù, la tortura e l’estorsione». Inizialmente la Corte penale internazionale era stata incaricata dal Consiglio di sicurezza per i soli “crimini di guerra”, ma nei mesi scorsi il procuratore Khan è riuscito a dimostrare che «i crimini contro i migranti in Libia possono costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra». In altre parole, lo sfruttamento degli esseri umani e gli abusi commessi contro le persone sono in connessione diretta con i crimini di guerra poiché a gestire la filiera del traffico di esseri umani sono le milizie nel frattempo inglobate nelle istituzioni ufficiali, che vanno dalla cosiddetta guardia costiera al Dipartimento contro l’immigrazione illegale. «È un obbligo collettivo garantire che i responsabili di tali crimini siano chiamati a risponderne», ha sottolineato il procuratore Khan.

    Uno dei primi risultati della “squadra congiunta” di cui fa parte la Cpi è stato l’arresto di #Tewelde_Goitom, noto anche come #Amanuel_Gebreyesus_Negahs_Walid, estradato dall’Etiopia nei Paesi Bassi, dove sta affrontando un procedimento penale condotto dalla giustizia olandese. Durante l’udienza preliminare, i pubblici ministeri locali «hanno mostrato come diverse famiglie olandesi (di origine subsahariana, ndr) hanno ricevuto telefonate da loro parenti nei campi e nelle strutture di detenzione gestiti da alcuni dei sospettati, mentre i loro congiunti li imploravano di inviare denaro e in sottofondo si sentivano le urla delle vittime di tortura».

    Allo sviluppo delle indagini internazionali hanno contribuito anche inquirenti d i Paesi Bassi, Italia e Regno Unito, «dimostrando la loro determinazione a garantire la responsabilità per i crimini gravi», dice Khan.

    Gli investigatori coordinati dalla procura internazionale «hanno incontrato testimoni che hanno confermato - si legge nel dossier investigativo - la violenza diffusa e sistematica contro i migranti, tra cui torture, stupri e riduzione in schiavitù». Nel suo intervento davanti al Consiglio di sicurezza il capo della procura internazionale ha parlato di «esecrabile spirale di violenza», ricordando come «le violazioni dei diritti umani contro i migranti e i richiedenti asilo contro i migranti e i richiedenti asilo continuano impunemente».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/libia-emessi-4-mandati-di-cattura-dalla-corte-penale-dell-aja
    #Cour_pénale_internationale #CPI #Libye #migrations #réfugiés #asile #justice #mandats_d'arrêt #mandat_d'arrêt #droits_humains #général_Haftar #milices #violence

  • Inside the U.S. Strategy to Counter China’s Booming Network of Ports | U.S. vs China | WSJ - YouTube
    https://www.youtube.com/watch?v=1PqKSio8o2Q

    U.S. diplomats have been working to counter China’s influence in ports that increase its economic power. Chinese firms have spent billions of dollars to operate and develop ports in areas across the world from North America to Africa.

    Can the U.S. continue to convince countries that security concerns outweigh the benefits of Chinese state investments?

    WSJ looks at Beijing’s global network of ports and how the U.S. has worked to stop its expansion in key areas around the world.

    #états-unis #Chine #géopolitique

  • Kalter Krieg und geteiltes Berlin: Diese Museen zeigen das Frontstadt-Leben
    https://www.berliner-zeitung.de/ratgeber/kalter-krieg-und-geteiltes-berlin-diese-museen-zeigen-das-frontstad

    Die Berliner Zeitung liefert einen ordentlichen Überblick. Wirklich interessant wird es jenseits der üblichen Adressen.

    6.5.2023 von Nicole Schulze - Zum Glück ist der Kalte Krieg lange vorbei – jene Zeit, in der Ost und West sich feindlich gegenüberstanden, als Berlin eine geteilte Stadt und die Angst vor einem weiteren Weltkrieg überall in Deutschland fast schon alltäglich war.

    Der Kalte Krieg begann nach dem Ende des Zweiten Weltkriegs und endete offiziell mit dem Zerfall der Sowjetunion im Jahr 1991. Eingeläutet wurde das Ende mit dem Fall der Mauer im November 1989. Berlin war stets im Auge des Orkans: von der Luftbrücke über Geheimagenten-Austausch bis hin zur Maueröffnung. Eine Frontstadt.

    Viele Berlinerinnen und Berliner können sich noch gut an diese Jahre – beziehungsweise Jahrzehnte – erinnern, andere sind zu jung; sie kennen den Kalten Krieg nur aus zweiter Hand, beispielsweise aus Filmen, dem Geschichtsunterricht oder von Erzählungen in der Familie.

