• Déprise glaciaire
    https://www.terrestres.org/2024/04/19/deprise-glaciaire

    Pour accompagner comme il se doit la sortie de « Premières secousses », le livre collectif des Soulèvements de la terre, nous en publions un extrait : le puissant récit, en mots et en photographies, de l’occupation du glacier de la Girose, dans les Hautes-Alpes, en octobre 2023, contre la construction d’un nouveau tronçon de téléphérique. L’article Déprise glaciaire est apparu en premier sur Terrestres.

    #Climat #Grands_projets_inutiles_et_imposés #Luttes #Montagne

  • Il cotone “sporco e insostenibile” di #Zara ed #H&M e la distruzione del #Cerrado

    La Ong inglese #Earthsight ha condotto un’inchiesta per un anno lungo la filiera di questa fibra tessile: i due marchi della fast fashion avrebbero immesso sul mercato 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nella savana tropicale che copre un terzo del Brasile. “Il sistema di filiera ‘etica’ su cui si basano questi colossi è fondamentalmente difettoso”

    Se negli ultimi anni avete acquistato vestiti di cotone, asciugamani o lenzuola di H&M o Zara “probabilmente sono macchiati del saccheggio del Cerrado”, un’area ricchissima di biodiversità che copre quasi un quarto della superficie del Brasile. Sam Lawson, direttore della Ong britannica Earthsight, non usa mezzi termini per commentare l’esito dell’inchiesta “Fashion crimes. The European retail giants linked to dirty Brazilian cotton”, pubblicata l’11 aprile, che analizza la lunga e insostenibile filiera di questa fibra dalla produzione (in Brasile) alla lavorazione (in Paesi come Indonesia e Bangladesh), fino alla commercializzazione in Europa (Italia compresa) dove, secondo le stime di Earthsight, i due brand avrebbero messo in commercio prodotti realizzati con 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nel Cerrado.

    Ma andiamo con ordine. L’inchiesta di Earthsigh prende le mosse proprio dal grande Paese latinoamericano che, negli ultimi dieci anni, ha guadagnato crescente importanza nel mercato globale del cotone, di cui oggi è il secondo esportatore mondiale “e si prevede che entro il 2030 supererà gli Stati Uniti”. Il cuore di questa produzione si concentra in uno degli ecosistemi più fragili e preziosi del mondo: il Cerrado, una grande savana tropicale che ospita una delle più importanti aree di biodiversità al mondo, dove vivono oltre seimila specie di alberi così come centinaia di rettili, mammiferi, anfibi e uccelli.

    La sopravvivenza di questo inestimabile patrimonio è minacciata dalla deforestazione illegale che nel 2023 ha raggiunto livelli record, con un aumento del 43% rispetto al 2022. “Circa la metà della vegetazione nativa del Cerrado è già andata perduta, soprattutto per far posto all’espansione dell’agrobusiness”, evidenzia il report. Milioni di litri d’acqua vengono prelevati regolarmente dai fiumi e dalle falde per irrigare i campi di cotone, la cui coltivazione richiede l’utilizzo di 600 milioni di litri di pesticidi ogni anno.

    L’inchiesta di Earthsight analizza in particolare il ruolo di due dei principali produttori di cotone brasiliani: il gruppo Horita e SLC Agrícola che controllano enormi aziende e centinaia di migliaia di ettari di terreno. “Nel 2014 l’agenzia ambientale dello Stato di Bahia ha rilevato 25mila ettari deforestati illegalmente nelle aziende agricole di Horita a Estrondo -si legge nel report-. Nel 2020 la stessa agenzia ha dichiarato di non essere riuscita a trovare i permessi per altri 11.700 ettari deforestati dall’azienda tra il 2010 e il 2018”. Tra il 2010 e il 2019 l’azienda è stata multata complessivamente più di venti volte, per un totale di 4,5 milioni di dollari, per violazioni ambientali.

    Altrettanto gravi, le denunce rivolte a SLC Agrícola: tre aziende, tutte coltivate a cotone, hanno cancellato per sempre 40mila ettari di Cerrado nativo negli ultimi 12 anni. E, sebbene l’azienda abbia adottato una politica “zero deforestazione” nel 2021, è accusata di aver distrutto altri 1.356 ettari di vegetazione nel 2022. Accuse che hanno spinto il fondo pensionistico pubblico della Norvegia a ritirare i propri investimenti nella società brasiliana.

    Al termine di un lavoro d’inchiesta di un anno -durante il quale hanno analizzato migliaia di registri di spedizione, relazioni aziendali, elenchi di fornitori e siti web– i ricercatori di Earthsight hanno ricostruito la filiera che porta il cotone coltivato illegalmente nel Cerrado nei negozi di Zara ed H&M e poi negli armadi di milioni di persone. I ricercatori hanno identificato otto produttori di abbigliamento asiatici che utilizzano il cotone Horita e SLC e che allo stesso tempo forniscono alle due società di fast fashion milioni di capi di cotone finiti. Tra questi figura l’indonesiana PT Kahatex “il più grande acquirente di cotone contaminato Horita e SLC che abbiamo trovato”. H&M è il secondo cliente dell’azienda indonesiana, da cui ha acquistato milioni di paia di calzini, pantaloncini e pantaloni che sono poi stati messi in vendita nei negozi del gruppo negli Stati Uniti, in Germania, nel Regno Unito, in Svezia, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Spagna, in Francia, in Polonia, in Irlanda, in Italia.

    Il cotone sporco del Cerrado è finito anche negli stabilimenti di Jamuna Group, uno dei maggiori conglomerati industriali del Bangladesh: “Nei negozi Zara in Europa, fino ad agosto 2023, sono stati venduti per 235 milioni di euro jeans e altri capi in denim confezionati da Jamuna, circa 21.500 paia al giorno -si legge nel report-. Inditex importa i capi prodotti da Jamuna in Spagna e nei Paesi Bassi, da dove li distribuisce ai suoi negozi Zara, Bershka e Pull&Bear in tutta Europa”. Complessivamente, secondo le stime che i ricercatori hanno elaborato consultando i registri delle spedizioni il Gruppo Horita e SLC Agrícola hanno esportato direttamente almeno 816mila tonnellate di cotone da Bahia verso i mercati esteri tra il 2014 e il 2023. Una quantità di materia prima sufficiente a produrre dieci milioni di capi d’abbigliamento e prodotti per la casa tra lenzuola, tovaglie e tende.

    Ma come è stato possibile, si sono chiesti i ricercatori, che le catene di approvvigionamento dei due marchi di moda siano state “contaminate” da cotone brasiliano legato a deforestazione e land grabbing? “Parte della risposta sta nel fatto che le loro politiche etiche sono piene di falle. Ma soprattutto, il sistema di filiera etica su cui si basano è fondamentalmente difettoso”.

    Il riferimento è al fatto che, nel tentativo di presentarsi come sostenibili e responsabili, i due brand si sono affidati a un sistema di certificazione denominato Better Cotton (BC). “Il cotone che abbiamo collegato agli abusi ambientali a Bahia ne riportava il marchio di qualità. Questo non dovrebbe sorprendere dal momento che Better Cotton è stata ripetutamente accusata di greenwashing e criticata per non aver garantito la piena tracciabilità delle catene di approvvigionamento”, scrivono i ricercatori di Earthsight nel rapporto. Evidenziando come, sebbene dal primo marzo 2024 le regole di BC siano state aggiornate, rimangano comunque una serie di criticità e di punti deboli. A partire dal fatto che il cotone proveniente da terreni disboscati illegalmente prima del 2020 venga ancora certificato.

    “È ormai molto chiaro che i crimini legati ai beni che consumiamo devono essere affrontati attraverso la regolamentazione, non attraverso le scelte dei consumatori -conclude Sam Lawson, direttore di Earthsignt-. Ciò significa che i legislatori dei Paesi consumatori dovrebbero mettere in atto leggi forti con un’applicazione rigorosa. Nel frattempo, gli acquirenti dovrebbero pensarci due volte prima di acquistare il prossimo capo di abbigliamento in cotone”.

    https://altreconomia.it/il-cotone-sporco-e-insostenibile-di-zara-ed-hm-e-la-distruzione-del-cer
    #industrie_textile #coton #mode #déforestation #Brésil #rapport #chiffres #statistiques #SLC_Agrícola #Horita #SLC #fast-fashion #land_grabbing #accaparement_de_terres #Better_Cotton #greenwashing #green-washing

    • Fashion Crimes: The European Retail Giants Linked to Dirty Brazilian Cotton


      Key Findings:

      - The world’s largest fashion brands, H&M and Zara, use cotton linked to land grabbing, illegal deforestation, violence, human rights violations and corruption in Brazil.
      - The cotton is grown by two of Brazil’s largest agribusinesses – SLC Agrícola and the Horita Group – in western Bahia state, a part of the precious Cerrado biome, which has been heavily deforested in recent decades to make way for industrial-scale agriculture.
      - Unlike in the Amazon, deforestation in the Cerrado is getting worse. The biome is home to five per cent of the world’s species. Many face extinction due to habitat loss if current deforestation trends are not reversed.
      - For centuries, traditional communities have lived in harmony with nature. These communities have seen their lands stolen and suffered attacks by greedy agribusinesses serving global cotton markets.
      - The tainted cotton in H&M and Zara’s supply chains is certified as ethical by the world’s largest cotton certification scheme, Better Cotton, which has failed to detect the illegalities committed by SLC and Horita. Better Cotton’s deep flaws will not be addressed by a recent update to its standards.
      - Failure by the fashion sector to monitor and ensure sustainability and legality in its cotton supply chains means governments in wealthy consumer markets must regulate them. Once in place, rules must be strictly enforced.

      https://www.earthsight.org.uk/fashion-crimes

  • Le militantisme écologiste est-il aussi impopulaire qu’on le pense ?
    https://theconversation.com/le-militantisme-ecologiste-est-il-aussi-impopulaire-quon-le-pense-2

    Éco-terroriste, khmers verts, ayatollah de l’écologie… Les qualificatifs se sont multipliés ces dernières années pour condamner toute action des militants écologistes jugée trop radicale. Ce raidissement a atteint son apogée à l’issue de Sainte-Soline et de la tentative du gouvernement de dissoudre les Soulèvements de la Terre.

    Si cette dernière a été rejetée par le Conseil d’État, les critiques en impopularité ne sont pas sans effet sur les mouvements eux-mêmes. Dans cette logique, Extinction Rebellion, outre-Manche, a fait le choix en décembre 2022 d’arrêter (temporairement) les actions disruptives pour créer un mouvement plus large et populaire, sentant le vent tourner face à un gouvernement et des médias conservateurs de plus en plus hostiles.

    #militantisme #désobéissance_civile #ZAD

  • CrimethInc. : Germany: The Fight against the Tesla Gigafactory : Some Occupy the Forest, Some Shut Down the Power Grid
    https://fr.crimethinc.com/2024/03/08/germany-the-fight-against-the-tesla-gigafactory-some-occupy-the-fores

    For several years now, locals, anarchists, environmentalists, and others have been engaged in a struggle against a Tesla “gigafactory” in the small town of Grünheide, only five kilometers southeast of Berlin. This is the biggest factory producing electric cars for Tesla in all of Europe. Many important issues converge in this conflict: the struggle between global capitalism and local ecosystems, the question of what counts as “sustainable” and who gets to define it, the power that billionaires like Elon Musk have acquired and are using to reshape our society in line with their authoritarian vision.

    #zad #tesla #bagnole

  • #A69 – Une #Répression abjecte, un pouvoir grotesque
    https://bascules.blog/2024/03/01/a69-une-repression-abjecte-un-pouvoir-grotesque

    Par FRACAS le média des combats écologiques Sur les recommandations de notre amie Geneviève Azam 💗, on vous parle aujourd’hui de la lutte contre l’A69, où la répression contre les militants de la Crem’Arbre, prend un tour super inquiétant. (Dans ce débrief, on ne va pas revenir sur les innombrables raisons pour lesquelles ce projet […]

    #Les_mobilisations,_les_luttes,_la_mémoire_des_luttes #Nations_unies #ZAD


    https://2.gravatar.com/avatar/2cef04a2923b4b5ffd87d36fa9b79bc27ee5b22c4478d785c3a3b7ef8ab60424?s=96&d=

  • « Le pavillon fait partie du rêve français » : Attal promet de doper la construction de maisons - Figaro Immobilier
    https://immobilier.lefigaro.fr/article/le-pavillon-fait-partie-du-reve-francais-attal-promet-de-doper-l

    « Oui, le pavillon fait partie du rêve français ! » Gabriel Attal a été ferme : le premier ministre veut relancer la construction de maisons individuelles. Les Français dont on dit que leurs envies sont souvent en décalage avec la politique du gouvernement, apprécieront. « J’assume de vouloir continuer à permettre à tous les Français qui le veulent, de s’offrir leur propre maison. Ça fait partie du rêve de beaucoup de familles, de classes moyennes qui travaillent dur et aspirent à se loger, si c’est leur choix, dans une maison individuelle », a déclaré le chef du gouvernement, en déplacement à Villejuif (94) pour présenter les grandes lignes de son « choc d’offre ».

