• Premio diritti umani ai solidali delle montagne alpine

    Il ministero della Giustizia francese da un lato criminalizza chi solidarizza con i migranti sulle Alpi e dall’altro premia le stesse persone come difensori dei diritti umani.

    Paradossi e cortocircuiti logici di questa epoca di migrazioni, di accoglienza, vera, da parte di privati e associazioni umanitarie, e di repressione, vera anche questa, da parte di forze dell’ordine che pattugliano i confini degli Stati europei pronti a respingere persone in fuga da guerre e carestie.

    Mentre la giustizia francese manda a processo donne e uomini, accusati di crimini di umanità, per aver prestato soccorso nella neve alpina a migliaia di donne, uomini, bambini che in questi anni tentano la sorte del viaggio attraverso valichi alpini, il ministero della Giustizia transalpina ha premiato ieri 10 dicembre in occasione della giornata internazionale per i diritti dell’uomo l’associazione #Tous_Migrants, creata a Briançon sulle Alpi francesi nel 2015 proprio nel tentativo di aiutare i flussi di persone improvvisamente emersi in questi anni. Il premio è stato assegnato dalla Commissione nazionale consultiva dei diritti dell’uomo che fa capo proprio al ministero della Giustizia.

    Benoit Ducos, uno degli uomini a processo per aver soccorso persone al confine, ne sottolinea la schizofrenica assurdità di tutto ciò: «E’ surreale, perché i valori che difendiamo sono condannati dalle decisioni giudiziarie di questo governo, che con l’altro braccio premia il nostro impegno sul campo. Incredibile. Il riconoscimento va a tutti coloro che con coraggio offrono aiuto, cibo, soccorso, in maniera anonima, senza protagonismi. Un premio che ci spinge a continuare a gridare le nostre convinzioni».

    Senza alcuna etichetta politica o religiosa, Tous Migrants è un movimento pacifista di sensibilizzazione e azione dei cittadini nato in reazione alla tragedia umanitaria dei migranti in Europa. Con il sostegno di più di 700 cittadini per la causa che difende, oltre 9800 amici Facebook e 2700 destinatari della sua Newsletter, Tous migrants svolge azioni complementari nella’area del Briançonnais: monitoraggio e condivisione delle informazioni tramite una newsletter periodica, un sito Web e una pagina Facebook, conferenze, dibattiti sul cinema, seminari di scrittura, eventi di supporto artistico o culturale, campagne di sensibilizzazione, azioni legali ...

    L’intervento dei volontari dell’associazione al momento della consegna del premio ha ricodato come «Quattro anni fa eravamo solo persone comuni di montagna, a pochi chilometri dall’Italia, che guardavano in faccia e in modo pragmatico la realtà migratoria, esercitando il dovere di assistere le persone in pericolo e aprendo le nostre porte alla gente proveniente da altrove. Incondizionatamente e spontaneamente.

    Ma in questo approccio fraterno, ci siamo trovati gradualmente e violentemente di fronte all’impensabile:

    • Cacce all’uomo di colore, alcune delle quali sono seguite da morte, disabilità

    • L’abbandono di persone indebolite ed esauste in ambienti ostili

    • abuso psicologico e fisico, ripetute umiliazioni

    • Atti e istigazione al razzismo

    • Bullismo, repressione e condanne giudiziarie per atti di assistenza alle persone in pericolo

    Di conseguenza, il dovere della fraternità è stato criminalizzato.

    Di fronte a questo, nelle nostre montagne, centinaia di persone sono indignate. Dobbiamo chiudere gli occhi e le porte? Abbiamo deciso di continuare a fare rete. Abbiamo deciso di denunciare tutte queste violazioni ai diritti fondamentali. Oggi siamo qui, siamo diventati sentinelle per i diritti umani in Francia ...

    Ringraziamo il coraggio e la lungimiranza del Comitato di assegnarci questa menzione speciale del Premio sui diritti umani della Repubblica francese.

    Questo premio è per tutti i coraggiosi. Tutti noi nelle Hautes-Alpes, e ovunque, in Francia, ai confini, tutti noi che ci alziamo la mattina per portare aiuto e soccorso ai rifugiati; tutti noi che vigiliamo di notte per evitare nuove tragedie. Tutti noi che rispettiamo la libertà, l’uguaglianza e difendiamo questa bellissima fratellanza. È per tutte le vittime delle rotte migratorie che fuggono per proteggere i loro diritti.

    Tuttavia, ricevere questo premio ci rattrista e ci fa arrabbiare perché arriva dopo la morte dei diritti umani nel nostro territorio. Siamo in Francia! Come è possibile che spetti a noi difendere quei diritti che sono la sostanza stessa del nostro paese e che dovrebbero guidare tutte le scelte dei nostri leader e le decisioni della nostra giustizia?

    Ora stiamo tornando sulle nostre montagne perché il tempo sta per scadere, la neve è lì, le vite sono in pericolo, i diritti sono infranti. Per quanto ancora?».

    https://riforma.it/it/articolo/2019/12/11/premio-diritti-umani-ai-solidali-delle-montagne-alpine
    #solidarité #asile #migrations #réfugiés #prix #Alpes #frontière_sud-alpine #frontières #solidarité #droits_humains #ministère_de_la_justice #France #absurdité

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    Extrait:

    «Quattro anni fa eravamo solo persone comuni di montagna, a pochi chilometri dall’Italia, che guardavano in faccia e in modo pragmatico la realtà migratoria, esercitando il dovere di assistere le persone in pericolo e aprendo le nostre porte alla gente proveniente da altrove. Incondizionatamente e spontaneamente. (...) Oggi siamo qui, siamo diventati sentinelle per i diritti umani in Francia ...»

    –-> De l’#humanisme - #humanitarisme (et la #charité) à l’engagement politique...
    #politisation

  • Notre-Dame de Paris : après l’incendie, un scandale sanitaire
    https://www.mediapart.fr/journal/france/040719/notre-dame-de-paris-apres-l-incendie-un-scandale-sanitaire

    Des taux de concentration au plomb 400 à 700 fois supérieurs au seuil autorisé ont été relevés sur les sols à l’intérieur et aux alentours de la cathédrale Notre-Dame, selon des documents confidentiels consultés par Mediapart. Ni l’agence régionale de santé ni la préfecture de police de Paris n’ont communiqué ces résultats aux riverains, minimisant les dangers encourus.

    #France #Notre-Dame_de_Paris,_plomb

    • Des taux de #plomb 400 à 700 fois supérieurs au seuil autorisé ont été relevés à l’intérieur et aux alentours de Notre-Dame, par plusieurs laboratoires dont celui de la préfecture de police de Paris, après l’incendie qui a ravagé la cathédrale.

      « Ce sont des taux qu’on ne voit jamais, précise Annie Thébaud-Mony, chercheuse à l’Inserm et spécialiste de la santé publique. Sur des chantiers pollués comme une usine de recyclage de batteries, par exemple, les taux sont douze fois supérieurs. Là, avec des taux 400 fois supérieurs, les conséquences pour la santé peuvent être dramatiques. Il faut absolument qu’il y ait un suivi médical, y compris pour les pompiers qui sont intervenus. Ce suivi est d’autant plus important que les effets sur la santé peuvent être différés dans le temps. »

      Les autorités concernées, le ministère de la culture, l’agence régionale de santé (ARS), la préfecture de police, passent cette pollution sous silence et, ce faisant, n’appliquent pas les mesures prévues par la loi pour protéger les salariés et les riverains.

      L’incendie de Notre-Dame de Paris, le 15 avril 2019, qualifié de « terrible drame » par le président Emmanuel Macron, avait provoqué un immense élan de générosité, avec plus de 400 millions d’euros récoltés en quelques jours pour la reconstruction de l’édifice.

      L’Élysée désigne alors son « représentant spécial », le général Jean-Louis Georgelin, pour veiller à l’avancement des travaux. Ils iront vite, assure le président de la République, « sans jamais transiger sur la qualité des matériaux et la qualité des procédés ». En revanche, ils se font au détriment de la santé des intervenants et des populations alentour.

      En effet, avec l’incendie, près de 400 tonnes de plomb, substance classée cancérigène, mutagène et reprotoxique (CMR), contenues dans la toiture et la flèche de la cathédrale, sont parties en fumée, polluant l’édifice et ses environs. Comme le signale l’Institut national de recherche et de sécurité (INRS), « une exposition régulière au plomb peut entraîner des conséquences graves pour la santé ». Le saturnisme, l’intoxication au plomb par inhalation ou ingestion, peut, selon la gravité, entraîner des troubles digestifs, des lésions du système nerveux ou encore des problèmes de stérilité.

      Les autorités connaissent très bien ces risques. Mais il faudra attendre deux semaines après l’incendie, soit le 27 avril, pour que la préfecture de police de Paris et l’ARS diffusent, en toute discrétion, un communiqué invitant les riverains à nettoyer leurs locaux à l’« aide de lingettes humides » et à consulter leur médecin si nécessaire.

      À l’intérieur de la cathédrale, selon des documents datés du 3 mai que Mediapart a pu consulter, les prélèvements sont de 10 à 740 fois supérieurs aux seuils autorisés. À l’extérieur, la situation n’est guère plus brillante. Sur le parvis, les taux de concentration en plomb prélevés sur le sol sont 500 fois au-dessus du seuil réglementaire. À l’extérieur de la zone du chantier, sur certains ponts, dans des squares ou certaines rues, ces taux sont de 2 à 800 fois supérieurs au seuil.

      Selon des inspecteurs contactés par Mediapart, « ce sont des taux tout à fait exceptionnels. Généralement, sur des chantiers dits pollués, les taux peuvent être de 20 à 100 fois supérieurs au seuil. Mais rarement au-delà. Et déjà, à ce stade, des protections très strictes doivent être prises pour protéger les ouvriers. Un suivi médical peut également être exigé ».

      Le secret est bien gardé, comme le montre une réunion du 6 mai dont le contenu a été rapporté par plusieurs sources à Mediapart.

      Ce jour-là, dans les bureaux de l’agence régionale de santé, se retrouvent autour de la table des responsables du laboratoire central de la préfecture de police, de la mairie de Paris, du centre antipoison, de la caisse régionale d’assurance maladie et de la direction du travail. La question rapidement débattue est : faut-il ou pas communiquer les résultats des prélèvements ?


      Carte des pollutions au plomb autour de Notre-Dame, résultats des prélèvements du laboratoire central de la préfecture de police de Paris, 6 mai 2019.

      La préfecture fait part de son embarras, certains de ses locaux étant touchés par cette pollution au plomb. Avec des taux deux fois supérieurs au seuil de vigilance, la biberonnerie et la salle « mille-pattes » de la crèche de la préfecture doivent être fermées pour une décontamination en urgence. Ce qui sera fait dans les jours qui suivent.

      Mais dans certains appartements de fonction, les taux peuvent aussi être jusqu’à cinq fois supérieurs au seuil de vigilance. Mediapart ne sait pas si des travaux y ont été depuis lors réalisés. De nouveaux prélèvements ont été faits par la préfecture pour vérifier l’état de ses locaux après décontamination. Ils n’ont pas, à ce jour, été communiqués aux agents.

      Toujours est-il qu’afin de ne pas alarmer ses propres agents, la préfecture explique lors de la réunion qu’elle ne souhaite pas publier les résultats de ces prélèvements. Réserve partagée par l’ARS qui affirme, quant à elle, ne pas vouloir répondre aux sollicitations des associations de riverains ou de défense de l’environnement. Elles n’auront qu’à se tourner vers la commission d’accès aux documents administratifs (Cada), expliquent posément les représentants de l’ARS, qui semblent avoir oublié leur mission première, celle de prévenir les risques sanitaires.

      Selon une personne présente à cette réunion, « l’ARS joue la montre. En ne communiquant pas sur les résultats, elle oblige les associations à s’adresser à la Cada et donc à s’engager dans un long parcours. Mais une fois qu’elles auront obtenu ces prélèvements, l’ARS pourra dire que ces résultats sont anciens et qu’ils ont depuis baissé. C’est d’un cynisme à toute épreuve ».

      Conclusion de cette réunion : le 9 mai, la préfecture et l’ARS signent un communiqué très laconique, qui minimise les risques, alors même que certains prélèvements sur les sols sont de 20 à 400 fois supérieurs au seuil réglementaire sur des sites très fréquentés, comme le pont et la fontaine Saint-Michel, lieux non fermés au public, ou certains squares, temporairement interdits mais rouverts depuis.

      En taisant les dangers de la sorte, les autorités veulent éviter un effet de panique et s’épargner une polémique.

      Contactée par Mediapart, la préfecture de police déclare « que le laboratoire central a fait des prélèvements en urgence qui ont été transmis en toute transparence à l’ARS, afin qu’elle prenne les dispositions nécessaires ».

      De son côté, jointe par Mediapart, l’ARS n’a pas contesté, dans un premier temps, les propos tenus lors de la réunion du 3 mai. Elle a expliqué « ne pas percevoir le problème qu’ils soulèvent ». Mais avant la publication de cet article, l’ARS nous a rappelés et expliqué qu’en fait, elle ne souhaitait ni infirmer ni confirmer les propos tenus lors de la réunion.

      L’agence explique avoir pris les précautions d’usage et avoir fait, à la demande de particuliers, des prélèvements qui ont, à ce jour, permis de découvrir un cas de saturnisme, sans que cela ne soit alarmant, selon l’agence.

      Selon nos informations, les derniers prélèvements effectués le 13 juin sur le chantier ont cependant donné des résultats d’un même ordre de grandeur que les précédents tests.

      Mais les associations, dont celle des familles victimes de saturnisme, ignorent tout de ces résultats. Leur demande auprès de l’ARS étant restée lettre morte, elles s’apprêtent, comme l’avaient imaginé les autorités, à saisir la Cada…

      L’une des riveraines, mobilisée sur cette question, explique « avoir plusieurs fois demandé des précisions. Mais l’ARS ou la préfecture entretiennent un flou qui n’est pas rassurant pour les familles. S’il n’y a pas de danger, comme ils l’affirment, il suffit de transmettre l’ensemble des prélèvements. Or, nous les attendons encore ».

      Sur le chantier, la direction régionale des affaires culturelles (Drac), maître d’ouvrage, opte elle aussi pour la politique de l’autruche. Et surtout, ne décrète aucune mesure pérenne pour protéger les salariés.