    Wer sich dafür interessiert, wie es überhaupt zu Mauerbau und Kriegsangst kommen konnte, wer welche Interessen verfolgte, wie man damals lebte und weshalb jene Phase die Welt bis heute prägt, wird in der weiten Berliner Museumslandschaft schnell fündig.

    Erst im Herbst 2022 wurde das weitgehend interaktive Cold War Museum eröffnet, nur ein paar Meter von der Staatsbibliothek Unter den Linden entfernt. Es will beide Seiten der Geschichten erzählen, also sowohl die Sichtweise des Ostens als auch des Westens. Gezeigt und erzählt werden geheime sowie öffentlichkeitswirksame Aktionen, beispielsweise die Arbeit von Spionen, aber auch der Wettlauf um den ersten Flug ins All und zum Mond; es geht um atomare Aufrüstung ebenso wie um die Olympischen Spiele.

    Berlin spielt nicht nur in der Geschichte des Kalten Krieges, sondern auch im Cold War Museum eine besondere Rolle. Man erfährt viel über das damalige Leben in der Frontstadt. Mittels Virtual Reality kann man ins Geschehen eintauchen, quasi dabei sein und sich von einem Rundumblick beeindrucken lassen, etwa wenn der Soldat über den Stacheldraht vom Osten in den Westen springt – das Bild ging um die Welt, ist heute eine Ikone.

    Und so kommen Sie hin und rein: Das Cold War Museum finden Sie Unter den Linden 14 in Mitte, 2 Minuten zu Fuß vom U-Bahnhof Unter den Linden (U5, U6). Öffnungszeiten: Montags bis sonntags von 10 bis 20 Uhr. Tickets kosten ermäßigt 12 Euro beziehungsweise 16 Euro für Erwachsene, mit VR-Erlebnis 16 Euro beziehungsweise 20 Euro.
    Checkpoint Charlie

    Immer wieder wird der Checkpoint Charlie geschmäht: kein einheitliches Konzept, viel zu tourimäßig, kein angemessenes Gedenken, nur Fressbuden. Und dennoch ist der ehemalige Grenzübergang an der Friedrich- Ecke Zimmerstraße ein Ort, den man kennen sollte. „Schlagbaum und Kontrollbaracke, Flagge und Sandsäcke sind dem Originalschauplatz nachempfunden“, heißt es auf visitberlin.de.

    Der Checkpoint heißt übrigens gemäß dem internationalen Buchstabieralphabet so. Bei uns wäre das Anton, Berta, Cäsar. Im Englischen ist das Alpha, Bravo, Charlie. Der Checkpoint Alpha war der Grenzübergang Helmstedt-Marienborn (Niedersachen/Sachsen-Anhalt), Bravo war in Dreilinden, wo es heute ziemlich heruntergekommen aussieht.

    Der bekannteste Grenzübergang jedoch war und ist der Checkpoint Charlie zwischen Kreuzberg und Mitte. Hier „registrieren alliierte Posten ab dem 22. September 1961 die Angehörigen der amerikanischen, britischen und französischen Streitkräfte vor ihrer Fahrt nach Ost-Berlin“, so visitberlin.de weiter. Im Oktober 1961 stehen sich an dieser Kreuzung Panzer aus Ost und West gegenüber, USA gegen Sowjetunion, zielen mit scharfer Munition aufeinander. Die Augen der Welt waren auf Berlin gerichtet. Ein Schuss fiel glücklicherweise nicht.

    „Die Augmented Reality-App ‚Cold War Berlin‘ macht diese Geschichte dreidimensional erfahrbar: Holen Sie sich mit dem Smartphone oder Tablet ein maßstabsgetreues 3D-Modell des ehemaligen Grenzübergangs an jeden beliebigen Ort. Sehen Sie sich die Ereignisse aus verschiedenen Blickwinkeln an und entdecken Sie historische Fotos, Filme und Radiobeiträge. Tauchen Sie ein in die Geschichte des Kalten Kriegs in Berlin“, erklärt die Stiftung Berliner Mauer.

    Rund um den Checkpoint Charlie erzählen Schau- und Infotafeln vom Mauerbau und Fluchtversuchen. Einer von ihnen war Peter Fechter. Der damals 18-Jährige starb ganz in der Nähe, als er in den Westen flüchten wollte; ziemlich genau ein Jahr nach dem Mauerbau. Beim Fluchtversuch wurde er angeschossen und verblutete. Die Grenzer zu beiden Seiten schritten nicht ein – aus Angst, die Gegenseite könnte schießen. Eine Gedenkstele an der Zimmerstraße erinnert heute an Peter Fechter.

