• #Finn_MacKay : Ne décriez pas le féminisme radical – il a toujours été en avance sur son temps
    https://tradfem.wordpress.com/2022/02/23/finn-mackay-ne-decriez-pas-le-feminisme-radical-il-a-toujours-ete

    En fait, loin d’être dépassé ou opposé à de telles transformations, le féminisme radical a été en avance sur son temps. Les féministes radicales des années 1970 ont été parmi les premières à prendre au sérieux les débats sur le genre et la sexualité qui secouent actuellement notre société. Nombre d’entre elles attendaient avec impatience l’avènement de relations polyamoureuses et pansexuelles fluides, où les rôles sociaux ne seraient plus définis par les caractéristiques sexuées des individus dès la naissance. Leur travail a contribué à tendre vers l’égalité structurelle pour les femmes, vers des acceptions plus larges de la famille et une plus grande liberté d’expression pour les identités de sexe et de genre qui vont à l’encontre du sens même de l’hétérosexualité.

    L’un des principes centraux du #féminisme_radical a toujours été le rejet de l’essentialisme biologique – la croyance en des rôles sexués innés et biologiques. L’aboutissement de la révolution féministe, selon #Shulamith_Firestone, autrice de La dialectique du sexe, ne doit pas « se limiter à la suppression des privilèges masculins mais viser l’élimination même de la discrimination entre les sexes : les différences génitales entre les êtres perdraient leur importance sociale ». Comme l’écrivait la féministe radicale, poète et artiste #Kate_Millett dans son livre de 1970 devenu un classique, La politique du mâle, « quelles que soient les différences « réelles » qu’il puisse y avoir entre les sexes, nous n’aurons aucune chance de les connaitre tant que ces deux groupes ne seront pas traités autrement qu’ils ne le sont, c’est-à-dire d’une façon identique. Et nous en sommes encore bien loin ».

    Version originale : https://www.theguardian.com/commentisfree/2021/oct/17/radical-feminism-social-justice
    Traduction : #Tradfem

  • La #vaccination contre le #Covid-19 réduit le risque de syndrome inflammatoire multi systémique chez les personnes âgées entre 12-20 ans

    Reported cases of multisystem inflammatory syndrome in children aged 12–20 years in the USA who received a COVID-19 vaccine, December, 2020, through August, 2021 : a surveillance investigation - The Lancet Child & Adolescent Health
    https://www.thelancet.com/journals/lanchi/article/PIIS2352-4642(22)00028-1/abstract

    #Kawasaki

  • La Danimarca e le prigioni off-shore
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/La-Danimarca-e-le-prigioni-off-shore-215757

    Sono immigrati incarcerati in Danimarca. Dal 2023 rischiano di scontare la propria pena in un peniteniario di Gjilian, in Kosovo. Un approfondimento sullo sconcertante accordo del dicembre scorso tra Copenhagen e Pristina

  • Etiopia, i conti col passato: la strage di Addis Abeba del 1937

    Sono passati 85 anni ma gli eccidi compiuti dagli invasori italiani - quello di Addis Abeba e quello successivo di Debre Libanòs, ai danni di centinaia di monaci cristiano-copti -, sembrano non avere lasciato traccia nella memoria comune italiana, come del resto tutto il nostro passato coloniale. In Etiopia, invece, il 19 febbraio rappresenta il momento del ricordo di una tragedia collettiva

    È il 19 febbraio del 1937, nel calendario etiopico il 12 Yekatit 1929. Addis Abeba è in festa per celebrare davanti al Ghebì imperiale la nascita di Vittorio Emanuele, il figlio del re, del nuovo imperatore d’Etiopia. Otto granate esplodono alle spalle del viceré, il temutissimo Rodolfo Graziani, e provocano la morte di sette persone e circa cinquanta feriti. Sino al 21 febbraio la capitale etiopica sarà messa a ferro e fuoco, causando la morte e il ferimento di migliaia di civili.

    Quella strage, “Il massacro di Addis Abeba” come è stata definita dallo storico Ian Campbell nel suo testo dedicato all’analisi degli eventi avvenuti nel febbraio 1937, rappresenta solo l’inizio di una carneficina che coinvolgerà anche il monastero cristiano-copto di Debre Libanòs. Luogo mistico situato nella regione Oromo, a nord di Addis Abeba, divenne teatro di una storica “vergogna italiana” (per riprendere il sottotitolo del testo di Campbell).

    Paolo Borruso, nel suo testo Debre Libanòs 1937: il più grave crimine di guerra dell’Italia (edito da Laterza nel 2020), ricostruisce le inquietanti vicende che hanno contraddistinto una delle pagine più buie del colonialismo italiano. Il convento di Debre Libanòs era considerato il luogo di ospitalità di alcuni degli attivisti della resistenza etiopica che avevano partecipato all’attentato contro il viceré, anche se dalle ricostruzioni di Borruso emerge che gli attentatori si fossero solo ritirati brevemente presso il monastero.

    La strage, compiuta dalle truppe italiane guidate dal generale Pietro Maletti ai danni dei monaci, si consumò tra il 21 e il 29 maggio 1937, causando la morte di circa 450 monaci. Le spedizioni punitive elaborate dalla mente del generale Graziani (passato alla storia come il “macellaio del Fezzan”, per i metodi feroci utilizzati nella riconquista dell’area libica tra il 1929 e il 1930), sembra facessero parte di un piano ben dettagliato di violenza su vasta scala che aveva lo scopo di esibire la forza delle truppe coloniali italiane e costringere alla resa l’élite etiopica.

    Sono passati 85 anni ma, sia la strage di Addis Abeba, sia il massacro di Debre Libanòs, sembrano non avere lasciato traccia nella memoria comune italiana, come del resto tutto il nostro passato coloniale. Tralasciando le meritorie ricostruzioni storiche di Angelo Del Boca, la storiografia italiana ha poco sottolineato la gravità dei crimini commessi durante l’occupazione italiana dell’Etiopia.

    Nel 2006 alla Camera dei deputati fu presentato un progetto di legge recante il seguente titolo: Istituzione del «Giorno della memoria in ricordo delle vittime africane durante l’occupazione coloniale italiana». Nel preambolo della proposta di legge si riconosce l’importanza della strage e la si definisce come “giornata simbolo in memoria delle migliaia di civili africani etiopici, eritrei, libici e somali, morti nel corso delle conquiste coloniali”.

    In Etiopia, invece, il 19 febbraio rappresenta il momento di condivisione di una tragedia collettiva. Nel 1955 un obelisco è stato eretto nella capitale per commemorare questa “inutile strage” e da allora, anche durante il governo socialista del Derg, ogni presidente ha reso omaggio alle vittime del colonialismo italiano. Se ancora parzialmente restano sul terreno le vestigia dell’architettura italiana in Etiopia (uno fra tanti il quartiere Incis, oggi Kazanchis), nella nostra memoria non vi sono neppure le macerie.

    https://www.nigrizia.it/notizia/etiopia-i-conti-col-passato-la-strage-di-addis-abeba-del-1937

    #fascisme #Italie #colonialisme #massacre #massacre_d'Addis_Abeba #19_février_1937 #Debre_Libanòs #Ethiopie #Italie #Italie_coloniale #colonialisme #histoire #passé_colonial #Rodolfo_Graziani #Graziani #Pietro_Maletti #Maletti #macellaio_del_Fezzan #violence #Incis #Kazanchis

    –-

    ajouté à ce fil de discussion:
    #Addis_Ababa_massacre memorial service – in pictures
    https://seenthis.net/messages/671162
    et à la métaliste sur le colonialisme italien:
    https://seenthis.net/messages/871953

    • Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia

      Tra il 20 e il 29 maggio 1937 ebbe luogo, in Etiopia, il più grave eccidio di cristiani mai avvenuto nel continente africano: nel villaggio monastico di Debre Libanos, il più celebre e popolare santuario del cristianesimo etiopico, furono uccisi circa 2000 tra monaci e pellegrini, ritenuti ‘conniventi’ con l’attentato subito, il 19 febbraio, dal viceré Rodolfo Graziani. Fu un massacro pianificato e attuato con un’accurata strategia per causare il massimo numero di vittime, oltrepassando di gran lunga le logiche di un’operazione strettamente militare. Esso rappresentò l’apice di un’azione repressiva ad ampio raggio, tesa a stroncare la resistenza etiopica e a colpire, in particolare, il cuore della tradizione cristiana per il suo storico legame con il potere imperiale del negus. All’eccidio, attuato in luoghi isolati e lontani dalla vista, seguirono i danni collaterali, come il trafugamento di beni sacri, mai ritrovati, e le deportazioni di centinaia di ‘sopravvissuti’ in campi di concentramento o in località italiane, mentre la Chiesa etiopica subiva il totale asservimento al regime coloniale. L’accanimento con cui fu condotta l’esecuzione trovò terreno in una propaganda (sia politica che ‘religiosa’) che andò oltre l’esaltazione della conquista, fino al disprezzo che cominciò a circolare negli ambienti coloniali fascisti ed ecclesiastici nei confronti dei cristiani e del clero etiopici, con pesanti giudizi sulla loro fama di ‘eretici’, scismatici. Venne a mancare, insomma, un argine ad azioni che andarono oltre l’obiettivo della sottomissione, legittimate da una politica sempre più orientata in senso razzista. I responsabili di quel tragico evento non furono mai processati e non ne è rimasta traccia nella memoria storica italiana. A distanza di ottant’anni, la vicenda riappare con contorni precisi e inequivocabili che esigono di essere conosciuti in tutte le loro implicazioni storiche.

