• #Altamin

    MINING IN ITALY

    #Altamin_Limited is an ASX-listed mineral company focussed on base and battery metal exploration and brownfield mine development in Italy, with two 100% owned mineral projects and two under licence application.

    The Company’s #Gorno_Zinc_Project in the Lombardy region of northern Italy, is an advanced, historic mine with well-defined mineralisation. The #Gorno_Project benefits from strong local support, excellent metallurgy and established infrastructure. Up until 1980, the #Gorno underground #zinc was owned by #SAMIM (a state-owned company and part of #ENI) and then the unilateral decision was made to close all SAMIM owned metal mining in Italy to focus solely on oil and gas, despite there being defined mineral reserves remaining.

    The #Punta_Corna_Project in Piedmont, Italy, historically mined for cobalt, nickel, copper and silver, is an active exploration project with outcropping mineralisation, a historical bulk sample grading 0.6-0.7% Co, plus Ni, Cu, Ag and a drilling program outlined pending permit renewal Alta’s recent sampling has returned high-grade assays over >2km strike length from multiple sub-parallel veins, with good potential for further mineralised vein discovery and significant depth extension.

    In addition, Altamin has lodged applications over #Monte_Bianco and #Corchia, the two most significant copper, cobalt and manganese-rich historical mining districts in Italy.

    https://www.altamin.com.au
    #Australie #Italie #extractivisme #mine #cobalt #terres_rares #manganèse #cuivre

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    Sur le projet d’exploitation du cobalt d’Altamin à #Balme (#Barmes) dans le #Piémont :
    Alla ricerca del cobalto sulle Alpi
    https://seenthis.net/messages/1013263

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    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • Questo fine settimana sulle Alpi la polizia ha ammazzato una persona, ma per la stampa l’unica vittima è un campo da golf.

    De #Lorenzo_D'Agostino

    🧵20 tweet per ristabilire la realtà dei fatti.

    Venerdì scorso sono andato a Claviere, l’ultimo paese italiano della Val di Susa sul confine francese, per partecipare al campeggio itinerante «Passamontagna». Mi avevano invitato a raccontare le mie inchieste sull’antimafia in una serie di dibattiti sulle politiche di frontiera.

    In questi giorni centinaia di persone stanno attraversando il passo di frontiera del Monginevro, spesso di notte per sentieri pericolosi. L’idea del campeggio era attraversare il confine con una grande marcia tutti insieme, in sicurezza, persone migranti e solidali.

    Sabato dopo pranzo, smantellato l’accampamento, ci siamo messi in marcia. Lentamente senza lasciare nessuno indietro. Nel gruppo c’erano persone stremate da un lungo viaggio, donne con bambini piccoli, qualche anziano. L’atmosfera era allegra. Ma appena passata la frontiera...

    ...ci siamo trovati davanti uno schieramento di gendarmi francesi in antisommossa. Occupando le alture, ci hanno bloccati su un viottolo molto scosceso. Un gesto violento, un lancio di gas, avrebbe provocato una caotica e pericolosissima fuga all’indietro del gruppo.

    Io che non ho esperienza di queste cose pensavo che il blocco si potesse forzare: eravamo dieci volte più numerosi. A 1800 metri d’altezza, lontani da ambulanze e ospedali, la gendarmerie era veramente disposta a rischiare decine di feriti, forse ammazzare qualcuno?
    Chi ha a che fare ogni giorno con la polizia francese però non ha avuto dubbi: con tante persone vulnerabili e inesperte nel gruppo, bisognava evitare lo scontro a ogni costo. I gendarmi hanno annunciato l’uso imminente della forza, e il gruppo si è dato lentamente indietro.
    Rientrando al campo base, abbiamo costeggiato un campo da golf. Un enorme spazio privatizzato a cavallo della frontiera, dove i turisti ricchi si muovono liberamente tra Italia e Francia. Il contrasto con il trattamento riservato a migranti e solidali era lacerante.

    Un piccolo gruppo si è staccato dal corteo, ha divelto le recinzioni e ha danneggiato il campo da golf. Non tutti hanno ritenuto opportuna quest’azione, ma la rabbia che esprimeva è la rabbia che sentivamo tutti.

    Rientrati a Claviere, si è ragionato sul da farsi. L’idea di agevolare il passaggio di frontiera delle persone in transito con una grande marcia è stata archiviata: era chiaro che la gendarmerie non avrebbe lasciato passare nessuno, finché durava il Passamontagna.
    I migranti avrebbero passato la frontiera come hanno sempre fatto: di notte, a piccoli gruppi, per i sentieri più impervi, nascondendosi da droni e visori termici della polizia. Il campeggio forniva, almeno, una base sicura dove dormire e a cui tornare in caso di respingimento.
    Quella sera ragionavo con una compagna: se a qualcuno succedesse qualcosa di brutto passando la frontiera, di chi sarebbe la colpa? A mio avviso, certamente della polizia: bloccando la possibilità di un attraversamento in sicurezza, si è assunta ogni eventuale conseguenza.
    Non è una discussione oziosa: l’ordinamento giuridico contempla la figura del «dolo eventuale». In Italia si usa per accusare di omicidio scafisti veri o inventati. Si dà quando chi agisce accetta il rischio che le proprie azioni causino un evento nefasto non direttamente voluto. Cassazione penale, sez. I, sentenza 15/03/2011 n ° 10411: "Il fondamento del dolo indiretto o eventuale va individuato nella rappresentazione e nell’accettazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità, intesa in termini di elevata probabilità, di realizzazione dell’evento accessorio allo scopo perseguito in via primaria. Il soggetto pone in essere un’azione accettando il rischio del verificarsi dell’evento, che nella rappresentazione psichica non è direttamente voluto, ma appare probabile. In altri termini, l’agente, pur non avendo avuto di mira quel determinato accadimento,...

    Malgrado la delusione e la rabbia, il sabato sera è trascorso in festa. Stornelli anarchici intorno al fuoco, e un dj-set di musica africana organizzato dalle persone in transito. Io ho dormito in un tendone con una ventina di persone che si preparavano a passare il confine.

    Domenica, smantellato di nuovo il campeggio, ognuno ha preso la sua strada. Alcuni hanno deciso di sfilare in corteo verso la Francia, per creare qualche piccolo, momentaneo disagio alla circolazione su una frontiera che lascia passare i ricchi e ammazza i poveri. Li ho seguiti.
    La reazione della gendarmerie è stata immediata: dalle alture, alla cieca, una fitta pioggia di gas lacrimogeni è stata sparata sul corteo pacifico e disarmato. Io, del tutto impreparato a uno scenario del genere, sono scappato via. Per me il Passamontagna è finito così.
    Lunedì mattina, al passo del Monginevro, un ciclista ha trovato il corpo esanime di un giovane guineano. Sopravvissuto al Sahara, al Mediterraneo, ucciso tra Italia e Francia. Voglio pensare che le sue ultime ore siano state di festa, circondato dai volti amici del Passamontagna.

    Allo stesso tempo sono partite le veline ai giornali per travisare la realtà. I dibattiti e le conferenze a cui ho partecipato non ci sono stati, assicura la sindaca di Claviere. La grande marcia del sabato, bloccata dalla gendarmerie, mai esistita. L’attacco al campo da golf...

    L’attacco al campo da golf collocato falsamente nella notte tra venerdì e sabato: non più una risposta alla violenza della polizia, ma un atto di vandalismo immotivato. Il lancio di gas della domenica? Inevitabile risposta al lancio di inesistenti «bombe carta» degli anarchici...

    E alla fine l’unica vittima è la turista Raffaella. Che ha sotto il naso un’implacabile strage di stato, ma vede soltanto «una tendopoli abusiva» e 400 scalmanati che «pietre alla mano, in virtù di non so bene quale ideale protestano contro non so quale ingiustizia»

    https://twitter.com/lorenzodago/status/1689600891605716993
    https://threadreaderapp.com/thread/1689600891605716993.html

    #victime #golf #tourisme #passamontagna #manifestation #Hautes-Alpes #Val_de_suse #Italie #frontières #migrations #France #inégalités

    • Sur le campement à travers la frontière « passamontagna » du début août ; un autre mort à la frontière

      La pratique du Passamontagna n’a pas fonctionné. Après des années, plusieurs camps et de nombreuses manifestations qui nous ont amenés à passer la frontière ensemble, sans que personne -le temps d’une journée - ne risque sa vie pour franchir cette ligne imaginaire qu’est la frontière, cette fois-ci, le #passage_collectif a échoué.

      versione italiana in seguito

      english version below

      Samedi 5 août plus de 500 personnes ont quitté le campement installé à Claviere pour rejoindre la prochaine étape, en France. La gendarmerie en tenue anti-émeute, déployée sur tous les chemins, a bloqué notre passage. Des #gaz_lacrymogènes et des #grenades_assourdissantes étaient déjà positionnés en amont du #cortège. Près de trente camions et voitures anti-émeutes du côté français, plus ceux positionnés du côté italien. Il a été décidé de ne pas aller jusqu’à l’affrontement qui aurait été nécessaire pour tenter de passer, afin d’éviter un très probable massacre. La police française a changé ses pratiques au fil des ans, augmentant de temps en temps son niveau de #violence et l’utilisation d’#armes. On s’est pas voulu - dans cette situation - risquer des blessures graves.
      Comme tous les jours, ce week-end a vu passer des centaines de personnes en route pour la France. Le camp a été un bon moment pour partager des réflexions, des discussions, des danses et des bavardages. Bien que le passage collectif ait échoué, les personnes exilées de passage sont néanmoins reparties, comme chaque jour sur cette frontière maudite. Plus de 100 personnes sont arrivées à Briançon dans le week-end.

      Une trentaine de refoulements.

      La rage conséquent au refoulement de masse a provoqué quelques réactions.
      Samedi aprés-midi, un cortège s’est mis en route en direction de la frontière, surprenant certains officiers italiens qui ont dû courir, et bloquant la frontière pendant plus d’une heure.
      Le lendemain, dimanche, un autre cortège s’est formé sur la route de #Claviere à #Montgenèvre, pour tenter d’atteindre la PAF, le quartier général des gardes-frontières. Un important dispositif de gendarmes, avec des camionettes et un canon à eau, a barré la route. Les gardes mobiles ont tiré de nombreux gaz lacrymogènes et quelques grenades assourdissantes et #flashballs. Sur les chemins d’en haut, les gendarmes qui tentaient de se rapprocher ont été tenus à distance pendant un bon moment.
      Pendant plus de deux heures, la frontière est restée fermée. Si personne ne passe, personne ne passe. Les marchandises et les touristes ne passent pas non plus, de sorte que ce point de passage de frontière devient inopérent.

      Si, ces jours-ci, quelqu’un - soit-disant - a "osé" gâcher le #terrain_de_golf en écrivant ou en binant, cela ne nous semble pas être une tragédie, bien au contraire. La privatisation de cette montagne dans l’intérêt de quelques riches et de touristes fortunés conduit également à sa militarisation. Protéger cet imaginaire, le paysage des villages de montagne où l’on peut jouer au golf en toute tranquillité sur le "golf transfrontalier 18 trous" appartenant à #Lavazza et à la commune de Montgenèvre et skier sur les pistes "sans frontières". Ou encore se balader à vélo électrique sur les mêmes sentiers que ceux empruntés par des dizaines d’exilés chaque jour, mais plus souvent la nuit, justement parce qu’ils ne sont pas visibles. Une destination pour touristes fortunés ne peut pas être une zone de transit pour migrants, ça gache trop le décor. Ils construisent également deux "#réservoirs_d’eau", en volant l’eau de l’environnement, pour être sûrs de pouvoir tirer de la neige en hiver sur ces pistes. Privatisation, exploitation et militarisation des montagnes vont de pair.

      Le camp de Passamontagna a également été un moment de rencontre, de discussion et de réflexion sur le monde qui nous entoure et sur les mécanismes d’exploitation et d’exclusion. Des réunions ont été organisées pour parler de l’extractivisme néocolonial qui pousse les gens à migrer, à quitter des territoires massacrés au nom du profit. De l’externalisation des frontières et de la création d’ennemis intérieurs. Des nouveaux mécanismes de répression étatiques et européens à l’égard des exilées et des autres. De luttes contre les CPR/CRA (centres de rétention administrative).
      Parce que dans une société qui nous veut de plus en plus individualistes et séparés, nous devons de plus en plus nous connaître, nous reconnaître, nous confronter, nous unir pour combattre un système de plus en plus totalisant et totalitaire.

      A Briançon, ville de première destination pour tous celleux qui franchissent cette frontière, le centre d’hébergement solidaire Les Terrasse est surchargé. Les arrivées sont trop nombreuses et les places toujours insuffisantes. C’est aussi pour cela qu’un nouveau lieu a été ouvert et rendu public lundi. Une occupation qui se veut aussi un lieu d’accueil et de rencontre pour ceux qui luttent contre cette frontière, chacun à sa manière. Il y a besoin de soutien et de matériel !

      L’adresse est 34A Avenue de la République, hôpital les jeunes pousses SSR, Briançon.

      Un chaleureux merci à toutes les cuisines solidaires qui ont nourris des centaines des personnes pendant ces trois jours et à toutes les personnes qui y ont participé et rendu possible le camp.

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      Mais le lendemain on a appris une terrible nouvelle. Le lundi 7 aout, un jeune exilé a été retrouvé mort sur la route militaire reliant Montgenèvre à Briançon. Son nom était Moussa. Il était guinéen. Face contre terre, trouvé par un touriste à vélo. On n’en sait toujours pas plus.
      Un autre mort. Une victime de plus de cette frontière qui est de plus en plus marquée par la présence de la police aux frontières (PAF), déployée sur les chemins jour et nuit.
      Le onzième, le douzième, le vingtième, qui sait. Les chiffres ne sont pas clairs car tous les décès ne sont pas rendus publics. Officiellement, dix corps ont été retrouvés depuis 2018.
      Comme pour les autres décès, c’est clair qui sont les responsables. Il ne s’agit pas d’une mort aléatoire. Ce n’est pas de la malchance. Ce n’est pas un touriste qui meurt. C’est un "migrant" de plus, jeté des bus et des trains à la frontière, obligé de marcher la nuit pour échapper aux contrôles, pourchassé par les flics parce qu’il est catégorisé comme migrant et sans papiers, généralement parce que pauvre. Sur ces chemins, la PAF mène une chasse constante et raciste à tous ceux qui ne sont pas blancs et ne ressemblent pas à des touristes prêts à dépenser leur argent sur des terrains de golf ou des pistes de ski transformées en terrain de jeu pour vélos électriques en été.
      Et c’est à vélo, à pied ou en voiture que la PAF rôde sur les pistes à la recherche de ceux qui n’ont pas les bons papiers pour les traverser. Une nouvelle force militaire vient d’arriver à Montgenèvre avec pour objectif de limiter encore plus les entrées indésirables. Il y a des centaines de flics qui protègent cette frontière. Mais le flux de personnes ne s’arrête pas, car aucun filet, mur ou garde ne pourra jamais bloquer complètement le désir de liberté et la recherche d’une vie meilleure.
      Mais la paix est difficile à trouver aujourd’hui.
      Peut-être que si nous avions pu marcher ensemble, cela ne serait pas arrivé. Peut-être que si le Passamontagna avait fonctionné, ce garçon ne serait pas mort.
      Tous les flics présents sur ces chemins samedi et dimanche ont du sang sur les mains. Tout comme le préfet de Gap, qui avait rendu illégales toutes les manifestations et tous les campements pendant le week-end, et qui a donné l’ordre d’entraver le passage de toutes les manières possibles, a du sang sur les mains.

      Chaque policier est une frontière. Le bras armé d’un Etat qui continue à diviser, sélectionner et tuer au gré de ses intérêts politiques et économiques.
      Que les responsables paient cher, ici, à Montgenèvre, à Briançon, partout en France.

      Un pensée vient obscurcir notre esprit. Nous avons du mal à perdre de vue que le corps a été retrouvé sur la route militaire, qui peut être empruntée à pied mais aussi avec une voiture 4x4, que les gardes utilisent pour effectuer leurs patrouilles. Il est difficile de mourir par accident sur cette route, d’autant plus en été.
      Trop de personnes sont déjà mortes à la frontière, en fuyant la police. Rappelons Blessing Matthew, une jeune Nigériane de 20 ans, morte en 2018 dans la Durance en tentant d’échapper aux gendarmes qui la poursuivaient. Ou encore Fahtallah, retrouvé mort dans le barrage près de Modane, où il s’était aventuré après avoir été refoulé. Ou Aullar, 14 ans, mort écrasé par le train qu’il n’avait pu prendre à Salbertrand, en direction de la frontière. Ou encore tous ceux qui sont morts de froid ou sont tombés après avoir été refoulés à la frontière et s’être aventurés sur les sentiers les plus élevés.
      La militarisation de ces montagnes tue.

      La PAF, les gendarmes, l’Etat français, l’Europe. Ici les responsables de cette mort.

      La frontière est partout, dans chaque frontière à l’intérieur et à l’extérieur de l’Europe, là où elle est peut-être la plus reconnaissable, mais elle est aussi dans chaque rue, place ou gare où la police contrôle les papiers, elle est dans les centres de rétention administrative (CRA), elle est dans chaque bureau Frontex disséminé en Europe, elle est dans chaque usine d’armement ou dispositif de surveillance qui est produit en Europe et remis à la police des frontières.
      D’où une invitation à agir chacun à sa manière, chacun à sa place, contre les frontières.

      CONTRE TOUTES LES FRONTIÈRES, LES ÉTATS QUI LES CRÉENT ET LES UNIFORMES QUI LES PROTÈGENT.
      Quelques participants au camping Passamontagna
      Considerazioni sul campeggio passamontagna 2023. Un altro morto di frontiera.

      La pratica del Passamontagna non ha funzionato. Dopo anni, vari campeggi e numerose manifestazioni che ci hanno portato ad attraversare il confine assieme, senza che nessunx - per un giorno - rischiasse la vita per superare questa linea immaginaria chiamata frontiera, questa volta il passaggio collettivo é fallito.