    « Ceux qui ont pu émettre des doutes, sur cette question, se trompent », a ajouté Gabriel Attal.

    #immobilier #construction #logement #propriétaire #propriété #artificialisation

    • Ça sent le bétonnage de zone agricole et l’étalement urbain, pas du tout viable écologiquement. La maison individuelle #prête_a_crever française date du libéral de droite Giscard (voiture individuelle, maison individuelle, four individuel… cf en quoi l’individualisme a été une stratégie poilitique) et le coup d’Attal ne vient pas de nulle part… A une époque, j’étais locataire d’un logement où on recevait des publications au nom de mes propriétaires. Au bout d’un moment, avant que mon pote Mohammed ne leur fasse la blague de leur courir après avec dans les mains le paquet des envois, je me suis mise à ouvrir les blisters noirs qui les recouvraient, c’était nh l’hebdo du fn, arf. Bref, donner à chaque français une maison avec un jardin faisait partie des promesses de campagne de l’extrême droite. Comme c’est étonnant.

    • En marche arrière
      Coups de rabot sur la rénovation énergétique des logements
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/02/20/coups-de-rabots-sur-la-renovation-energetique-des-logements_6217454_3224.htm

      La ponction de 1 milliard d’euros dans les crédits de MaPrimeRénov’, annoncée dimanche par le ministre de l’économie, Bruno Le Maire, suscite l’incompréhension du secteur.
      Par Claire Ané

      MaPrimeRénov’ est le dispositif qui paie le plus lourd tribut aux nouvelles réductions de dépenses annoncées par le ministre de l’économie, Bruno Le Maire, dimanche 18 février : cette aide à la rénovation énergétique va perdre 1 milliard d’euros de crédits en 2024. Elle s’élèvera toutefois à 4 milliards d’euros, soit 600 millions d’euros de plus qu’en 2023, mais sans permettre l’accélération initialement prévue.

      Deux trains de mesures venaient déjà d’être présentés, afin que la rénovation énergétique contribue au « choc de simplification » dans le logement, promis par le chef du gouvernement, Gabriel Attal. La première salve a été lancée par le ministre de la transition énergétique, Christophe Béchu, dans un entretien au Parisien, lundi 12 février. Elle prévoit de modifier le diagnostic de performance énergétique (#DPE), afin de faire sortir 140 000 logements de moins de 40 mètres carrés du statut de #passoire_thermique – étiquetés F ou G –, soit 15 % d’entre eux. Ils échapperont ainsi à l’interdiction de mise en #location, à laquelle sont déjà soumis les logements classés G+, qui doit être étendue à l’ensemble de logements G début 2025 et aux F en 2028.
      S’ajoute une confirmation : les travaux de rénovation des G ne s’imposeront pas dès le 1er janvier 2025, mais lors d’un changement de locataire ou d’un renouvellement de bail. Dans ce dernier cas, le propriétaire en sera désormais exonéré si le locataire en place refuse de déménager le temps des travaux. Autre nouveauté : l’interdiction de louer un logement classé G sera suspendue pendant deux ans si la copropriété, dont il fait partie, vote en assemblée générale une rénovation des parties communes

      Deuxième étape, jeudi 15 février : M. Béchu et le ministre délégué au logement, Guillaume Kasbarian, ont rencontré le président de la Fédération française du bâtiment, Olivier Salleron, et celui de la Confédération de l’artisanat et des petites entreprises du bâtiment (Capeb), Jean-Christophe Repon. Ils ont promis de simplifier l’accès à MaPrimeRénov’, début mars, sur trois points : limiter l’obligation de recourir à Mon accompagnateur Rénov’aux propriétaires bénéficiant des subventions les plus élevées, « simplifier le label RGE [pour « reconnu garant de l’environnement » ; que les professionnels doivent obtenir pour que les #travaux soient finançables par MaPrimeRénov’] » et « lever les restrictions de financement concernant les gestes de #rénovation simples et efficaces ».
      Si les premières annonces ont été saluées par certains, le coup de rabot sur MaPrimeRénov’est largement critiqué. La Fédération nationale de l’immobilier (Fnaim) a estimé que les allégements sur les DPE et l’interdiction de louer « vont dans le bon sens », tout en appelant à « aller plus loin ». Avant de s’alarmer, six jours plus tard, sur X, du fait que « Bruno Le Maire supprime encore 1 milliard d’euros pour le logement » – le budget 2024 prévoyait déjà 2 milliards d’euros d’économies grâce à la fin du dispositif de défiscalisation Pinel, et un autre gain de 400 millions d’euros par le recentrage du prêt à taux zéro. Et la Fnaim d’insister : la baisse des crédits alloués à MaPrimeRénov’ est « incompréhensible, alors que les obligations de travaux énergétiques imposées par la loi doivent s’accélérer ».

      « Incohérence totale »
      La Fédération française du bâtiment, après avoir apprécié les « intentions » du gouvernement visant à relancer MaPrimeRénov’, dénonce l’« incohérence totale » consistant à amputer cette aide, trois jours plus tard. « Comme sur le logement neuf, ces coups de barre laissent craindre qu’il n’y ait plus de vision au sommet de l’Etat. (…) Organiser la mutation d’une filière dans ces conditions devient tout simplement impossible », affirme le syndicat dans un communiqué.

      Le président de la Capeb, qui représente des entreprises du bâtiment de moins de dix salariés (97 % du secteur), estime pour sa part que « la priorité, c’est de ramener les particuliers et les artisans sur la rénovation. Donc de simplifier, alors que les budgets MaPrimeRénov’ont été moins consommés l’an dernier qu’en 2022 ». De fait, les aides attribuées ont diminué en 2023 – passant de 3,1 milliards d’euros à 2,7 milliards d’euros, tandis que 3,4 milliards avaient été alloués, en hausse de 500 millions d’euros. « Si l’enveloppe de 4 milliards d’euros désormais prévue pour 2024 est dépensée, nous aurons réussi un sacré coup de pouce », fait valoir l’entourage du ministre du logement.

      Pour nombre d’acteurs, cependant, il est malvenu de revoir MaPrimeRénov’, alors que la nouvelle formule vient à peine d’entrer en vigueur, au 1er janvier. « On craint un retour en arrière. Pourtant, on a obtenu de généraliser Mon accompagnateur Rénov’, ce qui évite les arnaques et les travaux peu pertinents. Cela permet aussi de donner la priorité aux rénovations d’ampleur, qui sont bien plus efficaces et moins coûteuses qu’une succession de monogestes, et de renforcer les aides pour les ménages les plus modestes. Réduire leur #consommation est d’autant plus nécessaire que les prix de l’#énergie ont flambé », alerte Léana Miska, responsable des affaires publiques de Dorémi, entreprise solidaire spécialisée dans la rénovation performante.
      « Réduire l’ambition sur MaPrimerénov’ est une catastrophe concernant le signal et la lisibilité, considère le directeur des études de la Fondation Abbé Pierre, Manuel Domergue. Et assouplir les obligations de rénovation va aussi créer de l’attentisme de la part des propriétaires bailleurs. Tout cela à cause du fantasme d’une sortie des passoires thermiques du marché locatif. Ce ne sera pas le cas. Si le calendrier de rénovation n’est pas respecté, l’Etat, les maires ne peuvent rien faire, seuls les #locataires gagnent une petite arme : la possibilité de demander au juge d’instance que leur bailleur effectue des travaux. »

      Inquiétude sur l’assouplissement annoncé du DPE
      Olivier Sidler, porte-parole de NégaWatt, association d’experts qui développe des solutions pour atteindre la neutralité carbone en 2050, ne comprend pas le recul prévu sur MaPrimeRénov’. Même s’il lui rappelle la mise en pause de la réduction des pesticides dans l’agriculture, annoncée par Gabriel Attal au début du mois. « Au sein même du gouvernement, le secrétariat général à la planification écologique prévoit 200 000 rénovations d’ampleur dès 2024 [contre 71 600 en 2023] et une montée en puissance pour arriver à 900 000 par an en 2030. Comment y parvenir sans une forte hausse des crédits ? Il faut que tout le monde s’y mette, y compris les professionnels : ils ont fait déraper le coût de la rénovation quand ils avaient assez de travail sur la construction neuve, plus simple. »
      Le responsable associatif s’inquiète aussi de l’assouplissement annoncé du DPE. « Si une partie des petits logements sont mal classés, ce n’est pas à cause du mode de calcul, mais parce qu’ils consomment beaucoup, notamment pour produire de l’eau chaude. Le gouvernement s’apprête donc à changer le thermomètre, mais pas la fièvre ! »

      M. Sidler juge essentiel de ne pas céder à l’Union nationale des propriétaires immobiliers, à la Fnaim et à Bruno Le Maire, désormais chargé de l’énergie (dont EDF), qui voudraient de nouveau modifier le thermomètre : « Ils considèrent que le calcul du DPE désavantage le chauffage à l’électricité, ce qui n’est pas le cas. Or, s’ils obtenaient gain de cause, énormément de logements gagneraient des classes énergétiques et échapperaient aux rénovations nécessaires. »
      Claire Ané

    • Oui, il n’y a pas de pilote dans l’avion.

      Faut savoir que pour lancer des travaux dans une résidence, faut compter au moins 2 ans : dans un premier temps, faut présenter et faire voter un diagnostique obligatoire. Puis débriefer le diag, faire voter le principe des travaux, lancer un appel d’offres, dépouiller les propositions… quand il y en a et repasser au vote.

      Là, avec des gus qui changent les règles tous les 2 mois, c’est totalement impossible.

      On a lancé un appel d’offres pour le DPE obligatoire et fait voter pour l’une des propositions (6 mois de travail) et comme les règles ont encore changé depuis le début de l’année, la boite choisie ne répond plus, vu qu’on a voté pour un devis qui concrètement n’a plus d’objet car ne correspond plus à la législation en cours.

      Donc, va falloir recommencer ?

      Pendant ce temps, les travaux sont bloqués sur les réparations d’urgence qui ne résolvent rien et consomment les budgets.

  • Consultation sur les ZAER dans chaque commune
    https://viapl.fr/consultation-sur-les-zaer

    A noter que chaque commune a également la possibilité de déterminer des zones d’exclusion et ce point est extrêmement important.

    Il faut bien comprendre que :

    – Définir des zones témoigne d’une volonté politique d’implanter des énergies renouvelables sur une partie de son territoire plutôt qu’une autre, sans toutefois empêcher des projets de s’implanter en dehors.
    – Définir des zones va flécher d’une certaine manière les actions des promoteurs en énergies renouvelables. Les zones classées favorables laissent présager une bonne acceptabilité locale et vont les attirer. A l’inverse, les zones d’exclusions vont les repousser sans, pour autant, que ce soit, un barrage absolu mais un promoteur qui viserait une zone d’exclusion prendrait tout de même un sacré risque.

    En conclusion, il est très important de participer aux consultations qui se déroulent sur votre territoire pour éclairer vos élus sur les différents enjeux. Bien souvent, les communes pensent aux zones favorables mais oublient d’inclure des zones d’exclusion qui peuvent pourtant protéger efficacement une commune.

    Avons-nous bien compris ce qui se passe actuellement avec les ZAER ? En tous cas, je suis frappé que pour la première fois depuis longtemps, on donne compétence aux conseils municipaux au dépends des communautés de communes. Sur le papier, je trouve que c’est plutôt une bonne nouvelle, mais sur le terrain, j’observe que bien des petites communes ont perdu l’habitude d’être souveraines et s’en remettent facilement à l’échelon d’au-dessus et obéissent sans bosser les dossiers et réfléchir aux tenants et aboutissants. Dans mon coin, on part à mon avis sur 10 à 20ha d’agrivoltaïque par commune rurale dans 10 ans.

    #zaer #accelerationENR #croissancevertecata #agrivoltaique #greenwashing

    • Enfin, dernier point, en ce qui concerne les délais, rien n’oblige les mairies à répondre pour le 31 décembre 2023. Certains maires justifient une certaine précipitation avec cet argument mais la ministre de la transition écologique a écrit très précisément dans un courrier adressé aux maires le 29 juin 2023 la chose suivante :

      « Vos communes auront jusqu’au 31 décembre 2023 pour réaliser la remontée des zones à l’état. Je tiens toutefois à préciser qu’il ne s’agit pas d’une date butoir et que j’ai bien conscience que certaines communes seront plus en avance que d’autres dans cet exercice. »

  • Les entrepôts logistiques, le Far West du marché de l’immobilier
    https://reporterre.net/Entrepots-logistiques-un-etalement-en-toute-opacite

    Investi par des sociétés financières et internationales, le marché de l’entrepôt logistique français prospère. Il reçoit des milliards d’euros d’investissement chaque année, dans une certaine opacité.