      https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858139639
      #crimes_de_guerre #livre

  • Comment je suis devenu #sniper pour éviter la #prison | #StreetPress
    https://www.streetpress.com/sujet/1644938700-comment-devenu-sniper-armee-eviter-prison-angleterre-londres
    #crime
    #gang
    #knives

    À 19 ans, Juan Lopez, un colombien exilé dans un quartier populaire de #Londres, est condamné à une peine de prison. Seule alternative à la détention : s’engager dans l’armée. Il raconte à StreetPress comment il devient sniper après avoir été délinquant.

    Knives est la nouvelle série documentaire de StreetPress sur la crise des attaques au couteau en #Angleterre. Chaque mardi, on vous propose une vidéo pour comprendre ce phénomène de société qui fait des ravages outre-Manche, surtout chez les jeunes des #quartiers_populaires.

  • Nach über 100 Jahren noch im Stadtplan erkennbar: Der Schwarze Graben - Charlottenburg-Wilmersdorf
    https://www.berliner-woche.de/charlottenburg-wilmersdorf/c-umwelt/der-schwarze-graben_a337001

    20.1.2022 von Michael Roeder - Den Schwarzen oder Haupt-Graben in Wilmersdorf, Schöneberg und Charlottenburg gibt es zwar seit Ende des 19. Jahrhunderts nicht mehr, aber er hatte Einfluß auf die Stadtplanung und ist noch heute deutlich erkennbar am Verlauf verschiedener Grünanlagen und Straßenzüge. Er diente sowohl der Entwässerung der sumpfigen Landstriche östlich und nördlich von Wilmersdorf und des Lietzensees als auch dem Abtransport von Fäkalien.

    1862

    Entstehung und Verlauf

    Um 1680 Ausgangspunkt ist eine Karte von 1680 [Karte 1]. Sie zeigt den ursprünglichen Bach „Schwarzer Graben“ von seinem Ausgangspunkt nordwestlich des Botanischen Gartens (heute: Kleistpark) bis zur Einmündung in die Spree kurz oberhalb der Schloßbrücke, wobei er auf dem Weg dorthin das sumpfige Hopfenbruch (das Gebiet zwischen Kurfürstendamm und Berliner Straße) durchfloß, den Kurfürstendamm am Priesterweg (Leibnizstraße) unterquerte und schließlich noch den Abfluß des Lietzensees aufnahm.

    Um 1800 Im 18. Jahrhundert wurde der Bach zu einem Abflußgraben ausgebaut und wesentlich verlängert. Auf einem Plan von 1800 [Karte 2] sieht man diesen neugeschaffenen südlichen Grabenteil, der die Verbindung zwischen dem Wilmersdorfer See und dem einstigen Bach am Botanischen Garten herstellte. Hier ist diese Verlängerung noch namenlos; auf späteren Karten wird sie „Großes Fenn“ genannt. Mit diesem Vorflutgraben wurde das sumpfige Fenn zwischen Wilmersdorf und Schöneberg (heute: Volkspark) entwässert und Regenwasser abgeführt. Der Graben lief, parallel zur Hauptstraße, unmittelbar am Rand des Dorfes Schöneberg entlang und bog nach Unterquerung der Akazienstraße nach Norden ab, direkt auf den ausgebauten Bach zu, der auf dieser Karte mit „Haupt-Graben“ bezeichnet wird. Gleichzeitig hatte man diesen ein Stück nach Osten verlängert.

    1862/Schöneberg Im Schöneberger Teil des Hobrechtplans von 1862 [Karte 3] ist zu erkennen, wie der Graben – nachdem er nach Norden abgeknickt ist – als nächstes die Straße 13 (Grunewaldstaße) unterquert. Fast auf der gesamten Länge dieses nordwärts führenden Abschnitts wurde später die Gleditschstraße angelegt. Am nördlichen Ende des späteren Winterfeldtplatzes (auf der Karte Straßen 14 und 12) mündete das „Große Fenn“ schließlich in den nach Westen fließenden „Haupt-Graben“. An dieser Stelle ist im Hobrecht-Plan die Straße 19 eingetragen; dies ist die spätere Winterfeldtstraße. Der Graben führte nun schnurstacks – über Viktoria-Luise-Platz, Regensburger Straße und Pariser Straße – bis zum Olivaer Platz. Dabei durchquerte er, wie bereits erwähnt, das Hopfenbruch am Nordrand von Wilmersdorf.

    1862/Charlottenburg Im Charlottenburger Teil des Hobrechtplan (hier mit Überlagerung der Stadtbahn ab 1882) [Karte 4] läßt sich anhand des Straßennetzes der Verlauf des Schwarzen Grabens gut nachvollziehen. Noch ist die Giesebrechtstraße, die nach 1893 anstelle des Grabens angelegt wurde (siehe unteren Pfeil), noch nicht einmal geplant. Der obere Pfeil weist auf den abschließenden Grabenverlauf, nachdem er den Stuttgarter Platz passiert hatte. Heute verläuft hier anstelle des Grabens, bis kurz vor seiner Mündung in die Spree, die Kaiser-Friedrich-Straße.

    Sein Ende

    1880 wurde der gesamte Schwarze Graben auf Schöneberger Gebiet zwischen Dominicustraße und Bundesallee unterirdisch verlegt. Es handelte sich um eine Tonrohrleitung von 50-60 cm Ø, die den zum Abwasser- und Fäkalienkanal mutierten Graben aufnahm. „In Charlottenburg ergaben sich völlig unhaltbare Zustände, denn hier ging der Schwarze Graben noch offen durch das Gelände.“ Erst durch einen Vertrag von Wilmersdorf, Friedenau und Schöneberg mit Charlottenburg aus dem Jahr 1888 über den Bau einer Kanalisation, in die die Abwässer eingeleitet werden sollten, „erhielt Charlottenburg die Berechtigung, den Schwarzen Graben zu beseitigen“. So war schließlich vom Wilmersdorfer See bis zur Einmündung des Lietzenseeabflusses an der Schustehrusstraße der Graben zugeschüttet. Das letzte offene Stück von dort bis zur Spree bestand noch in den 1890er Jahren. Erst nachdem in den ersten Jahren des 20. Jahrhundert auch der Abfluß des Lietzensees zur Spree verrohrt worden und an seiner Stelle Hebbelstraße und Lohmeyerstraße entstanden waren, war der Schwarze Graben auf seiner ganzen Länge verschwunden.

    Seine Spuren im heutigen Stadtbild
    In folgenden Grünanlagen und Straßen läßt sich also der Schwarze Graben noch heutzutage wiederfinden:
    in Wilmersdorf im Volkspark Wilmersdorf
    in Schöneberg: Rudolph-Wilde-Park – Heinrich-Lassen-Park – Gleditschstraße – Winterfeldtstraße – Viktoria-Luise-Platz – östlicher Abschnitt der Regensburger Straße
    nochmals in Wilmersdorf im westlichen Abschnitt der Regensburger Straße und in der Pariser Straße
    schließlich in Charlottenburg: Giesebrechtstraße – Ostende des Stuttgarter Platzes – Kaiser-Friedrich-Straße – Lohmeyerstraße.
    Und noch bis in die heutige Zeit wirkt der Schwarze Graben auch ganz unmittelbar nach, wie gelegentliche Schäden an Häusern zeigen, die auf dem sumpfigen Untergrund gebaut wurden, z.B. am Heinrich-Lassen-Park in der Belziger Straße 53c, auch bekannt als „das schiefe Haus von Schöneberg“.

    Fred Niedobitek, Die Entwicklung der Stadthygiene und Gesundheitspflege in Schöneberg im späten 19. und frühen 20. Jahrhundert. Zeittafel zum Bau der Kanalisation in Schöneberg, S. 1 und Helmut Winz, Es war in Schöneberg. Aus 700 Jahren Schöneberger Geschichte, S. 120.