      Sabato più di 500 persone sono partite dall’accampamento allestito a Claviere per arrivare alla prossima tappa, in Francia. I gendarmi in antisommossa, schierata su tutti i sentieri, hanno bloccato il passaggio. Lacrimogeni e bombe stordenti alla mano, posizionati già a monte rispetto al corteo. Quasi una trentina tra camionette e macchine sul lato francese, più quelle posizionate sul lato italiano. E’ stato scelto di non arrivare allo scontro che sarebbe stato necessario per tentare di passare, per evitare un probabile massacro. La polizia francese ha cambiato pratica in questi anni, aumentando di volta in volta il suo livello di violenza e uso delle armi. Non si è voluto - in quella situazione - rischiare feriti gravi.

      Come ogni giorno, anche in questo week end erano centinaia le persone di passaggio dirette in Francia. Il campeggio é stato un bel momento per condividere riflessioni, discussioni, balli e racconti. Nonostante il passaggio collettivo sia fallito, le persone di passaggio si sono comunque messe in cammino successivamente, come avviene ogni giorno su questa maledetta frontiera. Più di 100 persone sono arrivate a Briaçon nel weekend. Una trentina i push-back.

      La rabbia conseguente al respingimento di massa ha provocato alcune reazioni. Sabato pomeriggio un piccolo corteo é partito in direzione della strada sul confine, cogliendo di sorpresa qualche agente che si é ritrovato a dover correre, e bloccando la frontiera per più di un’ora.
      Domenica un altro corteo é stato fatto sulla strada che da Claviere porta a Monginevro, nel tentativo di arrivare alla caserma della PAF, la sede delle guardie che proteggono il confine. Un dispositivo importante di gendarmi, con camionette e un idrante sbarravano la strada. Le guardie hanno sparato lacrimogeni e qualche bomba stordente e priettili di gomma. Sui sentieri sopra la strada sono stati tenuti a distanza i gendarmi che cercavano di avvicinarsi.
      Per più di due ore la frontiera é rimasta chiusa.
      Se non passano tutti, non passa nessuno. Nemmeno le merci e i turisti, per cui questa frontiera di solito non esiste.

      Se in queste giornate qulcunx - dicono - ha "osato" rovinare i campi da golf con qualche scritta o zappata, non ci sembra una tragedia. La privatizzazione di questa montagna per gli interessi di pochi ricchi e dei turisti benestanti é anche ciò che porta alla sua militarizzazione. È anche per proteggere quest’immaginario, lo scenario dei paesini di montagna dove giocare a golf in tranquillità sulle "18 buche transfontaliere" di proprietà Lavazza e del Comune di Monginevro e sciare sulle piste "senza confine”, che vengono militarizzati i sentieri di queste montagne. Una meta per il turismo ricco non può essere zona di passaggio per migranti. A Monginevro stanno anche costruendo due "bacini idrici", che sottrarranno acqua all’ambiente circostante, per assicurare di avere neve artificiale nei caldi inverni a venire.
      Privatizzazione, sfruttamento e militarizzazione della montagna sono parte dello stesso meccanismo.

      Il campeggio Passamontagna è stato anche un momento di incontro, discussione, ragionamento sul mondo che ci circonda e sui dispositivi di sfuttamento ed esclusione. Ci sono stati incontri dedicati all’estrattivismo neocoloniale che spinge le persone a migrare, ad andarsene da territori massacrati in nome del profitto. Si è discusso di esternalizzazione delle frontiere e della creazione dei nemici interni. Di scafismo e DIA . Dei nuovi meccanismi legilsativi di guerra verso i/le migranti e solidali. Di lotte ai CPR/CRA.
      In una società che ci vuole sempre più individualisti e separati, dobbiamo incontrarci, conoscerci, riconoscerci, confrontarci e unirci per lottare un sistema sempre più totalitario.

      A Briançon, prima città di arrivo per tuttx coloro che attraversano questo confine, il rifugio solidale Les Terrasse é sovraccarico. Troppe le persone che arrivano, e i posti sono insufficienti. Anche per questo un nuovo spazio é stato aperto e reso pubblico lunedì 7 agosto. Un’occupazione che vuole essere anche un luogo di ospitalità e di incontro per chi questa frontiera la combatte, ognuno a suo modo. C’é bisogno di sostegno e materiali !
      L’indirizzo é 34A Avenue de la République, hopital les jeunes pousses SSR, Briançon.

      Un ringraziamento enorme và a tutte le cucine solidali che hanno nutrito centinaia di persone in questi tre giorni e tutte le persone che hanno partecipato e reso possibile il campeggio.

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      Ma nei giorni successivi viene data una notizia terribile. Lunedì 7 agosto, un giovane "migrante" é stato trovato morto sulla strada militare che da Monginevro arriva a Birançon. Faccia a terra, ritrovato da un turista in bicicletta. Il suo nome era Moussa. Arrivava dalla Guinea.
      Per il momento non si sà molto di più.
      Un’altra morte. Un’altra vittima di questo confine che prende le sembianze dalla polizia di frontiera (PAF) schierata sui sentieri giorno e notte.
      La undicesima, dodicesima, ventesima, chissà. I numeri non sono chiari perché non tutte le morti vengono rese pubbliche. Ufficialmente, dal 2018 ad oggi, son stati ritrovati dieci cadaveri. E non é una morte casuale. Non é la sfortuna.
      A morire è l’ennesimo "migrante", buttato giù dai bus e treni in frontiera, obbligato a camminare di notte per fuggire in controlli, inseguito dalle guardie per il suo essere senza documenti, tendenzialmente perché povero. Come per le altre morti, i responsabili sono chiari. Su questi sentieri la PAF effettua una caccia costante, razzista, verso chi non é bianco e non sembra un turista pronto a spendere i suoi soldi sui campi da golf o sulle piste da sci che diventano parco giochi per bici elettriche d’estate.
      Ed é in bicicletta, a piedi, su quad o in macchina che si apposta la PAF sui sentieri alla ricerca di chi non ha il buon pezzo di carta per attraversarli. Dotata di droni, sensori e visori notturni, una nuova forza militare é arrivata recentemente a Monginevro con lo scopo di limitare ancora di più gli ingressi indesiderati. Centinaia di guardie proteggono questo confine. Ma il flusso di persone non si ferma, perché nessuna rete, muro o guardia riuscirà mai a bloccare il desiderio di libertà e la ricerca di una vita migliore.
      Ma é difficile oggi trovare pace.
      Forse, se il Passamontagna avesse funzionato, quel ragazzo non sarebbe morto.
      Ogni sbirro presente su quei sentieri sabato e domenica ha le mani sporche di sangue. Così come ha le mani sporche di sangue il Prefetto di Gap, che ha reso illegale ogni manifestazione e campeggio nel week end, e che ha dato ordine di impedire con ogni mezzo necessario il passaggio.
      Ogni sbirro é una frontiera. Braccio armato di uno stato che divide, seleziona e uccide a seconda dei propri interessi politici ed economici.
      Che la paghino cara i responsabili, qui, a Monginevro, a Briançon, ovunque.

      Un pensiero ci offusca la mente. Ci rimane difficile non pensare al fatto che il corpo é stato trovato sulla strada militare, percorribile a piedi e anche con una macchina 4x4, che infatti usano le guardie per effettuare i loro pattugliamenti. Difficile morire per caso su quella strada.
      Già troppi i morti in frontiera, in fuga dalla polizia. Ricordiamo Blessing Matthew, giovane ventenne nigeriana morta nel 2018 nel fiume Durance mentre cercava di scappare dai gendarmi che la inseguivano. O Fahtallah, trovato morto nella diga vicino a Modane, dove si era avventurato dopo essere stato respinto. O il 14enne Aullar, morto stritolato dal treno che non poteva prendere a Salbertrand, diretto al confine. O tutti gli altri morti di freddo o caduti dopo esere stati respinti alla frontiera ed essersi inespicati sui sentieri più alti.
      La militarizzazione di quste montagne uccide.
      La PAF, i gendarmi, lo stato francese, l’europa. Qui i responsabili di questa morte.

      La frontiera è ovunque, in ogni confine interno ed esterno all’europa, dove forse è più riconoscibile, ma è anche in ogni strada, piazza o stazione dove la polizia controlla i documenti, è nei centri di detenzione per il rimpatrio, è in ogni ufficio di Frontex sparso sul territorio europeo, è in ogni fabbrica di armi o di dispositivi di sorveglianza che prodotti in europa vengono regalati alle polizie di confine.
      Da qua un invito, di agire ognunx a suo modo, ognunx nel proprio luogo, contro le frontiere.

      CONTRO OGNI FRONTIERA, GLI STATI CHE LE CREANO, E LE DIVISE CHE LE PROTEGGONO
      Alcunx partecipanti al campeggio Passamontagna
      Considerations on the camping against the borders passamontagna. Another border death.

      The Passamontagna’s practice did not work. After years, various camps and numerous demonstrations that led us to cross the border together, without anyone - for one day - risking their life to cross this imaginary line called border, this time the collective crossing failed.

      On Saturday 5th, in fact, more than 500 people left the campsite set up in Claviere to reach the next stop, in France. The gendarmerie in riot gear, deployed on all the paths, blocked our passage. Tear gas and stun grenades were already positioned upstream from the procession. Almost thirty trucks and riot cars on the French side, plus those positioned on the Italian side. It was decided not to go to the clash that would have been necessary to try to pass, to avoid a very likely massacre. The French police have changed their practice over the years, increasing their level of violence and use of weapons from time to time. We did not want - in that situation - to risk serious injuries.
      Like every day, this weekend there were hundreds of people passing through on their way to France. The camp was a good time to share reflections, discussions, dancing and chatting. The people passing through nevertheless left, as happens every day on this cursed border. More than 100 people arrived in Briançon this weekend. Around thirty push-backs.

      The anger at not being able to cross the border to continue camping in France provoked some reactions.
      On the same day, Saturday, a march started in the direction of the road, catching some Italian officers by surprise as they had to run, and blocking the border for more than an hour.
      The next day, Sunday, another march took place on the road from Claviere to Montgenèvre, in an attempt to reach the PAF, the headquarters of the guards protecting the border. An important device of gendarmes, with small trucks and a water cannon barred the road. The guards fired many tear gas and some stun grenades and flashballs. On the paths above, the guards that tried to get closer went keeped far.
      For more than two hours the border remained closed. If no one passes, no one passes. Neither do goods or tourists, so in practice this border does not exist.
      If these days someone - they say - has ’dared’ to spoil the golf course with some writing or hoeing, it does not seem like a tragedy, quite the contrary. The privatisation of this mountain for the interests of the rich few and wealthy tourists is what also leads to its militarisation. To protect this inmaginary, the scenery of the mountain villages where one can play golf in peace on the ’18-hole cross-border golf course’ owned by Lavazza and the Montgenèvre municipality and ski on the ’borderless’ slopes. Or whizzing on electric bicycles on the same trails travelled by dozens of migrants every day but more often at night, precisely because they cannot be seen. A destination for wealthy tourists cannot be a transit area for migrants. They are also building two ’water reservoirs’, stealing water from the surrounding environment, to make sure they can shoot snow in winter on these trails. Privatisation, exploitation and militarisation of the mountains go together.

      The Passamontagna camp was also a time for meeting, discussion, and reasoning about the world around us and the devices of exploitation and exclusion. There were meetings that spoke of neo-colonial extractivism that pushes people to migrate, forced to leave territories massacred in the name of money. Of externalisation of borders and the creation of internal enemies. Of scafism and DIA (anti-mafia investigative directorate). Of new state and European repression mechanisms towards migrants and others. Of confrontation in the CPR/CRA struggles.
      Because in a society that wants us to be increasingly individualistic and separate, we must increasingly know each other, recognise each other, confront each other, unite to fight an increasingly totalising and totalitarian system.

      In Briançon, town of initial destination for all those who cross this border, the solidarity shelter Les Terrasse is overloaded. Too many people arrive, and places are always running out. This is also why a new place was opened and made public on Monday. An occupation that also wants to be a place of hospitality and a meeting place for those who fight this border, each in their own way. Support and materials are needed !
      The address is 34A Avenue de la République, hopital les jeunes pousses SSR, Briançon.

      A huge thank you goes to all the solidarity kitchens that fed hundreds of people over these three days and all the people who participated and made the camp possible.

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      But we learn a terrible news in the next days. Monday 7 agust, a young migrant was found dead on the military road from Montgenèvre to Briançon. Face down on the ground, found by a tourist on a bicycle. We still don’t know anything more.
      Another death. Another victim of this border that takes the shape of the border police (PAF) deployed on the paths day and night.
      The 11th, 12th, 20th, who knows. The numbers are unclear because not all deaths are made public. Officially, ten bodies have been found since 2018.
      As with the other deaths, it’s clear who is responsible. It is not a random death. It is not bad luck. It is not a tourist who dies. It is yet another "migrant", thrown off buses and trains at the border, forced to walk at night to escape through controls, chased by guards for being a migrant and undocumented, tending to be poor. On these paths the PAF carries out a constant, racist hunt towards anyone who is not white and does not look like a tourist ready to spend his money on golf courses or ski slopes turned into playground for electric bikes in summer.
      And it is by bicycle, on foot or by car that the PAF lurks on the trails looking for those who do not have the good papers to cross them. A new military force has recently arrived in Montgenèvre with the aim of limiting unwanted entry even further. Hundreds guards protect this border. But the flow of people does not stop, because no net, wall or guard will ever be able to completely block the desire for freedom and the search for a better life.
      But peace is difficult to find today.
      Perhaps if we had been able to walk together this would not have happened. Perhaps if the Passamontagna had worked that boy would not have died.
      Every cop on those paths on Saturday and Sunday has blood on his hands.
      So too has blood on his hands the Prefect of Gap, who made all demonstrations and camping illegal over the weekend, and who gave orders to prevent the passage in every way.
      Every cop is a border. The armed arm of a state that continues to divide, select and kill according to its political and economic interests.
      Let those responsible pay dearly, here, at Montgenèvre, at Briançon, everywhere in France.

      Another thought clouds our minds. We find it hard not to think about the fact that the body was found on the military road, which can be travelled on foot and also with a 4x4 car, which the guards use to carry out their patrols. It is difficult to die by accident on that road.
      Already too many have died on the border running the police. Recall Blessing Matthew, a young 20-year-old Nigerian woman who died in 2018 in the Durance River while trying to escape from the gendarmes who were chasing her. Or Fahtallah, found dead in the dam near Modane, where he had ventured after being turned back. Or 14-year-old Aullar, who died crushed by the train he could not catch in Salbertrand, bound for the border. Or all the others who froze to death or fell after being turned back at the border and venturing onto the highest paths.

      Militarisation kills on these montains.
      The PAF, the gendarmes, the French state, Europe. Here the responsible for this death.

      The border is everywhere, in every border inside and outside Europe, where perhaps it is most recognisable, but it is also in every street, square or station where the police check documents, it is in the detention centres for repatriation, it is in every Frontex office scattered across Europe, it is in every arms factory or surveillance device that is produced in Europe and given to the border police.
      Hence an invitation, to act each in his own way, each in his own place, against borders.

      AGAINST ALL BORDERS, THE STATES THAT CREATE THEM AND THE UNIFORMS THAT PROTECT THEM
      Some participants of the Passamontagna camp

      https://valleesenlutte.org/spip.php?article606

  • En Birmanie, au moins 17 morts dans le naufrage d’un bateau de migrants Rohingya
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/08/10/en-birmanie-au-moins-17-morts-dans-le-naufrage-d-un-bateau-de-migrants-rohin

    En Birmanie, au moins 17 morts dans le naufrage d’un bateau de migrants Rohingya
    Trente personnes sont toujours portées disparues à la suite du naufrage d’une embarcation partie pour la Malaisie.
    Au moins 17 personnes sont mortes noyées au large de la Birmanie dans le naufrage d’un bateau qui transportait des migrants de la minorité Rohingya tentant de fuir le pays, ont annoncé, jeudi 10 août, des services de sauvetage. Chaque année, des milliers de Rohingya risquent leur vie en effectuant de périlleux voyages en mer au départ des camps du Bangladesh et de la Birmanie pour tenter de rejoindre la Malaisie et l’Indonésie, pays à majorité musulmane. Plus de 50 personnes se trouvaient à bord de l’embarcation qui se dirigeait vers la Malaisie lorsque le bateau s’est retrouvé en difficulté dans une mer agitée dans la nuit de dimanche à lundi, selon Byar La, un sauveteur de la fondation Shwe Yaung Metta à Sittwe, dans l’Etat Rakhine (Ouest). « Nous avons retrouvé 17 corps », a déclaré ce sauveteur à l’Agence France-Presse (AFP), ajoutant qu’environ 30 autres personnes étaient portées disparues. « Nous avons retrouvé huit hommes en vie. La police les a emmenés pour les interroger. » Les sauveteurs tentent toujours de retrouver les personnes portées disparues, a-t-il ajouté, bien que le nombre exact de passagers ne soit pas connu. L’Etat Rakhine, en Birmanie, à majorité bouddhiste, abrite environ 600 000 musulmans Rohingya, qui sont considérés comme des intrus venus du Bangladesh même s’ils vivent là depuis des générations et se voient refuser la citoyenneté et la liberté de mouvement.
    En 2017, une campagne de répression menée par l’armée birmane a contraint quelque 750 000 Rohingya à fuir le pays pour se réfugier au Bangladesh, à la suite de nombreux témoignages faisant état de meurtres, d’incendies criminels et de viols. Plus de 3 500 Rohingya à bord de 39 embarcations ont tenté de traverser la mer d’Andaman et le golfe du Bengale en 2022, contre 700 l’année précédente, selon les données de l’agence des Nations unies pour les réfugiés datant de janvier. Au moins 348 Rohingya sont morts ou portés disparus en mer l’année dernière, a rapporté l’agence onusienne, appelant à une réponse régionale pour éviter de nouveaux drames. Selon le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, les appels lancés aux autorités maritimes de la région « pour secourir et débarquer les personnes en détresse sont restés lettre morte, de nombreux bateaux restant à la dérive pendant des semaines ». Amnesty International compare les conditions de vie des Rohingya dans l’Etat de Rakhine à un « apartheid ».