    Direkt am Checkpoint Charlie steht auch das Mauermuseum, das zahlreiche Fluchtschicksale dokumentiert und auch von geglückten, spektakulären Fluchtversuchen berichtet. Von Menschen, die die DDR verlassen wollten und von einem Leben in Freiheit, vom „goldenen Westen“ träumten.

    Und so kommen Sie hin und rein: Mit der U6 können Sie bis zur Haltestelle Kochstraße/Checkpoint Charlie fahren. Dort finden Sie nicht nur den ehemaligen Grenzübergang und die Open-Air-Ausstellung, sondern auch das privat geführte Mauermuseum. Der Checkpoint selbst ist rund um die Uhr kostenfrei zugänglich, das Museum ist täglich von 10 bis 20 Uhr geöffnet. Der Eintritt kostet 17,50 Euro für Erwachsene, Kinder ab 7 Jahren und Jugendliche zahlen 9,50 Euro. Kinder unter 6 Jahren haben freien Eintritt.

    Den Speicher am südlichen Ende der East Side Gallery kennen wohl alle Berlinerinnen und Berliner; eigentlich heißt er Mühlenspeicher. Dort, direkt an Oberbaumbrücke und der Spree, ist seit 2014 das The Wall Museum beheimatet und zeigt beeindruckende Audio- und Videoinstallationen auf mehr als 100 Bildschirmen – bekannte wie unbekannte Szenen. Mit dabei ist natürlich auch Kennedys „Ich bin ein Berliner“.

    Politik und Alltag werden lebendig, der Mauerbau in allen Einzelheiten erklärt. Den Blick auf die Teilung belegen Zeitungsberichte aus Ost und West. Passend dazu gehört zur Schau ein nachgebautes ostdeutsches Wohnzimmer, wie es 1961 zur Zeit des Mauerbaus typisch war. Auf Google schreibt jemand: „Überraschenderweise mein Lieblingsmuseum in Berlin, wenn ich in eine fremde Stadt reise, wünsche ich mir immer ein Museum, das die besondere Seele der Stadt einfängt, und das Mauermuseum hat es getan.“

    Und so kommen Sie hin und rein: Das Museum befindet sich an der Mühlenstraße 78–80 in Friedrichshain, ein paar Fußminuten vom U-Bahnhof Schlesisches Tor (U1) oder vom Bahnhof Warschauer Straße (U1, S3, S5, S7, S9). Vom Ostbahnhof kommend können Sie erst an der East Side Gallery entlangschlendern und dann das Museum besuchen. Geöffnet ist das täglich von 10 bis 18.30 Uhr. Tickets gibt’s ab 5 Euro, Kinder bis 7 Jahre haben freien Eintritt.
    Tränenpalast

    Es könnte wohl keinen treffenderen sprechenden Namen für diesen historischen Ort geben als Tränenpalast, die frühere Ausreisehalle, von wo aus man aus der DDR mit U-, S- oder Fernbahn in den Westen gelangte – allerdings war dieses Privileg in der Regel nur dem Westbesuch gestattet, der hier tränenreich von der Ostverwandtschaft verabschiedet wurde.

    Die Kontrollschalter und Abfertigungskabinen sind erhalten und können besichtigt werden, ebenso Schilder, Ausweispapiere, Uniformen, Videos und Fotos. Eröffnet wurde die Ausreisehalle ein Jahr nach dem Mauerbau, im Jahr 1962. Nach dem Mauerfall wurde der Verbindungsgang zum Bahnhof Friedrichstraße abgerissen, weshalb der Tränenpalast heute ziemlich einsam und klein neben dem riesigen Bahnhof steht.

    Seit 2011 beherbergt der Tränenpalast die 550 Quadratmeter große Ausstellung „Alltag der Deutschen Teilung“; verantwortlich ist die Stiftung Haus der Geschichte der Bundesrepublik Deutschland.

    Und so kommen Sie hin und rein: Der Tränenpalast ist direkt am Bahnhof Friedrichstraße (u.a. Stadtbahn, Regio, Tram M1) in Mitte. Öffnungszeiten: Dienstags bis freitags von 9 bis 19 Uhr, am Wochenende von 10 bis 18 Uhr. Der Eintritt ist kostenlos.
    Bernauer Straße

    Die Bilder aus der Bernauer Straße lösen auch heute noch Gänsehaut aus: die zugemauerten Fenster, die Verzweiflung der eilig fliehenden Menschen, nur das Nötigste in der Hand, wie sie sich aus dem oberen Stockwerk hangeln und dann rennen. Familien und Freunde wurden von jetzt auf gleich getrennt. Die Tragödie kann man in der Gedenkstätte Berliner Mauer anhand von Biografien nachempfinden.