    Quelle: http://blog.klausenerplatz-kiez.de/archive/2015/01/11/strassen_und_platze_der_schwar

    1800

    1860

    1862

    #Berlin #Chalrlottenburg #Schöneberg #Wilmersdorf #Geschichte #Topographie #Entwässserung #Kanalisation #Wasser #Stadtentwicklung

  • #Berlin (Allemagne) : #procès en appel pour la manif du 9 juillet 2016 pour la Rigaer94
    https://fr.squat.net/2022/02/18/berlin-allemagne-proces-en-appel-pour-la-manif-du-9-juillet-2016-pour-la-r

    2016 – il s’est passé quoi en fait ? A l’été 2016, Henkel, le ministre de l’intérieur du gouvernement de Berlin, a essayé d’expulser la #Kadterschmiede, le bar de la maison partiellement squattée #Rigaerstrasse 94. Cela s’est terminé avec trois semaines de siège de la Rigaer94, accompagnées de nombreuses attaques contre les symboles de l’embourgeoisement et […]

    #Rigaer_94

  • Comment Françoise Dorin a souffert le martyre avant de mourir dans l’EPHAD le plus cher de France
    A la Résidence des Bords de Seine (groupe Orpea) , à Neuilly-sur-Seine, l’hébergement coûte entre 6 000 et 12 000 euros par mois.

    Extrait du livre Les Fossoyeurs  de Victor Castanet (Fayard) :

    "Chaque soir, Jean Piat, aussi faible et âgé qu’il était, venait rendre visite à son grand amour, à « la Dorin ». Un taxi le déposait devant la résidence des Bords de Seine. Un déambulateur l’attendait derrière l’accueil pour prendre le relais de cette canne qui ne le portait plus. Il se rendait à pas lents à la chambre de sa bien-aimée et y restait des heures durant, jusqu’après la fermeture de l’accueil et l’arrivée de l’équipe de nuit. Il lui prenait la main et écoutait sa respiration, à défaut d’autre chose ; ses mots, après s’être désarticulés, étaient devenus des borborygmes. Le Grand Piat veillait sur elle, ne se plaignant jamais de rien, ayant un mot pour tous, un sourire pour chacun. (…)

    (…) Françoise Dorin a été admise aux Bords de Seine le 24 octobre 2017. Si elle souffrait de troubles cognitifs importants, elle se portait bien physiquement, affichant même un léger embonpoint. Le 12 janvier 2018, soit deux mois et demi plus tard, elle décédera des suites d’un choc septique causé par la dégénérescence d’une escarre. (...)
     
    Une aide-soignante qui passe chaque jour faire la toilette de Françoise Dorin remarque, deux semaines après son admission, l’apparition de rougeurs sur la peau fragile de la résidente et le signale à Amandine [un pseudonyme, à sa demande], la maîtresse de maison [membre du personnel], qui préconise alors l’installation d’un matelas « anti-escarre ». Nous sommes aux alentours du 14 novembre 2017. (…)
     
    [La résidence n’ayant pas de matelas de ce type en stock, il faut attendre quarante-huit heures de plus pour en obtenir un et l’installer.]
     
    Le lendemain de sa mise en place, l’équipe du week-end du deuxième étage, composée d’une maîtresse de maison et d’un infirmier, entre dans la chambre de Mme Dorin et se rend compte que le matelas livré est défectueux. C’est Amandine elle-même (…) qui me fera cette révélation (…) : « Ça bipait dans tous les sens ! Le matelas n’avait pas gonflé. La pauvre Mme Dorin était allongée sur de la ferraille. »
     
    (…) En parallèle, l’état de son escarre, qui se situe au niveau du sacrum, se détériore d’heure en heure ; la plaie devient de plus en plus profonde. Pourtant, durant plus de dix jours, personne aux Bords de Seine ne prendra la peine d’en informer la famille. C’est pourtant une procédure des plus élémentaires. (…)
     
    Vis-à-vis de la famille, c’est le black-out le plus total. Personne ne les tient au courant de l’évolution de l’escarre. Alors même que, chaque jour, l’un d’entre eux est présent à la résidence, que ce soit Thomas et sa compagne, son frère Julien, ou l’ancienne aide à domicile de Françoise Dorin. Sans parler de Jean Piat, qui continue de se rendre tous les jours à la résidence, entre 17 heures et 21 heures, qu’il vente ou qu’il pleuve.
    (...)

    Les jours passent, et le mal devient de plus en plus profond. Le 27 décembre, Françoise Dorin est envoyée par l’équipe médicale des Bords de Seine à l’hôpital Beaujon pour valider la pose d’un pansement VAC, un dispositif qui aspire les impuretés d’une plaie pendant plus d’une heure et nécessite l’intervention d’une infirmière extérieure à l’Ehpad. Sa fille, Sylvie Mitsinkidès, assiste au rendez-vous médical.
     
    Ce qu’elle découvre, ce matin-là, la marquera à vie : « L’infirmière de l’hôpital Beaujon soulève le drap, et là, je vois un trou béant, au niveau du sacrum, plus gros que mon poing. C’était terrible. » (…) Même l’infirmière aura un mouvement de recul. (...)
     
    A son retour aux Bords de Seine, il ne reste plus que deux semaines à vivre à Françoise Dorin. (…) Le 12 janvier, elle décède, après des semaines de souffrances indicibles, à l’âge de 89 ans. Sans un bruit.

    Source : http://bernard-gensane.over-blog.com/2022/02/comment-francoise-dorin-a-souffert-le-martyre-avant-de-mo

    #Femme #Vielles #ehpad #orpea #france #or_gris #santé #korian #vieux #retraite #fin_de_vie #ephad #vieillesse #hospice #civilisation #ars #maisons_de_retraite #maltraitance #psychiatrie #maison_de_retraite

  • Si les orgues de Poutine menacent de péter en Ukraine, un autre conflit menace de se réveiller dans les Balkans

    Une prochaine guerre en Europe ?
    La Croatie et la Serbie sont en train de se surarmer, et la direction du renseignement militaire en a alerté l’état-major et l’Elysée, qui ont participé, chacun à sa façon, au processus.
    Exemples : le 25 novembre 2021, la Croatie , membre de l’Otan, a acheté à la France 12 avions rafales d’occasion. Les 6 premiers exemplaires seront livrés à Zagreb fin 2023 ou début 2024. En janvier, la Croatie a acquis 89 blindés US Bradley, et, le 2 février, elle a reçu des Etats-Unis 2 hélicoptères lourds de transport de troupes.
    De son côté, la Serbie, qui n’est pas membre de l’Otan, vient de recevoir de la Russie 30 chars de combat, 30 blindés de transport, 7 hélicoptères et 6 avions de combat, ainsi que des batteries antiaériennes. Et Belgrade va s’adresser aussi à la Chine pour obtenir hélicoptères et drones.
    A quand les #Balkans en feu ?
    Claude Angeli « Le Canard enchaîné » 9/2/2022

    https://www.arte.tv/fr/videos/100300-102-A/arte-regards-tensions-en-bosnie

    Depuis que la négation du massacre de Srebrenica est passible de poursuites, Milorad Dodik, le leader des Serbes de Bosnie à la tête de la Republika Srpska, multiplie les menaces de sécession. Et ce n’est pas tout, l’Etat multiculturel de Bosnie-Herzégovine est également en proie aux diatribes des nationalistes croates... À #Sarajevo, des voix s’élèvent pourtant contre la fragmentation du pays en groupes ethniques.