    #Covid-19#migration#migrant#birmanie#royhinhya#HCR#traversee#merd'andaman#golfebengale#mortalite#bengladesh#postcovid#crise

  • Hautes-Alpes : un migrant retrouvé mort entre #Briançon et #Montgenèvre

    Une enquête a été ouverte par le parquet de Gap. Une autopsie du corps devrait être pratiquée dans les prochains jours.

    Un migrant a été retrouvé mort lundi matin par un vététiste sur la route militaire des #Gondrans, entre Briançon et Montgenèvre, a appris BFM DICI.

    Le corps de la victime a été découvert face au sol sur cette piste, accessible aux randonneurs ainsi qu’aux véhicules de type 4x4, qui mène au #fort_de_Gondrans.

    Une autopsie prévue dans les prochains jours

    Selon les premières constatations, la victime était un jeune homme. Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur place pour effectuer des prélèvements ADN et des analyses afin d’identifier la victime.

    « Une autopsie sera rapidement pratiquée », a indiqué Florent Crouhy, le procureur de la république de Gap. « Une enquête en recherche des causes de la mort a été ouverte et confiée à la brigade de recherches de Briançon. »

    Selon les informations de BFM DICI, aucune trace de lutte ou de violences n’a été constatée par les techniciens en identification criminelle. Seules des écorchures sur les genoux de la victime ont été observées.

    https://www.bfmtv.com/bfm-dici/hautes-alpes-un-migrant-retrouve-mort-entre-briancon-et-montgenevre_AN-202308

    #décès #morts #morts_aux_frontières #frontière_sud-alpine #Alpes #Hautes-Alpes #migrations #asile #réfugiés

    #Fort_des_Gondrans :
    https://patrimoine.hautes-alpes.fr/home/fiche/3158

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    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière des Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/800822

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Hautes-Alpes : le corps d’un jeune migrant retrouvé par un vététiste entre Montgenèvre et Briançon

      Une personne, probablement originaire d’Afrique du Nord, a été retrouvée morte ce lundi 7 août sur la route militaire des Gondrans. Une enquête en recherche des causes de la mort a été ouverte par le procureur de Gap.

      Un jeune migrant a été retrouvé mort ce lundi matin par un vététiste sur la route militaire des Gondrans, entre Montgenèvre et Briançon (Hautes-Alpes), à quelques kilomètres de la frontière italienne. L’information de BFM Dici a été confirmée à La Provence par le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy.

      La victime a été découverte face au sol sur cette piste, accessible aux randonneurs ainsi qu’aux véhicules de type 4x4, qui mène au fort de Gondrans. « Il s’agit d’une piste carrossable, a précisé le procureur. Ce n’est pas un terrain escarpé, dangereux. »

      Selon les premières constatations, la victime était un homme âgé entre 20 et 25 ans, de type nord-africain, vêtu de vêtements pas à sa taille.

      Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur place pour effectuer des prélèvements ADN et des analyses afin d’identifier la victime.
      « Hypothermie, crise cardiaque… toutes les hypothèses sont envisagées ».

      « Une autopsie sera rapidement pratiquée, a indiqué Florent Crouhy. Une enquête en recherche des causes de la mort a été ouverte et confiée à la brigade de recherches de Briançon. »

      Aucune trace de lutte ou de violences n’aurait été constatée par les techniciens en identification criminelle. Seules des écorchures sur les genoux de la victime ont été observées. « Hypothermie, crise cardiaque, toutes les hypothèses sont envisagées. En tout cas, à cette heure, personne n’a signalé sa disparition » a ajouté le procureur.

      https://www.laprovence.com/article/region/62547295827161/hautes-alpes-le-corps-dun-jeune-migrant-retrouve-par-un-vetetiste-entre-

    • Un migrant retrouvé mort par un cycliste dans les Alpes

      Pendant l’été, de nombreux migrants traversent chaque année à pied la frontière franco-italienne au niveau du col de Montgenèvre.

      Un migrant a été retrouvé mort lundi matin dans les Hautes-Alpes, sur une route entre Briançon et Montgenèvre, a indiqué ce mardi le procureur de Gap, confirmant une information de BFM DICI.

      Le corps a été retrouvé par une personne circulant en VTT sur la route militaire des Gondrans, une piste accessible aux randonneurs ainsi qu’aux véhicules tout-terrain. Le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy, a précisé à l’AFP que la mort de ce jeune adulte semblait « assez récente » et que « le corps ne portait pas de trace de violences ou de lutte ».

      Point de passage clandestin

      Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur place lundi pour effectuer des prélèvements ADN et des analyses, notamment afin d’identifier la victime. « Une autopsie sera pratiquée ces prochains jours », a ajouté le procureur, qui a ouvert une « enquête en recherche des causes de la mort », confiée à la brigade de recherches de Briançon.

      Pendant la saison estivale, de nombreux migrants traversent chaque année à pied la frontière franco-italienne au niveau du col de Montgenèvre pour atteindre Briançon, l’un des principaux points de passage de clandestins entre les deux pays depuis 2017.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2023/08/08/un-migrant-retrouve-mort-par-un-cycliste-dans-les-alpes

    • Mort d’un migrant dans les Alpes : « L’autopsie n’a pas permis de déterminer les causes de la mort »

      Un vététiste a découvert un homme mort sur la route militaire des Gondrans, une piste carrossable, entre Briançon et Montgenèvre. Il pourrait s’agir d’un migrant. L’autopsie a « confirmé l’absence de cause traumatique ». Le parquet de Gap a ouvert une enquête.

      n homme a été découvert mort ce lundi 7 août au matin, a indiqué le procureur de la République de Gap Florent Crouhy, confirmant une information de BFM D’Ici. C’est un vététiste qui a fait la découverte sur cette piste carrossable de la route militaire des Gondrans, accessible aux 4x4, entre Briançon et Montgenèvre. Elle est régulièrement utilisée par les randonneurs et vététistes, donc très fréquentée l’été. La victime pourrait être un migrant.

      Une enquête en recherches des causes de la mort a été ouverte par le parquet de Gap et confiée à la brigade de recherches de la gendarmerie de Briançon. Des techniciens en identification criminelle se sont rendus sur les lieux afin d’effectuer les constatations d’usage. Le procureur indiquait ce mardi 8 août dans la journée que, « les techniciens en identification criminelle de la gendarmerie n’ont relevé aucune trace de lutte ou de violences sur le corps. Les causes de la mort sont inconnues mais non suspectes et certainement pas d’origine traumatique ».

      Une autopsie a été pratiquée dans la journée. Le procureur de Gap déclarait, dans la soirée, qu’« elle n’a pas permis de déterminer les causes de la mort. Elle a toutefois confirmé l’absence de cause traumatique. Des expertises anatomopathologiques et toxicologiques seront réalisées en complément ». L’identification du jeune défunt est toujours en cours.
      Du côté des associations, ce mardi 8 août dans la soirée, aucune disparition de personne exilée n’était signalée.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2023/08/08/une-personne-decouverte-decedee-sur-la-piste-des-gondrans

    • Le corps d’un exilé découvert à la frontière franco-italienne : « On se retrouve confronté aux mêmes tragédies »

      Le parquet de Gap a annoncé le décès d’un jeune homme dont le corps a été retrouvé le long d’une route au-dessus du col de Montgenèvre, non loin de Briançon, à la frontière entre la France et l’Italie. La route est régulièrement empruntée par les personnes migrantes. Ce nouveau drame intervient alors que les traversées sont en hausse et les Terrasses solidaires, principal lieu d’accueil sur la commune, sont saturées.

      Une personne migrante a été retrouvée morte lundi 7 août dans les Alpes françaises, sur les hauteurs du col de Montgenèvre, non loin de Briançon, a indiqué ce mardi le parquet de Gap à l’AFP. Il s’agit d’un jeune adulte, dont la mort semblait « assez récente » et dont « le corps ne portait pas de trace de violences ou de lutte », a précisé le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy.

      Une « enquête en recherche des causes de la mort » a été ouverte. Des prélèvements ADN et des analyses ont été effectuées lundi, afin d’aider à l’identification de la victime. « Une autopsie sera pratiquée ces prochains jours », a ajouté le procureur auprès de l’AFP.

      Le corps du jeune homme a été retrouvé par un cycliste en VTT sur la route militaire des Gondrans. « Pas étonnant » qu’il s’agisse là des lieux du drame, commente Agnès Antoine, de l’association Tous Migrants : il s’agit de l’une des principales routes de montagne empruntées par les exilés pour passer la frontière franco-italienne.

      L’annonce du décès intervient dans un « climat déjà très lourd », expose cette bénévole impliquée depuis des années auprès des personnes exilées, jointe par Infomigrants. « Il y a énormément d’arrivées. On avait beaucoup de monde depuis le mois de mai, mais là, depuis le début de l’été, cela s’intensifie », précise-t-elle.

      200 exilés au refuge, d’une capacité de 80 places

      D’ordinaire, les associatifs et citoyens solidaires voient plutôt arriver « entre 5 et 30 personnes par jour » à Briançon, décrit Luc Marchello, responsable de la sécurité des Terrasses Solidaires. Ce site constitue le principal refuge pour les personnes parvenant à rejoindre la ville après leur traversée de la frontière. Or, ces dernières semaines, « les arrivées sont plus massives ».

      Ce week-end du 5 et 6 août, « on est monté jusqu’à 100 personnes en une journée ». Un pic intervenu alors que les forces de l’ordre étaient largement déployées au col de Montgenèvre pour empêcher le passage de la marche solidaire Passamontagna, menée par des activistes depuis la ville italienne de Clavière.

      Conséquence de cette situation : les Terrasses solidaires sont saturées. Ce mardi, pas moins de 200 personnes s’y trouvent hébergées. Or, la structure peut accueillir au maximum 80 personnes pour « rester dans les normes du bâtiment », rappelle Luc Marchello.

      Le réfectoire a été transformé en dortoir. « Il y a des tentes à l’extérieur, sur les terrasses », s’attriste le responsable de la sécurité du site. « On en est là. On essaie de gérer au mieux les départs pour faire de la place, mais les prix des trains sont très élevés ».

      Quant à l’hébergement chez des citoyens solidaires, « on en touche les limites », constate-t-il. En période estivale, donc touristique, les maisons sont occupées ou louées. Et au fil des années d’engagement, « il y a de l’épuisement ».
      « L’État refuse l’ouverture d’un centre d’accueil »

      Un courrier a été adressé au préfet, les communiqués se multiplient. Mais « personne ne vient nous appuyer avec d’autres solutions. L’Etat refuse l’ouverture d’un centre d’accueil, même simplement d’urgence », déplore Luc Marchello.

      Dès la fin mai, la préfecture assurait à Infomigrants avoir pris connaissance de ces alertes. Mais elle expliquait qu’il n’était « pour l’heure pas envisageable d’ouvrir de nouvelles places en hébergement d’urgence » dans le département et que « le dispositif [de 135 places pérennes] est actuellement saturé ».

      « Nous sommes mi-juillet, la population accueillie depuis mai est passée d’une moyenne par jour de 100 à 120, aujourd’hui nous sommes à 170 personnes pour un hébergement dans les normes ERP de 64 prévues », récapitule le conseil d’administration des Refuges Solidaires (gérant les Terasses), dans une lettre ouverte publiée le 18 juillet. « Depuis maintenant 6 années nous alertons les services de l’Etat pour qu’ils nous accompagnent dans cette action humanitaire ».

      « Psychologiquement, c’est assez dur », conclut Agnès Antoine de Tous Migrants. « Tous les bénévoles font des efforts incroyables pour les maraudes, pour tenir le refuge, pour mener des campagnes de sensibilisation... Et à chaque fois on se retrouve confrontés aux mêmes tragédies. »

      https://www.infomigrants.net/fr/post/50924/le-corps-dun-exile-decouvert-a-la-frontiere-francoitalienne--on-se-ret

    • LA FRONTIÈRE A ENCORE TUÉ !

      Une autre personne est morte à la frontière franco-italienne à Montgenèvre. Un autre mort, un autre corps sans vie a été retrouvé sur la route militaire de Claviere (Valsusa, IT) à Briançon (FR).

      Lundi 7 août, un autre cadavre a été retrouvé dans ces montagnes, tué par une frontière raciste où les routes sont traversées quotidiennement par des voitures, des bus et des trains transportant des touristes, des marchandises et du personnel militaire, tandis que les migrants sont contraints de marcher à travers les sentiers de montagne, échappant aux contrôles de la police française qui tente de bloquer leur voyage même dans les bois à 1800 mètres au-dessus du niveau de la mer.

      Il semble avoir été trouvé par un cycliste, par l’un des nombreux touristes qui affluent dans ces montagnes pour les vacances d’été. Ils s’amusent sur les mêmes routes qui sont traversées nuit et jour par des personnes obligées de se cacher parce qu’elles n’ont pas la bonne pièce d’identité. Depuis 2018, au moins 10 personnes ont perdu la vie en tentant de franchir la frontière de la Haute-Valusie. Pendant que les touristes s’amusent à jouer sur une pelouse impeccable signée Lavazza et la commune de Montgenèvre, des dizaines de personnes en déplacement meurent ou risquent leur vie à quelques encablures de là, sur les sentiers qui traversent la frontière.

      Nous n’avons pas beaucoup d’informations sur ce qui s’est passé, mais nous savons avec certitude que ceux qui ont tué à nouveau étaient le bras armé de l’État : les militaries, la gendarmerie, la police des frontières (PAF). Un bras armé qui, armé de jeeps, de drones et de lunettes de vision nocturne, cherche à protéger les intérêts nationaux d’un État néocolonial et raciste, élargissant et rétrécissant les mailles de cette frontière intérieure européenne qui continue de séparer, de réprimer et de tuer. Comme le désert du Niger, comme les prisons de Libye et de Tunisie, comme la mer Méditerranée, comme la Manche, comme toutes les frontières extra-européennes, de la Turquie à la Pologne en passant par le Maroc, comme les centres de rétention administrative disséminés dans de nombreuses villes, les montagnes de Valses sont, elles aussi, depuis des années, une frontière où l’on continue de mourir.

      Et ce qui tue, une fois de plus, ce n’est pas la montagne, la neige, le froid ou la fatigue. Ce qui tue, c’est l’Etat, la forteresse Europe, le système des frontières incarné par les hommes et les femmes en uniforme qui battent le pavé dans une chasse à l’homme, ce qui tue, ce sont tous ces indifférents qui se détournent pour ne pas remettre en cause leurs privilèges de bourgeois blancs, alors qu’à côté d’eux, ceux et celles qui sont nés du “mauvais” côté du monde souffrent et meurent dans le silence général.

      Ce week-end, il y avait un camp contre les frontières, avec l’idée de franchir collectivement cette frontière meurtrière, avec l’idée que l’union fait la force et que, pour une fois, les gens n’auraient pas dû être exposés à la violence policière ; la police a empêché notre passage, déployant tout son armement dans les bois et les chemins de montagne, armée de gaz lacrymogènes, de boucliers, de bombes TNT, de flashballs. Nous n’avons pas pu passer. Deux jours après cette marche qui a mal tourné, un cadavre a été retrouvé.

      Si les frontières n’existaient pas, il n’y aurait pas de gens qui meurent encore pour les franchir.
      Les mises à jour suivront, les rendez-vous suivront. Ne restons pas indifférents, faisons quelque chose pour éviter d’autres meurtres dans ces montagnes !

      Police assassine ! All Cops Are Borders. Smash the borders !

      CONTRE TOUTES LES FRONTIÈRES, LES ÉTATS QUI LES CRÉENT ET LES UNIFORMES QUI LES PROTÈGENT

      https://www.passamontagna.info/?p=4551&lang=fr

    • È un guineano di 20 anni il migrante morto sui sentieri per la Francia. Il freddo potrebbe essergli stato fatale

      Su di lui nessun segno, solo qualche sbucciatura sulle ginocchia. Vicino al corpo, lo zaino e il telefono. Indaga la procura di Gap

      Uno zainetto e un telefono accanto al corpo, scarponcini ai piedi qualche taglia più grande del necessario. Ha vent’anni e viene dalla Guinea. È morto a un passo dalla meta, Briançon. Arrivarci avrebbe significato aver superato i pericoli dei sentieri di montagna e i controlli della gendarmeria che ogni notte pattuglia il confine per fermare i migranti, come il giovane, che cercano di lasciare l’Italia — dove sono sbarcati — per raggiungere parenti che vivono altrove in Europa.

      (#paywall)
      https://torino.repubblica.it/cronaca/2023/08/09/news/migrante_morto_monginevro-410541248

    • Il migrante morto a Briancon si chiamava Moussa e aveva 20 anni, cercava di sfuggire ai droni e ai controlli di frontiera

      È probabile che anche #Moussa abbia compiuto il percorso che attraversa Mali, Niger e poi Libia o Tunisia prima della traversata per raggiungere Lampedusa. Poi il viaggio fino alla Val di Susa.

      Sognava una casa, un lavoro e un futuro migliore e invece ha trovato la morte a 20 anni, di notte, cadendo da un sentiero di montagna al confine tra Italia e Francia. Mentre cercava di sfuggire ai droni e ai controlli di frontiera. I suoi compagni di avventura hanno avuto più fortuna e sono riusciti ad arrivare a Briancon. Hanno riconosciuto gli effetti personali di Moussa, un ragazzo con cui avevano percorso un pezzo di strada verso «la nuova vita», ma che avevano perso di vista durante la difficoltosa discesa al buio. Non si tratta di un riconoscimento ufficiale e il cadavere di quel giovane migrante ritrovato lunedì sul cammino militare che porta al forte di Gondrans, in Francia, è ancora senza un nome.