    J’ai fait cette carte pour l’article de Reporterre mais ce dernier préfère des photos moyennement intéressantes

  • Projet d’#A69 : opération des forces de l’ordre avant une mobilisation prévue ce week-end
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/02/09/projet-d-a69-operation-des-forces-de-l-ordre-avant-une-mobilisation-prevue-c


    Un homme arrêté par les gendarmes à Saïx, le 9 février 2024. LIONEL BONAVENTURE / AFP

    Les opposants au projet d’#autoroute Toulouse-Castres s’affairaient à préparer deux journées de mobilisation prévues samedi et dimanche, installant toilettes sèches et fléchage sur un terrain privé, lorsqu’un escadron de gendarmes s’est déployé à proximité de la ZAD (zone à défendre) de la Crém’arbre, sur la commune de Saïx, à la sortie de Castres.
    Selon les organisateurs, les forces de l’ordre désiraient perturber à l’avance « La Cabanade », nom de cette mobilisation qui prévoit ateliers, tables rondes et même des concerts tout le week-end. Les journalistes de l’Agence France-Presse (AFP), ayant pu s’approcher à une vingtaine de mètres malgré le dispositif de la gendarmerie, ont assisté à deux interpellations ainsi qu’à des tirs de gaz lacrymogène.
    Vers 17 heures, gendarmes et services de voirie de la ville avaient dégagé la plupart des palettes et autres chariots barrant la petite route qui borde la parcelle où sont installés les opposants, proche du tracé de l’autoroute qui doit relier Toulouse et Castres.

    #écologie

    • La militante écologiste Greta Thunberg attendue dans le Tarn à La Cabanade des opposants à l’A69
      https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/02/10/la-militante-ecologiste-greta-thunberg-attendue-dans-le-tarn-a-la-cabanade-d

      Malgré l’#interdiction de la #manifestation et l’intervention des forces de l’ordre vendredi à proximité du lieu de rassemblement, les opposants au projet d’autoroute A69 devraient recevoir un renfort de poids avec la venue attendue à La Cabanade du Tarn de la militante écologiste Greta Thunberg, samedi 10 février.
      Evoquée depuis vingt-quatre heures, la présence samedi sur la zone à défendre (#ZAD) de la Crém’arbre, sur la commune de Saïx, de cette figure mondiale de la lutte contre le #réchauffement_climatique a été confirmée vendredi en début de soirée par le collectif No Macadam, qui fait partie des groupes opposés à la construction de l’autoroute devant relier Toulouse à Castres.
      « Ceci permet d’inscrire pleinement la lutte contre l’A69 au niveau international et national et engage les responsables politiques à prendre la mesure de leur entêtement », a affirmé le collectif, alors que le mouvement de protestation semblait s’essouffler ces derniers mois et que « 45 % du budget » du chantier a été engagé et « 95 % du déboisement » effectué, selon la société Atosca, concessionnaire de l’autoroute.

  • Pénurie de #foncier à urbaniser : de Toulouse à Bourg-en-Bresse, les 20 villes les plus touchées, selon une étude
    https://www.banquedesterritoires.fr/penurie-de-foncier-urbaniser-de-toulouse-bourg-en-bresse-les-20
    https://www.banquedesterritoires.fr/sites/default/files/2024-02/Chantiers_%C3%A0_la_Cartoucherie+%281%29.jpg

    Quelles vont être les conséquences de la sobriété foncière imposée par l’objectif de zéro #artificialisation nette (#ZAN) sur les métropoles et les agglomérations ? Pour le cabinet de conseil en immobilier professionnel Arthur Loyd, 113.000 hectares vont manquer en France d’ici 2030 pour répondre aux besoins de logement et de développement des territoires. Et selon des chiffres extraits de la septième édition de son baromètre sur l’attractivité des métropoles et des agglomérations, ce sont justement les territoires les plus dynamiques en termes de #croissance_démographique et/ou de progression de l’emploi qui vont pâtir le plus de la rareté du foncier.

    […] Alors que selon l’Insee, le nombre de ménages devrait continuer de croître, passant de près de 30 millions en 2018 à 34 millions en 2050, de nouveaux besoins en logements, services et équipements vont apparaître, dans un contexte de rareté foncière. « L’augmentation des coûts de l’immobilier va représenter une problématique durable pour les Français, alors que le #logement est d’ores et déjà le premier poste de dépenses des ménages », souligne Cevan Torossian.

    Autre sujet de premier ordre, pour Arthur Loyd : le besoin de foncier lié à la #réindustrialisation, alors que 12,8 milliards d’euros ont été investis au premier semestre 2023 dans les filières vertes. Selon l’étude, les territoires localisés hors des métropoles, qui seront demain les premiers touchés par les contraintes de sobriété foncière, concentrent aujourd’hui les trois quarts du volume total investi. Tous secteurs confondus, 22.000 hectares devraient être nécessaires pour permettre la réindustrialisation du pays, selon le rapport remis par le préfet Rollon Mouchel-Blaisot en juillet dernier.

    #urbanisation

  • « Une nouvelle bande dessinée d’Alessandro Pignocchi, participant de l’expédition de cet automne en défense du glacier de la Grave contre la construction d’un 3ème tronçon de téléphérique 🏔️🦫 »

    À lire librement sur son blog
    https://puntish.blogspot.com/2024/01/defendre-le-glacier-de-la-grave.html?m=1

    https://www.terrestres.org/2024/01/26/defendre-le-glacier-de-la-grave

    L’auteur de bande dessinée à l’aquarelle A. Pignocchi partage avec Terrestres sa dernière création artistique et politique. Avec humour, ces nouvelles planches nous embarquent au cœur de la lutte sur le Glacier de la Grave dans les Alpes

  • Vingtième et dernière partie : le commun et la non-propriété « Enlace Zapatista
    https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/01/08/vingtieme-et-derniere-partie-le-commun-et-la-non-propriete

    Et tout ça à cause d’un foutu papier. Même si le papier date de l’époque de la Nouvelle Espagne, le papier ne vaut rien pour celui qui a le pouvoir. C’est une tromperie. C’est pour que tu aies confiance, que tu restes tranquille, jusqu’à ce que le système découvre que, en-dessous de ta pauvreté, il y a du pétrole, de l’or, de l’uranium, de l’argent. Ou qu’il y a une source d’eau pure, car maintenant il se trouve que l’eau est devenue une marchandise qui s’achète et se vend.

    Une marchandise comme le furent tes parents, tes grands-parents, tes arrière-grands-parents. Une marchandise comme tu l’es toi, et comme le seront tes enfants, tes petits-enfants, tes arrière-petits-enfants et ainsi, pendant des générations.

    Alors ce papier, c’est comme les étiquettes des marchandises sur les marchés, c’est le prix de la terre, de ton travail, de tes descendants. Et tu ne te rends pas compte, mais tu fais déjà la queue à la caisse et tu es sur le point d’arriver. Et il se trouve que non seulement tu vas devoir payer, mais que tu vas sortir du magasin et que tu vas voir qu’ils t’ont pris la marchandise, que tu n’as même pas le papier pour lequel tu t’es tant battu, toi et tes ancêtres. Et que tu vas peut-être léguer à tes enfants un papier, mais peut-être même pas. Les papiers du gouvernement sont le prix de ta vie, et tu dois payer ce prix avec ta vie. C’est-à-dire que tu es une marchandise légale. C’est l’unique différence avec l’esclavage.

    Alors les plus vieux te racontent que le problème, la division, les discussions et les disputes sont arrivés quand sont arrivés les papiers de propriété. Ce n’est pas qu’avant il n’y avait pas de problèmes, c’est qu’ils se résolvaient en faisant un accord.

    […]

    Qu’en a-t-il été dans notre histoire de lutte de ce qu’on appelle « base matérielle » ?

    Et bien, d’abord il y a eu l’alimentation. Avec la récupération des terres qui étaient aux mains des grands propriétaires terriens, l’alimentation s’est améliorée. La faim a cessé d’être l’invitée dans nos maisons. Ensuite, avec l’autonomie et le soutien de gens qui sont des « bonnes personnes », comme nous disons d’elles, ce fut le tour de la santé. Là, ce fut et c’est très important le soutien des docteurs fraternels, comme nous les appelons, parce qu’ils sont comme nos frères qui nous aident, et pas seulement pour les maladies graves mais également et surtout dans la préparation, c’est-à-dire dans le savoir lié à la santé. Ensuite, l’éducation. Ensuite, le travail de la terre. Ensuite, ce qui concerne le gouvernement et l’administration des propres pueblos zapatistes. Ensuite, ce qui concerne le gouvernement et la coexistence pacifique avec ceux qui ne sont pas zapatistes.

    […]

    La base matérielle ou de production de cette étape va être une combinaison du travail individuel-familial, du collectif et de cette chose nouvelle que nous appelons « travail en commun » ou « non-propriété ».

    Le travail individuel-familial se base sur la petite propriété individuelle. Une personne et sa famille travaillent leur lopin de terre, leur petite boutique, leur moyen de locomotion, leur bétail. Le gain ou le bénéfice revient à cette famille.

    Le travail collectif repose sur l’accord entre compañeras et/ou compañeros pour effectuer des travaux sur des terres collectives (attribuées comme telles avant la guerre et élargies après la guerre). On répartit les travaux selon le temps, la capacité et la disposition. Le gain ou bénéfice est pour le collectif. On l’utilise généralement pour les fêtes, les mobilisations, l’acquisition de matériel de santé, la formation des promoteurs de santé et d’éducation et pour les déplacements et les frais de fonctionnement des autorités et des commissions autonomes.

    Le travail commun commence, maintenant, par la possession de la terre. Une partie des terres récupérées est déclarée pour « le travail commun ». C’est-à-dire qu’elle n’est pas morcelée et qu’elle n’est la propriété de personne, qu’elle n’est ni petite, ni moyenne, ni grande propriété. Cette terre n’est à personne, elle n’a pas de propriétaire. Et, en accord avec les communautés proches, on se « prête » mutuellement cette terre pour la travailler. On ne peut ni la vendre, ni l’acheter. On ne peut pas l’utiliser pour la production, le transfert ou la consommation de stupéfiants. Le travail se fait « à tour de rôle » en accord avec les GALs et les frères non zapatistes. Le bénéfice ou le gain revient à celles et ceux qui travaillent, mais la propriété n’en est pas une, c’est une non-propriété qu’on utilise en commun. Peu importe si tu es zapatiste, affilié à un parti, catholique, évangéliste, presbytérien, athée, juif, musulman, noir, blanc, brun, jaune, rouge, femme, homme, autre. Tu peux travailler la terre en commun, avec l’accord des GALs, CGAL et ACGal, selon le village, la région ou la zone, qui sont ceux qui veillent à ce que les règles d’usage commun soient respectées. Que tout serve au bien commun, que rien n’aille contre le bien commun.

    […]

    P.S. QUI DÉCLARE SOUS SERMENT À aucun moment ou étape de la délibération qui a conduit à la décision que prirent les pueblos zapatistes n’ont surgi des citations, des notes de bas de pages ou encore des références, même lointaines, de Marx, Engels, Lénine, Trotski, Staline, Mao, Bakounine, le Che, Fidel Castro, Kropotkine, Flores Magón, la Bible, le Coran, Milton Friedman, Milei, le progressisme (pour autant qu’il ait des références bibliographiques qui ne soient pas celles de ses gratte-papiers), la Théologie de la Libération, Lombardo, Revueltas, Freud, Lacan, Foucault, Deleuze, ce qui est à la mode – ou au mode – dans les gauches, ni n’importe quelle source des gauches, des droites ou des centres inexistants. Ce n’est pas tout, je sais aussi qu’ils n’ont lu aucun des ouvrages fondateurs des ismes qui alimentent rêves et défaites de la gauche. Pour ma part, je donne un conseil non sollicité à celles et ceux qui ont lu ces lignes : chacun est libre de faire le ridicule, mais je vous recommanderais qu’avant de commencer avec vos niaiseries du type « le laboratoire de la Lacandone », « l’expérience zapatiste », et de cataloguer cela dans un sens ou dans un autre, vous y pensiez à deux fois. Parce que, en parlant de ridicules, vous le faites en grand depuis presque 30 ans à vouloir « expliquer » le zapatisme. Peut-être que vous ne vous en souvenez plus maintenant, mais ici, ce qui ne manque pas, à part la dignité et la boue, c’est la mémoire. C’est comme ça.

    #EZLN #zapatistes #autonomie #communs #propriété

  • Le Chiapas, au sud du Mexique, saisi par la violence des trafics | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/studio/portfolios/le-chiapas-au-sud-du-mexique-saisi-par-la-violence-des-trafics

    La région du Chiapas est le théâtre d’affrontements entre les cartels. Pour toute réponse, l’État fédéral envoie l’armée, une mesure mal vécue par la population. La militarisation réveille les blessures du passé au sein des communautés indigènes qui ont subi les exactions des paramilitaires contre le mouvement zapatiste.

    https://justpaste.it/5nkry

    #Mexique #Chiapas #cartels #zapatistes #photo

    • « L’armée est liée aux cartels, tout le monde le sait, confie une habitante de Frontera Comalapa. Nous avons dit aux militaires qui sont les chefs et où ils se trouvent, c’est une petite ville et cela n’est pas un secret, mais leurs convois passent devant et ils ne font rien. » Au Chiapas, le rôle de l’#armée est fréquemment mis en cause par les habitant·es, et dans les communautés indigènes, beaucoup s’opposent à l’implantation des forces armées sur leur territoire.
      Mario Ortega, expert au Frayba, révèle que dans les zones où la Garde nationale occupe une base, l’association enregistre « une plus grande incidence de disparitions forcées, environ le double ». Selon le gouvernement, 15 000 militaires ont été déployés dans la région en 2023. Pas moins de 18 nouveaux quartiers de l’armée et de la Garde nationale ont été construits ou sont en travaux depuis 2020, mais la présence soutenue de l’armée au Chiapas n’est pas nouvelle. « Plus que de militarisation, nous parlons de remilitarisation », soutien Ortega. Depuis le soulèvement zapatiste en 1994, l’armée utilise les prétextes de la lutte contre le narcotrafic mais aussi des missions de service public, gestion de la pauvreté, réparation des désastres naturels, travaux publics ou contrôle migratoire, pour maintenir d’importants effectifs sur place.