      Les contrôles de sécurité effectués sur le chantier ont révélé que des ouvriers sur place n’avaient reçu aucune formation à cet effet. Alors qu’ils manipulent des gravats contaminés, certains agissent sans masque ni gants.

      Les constats de l’inspection du travail ne s’arrêtent pas là. À plusieurs reprises, elle a relevé le non-respect des procédures réglementaires mais aussi de graves dysfonctionnements des sas de décontamination, dispositifs indispensables pour protéger les salariés du risque d’intoxication et éviter toute propagation de poussières à l’extérieur. Certaines douches de décontamination ne fonctionnent pas. Pire : certains sas de décontamination ont été installés au milieu d’une zone contaminée.

      Au bout du compte, les salariés peuvent aller et venir dans la cathédrale sans passer par ces sas. À l’extérieur, sur le parvis pollué, où les taux de plomb peuvent être 500 fois supérieurs au seuil autorisé, certains ouvriers travaillent sans aucune protection.

      Contacté par Mediapart, Bruno Courtois, expert en prévention du risque chimique et chargé du dossier « plomb » à l’Institut national de recherche et de sécurité (INRS), explique que « ces taux sont particulièrement élevés et s’agissant de poussières de plomb consécutives à un incendie, on peut supposer qu’il s’agit de particules très fines qui passent donc facilement dans le sang. Les mesures de prévention et de protection doivent donc être renforcées pour confiner le plomb. Les sas de décontamination permettent dans ces cas primordiaux d’éviter que les ouvriers ne rentrent chez eux avec les poussières de plomb ». Pourtant, rien de tel n’a été mis en œuvre sur le site de la cathédrale.

      Selon des sources proches du chantier, le ministère de la culture n’est pas mécontent que des ouvriers se promènent sans protection à l’extérieur de la cathédrale, n’éveillant ainsi aucune crainte parmi « les touristes ou les riverains ».

      En fait, la mairie de Paris avait proposé de décontaminer le parvis de la cathédrale – un chantier de deux semaines estimé à 450 000 euros. Pour cette phase spécifique de décontamination, les ouvriers devaient porter des scaphandres. Sous le couvert de l’anonymat, un proche du dossier confirme : « Des hommes en scaphandre sur le parvis de la cathédrale auraient effrayé les passants. L’existence d’un danger aurait été évidente. »

      Le ministère de la culture a donc préféré reprendre la main et a choisi de faire décontaminer la zone en quelques jours seulement, par des salariés peu protégés, et n’ayant pas revêtu les tenues d’usage. Cette précipitation a pour résultat que le parvis est aujourd’hui encore contaminé.

      Sourd aux différentes relances des contrôleurs, le ministère de la culture s’affranchit allègrement des règles du code du travail.

      Dès le 9 mai, l’inspection du travail a pourtant alerté la Drac, chargée des travaux sur le chantier, sur la nécessité de prévoir des mesures de protection contre les risques d’intoxication au plomb pour les salariés. Plus d’un mois plus tard, le 19 juin, le constat des ingénieurs de sécurité de la caisse régionale d’assurance maladie d’Île-de-France (la Cramif), également chargée de contrôler le chantier, demeure accablant : « Les taux de concentration en plomb dans les poussières sont élevés et largement au-dessus du seuil réglementaire. Les salariés sont donc toujours exposés à des risques d’intoxication par le plomb […], les installations dédiées à la décontamination des salariés ne répondent pas aux dispositions du code du travail. »

      Le cabinet du ministre de la culture Franck Riester assure auprès de Mediapart que « des mesures ont été prises », sans pouvoir préciser lesquelles et explique qu’une réunion avec la direction du travail s’est tenue le 27 juin pour que « tout se passe au mieux ». Mais cela n’a rien arrangé. Les procédures de décontamination demeurent très en deçà des exigences réglementaires.

      Le ministère de la culture profite d’une situation qui lui est favorable. Le maître d’ouvrage relevant du droit public, l’inspection du travail ne peut ni le verbaliser ni le mettre en demeure.

      Contactées par Mediapart, ni la Cramif ni la direction de l’inspection du travail n’ont accepté de répondre à nos questions.

      La mairie de Paris affirme avoir fait une série de prélèvements dans les établissements scolaires situés dans les alentours de la cathédrale, dont les résultats, rendus publics, sont conformes aux seuils autorisés. Quant aux mesures de l’espace public, « elles relèvent de la préfecture et de l’ARS. La mairie de Paris plaide pour une transparence mais, précise-t-elle, nous ne pouvons nous substituer à l’État ».

      Les pressions exercées sur le chantier sont fortes. Comme nous l’explique l’un des intervenants, « à chaque fois que les risques d’intoxication au plomb sont abordés, on nous rappelle “l’urgence impérieuse de consolider l’édifice”. C’est comme cela qu’on écarte le danger du plomb ».

      Une des personnes chargées du suivi des prélèvements déplore que « les instances de l’État se comportent comme lors de la catastrophe de Tchernobyl en 1986. C’est aussi absurde que le nuage qui n’a pas traversé les frontières. Le plomb est resté au-dessus de la cathédrale ».

      Un salarié du ministère de la culture regrette que « toute communication sur le chantier [soit] contrôlée. On n’a pas accès à beaucoup d’information et ceux qui s’en occupent, le service des monuments historiques, sont connus pour être des taiseux contrairement aux archéologues qui se font entendre s’il y a un problème. Donc c’est la loi du silence ».

      Une « loi du silence » qui convient parfaitement au gouvernement et aux autorités sanitaires. Pourtant, les langues se délient et certaines entreprises contactées par Mediapart font part de leurs inquiétudes, ne souhaitant pas devenir des « boucs émissaires » en cas de scandale. « On tente déjà de nous faire porter la responsabilité de l’incendie. Il y a une pression énorme qui est mise sur tous les intervenants et le ministère de la culture n’assume même pas ses responsabilités en tant que maître d’ouvrage. Rien n’est fait pour préserver la sécurité et la santé des ouvriers. On nous demande de faire le travail que doit faire normalement le maître d’ouvrage », déplore l’un des chefs d’entreprise.

      Le projet de loi pour Notre-Dame de Paris, en cours d’adoption, prévoit notamment la création d’un établissement public et des dérogations aux règles d’urbanisme et de protection de l’environnement. Sur le chantier, cette perspective inquiète de nombreux intervenants selon lesquels les dangers pour la santé et l’environnement risquent de s’accroître en toute opacité.

    • Ni l’agence régionale de santé ni la préfecture de police de Paris n’ont communiqué ces résultats aux riverains, minimisant les dangers encourus.

      Et c’est pas n’importe quels riverain·es. Celleux là obtiendrons dédommagements et réparation par millions, c’est pas comme si des pauvres étaient exposé à des logements insalubres.

    • La communication est une science toujours inexacte, et parfois mensongère. La majorité actuelle en fait la démonstration quotidienne. Car de la même façon que le président de la République dénonce officiellement les comptes anonymes utilisés sur les réseaux sociaux pour mieux s’en servir dans sa propagande (voir ici notre article), il ne cesse de propager des mensonges tout en prétendant combattre les « fake news ».

      C’est Emmanuel Macron lui-même qui s’est approprié cet anglicisme. Mais qu’on les nomme fake news, informations fallacieuses, « infox », fausses nouvelles, ou juste mensonges, l’intention est la même. Tromper en toute connaissance de cause.

      Il ne s’agit en effet pas ici de faire part de divergences d’analyse, de prétendre que le président ment quand il affirme que la suppression de l’impôt sur la fortune est une bonne chose pour l’économie française. Il est probable que le président croie en ce qu’il dit.

      Il ne s’agit pas non plus de s’attarder sur ses jugements à l’emporte-pièce, du type « Je traverse la rue et je vous trouve du travail ». Il est ici question de mensonges purs et durs. De faits sciemment déformés, omis ou transformés.

      Sibeth Ndiaye, la nouvelle porte-parole du gouvernement, anciennement chargée des relations presse à l’Élysée, doit se mordre les doigts d’avoir un jour dit la vérité à L’Express à propos des bobards de l’exécutif : « J’assume de mentir pour protéger le président. »

      Depuis, elle a nié avoir tenu ces propos. Mais ne dément-elle pas pour « protéger le président » ?

      Comme s’il voulait décrédibiliser par avance les informations à paraître, Emmanuel Macron assurait le 26 juillet 2018 à ses amis, aux prémices de l’affaire Benalla, que « nous avons une presse qui ne cherche plus la vérité ». En réalité, c’est l’Élysée qui cherche à l’en détourner.

      Les fausses vidéos de l’affaire Benalla (Emmanuel Macron)

      Ismaël Emelien, en promotion pour la sortie de son livre écrit avec David Amiel, a eu les plus grandes difficultés à se défendre. Le 19 juillet 2018, au lendemain des révélations du journal Le Monde sur les agissements d’Alexandre Benalla, le conseiller spécial du chef de l’État avait orchestré la riposte en faisant diffuser par un compte anonyme sur les réseaux sociaux des vidéos censées dédouaner Benalla.

      Deux problèmes se posent. Tout d’abord, Ismaël Emelien a utilisé une vidéo issue des caméras de surveillance de la police, ce qui est illégal. Il prétend qu’il ne connaissait pas l’origine de ces vidéos. Qu’il n’a pas pensé à se renseigner.

      Mais l’Élysée a aussi fait circuler, avec la bénédiction de Sibeth Ndiaye qui a conseillé aux journalistes d’aller consulter ces vidéos, le film d’un homme très agité poursuivant un groupe d’hommes vêtus de noir, chaise à la main.

      Le problème, comme l’a raconté Le Monde, est qu’il ne s’agit pas du tout du jeune homme immobilisé par Alexandre Benalla place de la Contrescarpe. La vidéo a été tournée le soir, bien après l’intervention musclée d’Alexandre Benalla. Et selon une enquête publiée jeudi 4 avril par le site la-bas.org, l’homme à la chaise poursuivait en réalité des militants « antifas ».

      Mais Emmanuel Macron lui-même a endossé ce mensonge, alors que la comparaison des deux hommes sur ces vidéos ne tromperait pas un enfant familier du jeu des sept erreurs (chaussures de couleurs différentes, blouson sans fourrure…).

      Quelques jours plus tard, le 26 juillet, à la Maison de l’Amérique latine, outre le fait qu’il se plaint de cette « presse qui ne recherche plus la vérité », Emmanuel Macron lance : « Les images tournent en boucle d’une scène inadmissible et que je condamne. Je ne vois jamais la scène d’avant, la scène d’après. Quel est le contexte, qu’est-ce qui s’est passé ? S’agissait-il d’individus qui buvaient gentiment un café en terrasse ? Que s’est-il passé juste ensuite ? »

      Le chef de l’État fait ensuite clairement référence à cette vidéo tournée postérieurement. « J’ai cru comprendre qu’il y avait des images, poursuit-il. Où sont-elles ? Sont-elles montrées avec la même volonté de rechercher la vérité et d’apporter de manière équilibrée les faits ? Non. » Avant de conclure : « Je vois un pouvoir médiatique qui veut devenir un pouvoir judiciaire. »

      La réalité est tout autre. Des investigations journalistiques ont mis en lumière des faits avérés sur lesquels la justice enquête aujourd’hui.

      La perquisition à Mediapart sur les enregistrements Crase/Benalla (Nicole Belloubet)

      Après que nous avons diffusé les extraits d’une conversation entre Alexandre Benalla et Vincent Crase, Mediapart a reçu, le vendredi 1er février, une demande de réquisition de ces extraits par les juges d’instruction de l’affaire du 1er Mai.

      Nous avons tout de suite fait savoir que nous ne nous opposions pas à cette réquisition judiciaire, de façon que des juges indépendants puissent authentifier les documents publiés et statuer, notamment, sur la violation du contrôle judiciaire.

      Cet accord a été renouvelé le lundi 4 février, à 9 heures.

      Pourtant, ce même lundi 4 février, peu après 11 heures, notre journal a fait l’objet d’une tentative de perquisition après l’ouverture d’une enquête préliminaire par le parquet de Paris des chefs d’« atteinte à l’intimité de la vie privée » et de « détention illicite d’appareils ou de dispositifs techniques de nature à permettre la réalisation d’interception et de télécommunications ou de conversations ».

      Deux procureurs du parquet de Paris se sont présentés à notre journal et nous ont annoncé qu’ils venaient pour procéder à une perquisition, et non réquisitionner les enregistrements publiés.

      Vu que nous avions déjà donné notre accord pour la réquisition judiciaire, la tentative de perquisition n’avait qu’un seul objectif : identifier nos sources, et faire peur à tous ceux susceptibles de nous parler.

      Devant l’Assemblée nationale, et pour justifier cette tentative de perquisition, la ministre de la justice Nicole Belloubet a cependant déclaré le 5 février : « Mediapart a dans un premier temps refusé cette remise, mais comme la presse s’en est fait l’écho, depuis, les bandes sonores ont été remises à la justice, ce qui est une très bonne chose, je crois, pour que toute la vérité soit faite dans cette affaire. »

      En mélangeant sciemment les deux procédures, Nicole Belloubet a menti.

      Geneviève Legay, blessée à Nice par un policier (Emmanuel Macron)

      Lors de rassemblements à Nice, le 23 mars, Geneviève Legay, porte-parole d’Attac, est blessée lors d’un rassemblement de gilets jaunes.

      Le lundi 25 mars, le procureur de la République indique, lors d’une conférence de presse, que Geneviève Legay « n’a pas été touchée par des policiers. Il n’y a aucun contact direct entre un policier et cette dame ».

      Dans un entretien avec Nice Matin, publié le lundi 25 mars, le président de la République déclare à son tour, sans la moindre prudence, que « cette dame n’a pas été en contact avec les forces de l’ordre ». Il ajoute quelques phrases qui ont profondément irrité Geneviève Legay : « Pour avoir la quiétude, il faut avoir un comportement responsable. […] Quand on est fragile, qu’on peut se faire bousculer, on ne se rend pas dans des lieux qui sont définis comme interdits et on ne se met pas dans des situations comme celle-ci. »

      Or dès le 23 mars, comme nous l’avons révélé, un policier expliquait le jour même du rassemblement sur procès-verbal qu’au vu des premiers éléments de l’enquête, la victime, âgée de 73 ans, avait été heurtée par « un homme portant un bouclier ».