      Le procedure di identificazione avviate dalla polizia e dalla procura di Gap sono in corso, ma le dichiarazioni degli altri profughi che hanno raggiunto Briancon sembrano attendibili. #Moussa era partito dalla Guinea, come uno dei 4 sopravvissuti all’ultimo naufragio di un barcone nel canale di Sicilia, costato la vita a 41 persone. È probabile che anche Moussa abbia seguito la stessa rotta di quei migranti: Mali, Niger e poi Libia o Tunisia prima della traversata per raggiungere Lampedusa. Per arrivare in Val di Susa, una delle «porte di accesso» più frequentate per passare clandestinamente il confine con la Francia, Moussa ha dovuto aspettare ancora molto tempo.

      Secondo Paolo Narcisi, presidente di Rainbow4Africa, ogni anno almeno 13 mila persone transitano da Oulx e il giovane guineano potrebbe essere uno dei 5 ragazzi, con lo stesso nome e la stessa nazione di provenienza, che fra giovedì e lunedì hanno bussato alla porta del rifugio Fra Massi prima di dirigersi verso Claviere e inoltrarsi nel bosco. Moussa aveva seguito le indicazioni che aveva ricevuto ed era riuscito a superare la frontiera, ma probabilmente è caduto mentre scendeva verso valle, sperando di non essere scoperto.

      https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/23_agosto_09/migrante-morto-a-20-anni-mentre-cercava-di-sfuggire-ai-droni-e-ai-co

      –—

      La mention des drones (mais qui n’est pas confirmée par les personnes sur place) :

      Lo scorso 27 luglio il rifugio Fra Massi di Oulx era stato preso d’assalto da 180 persone e ogni notte si registrano circa cento presenze: «Una situazione più gestibile da medici e personale, ma sempre al limite – spiega Paolo Narcisi, presidente di Rainbow4Africa -. Non so nulla di questa ennesima tragedia, ma se sul corpo sono stati trovati i segni di una caduta è probabile si tratti di uno dei tanti migranti costretti a cercare strade sempre più pericolose per sfuggire ai controlli. E credo che ci sia una grossa responsabilità di chi utilizza droni, esercito e polizia per effettuare i respingimenti al confine».

      https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/23_agosto_08/migrante-morto-sul-sentiero-per-briancon-al-confine-italo-francese-e

    • Le corps découvert au Gondran est celui d’un jeune migrant guinéen

      L’homme, dont le corps a été retrouvé par un vététiste lundi 7 août sur une route militaire du Gondran, entre Briançon et Montgenèvre, a été identifié. Il s’agit d’un Guinéen né en 2004.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2023/08/13/le-corps-decouvert-au-gondran-est-celui-d-un-jeune-migrant-guineen

    • Pour info, Moussa serait mort la nuit du 6 au 7 août 2023, soit alors qu’avait lieu le #campeggio_itinerante organisé par le collectif #Passamontagna (donc : #militarisation accrue de la frontière) :

      CHIAMATA PER UN CAMPEGGIO ITINERANTE PASSAMONTAGNA – 4-5-6 Agosto 2023


      4-5-6 Agosto 2023

      Claviere (ITA)- Briancon (FR)
      Tre giorni in cammino verso un mondo senza frontiere né autoritarismi
      Tre giorni di incontri e discussioni, condividendo riflessioni, esperienze e pratiche
      TRE GIORNI DI LOTTA CONTRO LE FRONTIERE

      Le politiche dell’unione europea continuano ad aumentare le morti in mare e nei territori di passaggio, costruendo frontiere interne ed esterne alla stessa.
      Nuovi accordi vengono siglati con i paesi di transito e di partenza.
      Milioni di euro sono assegnati in tecnologie, polizie e nuovi muri per fermare le persone in viaggio verso l’europa o in lager d’oltremare.
      Uno schema funzionale all’annichilimento delle persone che migrano.

      Chi raggiunge l’u.e. è condannatx ad una vita da schiavx nella speranza di ottenere il lasciapassare ad uno status considerato accettabile dal sistema.
      Chi non riesce a districarsi nel percorso a ostacoli burocratico, chi non lavora in regola, chi si ribella, chi non viene consideratx integrabile o sfruttabile, diventa carne da macello per il sistema dei centri di detenzione o le patrie galere.

      In questo contesto aumenta anche il numero di persone costrette a migrare a causa della crisi climatica ed ecologica innescata dal modello produttivo degli stati occidentali. Per smascherare l’ipocrisia di questo sistema che saccheggia, respinge e deporta mentre predica ecologismo, pensiamo che l’azione diretta é la strada necessaria.

      Se, da un lato, l’unione europea attua un sistema che genera guerre e miseria per poi criminalizzare e sfruttare le persone che ne sfuggono, dall’altro, c’è chi con forza e determinazione ogni giorno questo sistema continua a sfidarlo.
      Gli attraversamenti di frontiere che sfuggono al controllo sempre più intenso degli stati, le rivolte e le lotte che inceppano gli ingranaggi dei centri di detenzione amministrativa, facendone talvolta macerie – come a febbraio 2023 nel CPR di Torino – indicano che la mostruosa macchina statale è meno invincibile di quanto non sembri.

      Per queste ragioni sentiamo l’esigenza di riunirci, incontrarci, riconoscerci, di organizzarci meglio, provando a sottrarci alle trappole dell’assistenzialismo o da azioni mediatiche.

      Nell’arco delle giornate di campeggio vorremmo ri-attraversare questa frontiera a noi vicina, ancora una volta in maniera collettiva.
      Vorremmo ribadirne la pratica e la portata simbolica, contro tutte le frontiere, interne ed esterne, e i dispositivi che le alimentano. Contro i nuovi decreti assassini italiani (Cutro) e francesi (Darmanin). Contro le nuove leggi europee che permetteranno una esternalizzazione sempre più forte e violenta delle frontiere, con future deportazioni dirette in paesi terzi non di origine.

      Tra queste montagne si stanno spendendo i miliardi nel tentativo di costruzione del TAV, devastando un territorio in nome della velocità di merci e trasporti, mentre chi non ha i documenti é costretto a rischiare la vita, subendo inseguimenti, vessazioni e violenze poliziesche per mancanza di quel pezzo di carta che continua a uccidere mentre merci e turisti viaggiano indisturbati.
      Su questa frontiera si contano almeno 9 morti. Molti i feriti, infiniti i respinti. Decine di persone al giorno cercano di attraversare questa linea immaginaria protetta da gendarmi francesi e guardie italiane.
      Noi eravamo, siamo e saremo al loro fianco!

      Partecipiamo numerosi al campeggio itinerante -Passamontagna- nel tentativo di rilanciare momenti di incontro e confronto collettivo, di agire insieme, provando a coordinarci tra differenti realtà e territori in lotta, nella prospettiva di nuovi possibili percorsi.


      https://www.passamontagna.info/?p=4435

    • NOUS RECHERCHONS LA FAMILLE DE MOUSSA SIDIBÉ. CE MIGRANT GUINÉEN DE 19 ANS, A ÉTÉ RETROUVÉ MORT, À LA FRONTIÈRE FRANCO-ITALIENNE .
      Le corps sans vie de l’exié a été retrouvé dans les Hautes-Alpes ( /#France ) entre BRIANÇON et MONTGENÈVRE , le lundi 07 août 2023 par un vététiste.
      Moussa a tenté la traversée de la #Méditerranée. Le chemin du jeune homme passe ensuite par l’île italienne de #Lampedusa . Puis il décide de franchir les Alpes pour aller en #France .
      Moussa a été vu le 06 août 2023 à #OULX ( ville italienne frontalière de la France. )
      Le 07 août , la victime a été retrouvé face au sol , sur une piste accessible aux randonneurs…
      ´Le jeune homme a été inhumé le 21 août 2023 a BRIANÇON. Nous n’avons aucune photo de ce dernier pour l’instant.
      Des associations souhaiteraient aider dans la mesure du possible. au rapatriement de son corps en #Guinée #conakry . Bien entendu si sa famille le souhaite.
      Si vous pensez connaître le jeune guinéen Moussa Sidibé , né en 2004 , contactez-nous . Merci svp de partager massivement.🙏🙏🙏
      ( #WHATSAPP : 00.33.6.27.78.78.41 )

      https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=pfbid02bj8KV8xJ4EGWb6M8YGiSby4YEEN2rtR5D2poTfSQHP

      #Moussa_Sidibé

  • Is My Living In Vain (2022)

    Is My Living in Vain is a meditation on the continuing history and emancipatory potential of the #Black_church as a space of diasporic belonging, affirmation and community organising. Weaving together archival imagery, oral histories and 16mm shot footage on location. The film examines the emancipatory potential of churches as spaces of “infrapolitics” by exploring the sonic, political, spiritual and existential connections between specific communities across West Philadelphia and South East London.

    https://ufuomaessi.com/Is-My-Living-In-Vain

    #film #art #gentrification #Philadelphie #USA #Etats-Unis #religion #église #communauté_religieuse #communauté #musique #communauté_noire #Noirs #foi #gospel

  • Twitter poursuit en justice une ONG luttant contre les discours de haine
    https://www.lemonde.fr/pixels/article/2023/08/01/twitter-poursuit-en-justice-une-ong-luttant-contre-les-discours-de-haine_618

    Le Center for Countering Digital Hate, une ONG anglaise, a publié plusieurs études pointant l’inaction de #Twitter en matière de modération. Des travaux que la plate-forme juge biaisés et partisans.

    #gorafi_encore_plagié

  • Blueberries. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

    La raccolta dei mirtilli, nel distretto della frutta saluzzese, si svolge dalla metà di giugno all’inizio di luglio: pochi giorni durante i quali i datori di lavoro hanno bisogno di tanta manodopera tutta insieme. Tra i filari assolati alle pendici del Monviso i carrettini sono spinti da braccianti maliani, gambiani, ivoriani, burkinabé ma anche cinesi, pakistani, albanesi e qualche giovane italiano. In alcune aziende i raccoglitori sono protetti da ombrelloni da spiaggia, in altre no. In media si lavora nove ore al giorno. La paga è tra i 5.50 e gli 8 euro all’ora, a seconda dell’accordo informale che si è riusciti a strappare con il datore del lavoro, i contratti non contano granché vista la sistematicità del lavoro grigio.
    Gli imprenditori sembrano schiacciati tra le esigenze del mercato globale che impone regole e tempi e la difficoltà di reperire manodopera per un periodo così breve.

    “Mentre nell’area mediterranea la stagionalità del consumo del mirtillo è legata al periodo estivo, esiste un mercato britannico che consuma piccoli frutti tutto l’anno. Li importa in inverno dal Sudamerica e poi dai Paesi europei: prima Spagna, poi Italia e quindi Polonia. Nel contesto nazionale il mirtillo delle Alpi è di norma precoce e viene raccolto e distribuito da metà giugno a tutto luglio.
    … il mirtillo ha spesso sostituito gli appezzamenti di pesche e kiwi, diventando nel tempo un investimento redditizio.
    In provincia si coltivano oltre 500 ettari, di cui più della metà nell’area Saluzzese/Pinerolese, da cui proviene il 25% del prodotto nazionale. Sono sorte sotto il Monviso una quarantina di medie aziende. Vi sono poi, specialmente in collina, una miriade di piccoli e medi produttori (quasi 400) che conferiscono a cooperative e organizzazioni di produttori, che a loro volta sono la cintura di collegamento con la grande distribuzione e i mercati europei.” (La Gazzetta di Saluzzo, 4 giugno 2020).

    “…Un ulteriore problema di difficile risoluzione pare essere quello della manodopera, non per quanto riguarda la questione costi, ma per quanto riguarda la reperibilità: “Il costo della manodopera è sempre lo stesso. Il problema è trovarla” afferma un imprenditore di Revello. “Noi crediamo che questa volta sarà necessario rivolgersi alle cooperative, ma anche in quel caso si tratta di un terno al lotto. Per quanto ci riguarda, con altre colture oltre ai mirtilli riusciamo a mantenere gli operatori per periodi più lunghi di una sola campagna di raccolta. Inoltre, in questo modo si stabilisce un rapporto più stretto con il personale che può durare anche più anni”.
    “Abbiamo una cascina con diverse camere da letto, cucina, bagni. Siamo attrezzati per far alloggiare i dipendenti gratuitamente. Se si trovano bene è più probabile che rimangano. Cerchiamo di parlare sempre con i dipendenti, in questo modo si crea un dialogo diretto e ci si accorda sulla durata, sulle tempistiche e sulle modalità del lavoro”.
    “Abbiamo una decina di dipendenti che dal 2016 lavorano con noi. Credo sia normale aspettarsi un ricambio del personale, per svariati motivi, ma devo dire che la maggior parte rimane con noi”.
    (sito Italian Berry, 11 marzo 2023).

    Dunque: la superficie coltivata a mirtilli è notevolmente aumentata negli ultimi anni, anticipando così l’inizio della stagione della raccolta che durerà fino a novembre inoltrato con le mele cosiddette tardive. Nella grande piantagione a cielo aperto del Saluzzese, costitutivamente orientata all’export (l’80% della merce prodotta è destinata al commercio estero), il mirtillo è un prodotto relativamente recente, inserito nel portfolio produttivo degli agricoltori locali per via dell’elevata domanda e buona redditività sul mercato internazionale.

    Di agroindustria si tratta, un comparto che fa girare milioni di euro e quindi i costi di produzione non possono essere lasciati al caso: tra questi la manodopera è il fattore sul quale più facilmente si può giocare per ottenere profitti più alti. Certamente è noto con anticipo il fabbisogno, ma la maggior parte dei braccianti in questo primo periodo non ha un contratto o viene reclutata “last minute” tramite cooperative, agenzie o altre modalità informali di intermediazione. Rigorosamente a chiamata. Che l’apparente scarsa programmazione delle aziende celi una strategia di compressione dei salari? A pensar male si fa peccato, ma chissà…

    A tal proposito si fa un gran parlare di caporalato, il buco nero del discorso dove ogni altra forma di critica tende a collassare. Senza negare che il fenomeno esista e possa avere tratti particolarmente odiosi e anti-solidali, occorrerebbe un inquadramento della questione radicalmente diverso rispetto a quello ideologico dominante. Per esempio: quando il padrone chiede ad Amadou, che ormai da anni ogni estate lavora per lui e col quale si è instaurato un rapporto di strumentale fiducia, di trovare «tra i suoi contatti africani» braccianti disponibili per i giorni della raccolta, Amadou di fatto sta svolgendo una mansione extra per cui non ci sembra scandaloso possa percepire una retribuzione o qualche privilegio. Del resto, anche le tante regolari agenzie di intermediazione del lavoro non sono propriamente delle ONLUS. Se poi Amadou taglieggia i suoi contatti, allora è una persona spregevole, senza se e senza ma. Altrimenti? Amadou sta davvero compiendo chissà quale crimine? Un crimine più grave delle tante giornate di lavoro sistematicamente non segnate dai datori? Delle condizioni di lavoro indegne e logoranti? Delle paghe sempre inferiori a quelle che dovrebbero essere corrisposte in rapporto alle mansioni svolte?

    Certo, anche le pratiche d’intermediazione informali, questa sorta di ‘caporalato soft’, s’inscrivono in una cornice di reclutamento della forza-lavoro fortemente neoliberista: il caporale è solo un (piccolo) imprenditore in un mondo dominato da (grandi) imprenditori. Ma rivalutare la questione in questi termini, più materialisti e meno moralisti, forse, aiuterebbe a spostare il focus sulle cause e non sugli effetti.

    Parliamo allora di sfruttamento. Sfruttamento non in quanto mero reato, ma come motore del processo di accumulazione di capitale. Per accelerare le operazioni e incentivare la produttività, in molti casi ai lavoratori viene proposto di raccogliere a cottimo, un euro a cassetta per quanto riguarda i mirtilli. Alcuni accettano, «perché comunque conviene: se sei veloce guadagni di più che essere pagato ad ora, e poi nelle campagne del sud siamo abituati a lavorare così…quindi perché no». Comprensibile, certamente, specie sul piano individuale. Ma onestamente problematico dal punto di vista collettivo. La produttività della forza-lavoro è infatti essenziale per incrementare i margini di profitto e il Capitale, impersonificato nella figura degli imprenditori agricoli, grandi o piccole che siano le loro aziende, cura questo aspetto con grande attenzione. Non solo e non tanto con un’organizzazione più efficiente del processo produttivo, ma anche e soprattutto a scapito dell’alienazione e della tenuta fisica dei lavoratori spesso trattati come se fossero dei macchinari e non anzitutto degli esseri umani. Ma non si creda che il lavoro vivo subisca sempre passivamente questo disciplinamento! «Pretendono di usare il telefono mentre lavorano, la sera fanno i loro ‘summit’ tra di loro e impongono alle squadre più veloci di rallentare, e così via…», si lamenta un imprenditore agricolo. «Cerchiamo di non andare troppo veloce, di lavorare in modo tranquillo, per respirare un po’» afferma un bracciante. Lo scontro sul ritmo del lavoro è uno dei principali punti di frizione tra salariati e datori di lavoro, il rallentamento della produttività una possibile linea di forza di questa working class, ancora sconosciuto nella sua forza.

    Ai padroni poco importa quanti chilometri percorrono in bicicletta per presentarsi sul campo o se non hanno un posto dove dormire. L’importante è che le preziose bacche non restino sulle piante e giungano in fretta sui mercati. Anche in questo caso però può succedere che i “mediatori” si offrano per risolvere un problema reale garantendo il trasporto o, meno frequentemente, un posto letto (a carico del lavoratore).