  • ne se moque pas, mais quand même ! Les ceusses bouffent... des huîtres (!) et après iels s’étonnent de tomber malades et de mourir empoisonné(e)s... Non mais allô, quoi ! C’est comme se taper sur les doigts avec un marteau et être surpris(e) d’avoir mal ! Finalement ce que l’Histoire retiendra des Sapiens Sapiens, c’est leur incommensurable ingénuité.

    #ZAvezQuÀBoufferDesTrucsNormaux.

  • I grandi marchi della fast fashion non vogliono rinunciare al petrolio russo

    Nel 2023 le due principali società produttrici di poliestere, l’indiana #Reliance industries e la cinese #Hengli group, hanno continuato a utilizzare il greggio di Mosca. La maggior parte dei brand -da #Shein a #H&M, passando per #Benetton- chiude un occhio o promette impegni generici. Il dettagliato report di #Changing_markets.

    Quest’anno i principali produttori globali di poliestere, la fibra tessile di origine sintetica derivata dal petrolio, non solo non hanno interrotto i propri legami con la Russia ma al contrario hanno incrementato gli acquisti della materia prima fondamentale per il loro business. È quanto emerge da “#Crude_Couture”, l’inchiesta realizzata da Changing markets foundation pubblicata il 21 dicembre, a un anno di distanza dalla precedente “Dressed to kill” che aveva svelato i legami segreti tra i principali marchi della moda e il petrolio di Mosca.

    “Quest’indagine -si legge nell’introduzione- evidenzia il ruolo fondamentale svolto dall’industria della moda nel perpetuare la dipendenza dai combustibili fossili e segnala una preoccupante mancanza di azione per rompere i legami con il petrolio russo”. Un’inazione, sottolineano i ricercatori, che sta indirettamente finanziando la guerra in Ucraina. E non si tratta di un contributo di poco conto: le fibre sintetiche, infatti, pesano per il 69% sulla produzione di fibre e il poliestere è di gran lunga il più utilizzato, lo si può trovare infatti nel 55% dei prodotti tessili attualmente in circolazione. Se non ci sarà una netta inversione di tendenza, si stima che entro il 2030 quasi tre quarti di tutti i prodotti tessili verranno realizzati a partire da combustibili fossili.

    Il poliestere è fondamentale per l’esistenza dell’industria del fast fashion, e ancora di più per i marchi di moda ultraveloce come Shein: un’inchiesta pubblicata da Bloomberg ha mostrato che il 95% dei capi prodotti dal marchio di moda cinese conteneva materiali sintetici mentre per brand come #Pretty_Little_Thing, #Misguided e #Boohoo la percentuale era dell’83-89%.

    Al centro delle due inchieste realizzate da Changing markets ci sono due importanti produttori di questo materiale: l’indiana #Reliance_industries (con una capacità produttiva stimata in 2,5 milioni di tonnellate all’anno) e la cinese #Hengli_group. I filati e i tessuti che escono dai loro stabilimenti vengono venduti ai produttori di abbigliamento di tutto il mondo che, a loro volta, li utilizzano per confezionare magliette, pantaloni, cappotti, scarpe e altri accessori per importanti brand. Su 50 marchi presi in esame in “Dressed to kill” 39 erano direttamente o indirettamente collegati alle catene di fornitura di Hengli group or Reliance industries, tra questi figurano #H&M, #Inditex (multinazionale spagnola proprietaria, tra gli altri, di #Bershka e #Zara), #Adidas, #Uniqlo e #Benetton.

    Anche dopo la pubblicazione di “Dressed to kill”, Reliance e Hengli hanno continuato ad acquistare petrolio russo. A marzo 2023 l’India ha acquistato da Mosca la quantità record di 51,5 milioni di barili di greggio: “Insieme a Nayara Energya, la principale compagnia petrolifera indiana, Reliance industries ha rappresentato più della metà (52%) delle importazioni totali”, si legge nell’inchiesta. In crescita anche le importazioni cinesi (+11,7% rispetto all’anno precedente). “Nel maggio 2023, #Hengli_Petrochemical ha ricevuto 6,44 milioni di barili di greggio russo, come riportato dai dati di tracciamento delle navi dell’agenzia Reuters -scrivono gli autori del report-. Queste tendenze rivelano il persistente legame tra le aziende di moda che si riforniscono da questi produttori di poliestere e il petrolio russo”. Oltre alla violazione delle sanzioni imposte a Mosca da diversi governi, compresi quello degli Stati Uniti e dell’Unione europea.

    I ricercatori di Changing markets hanno quindi deciso di tracciare un bilancio e hanno inviato un questionario a 43 brand (compresi i 39 già presi in esame in “Dressed to kill”) per verificare se avessero interrotto i rapporti con Reliance ed Hengli. Appena 18 hanno risposto alle domande e solo due aziende (Esprit e G Star Raw) hanno dichiarato di aver tagliato i ponti con i due produttori. Una terza (Hugo Boss) si è impegnata a eliminare gradualmente il poliestere e il nylon: “Le altre rimangono in silenzio o minimizzano l’urgenza della crisi ucraina con vaghe promesse di cambiamento a diversi anni di distanza o con false soluzioni, come il passaggio al poliestere riciclato, per lo più da bottiglie di plastica”, si legge nel report.

    Tre società (H&M, C&A e Inditex) hanno risposto al questionario “distogliendo l’attenzione” dal legame con il petrolio russo per enfatizzare future strategie di transizione dal poliestere vergine a quello riciclato (da bottiglie di plastica) o verso materiali di nuova generazione. H&M ad esempio ha dichiarato la propria intenzione di non approvvigionarsi più di poliestere vergine entro il 2025 “tuttavia non ha chiarito le sue attuali pratiche per quanto riguarda i fornitori di poliestere legati al petrolio russo”. Analogamente, la catena olandese C&A afferma di volersi concentrare su materiali riciclati e di nuova generazione senza fornire informazioni sui legami con i fornitori oggetto dell’inchiesta. Nemmeno la spagnola Inditex ha risposto alle domande in merito a Reliance ed Hengli. Anche l’italiana Benetton avrebbe fornito risposte insufficienti o generiche: “Si è impegnata vagamente a una transizione verso materiali ‘preferiti’ -scrivono gli autori dell’inchiesta-, senza specificare però l’approccio ai materiali sintetici”.

    Tra quanti non hanno risposto al questionario c’è proprio Shein ma i suoi legami con il produttore indiano di poliestere sono evidenti: a maggio 2023 infatti le due società hanno sottoscritto un accordo in base al quale il colosso può utilizzare le capacità di approvvigionamento, l’infrastruttura logistica e l’ampia rete di negozi fisici e online di Reliance Retail, segnando così il ritorno di Shein in India dopo una pausa di tre anni. “Poiché il poliestere rappresenta il 64% del mix di materiali del brand e il 95,2% dell’abbigliamento di contiene plastica vergine, l’imminente collaborazione con Reliance suggerisce che una parte significativa delle circa 10mila novità giornaliere di Shein potrebbe in futuro essere derivata da prodotti di plastica vergine prodotti grazie a petrolio russo”, conclude il report.

    https://altreconomia.it/i-grandi-marchi-della-fast-fashion-non-vogliono-rinunciare-al-petrolio-

    #Russie #pétrole #fast-fashion #mode #polyester #rapport #textile #industrie_textile #industrie_de_la_mode

    • Fossil Fashion

      Today’s fashion industry has become synonymous with overconsumption, a snowballing waste crisis, widespread pollution and the exploitation of workers in global supply chains. What is less well known is that the insatiable fast fashion business model is enabled by cheap synthetic fibres, which are produced from fossil fuels, mostly oil and gas. Polyester, the darling of the fast fashion industry, is found in over half of all textiles and production is projected to skyrocket in the future. Our campaign exposes the clear correlation between the growth of synthetic fibres and the fast fashion industry – one cannot exist without the other. The campaign calls for prompt, radical legislative action to slow-down the fashion industry and decouple it from fossil fuels.

      Crude Couture: Fashion brands’ continued links to Russian oil

      December 2023

      Last year, our groundbreaking ‘Dressed to Kill’ investigation delved deep into polyester supply chains, unveiling hidden ties between major global fashion brands and Russian oil. We exposed Russia’s pivotal role as a primary oil supplier for key polyester producers India’s Reliance Industries and China’s Hengli Group, which were found to be supplying fibre for the apparel production of numerous fashion brands.

      Now, a year later, we returned to the fashion companies to evaluate if they have severed ties with these suppliers. Shockingly, our latest report reveals an alarming trend: the two leading polyester producers are increasingly reliant on war-tainted Russian oil in 2023. Despite prior warnings about these ties, major fashion brands continue to turn a blind eye, profiting from cheap synthetics, while Ukraine suffers. Only two companies – Esprit and G Star Raw – said they cut ties with the two polyester producers, while Hugo Boss committed to phase out polyester and nylon. The others remain silent or downplay the urgency of the Ukrainian crisis with vague promises of change several years ahead or with false solutions, such as switching to recycled polyester – mostly from plastic bottles. This investigation sheds light on the fashion industry’s persistent dependance on fossil fuel and their lack of action when it comes to climate change and fossil fuel phase out.

      https://changingmarkets.org/portfolio/fossil-fashion

  • L’#activisme_écologiste, nouveau terrain d’#expérimentation de la #Technopolice

    Drones, reconnaissance faciale, marqueurs codés… Outre l’arsenal administratif et répressif déployé par l’État pour les punir, le ministère de l’Intérieur expérimente et perfectionne sur les activistes écologiques ses nouveaux outils technopoliciers.

    Plusieurs affaires récentes ont mis en lumière la surveillance particulièrement intensive subie par les militantes écologistes. Outre l’arsenal administratif et répressif déployé par l’État pour les punir, c’est la nature des moyens utilisés qui interpelle : drones, reconnaissance faciale, marqueurs codés… Le ministère de l’Intérieur expérimente et perfectionne sur les activistes écologiques ses outils technopoliciers.

    Plusieurs articles ont révélé le caractère intensif des moyens de surveillance et de répression déployés par l’État pour punir certaines actions militantes écologistes. Si cela avait déjà été documenté pour le mouvement de résistance nucléaire à Bure, c’est dernièrement le cas de l’affaire Lafarge pour laquelle un article paru sur Rebellyon a détaillé les outils mis en œuvre par la police afin d’identifier les personnes ayant participé à une action ciblant une usine du cimentier.

    Vidéosurveillance, analyse des données téléphoniques, réquisitions aux réseaux sociaux, relevés ADN, virements bancaires, traceurs GPS… La liste paraît infinie. Elle donne une idée de la puissance que peut déployer l’État à des fins de surveillance, « dans un dossier visant avant tout des militants politiques » – comme le souligne Médiapart dans son article.

    Pour avoir une idée de l’étendue complète de ces moyens, il faut y ajouter la création des cellules spécialisées du ministère de l’Intérieur (la cellule Démeter, créée en 2019 pour lutter contre « la délinquance dans le monde agricole » et la cellule « anti-ZAD », mise en place en 2023 à la suite de Sainte-Soline) ainsi que l’alerte donnée par la CNCTR (l’autorité de contrôle des services de renseignement) qui en 2023 a souligné son malaise sur l’utilisation accrue des services de renseignement à des fins de surveillance des organisations écologistes.

    Les forces de sécurité semblent continuer de perfectionner et expérimenter sur les organisations écologistes leurs nouveaux outils de surveillance : drones, caméras nomades, reconnaissance faciale, produits de marquages codés… Parce que ces organisations leur opposent une résistance nouvelle, souvent massive, déployée sur un ensemble de terrains différents (manifestations en milieu urbain, ZAD, méga-bassines…), les forces de police semblent trouver nécessaire l’utilisation de ces outils de surveillance particulièrement invasifs.
    Capter le visage des manifestantes

    Outil phare de la Technopolice, le drone a été expérimenté dès ses débuts sur les écologistes. Difficile d’y voir un hasard quand (d’après la gendarmerie), la première utilisation d’un drone à des fins de surveillance par la gendarmerie a lieu dans le Tarn en 2015, pour évacuer la ZAD du barrage de Sivens. En 2017, c’est Bure (site prévu pour l’enfouissement de déchets nucléaires) qui sert d’expérimentation avant une utilisation officialisée pour la ZAD de Notre-Dame-des-Landes en 2018.