    An der ehemaligen Grenze zwischen Wedding und Mitte wurde der Mauerverlauf dort, wo keine Betonelemente erhalten geblieben sind, mit Cortenstahl nachgezeichnet. Hier sprang der Grenzpolizisten Conrad Schumann über den Stacheldraht in den Westen – zwei Tage nach dem Mauerbau. Anders als an der East Side Gallery ist die Mauer hier nicht bunt bemalt, kein Kunstwerk, sondern wirkt abweisend und kalt.

    Einmalig ist der Wachturm mit Todesstreifen, besonders gut zu sehen von der Aussichtsplattform auf der gegenüberliegenden Straßenseite. Das Ausmaß der Mauer wird einem hier umso mehr bewusst. Es war eben nicht nur eine hohe Betonmauer. Auf dem Areal der Gedenkstätte befinden sich auch „die freigelegten Fundamente eines ehemaligen Wohnhauses, dessen Fassade bis Anfang der 1980er Jahre die Grenzmauer bildete“, wie die Stiftung auf der Website schreibt.

    Und so kommen Sie hin und rein: Die offizielle Adresse der Gedenkstätte Berliner Mauer lautet Bernauer Straße 111 in Mitte. Dorthin kommen Sie vom S-Bahnhof Nordbahnhof (u.a. S1, S2) in 5 Minuten zu Fuß; vom U-Bahnhof Bernauer Straße (U8) sind es 6 Minuten. Das Dokumentationszentrum und das Besucherzentrum sind von dienstags bis sonntags von 10 bis 18 Uhr geöffnet, montags ist Ruhetag. Die Ausstellung auf dem Gedenkstättenareal kann täglich von 8 bis 22 Uhr besucht werden. Der Eintritt ist frei.

    „Wie aus Feinden Freunde wurden“ heißt die Dauerausstellung im Zehlendorfer Alliiertenmuseum und erzählt „die Geschichte der Westmächte in Berlin von 1945 bis 1994“, so der Untertitel. Natürlich geht es um Besatzung und Demokratisierung, aber auch um die Luftbrücke – zu sehen ist auch ein echter Rosinenbomber, aber auch originale Fahrzeuge, Carepakete, die Rias-Leuchtschrift. Berliner Geschichte und Weltgeschehen in einem.

    Im weiteren Verlauf der Ausstellung richtet sich der Fokus „auf die militärische Konfrontation von Ost und West während des Kalten Krieges. Berlin war ein besonders wichtiger Schauplatz für das Kräftemessen der gegnerischen Geheimdienste. Neben dem Alltagsleben in den Garnisonen werden schlaglichtartig auch die Ereignisse von der Deutschen Einheit 1990 bis zum Abzug der Westmächte beleuchtet“, heißt es auf der Website des Museums.

    Und so kommen Sie hin und rein: Das Alliiertenmuseum ist in der Clayallee 135 in Zehlendorf, direkt an der Bushaltestelle Clayallee (Bus 110); vom U-Bahnhof Oskar-Helene-Heim (U3) sind es 8 Minuten zu Fuß. Geöffnet ist es immer dienstags bis sonntags von 10 bis 18 Uhr, montags ist es zu. Der Eintritt ist kostenlos.

    In Karlshorst wurde das Ende des Zweiten Weltkriegs besiegelt: Im sowjetischen Hauptquartier, einem eher schlichten Bau, wurde in der Nacht vom 8. auf den 9. Mai 1945 die bedingungslose Kapitulation der Wehrmacht erklärt. „Der Saal, in dem die Unterzeichnung stattfand, ist bis heute erhalten. Er bildet das Herzstück des Museums“, heißt es auf der Website.

    In der Hauptsache beschäftigt sich das Museum Karlshorst, das bis zum Angriffskrieg auf die Ukraine noch Deutsch-Russisches Museum hieß, mit dem Zweiten Weltkrieg. Es geht um das Verhältnis des Deutschen Reiches zur Sowjetunion, und Karlshorst lag nach dem Krieg in der sowjetischen Besatzungszone (SBZ), später in der DDR. Insofern ist dieses etwas abseits gelegene Museum ein wichtiges Puzzlestück, wenn man den Beginn des Kalten Krieges verstehen will.