  • La Décolonisation britannique, l’art de filer à l’anglaise

    Le 24 mars 1947, Lord Mountbatten est intronisé Vice-roi des Indes dans un faste éblouissant. Alors que l’émancipation de 410 millions d’indiens est programmée, la couronne britannique tente de sauver les apparences en brillant de tous ses feux. Cinq mois de discussions entre les forces en présence aboutissent à un découpage arbitraire du territoire entre le Pakistan et l’Inde avec des conséquences désastreuses. Des violences qui sont reléguées au second plan par l’adhésion des deux nouveaux États souverains à la grande communauté du Commonwealth. Un arrangement qui ne va pas sans arrière-pensées. Mais déjà la Malaisie et le Kenya s’enflamment à leur tour. Dans les deux cas, la violence extrême de la répression qui s’abat est occultée par une diabolisation « de l’ennemi » et par une machine de propagande redoutable qui permet aux autorités de maîtriser le récit des événements.
    En 1956, la Grande-Bretagne échoue à rétablir son aura impériale après avoir été obligée d’abandonner le canal de Suez par les deux nouveaux maîtres du monde : l’URSS et les États-Unis. Le nouveau Premier ministre, Harold Macmillan, demande un « audit d’empire », pour évaluer le poids économique du maintien des colonies, car il sait que le pays n’a plus les moyens de poursuivre sa politique impérialiste. Il est prêt à y renoncer, à condition de restaurer le prestige national.
    Une décision mal vue par l’armée. En 1967 au Yémen, des unités britanniques renégates défient le gouvernement et s’adonnent à une répression féroce, obligeant la Grande-Bretagne à prononcer son retrait. En Rhodésie du Sud, c’est au tour de la communauté blanche de faire sécession et d’instaurer un régime d’apartheid. Incapable de mettre au pas ses sujets, signe de son impuissance, la couronne est condamnée à accepter l’aide du Commonwealth pour aboutir à un accord qui donne lieu à la naissance du Zimbabwe.
    Après la perte de sa dernière colonie africaine, l’Empire britannique a vécu et le dernier sursaut impérialiste de Margaret Thatcher aux Malouines n’y change rien. Jusqu’à aujourd’hui, la décolonisation demeure un traumatisme dans ces pays déstabilisés par leur ancien maître colonial tandis qu’au Royaume-Uni, la nostalgie prend le pas sur un travail de mémoire pourtant nécessaire.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/61716_0
    #film #film_documentaire #documentaire
    #colonisation #décolonisation #Inde #Pakistan #violence #Lord_Mountbatten #frontières #déplacement_de_populations #partition_de_l'Inde #Malaisie #torture #Commonwealth #Kenya #Mau_Mau #camps_d'internement #Kimathi #serment_Mau_Mau #travaux_forcés #Aden #Rhodésie_du_Sud #réserves #îles_Malouines

    ping @postcolonial

  • #1996 : Hold-up à #Moscou

    En 1996, #Boris_Eltsine, malade et détesté, brigue un second mandat à la présidence de la Fédération de #Russie. Face à lui, un candidat communiste, #Guennadi_Ziouganov, porté aux nues par les oubliés de la #transition_post-soviétique. Crédité en début de course d’à peine 3 % des intentions de vote, #Eltsine parvient pourtant contre toute attente à se faire réélire avec près de 54 % des voix. Comment a-t-il pu gagner cette bataille que tous pensaient perdue d’avance ?
    Pour l’emporter, Eltsine s’est engagé dans une #campagne impitoyable au #budget abyssal, dans laquelle le #Kremlin, les #médias, les #hommes_d'affaires russes et les puissances occidentales ont uni leurs forces pour que la Russie « ne retourne pas en URSS ». De #pactes incongrus en escroqueries à grande échelle, ici avouées sans ambages, ce film de Madeleine Leroyer scille entre film noir et tragi-comédie shakespearienne. Archives rares, animations et témoignages, notamment de Tatiana Diatchenko, fille et conseillère d’Eltsine, de l’ancien vice-Premier ministre Anatoli Tchoubaïs de l’oligarque déchu Sergueï Pougatchev ou encore de l’ancien président du FMI, Michel Camdessus, nous entraînent dans les coulisses ahurissantes d’un moment crucial qui a scellé le destin de la Russie et, par ricochet, celui du monde.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/64207_1
    #film #film_documentaire #documentaire
    #libéralisation #anti-communisme #campagne_électorale #Tatiana_Diatschenko #Mikhail_Fridman #Alpha_Bank #banques #privatisation #pillage #oligarques #oligarchie #Anatoli_Tchoubaïs #Bill_Clinton #Clinton #FMI #Guennadi_Ziouganov #Dick_Morris #Dick_Dresner #vote_ou_perd #prêts_contre_actions #obligations_d'Etat #corruption

  • Pas d’#or pour #Kalsaka

    Dans les années 2000, l’Etat burkinabé délivre plusieurs permis d’exploitation minière à des sociétés multinationales, c’est le début du boom minier, ou « la ruée vers l’or ». La première mine d’or d’exploitation industrielle à ciel ouvert est construite en juin 2006 à Kalsaka par la société anglaise Kalsaka Mining SA pour exploiter 18 tonnes en 10 ans.
    Mais « l’or n’a pas brillé pour Kalsaka » car en 2013 après 6 années d’exploitation, la mine ferme ses portes et laisse dernière elle un héritage inestimable de catastrophes sociales et environnementales. Une petite ville de campagne sans infrastructures sociales de base, une population socialement désorganisée par le niveau de vie acquis pendant le fonctionnement de la mine.


    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/55442_1

    #Burkina_Faso #extractivisme #mines #Boueré_Dohoun_Gold_Operation_SA #Boueré #or #Thiou #Kalsaka_Mining #exploitation #terres #accaparement_des_terres #orpaillage #développement_local #balance_des_paiements #promesse #promesses #indemnisation #exploitation_minière #mines_industrielles #dépossession #BCM #Séguénéga #emploi #travail #privatisation #peur #eau #eau_potable #pollution #nappe_phréatique #dynamitage
    #film #film_documentaire

  • Comment #Julius_Maggi a conquis les cuisines

    Arôme liquide, cubes de #bouillon ou soupes en poudre : la marque Maggi est une success story qui a débuté il y a plus de 150 ans dans le canton de Zurich. L’aromate a révolutionné les habitudes culinaires dans le monde entier.

    Quand, en 1869, Julius Maggi, alors âgé de 23 ans, reprend la minoterie de son père à Kemptthal, dans le canton de Zurich, la branche de la meunerie est en crise. Avec l’#industrialisation, les bateaux à vapeur et les chemins de fer, de plus en plus de céréales étrangères bon marché arrivent en Suisse. Julius Maggi doit imaginer quelque chose de neuf.


    Il invente d’abord la « #Leguminose » : une #farine_de_soupe à base de légumineuses riches en protéines, censée améliorer l’#alimentation du peuple et offrir des repas nourrissants aux ouvriers. Ces nouvelles « #soupes_artificielles » trouvent cependant peu d’écho auprès du public cible. Pour l’heure, les classes inférieures en restent aux patates et à la chicorée. La bourgeoisie, quant à elle, boude ce fade repas de pauvres au drôle de nom.

    La percée a lieu en 1886, avec l’invention d’un #extrait_de_bouillon qui deviendra célèbre dans le monde entier sous le nom d’#Arôme_Maggi. Grâce à cet #arôme au goût de viande mais à base végétale, les soupes se vendent aussi nettement mieux. Julius Maggi n’est pas seulement un inventeur passionné : « Il comprend en outre l’importance du #marketing », souligne l’historienne Annatina Tam-Seifert, qui a étudié les débuts de l’industrie alimentaire suisse. « Comme on ne peut ni toucher, ni sentir les produits finis, l’emballage joue un rôle essentiel dans leur diffusion. » Julius Maggi est un pionnier à cet égard. Il conçoit lui-même la bouteille de l’arôme liquide avec son étiquette jaune et rouge. Un design qui n’a pas beaucoup changé depuis.

    Un poète chargé de la #publicité

    Julius Maggi est l’un des premiers à créer un service de publicité et à utiliser de nouveaux formats – affiches, pancartes, systèmes de cumul de points avec primes à la clé, images à collectionner ou dégustations. Au début, le chef d’entreprise rédige lui-même les textes des réclames. À la fin de l’année 1886, il engage pour ce faire le poète #Frank_Wedekind, alors encore inconnu. Celui-ci crée les rimes qu’on lui demande, par exemple : Das wissen selbst die Kinderlein : Mit Würze wird die Suppe fein. Darum holt das Gretchen munter, die Maggi-Flasche runter [Même les enfants le savent : grâce à l’Arôme, la soupe est bonne. Gretchen, ainsi, n’hésite pas, à tenir la bouteille Maggi la tête en bas.] Mais le jeune poète salarié démissionne après huit mois, car il a l’impression « de s’être vendu corps et âme », comme il l’écrit dans une lettre à sa mère. Les manuscrits originaux des textes publicitaires Maggi rédigés par Frank Wedekind sont aujourd’hui conservés à la bibliothèque cantonale d’Argovie.

    À l’époque déjà, des « influenceurs » participent à la publicité : bientôt, des recettes de cuisine recommandent l’Arôme Maggi pour épicer les plats, notamment celles de l’icône allemande des livres de cuisine, Henriette Davidis. La recette de l’Arôme, elle, reste un secret bien gardé jusqu’à ce jour. Ses ingrédients de base sont des protéines végétales, de l’eau, du sel et du sucre, plus des arômes et de l’extrait de levure. Il ne contient pas de livèche, que beaucoup associent pourtant à son goût. Au point que cette herbe aromatique est communément appelée « #herbe_à_Maggi ».

    Maggi inspire aussi les artistes : ainsi, Joseph Beuys utilise la bouteille d’arôme liquide en 1972 dans son œuvre « Ich kenne kein Weekend » [Je ne connais pas de week-end]. Pablo Picasso immortalise quant à lui le cube de bouillon iconique en 1912 dans son tableau « Paysage aux affiches ». Maggi commercialise ce cube en 1908, qui devient lui aussi un best-seller mondial.