    La gendarmerie y décrit dans sa revue officielle un contexte idéal d’expérimentation avec une utilisation permettant un « grand nombre de premières » : utilisation simultanée de drones et d’hélicoptères de surveillance, retransmission en direct des divers flux vidéos, guidage des tirs de lacrymogènes… Des utilisations qui seront ensuite reprises et normalisées dans les futures utilisations des drones, en particulier pour la surveillance des manifestations. À noter dans la revue officielle de la gendarmerie l’utilisation répétée du terme d’ « adversaires » pour décrire les militantes : « marquage d’adversaire », « manœuvre de l’adversaire »….

    Ce n’est pas non plus un hasard si dans le Livre blanc de la sécurité intérieure, document publié fin 2020 par le ministère de l’Intérieur pour formuler un ensemble de propositions sur le maintien de l’ordre, l’exemple de Notre-Dame-des-Landes est cité pour justifier l’utilisation massive de drones, comme une « une étape importante dans la planification et l’exécution d’une opération complexe de maintien de l’ordre ».

    Résultat : après la généralisation des drones dès 2020 avec le Covid-19, on a ensuite assisté, une fois l’ensemble légalisé à posteriori (et non sans difficultés), à la normalisation de l’usage des drones pour la surveillance des manifestations. Les drones sont aujourd’hui encore bien utiles à la police pour suivre les actions militantes écologistes, que ce soit récemment pour le Convoi de l’eau ou la mobilisation contre les travaux de l’A69.

    À noter que l’imagination de la police et de la gendarmerie ne se limite pas aux drones en ce qui concerne les nouveaux moyens de surveillance vidéo. Plusieurs organisations ont documenté l’utilisation de caméras nomades ou dissimulées pour épier les allées et venues des activistes : caméras dans de fausses pierres ou troncs d’arbres pour la ZAD du Carnet, caméras avec vision nocturne en 2018 dans la Sarthe…
    Ficher le visage des manifestantes

    Autre outil phare de la Technopolice : la reconnaissance faciale. Rappelons-le : la reconnaissance faciale est (malheureusement) autorisée en France. La police ou la gendarmerie peuvent identifier des personnes grâce à leurs visages en les comparant à ceux enregistrés dans le fichier du traitement des antécédents judiciaires (TAJ). L’utilisation qui en est faite par les services de sécurité est aujourd’hui massive, estimée à plus de 600 000 fois en 2021 (donc plus de 1600 fois par jour).

    Il est néanmoins assez rare d’avoir des exemples concrets de son utilisation pour comprendre comment et sur qui la police utilise ce dispositif. À ce titre, comme souligné dans l’article de Rebellyon, la reconnaissance faciale a été utilisée pour incriminer des personnes censément impliquées dans l’affaire Lafarge, avec l’utilisation d’images tirées de la réquisition des vidéosurveillances des bus de la ville pour les comparer au fichier TAJ. Médiapart dénombre dans son enquête huit personnes identifiées via ce dispositif.

    Même chose pour la manifestation de Sainte-Soline : dans un article de juillet 2023, Médiapart relate que les quatre personnes qui ont comparu ont été retrouvées grâce à la reconnaissance faciale. Un premier procès plus tôt, déjà sur Sainte Soline, fait également mention de l’utilisation de la reconnaissance faciale.

    Notons bien qu’au vu des chiffres cités plus haut, l’utilisation de la reconnaissance faciale est massive et n’est pas concentrée sur les militant·es écologistes (voir ici une utilisation récente pour retrouver une personne soupçonnée de vol). On constate néanmoins une utilisation systématique et banalisée de la reconnaissance faciale du TAJ, normalisée au point de devenir un outil d’enquête comme les autres, et de plus en plus présentée comme élément de preuve dans les tribunaux.

    En 2021, nous avions attaqué devant le Conseil d’État cette reconnaissance faciale en soulevant que celle-ci devait légalement être limitée à la preuve d’une « nécessité absolue », un critère juridique qui implique qu’elle ne soit utilisée qu’en dernier recours, si aucune autre méthode d’identification n’est possible, ce qui n’était déjà pas le cas à l’époque. Cela l’est encore moins aujourd’hui à lire les comptes-rendus de Rebellyon ou de Médiapart.
    Marquer les manifestantes

    D’autres outils de surveillance, encore au stade de l’expérimentation, semblent testés dans les mobilisations écologistes. Parmi les plus préoccupants, les produits de marquage codés. Il s’agit de produits, tirés par un fusil type paintball, invisibles, indolores, permettant de marquer une personne à distance et persistant sur la peau et les vêtements. Ils peuvent être composés d’un produit chimique ou d’un fragment d’ADN de synthèse, se révélant à la lumière d’une lampe UV, porteurs d’un identifiant unique pour « prouver » la participation à une manifestation.

    Comme rappelé par le collectif Désarmons-les, c’est dès 2021 que Darmanin annonce l’expérimentation de ce dispositif. Il semble être ensuite utilisé pour la première fois en 2022 lors d’une première manifestation contre la bassine de Sainte-Soline (via l’utilisation par la police de fusils spéciaux, ressemblant à ceux utilisés par les lanceurs paintball). En 2022, Darmanin dénombrait déjà plus de 250 utilisations de ce dispositif.

    En 2023, son utilisation est de nouveau remarquée pour la manifestation contre la bassine de Sainte-Soline. Elle entraîne la garde à vue de deux journalistes qui ont détaillé à la presse la procédure suivie par la police et la gendarmerie pour récupérer et analyser la trace de peinture laissée par le fusil PMC.

    Cet usage ne semble être aujourd’hui qu’à ses débuts. Dans le cadre d’un recours contentieux contre les drones, la préfecture de police, dans une surenchère sécuritaire sans limite, avait notamment émis le souhait de pouvoir équiper ses drones d’un lanceur de PMC. Le ministre de la Justice a également vanté l’utilisation de ces outils dans une récente audition sur le sujet, « utiles pour retrouver la trace d’un individu cagoulé ». Un rapport parlementaire de novembre 2023 rappelle néanmoins que son utilisation se fait aujourd’hui sans aucun cadre légal, ce qui la rend purement et simplement illégale. Si certains parlementaires semblent également s’interroger sur son efficacité, d’autres, dans un rapport sur « l’activisme violent », appellent à sa pérennisation et sa généralisation. Côté gouvernement, après l’avoir expérimenté sur les militants sans aucun cadre légal, le ministère de l’intérieur semble pour l’instant avoir suspendu son utilisation.

    Les mouvements militants ne sont évidemment pas les seuls à connaître cette intensité dans le déploiement des moyens de surveillance : les exilées, les habitantes des quartiers populaires ont toujours été les premières à subir la militarisation forcenée des forces du ministère de l’Intérieur. Néanmoins, cette expérimentation des technologies sur les organisations écologistes est une nouvelle preuve de l’escalade sécuritaire et déshumanisée de la police et de la gendarmerie en lien avec la criminalisation des mouvements sociaux. La France est à l’avant-garde de la dérive autoritaire en Europe, puisqu’il semble être l’un des pays du continent ayant une pratique régulière et combinée de ces nouveaux outils

    https://blogs.mediapart.fr/la-quadrature-du-net/blog/191223/l-activisme-ecologiste-nouveau-terrain-d-experimentation-de-la-techn

    #répression #contrôle #surveillance #écologie #résistance #activisme #technologie #technologie_de_surveillance #cellule_Démeter #cellule_anti-ZAD #CNCTR #drone #ZAD #Sivens #Bure #Notre-Dame-des-Landes #reconnaissance_faciale

  • (3) Publier | Fil d’actualité | LinkedIn
    https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:7139870640949338113

    [hashtag#Lecture] 🎁 Plus qu’une idée de lecture, c’est une idée de cadeau. "Ada & Zangemann", paru chez C & F EDITIONS sous l’impulsion d’Alexis Kauffmann va éveiller vos enfants au hashtag#LogicielLibre. ⬇

    « Lorsqu’il eut terminé, il envoya tous les nouveaux programmes depuis son ordinateur en or vers les appareils des gens. Zangemann ordonna à ses enceintes de ne jouer que sa musique préférée lorsqu’il passait à proximité, et aux machines à glace de ne plus vendre de glaces dans l’après-midi… »

    Mais que faire quand l’irascible hashtag#Zangemann, l’inventeur de tous les appareils connectés du pays, décide que les skateboards ne doivent plus rouler sur les trottoirs, que les enceintes connectées ne doivent plus jouer qu’une seule musique, et les glaces n’avoir qu’un seul parfum ?

    C’est la petite hashtag#Ada qui a la solution : recycler, fabriquer, programmer... développer ses propres ordinateurs et logiciels en toute liberté, loin de la domination des grands empires commerciaux.

    "Ada & Zangemann", c’est un très beau conte signé Matthias Kirschner et illustré par Sandra Brandstätter, et adapté en français par Alexis Kauffmann et plusieurs classes de collège et de lycée. Il explique aux plus jeunes, mais aux adultes aussi, toute la problématique du logiciel libre et de notre indépendance matérielle et logicielle face aux GAFAM. 

    Et puis, la bonne nouvelle, c’est qu’en plus d’être un beau livre, ce conte est également disponible gratuitement (ou après un don d’un montant libre) sur le site de C & F EDITIONS, en format hashtag#PDF ou hashtag#ePub, sous licence hashtag#CreativeCommons : Attribution, Partage dans les mêmes conditions.

    Un grand bravo à Nicolas Taffin et Hervé Le Crosnier pour cette initiative.

    Le livre, à commander, lire ou télécharger est là ➡ https://lnkd.in/edQr6evi

    hashtag#LogicielLibre hashtag#Lecture hashtag#CadeaudeNoël hashtag#GAFAM hashtag#CFEditions hashtag#Inspiration hashtag#BonDébutdeSemaine

    #Ada_Zangemann

  • Douzième partie : Fragments. Fragments d’une lettre du Sous-commandant insurgé Moisés envoyée, il y a quelques mois, à une géographie lointaine en distance et proche en pensée : « Enlace Zapatista
    https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/09/douzieme-partie-fragments-fragments-dune-lettre-du-sous-com

    Je veux dire, nous ne voyons pas seulement la tempête et la destruction, la mort et la douleur qu’elle apporte avec elle. Nous voyons aussi ce qui s’ensuit. Nous voulons être la graine d’une future racine que nous ne verrons pas, qui sera ensuite, à son tour, la pelouse que nous ne verrons pas non plus.

    La vocation zapatiste, si quelqu’un nous presse à donner une définition laconique, c’est donc d’« être une bonne graine ».

    Nous ne prétendons pas léguer aux prochaines générations une conception du monde. Ni leur léguer nos misères, nos rancœurs, nos douleurs, nos phobies, ni nos penchants. Qu’ils soient non plus le miroir d’une image plus ou moins approximative de ce que nous supposons bon ou mauvais.

    Ce que nous voulons, c’est léguer la vie. Ce que d’autres générations feront d’elle, ce sera leur décision et, surtout, leur responsabilité. De même que nous, nous avons hérité la vie de nos ancêtres, nous en avons pris ce que nous considérons précieux et nous nous sommes attribués une tâche. Et, bien sûr, nous assumons la responsabilité de la décision que nous avons prise, de ce que nous faisons pour accomplir cette tâche, et des conséquences de nos actions et de nos omissions.

    Quand nous disons : « Il n’est pas nécessaire de conquérir le monde, il suffit de le refaire », nous nous éloignons, définitivement et irrémédiablement, des conceptions politiques en vigueur et des précédentes. Le monde que nous voyons n’est pas parfait, ni de près, ni de loin. Mais il est meilleur, sans aucun doute. Un monde où chacun peut être qui il est, sans honte, sans être persécuté, mutilé, emprisonné, assassiné, marginalisé, opprimé.

    […]

    Pourquoi disons-nous qu’au cauchemar qui est déjà là, et qui ne fera rien d’autre qu’empirer, suivra un réveil ? Et bien, parce qu’il y en a, comme nous, qui s’engagent à regarder cette possibilité. Certes, minime. Mais tous les jours et à toute heure, partout, nous luttons pour que cette minime possibilité grandisse et, bien que petite et sans importance – comme une graine minuscule -, qu’elle grandisse et qu’un jour, elle soit l’arbre de la vie qui sera de toutes les couleurs ou qui ne sera pas.