    „Von 1945 bis 1949 residierte im Gebäude der Chef der Sowjetischen Militäradministration in Deutschland. Nach unterschiedlicher Nutzung durch das sowjetische Militär wurde 1967 in dem Gebäude das ‚Museum der bedingungslosen Kapitulation des faschistischen Deutschlands im Großen Vaterländischen Krieg 1941–1945‘ gegründet. Es bestand bis 1994. Mit dem Abzug der russischen Truppen wurde der Verein ‚Museum Berlin-Karlshorst e.V.‘ gegründet und am 10. Mai 1995 zum 50. Jahrestag des Kriegsendes in Europa eröffnete das ‚Museum Berlin-Karlshorst‘“, steht auf der Website.

    Draußen stehen originale Panzer, die ja so charakteristisch (nicht nur) mit dem Kalten Krieg verbunden sind. Im Museum selbst finden Sie neben Propagandaplakaten, Feldpostkarten, Fotos und Videos auch Zeitungsberichte oder Tagebuchzitate.

    Und so kommen Sie hin und rein: Das Museum Karlshorst befindet sich in der Zwieseler Str. 4, direkt an der Bushaltestelle Museum Karlshorst (Bus 196), vom S-Bahnhof Karlshorst (S3, auch Tram 21, 27 u.a.) sind es 15 Minuten zu Fuß. Geöffnet ist das Museum von dienstags bis sonntags zwischen 10 und 18 Uhr, montags ist es geschlossen. Der Eintritt ist kostenlos, ein Audioguide kostet 3 Euro.

    #Berlin #Geschichte #Mauer #Museum

  • Réchauffement et chaos climatiques : face aux risques pour les profits de la classe capitaliste, la solution du « #météo_business »

    Entreprises privées de prévision météo : « Avec le #changement_climatique et les événements météo tangibles, les PDG reconnaissent qu’il peut y avoir un besoin »

    Quelle quantité de pluie et de soleil y aura-t-il pour faire pousser les récoltes ? Combien d’énergie solaire va remonter dans le réseau électrique, et quelle sera la demande d’électricité ? Un camion réfrigéré sera-t-il nécessaire pour livrer les vaccins aux pharmacies ? Faut-il mettre les parapluies en vitrine, réapprovisionner les boutiques en crème glacée et en sodas ?

    Dans la vie de tous les jours, les entreprises sont un peu comme Madame Michu : elles n’arrêtent pas de causer de la pluie et du beau temps. A plus forte raison lorsqu’elles sont exposées au changement climatique. Ce risque croissant a ouvert un boulevard aux spécialistes privés de la prévision météorologique, comme #WeatherNews, #DTN, #Accuweather. Ces entreprises qui ne sont ni des start-up ni des multinationales malgré leur forte internationalisation sont en train de diversifier leurs services de conseil, dans une multitude de métiers, et bien au-delà de la #météo.

    Deux d’entre elles se sont installées à Norman, sur le campus de l’université d’Oklahoma, un long tapis de verdure semé de bâtiments de brique rouge disparates. C’est là qu’est implanté le National Severe Storms Laboratory (NOAA), le centre météorologique public qui prévoit et surveille l’apparition des tornades sur tout le territoire américain.

    […] A l’origine, les armateurs se préoccupaient uniquement de la sécurité des bateaux. Mais ils ont désormais accès à des prévisions variées, qui ont un impact direct sur leur compte de résultat, explique Mark Glander : « C’est bien plus que de la météo. Nous pouvons prédire combien de temps va durer le voyage, combien de fuel vous allez brûler, et combien cela va coûter ».

    […] de nombreux métiers commencent juste à découvrir l’importance du conseil météo, assure-t-il : « On ne fait que gratter la surface. On peut résoudre tant de problèmes », dit-il, après avoir évoqué les voitures électriques dont la durée de batterie est parfois divisée par trois à cause du froid, ou les voitures autonomes démunies contre les routes verglacées.

    « On croit souvent qu’on ne peut rien faire en cas de mauvaise météo, ce qui n’est pas vrai, et ce qui pousse à prendre de gros risques réputationnels », insiste-t-il. Si l’organisateur d’un concert en plein air de 10.000 personnes laisse les spectateurs se garer dans la boue, l’affaire peut rapidement devenir un « désastre logistique », illustre-t-il. A l’inverse, en cas de chaleur, mieux vaut prévoir des bouteilles d’eau pour éviter les évanouissements.

    (Les Échos)

    #climat #capitalisme #gestion_des_risques

  • Analysis: Fears mount for the Arctic as cooperation with Russia stalls | Reuters
    https://www.reuters.com/world/fears-mount-arctic-cooperation-with-russia-stalls-2023-05-09

    Now, a year after council members stopped working with Russia following its invasion of Ukraine and as Norway prepares to assume the chairmanship from Moscow on May 11, experts are asking whether the polar body’s viability is at risk if it cannot cooperate with the country that controls over half of the Arctic coastline.