    Le plus grand propriétaire foncier

    Julius Maggi doit convaincre non seulement les consommatrices des atouts de ses produits finis, mais aussi les paysans, fournisseurs des matières premières. « Il a de la peine à trouver assez de légumes pour ses produits dans la région », raconte l’historienne. Les paysans doivent d’abord se faire aux nouvelles méthodes mécanisées de culture, et ils sont sceptiques vis-à-vis de l’industrie alimentaire. Finalement, Julius Maggi prend lui-même en main la culture des matières premières.

    Il achète du terrain à de petits agriculteurs, en leur offrant souvent un emploi au sein de la ville-usine de #Kemptthal, qui s’agrandit rapidement. Riche de plus de 400 hectares de surface agricole, Julius Maggi est même, au début du XXe siècle, le plus grand propriétaire foncier privé de Suisse. En même temps, il ouvre des usines et des réseaux de distribution en Allemagne, en Autriche, en Italie et en France.

    Julius Maggi meurt en 1912, à 66 ans. Après sa mort, l’entreprise devient une holding, avec des filiales dans différents pays. Pendant la Seconde Guerre mondiale, sa filiale allemande est le plus grand producteur de produits alimentaires du Reich et un fournisseur majeur de l’armée d’Hitler. L’usine de Singen, « entreprise modèle national-socialiste », emploie également des travailleurs forcés.

    Depuis 1947, Maggi appartient au groupe alimentaire #Nestlé. L’Arôme Maggi s’exporte dans 21 pays du monde. Des sites de production ont même été créés en Chine, en Pologne, au Cameroun, en Côte d’Ivoire et au Mexique.

    https://www.swisscommunity.org/fr/nouvelles-et-medias/revue-suisse/article/comment-julius-maggi-a-conquis-les-cuisines

    #Maggi #cuisine (well...) #mondialisation #globalisation

  • L’honneur perdu de la force hydraulique

    L’#énergie_hydraulique constitue l’épine dorsale historique de l’#approvisionnement en #électricité de la #Suisse. Et ce serait encore plus vrai aujourd’hui, dans le contexte de la #transition_énergétique. Mais celle-ci doit d’abord redorer son #image qui s’est ternie au cours des dernières décennies.

    Est-ce le sol étroit situé sous nos pieds qui tangue sous l’effet du vent, ou est-ce que ce sont les #montagnes alentour qui bougent ? Lorsqu’on traverse, saisi par le vertige, le pont suspendu et venteux tendu à 100 mètres d’altitude au-dessus de l’eau verte du Trift, dans l’Oberland bernois, on ne sait plus très bien ce qui est fixe ou en mouvement.

    Le pont du Trift se trouve au-dessus d’Innertkirchen (BE), dans une vallée latérale à 1700 mètres d’altitude, au cœur d’une des contrées montagneuses les plus paisibles de Suisse. Si l’on ose s’arrêter pendant la traversée de ce pont de 170 mètres de long, on aperçoit un cirque sauvage ruisselant d’eau et, tout en haut, les vestiges de l’ancien grand glacier du Trift. Cet amphithéâtre naturel est le décor de la dramaturgie conflictuelle qui se joue autour de l’exploitation de la force hydraulique.

    Apparition d’une cuvette

    Le réchauffement climatique a fait fondre à toute allure le glacier du Trift, qui recouvrait auparavant toute la cuvette. La gorge ainsi apparue mettait en danger l’ascension vers la cabane du Club Alpin Suisse, raison pour laquelle on a construit le pont suspendu en 2005. Mais le recul du glacier a également mis à nu un paysage de montagne vierge, rare et précieux.

    Ce « nouveau » bassin glaciaire éveille des convoitises. L’entreprise d’#hydroélectricité locale #KWO aimerait y construire un #barrage de 177 mètres de haut et créer ainsi un #bassin_de_retenue qui permettrait de fournir de l’électricité à près de 30 000 ménages.

    Cela pose un dilemme : KWO veut produire de l’électricité sans CO2, ce qui est indispensable pour réduire les émissions de gaz à effet de serre, mais sacrifie pour ce faire une #nature intacte. C’est pourquoi une organisation de #protection_de_la_nature, petite mais tenace, bloque la construction du barrage-réservoir par des recours, tout en sachant que la Suisse fera sinon appel à des centrales à gaz très polluantes pour répondre à une éventuelle pénurie d’électricité. Ce qui menacera à son tour l’objectif de freiner le réchauffement climatique.

    On dirait qu’aucune argumentation ne permet de sortir de l’#impasse. Comment en est-on arrivé au point où l’énergie hydraulique, qui fut un jour le gage de pureté du « château d’eau de l’Europe », comme la Suisse aime à se présenter, doit se battre pour redorer son blason de source d’énergie écologique ?

    Moteur de la haute conjoncture

    La Suisse ne possédant pas de charbon, l’énergie hydraulique a toujours fait partie de l’équipement de base de l’économie énergétique. Mais elle est réellement entrée dans l’ADN du pays pendant la phase de haute conjoncture qui a suivi la Seconde Guerre mondiale. À un rythme frénétique, on a meublé les vallées alpines de barrages géants, et les #lacs_de_retenue ainsi créés ont permis de compter sur un approvisionnement en électricité stable, qui est devenu l’épine dorsale de la croissance économique.

    Grâce à ces constructions audacieuses dans des régions montagneuses difficiles d’accès, le petit pays alpin s’est offert une bonne dose d’#indépendance_énergétique. En 1970, avant que les premières centrales nucléaires ne soient mises en service, environ 90 % de l’électricité suisse était issue de la force hydraulique.

    Dans le boom des années 1970, les excursions familiales avaient leurs classiques : on prenait la voiture pour se rendre en Valais, à Sion par exemple, avant de monter au Val d’Hérémence pour admirer l’impressionnant barrage de la Grande Dixence. On éprouvait une sensation étrange lorsqu’on se tenait au pied de ce mur de 285 mètres, qui est aujourd’hui encore la plus haute construction de Suisse. Son ventre de béton pèse 15 millions de tonnes, davantage que les pyramides de Khéops, et c’est ce poids inouï qui lui permet de retenir le lac qui s’étend sur des kilomètres. Que se passerait-il s’il lâchait ?

    La gloire de l’énergie hydraulique a été alimentée par d’illustres ingénieurs, qui ont fait de la construction de barrages une discipline de haut niveau. Le Tessinois Giovanni Lombardi, par exemple (père de Filippo Lombardi, politicien du Centre et président de l’Organisation des Suisses de l’étranger), s’est fait un nom en 1965 avec l’élégant barrage-voûte de la Verzasca, dont la finesse a établi de nouveaux standards. Quand James Bond, dans la scène d’ouverture du film « Goldeneye », sorti en 1995, effectue un saut à l’élastique du haut du barrage, celui-ci devient une véritable icône. Giovanni Lombardi, qui a construit plus tard le tunnel routier du Gothard, est resté jusqu’à sa mort en 2017 une référence en matière d’édifices spectaculaires.

    La #redevance_hydraulique, ciment national

    La force hydraulique a consolidé non seulement le #mythe patriotique, mais aussi, de manière plus discrète, la #cohésion_nationale. Car l’eau stockée rapporte beaucoup d’#argent à la #montagne : les communes abritant les centrales électriques touchent des redevances hydrauliques pour l’exploitation de leur ressource, des sommes qui atteignent près d’un demi-milliard de francs par an.

    On peut voir ces redevances comme des transferts de fonds du Plateau économiquement fort vers les régions de montagne, qui peuvent ainsi investir dans leurs #infrastructures et lutter contre l’#exode_rural. Le Val Bregaglia, dans les Grisons, illustre bien la manière dont l’hydroélectricité soude la Suisse et comble le fossé ville-campagne : l’entreprise électrique #EKZ, à Zurich, qui a construit le barrage d’Albigna dans les années 1950, est jusqu’à ce jour l’un des plus grands employeurs de la vallée.

    Violents réflexes de rejet

    Cependant, l’exaltation mythique de l’énergie hydraulique fait parfois oublier que son extension a déclenché, très tôt déjà, de violents réflexes de #rejet au niveau local. Tout le monde se souvient du village grison de #Marmorera, au col du Julier, qui s’est résigné à être inondé par le lac du barrage du même nom en 1954, après plusieurs procédures d’#expropriation.

    « Des filiales des centrales nucléaires dans les #Alpes »

    Pour comprendre pourquoi l’énergie hydraulique a perdu son aura, l’année clé est toutefois 1986. Après des années de combat, les forces motrices #NOK ont enterré leur projet de noyer la plaine de la #Greina entre les Grisons et le Tessin pour en faire un lac de retenue. Épaulée par l’#opposition locale, une coalition de défenseurs de la nature et du #paysage issus de toute la Suisse, critiques à l’égard de la croissance, a alors réussi à mettre ce haut plateau isolé à l’ordre du jour de la politique nationale.