      Au cours de son audition, un autre policier, ayant participé à la charge, avait précisé : « Nous avons chargé, donc effectivement nous avons poussé les personnes devant nous. […] C’est après la charge en me retournant que j’ai constaté qu’une femme était à terre. »

      Le gouvernement et les chômeurs « trop » indemnisés (Édouard Philippe)

      Le premier ministre et la ministre du travail affirment qu’un chômeur sur cinq gagnerait plus au chômage que dans son travail précédent. Ce chiffre est en réalité totalement vicié et aboutit à un mensonge qui salit 600 000 personnes.

      Comment est-ce possible ? Le gouvernement compare deux périodes qui ne sont pas les mêmes. Avec une méthode de calcul différente, l’Unédic aboutit au chiffre de moins d’un salarié sur 25 se retrouvant dans la situation décrite par l’exécutif.

      Pour le sociologue spécialisé dans les politiques de l’emploi Mathieu Grégoire, il s’agit donc d’« un artefact statistique » et d’« une manipulation assez troublante des chiffres ».

      Selon le gouvernement, ce sont les salariés en contrats courts, généralement peu qualifiés et peu rémunérés, qui sont censés « trop » profiter de l’assurance-chômage. Et en dépit du calcul erroné, c’est sur eux que le gouvernement devrait faire porter l’essentiel des économies à venir.

      Le nombre d’ultras parmi les gilets jaunes (Emmanuel Macron)

      Le jeudi 31 janvier, Emmanuel Macron reçoit cinq journalistes pour une « discussion informelle » autour d’un café. Le président de la République se montre très offensif au moment de dénoncer les violences commises lors des manifestations des « gilets jaunes ». Selon lui, elles seraient l’œuvre « de 40 à 50 000 militants ultras qui veulent la destruction des institutions ». « Face aux violences orchestrées par les extrêmes », rapporte Paris-Match, le chef de l’État « met en garde contre la ‘‘fachosphère’’ et la ‘‘gauchosphère’’ qui ont surinvesti les réseaux sociaux ».

      Pourtant, dans les jours précédents, selon nos enquêtes, des notes des services de renseignement sont remontées à l’Élysée. Et elles disent précisément l’inverse de ce que prétend Macron.

      En effet, à ce moment-là, l’ultradroite se désengage « à Paris comme en province ». Selon la DGSI, « la scène d’ultradroite est quasi inexistante au sein des cortèges ». Même au plus fort de leur mobilisation les premières semaines du mouvement, les services ne comptaient que « quelques centaines d’individus » relevant de cette mouvance.

      À l’ultragauche, alors ? Pas plus. « L’ultragauche s’est impliquée de manière limitée dans un mouvement perçu comme populiste et réactionnaire », écrit-on à la DGSI. Des sources dans différents services de renseignement donnent un même chiffre de 300 militants « au grand maximum » d’ultras de droite et de gauche réunis au plus fort du mouvement, début décembre. En mars, ils n’étaient plus que quelques dizaines.

      Dans la même interview, le président de la République décrit le mouvement des gilets jaunes comme « une manipulation des extrêmes, avec le concours d’une puissance étrangère : la Russie de Poutine ». Or la DGSI et la DGSE n’auraient toujours pas trouvé la moindre trace d’ingérence russe. Et l’Élysée n’a jamais voulu nous faire part de ses sources sur le sujet.

      Le retour des djihadistes français (Emmanuel Macron)

      « Contrairement à ce que j’ai pu lire ou entendre, il n’y a pas un programme de retour des djihadistes qui est aujourd’hui conçu, nous restons sur la même doctrine », explique à l’occasion du « grand débat » Emmanuel Macron à des élus de la Région Grand Est. Selon lui, il n’y aurait donc jamais eu de programme de retour des djihadistes français. Pas question de donner l’impression de tergiverser.

      Selon nos informations, les services des ministères des affaires étrangères, de la défense, de l’intérieur et de la justice travaillaient pourtant bien depuis l’automne 2018 au retour des djihadistes détenus par les Kurdes de Syrie.

      Les conditions du programme de retour étaient tenues pour acquises par les principaux acteurs du dossier lorsque, dans la première quinzaine de février, le président de la République a changé d’avis.

      Qu’est-ce qui a fait changer Emmanuel Macron de position et l’a ainsi fait aller à l’encontre des préconisations de son administration ? L’Élysée n’a pas répondu à nos sollicitations.

      Le chlordécone ne serait pas cancérigène (Emmanuel Macron)

      « Il ne faut pas dire que ce pesticide est cancérigène. » En une phrase, le président de la République a soulevé l’indignation, en particulier des élus d’outre-mer qui lui faisaient face le vendredi 1er février, à l’Élysée, pour une rencontre dans le cadre du grand débat national.

      La discussion portait sur la dangerosité du chlordécone, un pesticide extrêmement toxique et perturbateur endocrinien, classé « cancérigène possible » par l’Organisation mondiale de la santé (OMS) dès 1979 et utilisé jusqu’en 1993 dans les bananeraies en Guadeloupe et en Martinique. Ce jour-là, pour le président, « il ne faut pas dire que c’est cancérigène. Il est établi que ce produit n’est pas bon, il y a des prévalences qui ont été reconnues scientifiquement, mais il ne faut pas aller jusqu’à dire que c’est cancérigène parce qu’on dit quelque chose qui n’est pas vrai et qu’on alimente les peurs ».

      Presque tous les Guadeloupéens et les Martiniquais sont contaminés au chlordécone, selon une étude publiée par Santé publique France en 2018. Et les sols sont pollués pour quatre cents à sept cents ans.

      Estomaqués par les propos du président, l’urologue Pascal Blanchet et le chercheur à l’Inserm Luc Multigner ont répondu en rappelant, entre autres, que « l’exposition au chlordécone est associée à une augmentation de risque de survenue du cancer de la prostate ».

      Face à la polémique, l’Élysée a maladroitement tenté de faire machine arrière, plaidant le malentendu, sans convaincre personne.

      La mort de Jamal Khashoggi (Jean-Yves Le Drian)

      Dès le 6 octobre 2018, soit quatre jours après la disparition de Jamal Khashoggi, un notable saoudien exilé aux États-Unis et devenu chroniqueur au Washington Post, qui n’est jamais ressorti de son consulat à Istanbul où il venait chercher des papiers administratifs, les autorités turques commencent à laisser filtrer des informations auprès de la presse indiquant que le journaliste a été tué dans l’enceinte diplomatique.

      Les jours suivants, la police et le gouvernement turcs distillent de plus en plus de preuves des agissements d’une équipe de tueurs saoudiens composée de proches du prince hériter Mohammed ben Salamane, qui aurait interrogé, torturé, puis découpé en morceaux la victime.

      Le 11 octobre, Ankara laisse entendre qu’elle possède un enregistrement audio de ce qui s’est déroulé à l’intérieur du consulat, qui ne laisserait aucune doute sur la culpabilité des Saoudiens.

      Le 10 novembre, le président turc Recep Tayyip Erdogan affirme que l’enregistrement a été fourni aux États-Unis, au Royaume-Uni, à la France, à l’Allemagne et au Canada.

      Pourtant, Jean-Yves Le Drian, ministre des affaires étrangères bien timide sur le dossier, nie le 12 novembre sur France 2 avoir eu connaissance de l’enregistrement. Et il ajoute : « Si le président turc a des informations à nous donner, il faut qu’il nous les donne », soulevant l’indignation des autorités turques.

      Après une longue enquête, Mediapart a obtenu la confirmation auprès de sept diplomates et fonctionnaires du renseignement français que le Quai d’Orsay, à son plus haut niveau, avait bien eu accès à ces enregistrements à la date où le ministre s’exprimait.

      L’hommage au maréchal Pétain (Florence Parly)

      À l’occasion des cent ans de l’Armistice, l’état-major des armées souhaitait organiser, « en présence du président de la République », un hommage aux huit maréchaux de la Grande Guerre, dont Philippe Pétain. Dans un premier temps, l’Élysée laisse passer cette option, qui se retrouve inscrite dans le programme officiel des célébrations.

      Mais face à l’ampleur de la polémique, l’hommage est finalement retiré in extremis. Ce qui n’empêche pas la ministre des armées Florence Parly de jurer au micro de BFM-TV que « l’État-major n’a jamais imaginé rendre hommage au maréchal Pétain », mais qu’il souhaitait uniquement « rendre hommage aux maréchaux qui sont aux Invalides ».

      Cette cérémonie était pourtant bel et bien prévue, comme l’a d’ailleurs confirmé l’Élysée à Mediapart. Et il n’y a pas de place pour le doute. Chaque étape de cette « itinérance mémorielle » avait été minutieusement préparée : les dossiers de presse sur le site de la Mission du centenaire et sur celui du ministère de l’éducation nationale ne faisaient pas mystère de la présence du président de la République.

      Pataugeant dans ses dénégations, Emmanuel Macron aura au passage jugé « légitime » de rendre hommage au maréchal Pétain, soulignant que le dirigeant du régime de Vichy avait été « pendant la Première Guerre mondiale un grand soldat », même s’il a « conduit des choix funestes » pendant la Seconde. Des déclarations qui ont fait bondir la plupart des historiens.

      Un paparazzi placé en garde à vue pour rien (l’Élysée)

      Le Palais n’a pas attendu les derniers mois pour diffuser des craques. Dès septembre 2017, l’Élysée fait fuiter dans Challenges une information censée montrer à quel point Emmanuel Macron est un président magnanime. « EXCLUSIF. Emmanuel Macron vient de décider d’abandonner ses poursuites judiciaires qu’il avait engagé [sic] contre un paparazzi. »

      La réalité est autre. Selon des informations obtenues à l’époque par Mediapart, s’il est mis un terme à cette affaire très médiatisée, c’est en fait parce que le parquet de Marseille a classé sans suite l’enquête préliminaire ouverte en août pour « harcèlement » et « atteinte à la vie privée ». La plainte de l’Élysée ne tenait pas la route : le photographe mis en cause, Thibaut Daliphard, n’avait commis aucun des délits que l’Élysée lui reprochait.

      Ce photographe avait été contrôlé une première fois par un officier de sécurité devant la résidence privée de Marseille où les époux Macron passaient quelques jours de vacances au mois d’août, et s’était vu répondre qu’il n’y aurait pas de possibilité de prendre des clichés ce jour-là.

      Le lendemain, l’Élysée venant de confirmer que le couple présidentiel y passait ses vacances, le photographe s’était présenté à nouveau devant la résidence pour aller aux nouvelles, sans appareil photo.

      Selon Thibaut Daliphard, il s’était alors heurté à un homme qu’il avait pris pour un policier et qui lui avait déclaré : « Je n’aime pas votre métier », « Ce que vous faites, c’est du harcèlement », puis « Je vais vous placer en garde à vue, je vais vous faire coffrer pour 48 heures ».

      Selon Thibaut Daliphard, alors qu’il attend les forces de l’ordre, son téléphone sonne. « Je décroche le téléphone, il me saute dessus, essaie de me l’arracher, je me débats, puis il me dit : vous êtes en garde à vue, vous n’avez pas le droit de téléphoner. » Puis arrivé au commissariat du VIIIe arrondissement de Marseille, le commissaire présent sur place lui aurait confié : « Je suis désolé, on me demande de vous placer en garde à vue. »

      Thibaut Daliphard restera six heures en cellule. Le matériel, la carte-mémoire et l’ordinateur de ce journaliste sont fouillés.

      Ce n’est qu’un an plus tard, à l’été 2018, que Thibaut Daliphard découvrira que l’homme qui l’a violenté n’était pas un policier. Mais Alexandre Benalla.

  • Le #Ministère_de_l’Enseignement_Supérieur a manipulé les chiffres de #Campus_France

    Depuis l’annonce très impopulaire de l’augmentation de la hausse des frais d’inscriptions pour les étudiants extra-communautaires, le gouvernement tente par tous les moyens de rassurer. Parfois au détriment de la vérité...

    https://blogs.mediapart.fr/le-rollier/blog/070419/le-ministere-de-l-enseignement-superieur-manipule-les-chiffres-de-ca

    #taxes_universitaires #frais_universitaires #éducation #France #trucage #manipulation #statistiques

  • Du trop au faux. Chronique d’un premier avril 2019
    https://www.affordance.info/mon_weblog/2019/04/du-trop-au-faux-poisson-avril.html

    Hannah Arendt écrivait ceci : « Quand tout le monde vous ment en permanence, le résultat n’est pas que vous croyez ces mensonges, mais que plus personne ne croit plus rien. Un peuple qui ne peut plus rien croire ne peut se faire une opinion. Il est privé non seulement de sa capacité d’agir mais aussi de sa capacité de penser et de juger. Et avec un tel peuple vous pouvez faire ce qu’il vous plaît. » Source : affordance.info

  • « L’école française du Mime »

    Je viens de découvrir la fiche « L’école française du Mime » répertoriée par le Ministère de la Culture dans « Expressions et traditions orales »… le Mime dans « les traditions orales » ? Admettons. Ne cherchons pas à comprendre, c’est le Ministère de la Culture. Le problème, quand on fait une liste, est qu’il ne faut surtout pas oublier une personne. Au risque de passer pour un approximatif, un négligeant. Et de surcroît, on peut vexer la dite personne. Ici, le grand absent est un grande absente. Elle ne pourra pas se vexer car il s’agit de... Suzanne Bing. Il est vrai que le document date de juin 2017, mais tout même, soyons sensibles et reconnaissants à la place de la femme dans l’art du Mime. Jacques Copeau y est cité sept fois et Suzanne Bing : zéro ! Qu’aurait été l’École du Vieux Colombier, si elle n’avait pas concrétisé les idées du « Maître » ? Comme, on pourrait dire également : Qu’aurait-été en 1913 la troupe du Vieux Colombier sans le régisseur Louis Jouvet ? Mais je digresse… Donc je l’affirme : Sans Suzanne Bing, il n’y aurait pas eu d’École du Vieux Colombier. Il n’y aurait pas eu cette source de pédagogie, de recherche, de pratique artistique qui a donnée naissance à Charles Dullin et Étienne Decroux. Un peu de reconnaissance quand même ! Après dans cette liste, il manque de nombreuses personnes qui font vivre le Mime en France. Par exemple, le Mime Hervé Demet qui n’est pas cité et qui fait un travail « remarquable ». Il y a aussi toute la promotion de 1996 de l’École Internationale de Mimodrame de Paris – MARCEL MARCEAU. Aucun n’y figure ! Bon en même temps, on n’était que six. Et ne décelez pas chez moi de l’amertume, jalousie et autre vexation. Je ne tiens surtout pas à figurer dans une liste de l’état français. On est suffisamment fichés comme ça. Et un état qui mutile ses opposants politiques ne me plaît pas…

    Source : https://www.silencecommunity.com/file/view/47236/« l’ecole-francaise-du-mime »

    #France #Culture #Ministère_de_la_Culture #fiche #Mime #artiste_mime #école #école_française #école_française_du_Mime #Jacques_Copeau #Marcel_Marceau #Charles_Dullin #Étienne_Decroux #Suzanne_Bing #Bing #Louis_Jouvet #Hervé_Demet #Sylvie_Grenet #2017 #Grenet

  • Choquée par la "lettre" de Luc Le Vaillant parue le 28 dans Libé, j’ai lu avec intéret cet article de Romain Pigenel : Pourquoi il faut défendre « l’anonymat » sur Internet
    https://medium.com/@romain_pigenel/pourquoi-il-faut-d%C3%A9fendre-lanonymat-sur-internet-3d79de93b1d0

    L’article commence par une liste des diverses énormités qui sont proférées sur le sujet ces derniers temps, le papier de Luc Le Vaillant étant une sorte de sur-glaçage écœurant sur un gâteau déjà recouvert de cerises confites.