    […]

    Recently, [Russia] has taken steps to expand cooperation in the Arctic with non-Arctic states. On April 24, Russia and China signed a memorandum establishing cooperation between the countries’ coast guards in the Arctic.

    #Arctique #géopolitique

    • Now, a year after council members stopped working with Russia following its invasion of Ukraine and as Norway prepares to assume the chairmanship from Moscow on May 11, experts are asking whether the polar body’s viability is at risk if it cannot cooperate with the country that controls over half of the Arctic coastline.
      […]
      The work of the council, which comprises the eight Arctic states of Finland, Norway, Iceland, Sweden, Russia, Denmark, Canada and the United States, in the past has produced binding agreements on environmental protection and preservation.

      It is also a rare platform giving a voice to the region’s Indigenous peoples. It does not deal with security issues.
      […]
      Days earlier, on April 14, Russia invited China, India, Brazil and South Africa - the BRICS - to conduct research at its settlement on Svalbard, an Arctic archipelago under Norwegian sovereignty where other countries can operate under a 1920 Treaty.

  • „Urban Mining Moabit“: Unter dem Gras ist der Schrei des Krieges noch zu hören


    Fundstücke von den Grabungen im Trümmerberg des Fritz-Schloß-Parks in Moabit. Geborgen von dem Kunstprojekt „Urban Mining Moabit“

    6.5.2023 von Ulrich Seidler - Ein Kunstprojekt wühlt sich in die Geschichte der Stadt und findet in den Trümmern die Fäden, mit denen die Gegenwart an die Vergangenheit gefesselt ist.

    Die Vergangenheit ist nicht vergangen, sie liegt weitgehend unverdaut und ganz gut geschützt unter einer Grasnarbe, die sie wie eine dünne Haut zudeckt. Eine Million Kubikmeter Trümmer haben die Rodelberge des Fritz-Schloß-Parks in Moabit im Bauch. Man kann da spazieren, in der Frühlingssonne liegen, Tennis spielen und im Winter eben Schlitten fahren. Die Steine wurden nach den Bombenangriffen im Zweiten Weltkrieg von den umliegenden Ruinen eingesammelt, auf der Bodendecke einer Wehrmacht-Kasernenanlage aufgeschüttet und am Ende mit einer Schicht Mutterboden bestreut.

    Flach wurzelnde Robinien, Pappeln, Ahorn und die ortsübliche Berliner Gestrüpp-Mischung kommen am besten mit solchen Bedingungen zurecht. Strubbelgräser und Pissnelken schieben ihre Wurzeln, Pilze ihr Myzel zwischen die Ziegel, Kacheln, Fliesen, Glasscherben. Würmer, Insekten, Schnecken und Mikroben verstoffwechseln organisches Material, lassen Ausscheidungen in die Kavernen sickern, Wasser dringt in die Kapillaren ein, gefriert, sprengt Strukturen auf, lässt Bauteile zu Baustoffen erodieren. Das dauert. Bis alle Spuren vernichtet sind, dürfte die Menschheit längst ausgestorben sein.

    Der langsame Atem der Zeit

    Das spartenübergreifende freie Projekt „Urban Mining Moabit“ – künstlerisch geleitet von dem Dramaturgen Uwe Gössel – will den für die menschliche Wahrnehmung eigentlich viel zu langsamen Atem der Zeit belauschen und schickt nach einer konkreten Grabung eine metaphorische Sonde ins Innere des Berges, die durch die Flözschichten der Vergangenheit bricht, Informationen aufsammelt und Assoziationen verbreitet.

    In dem kleinen Projektraum „Kurt Kurt“, untergebracht in dem Geburtshaus von Kurt Tucholsky ( Lübecker Straße 13, 10559 Berlin), wurde am Freitag mit einem Impuls von Adrienne Göhler und unaufdringlichen performativen Interventionen eine Ausstellung eröffnet, die ähnlich sortiert ist wie das Gekröse im Berg. Der Zufall hat bei der Schichtung die Feder geführt, Objekte stoßen eine Erzählung an, die Gedankengänge verzweigen sich, brechen abrupt ab, finden woanders ihre motivische Fortsetzung und kommen nie zum Abschluss.


    Eine Collage aus Postkarten (Ausschnitt)

    Es gibt Kartenmaterial, das blitzlichthaft die Bewegung der Stadt abbildet, das Aufreißen und Vernarben von Wunden zeigt. Verrostete Türbeschläge, eine in der Hitze des Feuersturms geschmolzene Bierflasche, Ofenkacheln, deren Glasur glänzt, als hätte man sie eben erst gebrannt, werden präsentiert wie ausgegrabene Fossilien oder vorgeschichtliche Schätze – und das sind sie ja auch: Zeugnisse und Überbleibsel von Erzählungen, die beginnen, sich zu Mythen zu verdichten, zu verklären und zu verrätseln.