    La Greina est devenue le symbole de la critique écologique à l’égard du circuit de #profit de l’#hydroélectricité qui s’est liée avec une #énergie_nucléaire controversée. Le principe critiqué fonctionne ainsi : meilleur marché, l’énergie atomique non utilisée aux heures creuses est utilisée pour pomper de l’eau dans les lacs de retenue. Ainsi, les exploitants des centrales peuvent produire de l’électricité à un prix élevé durant les pics de demande et maximiser leurs gains. Axées sur le profit, ces « filiales des centrales nucléaires dans les Alpes », comme les surnomment leurs opposants, justifient-elles le sacrifice des derniers paysages naturels vierges ?

    Les limites de la croissance ?

    C’est sur cette question existentielle que s’écharpent partisans et opposants de l’extension de l’hydroélectricité depuis plus de 30 ans. De temps à autre, comme lors de la tentative – pour l’heure vaine – de réhausser le barrage du Grimsel, le conflit se poursuit jusque devant le Tribunal fédéral.

    D’après l’organisation de défense de l’environnement WWF, 95 % du potentiel de l’énergie hydraulique utilisable est déjà exploitée en Suisse. Bien que la Confédération impose aux acteurs du secteur des conditions écologiques plus strictes sous la forme de débits résiduels, le WWF estime que les limites sont « dépassées depuis longtemps » : 60 % des espèces de #poissons et d’#écrevisses locales ont déjà disparu ou sont menacées d’#extinction. Malgré cela, des centaines d’extensions ou de constructions de centrales hydroélectriques, souvent de petite taille, sont prévues. La plus grande, et ainsi la plus contestée, est celle qui doit pousser sur le terrain libéré par le recul du glacier du #Trift.

    Une pression accrue sur les performances

    Par rapport à l’époque de la Greina, la situation est encore plus conflictuelle. Deux nouvelles problématiques sont apparues. D’une part, le #réchauffement_climatique et la fonte des glaciers font que les débits d’eau les plus élevés se déplacent de l’été vers le printemps. D’autre part, après la catastrophe de Fukushima, la décision politique prise par la Suisse de débrancher petit à petit ses centrales nucléaires, de les remplacer par des sources d’énergie renouvelable et de contribuer ainsi à l’objectif de zéro émission de gaz à effet de serre accroît la pression sur les performances de l’énergie hydraulique.

    Est-il possible de tirer encore davantage de la force hydraulique, qui assure actuellement près de 60 % de la production d’électricité en Suisse, sans trahir les exigences écologiques minimales ? « En principe, oui », déclare Rolf Weingartner, professeur émérite d’hydrologie à l’université de Berne. Il décompose les différentes parties du problème et les réassemble pour résumer sobrement ce débat émotionnel.

    L’énergie hydraulique, nouveau service public ?

    Comme l’énergie hydraulique produit de l’électricité presque sans CO2, elle reste une source d’approvisionnement indispensable pour éviter les pénuries, surtout en hiver, quand les installations solaires, par exemple, sont moins productives. En même temps, le réchauffement climatique montre l’importance des lacs de barrage sous un jour nouveau, note Rolf Weingartner. Car du point de vue hydrologique, la fonte des glaciers fait que les réservoirs d’eau qui assuraient de hauts débits surtout pendant les six mois de l’été disparaîtront à l’avenir. Par conséquent, on manquera d’eau à la belle saison.

    Dans l’ensemble, les débits d’eau seront toujours aussi importants sur l’année entière. Mais comme les glaciers n’assureront plus leur rôle de réservoir et comme l’effet de la fonte des neiges diminuera, les débits se répartiront moins bien sur l’année. « Cela signifie, conclut Rolf Weingartner, que nous devrons remplacer, dans les Alpes, les réservoirs naturels par des artificiels. » En d’autres termes, les lacs de retenue existants se doteront d’une fonction supplémentaire pour la gestion durable de l’eau à l’heure du changement climatique, en alimentant par exemple l’irrigation agricole pendant les mois chauds et secs.

    Par ailleurs, on installe parfois sur les barrages, comme celui de Muttsee à Glaris, des installations photovoltaïques qui, situées au-delà de la limite du brouillard, produisent de l’électricité toute l’année. Face à cette nouvelle multifonctionnalité, Rolf Weingartner considère l’énergie hydraulique comme « un service public pour la production d’énergie, mais aussi pour la couverture durable des besoins en eau, ce qui inclut une utilisation écologiquement responsable des eaux résiduelles ». Ainsi, souligne-t-il, l’affrontement entre les intérêts écologiques et économiques qui a lieu à chaque nouveau projet de barrage est un exercice peu productif.

    Le spécialiste plaide pour une nouvelle approche globale, qui s’impose aussi parce que le réchauffement climatique fera apparaître dans les Alpes, après le recul des glaciers, plus de 1000 nouveaux lacs qui auront un potentiel pour la gestion de l’eau. « Nous devrions définir des zones de priorité », note Rolf Weingartner. C’est-à-dire diviser, sous la houlette de la Confédération, l’espace alpin en différentes zones où seraient prioritaires la production d’énergie, l’écologie, le tourisme ou l’agriculture. Ainsi, on dénouerait l’enchevêtrement spatial des intérêts et l’on préviendrait les conflits.

    Rolf Weingartner est conscient que sa vision pacificatrice de la gestion de l’eau a peu de chances de trouver sa place dans la realpolitik suisse. Pour l’instant. Mais si la Suisse reste un pays où la consommation d’électricité augmente inexorablement, elle devra toutefois y songer.

    L’électricité manquera-t-elle en Suisse ?

    La question de savoir s’il y aura assez d’électricité à l’avenir agite en ce moment la Suisse. La demande va, semble-t-il, inexorablement continuer à croître : le groupe énergétique Axpo, prévoit ainsi une hausse de 30 % de la demande d’électricité d’ici 2050.

    Il est possible que la « #transition_énergétique », soit l’abandon simultané de l’énergie nucléaire et des sources d’énergie fossile, stimule la #croissance de la demande. Le remplacement des chaudières à mazout par des pompes à chaleur et des voitures à essence par des électriques feront baisser les émissions de CO2, mais augmenter la consommation d’électricité. Dans quelle mesure les gains en #efficience et les changements de comportement freineront-ils la demande ? Difficile à prévoir.

    Une nouvelle étude de l’Office fédéral de l’énergie montre que dès 2025, de brèves pénuries d’électricité seront à craindre en hiver. En abandonnant les négociations sur un accord-cadre avec l’UE, le Conseil fédéral a encore aggravé la situation. En conséquence, l’UE rejette l’accord sur l’électricité déjà négocié, ce qui compliquera la tâche de la Suisse, dans l’état actuel des choses, pour s’approvisionner sur le marché européen de l’électricité en cas d’urgence.

    https://www.swisscommunity.org/fr/nouvelles-et-medias/revue-suisse/article/lhonneur-perdu-de-la-force-hydraulique

    #hydraulique #énergie #énergie_hydroélectrique #changement_climatique #extractivisme #écologie #faune

  • Tentative d’épuisement d’un lieu planétaire : Un événement perecquien sur Twitter le 3 mars 2022

    http://liminaire.fr/liminaire/article/tentative-d-epuisement-d-un-lieu-planetaire

    Le 3 mars prochain marquera les 40 ans de la mort de Georges Perec. À cette occasion, célébrons son esprit encore vivace, le temps d’une performance collective éphémère, inspirée de son œuvre.

    Jeudi 3 mars 2022, de 12h30 à 13h30 heure de Paris, participez à la « Tentative d’épuisement d’un lieu planétaire ». [1]

    Mode d’emploi : chacun(e) se poste dans un lieu de son choix et décrit, à la manière « infraordinaire », ce qu’il voit et perçoit, le banal, le quotidien, et le poste en série sur Twitter. Chacun des tweets est accompagné systématiquement d’un hashtag donnant le nom de la ville où il/elle se trouve (#Kinshasa #Malakoff #Paris #Bruxelles #Poitiers #Tours #Marseille #Montevidéo #NewYork #Montréal #Rome #Madrid #Tokyo...), et du hashtag de l’événement #Perec40. (...) #Perec, #Écriture, #Histoire, #Langage, #Livre, #Lecture, #Récit, #Poésie, #Hommage, #Performance, #Twitter (...)

  • Rien ne se fera sans nous !

    Tout d’abord, nous adressons nos meilleurs vœux à tous les lecteurs et en général à la population citoyenne comme résidente, pour cette année 2022 quelque peu insolite.