    « Pour une hygiène démocratique du statut de l’information […] je crois qu’on doit aller vers une levée progressive de toute forme d’#anonymat » (le président de la République, Emmanuel Macron). « Dans une société démocratique où on peut dire ce qu’on veut, il me parait bon de lever l’anonymat sur #Internet […] j’en ai assez de gens qui sont derrière les pseudos, et qui insultent à longueur de temps, qui mettent de l’huile sur le feu à longueur de temps » (le secrétaire général de la CFDT, Laurent Berger). « Quand vous avez un compte sur Twitter, sur Facebook, pourquoi vous ne l’assumez pas ? » (Yannick Jadot, avant de se rétracter). « Il suffit de créer des réseaux sociaux payant 1€/mois avec une charte éthique et un nom par profil. Sans pub. Sans utilisation des infos… et sortir des réseaux anonymes. » (Mathieu Kassovitz). « Je propose un projet de loi d’initiative citoyenne : que tous les comptes des réseaux sociaux soient nominatifs. Que tout puisse être dit mais que chacun assume ses paroles » (le dessinateur du Monde, Xavier Gorce). « Tout changerait si l’anonymat était interdit sur internet. Et si les Gilets Jaunes radicaux -les seuls qui restent aujourd’hui dans la rue- disaient chacun d’où ils viennent. » (Dominique de Montvalon, ancien rédacteur en chef du Parisien et du JDD) …

    Pour celleux qui ne l’ont pas lue, la lettre de Le Vaillant est par là : Pour qu’Internet tombe le masque : https://www.liberation.fr/chroniques/2019/01/28/pour-qu-internet-tombe-le-masque_1705956 avec un passage particulièrement odieux d’amalgames haineux :

    Et c’est pourquoi, cher anonyme, je veux la peau de ta pleutrerie et de ta défausse. Je n’aime pas la cagoule que tu mets à ta hargne tweeteuse, la burqa qui voile ton but ultime, ni ta blanche face à moustache d’Anonymous qui se la raconte coursé par Big Brother.

    Mais pour en revenir à l’article de Luc Le Vaillant, bien plus intéressant, il démonte pas mal d’idées reçues sur le pseudonymat, et vaut le détour à ce titre

    La pratique de Facebook, réseau où dominent les comptes identifiés, démontre chaque jour combien les sujets polémiques suffisent à faire sortir tout un chacun de ses gonds, même sans la protection d’un pseudonyme : c’est l’écrit qui désinhibe, au moins autant que « l’anonymat ». En outre, et par-delà l’intuition qu’on peut avoir de la question, les données fiables manquent ; une étude de l’université de Zurich, datée de 2016, remet même clairement en cause le lien entre anonymat et agressivité en ligne.

    (lien direct vers l’étude en question : https://qz.com/741933/internet-trolls-are-even-more-hostile-when-theyre-using-their-real-names-a-study

    Il permet non seulement de bien comprendre qu’il y a une confusion générale avec le #pseudonymat, mais aussi de très bien comprendre le danger que représenterai le traçage d’identité par toutes les plateformes comme le fait #Facebook

    ce serait un magnifique cadeau pour les partis ou leaders autoritaires/extrémistes, pour qui l’on préparerait tranquillement un filet garni permettant, dans l’hypothèse d’une accession au pouvoir, de tout savoir de l’activité en ligne (1H30 par jour, en moyenne, pour chaque Français) de tout individu. Même de ceux qui n’enfreignent ni les lois, ni les mœurs. Au contraire, on peut compter sur les internautes qui ont de « bonnes » mauvaises raisons de chercher l’anonymat — criminels en tête — pour trouver et maîtriser les contre-mesures nécessaires à ce type de surveillance généralisée. Un comble.

    J’aurai cependant aimé qu’il développe plus la nécessité de protéger l’anonymat, en faisant référence aux lanceurs d’alertes ou aux opposant-e-s politiques, particulièrement quand des condamnations pleuvent actuellement sur des #giletsjaunes n’ayant pas tenu leur langue sur facebook... et que l’office central de la lutte contre la criminalité informatique
    montre des signes de plus en plus dangereux de censure : https://seenthis.net/messages/755412 et https://seenthis.net/messages/756074

    • Tres bon article aussi de Olivier Ertzscheid qui se base, avec un opportunisme assumé, sur la médiatisation du harcèlement contre Bilal Hassani (source de sa chanson pour l’Eurovision) et démontre de manière implacable la responsabilité des plateformes marchandes (plateformes auxquelles il doit sin succès, les haters participant à la notoriété pour les algorithmes...)
      https://www.affordance.info/mon_weblog/2019/01/cher-bilal-hassani.html

    • Je rajoute un extrait du billet d’affordance :

      La question, la seule, à poser en toute priorité aux plateformes lorsque vous les rencontrerez, car vous verrez Bilal, elles voudront bientôt j’en suis convaincu vous rencontrer, la seule question à leur poser est celle-ci :

      Etes-vous prêt à réellement lutter contre les discours de haine, contre l’homophobie, en ajoutant dans vos CGU que chaque insulte raciste ou homophobe occasionnera la fermeture définitive du compte qui les a proférées ? Etes-vous prêt à perdre ces « clients » là qui ne sont pas, pour vous, anonymes, et qui ne l’ont jamais été ?

      Posez leur cette question là Bilal. Et dites-leur aussi ceci :

      Si vous étiez les gérants d’un magasin et que certains de vos clients revenaient tous les jours et traitaient de « sale PD » ou de « sale fiotte » d’autres de vos clients, quelle serait votre réaction ? Les accepteriez-vous dans votre magasin ? Ce que vous tolérez est ce que vous êtes vraiment. Dites-leur simplement cela Bilal. « Ce que vous tolérez est ce que vous êtes vraiment ».

      Et si ni Jack Dorsey, ni Mark Zuckerberg, ni Larry Page, ni Serguei Brin ni aucun autre ne regarde le concours de l’Eurovision ni ne vous invite pour parler avec vous de ce que vous traversez, alors j’espère qu’un(e) de nos représentant(e)s politiques, un jour prochain, leur posera très exactement cette simple et seule question là. Etes-vous prêts à perdre ces clients-là ou ne sont-ils pour vous que des clients comme les autres ?

      Ce que nous tolérons est ce que vous nous sommes vraiment. Bon courage pour l’Eurovision cher Bilal.

  • https://www.nextinpact.com/news/107449-blocage-administratif-ministere-interieur-attaque-par-representan

    #Indymedia #Grenoble #Nantes #Cnil #censure #ministère_de_linterieur

    Hier, à Cergy Pontoise, une affaire hors norme était auscultée par le tribunal administratif. Pour la première fois, la personnalité qualifiée de la CNIL s’est opposée au ministère de l’Intérieur s’agissant du retrait et du déréférencement administratifs de pages du site IndyMédia. Next INpact était sur place. Compte rendu.

    Depuis la loi du 13 novembre 2014 relative à la lutte contre le terrorisme, l’Office central de lutte contre la criminalité liée aux technologies de l’information et de la communication (OCLCTIC) a pour mission d’ordonner le blocage et le déréférencement de sites incitant ou faisant l’apologie du terrorisme. Ces mesures administratives, décidées sans juge, ne concernaient jusqu’alors que la pédopornographie.

    En pratique, l’office doit d’abord s’adresser à l’éditeur et à l’hébergeur et, faute d’évolution, peut se tourner devant les FAI et moteurs de recherche. Le texte, outre ses deux décrets d’application de février et mars 2015, prévoit néanmoins l’intervention d’une personnalité qualifiée désignée par la CNIL, à savoir Alexandre Linden, qui termine son mandat le 31 janvier.

    Sa mission ? Contrôler d’éventuelles atteintes à la liberté d’expression et de communication – en somme la régularité de cette liste noire. Il peut recommander à l’OCLCTIC de revoir ses demandes et, au besoin, saisir le juge administratif.

    Jusqu’à présent, l’antenne du ministère de l’Intérieur et cet intervenant extérieur travaillaient de concert. Dans une dizaine de cas, l’office a finalement suivi ses recommandations. Une seule fois, c’est la personnalité qualifiée qui a changé d’avis.

    Dans l’affaire que doit juger le tribunal administratif de Cergy Pontoise, l’antagonisme a été trop fort, Alexandre Linden ayant décidé de contester les positions de la Place Beauvau.

    Quatre publications sur IndyMédia ciblées par l’Intérieur

    Dans les nuits du 18 au 21 septembre 2017, à Grenoble, Meylan et Clermont-Ferrand, des véhicules et un local de gendarmerie sont incendiés. Quatre articles de revendications sont publiés sur IndyMédia (dont grenoble.indymedia.org et nantes.indymedia.org), sites libertaires qui fonctionnent sur le principe de la publication ouverte.

    En octobre et novembre, l’OCLCTIC réclame le retrait de ces billets. Ceux-ci sont considérés comme autant de « provocation à des actes de terrorisme ou apologie de tels actes ». Il demande en outre le déréférencement de deux articles. IndyMedia dénonce ces méthodes, retire deux articles (non celui-ci ou celui-là).

    Dès le 7 novembre 2017, dans quatre recommandations, la personnalité qualifiée conteste lui-aussi ces mesures. Quoique graves, les faits sont d’après lui sans lien avec des actes de terrorisme. Ces décisions administratives sont malgré tout confirmées en février 2018 par le cabinet du ministre de l’Intérieur.

    Hier, la rapporteure Caroline Gabez a bien relevé la difficulté du contentieux qui s’est déporté devant la quatrième chambre du tribunal administratif de Cergy, puisque la juridiction se retrouve démunie du moindre antécédent jurisprudentiel. Ajoutons qu’aucune procédure n’a été initiée devant le parquet antiterroriste.

    La notion d’« entreprise terroriste » devant le juge administratif

    Hier, devant le juge administratif, la question pivot a été celle de la notion même d’acte de terrorisme, et ses satellites : l’apologie ou l’incitation à commettre ces actes. La magistrate a d’abord invité le tribunal à s’inspirer des articles 421-1 et 421-2-5 du Code pénal qui traitent de ces infractions graves afin de « déterminer si ces publications entrent dans ce périmètre ».

    Comme l’a rappelé l’affaire Tarnac, ces notions sont relatives à « des atteintes volontaires à l’intégrité physique de personnes, des dégradations ou destructions de biens publics (…) lorsqu’elles sont intentionnellement en relation avec une entreprise individuelle ou collective ayant pour but de troubler gravement l’ordre public par l’intimidation ou la terreur ».

    « Chaque mot compte », a insisté la rapporteure. L’entreprise terroriste est un « mode d’action » destiné à générer une épouvante, une sidération, une peur violente, qui veut faire naitre chez les citoyens « un sentiment de menace », une paralysie par l’effroi. Elle veut déstabiliser, voire détruire les structures politiques sociales, et se distingue des autres formes de violence comme la criminalité mafieuse.

    Pour l’Intérieur, qui n’était pas présent dans la salle, pas même son avocat, nul doute que ces violences commises à l’égard des forces de l’ordre se rattachent à ces infractions. Gendarmes et policiers sont régulièrement la cible d’attaques. Il existe des impacts personnels sur les services, quand ce n’est pas sur leurs proches. Dans le résumé dressé par la rapporteure, il devine une méthodologie, une apologie ou une provocation à mener de telles actions. Et l’élément intentionnel ne fait pas de doute : il y aurait un état d’esprit destiné à susciter des actes de même nature, d’autant que ces infractions seraient présentées sous un jour favorable.

    Les doutes de la rapporteure publique

    La rapporteure a eu beau lire et relire : l’administration ne démontre pas selon elle que les faits relatés relèvent de l’entreprise ou de l’intimidation terroriste. Ces revendications anarchistes n’ont pas eu de rebondissement national, il n’y a pas eu de déstabilisation de l’État, de sentiment d’épouvante, de sidération de la population ou de fracturation de la société.

    « Sans minimiser l’extrême gravité des faits, des revendications et des retentissements sur le personnel, sans nul doute affecté, il n’y a pas eu d’impact national » a-t-elle encore affirmé, avant de relever que « seule la presse locale en a parlé » (voir cet article du Dauphiné Libéré).

    Il y a certes une pensée anarchiste, mais aucune information sur leurs auteurs. Les éléments matériels manquent cruellement à l’appel. Les revendications restent finalement très générales. Indéniablement, elles ne relèvent pas du terrorisme.

    Devant le tribunal, Alexandre Linden, pas mécontent de voir la rapporteure se rallier à ses conclusions, commentera : « C’est la première fois que je plaide devant le tribunal administratif pour un tel litige (…). Je ne méconnais pas la gravité des faits, mais le plus important est de relever l’absence de lien avec l’entreprise terroriste ».