    In questo primo scorcio di stagione, le cosiddette accoglienze, coordinate dalla Prefettura di Cuneo (i containers e la casa del cimitero del comune di Saluzzo per circa 230 posti letto) e gestite da una cooperativa, sono in ampissima misura mantenute chiuse. Può sembrare una scelta paradossale visto che, in assenza di alternative, una quota di lavoratori e aspiranti lavoratori, tra i 25 e i 100, è costretta ad accamparsi nei giardini pubblici del Parco Gullino, da qualche anno diventato luogo di approdo e di socialità, sorvegliato giorno e soprattutto notte dalle forze dell’ordine.

    In realtà dietro questa scelta politica ben precisa una logica c’è, per quanto perversa e cinica essa sia. La motivazione ufficiale, buona da sbandierare sulla stampa locale, è che i Comuni aderenti al progetto di accoglienza, ‘al modello Saluzzo’ (sic!), sono tarati sull’inizio della raccolta delle pesche nella seconda metà di luglio e non sono pronti per aprire prima. Storie. La motivazione reale ha invece a che vedere con il timore delle amministrazioni di creare un fattore di attrazione che susciti un’eccedenza di proletari razzializzati presenti sul territorio, persone non gradite se non in quanto risorse produttive immediatamente impiegate nella fabbrica agricola. Si basa inoltre sulle “prenotazioni” di posti letto da parte di alcuni imprenditori per chi più avanti avrà un contratto per tutta la stagione.
    Va da sé che chi non ha un contratto non può accedere alle accoglienze.

    La fantasia governamentale è di disporre just-in-time, né prima né dopo i periodi delle raccolte, della giusta quota di forza-lavoro, né troppa né troppo poca.

    Ormai non c’è più soluzione di continuità tra mirtilli, albicocche, pesche e mele ma quantità diverse di frutta da raccogliere e quindi diverso numero di braccia da impiegare. Tutto chiaro, gli imprenditori e le organizzazioni che li rappresentano conoscono benissimo le dinamiche del mercato del lavoro bracciantile che attraverseranno l’intera stagione fino all’autunno inoltrato.

    https://www.meltingpot.org/2023/07/blueberries-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

    #Italie #Saluzzo #myrtilles #agriculture #exploitation #petits_fruits #migrations #travail #Pinerolo #main-d'oeuvre #exportation #industrie_agro-alimentaire #caporalato #hébergement #logement #SDF #sans-abris #Parco_Gullino #modello_Saluzzo #modèle_Saluzzo #fruits #récolte #récolte_de_fruits

    • #Golden_Delicious. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      La seconda parte di queste cronache del bracciantato saluzzese è riferita alla raccolta delle mele che è in pieno svolgimento.

      Quando, a Saluzzo e dintorni, si parla di lavoro migrante in agricoltura, in particolare di bracciantato africano, generalmente si finisce per parlare di accoglienza.

      Se, da un lato, viene millantata la bontà del ‘modello Saluzzo’ e delle cosiddette accoglienze diffuse e in azienda, dall’altra parte viene giustamente fatta notare la contraddizione degli insediamenti informali, simboleggiata dalla situazione al Parco Gullino 1. L’impressione, tuttavia, è che la condizione di chi dorme o ha dormito al parco venga generalizzata in modo problematico, prendendo uno specifico spaccato di realtà per il tutto. Senza voler minimizzare l’importanza della questione abitativa, che peraltro è molto più di ampia portata e andrebbe esaminata oltre la dialettica tra insediamenti informali e accoglienze, crediamo sia doveroso parlare anche e soprattutto di lavoro. Perché in fondo le persone a Saluzzo – tutte, dalla prima all’ultima – vengono per lavorare.

      «Quest’anno le mele cuneesi, pur a fronte di un lieve calo produttivo dovuto all’andamento climatico, sono contraddistinte da una qualità estetica e organolettica ovunque buona. E’ quanto evidenzia Coldiretti Cuneo in occasione dell’avvio della campagna di raccolta che si apre con buone prospettive commerciali…

      Le operazioni di raccolta sono iniziate per le mele estive mentre tra fine mese e inizio settembre si passerà alle varietà del gruppo Renetta, dopodiché sarà la volta delle mele a maturazione intermedia dei gruppi varietali Golden Delicious e Red delicious; la campagna di raccolta continuerà fino a dicembre con i gruppi varietali a maturazione tardiva.

      … La Granda, che vanta una produzione di eccellenza a marchio IGP, la Mela Rossa Cuneo, ha conosciuto negli ultimi anni una progressiva espansione degli impianti di melo, con oltre 2000 aziende frutticole coinvolte e una superficie dedicata di quasi 6000 ettari (+ 21% negli ultimi 5 anni), pari all’85% della superficie piemontese coltivata a melo». (Comunicato Stampa Coldiretti, 25 agosto 2023)

      Il problema principale è che la manodopera scarseggia.

      «In provincia di Cuneo, nel 2022, sono state 3232 le aziende assuntrici di manodopera agricola e 13200 i dipendenti in agricoltura , a fronte di 24844 pratiche di assunzione, perché ci sono dei lavoratori che, per via della stagionalità delle operazioni nel settore, hanno lavorato in più aziende…

      L’agricoltura garantisce sempre più occupazione per l’intero anno o una larga parte di questo ma la carenza di manodopera base e specialistica ormai è una realtà; le cause sono diverse ma occorre lavorare per fare diventare più attrattivo il lavoro in agricoltura, specie nei confronti dei giovani. Oggi la manodopera extracomunitaria è sempre più indispensabile ma bisogna semplificare gli iter di rilascio dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, che a volte sono un ostacolo nel fidelizzare i lavoratori stranieri rispetto ad altri paesi europei. In ultimo il costo del lavoro, che incide in maniera eccessiva sulle aziende agricole…Servono urgentemente interventi decontributivi. – lancia l’allarme Confagricoltura Cuneo – Oggi la difficoltà maggiore per le aziende è reperire manodopera ma i tempi di lavorazione in agricoltura non sono decisi dagli imprenditori bensì dalla natura. Lavoratori italiani non se ne trovano più ma calano anche i lavoratori neocomunitari e per gli extra UE permangono molte incertezze legate al decreto Flussi e ai tempi di rilascio dei visti di ingresso… Per le aziende agricole assumere manodopera sta diventando sempre più una corsa ad ostacoli con più regole, contributi e sanzioni». (Comunicato Confagricoltura Cuneo, luglio 2023)

      Ovviamente nessuno parla delle condizioni di lavoro e di salario. Altro che rendere appetibile il lavoro in agricoltura!

      Qual è dunque la cifra costitutiva del lavoro salariato in agricoltura (e forse non solo in agricoltura) nel Saluzzese (e forse non solo nel Saluzzese)?

      Crediamo di poter rispondere, senza timore di smentita, il surplus extra-legale di sfruttamento della forza-lavoro, ovvero la mancata corresponsione di una significativa porzione di salario. Inutile e controproducente utilizzare mezzi termini: si tratta di un vero e proprio furto, perpetrato con la massima naturalezza e serenità dagli imprenditori agricoli in un clima di generale impunità e accondiscendenza. Tanto più quando il lavoratore è straniero ed è strutturalmente più vulnerabile a causa del ricatto del permesso di soggiorno, tanto più quando non conosce abbastanza la lingua italiana ed è inconsapevole dei suoi diritti, tanto più quando ha a disposizione poche opportunità di impiego alternative.

      Non serve essere dei marxisti ortodossi per condividere che la ricchezza è prodotta dal lavoro degli operai ma appropriata dai possessori dei mezzi di produzione. Oggi, in un’epoca dominata dall’egemonia del pensiero capitalistico, questo pilastro non è forse più così in in evidenza, eppure il meccanismo è sempre quello. A partire dal caso del distretto della frutta del Saluzzese, vogliamo sottolineare come i padroni di oggi, oltre al plusvalore frutto dello sfruttamento legalizzato, si avvalgano di tutta una serie di tecniche extra-legali per garantirsi l’accaparramento di un’eccedenza di ricchezza.

      È sconcertante constatare come agli operai africani impiegati nel distretto della frutta non sia praticamente mai corrisposta la retribuzione che spetterebbe loro da contratto, che è comunque vergognosamente bassa rispetto alle condizioni generali di un lavoro del genere, duro e precario per definizione.

      La stragrande maggioranza dei braccianti dichiara infatti di lavorare circa dieci ore al giorno, durante le fasi intense di raccolta anche la domenica. Secondo il Contratto Collettivo Nazionale degli Operai Agricoli e Florovivaisti, dopo le 6.30 ore di lavoro giornaliere (39 ore settimanali su 5 giorni) le ore svolte sono da considerarsi straordinari, e la maggiorazione per ogni ora di straordinario è pari al 30% e per i festivi pari al 60%. I sindacati coi quali abbiamo interloquito ci hanno detto di non avere quasi mai visto una busta paga contenente degli straordinari, mentre i lavoratori di non avere mai ricevuto ‘fuori busta’ paghe orarie superiori alla retribuzione oraria pattuita. Insomma, sebbene lavorare nei campi roventi d’estate e gelidi d’inverno sia già di per sé un lavoro duro e logorante, semplicemente il lavoro straordinario (che è la norma) non è riconosciuto, come se non esistesse tout court. 50/60 euro a giornata devono bastare.

      Un altro aspetto del furto di salario consiste nell’approvvigionamento del materiale di lavoro. Per legge, grazie ai risultati delle lotte del passato che l’hanno imposto anche sul piano legale, il datore di lavoro è tenuto a fornire al dipendente tutti i dispositivi di sicurezza di cui necessita per svolgere le mansioni richieste da contratto. Bene, è sufficiente farsi un giro alla Caritas, oppure al parco Gulino la domenica, per rendersi immediatamente conto di come ciò non avvenga e i lavoratori debbano procurarsi autonomamente i dispositivi di protezione (scarpe anti-infortunistica, guanti, etc.), altrimenti non vengono assunti.

      Se poi guardiamo oltre i picchi della raccolta stagionale e ci concentriamo sui non pochi operai agricoli africani che riescono ad ottenere contratti più lunghi, che magari si estendono sino a dicembre, anche qui si vedrà come raramente il lavoro è pagato il giusto prezzo. Pur svolgendo mansioni qualificate come ad esempio il diradamento o la potatura, spesso l’inquadramento salariale è quello del raccoglitore, a cui corrisponde ça va sans dire un salario inferiore.

      E si potrebbe andare avanti, e più avanti si va più si possono notare comunanze tra la condizione dei braccianti africani e quella di tanti lavoratori, in altri settori, stranieri ma anche italiani.

      I lavoratori africani nel Saluzzese accettano tutto ciò passivamente?

      No, specialmente oggi che il problema del contesto italiano (almeno nel nord del paese) sembra essere meno l’assenza di impiego e più il lavoro povero. La principale manifestazione di contropotere operaio è infatti l’atteggiamento iper-utilitaristico con cui si affrontano i padroni: “non mi paghi in modo soddisfacente, prendo e me ne vado. Immediatamente. Tanto riesco a trovare altro“. Non è sempre stato così, non è detto che sarà sempre così: in alcuni momenti l’offerta di lavoro era così ridotta che un lavoro, per quanto sfruttato e indegno, bisognava tenerselo stretto, perché serviva per mangiare, perché serviva per i documenti.

      Esistono poi molteplici linee di resistenza spontanea che agiscono sotterraneamente, di cui si viene a conoscenza solo creando un rapporto di fiducia e di ascolto reale con i lavoratori.

      Per esempio, la contrattazione informale sulle giornate di lavoro da segnare effettivamente in busta paga, almeno quel tot per raggiungere la soglia necessaria alla disoccupazione agricola, strumento peculiare per garantire continuità reddittuale nei mesi di inattività forzata. Il lavoro grigio, infatti, molto più che la qualità della frutta prodotta nelle piantagioni, è il vero marchio di fabbrica del distretto della frutta del Saluzzese.

      In zona è perfettamente noto a tutti, organi di controllo compresi, che le giornate di lavoro segnate ai braccianti non coincidono con quelle effettivamente svolte. Sebbene le situazioni varino di azienda in azienda, ipotizziamo che le giornate segnate siano meno della metà di quelle svolte. Un grande, enorme risparmio per le tasche degli imprenditori. Per rendersi conto dell’enorme volume di attività lavorativa non contabilizzato – quindi dei soldi risparmiati – sarebbe sufficiente disporre dei dati relativi alle giornate di lavoro necessarie in rapporto alla superficie di terreno coltivato e incrociarlo con le giornate documentate, ma guarda a caso questi dati non sono disponibili e custoditi gelosamente dagli organi di controllo e di rappresentanza delle aziende. (Dati che peraltro sarebbero estremamente utili anche per la programmazione della gestione abitativa della forza-lavoro stagionale, anziché agitare il solito spettro degli insediamenti informali)

      Sorvoliamo sui contributi non versati e sul conseguente mancato introito nelle casse dello Stato, perché il discorso sulla tassazione è lungo e complesso,ma guardiamo le cose dal punto di vista, anche egoistico se vogliamo, ma maledettamente materiale, del lavoratore che si spacca la schiena in campagna. Perché se il padrone risparmia, risparmia solo lui e l’operaio non ne trae alcun beneficio?

      Purtroppo però le linee di resistenza spontanea individuale faticano a comporsi in una forza collettiva organizzata. L’azione sindacale ha fatto pochi passi in avanti e resta schiacciata sull’azione legale piuttosto che sulla pratica di lotta diretta, con il risultato di non fare mai esperienza di un fronte comune ma di vincere o perdere in solitudine.

      Occorrerebbe infine guardare l’evidente diminuzione degli arrivi di braccianti in cerca di occupazione da un punto di vista diverso, diminuzione che si sovrappone e si sostituisce al ricambio pressoché totale di persone che arrivano a Saluzzo stagionalmente già registrato negli anni passati. Anche questo fenomeno andrebbe considerato infatti come una forma di “resistenza”, confermato dai continui appelli per mancanza di manodopera lanciati dalle organizzazioni datoriali e dal veloce passaggio ad altri settori produttivi di molti lavoratori africani che si sono stabiliti nel saluzzese.

      Sarebbe interessante approfondire che cosa intendono i padroni quando parlano di “fidelizzazione” dei propri dipendenti…

      Siamo perfettamente consapevoli che nella congiuntura attuale molti piccoli imprenditori agricoli stiano faticando, schiacciati dalla concorrenza del mercato internazionale, dal potere della grande distribuzione, dall’interdipendenza della distribuzione logistica.

      Alcune aziende sono a rischio fallimento, altre vengono assorbite dai pesci più grandi… ma è l’agriculutral squeeze, baby! Che altrove ha già comportato un cambio di scala nella dimensione aziendale. D’altro canto, è inaccettabile che l’insostenibilità della produzione agricola contemporanea per il piccolo imprenditore sia scaricata sui lavoratori salariati, non a caso persone razzializzate, che l’auto-sfruttamento dei datori di lavoro sia proiettato sui dipendenti. Già, perché a quanto pare il grado di sfruttamento nelle piccole aziende è ancora maggiore che nelle grandi. Ma se, anziché allearsi con le forze vive del lavoro per cambiare le regole del gioco, i contadini compartecipano al sistema di sfruttamento generalizzato, potendo sopravvivere solo grazie allo sfruttamento dell’ultimo anello della catena, allora la scelta di campo è stata fatta.

      https://www.meltingpot.org/2023/09/golden-delicious-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi
      #pommes

    • L’ultimo kiwi. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      Il lavoro stagionale nel distretto frutticolo di Saluzzo, tradizionalmente, si chiude con la raccolta dei kiwi nella seconda metà di novembre. Sei mesi sono trascorsi da quando i mirtilli, colorandosi di blu, avevano dato avvio alla stagione 2023.

      In realtà la produzione locale è notevolmente diminuita negli ultimi anni a causa della batteriosi e della cosiddetta “morìa” che hanno falcidiato ettari di frutteti, poi sostituiti da mirtilli e mele invernali ma anche in relazione a scelte imprenditoriali che hanno portato alla delocalizzazione delle piantagioni, verso il distretto di Latina in particolare. La raccolta, quindi, si concentra in poche giornate dai ritmi di lavoro massacranti, una corsa contro il tempo per sfruttare le ore di luce giornaliera che vanno diminuendo e anticipare le gelate precoci nella pianura ai piedi del Monviso.

      “L’Italia, con 320 mila tonnellate esportate nel 2021 in cinquanta paesi, per un fatturato di oltre 400 milioni di euro, è il principale produttore europeo di kiwi e il terzo nel mondo dopo Cina e Nuova Zelanda. – informa una accurata inchiesta condotta da IRPI Media pubblicata a marzo di quest’anno – La prima regione del nostro paese dove si coltiva la “bacca verde” è il Lazio. Globalmente, un terzo di tutti i kiwi commerciati nella grande distribuzione viene dalla multinazionale Zespri. Nata in Nuova Zelanda, oggi è leader nel settore e presente in sei paesi. Dalla provincia di Latina, arriva una buona parte della frutta venduta con il marchio Zespri (il 10,5%). Un mercato gigantesco, che solo in Italia conta quasi tremila ettari di campi, centinaia di produttori e migliaia di braccianti.” 4

      Anche sugli scaffali dei supermercati saluzzesi le varietà di kiwi sono vendute quasi tutte con il marchio Zespri: Green Premium, origine Italia confezionato in Lombardia, Sun Gold origine Nuova Zelanda e Hayward origine Grecia confezionati chissà dove.

      Alcune aziende locali producono in provincia di Latina i loro kiwi a polpa gialla (i Sun Gold) di cui Zespri detiene il brevetto e l’esclusiva della commercializzazione.

      Un colosso a livello internazionale è il Gruppo Rivoira che controlla Kiwi Uno S.p.A. con sede a Verzuolo, pochi chilometri da Saluzzo: “Da sempre in stretta relazione con il Cile, oggi grazie all’integrazione tra produzione italiana e cilena, abbiamo modo di essere sui mercati europei e d’oltre mare per dodici mesi all’anno” si legge sul sito dell’azienda. Rivoira controlla, tra le altre, anche un’azienda con sede a Cisterna di Latina, la capitale del kiwi italico, che vanta 110 ettari coltivati a kiwi, varietà hi-tech che hanno conquistato una loro nicchia di mercato.