    Nous ne sommes pas les seuls. Durant ces 30 dernières années, nous nous sommes tournés vers bien des mondes. Des mondes différents dans leurs modes, leurs temps, leurs géographies, leurs histoires, leurs calendriers mais semblables seulement dans l’effort et le regard absurde posé sur un temps hors du temps qui viendra, non par coup du destin, ni par dessein divin, ni parce que quelqu’un perdra pour qu’un autre gagne. Non, ce sera parce que nous y travaillons, en luttant, en vivant et en mourant pour lui.

    https://vimeo.com/885523029

    #zapatistes #ezln #Moises #futur #stratégie #liberté

  • Dixième partie : À propos des pyramides et de leurs usages et traditions. Conclusions de l’analyse critique des MAREZ et CBG « Enlace Zapatista
    https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/05/dixieme-partie-a-propos-des-pyramides-et-de-leurs-usages-et

    On connaît l’obsession des systèmes dominants, tout au long de leur histoire, pour sauver l’image des classes ou des castes dominantes vaincues. Comme si le vainqueur se préoccupait de neutraliser l’image du vaincu, ignorer sa chute. Dans l’étude des vestiges de la civilisation ou de la culture vaincue, l’accent est généralement mis sur les grands palais des souverains, les constructions religieuses de la haute hiérarchie et les statues ou monuments que les dominants de l’époque faisaient faire d’eux-mêmes.

    […]

    Mais s’il n’est pas fait mention du fait que ces constructions ont dû avoir leurs concepteurs – leurs architectes, leurs ingénieurs et leurs artistes – , on mentionnera encore moins « la main-d’œuvre », c’est-à-dire les hommes et les femmes sur le dos desquels (à plus d’un titre) ont été érigées ces merveilles qui fascinent les touristes du monde entier pour tuer le temps avant d’aller en boîte, au centre commercial et à la plage.

    […]

    Cela dit, cette « image » de la pyramide – la pointe supérieure étroite et la base inférieure large – est à présent utilisée par le Sous-commandant insurgé Moisés pour nous expliquer un peu ce qu’a été le travail analytique (féroce et implacable, à mon avis) des MAREZ et des Conseils de bon gouvernement.

    Les MAREZ [Municipalités autonomes rebelles zapatistes] et les Conseils de bon gouvernement [CBG] n’ont pas eu que des défauts. Il faut se rappeler comment nous en sommes arrivés là. Pour les peuples zapatistes, ils ont été comme une école d’alphabétisation politique. Une auto-alphabétisation.

    La plupart d’entre nous ne savaient ni lire, ni écrire, ni parler espagnol. En outre, nous parlons des langues différentes. Ce fut une bonne chose car ainsi notre idée et notre pratique ne sont pas venues de l’extérieur ; au contraire, nous avons dû chercher dans nos propres têtes, dans notre histoire en tant qu’indigènes, dans notre mode, quoi.

    Nous n’avions jamais eu l’occasion de nous gouverner nous-mêmes. Nous avons toujours été gouvernés. Avant même l’arrivée des Espagnols, l’empire aztèque, que le gouvernement actuel aime tant – parce que ce truc des petits chefs leur plaît bien, je crois – a opprimé beaucoup de langues et de cultures, non seulement dans ce qui est aujourd’hui le Mexique, mais aussi dans ce qui est aujourd’hui l’Amérique centrale.

    […]

    Et, bon, nous avons dû nous organiser pour cela. Pendant dix ans, nous nous étions organisés et préparés pour le soulèvement armé, pour mourir et tuer, quoi. Et puis il s’est avéré que nous devions nous organiser pour vivre. Et vivre, c’est la liberté. Et la justice. Et pouvoir nous gouverner nous mêmes en tant que peuples, et non comme de petits enfants tels que les gouvernements nous voient.

    […]

    Ces gens nous soutiennent donc et nous avons commencé petit à petit avec la médecine préventive. Comme nous avions déjà récupéré les terres, et bien nous avons amélioré notre alimentation, mais on avait besoin de plus que ça. Alors la santé, quoi. Il faut récupérer les connaissances de l’herboristerie, mais ça ne suffit pas, on a aussi besoin de la science. Et grâce aux docteurs et aux doctoresses, que nous appelons « fraternités » parce que ce sont comme nos frères ; ils se sont rendus disponibles et nous ont guidés. C’est comme ça que sont nés ou se sont formés les premiers formateurs de santé, c’est-à-dire ceux qui préparent les promoteurs.

    […]

    Et puis c’est comme si une avancée en amenait une autre. Et en peu de temps, ben, ces jeunes en veulent plus, apprendre plus. Nous avons donc organisé notre santé dans chaque village, chaque région et chaque zone. Nous progressons dans chaque domaine de la santé, sages-femmes, plantes médicinales, hueseros [ndt : médecin traditionnel spécialiste des os], laboratoire, dentiste, ultrason, entre autres, et il y a des cliniques. Et pareil pour l’école, c’est-à-dire l’éducation. Nous disons école, parce que de l’éducation, les adultes, nous en manquons aussi, c’est très large pour nous ce que nous mettons dans « éducation », c’est pas seulement pour les enfants et les adolescents.

    […]

    Et la chose la plus importante que nous avons apprise dans les MAREZ, c’est que l’autonomie ne se fait pas dans la théorie, en écrivant des livres et en faisant des discours. Elle se fait dans l’action. Et nous devons le faire nous-mêmes en tant que pueblos, et ne pas attendre que quelqu’un vienne le faire pour nous.

    Tout cela est, disons, ce qu’il y a de bon des MAREZ : une école d’autonomie pratique.

    […]

    Donc, en résumé, je te dis que les MAREZ et les CBG nous ont servi à apprendre que la théorie sans pratique n’est que du blabla. Et que la pratique sans la théorie, ben, tu marches à l’aveugle. Et comme il n’y a pas de théorie de ce que nous avons commencé à faire, c’est-à-dire qu’il n’y a pas de manuel ou de livre, et bien, alors nous avons aussi dû faire notre propre théorie. C’est en trébuchant que nous avons fait la théorie et la pratique. Je crois que c’est pour ça que les théoriciens et les avant-gardes révolutionnaires ne nous aiment pas beaucoup, parce que nous ne leur avons pas seulement pris leur boulot. Nous leur avons aussi montré que les mots sont une chose et que la réalité en est une autre. Et nous voilà, nous, les ignorants et les arriérés, comme ils disent, qui ne pouvons pas trouver le chemin parce que nous sommes des paysans. Mais nous sommes là et même s’ils nous nient, nous existons. Tant pis.

    […]

    En décembre et en janvier prochains, nous ne célébrons pas les 30 ans du soulèvement. Pour nous, chaque jour est une célébration, parce que nous sommes vivants et en lutte.

    Nous allons célébrer le fait que nous avons entamé un chemin qui nous prendra au moins 120 ans, peut-être plus. Cela fait déjà plus de 500 ans que nous sommes sur la route, nous n’en avons donc plus pour très longtemps, à peine un peu plus d’un siècle. Et ce n’est plus si loin. C’est, comme le dit José Alfredo Jiménez, « là, juste derrière la petite colline ».

    #zapatistes #organisation #démocratie #Moises #pyramide #autocritique

  • Neuvième partie : La nouvelle structure de l’autonomie zapatiste. « Enlace Zapatista
    https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/01/neuvieme-partie-la-nouvelle-structure-de-lautonomie-zapatis

    Je vais essayer de vous expliquer comment nous avons réorganisé l’autonomie, c’est-à-dire à quoi ressemble la nouvelle structure de l’autonomie zapatiste. Et plus tard, je vous donnerai des explications plus détaillées. Ou peut-être non, je ne vous en expliquerai pas plus, car c’est la pratique qui compte. Bien sûr, vous pouvez aussi venir à l’anniversaire et voir les pièces de théâtre, chansons, poésies et les arts et culture de cette nouvelle étape de notre lutte. Sinon, les tercios compas vous enverront des photos et vidéos. À un autre moment, je vous raconterai ce que nous avons trouvé de bon et de mauvais dans notre bilan critique des MAREZ et des CBG. Maintenant, je vais juste vous dire où on en est.

    […]

    Quatrièmement. – Comme on pourra le voir dans la pratique, le commandement et la coordination de l’autonomie ont été transférés des CBG et des MAREZ aux pueblos et aux communautés, aux GAL. Les zones (ACGAZ) et les régions (CGAZ) sont commandées par les pueblos, elles doivent rendre des comptes aux pueblos et chercher des moyens de répondre à leurs besoins en matière de santé, d’éducation, de justice, d’alimentation et à ceux découlant de situations d’urgence causées par les catastrophes naturelles, pandémies, crimes, invasions, guerres et autres malheurs causés par le système capitaliste.

    Cinquièmement. – La structure et la configuration de l’EZLN ont été réorganisées de manière à accroître la défense et la sécurité des localités et de la terre mère en cas d’agressions, d’attaques, d’épidémies, d’invasion par des entreprises prédatrices de la nature, d’occupations militaires partielles ou totales, de catastrophes naturelles et de guerres nucléaires. Nous nous sommes préparés pour que nos pueblos survivent, même isolés les uns des autres.

    Sixièmement. – Nous comprenons qu’il vous soit difficile d’assimiler ceci. Et que vous deviez batailler un certain temps pour le comprendre. Cela nous a demandé 10 ans à nous pour le penser, et sur ces 10 ans, 3 pour le préparer à la pratique.

    […]

    En réalité, l’unique intention de ce communiqué est de vous dire que l’autonomie zapatiste continue et avance, que nous pensons qu’il en sera mieux ainsi pour les pueblos, communautés, lieux-dits, quartiers, arrondissements, ejidos et hameaux où habitent, c’est-à-dire, luttent les bases d’appui zapatistes. Et que cela a été une décision de leur part, qui a pris en compte leurs idées et propositions, leurs critiques et autocritiques.

    […]

    Nous avons certainement commis beaucoup d’erreurs pendant toutes ces années. Nous en ferons certainement beaucoup d’autres pendant les 120 prochaines années. Mais nous NE nous rendrons PAS, nous NE changerons PAS de chemin, nous NE nous vendrons PAS. Nous examinerons toujours notre lutte, ses temps et ses manières avec un regard critique.

    #zapatistes #réorganisation #démocratie #autonomie #politique #communisme #communalisme #Moises #autocritique #processus

  • Huitième partie : P.S. QU’IL FAUT LIRE POUR SAVOIR DE QUOI IL S’AGIT. « Enlace Zapatista
    https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/29/24593

    Beaucoup d’idées et de mots se dirent, et ils ne rentraient plus dans sa tête à la Ixmucané. Alors elle a commencé à les garder dans les cheveux et ses cheveux ont commencé à pousser, c’est pour cela que les femmes ont les cheveux longs. Mais ensuite, ça n’a pas non plus suffi, même si elle arrangeait au fur et à mesure ses cheveux et c’est là qu’on inventa la « pince à cheveux » qui, comme son nom l’indique, veut dire « attrape idées ». Jusqu’au sol arrivait sa chevelure de la Ixmucané et ils continuaient à parler des idées et des mots. Alors la Ixmucané commença à garder les idées dans les blessures qu’elle s’était faites en tombant et avec les épines et les lianes. Partout, elle avait des blessures : au visage, sur les bras, sur les mains, sur les jambes. Tout son corps était plein de blessures, donc elle a pu tout garder. C’est pour cela qu’il est dit que les gens âgés, des sages quoi, qui ont beaucoup de rides et de cicatrices, ça veut dire qu’ils ont beaucoup d’idées et d’histoires. C’est-à-dire qu’ils savent beaucoup.

    À un autre moment, je vais vous raconter ce sur quoi ils s’accordèrent dans cette première assemblée qu’il y eut dans la Maison des Êtres, mais là je vous dis ce que dit la Ixmucané : « Bon, alors, on a déjà, comme qui dirait, un plan pour affronter ce problème que nous avons. Comme le monde est à peine en train de naître et qu’on est en train de mettre un nom à chaque chose ou à chaque cas, selon ce qu’il en est, pour ne pas nous tromper, ce qu’on a fait, on va l’appeler “en commun“, parce qu’on a tous participé : les unes en donnant des idées, les autres en en proposant d’autres, et il y a qui donne la parole et il y a qui prend des notes de ce qui se dit. »

    Il y eut d’abord un silence. Lourd, fort était le silence. Après on commença à entendre qu’une applaudissait, après, un autre, ensuite tous applaudirent et on entendait qu’ils étaient très contents. Et ils n’ont pas guinché parce qu’on n’y voyait que dalle. Mais ils riaient beaucoup parce qu’ils avaient trouvé un nouveau mot qui s’appelle « en commun », qui veut dire « chercher ensemble le chemin ». Et ce ne sont pas les dieux premiers qui l’ont inventé, ceux qui enfantèrent le monde, sinon qu’il arriva que ce furent les hommes, les femmes et les autres de maïs qui, en commun, l’ont trouvé le mot, c’est à dire, le chemin.

    –*-

    Ixmucané était la plus savante de tous les dieux et, comme ce fut la première qui arriva à la Maison des Êtres, elle avait plus de blessures, à cause de la chute et de la course qu’elle fit dans l’acahual, et ainsi elle resta marquée de ces cicatrices. « Rides » et « cicatrices », les nommèrent-ils. Depuis lors, les rides et les cicatrices représentent la sagesse. Plus il y a des rides et cicatrices, plus il y a de savoir. Bien sûr, en ce temps il n’y avait pas de réseaux sociaux et personne n’utilisait de maquillages et ne modifiait ses photos avec une célèbre application virtuelle. Et après, il arrive que tu regardes la photo de profil et après tu regardes la réalité, et tu veux partir en courant. Non, les rides et les cicatrices étaient une fierté, et pas pour n’importe qui. Même les hommes et les femmes jeunes se peignaient rides et cicatrices, ou d’emblée fonçaient dans la broussaille pour que les épines et les lianes leur griffent le visage. Parce que ne valait pas plus la ou le plus jolie ou joli, mais la ou le plus savante ou savant. Au lieu de « followers » et « likes » était recherché qui avait le plus de rides et de cicatrices.