    Le jugement sera rendu le 31 janvier 2019. « Cela nous laisse un peu de temps pour échanger encore en interne avec les membres de la formation de jugement » a conclu le président, qui anticipe déjà l’écho de sa décision. Une première en France dans l’histoire du blocage administratif, qui montre toute l’importance des contrôles internes sur cette censure de bureau.

  • Gilets jaunes : samedi à Paris, la police avait une arme secrète [du #liquide_incapacitant ? parole de flic et de journaliste, mais qui sait, ndc]
    https://www.marianne.net/societe/gilets-jaunes-paris-police-arme-secrete

    Selon nos informations, certains des blindés de la #gendarmerie disposés pour la première fois dans Paris ce samedi 8 décembre étaient secrètement équipés d’une réserve de liquide incapacitant. Un dispositif radical qui ne devait servir qu’en dernier recours.
    C’est dire si le pouvoir a eu peur. Samedi 8 décembre, certains des blindés de la gendarmerie disposés pour la première fois dans Paris étaient secrètement équipés d’un dispositif radical, qui n’aurait été utilisé « qu’en dernier recours » : une réserve de liquide incapacitant. Selon nos sources, la pulvérisation de ce liquide sur une foule de gilets jaunes aurait été capable de « les arrêter net, mettant les gens à terre, même avec des masques ». Chaque engin aurait pu « neutraliser » une surface de plusieurs terrains de football… « Heureusement, que l’on n’en est pas arrivé là », ajoute cette source haut placée dans le dispositif policier. « L’autorité politique », comme le disent les fonctionnaires, aurait approuvé l’éventuel emploi d’un tel produit, qui n’aurait été utilisé qu’en cas de « débordement ultime ». Une sorte de « dernier rempart », utilisable sur décision politique… Interrogée, la préfecture de police de Paris renvoie au #ministère_de_l'Intérieur.

    C’est le premier enseignement de la journée du 8 décembre : le préfet de police de Paris a perdu son leadership sur le maintien de l’ordre dans la capitale. La semaine dernière, le ministère de l’Intérieur, sous la double commande de Christophe Castaner et Laurent Nuñez, a pris les choses en main, largement épaulé en ce sens par les #syndicats_policiers. Cette mainmise du ministère de l’Intérieur ne s’est pas faite sans friction avec la préfecture de police de Paris, où le #préfet #Michel_Delpuech a grincé à plusieurs reprises devant la mise en place d’un dispositif mobile et décentralisé, contraire aux pratiques antérieures. Selon nos informations, le préfet a d’ailleurs réclamé en fin de semaine dernière « des instructions écrites », ce qui, en mœurs préfectoraux, consiste à « se couvrir » à l’approche d’une situation controversée. « D’un point de vue policier, le #maintien_de_l’ordre de samedi à Paris a finalement été un succès, ces frictions ne sont plus d’actualité », sourit une source à la préfecture de police. Bilan en six points.

    1 - Un nettoyage sans précédent. De mémoire de policier, aucune #manifestation parisienne contemporaine n’avait mobilisé autant de préparatifs en amont. Quasiment toute la rive droite avait tiré les stores, barricadé ses vitrines et rangé ses voitures. Le mobilier urbain avait été démonté et la plupart des chantiers de voirie vidés sur un large périmètre, pas seulement autour de la place de l’Etoile. Lors de la première manifestation sur les Champs-Elysées, celle du 24 novembre, un seul chantier sur l’avenue avait servi de combustible aux barricades. Lors de la deuxième manifestation, ce sont tous les chantiers autour de l’Etoile qui ont joué le même rôle… Samedi 8 décembre, pour ne pas fournir « armes et combustibles aux manifestants », la majeure partie de la rive droite ressemblait à une ville morte.

    2 - Des mesures d’exception aux abords. Autre initiative policière restée cachée jusqu’à samedi matin, les #fouilles_préventives. Vendredi, les #procureurs compétents, notamment aux péages de la région parisienne, avaient pris des réquisitions judiciaires autorisant les contrôles d’identité, invoquant les risques d’infractions liées à la manifestation sur Paris. Ces contrôles ont permis de saisir des objets potentiellement dangereux comme des boules de pétanque, des manches de pioche, ou d’autres signant la participation à un rassemblement, comme des masques de plongée. Résultat, samedi, Paris a battu son record de #gardes_à_vue. Le dispositif initial permettant d’en absorber 800 a même été dépassé. Il y en a finalement eu 974 en région parisienne. Mais « seulement » 278 ont donné lieu à un déferrement judiciaire. Dans la majorité des cas, les gardes à vue étaient levées ou se soldaient par un « #rappel_à_la_loi ». Autrement dit une admonestation [non, le rappel à la loi est la reconnaissance d’une infraction suite à laquelle les dispositions prévues pour la récidive légale sont applicables : aggravation de la peine encourue, ndc] , la simple possession d’un masque de plongée ou d’une bombe à peinture ne pouvant pas, en tant que tel, constituer un délit.

    Les interpellations de Julien Coupat, figure de l’ultragauche, ainsi que d’autres activistes d’extrême droite, dès samedi matin, participent du même « dispositif préventif » inédit et controversé. Henri Leclerc, ancien président de la Lige des droits de l’Homme, dénonce un potentiel usage « liberticide très grave ». En clair, une sorte d ’interdiction de manifester qui ne dirait pas son nom .

    « On assume, confie une source policière. Au moins, ces gens n’étaient pas dehors. Cela a fait dégonfler les effectifs de durs potentiels ». Autre dispositif en amont, la plupart des gilets jaunes, avant de rejoindre les principaux « spots » de manifestation (Champs-Elysées, Bastille, République), étaient systématiquement fouillés. La plupart y perdaient leurs masques de protection contre les lacrymogènes. Pour parvenir jusqu’au Champs-Elysées, avec toutes les stations de métro bloquées et les barrages de policiers disposés à certains endroits autour du périmètre interdit, la plupart des gilets jaunes ont dû marcher plusieurs heures… Résultat, une grosse partie des manifestants errait d’un point à un autre, sans parvenir à rejoindre aucun « point chaud ». De fait, durant la quasi-totalité de la journée, le rapport de force sur les lieux de friction est toujours resté à l’avantage des policiers [ en jouant sur la #mobilité et une certaine rapidité "on a évite la formation de #nébuleuses" disait un type du syndicat des commissaires, ndc] .

    3 - Un dispositif mobile et décentralisé. C’est la grande nouveauté de cette journée. Les policiers et gendarmes sur Paris étaient « mobiles » et leur commandement largement décentralisé, par secteur . « Bien sûr, il y avait toujours autant de galonnés autour du préfet, dans la salle de commandement de la préfecture de police, se désole un fonctionnaire, mais pour la première fois, c’est vraiment le commissaire de terrain qui menait sa troupe en fonction de ce qu’il voyait sur place » . Avec une efficacité spectaculaire, à l’œuvre sur les Grands Boulevards, où, avançant au milieu de deux canons à eau, des policiers et gendarmes « nettoyaient » au fur et à mesure les feux de poubelles moins de cinq minutes après leur déclenchement. « Comme à l’entraînement ! On avançait vite, sans leur laisser le temps de former une véritable barricade devenant vite un point de fixation », raconte un fonctionnaire. Ce dispositif a permis d’éviter la confrontation générale du 1er décembre, avec une place de l’Etoile occupée par les gilets jaunes et des forces de l’ordre assiégées des heures durant, en direct sous les yeux des caméras du monde entier. « Samedi, dans l’après-midi, il y a eu des moments de grande tension , notamment autour de l’Etoile, mais ils se sont moins vus », admet cette source.

    Jusque-là, le maintien de l’ordre parisien « habituel » privilégiait l’absence de contact avec la foule [ heu oui, toujours très variable ce principe, ndc] . « Pour ce genre de manifestation, la mobilité était souhaitable depuis longtemps, il y aura un avant et un après samedi 8 décembre », se réjouit un commissaire parisien, saluant pour sa part l’efficacité du dernier dispositif. « On nous rétorque depuis des années que le contact risque d’augmenter le nombre de blessés, cela n’a pas été le cas », ajoute-t-il. Le bilan de samedi est de 264 blessés dont 39 fonctionnaires. Un manifestant a eu une main arrachée à cause d’une grenade, une femme a perdu un œil sur les Champs-Elysées, vraisemblablement à cause d’un tir de flash-ball. Dès vendredi, après des premiers incidents liés à des #flash-ball lors de manifestations lycéennes, 200 personnalités, dont plusieurs députés de gauche, ont appelé à cesser immédiatement l’usage de ces armes.

    4 - Une mobilisation en hausse. Autre constat, malgré les appels incitant à ne pas manifester à Paris, la mobilisation des gilets jaunes a grossi d’une semaine sur l’autre. Le message envoyé par l’Elysée, selon lequel certains « venaient pour tuer » [ et que on va légitimement se défendre avec nos joujoux ; menaces de mort contre les manifestants, ndc] , n’est pas parvenu à inverser la tendance. Aucune arme n’a pourtant été saisie lors des contrôles de police. « La dramatisation n’a pas empêché le monde, de l’ordre de 10.000 personnes » [ quelle rigolade, encore une fois : qui informe les journalistes ? ndc] , admet un fonctionnaire. Ce 8 décembre, les #gilets_jaunes étaient visibles par grappes de Bastille à l’Etoile en passant par République et les grands Boulevards, quand le week-end précédent, ils n’étaient concentrés que sur l’Etoile. « Raison de plus pour se féliciter de notre dispositif », glisse un syndicaliste qui espère, sans trop y croire, « que la tension va désormais retomber ». « Si ce samedi, on avait fait comme le week-end d’avant, on aurait eu une nouvelle journée de chaos, dit-il. Mais je ne sais pas combien de samedis consécutifs on tient encore comme cela ». Face aux 136.000 gilets jaunes recensés dans toute la France, ce 8 décembre, le ministère de l’Intérieur avait déployé 89.000 policiers. Sans parler des effectifs d’agents municipaux pour ranger et réinstaller le mobilier urbain, et des efforts des commerçants pour barricader et débarricader leurs vitrines.

    5 - Un déséquilibre Paris-Province. Autre constat, la province trinque. Saint-Etienne, Toulouse, Bordeaux notamment ont été le théâtre d’affrontements d’une rare violence. « Sur 150 unités, 50 étaient à Paris et cent en province », indique une source au ministère de l’Intérieur. Un tiers, deux tiers… Officiellement, pas question d’avouer que certaines zones avaient été dégarnies faute de troupes. Ce lundi matin, en déplacement à Bordeaux, Laurent Nuñez a estimé que les effectifs (4 unités) y avaient été suffisants. Une affirmation qui fait sourire certains syndicalistes. « Le ministre ne peut pas le dire, mais certains secteurs étaient très dégarnis. Samedi, on était à notre maximum. On ne peut pas plus… Au delà, c’est l’armée qu’il faut appeler », dit un policier. C’est d’ailleurs le paradoxe de ce mouvement. Etant durable, disséminé sur tout le territoire et violent, il met les forces de l’ordre au bord de la rupture. Samedi prochain, en cas d’acte V, Paris sera-t-il délaissé de certaines unités au profit de villes de province ? La décision politique, au ministère de l’Intérieur, ne sera pas facile à prendre.

    6 - Des pillages du soir en hausse. Le dernier constat concerne ce que certains policiers appellent la troisième mi-temps des manifestations de gilets jaunes : les #pillages. Samedi soir à Paris, ils ont été « deux fois plus nombreux encore que ceux du 1er décembre », selon un policier de terrain. « Ce sont des petits groupes, pour la plupart de #jeunes_de_banlieue, qui attendent la fin de la journée et la tombée de la nuit pour cibler des boutiques et se servir », se désole-t-il. De fait, les 90 mineurs arrêtés samedi à Paris l’ont tous été en flagrant délit de pillage, ainsi que bon nombre de « jeunes majeurs ». « Un gérant de bijouterie a tiré au flash-ball… Si ces pillages continuent, cela peut dégénérer », prévient ce policier, qui craint un « sérieux risque de bavure » de ce coté-là. « De toute façon, maintenant, on marche sur le bord d’un volcan », conclut-il. Jusqu’à quand ?

    Le message émis le 1er décembre à Paris, au Puy en Velay et ailleurs a été entendu et repris le 8 décembre dans de nombreuses grandes villes et villes moyennes. Ce que l’action de la police a parfois favorisé, comme dans le cas de ces bordelais qui avaient payé leur billet de train mais ont été empêchés de « monter à Paris » par la police.

    Avec sa tête de bon élève ce soir (la pitoyable scène de contrition est la seule que j’ai vue), et sa fausse hausse du SMIC, nul doute que nombreux seront ceux pour qui Jupiter fait à minima office de tête à claque.

    • Je vous rappelle qu’en Allemagne aussi la transformation de la Bundeswehr dans une armée de guerre civile est en cours. Le journal très conservateur Tagesspiegel y dédie un dossier entier sous son propre domaine internet.

      Afghanistan-Connection
      http://www.afghanistan-connection.de

      Sie waren zusammen im Afghanistan-Einsatz. Dem längsten und gefährlichsten seit Gründung der Bundeswehr.
      Jetzt sitzen sie auf entscheidenden Posten im Verteidigungsministerium, im Einsatzführungskommando, im Planungsamt.
      Ihr Wort hat Gewicht. Sie prägen das Bild, das sich die Ministerin macht.
      Sie bestimmen Ausrichtung, Struktur und Selbstverständnis der Truppe. Ihr Blick ist geprägt vom Erlebnis des Krieges.
      Vom Kampf gegen einen unsichtbaren Gegner. Vom Töten und Getötetwerden.
      Ein einseitiger Blick, der sich ausschließlich an Afghanistan orientiert. Mit gravierenden Folgen für die Sicherheit Deutschlands,
      wie Recherchen vom Tagesspiegel und dem ARD-Magazin FAKT zeigen.