      Ma restiamo a Saluzzo… Nell’annata in cui i lavoratori delle campagne non hanno più fatto notizia, scomparsi dalle cronache locali e nazionali, non più oggetto di studi eruditi in relazione a presunte emergenze ma sempre ben presenti in carne, ossa e muscoli tra i filari a reggere l’economia di questo angolo benestante di nord-ovest, la stagione del lavoro bracciantile si è chiusa mestamente nell’aula di un tribunale. A Cuneo il 23 novembre scorso, infatti, si è svolta l’udienza preliminare del processo a carico del datore di lavoro di Moussa Dembele, maliano, deceduto a Revello il 10 luglio 2022.

      Moussa lavorava in nero (“senza regolare contratto” secondo la fredda dicitura burocratica) presso un’azienda agricola dedita all’allevamento dei bovini.

      L’allevamento di bovini e suini è l’altro grande business della provincia di Cuneo da cui deriva la coltivazione intensiva del mais che, insieme a frutteti e capannoni di cemento, domina il paesaggio della pianura saluzzese.

      Nel settore zootecnico le condizioni di lavoro riescono ad essere forse persino peggiori che in agricoltura. Così almeno sostengono alcuni ex-lavoratori, i quali, stando a quanto ci dicono, ricordano il mestiere con un certo orrore. «Se lo fai troppo a lungo», ci racconta Ousmane, «diventi un vitello anche tu! È massacrante, fisicamente ma soprattutto mentalmente: lavori tutti i giorni, a orario spezzato, da solo, nell’aria pesante che puzza di animale e di merda. Per una paga nemmeno buona devi completamente rinunciare a farti una tua vita personale, eppure il padrone non è mai, mai contento…» Nell’invisibilità garantita dalle stalle diffuse nel profondo della campagna industrializzata il rapporto di forza tra l’azienda e il dipendente, che spesso lavora individualmente, è tutto a favore della prima.

      Quella domenica Moussa trasportava pesanti vasche di plastica colme di mangime insilato per l’alimentazione delle mucche, riempite di volta in volta al cassone di un inquietante macchinario denominato “desilatore portato”, attrezzatura agricola attaccata alla forza motrice di un trattore. Nella richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Cuneo, tale attrezzatura viene definita “non idonea ai fini della sicurezza”, priva cioè delle necessarie protezioni, modificata per facilitare le operazioni.

      Giunto ormai al termine del lavoro affidatogli, il manovale si è sporto oltre la sponda del cassone per spingere con una scopa i resti dell’insilato verso la coclea, rimanendo incastrato e schiacciato da un componente del macchinario in funzione. Questa la ricostruzione ufficiale. Moussa è deceduto per “arresto cardiorespiratorio a causa di shock midollare e ipovolemico”, in pratica è morto sul colpo con l’osso del collo fracassato nell’impatto.

      La storia di Moussa è simile a quella di tanti lavoratori e lavoratrici delle campagne, che accettano di lavorare in nero perché non sono in regola con il permesso di soggiorno e non hanno alternative oppure per integrare i contratti a chiamata che non garantiscono un salario sufficiente per sé e per poter aiutare le proprie famiglie nei paesi d’origine.

      «Si trovava in Italia dal 2013 e pare che lavorasse nell’azienda da circa sei mesi. Da più di un anno stava aspettando il rinnovo del permesso di soggiorno… Oltre alla moglie e alle due figlie, Moussa ha lasciato il fratello Makan, di due anni più giovane, che vive a Gambasca e lavora per un’azienda agricola del paese. I due erano arrivati in Italia in momenti diversi. E’ stato lui ad accompagnare la salma in Mali». (L’eco del Chisone, agosto 2023)

      Alla notizia della morte di Moussa un pugno di braccianti aveva manifestato spontaneamente dolore e rabbia per le strade di Saluzzo.

      In generale si dice che a Saluzzo, “a differenza del Sud” – il Sud preso come termine di paragone sempre negativo, il Sud diverso e lontano, il Sud selvaggio e criminale, il Sud che nel Piemonte profondo non ha mai smesso di venire razzializzato – il lavoro nero in agricoltura sia tutto sommato poco diffuso, un’eccezione e non la regola. Come abbiamo scritto qui, la cifra costitutiva degli attuali rapporti lavorativi locali è in effetti il lavoro ‘grigio’, cioè lavoro ‘nero a metà’ per dirla con un grande cantore del Meridione quale Pino Daniele. Tuttavia, a ben vedere, specialmente durante i picchi della raccolta, non sono affatto pochi i raccoglitori non contrattualizzati impiegati anche nel saluzzese.

      Abbiamo persino sentito dire che ci sono datori di lavoro che in quei momenti quando ci si gioca il raccolto di un anno intero, incuranti di un pericolo evidentemente non così temibile, cercano lavoratori disponibili a lavorare in nero, “perché per così pochi giorni, ma che senso ha fare un contratto?” Mera noia burocratica o cosciente risparmio sul costo del lavoro? Chissà, intanto il bracciante ha qualche giorno in meno per il calcolo della disoccupazione agricola e zero tutele dei propri diritti… Agli unici lavoratori che in un certo senso conviene, per il paradossale effetto della violenza strutturale sancita dalla legge Bossi-Fini, sono le persone, come Moussa, sprovviste di regolare permesso di soggiorno a causa delle estenuanti lungaggini burocratiche.

      Per una drammatica coincidenza, ma per chi conosce bene le condizioni di vita dei braccianti non è affatto una sorpresa, poco distante dal luogo del decesso di Moussa, nelle campagne di Revello, grosso comune agricolo dove lavorano centinaia di stagionali e di cui si parla spesso in quanto l’unico del distretto della frutta a non aver aderito al protocollo di accoglienza della Prefettura, nella primavera di quest’anno è morto Dahaba, 40 anni, anche lui maliano. Ma la notizia è passata praticamente sotto silenzio.

      L’uomo ha perso la vita la notte di Pasqua a causa delle esalazioni del monossido di carbonio: per riscaldarsi aveva acceso, nella sua stanza, un braciere ricavato da un secchio di metallo. Ad aprile fa ancora freddo da queste parti, i camini delle cascine fumano e le gelate notturne rischiano di compromettere i raccolti, è questa la preoccupazione maggiore.

      Dahaba era arrivato da Rosarno dove aveva raccolto le arance e si era appena recato in Questura a ritirare il suo permesso di soggiorno per “attesa occupazione”, il documento che viene rilasciato quando il titolare di un permesso per lavoro subordinato ne richiede il rinnovo ma non ha, al momento, un contratto e delle buste paga da esibire. A Revello abitava in un alloggio messo a disposizione dal suo datore di lavoro, a quanto pare non riscaldato adeguatamente. Il martedì seguente il giorno di pasquetta, lo stesso datore di lavoro, non vedendolo arrivare, è andato a cercarlo e ha trovato il cadavere.

      L’uomo era poco conosciuto nella numerosa comunità maliana che vive nel saluzzese.

      L’episodio dovrebbe suscitare una riflessione seria sulle condizioni di vita dei braccianti africani, sul pendolarismo forzato nelle campagne d’Italia alla ricerca di un lavoro, sulla precarietà esistenziale estrema, sulla solitudine di un corpo senza vita rinvenuto solo perché non si è presentato sul posto di lavoro.

      Per non parlare del problema della casa o della tanto invocata accoglienza in azienda, in questi anni considerata la panacea di tutti i mali ma niente affatto sinonimo di dignitosa qualità di vita. L’accoglienza in cascina, anche quando fatta nel migliore dei modi – e non è certo sempre il caso – è infatti problematica sotto molteplici punti di vista: rappresenta un ulteriore ricatto per il lavoratore, il cui datore di lavoro e il padrone di casa sono la stessa persona; è un fattore di isolamento spaziale che ha forti ripercussioni sulla socialità; impedisce una chiara separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro; e molto altro. Nel peggiore dei casi, si può dire che rievochi l’organizzazione sociale totale della piantagione coloniale…

      Moussa e Dakar chiedono di non essere dimenticati, di non essere considerati soltanto le note stonate di una narrazione dei fatti appiattita sul paternalismo padronale, ossessionata dal decoro urbano e dalla qualità delle eccellenze del territorio agricolo circostante. La morte che spesso attende in agguato chi lavora, in campagna e altrove, non è una tragica fatalità ma l’espressione più estrema di una condizione di ‘normale’ sfruttamento, che sistematicamente, a gradi variabili, produce sofferenza e afflizioni, fisiche e mentali.

      https://www.meltingpot.org/2023/12/lultimo-kiwi-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

      #kiwi #kiwis

  • Ces golfs et multinationales exemptés de restrictions d’eau malgré la sécheresse - Basta !
    https://basta.media/ces-golfs-et-multinationales-exemptes-de-restrictions-d-eau-malgre-la-seche

    Les #restrictions_d’eau pendant la #sécheresse ne s’appliquent pas avec la même fermeté à tous les acteurs. Les industries du #golf, des #semi-conducteurs, de l’#agroalimentaire ou des #eaux_minérales bénéficient de dérogations, souvent sans contreparties.

  • Des policiers renvoyés devant une cour criminelle pour des violences aggravées et de faux procès-verbaux
    https://www.mediapart.fr/journal/france/120723/des-policiers-renvoyes-devant-une-cour-criminelle-pour-des-violences-aggra

    Un festival.

    Le flic :

    « chaque collègue a sa méthode, l’un va user d’un étranglement parce que c’est ce qui va lui sembler le plus simple, l’autre va le frapper pour essayer de le calmer et après, l’usage du taser [...] c’est ce qui calme le plus radicalement la personne ». En fin de compte, « peut-être que les trois mis bout à bout, c’est un peu excessif ou paraît excessif », concède-t-il.

    Son avocat :

    si son client s’est autorisé à mentionner qu’il portait un brassard, alors que les vidéos prouvent le contraire, ce n’est pas une omission « puisqu’il l’avait dans sa poche ».

    « il avait oublié l’existence de ces coups, étant encore sous le coup de l’adrénaline au moment de la rédaction du PV »

    Le parquet :

    a estimé que ces dissimulations doivent être considérées comme des « insuffisances ou approximations du procès-verbal » et doivent être analysées « plutôt comme un manque de rigueur engageant une responsabilité sur le plan administratif » et non comme « une volonté délibérée de dissimuler la réalité des faits »

    La juge :

    « Comment est-ce légitime de frapper et d’utiliser un Taser sur un homme menotté et maintenu par six policiers ? »

    C’est grotesque, mais sans la vidéo d’habitude c’est la victime qui se retrouve au tribunal pour outrage et rébellion et les flics ne sont jamais inquiétés.

    La cour criminelle quand même, en compensation exceptionnelle et dérisoire de l’injustice ordinaire et de la dernière hécatombe judiciaire d’« émeutiers ».

    [Edit : l’ordonnance de renvoi date du 17 février]

    • #Roberto_Mozzachiodi, UK

      SOLIDARITY WITH ROBERTO MOZZACHIODI

      After years of unparalleled academic and political work at Goldsmiths, our colleague, friend, teacher, caseworker, union branch co-Secretary #Roberto_Mozzachiodi has been put through an unfair employment process, and as a result no longer holds a substantive teaching position at the College. Roberto’s case reflects the working conditions of hundreds of staff at Goldsmiths, and thousands of staff employed on precarious, fixed-term, temporary contracts across British Higher Education. It also reflects the risks that come with openly committing to collective, ground-up solidarity that challenges the principles of how university work is organised, and reimagines union work accordingly.

      Roberto has been a leading figure in the fight against casualisation at Goldsmiths, and has been at the heart of campaigns that have radically transformed our place of work and study. He was core in the Goldsmiths #Justice_for_Cleaners and Goldsmiths #Justice_for_Workers movements that brought cleaning and security staff in-house, and core in the fight to extend basic rights to casualised workers at Goldsmiths at the height of the pandemic. He has supported countless staff and students through the grinding labour of union casework, and has worked tirelessly on strengthening and transforming the Goldsmiths branch of UCU through a radical commitment to anti-casualisation, anti-racism, and anti-factionalism, often fighting and organising for the rights of others in far more secure positions.

      Roberto’s specific case mirrors that of thousands across the country employed on temporary, fixed-term, and casualised contracts. Roberto was denied his redundancy-related employment rights when his contract came to an end. This involved, amongst other things, not being consulted on suitable alternative employment, including a permanent position very similar to the role he had been performing on a fixed-term basis over three terms. This amounts to a denial of casualised workers’ employment rights, and is something that is commonplace at Goldsmiths, and across the sector.

      As signatories of this letter, we call on Goldsmiths to act on the unjust treatment of Roberto. We also urge all at Goldsmiths and beyond to actively resist and challenge the endemic nature of precarious work in university life - at all times and at all scales, as Roberto has always done.

      Signed,

      Alice Elliot, Lecturer, Goldsmiths University of London
      Victoria Chwa, President, Goldsmiths Students’ Union
      Alicia Suriel Melchor, Operations Assistant, Forensic Architecture / Goldsmiths.
      Vicky Blake, UCU NEC, former president & Uni of Leeds UCU officer, former Chair of UCU Anti-Casualisation Committee
      Cecilia Wee, Associate Lecturer, Royal College of Art & co-Chair/co-Equalities RCA UCU branch
      Joe Newman, Lecturer, Goldsmiths, University of London
      James Eastwood, Co-Chair, Queen Mary UCU
      S Joss, HW UCU Branch President
      Rehana Zaman, Lecturer Art Department, Goldsmiths University of London
      Marina Baldissera Pacchetti, anti-cas officer, Leeds UCU
      Sam Morecroft, USIC UCU Branch President and UCU Anti Casualisation Committee
      Kyran Joughin, Anti-Casualisation Officer, UCU London Region Executive Committee, UCU NEC Member, former Branch Secretary, UCU-UAL
      Rhian Elinor Keyse, Postdoctoral Research Fellow; Birkbeck UCU Branch Secretary; UCU Anti-Casualisation Committee; UCU NEC
      Joanne Tatham, Reader, Royal College of Art and RCA UCU branch committee member, London
      Bianca Griffani, PhD candidate, Goldsmiths University of London, London
      Paola Debellis, PhD student, Goldsmiths, University of London.
      Ashok Kumar, Senior Lecturer, Birkbeck, University of London
      Chrys Papaioannou, Birkbeck UCU
      Fergal Hanna, PhD Student, University of Cambridge, UCU Anti-Casualisation Committee and Cambridge UCU Executive Committee member
      Robert Deakin, Research Assistant, Goldsmiths, University of London
      Grace Tillyard, ESRC postdoctoral fellow, MCCS Goldsmiths
      Yari Lanci, Associate Lecturer, Goldsmiths University of London.
      Caleb Day, Postgraduate researcher, Foundation tutor and UCU Anti-Casualisation Officer, Durham University
      Rachel Wilson, PhD Candidate, Goldsmiths University of London
      Sean Wallis, Branch President, UCL UCU, and NEC member
      Yaiza Hernández Velázquez, Lecturer, Visual Cultures, Goldsmiths.
      Akanksha Mehta, Lecturer, Goldsmiths, University of London
      Cathy Nugent, PhD Candidate, Goldsmiths, University of London
      Janna Graham, Lecturer Visual Cultures, Goldsmiths
      Isobel Harbison, Art Department, Goldsmiths
      Susan Kelly, Art Department, Goldsmiths
      Jessa Mockridge, Library, Goldsmiths
      Vincent Møystad, Associate Lecturer, MCCS, Goldsmiths
      Dhanveer Singh Brar, Lecturer, School of History, University of Leeds
      James Burton, Senior Lecturer, MCCS, Goldsmiths
      Louis Moreno, Lecturer, Goldsmiths
      Jennifer Warren, Visiting Lecturer, Goldsmiths MCCS
      Anthony Faramelli, Lecturer, Visual Cultures, Goldsmiths, University of London
      Billy Godfrey, Doctoral Researcher, Loughborough University; GTA, University of Manchester
      Fabiana Palladino, Associate Lecturer, Goldsmiths, University of London
      Morgan Rhys Powell, Doctoral Researcher and GTA; University of Manchester
      Tom Cowin, Anti-Casualisation Officer, Sussex UCU
      Conrad Moriarty-Cole, Lecturer, University of Brighton, and former PhD student at Goldsmiths College
      Marina Vishmidt, MCCS Lecturer, Goldsmiths University of London
      George Briley, Universities of London Branch Secretary, IWGB
      Callum Cant, Postdoctoral Researcher, Oxford Internet Institute
      Daniel C. Blight, Lecturer, University of Brighton
      Marion Lieutaud, Postdoctoral Research Fellow, LSE UCU anti-casualisation co-officer, London School of Economics
      Lukas Slothuus, LSE Fellow, LSE UCU anti-casualisation co-officer, London School of Economics
      Matthew Lee, UCL Unison Steward & IWGB Universities of London Representative
      Jamie Woodcock, University of Essex
      Dylan Carver, Anti-Casualisation Officer, University of Oxford
      Annie Goh, Lecturer, LCC UAL
      George Mather, PGR Anti-Casualisation Officer, University of Oxford
      Zara Dinnen, Branch co-chair QMUCU
      Henry Chango Lopez - IWGB Union, General Secretary
      Rhiannon Lockley - Branch Chair Birmingham City University UCU; UCU NEC
      Sol Gamsu, Branch President, Durham University UCU
      Ben Ralph, Branch President, University of Bath UCU
      Myka Tucker-Abramson, University of Warwick UCU
      Lisa Tilley, SOAS UCU
      James Brackley, Lecturer in Accounting, University of Sheffield
      Alex Fairfax-Cholmeley, Communications Officer, Uni of Exeter UCU
      Ioana Cerasella Chis, University of Birmingham (incoming branch officer)
      Muireann Crowley, University of Edinburgh, UCU Edinburgh
      Jonny Jones, associate lecturer, UCL
      Danai Avgeri, University of Cambridge, postdoctoral fellow
      Stefano Cremonesi, Durham University UCU
      Jordan Osserman, Lecturer, Essex UCU Member Secretary
      Danny Millum, Librarian, Sussex UCU Exec Member
      Sanaz Raji, ISRF Fellow, Northumbria University, Founder & Caseworker, Unis Resist Border Controls (URBC)
      Alex Brent, GMB South London Universities Branch Secretary
      Gareth Spencer, PCS Culture Group President
      Floyd Codlin, Environmental & Ethics Officer, Birkbeck
      Clare Qualmann, Associate Professor, University of East London and UCU branch treasurer, UEL
      Kevin Biderman, Brighton UCU anti-casualisation officer
      David Morris, CSM / University of the Arts London UCU
      Ryan Burns, Brighton UCU Secretary
      Julie canavan Brighton UCU
      Charlotte Terrell, Postdoc, Oxford UCU
      Clara Paillard, Unite the Union, former President of PCS Union Culture Group
      Jasmine Lota, PCS British Museum United Branch Secretary
      Joe Hayns, RHUL.
      Adam Barr, Birkbeck Unison
      Dario Carugo, Associate Professor, University of Oxford
      Jacob Gracie, KCL Fair Pay for GTAs
      Rahul Patel, UCU London Region Executive and Joint Sec University of the Arts London UCU
      Billy Woods, Essex UCU
      Lucy Mercer, Postdoctoral Research Fellow, University of Exeter
      Goldsmiths Anti-Racist Action (GARA)
      Saumya Ranjan Nath, University of Sussex
      Islam al Khatib, 22/23 Welfare and Liberation Officer, Goldsmiths SU
      Mijke van der Drift, Tutor, Royal College of Art
      Marini Thorne, PHD student and teaching assistant, Columbia University and member of Student Workers of Columbia
      Genevieve Smart, PhD student, Birkbeck
      Francesco Pontarelli, Postdoctoral fellow, University of Johannesburg
      Gloria Lawton, Outreach Homeless Worker, HARP and undergraduate Birkbeck University.
      Grant Buttars, UCU Scotland Vice President
      Goldsmiths Community Solidarity
      Nicola Pratt, Professor, University of Warwick
      Robert Stearn, Postdoctoral Research Associate, Birkbeck, University of London
      Jake Arnfield, UVW Union
      Jarrah O’Neill, Cambridge UCU
      Owen Miller, Lecturer, SOAS
      Marissa Begonia, Director, The Voice of Domestic Workers
      Neda Genova, Research Fellow, University of Warwick
      Joey Whitfield, Cardiff University UCU
      Leila Mimmack, Equity Young Members Councillor
      Ross Gibson, University of Strathclyde
      Phill Wilson-Perkin, co-chair Bectu Art Technicians, London
      Isabelle Tarran, Campaigns and Activities Officer, Goldsmiths Students Union
      Leila Prasad, lecturer, Goldsmiths
      Malcolm James, University of Sussex
      Natalia Cecire, University of Sussex
      Daniel Molto, University of Sussex
      Emma Harrison, University of Sussex
      Margherita Huntley, University of the Arts London (Camberwell UCU)
      Gavin Schwartz-Leeper, Warwick University UCU Co-Chair
      Mary Wrenn, University of the West of England
      Aska Welford (United Voices of the World)
      855 Unterschriften:Nächstes Ziel: 1.000