    Die über 90-jährige Ingrid Thorius sitzt vor dem Projektraum und erzählt, dass sie in der Lehrter Straße aufgewachsen ist und mit ihrem Freund Keule in den Bombentrichtern gebadet hat. Sie genießt die Aufmerksamkeit und scheint sich ihrer Zeitzeugenschaft bewusst zu sein, ihre Vorfahren haben die Garde-Ulanen noch auf ihren Pferden gesehen und sie weiß, wie es ist, im Keller zu hocken, während die Stadt über einem brennt. Ihre Gedanken gehen auch in die Ukraine, wo die Raketen einschlagen und die Leute unter der Erde hausen müssen, während sich oben ihre Wohnungen in Ruinen verwandeln im Mahlstrom des Krieges. Man hört ihn noch kauen, man hört seinen Schrei, wenn man durch den Fritz-Schloß-Park, wenn man durch Berlin geht.

    Urban Mining Moabit – Bodenproben Trümmerberge. 6. Mai, 16–23 Uhr Ausstellung und Film, 20 Uhr Performative Intervention, 7. Mai, 16–19 Uhr Ausstellung und Film, Ort: Projektraum Kurt-Kurt, Lübecker Str. 13, weitere Infos unter https://www.bodenproben.org

    Fritz-Schloß-Park - Berlin Lexikon
    https://berlingeschichte.de/lexikon/mitte/f/fritz_schloss_park.htm

    Auf dem Gelände befanden sich große Teile der Kontext: Kaserne des 4. Garderegiments zu Fuß Kaserne des 4. Garderegiments zu Fuß. Nach Zerstörungen im II. Weltkrieg nutzte man das Gebiet als Trümmerhalde. 1955 gestaltete Wilhelm Kontext: Alverdes, Wilhelm Alverdes den Park. Im gleichen Jahr erhielt er den Namen des Tiergartener Bezirksbürgermeisters Fritz Kontext: Schloß, Fritz Schloß. Der F. ist mit 12 ha die zweitgrößte Parkanlage des Bezirks. Hier befinden sich mehrere Sportanlagen, ein Tennisplatz, ein Hallen- und Freibad und das Poststadion. Ein Gedenkstein erinnert an die Erbauer.

    Edition Luisenstadt, 2002, Stand: 19. Mrz. 2002, Berliner Bezirkslexikon, Mitte, www.berlingeschichte.de/Lexikon/Index.html

    https://bodenproben.org

    Fritz-Schloß-Park
    https://berlin.kauperts.de/eintrag/Fritz-Schloss-Park-Seydlitzstrasse-10557-Berlin

    OPenstreetmap
    https://www.openstreetmap.org/relation/15803725

    #Fritz-Schloß-Park – Wikipedia
    https://de.wikipedia.org/wiki/Fritz-Schlo%C3%9F-Park

    #Berlin #Mitte-Tiergarten #Moabit #Poststadion #Stephankiez #Lübecker_Straße #Rathenower_Straße, #Kruppstraße #Seydlitzstraße #Lehrter_Straße #Geschichte #Archeologie #Kurt_Tucholsky

  • Darmanin cache son déplacement à Gruson mais n’évite pas le concert de casseroles Yacha Hajzler - france3-regions

    La préfecture des Hauts-de-France avait vivement démenti l’annonce de la venue de Gérald Darmanin à Gruson, ce 6 mai. Pourtant, le ministre de l’Intérieur s’est bien rendu dans le Nord. Il a été rapidement repéré par les opposants à la réforme des retraites et n’a pas pu éviter le concert de casseroles.

    Un jeu de cache-cache qui n’a pas vraiment eu le succès escompté. Le 5 mai, dans un tweet publié sur son compte officiel, la préfecture des Hauts-de-France démentait fermement l’annonce d’un déplacement de Gérald Darmanin à Gruson, dans le Nord. « Il n’a jamais été question qu’il vienne », affirmait même l’autorité préfectorale. 


    La mairie de Gruson dégradée quelques heures avant la venue de Gérald Darmanin. • © France Télévisions

    Il faut dire que, sur les réseaux sociaux, les opposants à la réforme des retraites organisaient déjà leur concert de casseroles pour la venue du ministre de l’Intérieur.