      #Allemagne #armée #guerre_civile

    • Les précisions de la gendarmerie - Le 11.12.2018 à 17h30

      A la suite de la parution de notre article, la gendarmerie nationale a souhaité préciser que le dispositif dont nous vous rapportons l’existence n’est pas un liquide mais une « poudre »… Certains blindés déployés à Paris samedi étaient bien équipés d’un dispositif de « pulvérisation » d’un produit « incapacitant », de type « lacrymogène à dose forte », qui n’aurait été utilisé que sur « ordre d’une autorité ». Chacun des blindés équipés de ce dispositif de pulvérisation (visible en haut à droite face à l’engin) contient trois bouteilles de plongée dont deux sont chargées de la fameuse poudre sous pression. « Cela n’a jamais été utilisé en métropole », confie à Marianne le Sirpa gendarmerie, qui reconnaît qu’en « configuration normale », un blindé peut « pulvériser » sous forme d’épandage sur l’équivalent d’une surface de « un à deux terrains de football ». Marianne maintient que lors des réunions de crise au plus haut niveau, préparatoires à la manifestation du 8 décembre, il a bien été question de ce dispositif comme d’un « dernier rempart »… et qu’il aurait été capable « d’arrêter net une foule, mettant les gens à terre, même avec des masques ».

    • Capable de « neutraliser » une surface de plusieurs terrains de football…
      => Ce qui inclue les policiers en contact avec les manifestant.e.s. .
      Donc ne peut être utilisé facilement.

      – Réaction des policiers gazés envers leurs collègues et leur hiérarchie.

      – Si des policiers sont hors service, suite à l’utilisation de cette saloperie, les manifestants non touchés peuvent venir leur prendre leurs armes.

  • « IL Y A LA VOLONTÉ QUE LES COLLÈGUES SE LÂCHENT »

    Le mouvement des gilets jaunes ébranle les forces de police. Certains fonctionnaires, comme Martin, #CRS, ont décidé de se mettre en #arrêt_maladie pour ne plus se sentir du mauvais côté de la barricade.

    Martin (1) est CRS depuis de nombreuses années. Des #manifestations et des interventions parfois violentes, il en a connu un nombre incalculable. Malgré des conditions de travail difficiles et des doutes occasionnels, il a toujours appliqué les directives avec #discipline et #obéissance, comme le veut la profession. Mais la réponse policière aux manifestations de ces dernières semaines ordonnée par le ministère de l’Intérieur l’a tellement écœuré qu’il a préféré se mettre en arrêt maladie pour ne plus cautionner cette #répression_aveugle. « Je ne me voyais pas taper sur des gens qui n’ont rien fait. L’usage de la #force est censé être proportionné. Même si ce terme est subjectif, ça veut dire qu’on n’a pas le droit de tout faire. Or, quand on nous dit de gazer sans sommation des #lycéens qui manifestent pacifiquement, c’est un #ordre_illégal. Dans le mouvement des gilets jaunes, ce ne sont plus des groupes de #casseurs bien identifiés qu’on a en face de nous, c’est le #peuple : des gens qui ont un réel #combat ou même qui se retrouvent en situation de #légitime_défense face à la police », s’insurge-t-il.

    « On se demande si notre devoir ne serait pas d’être avec le peuple. On subit la même #violence_sociale... »
    D’après lui, il y a une réelle volonté politique de jeter de l’huile sur le feu. « Quand on voit dans les comptes rendus opérationnels le nombre de lacrymos ou de #Flash-Ball utilisés, on est à des niveaux exceptionnels, alors qu’on a vécu des manifestations beaucoup plus dangereuses pour nous où on avait interdiction d’utiliser les lanceurs de balles de défense (nom officiel du Flash-Ball – NDLR) », affirme-t-il. « Et ça, ce sont des décisions qui viennent du #ministère_de_l’Intérieur », souligne-t-il. En parallèle, « aucune #consigne de mesure n’est donnée aux CRS, contrairement à d’autres manifestations où on nous met la pression. Là, il y a une volonté que les collègues se lâchent », estime-t-il. D’autant que l’état physique des fonctionnaires de police n’arrange pas vraiment les choses. « Quand on doit se lever à 2 heures du matin pour rejoindre sa compagnie à 3 heures et être sur les Champs-Élysées de 7 heures du matin à 22 heures, c’est sûr qu’on est épuisé et qu’on n’a plus le même discernement ni le même self-control », rappelle-t-il.

    Et ce n’est pas la prime promise par Emmanuel Macron qui suffira à apaiser les tensions. « Tous les collègues auxquels j’en ai parlé se sont sentis insultés. On l’a ressenti comme si c’était un susucre qu’on nous donnait pour qu’on ferme notre gueule et qu’on aille faire le #sale_boulot », lâche-t-il. D’après lui, le mouvement des gilets jaunes a fait naître des débats inédits dans sa compagnie. « Certains taperaient sur père et mère si on leur en donnait l’ordre. Mais il y a une vraie #crise_existentielle pour d’autres. On se demande si notre devoir ne serait pas d’être avec le peuple. On subit la même #violence sociale en termes de salaire, et on est doublement #victimes de l’#autoritarisme de l’État parce qu’en plus c’est notre patron et qu’on est muselés », souligne le fonctionnaire, qui a observé plusieurs arrêts maladie dans sa compagnie ces derniers jours. « Il ne manque pas grand-chose pour que les flics refusent de retourner en manif la prochaine fois », estime-t-il.

    Concernant le revirement annoncé dans la #stratégie_de_maintien_de_l’ordre mise en place par la préfecture de police de Paris – d’un dispositif plus statique samedi dernier à celui prévu comme plus mobile et offensif pour ce samedi –, Martin estime qu’il s’agit là d’une « décision politique habituelle ». « C’est ce qui a été fait lors des dernières manifestations contre la loi travail ou le 1er Mai : on nous donne l’ordre de laisser casser pour que le mouvement devienne impopulaire, et la fois d’après on y va fort parce que l’#opinion_publique attend une réaction de #répression_policière. »

    (1) Le prénom a été modifié.

    http://www.frontsyndical-classe.org/2018/12/un-crs-temoigne-on-nous-donne-l-ordre-de-laisser-casser-pour-q
    #CRS #gilets_jaunes #police #témoignage #résistance

  • Dépeçage des Archives
    https://blogs.mediapart.fr/isabelle-foucher/blog/161118/depecage-des-archives-un-recul-de-la-democratie

    Souvenons-nous qu’en septembre 2010 Nicolas Sarkozy avait décidé l’implantation de sa Maison de l’Histoire de France, musée nauséabond de l’identité nationale, sur le site des Archives nationales de Paris. Par la mobilisation, le personnel des Archives nationales soutenu par les historiens, universitaires, étudiants et une majorité de la population, avait mis en échec ce projet néfaste en août 2012. La première fois dans l’histoire de la Ve République qu’un projet culturel présidentiel annoncé ne voyait pas le jour. Nous aurions pu penser que les Archives nationales étaient enfin à l’abri, que leur « sanctuarisation » était acquise. Il n’en était rien.

    Il y a un an, Françoise Nyssen estimait dans sa « Contribution ministérielle aux travaux du CAP 2022 » (révélée par le journal Le Monde le 15 novembre 2017), que l’État menait une « une politique des archives trop coûteuse car visant à l’exhaustivité ». De cette double contre-vérité (rappelons que l’État consacre 0,000165 % de son budget pour les archives, soit 30 M€, et que moins de 10 % de la production papier d’une année X a vocation à devenir archives définitives), est née une politique : les archives « essentielles ».

    Pour faire des économies, il faudrait « augmenter la sélectivité de la collecte », « recentrer la collecte sur les archives "essentielles", mutualiser les services et dématérialiser massivement », « regrouper en un seul service les trois services à compétence nationale ». Conséquences, une « réduction de 10 à 20 % de la collecte annuelle » et une « réévaluation du stock [élimination] d’au moins 15 kml d’archives », avec un « approfondissement des chantiers d’externalisation ».

    Et le ministère de la Culture ne s’arrêterait pas là. Il s’agirait maintenant que le contrôle scientifique et technique assuré par l’État puisse être transféré, en tout ou partie, aux producteurs. Après la loi du 15 juillet 2008, la politique des « archives essentielles » ouvre donc une nouvelle phase du processus de désengagement de l’État.

    Toutes ces mesures visent à la déréglementation et à la « balkanisation » accrue d’un réseau dont nous connaissons déjà la fragmentation. La multiplication des centres d’archives, l’absence de politique scientifique et archivistique nationale, l’explosion des pratiques professionnelles, viennent signer un recul démocratique majeur.

    En ce sens, l’affaiblissement de l’appareil administratif et la rétrogradation dans l’organigramme de l’État de l’ancienne Direction des Archives de France, sa transformation en un simple Service Interministériel des Archives de France (SIAF) en 2010 (Révision Générale des Politiques Publiques), est lourd de conséquences.

  • « 1984 » à l’indicatif présent Frédérick Lavoie - 2 juin 2018 - Le Devoir
    https://www.ledevoir.com/lire/529253/entrevue-1984-a-l-indicatif-present

    C’est l’un des romans les plus traduits et retraduits de la littérature anglo-saxonne, avec plus de 65 langues au compteur. Depuis la parution originale de 1984 il y a près de sept décennies, des millions de lecteurs ont frémi en suivant la descente aux enfers de Winston Smith, fonctionnaire au ministère de la Vérité (ou « Miniver » en #novlangue) qui, par une journée froide et claire d’avril, entame l’écriture d’un journal intime dans lequel il confie sa haine de #Big_Brother, le guide suprême et omniscient du Parti.

    En Océania totalitaire, Winston le sait bien, son « crimepensée » lui vaudra tôt ou tard d’être arrêté par la Police de la pensée afin d’être rééduqué ou « vaporisé ».

    Jusqu’à maintenant, les lecteurs francophones n’avaient pu découvrir le monde #dystopique imaginé par George Orwell qu’à travers une seule traduction, parue chez Gallimard en 1950 et sans cesse rééditée. Pour une raison qui demeure inconnue, la traductrice Amélie Audiberti avait choisi de conserver en anglais le Big Brother de la version originale, pourtant devenu Gran Hermano, Großer Bruder, Wielki Brat et Büyük Birader dans d’autres langues.

    La force du propos d’Orwell et son actualité sans cesse renouvelée, du stalinisme aux « faits alternatifs » de Trump et sa bande, ont fait en sorte qu’on s’est peu attardé à la qualité littéraire de la traduction d’Audiberti. Or, en y regardant de plus près, elle apparaît plutôt bancale et truffée d’inexactitudes et d’approximations.


    Alors que l’oeuvre d’Orwell s’apprête à entrer dans le domaine public en France en 2020 (elle l’est déjà au Canada depuis 2001, mais aucun éditeur québécois n’a semble-t-il saisi l’occasion pour la rééditer), #Gallimard a voulu prendre de l’avance sur ses concurrents en offrant une nouvelle traduction.

    Dans son appartement lumineux du XVIIIe arrondissement de Paris, la traductrice Josée Kamoun, à qui a incombé la tâche de revisiter le classique, raconte s’être résignée très tôt à conserver le Big Brother de sa prédecesseure. Le personnage était trop ancré dans l’imaginaire collectif pour soudainement se transformer en Grand Frère. « Je savais que ça ne passerait plus. »

    Big Brother est toutefois demeuré le seul intouchable d’une traduction à l’autre. Dans le 1984 de Kamoun, Winston Smith travaille désormais au « Minivrai » et habite en « Océanie », où son « mentocrime » risque d’être puni par la « Mentopolice », dont la tâche est de s’assurer que les membres du Parti respectent les principes du « Sociang » (et non de l’« #Angsoc »).

    De la novlangue au néoparler
    Quant à la novlangue d’#Audiberti, Josée Kamoun s’est permis de la rebaptiser « néoparler ». Le souci d’exactitude a primé l’usage devenu courant du terme, principalement pour parler de la langue de bois des politiciens et autres décideurs. « Si Orwell avait voulu créer la Newlang , il l’aurait fait. Mais il a créé le Newspeak , qui n’est pas une langue mais une anti-langue. Il savait ce qu’il faisait, » justifie celle qui a plus d’une cinquantaine de #traductions à son actif, dont plusieurs romans de Philip Roth, de John Irving et de Virginia Woolf.

    Autre choix audacieux de Josée Kamoun : celui de narrer l’action au présent, un temps qui, selon elle, reproduit mieux l’effet de la version originale anglaise, pourtant écrite au passé. « Le traducteur est là pour traduire un effet, et non pas simplement des mots, explique l’enseignante de littérature et de traduction à la retraite. En anglais, le prétérit n’est pas un temps pompeux, contrairement au passé simple en français. C’est un temps ordinaire qu’on peut emprunter dans la langue parlée. »

    Dans la traduction de Josée Kamoun, les membres du Parti ne se vouvoient plus mais se tutoient, comme il était de mise entre camarades communistes à l’époque. Et Big Brother interpelle maintenant les citoyens d’Océanie à la deuxième personne du singulier. « Tu as beaucoup plus peur s’il TE regarde que s’il VOUS regarde », souligne la traductrice.

    Le corps dans tous ses états
    Lorsque Josée Kamoun a lu pour la première fois #1984 au début de la vingtaine, la #dystopie d’Orwell l’a « envoyée au tapis », se souvient-elle. « Ce livre va chercher nos angoisses les plus primaires, comme celles d’être kidnappé ou torturé. » En s’appropriant le texte pour mieux le traduire, elle dit avoir décelé une « colonne vertébrale » rarement ou jamais abordée dans les analyses qui ont été faites du roman : le thème du corps.

    « Winston représente cette conscience vulnérable, cette fragilité humaine qui passe par le corps. Il n’a que 39 ans, mais déjà, il est cuit. Il a un ulcère à la cheville, il ne peut plus toucher le bout de ses orteils. Tout est moche, tout pue autour de lui. Et voilà que par son geste de résistance [l’écriture de son journal], il enclenche un nouveau rapport au corps.

    Avec [son amante] Julia, il connaît l’explosion des sens. Tout d’un coup, le corps existe. Non seulement on fait l’amour, mais on mange du vrai chocolat, on boit du vrai café, et ça sent tellement bon qu’il faut fermer la fenêtre pour ne pas attirer l’attention. Après son arrestation, il subit toutes sortes de coups et d’électrochocs. Il n’habite plus du tout son corps. Puis, on le remplume afin de le rééduquer. Mais tout ce qui était désiré et désirable chez lui a disparu, comme l’appétit de vivre. C’est le corps de la trahison. »

    En exposant les joies et les souffrances physiques qui résultent des choix politiques d’un citoyen dans un système totalitaire, George Orwell rappelle qu’au-delà de notre volonté et de nos convictions les plus fortes, « l’homme, c’est d’abord un corps ».