      https://www.change.org/p/solidarity-with-roberto-mozzachiodi?recruiter=false

      #petition #UK #Goldsmiths #precarity #union_work #British_Higher_Education #fixed_term #UCU

    • #Maria_Toft, Denmark

      In #Denmark #scientists are rolling out a nationwide #petition for a commission to investigate #research_freedom

      –> https://seenthis.net/messages/1009865

      PhD student at the Department of Political Science #Maria_Toft, in addition to the mentioned petition, also started a campaign under the hashtag #pleasedontstealmywork to stop the theft of research.

      –> https://seenthis.net/messages/1009866

      The national conversation about exploitation with #pleasedontstealmywork campaign was at the cost of #Maria_Tofts Copenhagen fellowship.

      –> https://www.timeshighereducation.com/news/campaigning-doctoral-candidate-resigns-hostile-environment (access if registered)

      This article assesses the #working_conditions of #precariat_researchers in #Denmark.

      –> https://seenthis.net/messages/1009867

      Twitter link: https://twitter.com/GirrKatja/status/1640636016330432512

    • #Heike_Egner, Austria

      Unterstütze #Heike_Egner für Grundrechte von Profs

      https://youtu.be/6w-deHpsmr4

      Ich sammle Spenden für eine juristische Klärung, die zwar meine Person betrifft, jedoch weitreichende Bedeutung für Professorinnen und Professoren im deutschsprachigen Wissenschaftsbereich hat. Die Entlassung einer Professorin oder eines Professors aus einer (unbefristeten) Professur galt bis vor kurzem noch als undenkbar. Mittlerweile ist das nicht nur möglich, sondern nimmt rasant zu.

      Der Sachverhalt: Ich wurde 2018 als Universitätsprofessorin fristlos entlassen. Für mich kam das aus heiterem Himmel, da es keinerlei Vorwarnung gab. Erst vor Gericht habe ich die Gründe dafür erfahren. Der Vorwurf lautet, ich hätte Mobbing und psychische Gewalt gegen wissenschaftliche Nachwuchskräfte und andere Mitarbeiter ausgeübt. Vor Gericht zeigte sich, dass die Vorwürfe durchwegs auf von mir vorgenommene Leistungsbewertungen basieren, die von den Betreffenden als ungerecht empfunden wurden. Die Bewertung von Leistungen von Studierenden und Nachwuchswissenschaftlern gehört zu den Dienstaufgaben einer Universitätsprofessorin, ebenso wie die Evaluierung von Leistungen der Mitarbeiter jenseits der Qualifikationserfordernisse zu den Dienstaufgaben einer Institutsvorständin an einer Universität gehört.

      Mittlerweile liegt der Fall beim Obersten Gerichtshof in Österreich. Ich habe eine „außerordentliche Revision“ eingereicht, da ich der Meinung bin, dass die Art meiner Entlassung von grundlegender Bedeutung für die Arbeitsbedingungen von Professoren an Universitäten ist. Unter anderem ist folgendes zu klären:

      Darf eine Universitätsprofessorin oder ein Universitätsprofessor aufgrund von anonym vorgetragenen Vorwürfen entlassen werden?
      Darf eine Universitätsprofessorin oder ein Universitätsprofessor aufgrund von ihr oder ihm durchgeführten negativen Leistungsbewertungen entlassen werden?

      Sollte die Berufungsentscheidung rechtskräftig bleiben, ist damit legitimiert, dass eine Professorin oder ein Professor aufgrund von freihändig formulierten und anonym vorgetragenen Behauptungen jederzeit entlassen werden kann. Dies entspricht einer willkürlichen Entlassung und öffnet Missbrauch Tür und Tor, da es Universitäten ermöglicht, sich jederzeit ihrer Professoren zu entledigen. Eine Universität ist aufgrund ihrer Struktur und ihres Auftrags eine grundsätzlich spannungsgeladene Organisation; hier lassen sich jederzeit unzufriedene Studenten, Nachwuchskräfte oder Mitarbeiter finden, die eine Beschwerde äußern. Die Möglichkeit willkürlicher Entlassung steht nicht nur in Konflikt mit den Formulierungen und der Zielsetzung des Arbeitnehmerschutzes, sondern auch mit der in der Verfassung verankerten Freiheit von Wissenschaft, Forschung und Lehre.

      Wofür bitte ich um Unterstützung?
      Es ist ein ungleicher Kampf, da die Universität Steuergelder in unbegrenzter Höhe zur Verfügung hat und ich – ohne Rechtsschutzversicherung – das volle Risiko des Rechtsstreits persönlich trage. Die bisherigen Kosten des Verfahrens belaufen sich auf etwa 120.000 € (eigene Anwaltskosten und Anwaltskosten der Gegenseite). Damit sind meine Ersparnisse weitgehend aufgebraucht.

      Mein Spendenziel beträgt 80.000 €.
      Dies umfasst die etwa 60.000 € Anwaltskosten der Gegenseite, die ich aufgrund des Urteils in zweiter Instanz zu tragen habe. Die weiteren 20.000 € fließen in die Forschung über die Entlassung von Professorinnen und Professoren, die ich seit 2020 mit einer Kollegin aus privaten Mitteln betreibe.

      Publizierte Forschungsergebnisse zur Entlassung von Professorinnen und Professoren

      Egner, Heike & Anke Uhlenwinkel (2021). Entlassung und öffentliche Degradierung von Professorinnen. Eine empirische Analyse struktureller Gemeinsamkeiten anscheinend unterschiedlicher „Fälle“. Beiträge zur Hochschulforschung, 43(1-2), 62–84. Download PDF
      Egner, Heike & Anke Uhlenwinkel (2021). Zur Rechtsstaatlichkeit universitätsinterner Verfahren bei Entlassung oder öffentlicher Degradierung von Professor*innen. Ordnung der Wissenschaft, 3(3), 173–184. Download PDF
      Egner, Heike & Anke Uhlenwinkel (2023). Über Schwierigkeiten der betriebsrätlichen Vertretung von Professor(innen). Zeitschrift für Hochschulrecht(22), 57–64.
      Egner, Heike & Anke Uhlenwinkel (2023). Zertifikat als Grundrecht? Über Leistungsansprüche und -erwartungen im Kontext struktureller Veränderungen an Universitäten. Hochschulwesen(1+2), 28–43.

      https://www.gofundme.com/f/fur-grundrechte-von-professoren

      Aus dem Video: Rektor hat Betriebsratsvorsitzenden aufgetragen gezielt belastbares Material in Schriftform gegen Heike Enger zu sammeln. Betreibsrat kam Auffroderung bereiwilling nach und sprach gezielt Mitarbeitende an und bat sie aufzuschreiben, worüber sie sich geärgert haben und dies auszuhändigen. Zeuge der Universität hat dieses Vorgehen vor Gericht vorgetragen.

      #academia #university #Austria #Klagenfurt #professor #dismissal #arbitrary #publications #lawsuit #evaluation #scientific_freedom

    • #Susanne_Täuber, Netherlands

      Reinstate #Susanne_Täuber, protect social safety and academic freedom at the RUG

      10 March 2023

      To prof. Jouke de Vries, President, and members of the Board of the University of Groningen,

      We, the undersigned employees and students of the University of Groningen (UG), joined by concerned observers and colleagues at institutions around the world, are appalled at the firing of Dr. Susanne Täuber. The facts of this case are clear: Dr. Täuber was punished for exerting her academic freedom. The same court that allowed the UG to fire her also made it clear that it was the university’s negative reaction to an essay about her experiences of gender discrimination at the university that “seriously disturbed” their work relationship. Alarming details have also been made public about how the university pressured Dr. Täuber to censor future publications, in order to retain her position.

      The protest in front of the Academy Building on 8 March, International Women’s Day, and the continuing press attention and social media outcry, demonstrate that this case has consequences far beyond one university. Firing a scholar who publishes work that is critical of powerful institutions, including the university itself, sets a disturbing precedent for us all. We, the employees and students, ARE the UG, and we refuse to let this act be carried out in our names. We call on the University Board to reinstate Dr. Täuber, without delay, as an associate professor, and to ensure that she is provided with a safe working environment.

      The firing of Dr. Täuber has surfaced structural problems that necessitate immediate action by the University Board and all UG faculties. It is unacceptable that when a “disrupted employment relationship” emerges within a department, the more vulnerable person is fired. This points to a broader pattern at Dutch universities, as evidenced by the YAG Report (2021), the LNVH Report (2019), and other recent cases: in cases of transgressive behavior, Full Professors, Principal Investigators (PIs), and managers are protected, while employees of lower rank, or students, bear the consequences. If we are to continue performing our education and research mission, then this practice must be reformed, and the University of Groningen has an opportunity to lead here. We call on the University Board to work with labor unions, the LNVH, the University Council, and Faculty Councils to design and implement a safe, independent procedure for addressing violations of social safety: one that prioritizes the protection and support of vulnerable parties.

      Internal reforms will help ensure the safety of students and employees, but they will not repair the damage these events have caused to the reputation of the University of Groningen. The termination of a scholar who publishes field-leading research that is critical of academia has triggered doubts among employees, students, and the public about the UG’s commitment to academic freedom. This action is already raising concerns from talented job candidates, and we fear a chilling effect on critical research at the UG and beyond. We call on the University of Groningen, in partnership with the Universities of the Netherlands (UNL), the Ministry of Education, and the labor unions, to enshrine protections for academic freedom in the Collective Labor Agreement.

      Reinstate Dr. Täuber, reform complaint procedures, and establish binding protections for academic freedom. The relationship between the University of Groningen and the people it employs, teaches, and serves has been severely disrupted in the past weeks, but that relationship can be repaired if the Board begins taking these actions today.

      Sincerely,

      References:
      Leidse hoogleraar ging ‘meerdere jaren’ in de fout. (2022, October 25). NRC. https://www.nrc.nl/nieuws/2022/10/25/leidse-hoogleraar-ging-meerdere-jaren-in-de-fout-a4146291

      LNVH. (2019). Harassment in Dutch academia. Exploring manifestations, facilitating factors, effects and solutions. https://www.lnvh.nl/a-3078/harassment-in-dutch-academia.-exploring-manifestations-facilitating-factors-eff.

      Täuber, S. (2020). Undoing Gender in Academia: Personal Reflections on Equal Opportunity Schemes. Journal of Management Studies, 57(8), 1718–1724. https://doi.org/10.1111/joms.12516

      Upton, B. (2023, March 8). Court rules Groningen is free to fire critical lecturer. Times Higher Education (THE). https://www.timeshighereducation.com/news/court-rules-groningen-free-fire-critical-lecturer

      Veldhuis, P., & Marée, K. (2023, March 8). Groningse universiteit mag kritische docent ontslaan. NRC. https://www.nrc.nl/nieuws/2023/03/08/groningse-universiteit-mag-kritische-docent-ontslaan-a4158914

      Young Academy Groningen. (2021). Harassment at the University of Groningen. https://www.rug.nl/news/2021/10/young-academy-groningen-publishes-report-on-harassment-in-academia

      https://openletter.earth/reinstate-susanne-tauber-protect-social-safety-and-academic-freedom-at

      The article:

      Täuber, S. (2020) ‘Undoing Gender in Academia: Personal Reflections on Equal Opportunity Schemes’, Journal of Management Studies, 57(8), pp. 1718–1724.

      –> https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/joms.12516

  • L’introduction de l’#IA s’accélère : le #Monde au virage négocié par la #HighTech.
    https://tinyurl.com/2p6sdxtd
    #Google lance le dernier modèle d’IA, un « #chatbot » mis à jour pour l’utilité.
    dimanche 14 mai 2023, par Nacer-Eddine Boukhari dit N.E. Tatem
    L’année 2023 est celle de l’IA (Intelligence Artificielle), ce qui fait réagir même les philosophes, les législateurs et les décideurs. Mais ce sont bien les grandes figures de la technologie qui donnent le rythme à un changement d’une tendance déjà bien ancrée en l’humanité, avec plus de 6 milliards d’Internautes. Les problèmes importants de sécurité sont pris en compte dans les investissements qui visent l’invention d’un moyen utile et agréable dans la facilité du travail en étant génératif de tâches.

  • François Houste : "« Devant l’écran qui passait e…" - Framapiaf
    https://framapiaf.org/@fhouste@piaille.fr/110633256554344941

    « Devant l’écran qui passait en boucle la vidéo de l’explosion nucléaire qui avait dévasté le sud du pays, le président maugréait : "Saloperie de jeux vidéo !" »

    Nils Wilcke : "Macron désigne deux responsabl…" - Framapiaf
    https://framapiaf.org/@paul_denton@mastodon.social/110633202114644773

    Macron désigne deux responsables à la participation de jeunes aux violences qui suivent la mort de Nahel : les réseaux sociaux et... les jeux vidéos qui les ont « intoxiqués (sic) », selon lui. Lunaire... #Politique #Macron #Nahel #violencespolicieres #Gouvernement #Emeutes

  • Next-gen content farms are using AI-generated text to spin up junk websites | MIT Technology Review
    https://www.technologyreview.com/2023/06/26/1075504/junk-websites-filled-with-ai-generated-text-are-pulling-in-money-from-programmatic-ads/?truid=a497ecb44646822921c70e7e051f7f1a

    Pour bien comprendre le phénomène (l’arnaque !) et le rôle des ^mateformes (ici Google), un seul bon livre : Le grand Krack de l’attention de Tim Hwang
    https://cfeditions.com/krach

    The news: AI chatbots are filling junk websites with AI-generated text that attracts paying advertisers. More than 140 major brands are paying for ads that end up on unreliable AI-written sites, likely without their knowledge, according to a new report.

    Making money from junk: Most companies that advertise online automatically bid on spots to run those ads through a practice called “programmatic advertising.” As a result, big brands end up paying for ad placements on sites that they may have never heard of before, with little to no human oversight. To take advantage, content farms have sprung up where low-paid humans use AI to churn out low-quality content to attract maximum ad revenue.

    Why it matters: Ninety percent of the ads from major brands found on these AI-generated news sites were served by Google, in violation of the company’s own policies. The practice threatens to hasten the arrival of a glitchy, spammy internet that is overrun by AI-generated content, as well as wasting massive amounts of ad money.

    #Economie_attention #Tim_Hwang #Google

  • 🗓️ J-7 pour la conférence « Être trouvé sur le web en 2023 : site internet et référencement » par Mickaël Vigreux, coach présence en ligne de Réussir en .fr au Salon Go Entrepreneurs de Lyon. Rendez-vous le 22 juin de 16h20 à 16h50 Stage 8 !