    Perplexité, frustration, ressentiment, énervement, et finalement détermination : les adjectifs sur notre ressenti, à l’issue de ce long suspense à rebonds de la troisième consultation sont nombreux !

    Nous sommes perplexes parce que cette situation d’entre deux sans solution est un non-sens.

    Nous sommes frustrés car nous avions compris qu’avec un vote sans Covid en 2021, mais plus encore à la date normale en 2022, alors nous avions toutes nos chances d’être enfin libres.

    Nous avons du ressentiment, car trop de nos adversaires se sont comportés en ennemis, ont refusé de demander avec nous un report ; ils ont fait le forcing de façon indigne pour profiter d’une désorganisation sociale coutumière, et ont fait une campagne odieuse.

    Nous sommes énervés car les proclamations de victoire du Président comme de certains adversaires méprisants ou haineux sont malhonnêtes et mensongères.

    https://entreleslignesentrelesmots.blog/2022/02/08/rien-ne-se-fera-sans-nous

    #international #kanaky

  • Bethina Gohio - Pas là pour plaire ! [Partie 1]

    Émission du 21 janvier 2021, nous avons invité Bethina Gohio. Voici la deuxième partie  ; On parlera encore de #Diam’s, mais aussi de #Casey et de #Keny_Arkana, « qui représentent chacune une facette différente de la rappeuse, et des héritières pour lesquelles l’urgence est dans la libération des femmes et se ressent aussi bien dans leurs textes que dans leur attitude. »
    #rap #radio #offensivesonore #hiphop #féminisme

    https://offensivesonore.blogspot.com/2022/01/pas-la-pour-plaire-partie-2.html

  • Maltraitance dans les Ehpad : « J’ai reçu des dizaines de témoignages », déclare l’avocate Sarah Saldmann qui va lancer une action collective en avril contre le groupe Korian
    https://www.francetvinfo.fr/societe/prise-en-charge-des-personnes-agees/maltraitance-dans-les-ehpad-j-ai-recu-des-dizaines-de-temoignages-decla

    Sarah Saldmann est déjà à l’origine d’une action du même type contre le groupe Orpea après la publication du livre de Victor Castanet, "Les Fossoyeurs".

    "J’ai reçu des dizaines et des dizaines de témoignages de familles", a déclaré dimanche 6 févier sur franceinfo l’avocate Sarah Saldmann qui va lancer au mois d’avril une action collective pour des soupçons de maltraitance au sein du groupe #Korian. Le leader français gère 298 maisons de retraite en France. Sarah Saldmann est déjà à l’origine d’une action du même type contre le groupe Orpea après la publication du livre de Victor Castanet Les Fossoyeurs. Les témoignages évoquent "la dénutrition des patients qui sont déshydratés", a-t-elle ajouté.

    Avez-vous reçu beaucoup de témoignages de familles ayant des proches dans les maisons de retraite du groupe Korian ?

    J’ai reçu des dizaines et des dizaines de témoignages de familles de victimes me disant que ce que ce j’ai lu dans le livre Les Fossoyeurs, ma famille a subi la même chose chez Korian. Est-ce que vous pourriez faire quelque chose pour moi ? En voyant le nombre de témoignages qui augmentaient chaque jour, je me suis dit qu’on n’allait pas les laisser sur le carreau. Il est normal de les aider.

    Que vous disent-ils dans ces témoignages ?

    Ce sont sensiblement les mêmes problèmes que chez Orpea. Il y a de la dénutrition avec des patients qui maigrissent très vite alors qu’on paye 4 500/5 000 euros la chambre environ. Les patients sont déshydratés. Il y a par exemple un patient qu’on couche à 16 heures et qu’on ne lève pas de la journée. Il y a des patients qui ne sont pas stimulés. Ce qui ressort beaucoup ce sont de graves problèmes d’hygiène. Il y a aussi toutes les humiliations, on méprise les patients, on leur parle mal. C’est un manque total d’humanité parce que c’est une pompe à fric.

    Vous ressentez vraiment cette prise de conscience sur la situation des personnes âgées dans les Ehpad ?

    Je pense que ça a globalement toujours existé, mais c’est comme dans toutes les situations, les gens et la société en général a besoin d’un déclencheur et c’était le livre « Les Fossoyeurs » de Victor Castanet. Il a fait un travail très minutieux. Ce n’est pas une enquête faite à la va-vite. Cela a permis une prose de conscience qui était à mon sens essentielle car on parle d’un sujet qui nous touche tous.

    #Ehpad #vieux

  • « Ali », l’ouvrier de Kronenbourg aux 177 contrats précaires, débouté aux prud’hommes

    Un sexagénaire, ouvrier de la brasserie pendant près de trente ans, demandait la requalification de ses nombreux contrats courts en CDI. Son avocate va faire appel.

    Rabah Mekaoui, ouvrier de la brasserie Kronenbourg durant près de trente ans, a accumulé pas moins de 177 contrats courts tout au long de sa carrière dans la bière. Nettoyeur de fûts ou électricien, il a occupé tous les postes à l’usine d’Obernai (Bas-Rhin), remplaçant souvent les permanents pendant des congés d’été auxquels il n’a jamais goûté, toujours disponible, jamais malade, indispensable. A 60 ans, à l’approche de la retraite, celui que tous surnommaient « Ali », avait voulu faire ses comptes et il s’était laissé convaincre par des camarades en 2019 de prendre une avocate pour réclamer ses droits : une requalification de ses innombrables contrats en un seul CDI, avec à la clé l’ancienneté reconnue par cette entreprise à la réputation sociale.

    Le tribunal des prud’hommes de Saverne (Bas-Rhin) l’a débouté, mardi 1er février, de toutes ses demandes. « Nous avons décidé de faire appel devant la chambre sociale où nous avons toute chance d’être entendus », a réagi son avocate, Nicole Radius.
    Lire aussi Article réservé à nos abonnés Le dernier combat aux prud’hommes d’« Ali », recordman de l’intérim chez Kronenbourg
    Avec ses 800 salariés, le site brassicole d’Obernai, propriété du groupe danois Carlsberg, est le premier d’Europe. Une bière sur trois consommée en France sort de ses chaînes – soit 700 millions de litres par an –, de jour comme de nuit. Les #saisonniers sont longtemps restés indispensables au cycle de la bière, que l’on produisait l’hiver pour vendre à des consommateurs assoiffés l’été. Kronenbourg assure pouvoir démontrer cette saisonnalité par des « données comptables et économiques ». Mais aujourd’hui le marché prospère toute l’année et Me Radius, lors de l’audience prud’homale tenue mi-novembre 2021, a plaidé « l’abus de contrats saisonniers » de la part du brasseur, déjà condamné à plusieurs reprises dans ce domaine. La jurisprudence devrait lui donner raison : dans sa dernière décision en date, en octobre 2021, la Cour de cassation s’est prononcée en faveur d’une femme de chambre employée saisonnière d’un hôtel.

    Racisme ordinaire

    Le jugement de Saverne se contente d’une motivation plus que succincte – « Le nombre d’heures et la nature des contrats de M. Mekaoui ne permettent pas de conclure à l’occupation de sa part d’un emploi pérenne au sein de la société Kronenbourg. » Pour l’entreprise, il n’y avait pas de dossier, si ce n’est celui d’un intérimaire comme les autres qui aurait demandé « qu’on lui fasse un cadeau » pour partir en retraite.

    Mais Kronenbourg a signifié à M. Mekaoui qu’elle ne le reprendrait plus dès que la procédure a été engagée. Lui aurait souhaité continuer à travailler jusqu’à ses 62 ans. L’affaire, pour son avocate, relève ainsi d’une discrimination violente, confirmée par plusieurs témoignages et par l’ouvrier lui-même. Me Radius a démontré en épluchant les registres du personnel qu’aucun ouvrier portant un nom à consonance maghrébine n’avait rejoint la production entre 2012 et 2020, parmi les 271 recrutés en CDI. Le jugement de Saverne ne produit pas de preuve contraire. L’entreprise a cité les deux délégués syndicaux CFDT et FO, qui la défendent en assurant n’avoir jamais eu connaissance de faits de discrimination.