    Traductions comparées
    L’incipit
    1949 : It was a bright cold day in April, and the clocks were striking thirteen.
    1950  : C’était une journée d’avril froide et claire. Les horloges sonnaient treize heures.
    2018  : C’est un jour d’avril froid et lumineux et les pendules sonnent 13 :00.

    Le slogan
    1949  : War is peace. Freedom is slavery. Ignorance is strength.
    1950  : La guerre c’est la paix. La liberté c’est l’esclavage. L’ignorance c’est la force.
    2018  : Guerre est paix. Liberté est servitude. Ignorance est puissance.

    La mentopolice
    1949  : How often, or on what system, the Thought Police plugged in on any individual wire was guesswork.
    1950  : Combien de fois, et suivant quel plan, la Police de la Pensée se branchait-elle sur une ligne individuelle quelconque, personne ne pouvait le savoir.
    2018  : À quelle fréquence et selon quel système la Mentopolice se branche sur un individu donné relève de la spéculation.

    Le néoparler
    1949  : “You haven’t a real appreciation of Newspeak, Winston”, he said almost sadly. “Even when you write it you’re still thinking in Oldspeak.”
    1950  : — Vous n’appréciez pas réellement le novlangue, Winston, dit-il presque tristement. Même quand vous écrivez, vous pensez en ancilangue.
    2018  : — Tu n’apprécies pas le néoparler à sa juste valeur, commente-t-il avec un air de tristesse. Même quand tu écris, tu continues à penser en obsoparler.

    Journaliste, Frédérick Lavoie est aussi l’auteur d’Avant l’après : voyages à Cuba avec George Orwell (La Peuplade), qui scrute les transformations cubaines par le prisme de 1984.

    #ministère_de_la_vérité #propagande #george-orwell #capitalisme

  • Les députés adoptent la définition d’une « fausse information » - | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/300518/les-deputes-adoptent-la-definition-d-une-fausse-information

    Désormais, la proposition de loi définit « une fausse information » comme « toute allégation ou imputation d’un fait dépourvue d’éléments vérifiables de nature à la rendre vraisemblable ». Cette définition est en réalité beaucoup plus large que celle de « fausse nouvelle ». Mais, pour répondre aux inquiétudes du Conseil d’État, les députés ont ajouté une nouvelle condition à l’ouverture d’une procédure pour référé. En plus d’être « de nature à altérer la sincérité du scrutin » et d’avoir été diffusée « de manière artificielle ou automatisée et de manière massive », la « fausse information » doit désormais l’avoir été « de mauvaise foi ».

    Les députés ont répondu à une autre critique du Conseil d’État en précisant la durée d’application des mesures en période électorale. La version initiale faisait référence au décret de convocation des électeurs. Désormais, cette durée est limitée à trois mois.

    Les députés sont en revanche restés sourds aux demandes visant à exclure du champ d’application de la loi les sites d’information en ligne. « Détournée de l’esprit de la loi, cette procédure pourrait constituer le moyen de faire supprimer des informations publiées par la presse », s’inquiétait ainsi le Syndicat de la presse indépendante d’information en ligne (le Spiil, dont Mediapart est adhérent) dans un communiqué diffusé le 10 avril. En effet, même sous le contrôle du juge, elle interviendrait en dehors des dispositions de la loi de 1881 qui garantit le juste équilibre entre liberté d’expression et protection des personnes et des institutions. »

    Toujours concernant la procédure de référé, les députés ont également décidé de ne pas l’ouvrir au grand public. Seuls le ministère public, un candidat ou une formation politique pourront saisir le juge.

    #ministère_de_la_vérité

    • Pfff ! c’est le jour des titres débiles (et, ici, FAUX !)

      Première phrase de l’article (le reste est sous #paywall, merci @mad_meg pour le contenu)

      La commission des affaires culturelles de l’Assemblée nationale a finalisé, mercredi 30 mai, l’écriture de la proposition de loi sur les fausses nouvelles, un texte controversé chargé de la délicate mission de lutter contre les opérations de désinformation durant les campagnes électorales.

      L’agenda de l’AN me dit que la première discussion en séance publique aura lieu le jeudi 7 juin 2018…

      EDIT

      oups ! ça c’est la loi organique
      http://www.assemblee-nationale.fr/15/dossiers/lutte_fausses_informations.asp

      la loi (tout court) c’est là
      http://www.assemblee-nationale.fr/15/dossiers/fausses_informations_lutte.asp

      (on notera la subtile différence de l’adresse…)

      Et le projet de la commission est (enfin sera) là
      http://www.assemblee-nationale.fr/15/ta-commission/r0990-a0.asp
      mais toujours débat public le 7 juin.

    • Ah merci @simplicissimus tu me rassure.
      et merci @james je reviens après avoir visionner ton lien.

      Voici la suite du texte sur médiapart

      À l’origine voulu par l’exécutif, ce texte avait finalement été déposé le 21 mars par le député LREM Richard Ferrand. Il prévoyait, dans sa version initiale, trois principales mesures applicables durant la durée des campagnes électorales. La première imposait plus de transparence aux grandes plateformes en rendant obligatoire l’affichage des commanditaires de « contenus d’information » sponsorisés. La deuxième créait une nouvelle procédure permettant de saisir le juge des référés pour obtenir, sous 48 heures, le déréférencement ou le blocage d’un site ou d’un compte diffusant « artificiellement et de manière massive » des fausses informations « de nature à altérer la sincérité du scrutin ».

      La troisième, enfin, renforçait les pouvoirs du Conseil supérieur de l’audiovisuel (CSA). Il était proposé qu’il puisse refuser une convention et même suspendre la diffusion durant les périodes électorales d’une chaîne de télévision contrôlée par ou sous l’influence d’un État étranger et mettant en danger les « intérêts fondamentaux de la Nation » en se livrant « à une entreprise de déstabilisation de ses institutions, notamment par la diffusion de fausses nouvelles ».

      Lors de son passage devant les commissions des lois et des affaires culturelles, cette proposition de loi a été sensiblement modifiée. À commencer par son titre. Signe du malaise face aux risques de censure liés à la difficulté de déterminer la fausseté d’une information, le texte a été renommé « Proposition de loi relative à la lutte contre la manipulation de l’information ». Dans l’exposé de l’amendement, son auteur, le rapporteur LREM de la commission des affaires culturelle Bruno Studer, entend ainsi affirmer que cette loi « ne vise pas à lutter contre l’ensemble des fausses informations : celles qui sont diffusées à des fins humoristiques ou satiriques, ou par erreur, n’entrent pas dans le champ de la proposition de loi ».

      Ce sont pourtant bien les « fausses informations » qui sont toujours visées par la proposition de loi, notamment dans la nouvelle procédure de référé. Pour répondre aux critiques émises par le Conseil d’État dans un avis en date du 19 avril, les députés ont même précisé la définition d’une « fausse information ». Le texte initial renvoyait à l’article 27 de la loi sur la liberté de la presse du 29 juillet 1881, qui sanctionne la diffusion de fausses nouvelles, une notion jugée trop large par le Conseil d’État, qui craignait « qu’une atteinte disproportionnée puisse être portée à la liberté d’expression ».

      Désormais, la proposition de loi définit « une fausse information » comme « toute allégation ou imputation d’un fait dépourvue d’éléments vérifiables de nature à la rendre vraisemblable ». Cette définition est en réalité beaucoup plus large que celle de « fausse nouvelle ». Mais, pour répondre aux inquiétudes du Conseil d’État, les députés ont ajouté une nouvelle condition à l’ouverture d’une procédure pour référé. En plus d’être « de nature à altérer la sincérité du scrutin » et d’avoir été diffusée « de manière artificielle ou automatisée et de manière massive », la « fausse information » doit désormais l’avoir été « de mauvaise foi ».

      Les députés ont répondu à une autre critique du Conseil d’État en précisant la durée d’application des mesures en période électorale. La version initiale faisait référence au décret de convocation des électeurs. Désormais, cette durée est limitée à trois mois.

      Les députés sont en revanche restés sourds aux demandes visant à exclure du champ d’application de la loi les sites d’information en ligne. « Détournée de l’esprit de la loi, cette procédure pourrait constituer le moyen de faire supprimer des informations publiées par la presse », s’inquiétait ainsi le Syndicat de la presse indépendante d’information en ligne (le Spiil, dont Mediapart est adhérent) dans un communiqué diffusé le 10 avril. En effet, même sous le contrôle du juge, elle interviendrait en dehors des dispositions de la loi de 1881 qui garantit le juste équilibre entre liberté d’expression et protection des personnes et des institutions. »

      Toujours concernant la procédure de référé, les députés ont également décidé de ne pas l’ouvrir au grand public. Seuls le ministère public, un candidat ou une formation politique pourront saisir le juge. Les députés sont au passage revenus sur un des garde-fous prévus par le texte initial qui prévoyait que le tribunal de grande instance de Paris, réputé pour être plus habitué aux affaires de presse, aurait une compétence exclusive pour juger les référés. Les plaignants auront désormais le choix entre saisir le TGI de Paris ou leur tribunal « territorialement compétent ».

      Lire aussi

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      Concernant les pouvoirs du CSA, les députés ont introduit dans le texte une innovation majeure en offrant pour la première fois au conseil un pouvoir de contrôle sur l’Internet. Le rapporteur Bruno Struder a en effet proposé une réécriture totale de l’article 9, qui prévoyait à l’origine des obligations de transparence et de signalement pour les plateformes du Web. « Le Conseil supérieur de l’audiovisuel contribue à la lutte contre la diffusion de fausses informations », affirme dans son premier alinéa le nouvel article 9. Les plateformes auront l’obligation de mettre en place des mesures de signalement et de lutte contre les fausses nouvelles. Le CSA sera chargé de surveiller la mise en place de ces mesures et pourra, le cas échéant, formuler des recommandations.

      Les députés de la Nouvelle gauche et de la majorité de la commission des affaires culturelles se sont rejoints pour l’introduction d’une nouvelle série de mesures visant « à l’éducation aux médias et à l’information ». Celle-ci prévoit notamment de rendre obligatoire dans les collèges « une formation à l’analyse critique de l’information » dans le cadre des cours d’éducation aux médias déjà dispensés. Une autre mesure vise à inciter les plateformes du Web, les agences de presse, les éditeurs, les annonceurs et les organisations de journalistes à « conclure des accords de coopération relatifs à la lutte contre la diffusion des fausses informations ».

      Cette nouvelle version de la proposition de loi de « lutte contre la manipulation de l’information » doit maintenant être adoptée en première lecture par l’ensemble des députés le 27 juin avant d’être transmise au Sénat.

    • Dans tout le monde occidental, tels des lemmings hallucinés, on rédige et on vote des lois sur les fake news, alors même que personne n’est capable de faire une liste de faits susceptibles de démontrer qu’il y a un problème avec des fausses nouvelles.

      On voudrait démontrer qu’il existe un complot mondial pour réduire la liberté d’expression, qu’on ne s’y prendrait pas autrement.

      Et c’est pareil sur tous les domaines relatifs aux libertés et à l’économie. Partout, en même temps, on vote les mêmes lois sur les mêmes sujets. Si ce n’est pas concomitant, c’est relativement proche, à moins de 5 ans près.

    • Apparemment, la proposition de loi (et la loi organique qui ira avec) s’appelle maintenant :
      Loi relative à la lutte contre la manipulation de l’information

      (j’imagine à cause de la difficulté intrinsèque liée à la définition de la #fausse_information
      • manipuler, on peut l’établir, … encore que recopier une dépêche AFP, c’est déjà une manipulation…
      • fausseté de l’information, ça devient compliqué

      Au passage, lire les 5 sens recensés sur le Wiktionnaire…
      https://fr.wiktionary.org/wiki/manipuler

      je simplifie (manipule, quoi…)

      1. chimie, manier avec soin
      2. expérimenter (scientifique)
      3. tripoter
      4. employer avec aisance (dans les lieux ad hoc, ok, [ ] -> )
      5. figuré, exercer une action plus ou moins occulte (comme les coups de pieds du même nom, ah, tiens non, je suis rentré…)

    • Marrant, manipulation dans le Wiktionnaire, un peu différent (nettement plus complotiste)
      https://fr.wiktionary.org/wiki/manipulation
      (toujours en résumé)

      1. action de manipuler
      2. figuré, action de manipuler psychiquement
      3. action de diriger secrètement

      et toujours pas, d’ailleurs, de référence aux kinés, physios (dans d’autres pays francophones,…) et autres chiropracteurs…

      chiropracteur — Wiktionnaire
      https://fr.wiktionary.org/wiki/chiropracteur

      Personne qui traite par des manipulations diverses, notamment de la colonne vertébrale.

  • Le Café Pédagogique Mensuel - EDITION ACTUALITES
    http://www.cafepeda.net/181_actu.htm#a1

    Éditorial : Blanquer : Fin de l’état de grâceMoins d’un an après l’arrivée au ministère de JM Blanquer, un tournant vient d’être pris. Après des mois d’opinion semble-t-il très favorable, le ministre semble ne récolter que de l’opposition chez les professionnels de l’éducation comme le montrent pas moins de trois études récentes. L’état de grâce qui a suivi l’élection présidentielle et les premières mesures, semble terminé. L’ascension politique de JM Blanquer continue. Mais son programme éducatif se heurte à une opposition à la fois large et déterminée. Pour JM Blanquer, les temps difficiles rue de Grenelle arrivent alors que l’oasis de la rue de Varenne est encore loin.

    #Blanquer #éducnat #éducation

    cc @heautontimoroumenos

  • #fret_ferroviaire : le désastre de l’ouverture à la #concurrence
    https://www.mediapart.fr/journal/france/020418/fret-ferroviaire-le-desastre-de-l-ouverture-la-concurrence

    DR Douze ans après l’ouverture du fret ferroviaire à la concurrence, le bilan est calamiteux. Le #transport des marchandises par rail en #France est tombé au plus bas niveau européen, tous les acteurs perdent de l’argent. Déficitaire et surendetté, Fret #SNCF va de restructuration en restructuration.