    Et voilà.

    #conte #dieux #communs #sagesse #expérience #zapatistes #Marcos

  • Troisième partie : Dení « Enlace Zapatista
    https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/21/troisieme-partie-deni

    Il n’y a pas un mot à retirer de ce communiqué de novembre de Marcos, expliquant l’état d’esprit actuel des zapatistes : voir dans 120 ans.

    C’est drôle, c’est touchant, c’est profond, c’est politique, tout à la fois, comme toujours depuis des années. Il y a des géographies qui ont de la chance d’avoir des révolutionnaires de cette consistance…

    Quelqu’un est en train d’expliquer :

    « Dení est présente ici et elle est, on va dire, la première génération. Dans 20 ans, Denì va avoir une petite fille et lui donnera le nom de « Denilita », elle sera la seconde génération. Denilita, 20 ans plus tard, va concevoir une fille qui s’appellera « Denilitilla », c’est la troisième génération. Denilitilla, arrivée à ses 20 ans, va engendrer une fille qui s’appellera « Denilititilla », ce sera la quatrième génération. Denilititilla, à ses 20 ans, va donner naissance à une petite fille et l’appellera « Denilí », la cinquième génération. « Denilí » à l’âge de 20 ans, aura une fille qui s’appellera « Dení Etcétera », qui sera la sixième génération. « Dení Etcétera », 20 ans plus tard, c’est-à-dire dans 120 ans, aura une fille dont on n’arrive pas à voir le nom, parce que sa naissance est déjà loin dans le calendrier, mais elle est la septième génération. »

    À cet instant intervient le Sous-commandant insurgé Moisés : « Nous devons donc nous battre pour que cette petite fille, qui va naître dans 120 ans, soit libre et soit ce qu’elle a envie d’être. Nous ne sommes donc pas en train de lutter pour que cette petite fille soit zapatiste ou membre d’un parti ou quoi que ce soit d’autre, mais pour qu’elle puisse choisir son chemin, quand elle aura l’âge de le faire. Et pas seulement qu’elle puisse décider librement mais aussi et surtout qu’elle soit responsable de cette décision, c’est-à-dire qu’elle tienne compte du fait que toutes les décisions, ce que nous faisons et ce que nous ne faisons plus, ont des conséquences. Alors, il s’agit pour cette fillette de grandir avec tous les éléments pour prendre une décision et en assumer les conséquences.

    Et donc qu’elle n’accuse pas le système, les mauvais gouvernements, ses parents, sa famille, les hommes, son partenaire (qu’il soit homme, ou femme, ou quoique ce soit), l’école, ses amis. Parce que c’est ça la liberté : pouvoir faire quelque chose sans pression ni obligation, mais en se responsabilisant de ce qu’on a fait, c’est-à-dire en connaissant les conséquences à l’avance. »

    Le SubMoy se retourne vers le désormais défunt SupGaleano, comme pour lui dire « c’est à toi ». Le défunt qui n’est pas encore défunt (mais qui sait déjà qu’il le sera bientôt), prévoit qu’un jour il devra parler de ça à des inconnus et commence :

    « Est-ce que cette Dení puissance N ne dira plus de mal de ces foutus hommes ? Si, elle le fera, ça va de soi. Mais ses arguments ne seront pas qu’ils se sont moqués d’elle, qu’ils l’ont méprisée, qu’ils l’ont agressée, harcelée, violée, frappée, fait disparaître, qu’ils l’ont assassinée, démembrée. Non, ça sera pour des choses et des histoires normales, comme le fait que ce foutu homme pète au lit et que la couverture pue ; ou parce qu’il ne vise pas bien la cuvette des toilettes ; ou parce qu’il rote comme un veau ; ou qu’il achète le maillot de son équipe préférée, qu’il met un short, des chaussettes et des chaussures de foot, pour après s’asseoir et regarder le match en se goinfrant de popcorn avec un max de sauce piquante ; ou qu’il choisit avec un soin tout particulier l’outfit qu’il va porter pendant des dizaines d’années : son tee-shirt préféré, son jogging favori, ses tongs de prédilection ; ou parce qu’il ne lâche pas la télécommande ; ou parce qu’il ne lui dit pas qu’il l’aime, même si elle sait qu’il l’aime, mais c’est pas de trop un rappel de temps en temps. »

    Parmi les personnes qui écoutent, les femmes hochent la tête affirmativement comme pour dire « ça va de soi » ; et les hommes sourient nerveusement.

    […]

    Mais, outre le fait qu’on sent que la terre mère est comme révoltée, comme si elle protestait, il y a bien pire : le monstre, l’Hydre, le capitalisme, qui, comme fou, dérobe et détruit. Il veut maintenant voler ce qui, avant, ne l’intéressait pas et il continue à détruire le peu qu’il reste. Le capitalisme produit maintenant la misère et celles et ceux qui la fuient : les migrants.

    La Pandémie du COVID, qui est toujours en cours, a montré l’incapacité de tout un système à donner une réelle explication et à prendre les mesures nécessaires. Pendant que des millions de gens mouraient, quelques-uns se sont enrichis. D’autres pandémies se profilent déjà et les sciences cèdent la place aux pseudo-sciences et aux charlatanismes transformés en projets politiques de gouvernement.

    […]

    Nous savons bien que ça n’a pas été facile. Et maintenant tout est bien pire, et, nous n’avons pas le choix, nous devons regarder cette petite fille dans 120 ans. En fait, nous devons lutter pour quelqu’un que nous n’allons pas connaître. Ni nous, ni vos enfants, ni les enfants de vos enfants, etc…Et nous devons le faire parce que c’est notre devoir, en tant que zapatistes que nous sommes.

    Beaucoup de malheurs, de guerres, d’inondations, de sécheresses, de maladies sont à venir et, au milieu de l’effondrement, il faut que nous voyions loin. Si actuellement les migrants sont des milliers, bientôt ils seront des dizaines de milliers, et puis des centaines de milliers. Des disputes et des assassinats sont à venir entre frères, entre pères et fils, entre voisins, entre races, entre religions, entre nationalités. Les grandes constructions brûleront et personne ne saura dire pourquoi, ni qui, ni dans quel but. Même si on dirait que ce n’est pas possible, mais si, ça va être pire.

    Mais de la même façon que, quand nous travaillons la terre, déjà avant de semer, nous voyons la tortilla, les tamales, le pozol dans nos maisons, c’est comme ça qu’on doit voir maintenant cette petite fille.

    […]

    P.S.- Chaque bombe qui tombe à Gaza tombe aussi sur les capitales et les principales villes du monde, mais on ne s’en est pas encore rendu compte. Des ruines naîtra l’horreur de la guerre de demain.

    #zapatistes #EZLN #Marcos #espoir #projet #futur #effondrement #liberté

  • Première Partie : LES RAISONS DU LOUP « Enlace Zapatista
    https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/01/premiere-partie-les-raisons-du-loup

    LES RAISONS DU LOUP.
    Rubén Dario,
    Nicaragua.
    Décembre 1913

    Une fable allégorique, discutée ensuite par les zapatistes, en octobre. Avec au passage le Sous-commandant Marcos, ressuscité en Sup Galeano (en hommage à un enseignant assassiné), qui meurt aussi et devient maintenant juste "Le capitaine".

    Deuxième partie : les morts éternuent-ils ? « Enlace Zapatista
    https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/05/deuxieme-partie-les-morts-eternuent-ils

    Le SupGaleano est mort. Il est mort comme il a vécu : malheureux.

    Par contre, il a bien pris soin, avant de périr, de rendre le nom à celui qui est chair et sang hérité du maître Galeano. Il a recommandé de le maintenir en vie, c’est à dire, en lutte. Donc, Galeano continuera de marcher dans ces montagnes.

    Pour le reste, ce fut simple. Il commença à fredonner quelque chose du genre « ya sé que estoy piantao, piantao, piantao » 1, et, juste avant d’expirer, il dit, ou plutôt il demanda : « Les morts éternuent-ils ? », et plus rien. Celles-ci furent ses dernières paroles. Aucune phrase pour l’histoire, ni pour une pierre tombale, ni pour une anecdote racontée au coin du feu. Seulement cette question absurde, anachronique, hors du temps : « Les morts éternuent-ils ? »

    […]

    Qui a commencé ? Qui est coupable ? Qui est innocent ? Qui est le bon et qui est le méchant ? Dans quelle position se trouve François d’Assise ? Qui échoue ? Est-ce que c’est lui qui échoue, ou le loup, ou les bergers, ou eux tous ? Pourquoi d’Assise conçoit-il seulement un accord sur la base du renoncement du loup à ce qu’il est ?

    Bien que ce fut il y a plusieurs mois, le texte a suscité des allégations et des discussions qui se poursuivent encore aujourd’hui.

    […]

    Mais à ce moment-là, au fond de la salle, se leva une petite main demandant la parole. Le modérateur ne parvenait pas à voir à qui était la main, il concéda donc la parole « à la personne qui lève la main là-bas, au fond ».

    Tous se retournèrent pour regarder et ils furent sur le point de pousser un cri de scandale et de réprobation. C’était une petite fille qui portait un ours en peluche qui était presque aussi grand qu’elle, et portait une blouse blanche brodée et un pantalon avec un petit chat près de la cheville droite. Bref, l’“outfit” classique pour une fête d’anniversaire ou quelque chose du genre.

    La surprise fut telle que tous gardèrent le silence et maintenaient les regards fixés la petite fille.

    Elle se mit debout sur la chaise, pensant qu’ainsi on l’écouterait mieux, et demanda :

    « Et les petits ? »

    La surprise se fit alors murmure de condamnation : « Quels petits ? De quoi parle cette fillette ? Qui diable a laissé entrer une femme dans cette enceinte sacrée ? Et pire encore, c’est une femme et en plus une fillette ! »

    La petite fille descendit de la chaise et, toujours portant son ours en peluche, avec des signes évidents d’obésité — l’ours, bien entendu —, se dirigea vers la porte de sortie en disant :

    « Les petits. Ben, les petits du loup et les petits des bergers. Les pitchoun, quoi. Qui pense aux petits ? Avec qui je vais discuter ? Et où on va jouer ? »

    #guerre #zapatistes #Israel #Palestine #enfants #fable #EZLN #Marcos

  • Une brève généalogie politique de la cabane - La Grappe
    https://lagrappe.info/?Une-breve-genealogie-politique-de-la-cabane-154

    Qu’elle soit synonyme de l’enfance, d’un retour à la nature ou bien de formes de précarité, la cabane est une jonction à de nombreux imaginaires. Sans chercher à en faire un objet d’étude scientifique et complet, cet article propose une divagation, concernant une généalogie politique de cette forme d’habitat. Si certaines personnes ont choisi de se retirer dans des cabanes pour mieux s’opposer à la société de leur époque, nous pouvons aussi remarquer que les grandes contestations de ces dernières années ont remis au goût du jour ce type de construction, afin de renforcer la lutte et la cohésion. De la Zad aux Gilets Jaunes, c’est une manière de prolonger l’élan collectif et d’ancrer un combat dans un lieu, dans le temps, mais aussi dans la vie quotidienne. Si bien qu’il est possible de retracer, au travers de ces constructions simplistes, une longue histoire d’une recherche d’harmonie avec la nature qui nous entoure, d’une vision critique de la société de consommation et de contrôle, ainsi que de l’espérance de rapports émancipés et libérés des chaînes qui nous contraignent au quotidien.

    Une construction de Le Corbusier pour lui

    Une construction de Le Corbusier pour les autres

    #cabane #architecture #histoire #nature #zad @chezsoi

  • Cette #hospitalité_radicale que prône la philosophe #Marie-José_Mondzain

    Dans « Accueillir. Venu(e)s d’un ventre ou d’un pays », Marie-José Mondzain, 81 ans, se livre à un plaidoyer partageur. Elle oppose à la #haine d’autrui, dont nous éprouvons les ravages, l’#amour_sensible et politique de l’Autre, qu’il faudrait savoir adopter.

    En ces temps de crispations identitaires et même de haines communautaires, Marie-José Mondzain nous en conjure : choisissons, contre l’#hostilité, l’hospitalité. Une #hospitalité_créatrice, qui permette de se libérer à la fois de la loi du sang et du #patriarcat.

    Pour ce faire, il faut passer de la filiation biologique à la « #philiation » − du grec philia, « #amitié ». Mais une #amitié_politique et proactive : #abriter, #nourrir, #loger, #soigner l’Autre qui nous arrive ; ce si proche venu de si loin.