    Malgré les démentis, un ministre bel et bien là
    Et, malgré les démentis, Gérald Darmanin était bien là, ce samedi 6 mai, au lieu dit et à l’heure dite. C’est lui-même qui l’a annoncé sur son compte twitter, photo tout sourires avec les élus locaux à l’appui. L’entourage du ministre a fait valoir auprès de l’AFP une décision prise « en dernière minute », une justification qui n’a pas convaincu les opposants nordistes. 

    En conséquence, le ministre n’a pas mis longtemps avant d’être retrouvé par les protestataires, qui ont déplacé la « casserolade » en dernière minute devant la mairie de Tourcoing, où Gérald Darmanin a fait escale comme à son habitude. 

    « Bah alors on se cache ? On fait publier des fakenews à la préfecture et au ministère de l’Intérieur parce qu’on a peur du peuple et de ses casseroles ? » , a interpellé le collectif lillois L’Offensive sur Twitter.



    La mairie de Gruson taguée et dégradée
    A Gruson, en lieu et place du ministre, c’est la mairie qui a fait les frais de la frustration des manifestants. Quelques heures avant la venue du ministre, la façade a été dégradée par des tags et un impressionnant déversement d’huile de vidange. 

    Sur les tags, on pouvait notamment apercevoir le symbole anarchiste ainsi que les mots « Darmanin violeur » , en référence à la plainte déposée à son encontre en 2017 et pour laquelle il a pour l’instant bénéficié d’un non-lieu. Noirci par les dégâts, l’édifice public est en cours de nettoyage.

    Source : https://france3-regions.francetvinfo.fr/hauts-de-france/nord-0/darmanin-cache-son-deplacement-a-gruson-mais-n-evite-pa

    #casserolades #casseroles #casserolade #révoltes #france #macron #foutriquet #histoire #reformedesretraites #casseroladegenerale #gérald_darmanin #manifestation

  • Pour Geoffrey Hinton, le père fondateur de l’#IA, les progrès actuels sont « effrayants »

    Mercredi, pour sa première apparition publique depuis la parution de l’article, #Geoffrey_Hinton s’est expliqué longuement sur les raisons de son départ [de #Google]. Interrogé en visioconférence lors de la conférence EmTech Digital, organisée à Boston par la « MIT Technology Review », le chercheur a indiqué avoir « très récemment changé d’avis » sur la capacité des modèles informatiques à apprendre mieux que le cerveau humain. « Plusieurs éléments m’ont amené à cette conclusion, l’un d’entre eux étant la performance de systèmes tels que #GPT-4. »

    Avec seulement 1.000 milliards de connexions, ces systèmes ont, selon lui, « une sorte de sens commun sur tout, et en savent probablement mille fois plus qu’une personne, dont le cerveau a plus de 100.000 milliards de connexions. Cela veut dire que leur algorithme d’apprentissage pourrait être bien meilleur que le nôtre, et c’est effrayant ! »

    D’autant que, comme ces nouvelles formes d’intelligence sont numériques, elles peuvent partager instantanément ce qu’elles ont appris, ce dont les humains sont bien incapables… Reconnaissant qu’il avait longtemps refusé de croire aux dangers existentiels posés par l’#intelligence_artificielle, et en particulier à celui d’une « prise de contrôle » de l’humanité par des machines devenues superintelligentes, Geoffrey Hinton n’hésite plus à évoquer ce scénario catastrophe. « Ces choses auront tout appris de nous, lu tous les livres de Machiavel, et si elles sont plus intelligentes que nous, elles n’auront pas de mal à nous manipuler. » Avant d’ajouter, avec un humour pince-sans-rire : « Et si on sait manipuler les gens, on peut envahir un bâtiment à Washington sans être sur place. »
    Face à un tel risque, le chercheur avoue « ne pas avoir de solution simple à proposer. Mais je pense qu’il faut y réfléchir sérieusement. »

    (Les Échos)

  • L’espace public des hommes entre eux, une forme notoire de sexualité secrète
    https://metropolitiques.eu/L-espace-public-des-hommes-entre-eux-une-forme-notoire-de-sexualite-

    La sexualité secrète entre hommes est au cœur de cet épisode de l’émission « Le #genre en ville ». Laurent Gaissad, socio-anthropologue, revient sur les modalités de rencontre entre hommes, et sur la marginalisation sociale, spatiale et temporelle de leurs pratiques sexuelles. Émission : Le genre en ville Laurent Gaissad montre l’existence d’une recomposition territoriale et temporelle des espaces urbains lorsqu’ils deviennent des lieux de drague. L’organisation spatiale du désir décrite dans cet #Podcasts

    / sexualité, homosexualité, masculinité, genre

    #sexualité #homosexualité #masculinité