    « Ali », ce surnom qu’on lui a donné, « c’était peut-être plus facile pour eux », a confié M. Mekaoui au Monde. Pendant près de trente ans, il a témoigné avoir essuyé un racisme ordinaire, fortement ancré, parmi ses camarades alsaciens. A qui il n’en veut pas, pourtant. « “Sale Arabe”, il faut que tu l’acceptes, explique-t-il. Je n’aurais rien gagné à me battre, et eux, ils auraient applaudi de me voir partir. On me disait que j’étais le plus intelligent des Arabes parce que je riais de tout ça. »

    Dans ce cadre, l’ouvrier, né à Berlin en 1959 d’un père militaire français, a vite appris à se taire. « On m’a conseillé de ne pas réclamer pour ne pas être viré. Quand les intérimaires montaient au syndicat pour ouvrir leur gueule, ils n’étaient plus là la semaine suivante. » La CGT a confirmé la difficulté : « Nous avons toujours proposé aux précaires de monter un dossier aux prud’hommes, mais ils refusaient par peur de perdre leur CDD ou leur mission d’intérim. »
    https://www.lemonde.fr/police-justice/article/2022/02/01/les-prud-hommes-deboutent-ali-l-ouvrier-de-kronenbourg-aux-177-contrats-prec

    #Saverne... #intérimaires #prud’hommes #racisme #CDD #requalification_en_CDI #syndicats_jaunes

  • “Complotisme en général et pandémie en particulier”, Théorie communiste
    https://dndf.org/?p=19292

    Dans le mode de production capitaliste, la population n’est pas un fait de « nature », sa production, reproduction, gestion et les catégories qui la constituent sont le produit de rapports de classe et de genre qui en structurent la mise en forme et l’évolution. Cette population n’existe socialement et ne se reproduit que comme fonction du capital. Il n’y a pas de substrat intact ou pur pouvant servir de préfiguration de quoique ce soit, il n’y pas de bonheur ou de souffrance, de bonne santé ou de maladie, de manière de vivre ou de mourir qui puissent se comprendre autrement que comme une expression de ces rapports de classe et de genre. Il faut ajouter, vu le sujet, que cette expression sans cesse renouvelée – car produit historique – du rapport de classe et de genre existe dans le quotidien de la pensée et de l’action pour toutes les classes, et encore plus à l’insu (mais « de leur plein gré ») de ses acteurs pour ce qui concerne les classes dominantes ou supérieures.

    Cette reproduction n’est pas une mécanique idéale et froide des rapports de production mettant en mouvement ses propres matériaux idéaux. Les rapports de classe et de genre comme rapports de production ne se donnent pas en clair, ils existent dans une complexité qui peut être comprise conceptuellement comme un déploiement dynamique des catégories de l’exploitation (rapport surtravail / travail nécessaire) sur tous les pans de l’existence que le mode de production capitaliste met en mouvement de par son caractère total. Ainsi la population est produite et existe bien sûr dans les rapports de production à proprement parler, mais, par là, dans l’existence quotidienne à travers laquelle se constitue la (re)production du rapport d’exploitation dans son ensemble comme condition d’existence de ces rapports de production stricts (à travers idéologies, pensées, affectivité, sociabilité, loisirs, santé, rapport à l’habitat, nourriture, symptômes, inscription institutionnelle, 1 ou 2 sur la carte de sécu…).

    Faire tenir ces éléments apparemment disparates ou hétérogènes n’est pas l’affaire d’un Macron ou d’un lobby même puissant et elle n’est pas non plus le fruit du hasard ni dénuée d’intentions, de volontés et de décisions. Mais toujours les structures dominent les individus ou groupes d’individus et leurs actions, pensées, idéologies, etc. sont elles-mêmes l’expression de ces rapports de classes et de genre qu’ils produisent et, les reproduisant naturellement, qui les reproduisent1.

    Partons d’une idée simple, même simpliste.

    Aucun Etat, aucune bourgeoisie ne foutra en l’air son économie (déjà pas brillante) dans le but de renforcer le « contrôle » et « l’asservissement » de la population ou pour favoriser les laboratoires et autres Gafa. A la limite cela peut être une opportunité mais à manipuler avec d’extrêmes précautions par cette classe dominante pour en éviter les effets pervers sur le travail, la production générale, la reproduction de la force de travail, la circulation, la consommation et de façon globale la vie sociale quotidienne qui nourrit le mode de production.

    Passons à un niveau un peu plus élaboré, relatif à la mécanique du discours complotiste (ou conspirationniste).

    Ne jamais accuser l’institution, le pouvoir, la cible en général, de « complot ». Ne pas employer le terme.

    Se positionner en avant-garde éclairée.

    S’appuyer sur la science et la raison (prolifération des notes de bas de page, références universitaires absconses, liens hypertextes, graphiques, cartes, etc.).

    Toujours poser la question : « à qui profite le crime ? ». Désigner pour chaque événement un responsable, une organisation (si possible groupe occulte), et une cause unique. Ainsi on pourrait dire que puisque la révolution bolchévique de 1917 a été en partie possible dans les conditions de la première guerre mondiale, le nationaliste serbe qui assassinat l’archiduc d’Autriche à Sarajevo était un agent de Lénine.

    Accumuler des « détails troublants » en les connectant.

    Refuser le hasard, ne voir que des corrélations nécessaires (« Savez-vous que … ? » ; « Ce n’est pas un hasard si … »)

    S’appuyer sur l’histoire et trouver toutes sortes d’événements semblables aussi disparates que possible, mais « ressemblant ».

    #complotisme #pandémie #Keny_Arkana #conspirationnisme

  • Accusé de préférer la rentabilité au bien-être des personnes âgées, #Orpea s’écroule en Bourse : l’Etat prêt à lancer une enquête La Tribune
    https://www.latribune.fr/economie/france/accuse-de-preferer-la-rentabilite-au-bien-etre-des-personnes-agees-orpea-s

    Le gouvernement a saisi Orpea à la suite d’"allégations graves" dans le livre-enquête Les Fossoyeurs, qui accuse le groupe de privilégier la rentabilité sur le bien-être des personnes âgées, et décidera s’il y a lieu de diligenter une enquête, a annoncé mardi le ministre de la Santé. Le cours de Bourse a chuté de près de 30% en deux jours.

    La dégringolade en Bourse continue pour Orpea. Après avoir été suspendu lundi à la suite du plongeon en Bourse qui a suivi la publication dans le Monde des meilleures feuilles du livre-enquête Les Fossoyeurs dénonçant les défaillances graves dans les établissements, l’action du groupe de maisons de retraite a chuté de 18,74% à la Bourse de Paris, soit plus de 30% en deux jours.

    Dénonçant un système destiné à améliorer la rentabilité au détriment du bien-être des personnes âgées, l’auteur, Victor Castanet, journaliste indépendant, dépeint dans son livre qui sortira ce mercredi en librairie, un système où les soins d’hygiène, la prise en charge médicale, voire les repas des résidents sont « rationnés ». Et ce alors que les séjours sont facturés au prix fort - près de 6.500 euros par mois pour une chambre d’"entrée de gamme" à la résidence « Les Bords de Seine » de Neuilly, pointe ainsi l’auteur.

    « J’ai obtenu des témoignages selon lesquels ces dysfonctionnements trouvaient leur origine dans une politique de réduction des coûts mise en place à un haut niveau » de l’entreprise, a résumé l’auteur auprès de l’AFP.

    Même privées, les maisons de retraite bénéficient d’importants financements publics, de la part de l’Etat et des conseils départementaux, souligne le journaliste, pour qui « au moins de manière indirecte, une partie de cet argent public ne va pas au bénéfice des personnes âgées ».

    Des accusations mensongères pour Orpéa
    L’entreprise a « contesté formellement » lundi soir les accusations, qu’elle juge « mensongères, outrageantes et préjudiciables ». Il a ajouté avoir saisi ses avocats au sujet d’éventuelles suites judiciaires à engager ultérieurement.

    L’affaire est remontée jusqu’au gouvernement. Ce dernier a saisi Orpea à la suite d’"allégations graves" et décidera s’il y a lieu de diligenter une enquête, a annoncé mardi le ministre de la Santé. Interrogé sur le sujet lors de la séance des questions d’actualité à l’Assemblée nationale, Olivier Véran a déclaré que les pouvoir publics devaient la vérité « aux familles, aux soignants et aux résidents ».

    « J’ai demandé à la ministre déléguée en charge de l’autonomie, Brigitte Bourguignon, de saisir immédiatement le groupe, de manière à ce que des réponses puissent être apportées », a-t-il dit, parlant d’"allégations graves".

    « A la lumière de ces conclusions, je verrai s’il y a lieu de diligenter une enquête de l’Inspection générale sur l’ensemble du groupe pour vérifier les procédures en vigueur et quelles sont les conditions avec lesquelles ils prennent en charge », a ajouté le ministre.

    Il a ajouté avoir saisi ses avocats au sujet d’éventuelles suites judiciaires à engager ultérieurement.

    Dans le sillage d’Orpéa, le groupe #Korian a perdu 18% en deux jours.
    _ (Avec Reuters et AFP) *

    #ephad #france #vieilles #vieux #ehpad #santé #vieillesse #hospice #fin_de_vie #capitalisme #gestion #civilisation #or_gris