    👉 Toutes les informations sur https://event.go-entrepreneurs.com/lyon2023/session/7d288af0-73e2-ed11-8e89-000d3a4a8203/etre-trouve-sur-le-web-en-2023-site-internet-et-referencemen

    👉 Nos autres interventions sur le stand Les Foliweb ce jour là https://event.go-entrepreneurs.com/lyon2023/partner/e3619db0-fcd9-ed11-8e89-000d3a4a8203

    #Lyon #GoEntrepreneurs #Entrepreneurs #TransfoNum #SEO

  • #Gorafi La cocaïne non-utilisée du Festival de Cannes sera reversée à des associations

    C’est un geste anti-gaspi qui a de quoi redonner le sourire. C’est sous l’impulsion de Thierry Frémeaux (directeur du Festival de Cannes) et de plusieurs personnalités du cinéma, qu’il a été décidé que toute la cocaïne non-utilisée pendant l’évènement sera reversée à des associations dès la semaine prochaine. Une belle preuve de générosité qu’il faut saluer dans ces temps difficiles.


    Capucine Devers a été choisie pour gérer l’opération. Selon elle, même si le stock est limité, c’est une belle occasion à saisir : « Le stock de cocaïne est estimé à environ 900 kilos. Soit deux ou trois soirs au festival – ou seulement 6 heures s’il y a Pio Marmaï et Benoît Magimel dans la même pièce. Mais pour des gens qui n’ont pas l’habitude, il peut tenir longtemps, et cela leur donnera du baume au cœur… Mais attention à la tachycardie ! (rires) »

    Les bénéficiaires
    Concernant les bénéficiaires de l’opération, ils ne sont pas choisis au hasard. La direction a privilégié des associations locales d’aides au SDF, ou une association luttant contre la solitude des personnes âgées. Raoul, SDF de 64 ans, a été choisi pour tester le produit en avant-première. Il raconte ses impressions : « J’ai mélangé coke, alcool et médicaments, et je suis resté debout 72 heures à faire les cent pas et à parler tout seul. Je me suis battu deux fois et j’ai fait 24 heures de garde à vue. Je regrette rien et si c’était à refaire, j’en reprendrais encore plus ! D’ailleurs il vous en reste ? »

    Contrôlée par nos soins, la poudre est une 0.8 (pure à 80%) ce qui est un score très correct pour un produit importé et souvent trop coupé. Un beau cadeau donc, qui change des traditionnels paquets de pâtes et autres jambons sous vide, et qui apportera un peu de joie aux nécessiteux.

    #drogues #cocaïne #mafia #Cannes #showbizz #santé #addiction #société #trafic #criminalité #cocaine #opioides #france #culture

    Source : https://www.legorafi.fr/2023/06/13/la-cocaine-non-utilisee-du-festival-de-cannes-sera-reversee-a-des-associati

    • #figaro Rouen : le record mondial de la plus longue chenille humaine a été battu

      En marge de l’Armada, à Rouen, plus de 3900 personnes ont dansé sur l’air d’« accroche tes mains à ma taille, c’est la chenille qui redémarre », rapporte BFM Normandie. Certifié par un huissier de justice, le nombre de participants permet de battre le record breton. En juin 2022, une chenille composée de 1336 personnes avait égayé Saint-Brieuc.

      L’évènement, organisé par des journalistes de 76Actu et France Bleu Normandie, était préparé depuis un an. Il a lieu à 18h sur l’esplanade Sant-Gervais, lieu où se tiennent les concerts de l’Armada.


      Un plan bien ficelé avait été monté, auquel ont notamment participé le maire de la ville, Nicolas Mayer-Rossignol, ainsi que Vincent Piguet, qui a fondé la Chenille school academy. « Ça chenille très très bien », a-t-il affirmé à nos confrères de BFM Normandie.

      #bêtise #Rouen #France #EnMarche
      h-actu/rouen-le-record-mondial-de-la-plus-longue-chenille-humaine-a-ete-battu-20230613

      Rouen chenille humaine

  • C’est la fin du téléphone Alain McKenna - Le Devoir

    Photo : Apple Si un message est laissé dans la boîte vocale, l’iPhone proposera de transposer à l’écrit ce que l’appelant aura enregistré, et le transmettra à l’utilisateur pour qu’il puisse lire le tout à tête reposée. Plus besoin de porter l’oreille au combiné pour prendre des messages. En fait, même plus besoin de répondre aux appels : laissez un message vocal après le bip, nous le lirons plus tard…

    Le téléphone est mort. Vive… vive quoi, au juste ? Il a souvent été dit et écrit que le téléphone intelligent avait fini par enterrer l’agenda numérique, l’appareil photo, le réveille-matin… et voilà qu’il menace l’existence même du téléphone.


    C’est fou ce qui peut se passer en un mois dans le monde des technologies. Entre les mois de mai et de juin, Apple et Google, qui forment le monopole de la téléphonie mobile mondiale avec l’iPhone et le système Android, ont présenté les nouveautés qu’ils comptent ajouter à leurs appareils mobiles au cours de la prochaine année.

    Pour les gens qui aiment passer des heures au téléphone, les nouvelles ne sont pas bonnes. Pour les gens qui attendent impatiemment un appel après avoir laissé un message dans la boîte vocale d’un proche, ça s’annonce mal. Pour les professionnels du télémarketing aussi. Au moins, ceux-là, personne ne regrettera de ne plus leur parler…

    Lisez à haute voix
    Apple vient de passer quelques jours à présenter aux programmeurs et aux créateurs d’applications en tout genre les nouveautés à venir pour ses nombreux produits informatiques. L’iPhone a eu droit à sa juste part de nouveautés. La plupart ciblent les trois principales fonctions de communication de l’appareil.

    « Le téléphone, la messagerie et les appels vidéo de FaceTime reçoivent dans cette mise à jour une tonne de nouvelles fonctions que nos utilisateurs vont adorer », a assuré sur scène le grand manitou des logiciels pour Apple, Craig Federighi. « Nous espérons rendre l’iPhone plus personnalisé et plus intuitif que jamais. »

    Une des façons de personnaliser son expérience mobile sera d’ajouter à sa propre fiche de contact une grande photo de soi-même (ou n’importe quelle autre image, en fait) et d’y écrire son nom en choisissant parmi une sélection de polices de caractères et de couleurs qui visent à rendre unique la façon dont on apparaîtra à l’écran des gens qu’on appelle.

    La personne à l’autre bout du fil (ou du sans-fil ?) verra tout ça au moment de décrocher. Elle pourra répondre, à l’oral ou par messagerie texte, ou transférer l’appel à la boîte vocale.

    C’est là où ça devient intéressant : si un message est laissé dans la boîte vocale, l’iPhone proposera de transposer à l’écrit ce que l’appelant aura enregistré, et le transmettra à l’utilisateur pour qu’il puisse lire le tout à tête reposée. Plus besoin de porter l’oreille au combiné pour prendre des messages. En fait, même plus besoin de répondre aux appels : laissez un message vocal après le bip, nous le lirons plus tard…

    Votre appel est important pour nous
    Apple n’invente rien avec cette nouvelle fonction. Google propose sensiblement la même chose depuis plusieurs mois sur certains appareils Android, y compris la plus récente version de sa gamme de téléphones Pixel. Dans les deux cas, la fonction se limite toutefois à l’anglais. Pour en profiter, il faut régler la langue de son téléphone en anglais, bien sûr, mais il faut aussi que les messages déposés dans la boîte vocale soient en anglais. On nous assure, tant chez Apple que chez Google, que la transcription des messages vocaux et même des appels en direct sera offerte dans d’autres langues — y compris le français — le plus tôt possible.

    Cela dit, Google pousse un peu plus loin la prise en charge automatisée des appels pour rendre l’expérience moins pénible. Peut-être est-ce là la raison pour laquelle tant de gens ont hâte de confier à des outils automatisés la gestion des conversations vocales en direct : parce que ce n’est pas aussi plaisant qu’on veut nous le laisser croire.

    Du côté de Google, on semble avoir compris que certains appels sont plus désagréables que d’autres. Par exemple, quand on nous met en attente. Votre appel est important pour nous, nous assure-t-on trop souvent avant de rejouer une énième fois la même chanson particulièrement médiocre, mais libre de droits. Imaginez si en plus c’était un ver d’oreille…

    L’Assistant Google se propose donc de garder la ligne pour nous. Quand quelqu’un à l’autre bout décroche à son tour, le téléphone émet une alerte sonore ou vibrante. On peut revenir à l’appel sans avoir perdu plusieurs minutes d’une vie autrement mieux occupée ailleurs que dans la salle d’attente virtuelle d’une multinationale pas si pressée que ça de nous parler de vive voix.

    L’Assistant Google peut aussi répondre à notre place. Pratique quand on ne reconnaît pas le numéro (ou, bientôt, la grande image personnalisée plein écran avec nom en couleur…). On peut donc confier à l’Assistant la tâche de décrocher, et de demander qui appelle. On peut ensuite décider de répondre en personne ou de passer son tour.

    Comment raccrocher son téléphone  
    Si vous êtes sur Android, vous pourrez vous aussi personnaliser encore un peu plus votre fond d’écran plus tard cette année. Si votre téléphone est assez récent, vous pourrez le déposer sur un socle de chargement et laisser son affichage allumé pour le voir se transformer en un cadre photo dynamique, en un agenda numérique, en un réveille-matin, en un terminal pour des appels vidéo, et quoi encore… La même chose sera possible sur iPhone cet automne.

    Il deviendra tout à coup pas mal plus agréable de laisser son téléphone sur son bureau ou sur sa table de chevet que de le porter à son oreille… Car même si on parle encore aujourd’hui de « téléphone » intelligent, il semble que la fonction téléphonique de ces ordinateurs de poche soit de moins en moins importante.

    #téléphone #mobile #smartphone #iPhone #messagerie #surveillance #espionnage #assistant #écoute #fadettes automatiques #google #Apple #tech #technologies

    Source : https://www.ledevoir.com/societe/consommation/792625/completement-debranche-c-est-la-fin-du-telephone

  • Meta’s former CTO has a new $50 million project : ocean-based carbon removal | MIT Technology Review
    https://www.technologyreview.com/2023/06/06/1074124/metas-former-cto-has-a-new-50-million-project-ocean-based-carbon-removal/?truid=a497ecb44646822921c70e7e051f7f1a

    Un ancien CTO de Facebook se lance dans le géoengineering... pensez-vous que quelque chose puisse mal tourner ?

    On appréciera la phrase : “The way you get started is by doing,” he says. “And by moving, in particular, the science forward and making sure that the people who can answer these fundamental questions have the resources and time to answer them thoroughly.” Le moto traditionnel de la Silicon Valley : on fait et on réfléchit après, en payant des chercheurs pour justifier ce qu’on a fait. Quand c’est problématique, on cache sous le tapis le travail de recherche comme l’a montré la lanceuse d’alerte Frances Hauben.

    Et celle-ci également d’un des "scientifique" qui poussent de tels projets : “It’s a huge operation, of course, similar to fossil fuels or coal mining,” he says. “So these are all side effects we have to take into account.”...exactement ce que fait Meta, isn’t it ?

    A nonprofit formed by Mike Schroepfer, Meta’s former chief technology officer, has spun out a new organization dedicated to accelerating research into ocean alkalinity enhancement—one potential means of using the seas to suck up and store away even more carbon dioxide.

    Additional Ventures, cofounded by Schroepfer, and a group of other foundations have committed $50 million over five years to the nonprofit research program, dubbed the Carbon to Sea Initiative. The goals of the effort include evaluating potential approaches; eventually conducting small-scale field trials in the ocean; advancing policies that could streamline permitting for those experiments and provide more public funding for research; and developing the technology necessary to carry out and assess these interventions if they prove to work well and safely.

    The seas already act as a powerful buffer against the worst dangers of climate change, drawing down about a quarter of human-driven carbon dioxide emissions and absorbing the vast majority of global warming. Carbon dioxide dissolves naturally into seawater where the air and ocean meet.

    But scientists and startups are exploring whether these global commons can do even more to ease climate change, as a growing body of research finds that nations now need to both slash emissions and pull vast amounts of additional greenhouse gas out of the atmosphere to keep warming in check.

    Ocean alkalinity enhancement (OAE) refers to various ways of adding alkaline substances, like olivine, basalt, or lime, into seawater. These basic materials bind with dissolved inorganic carbon dioxide in the water to form bicarbonates and carbonates, ions that can persist for tens of thousands of years in the ocean. As those CO2-depleted waters reach the surface, they can pull down additional carbon dioxide from the air to return to a state of equilibrium.

    The ground-up materials could be added directly to ocean waters from vessels, placed along the coastline, or used in onshore devices that help trigger reactions with seawater.

    Carbon to Sea is effectively an expansion of the Ocean Alkalinity Enhancement R&D Program, which Additional Ventures launched in late 2021 with the Astera Institute, the Grantham Environmental Trust, and others. Ocean Visions, a nonprofit research group working to advance ocean-based climate solutions, is also a partner, though not a funder. Early last year, the organizations began accepting applications for research grants for “at least $10 million” that could be put to use over the next five years. The program has committed $23 million to the research field so far.

    Schroepfer, who will serve as a board chair of Carbon to Sea, said that he decided to support the field of ocean alkalinity enhancement because he consistently heard that it was a promising approach to carbon removal that needed to be closely studied, but “nobody was stepping up to do the actual funding of the work.”

    “The way you get started is by doing,” he says. “And by moving, in particular, the science forward and making sure that the people who can answer these fundamental questions have the resources and time to answer them thoroughly.”

    Antonius Gagern, previously the program director for ocean carbon dioxide removal at Additional Ventures, is leading the new organization.

    “In looking at the different ways that the ocean is already using natural carbon pumps to sequester CO2 permanently, ocean alkalinity enhancement has emerged as, for us, the most promising one for a number of reasons,” Gagern says.

    It’s “extremely scalable,” it’s “very permanent,” and it “doesn’t mess with” biological systems in the ways that other ocean-based approaches may, he adds.
    ’A substantial climatic impact’

    Other observers also consider ocean alkalinity enhancement a promising approach, in part because it’s one of the major ways the planet already pulls down carbon dioxide over very long time scales: rainwater dissolves basic rocks, producing calcium and other alkaline compounds that eventually flow into the oceans through rivers and streams.

    These processes naturally sequester hundreds of millions of tons of carbon dioxide per year, by some estimates. And the planet has more than enough of the reactive materials required to bond with all the carbon dioxide humans have emitted throughout history.

    There are potentially some additional benefits as well. Alkaline substances could reduce ocean acidification locally and might provide beneficial nutrients to certain marine organisms.

    Andreas Oschlies, a climate modeler at the Helmholtz Centre for Ocean Research in Kiel, Germany, agrees that it’s one of the few carbon removal approaches that could “really deliver at scale and have a substantial climatic impact.”

    “The minerals are not limiting and the reservoir, the ocean, is not limiting,” he says.

    (Oschlies hasn’t received research grants from the Additional Ventures consortium but is a senior advisor to a project that has.)

    He’s quick to stress, however, that there are significant challenges in scaling it up, and that far more research is needed to understand the most effective approaches and secondary impacts of such interventions.

    Notably, some approaches would require mining, grinding, and moving around massive amounts of alkaline materials, all of which entails a lot of energy and environmental impacts.

    “It’s a huge operation, of course, similar to fossil fuels or coal mining,” he says. “So these are all side effects we have to take into account.”

    (Not all these concerns would necessarily be raised by other methods, however, like using electrochemistry to remove acid from seawater or processing existing waste from mines.)

    There are additional challenges and uncertainties as well.

    Several recent lab experiments found that these approaches didn’t work as well or easily as expected. Indeed, in some instances the addition of such substances reduced alkalinity as well as the uptake of carbon dioxide. This raises the possibility that these methods may only work in limited areas or circumstances, or could be more costly or complex to implement than hoped.

    Some of the minerals contain trace heavy metals, which can collect in marine ecosystems. They could also alter the light conditions and biogeochemistry of the waters in ways that might harm or help various organisms.

    Finally, the fact that carbon removal happens as a second step in the process makes it challenging to accurately monitor and measure how much CO2 the process really removes, particularly with approaches that occur in the turbulent, variable open oceans. That, in turn, could make it difficult to incentivize and monetize such efforts through carbon markets.

    CarbonPlan, a San Francisco nonprofit that evaluates the scientific integrity of carbon removal projects and techniques, ranks ocean alkalinity enhancement on the low end of its “verification confidence levels,” which evaluate the degree to which long-term carbon removal and storage “can be accurately quantified” with existing tools and approaches.

    “There is a lot of natural variability associated with these processes, which means it can be hard to discern a signal from the noise,” Freya Chay, program lead for carbon removal at CarbonPlan, said in an email.

    “We’re still in exploration mode when it comes to OAE—there is a lot to learn about how to measure, monitor, and effectively deploy these technologies,” she added.
    ‘Getting the science right’

    These challenges are precisely why it’s crucial to fund a coordinated research program into ocean alkalinity research, Gagern says. One of Carbon to Sea’s top priorities will include “getting the science right,” he says, by supporting studies designed to assess what approaches work most effectively and safely, and under what conditions.

    He says that improving systems for monitoring, reporting, and verifying the carbon actually removed through these processes will also be a “major, major focus,” with efforts to develop, test, and refine sensors and models. Finally, Carbon to Sea will also prioritize “community building” in the nascent field, striving to draw in more researchers across disciplines and encourage collaborations through conferences, workshops, and fellowships.

    One of Carbon to Sea’s initial grantees is the Ocean Alk-Align consortium, an international group of researchers studying the potential and environmental safety of ocean alkalinity enhancement.

    “The award from Carbon to Sea enables us to rigorously investigate the promise of OAE for meaningful climate change mitigation and provides us with significant resources to tackle important questions through independent scientific study,” said Katja Fennel, who leads the consortium and is chair of the department of oceanography at Dalhousie University, in a prepared statement.

    The program’s additional funding will likely go to a mix of research groups and startups.

    #Meta #Goeengineering #Hubris