    L’hospitalité fut un objet d’étude et de réflexion de Jacques Derrida (1930-2004). Née douze ans après lui, à Alger comme lui, Marie-José Mondzain poursuit la réflexion en rompant avec « toute légitimité fondée sur la réalité ou le fantasme des origines ». Et en prônant l’#adoption comme voie de réception, de prise en charge, de #bienvenue.

    Son essai Accueillir. Venu(e)s d’un ventre ou d’un pays se voudrait programmatique en invitant à « repenser les #liens qui se constituent politiquement et poétiquement dans la #rencontre de tout sujet qu’il nous incombe d’adopter ».

    D’Abraham au film de Tarkovski Andreï Roublev, d’Ulysse à A. I. Intelligence artificielle de Spielberg en passant par Antigone, Shakespeare ou Melville, se déploie un plaidoyer radical et généreux, « phraternel », pour faire advenir l’humanité « en libérant les hommes et les femmes des chaînes qui les ont assignés à des #rapports_de_force et d’#inégalité ».

    En cette fin novembre 2023, alors que s’ajoute, à la phobie des migrants qui laboure le monde industriel, la guerre menée par Israël contre le Hamas, nous avons d’emblée voulu interroger Marie-José Mondzain sur cette violence-là.

    Signataire de la tribune « Vous n’aurez pas le silence des juifs de France » condamnant le pilonnage de Gaza, la philosophe est l’autrice d’un livre pionnier, adapté de sa thèse d’État qui forait dans la doctrine des Pères de l’Église concernant la représentation figurée : Image, icône, économie. Les sources byzantines de l’imaginaire contemporain (Seuil, 1996).

    Mediapart : Comment voyez-vous les images qui nous travaillent depuis le 7 octobre ?

    Marie-José Mondzain : Il y a eu d’emblée un régime d’images relevant de l’événement dans sa violence : le massacre commis par le Hamas tel qu’il fut en partie montré par Israël. À cela s’est ensuite substitué le tableau des visages et des noms des otages, devenu toile de fond iconique.

    Du côté de Gaza apparaît un champ de ruines, des maisons effondrées, des rues impraticables. Le tout depuis un aplomb qui n’est plus un regard humain mais d’oiseau ou d’aviateur, du fait de l’usage des drones. La mort est alors sans visages et sans noms.

    Face au phénomène d’identification du côté israélien s’est donc développée une rhétorique de l’invisibilité palestinienne, avec ces guerriers du Hamas se terrant dans des souterrains et que traque l’armée israélienne sans jamais donner à voir la moindre réalité humaine de cet ennemi.

    Entre le visible et l’invisible ainsi organisés, cette question de l’image apparaît donc extrêmement dissymétrique. Dissymétrie accentuée par la mise en scène des chaînes d’information en continu, qui séparent sur les écrans, avec des bandes lumineuses et colorées, les vues de Gaza en ruine et l’iconostase des otages.

    C’est avec de telles illustrations dans leur dos que les prétendus experts rassemblés en studio s’interrogent : « Comment retrouver la paix ? » Comme si la paix était suspendue à ces images et à la seule question des otages. Or, le contraire de la guerre, ce n’est pas la paix − et encore moins la trêve −, mais la justice.

    Nous assistons plutôt au triomphe de la loi du talion, dont les images deviennent un levier. Au point que visionner les vidéos des massacres horrifiques du Hamas dégénère en obligation…

    Les images deviennent en effet une mise à l’épreuve et une punition. On laisse alors supposer qu’elles font suffisamment souffrir pour que l’on fasse souffrir ceux qui ne prennent pas la souffrance suffisamment au sérieux.

    Si nous continuons à être uniquement dans une réponse émotionnelle à la souffrance, nous n’irons pas au-delà d’une gestion de la trêve. Or la question, qui est celle de la justice, s’avère résolument politique.

    Mais jamais les choses ne sont posées politiquement. On va les poser en termes d’identité, de communauté, de religion − le climat très trouble que nous vivons, avec une indéniable remontée de l’antisémitisme, pousse en ce sens.

    Les chaînes d’information en continu ne nous montrent jamais une carte de la Cisjordanie, devenue trouée de toutes parts telle une tranche d’emmental, au point d’exclure encore et toujours la présence palestinienne. Les drones ne servent jamais à filmer les colonies israéliennes dans les Territoires occupés. Ce serait pourtant une image explicite et politique…

    Vous mettez en garde contre toute « réponse émotionnelle » à propos des images, mais vous en appelez dans votre livre aux affects, dans la mesure où, écrivez-vous, « accueillir, c’est métamorphoser son regard »…

    J’avais écrit, après le 11 septembre 2001, L’#image peut-elle tuer ?, ou comment l’#instrumentalisation du #régime_émotionnel fait appel à des énergies pulsionnelles, qui mettent le sujet en situation de terreur, de crainte, ou de pitié. Il s’agit d’un usage balistique des images, qui deviennent alors des armes parmi d’autres.

    Un tel bombardement d’images qui sème l’effroi, qui nous réduit au silence ou au cri, prive de « logos » : de parole, de pensée, d’adresse aux autres. On s’en remet à la spontanéité d’une émotivité immédiate qui supprime le temps et les moyens de l’analyse, de la mise en rapport, de la mise en relation.

    Or, comme le pensait Édouard Glissant, il n’y a qu’une poétique de la relation qui peut mener à une politique de la relation, donc à une construction mentale et affective de l’accueil.

    Vous prônez un « #tout-accueil » qui semble faire écho au « Tout-monde » de Glissant…

    Oui, le lien est évident, jusqu’en ce #modèle_archipélique pensé par Glissant, c’est-à-dire le rapport entre l’insularité et la circulation en des espaces qui sont à la fois autonomes et séparables, qui forment une unité dans le respect des écarts.

    Ces écarts assument la #conflictualité et organisent le champ des rapports, des mises en relation, naviguant ainsi entre deux écueils : l’#exclusion et la #fusion.

    Comment ressentir comme un apport la vague migratoire, présentée, voire appréhendée tel un trop-plein ?

    Ce qui anime mon livre, c’est de reconnaître que celui qui arrive dans sa nudité, sa fragilité, sa misère et sa demande est l’occasion d’un accroissement de nos #ressources. Oui, le pauvre peut être porteur de quelque chose qui nous manque. Il nous faut dire merci à ceux qui arrivent. Ils deviennent une #richesse qui mérite #abri et #protection, sous le signe d’une #gratitude_partagée.

    Ils arrivent par milliers. Ils vont arriver par millions − je ne serai alors plus là, vu mon âge −, compte tenu des conditions économiques et climatiques à venir. Il nous faut donc nous y préparer culturellement, puisque l’hospitalité est pour moi un autre nom de la #culture.

    Il nous faut préméditer un monde à partager, à construire ensemble ; sur des bases qui ne soient pas la reproduction ou le prolongement de l’état de fait actuel, que déserte la prospérité et où semble s’universaliser la guerre. Cette préparation relève pour moi, plus que jamais, d’une #poétique_des_relations.

    Je travaille avec et auprès d’artistes − plasticiens, poètes, cinéastes, musiciens −, qui s’emparent de toutes les matières traditionnelles ou nouvelles pour créer la scène des rapports possibles. Il faut rompre avec ce qui n’a servi qu’à uniformiser le monde, en faisant appel à toutes les turbulences et à toutes les insoumissions, en inventant et en créant.

    En établissant des #zones_à_créer (#ZAC) ?

    Oui, des zones où seraient rappelées la force des faibles, la richesse des pauvres et toutes les ressources de l’indigence qu’il y a dans des formes de précarité.

    La ZAD (zone à défendre) ne m’intéresse effectivement que dans la mesure où elle se donne pour but d’occuper autrement les lieux, c’est-à-dire en y créant la scène d’une redistribution des places et d’un partage des pouvoirs face aux tyrannies économiques.

    Pas uniquement économiques...

    Il faut bien sûr compter avec ce qui vient les soutenir, anthropologiquement, puisque ces tyrannies s’équipent de tout un appareil symbolique et d’affects touchant à l’imaginaire.

    Aujourd’hui, ce qui me frappe, c’est la place de la haine dans les formes de #despotisme à l’œuvre. Après – ou avant – Trump, nous venons d’avoir droit, en Argentine, à Javier Milei, l’homme qui se pose en meurtrier prenant le pouvoir avec une tronçonneuse.

    Vous y opposez une forme d’amitié, de #fraternité, la « #filia », que vous écrivez « #philia ».

    Le [ph] désigne des #liens_choisis et construits, qui engagent politiquement tous nos affects, la totalité de notre expérience sensible, pour faire échec aux formes d’exclusion inspirées par la #phobie.

    Est-ce une façon d’échapper au piège de l’origine ?

    Oui, ainsi que de la #naturalisation : le #capitalisme se considère comme un système naturel, de même que la rivalité, le désir de #propriété ou de #richesse sont envisagés comme des #lois_de_la_nature.

    D’où l’appellation de « #jungle_de_Calais », qui fait référence à un état de nature et d’ensauvagement, alors que le film de Nicolas Klotz et Élisabeth Perceval, L’Héroïque lande. La frontière brûle (2018), montre magnifiquement que ce refuge n’était pas une #jungle mais une cité et une sociabilité créées par des gens venus de contrées, de langues et de religions différentes.

    Vous est-il arrivé personnellement d’accueillir, donc d’adopter ?

    J’ai en en effet tissé avec des gens indépendants de mes liens familiaux des relations d’adoption. Des gens dont je me sentais responsable et dont la fragilité que j’accueillais m’apportait bien plus que ce que je pouvais, par mes ressources, leur offrir.

    Il arrive, du reste, à mes enfants de m’en faire le reproche, tant les font parfois douter de leur situation les relations que je constitue et qui tiennent une place si considérable dans ma vie. Sans ces relations d’adoption, aux liens si constituants, je ne me serais pas sentie aussi vivante que je le suis.

    D’où mon refus du seul #héritage_biologique. Ce qui se transmet se construit. C’est toujours dans un geste de fiction turbulente et joyeuse que l’on produit les liens que l’on veut faire advenir, la #vie_commune que l’on désire partager, la cohérence politique d’une #égalité entre parties inégales – voire conflictuelles.

    La lecture de #Castoriadis a pu alimenter ma défense de la #radicalité. Et m’a fait reconnaître que la question du #désordre et du #chaos, il faut l’assumer et en tirer l’énergie qui saura donner une forme. Le compositeur Pascal Dusapin, interrogé sur la création, a eu cette réponse admirable : « C’est donner des bords au chaos. »

    Toutefois, ces bords ne sont pas des blocs mais des frontières toujours poreuses et fluantes, dans une mobilité et un déplacement ininterrompus.

    Accueillir, est-ce « donner des bords » à l’exil ?

    C’est donner son #territoire au corps qui arrive, un territoire où se créent non pas des murs aux allures de fin de non-recevoir, mais des cloisons – entre l’intime et le public, entre toi et moi : ni exclusion ni fusion…

    Mon livre est un plaidoyer en faveur de ce qui circule et contre ce qui est pétrifié. C’est le #mouvement qui aura raison du monde. Et si nous voulons que ce mouvement ne soit pas une déclaration de guerre généralisée, il nous faut créer une #culture_de_l’hospitalité, c’est-à-dire apprendre à recevoir les nouvelles conditions du #partage.

    https://www.mediapart.fr/journal/culture-et-idees/271123/cette-hospitalite-radicale-que-prone-la-philosophe-marie-jose-mondzain
    #hospitalité #amour_politique

    via @karine4

    • Accueillir - venu(e)s d’un ventre ou d’un pays

      Naître ne suffit pas, encore faut-il être adopté. La filiation biologique, et donc l’arrivée d’un nouveau-né dans une famille, n’est pas le modèle de tout accueil mais un de ses cas particuliers. Il ne faut pas penser la filiation dans son lien plus ou moins fort avec le modèle normatif de la transmission biologique, mais du point de vue d’une attention à ce qui la fonde : l’hospitalité. Elle est un art, celui de l’exercice de la philia, de l’affect et du lien qui dans la rencontre et l’accueil de tout autre exige de substituer au terme de filiation celui de philiation. Il nous faut rompre avec toute légitimité fondée sur la réalité ou le fantasme des origines. Cette rupture est impérative dans un temps de migrations planétaires, de déplacements subjectifs et de mutations identitaires. Ce qu’on appelait jadis « les lois de l’hospitalité » sont bafouées par tous les replis haineux et phobiques qui nous privent des joies et des richesses procurées par l’accueil. Faute d’adopter et d’être adopté, une masse d’orphelins ne peut plus devenir un peuple. La défense des philiations opère un geste théorique qui permet de repenser les liens qui se constituent politiquement et poétiquement dans la rencontre de tout sujet qu’il nous incombe d’adopter, qu’il provienne d’un ventre ou d’un pays. Le nouveau venu comme le premier venu ne serait-il pas celle ou celui qui me manquait ? D’où qu’il vienne ou provienne, sa nouveauté nous offre la possibilité de faire œuvre.

      https://www.quaidesmots.fr/accueillir-venu-e-s-d-un-ventre-ou-d-un-pays.html
      #livre #filiation_biologique #accueil