    #Economie #dette #Deutsche_Bahn #ministère_des_finances #route #Service_public

  • Le ministre Le Drian met la diplomatie française au service de ses petits-fils
    https://www.mediapart.fr/journal/france/060318/le-ministre-le-drian-met-la-diplomatie-francaise-au-service-de-ses-petits-

    Le ministre des affaires étrangères est un des poids lourds de l’exécutif d’Emmanuel Macron. © Reuters À la rentrée scolaire 2017, deux adolescents ont pu s’inscrire après la date limite de dépôt des dossiers dans le prestigieux #lycée_français_de_Barcelone. L’établissement a refusé des centaines d’élèves cette année-là. Mais les heureux élus ont pu compter sur le soutien de leur aïeul, #Jean-Yves_Le_Drian, ministre des affaires étrangères dont le cabinet s’est directement impliqué dans le dossier. Pour convaincre, une visite du ministre a même été mise dans la balance.

    #France #ministère_des_affaires_étrangères

  • #Gérard_Collomb, le bouclier d’Emmanuel Macron
    https://www.mediapart.fr/journal/france/210218/gerard-collomb-le-bouclier-d-emmanuel-macron

    © Reuters Le ministre de l’intérieur présente, ce mercredi 21 février, le projet de loi sur l’asile et l’immigration en conseil des ministres. Fidèle de la première heure du président de la République, l’ancien maire de #Lyon occupe une place toute particulière dans le dispositif gouvernemental. Et assume pleinement sa politique de fermeté.

    #France #asile #Beauvau #Emmanuel_Macron #exécutif #gouvernement #immigration #ministère_de_l'intérieur

  • Les méthodes radicales du nouveau directeur de cabinet de la ministre de la santé
    https://www.mediapart.fr/journal/france/030118/les-methodes-radicales-du-nouveau-directeur-de-cabinet-de-la-ministre-de-l

    Raymond Le Moign dirigera le cabinet d’Agnès Buzyn au moment de la réforme du financement de l’hôpital annoncée pour 2018. Auparavant à la tête du #CHU de #Toulouse, il fut le premier directeur à tailler dans les effectifs soignants, engageant des restructurations qui se sont traduites par une grande souffrance au travail.

    #France #Agnès_Buzyn #ministère_de_la_santé #Raymond_Le_Moign

    • Bachelot, Touraine, Buzyn. Les ministres de la santé tombent, alors que lui grimpe dans l’administration. Raymond Le Moign entrera en fonctions, ce 2 janvier 2018, au poste de directeur de cabinet d’Agnès Buzyn, ministre des solidarités et de la santé. « C’est un poste qui ne se refuse pas », dit le haut fonctionnaire dans l’interview exclusive qu’il a accordée à La Dépêche du Midi, pour expliquer pourquoi il quitte, après deux ans de mandat à peine – il était arrivé en février 2016 –, la direction du centre hospitalier universitaire (CHU) de Toulouse et ses 16 000 salariés.

      Là-bas, il n’a pas laissé que de bons souvenirs. « Le seul point noir, au CHU de Toulouse, c’est la contestation sociale », concède-t-il lui-même dans l’interview à La Dépêche. Pourtant, les choses n’avaient pas si mal commencé. « Il était réputé être un homme de dialogue. Au début, il nous a demandé de l’informer directement de certaines choses, parce que ses directions intermédiaires faisaient de la rétention d’information. Il nous disait même qu’il fallait revoir à la hausse les créations de postes », raconte Julien Terrié, représentant de la CGT.

      En effet, Raymond Le Moign, auparavant sous-directeur des ressources humaines à la direction générale de l’offre de soins, au ministère, excelle dans la négociation. « On l’appelait “le pompier”, parce qu’il était envoyé pour éteindre les incendies, pour résoudre les conflits. Mais il y a une ambiguïté avec ce type de personnage, qui dit faire “au mieux” sans jamais remettre en cause les données des problèmes, liés la plupart du temps à l’austérité. Il est capable de vous amputer le bras pour vous sauver la vie. Il a une fibre “fonction publique”, mais reste dans la pensée unique », analyse Jean Vignes, secrétaire général de Sud santé sociaux, amené par le passé à rencontrer M. Le Moign lors de négociations au ministère.

      Une ambiguïté que les syndicalistes du quatrième CHU de France ont vite fait d’éprouver. Et malgré leurs relations cordiales, au début du mandat de M. Le Moign, la certification des comptes, qui établit début 2016 un déficit de 30 millions d’euros, marque le premier refroidissement. « Nous lui avons proposé de mener une campagne pour demander à l’État de ne pas ponctionner les 43 millions d’euros de taxe sur les salaires qu’il prélève à l’hôpital, et de renégocier la dette de 60 millions d’euros avec les banques. Mais il a préféré rester dans le cadre, et cela signifiait supprimer des postes, y compris de soignants, alors que la ville voit sa population augmenter de 12 000 personnes chaque année en ce moment », poursuit le syndicaliste.

      Le plan Avenir, mis en place par M. Le Moign pour remédier au déficit de l’hôpital, s’est traduit par la suppression de 39 équivalents temps plein en 2016, et de 56 en 2017. « Le plan Avenir s’est traduit par des restructurations partout, une augmentation de l’ambulatoire, et la privatisation du bionettoyage des chambres et du brancardage », déplore Julien Terrié.

      À l’été 2016, en 18 jours, quatre salariés de l’hôpital mettent fin à leurs jours, parfois dans son enceinte même. « Les suicides étaient au moins en partie liés aux conditions de travail. On a demandé la suspension immédiate des restructurations liées au plan Avenir. Le Moign n’a rien mis en place des mesures d’urgence que nous demandions », explique encore Julien Terrié. Et ce, malgré les courriers de l’Inspection du travail allant dans ce sens.

      Les relations avec les syndicats se détériorent : « À chaque fois qu’on voulait aller négocier dans son bureau, il s’enfuyait par des portes dérobées. » Le directeur distribue par la suite sept blâmes et mutations disciplinaires aux représentants de la CGT. « Une première », commente Julien Terrié. Raymond Le Moign rechigne également à répondre aux médias, à Mediapart comme à l’émission d’« Envoyé spécial » intitulée « Hôpital public, la loi du marché »

      La fin du mandat de M. Le Moign est marquée par deux grèves : l’une, du service qui transporte les prélèvements, dure depuis plus de 60 jours. Les agents de l’hôpital demandent à bénéficier d’une prime « insalubrité » de 41 euros, au vu de ce qu’ils transportent : urines, excréments, sang, etc. Ils demandent également à pouvoir passer, après formation, en catégorie B, et que leurs véhicules, vieillissants, soient remis en état. À l’heure où nous écrivons ces lignes, le conflit ne trouve pas d’issue. Au contraire, la veille de Noël, la grève du service de psychiatrie de l’enfant et de l’adolescent, hébergé à la Villa Ancely, a permis d’obtenir le remplacement des arrêts maladie longue durée.
      La nomination de leur ancien patron au cabinet de la ministre passe mal, et les syndicalistes l’ont fait savoir par une conférence de presse. « Nous sommes inquiets : Mme Buzyn dit partout qu’il ne faut pas baisser le nombre de soignants, or Raymond Le Moign fut le premier directeur à le faire à Toulouse », pointe le syndicaliste, pour qui cette nomination constitue un symbole.

      La réaction des praticiens hospitaliers du CHU est nettement plus tiède : « M. Le Moign est resté deux ans à la tête de l’hôpital, il arrivait dans un système de contraintes qui le dépassent et qui lui survivront. Les responsabilités sont partagées, et à chercher en amont », explique François Prévoteau du Clary, secrétaire général du syndicat des praticiens hospitaliers du CHU de Toulouse. Pierre-Louis Canavelli, représentant CFDT, le qualifie également de personne « compétente, pragmatique et ouverte au dialogue, dont la parole était plus crédible que son prédécesseur, bien plus agressif ».

      Invitée sur les ondes de Sud Radio, la ministre des solidarités et de la santé Agnès Buzyn a répondu aux inquiétudes des cégétistes : « [M. Le Moign] avait une mission qui était le retour à l’équilibre de ce CHU. Les échos que j’en ai des élus toulousains qui m’en parlent me disent que ça a été un excellent directeur d’hôpital. Par ailleurs, j’ai connu M. Raymond Le Moign dans d’autres fonctions et je sais la vision qu’il a de la santé pour nos concitoyens, qui est très proche de la mienne, c’est-à-dire la qualité des soins. » Raymond Le Moign dirigera donc le cabinet d’Agnès Buzyn au moment de la réforme du financement de l’hôpital annoncée pour 2018, ainsi que celle des retraites, dont le ministère est également en charge.
      Jean Vignes, militant à Sud et routard du système de santé, émet une hypothèse sur les raisons qui ont poussé la ministre à nommer cet ancien élève de l’École des hautes études en santé publique à la direction de son cabinet. D’avril 2004 à juillet 2007, Raymond Le Moign a été directeur général adjoint du Centre de lutte contre le cancer à Nantes, et il est devenu vice-président de la Fédération nationale des Centres de lutte contre le cancer (FNCLCC, devenue Unicancer). Ces Centres de lutte contre le cancer sont des établissements de santé privés d’intérêt collectif (ESPIC). Or, les 23 et 24 novembre derniers, a eu lieu à Aix-en-Provence l’étude des coûts à méthodologie commune, un séminaire de décideurs hospitaliers. « La conclusion de cette réunion était que l’avenir, pour les établissements de la fonction publique hospitalière, était d’en sortir, pour se transformer en établissements privés à but non lucratif. Le modèle alors cité était le Centre de lutte contre le cancer. Cette idée est une vieille lune, qui avait déjà cours sous Sarkozy. Cela serait une solution pour revaloriser les carrières infirmières sans être obligé, pour le gouvernement qui l’a promis, d’aligner les grilles de salaire des deux autres fonctions publiques (d’État et territoriale) », anticipe le syndicaliste.

      Pour les autres interlocuteurs rencontrés dans le cadre de cet article, ces conjectures sont fantasques. « Seul l’avenir pourra valider ma supposition, mais il y a quand même beaucoup de fils qui convergent. La formuler, c’est déjà dire que l’on n’est pas dupes si le gouvernement s’engage sur cette voie », conclut le stratège de Sud santé sociaux.

      #techno-killer #restructuration #hôpital #établissements_privés_à_but_non_lucratif.

  • La destruction d’archives se heurte à la communauté scientifique
    https://www.mediapart.fr/journal/france/020118/la-destruction-d-archives-se-heurte-la-communaute-scientifique

    Le site de conservation des #archives à Pierrefitte Un projet du #ministère_de_la_culture visant à réduire le nombre d’archives publiques afin d’économiser 7 millions d’euros en cinq ans provoque une belle unanimité contre lui. Car les archives n’intéressent pas que les chercheurs : « Des archives publiques bien tenues sont essentielles à un État de droit », rappelle l’historienne Raphaëlle Branche.

    #France

    • Des archives que personne, jamais, ne pourra lire.

      C’est ce que l’État a créé avec sa loi sur les archives de 2008 : des archives dites « incommunicables », qui ne seront jamais consultables par le citoyen. Les documents concernés sont ceux se rapportant aux armes de destruction massive, au sens très large (armes chimiques, armes nucléaires...). Une invention de 2008 et qui pour l’historienne, rédactrice en chef de la revue XXe siècle, et membre du Conseil supérieur des archives Raphaëlle Branche, pose un vrai problème. "On aurait tout à fait pu faire autrement, argumente-t-elle. On aurait pu créer un délai de 200, 150 ans, un délai très long. Symboliquement, politiquement, ça n’aurait pas du tout eu la même portée. Là, l’État dit au citoyen son absolu pouvoir".

      https://beta.arretsurimages.net/articles/archives-incommunicables-letat-dit-au-citoyen-son-absolu-pouvoi

    • Mémoire en danger : le démantèlement des archives nationales

      Au mois de novembre, un document interne du ministère de la culture a fuité auprès du grand public. Ce document, intitulé « Comité d’action publique 2022 », avait notamment pour ambition la réduction des archives nationales. Il prolonge les tentatives des gouvernements successifs depuis 2008 pour affaiblir l’archivage public.

      Les archives nationales sont un service public, organisé par le ministère de la culture. Elles existent depuis la Révolution française, afin de garantir à tous les citoyens un accès libre et gratuit aux décisions de l’Etat et aux actes publics. Le rapport ministériel mentionnait trois pistes en l’espace de quatre pages : réduire « de 10 à 20% la collecte annuelle » d’archives pour se focaliser sur « l’essentiel », « réévaluer en stock au moins 15 kilomètres » d’archives, et les dématérialiser sous forme numérique. Or, cela constitue une attaque sans précédent contre la mémoire nationale et celle de nombreux individus. Il redouble les tensions déjà ouvertes par la fermeture du dépôt de Fontainebleau en 2020. Les fragilités du bâtiment et l’inondation qui l’a frappé imposent de transférer les 90 kilomètres d’archives qu’il comporte, parmi lesquelles les comptes de campagne, les documents du Conseil d’Etat et les dossiers de naturalisation, des pièces essentielles à la vie démocratique du pays. Plutôt que d’en assurer la conservation, le gouvernement s’entête à économiser des bouts de chandelle !

      Or, les dépôts d’archive sont utiles à un grand nombre de personnes. Les unes retracent des généalogies familiales. Les autres étudient des décisions publiques, ou révèlent des documents délaissés et oubliés. Certaines reconstituent leurs carrières professionnelles, renouvellent des titres d’identité, vérifient des successions. Enfin, des individus font valoir la responsabilité des autorités publiques dans des scandales, ou dépouillent des fonds tout juste transférés pour mieux comprendre notre passé. Lesquelles de ces personnes accomplissent une recherche « essentielle » pour les managers de l’Elysée, et lesquelles vont être privées de leur accès à la mémoire nationale ? Historiens, journalistes, étudiants, immigrés, fonctionnaires, retraités : si le gouvernement maintient ses plans de liquidation des archives nationales, certains seront perdants.

      Les archives résultent déjà d’un travail préalable de tri. Les petits comptables du ministère de la culture l’ignorent sans doute, mais 90% des documents produits sont écartés par les archivistes, dont c’est une des activités centrales. Tout le contenu des archives nationales est donc déjà « essentiel ». De plus, la numérisation est un mot d’ordre macroniste global (ils veulent numériser l’accès aux droits à l’assurance-chômage, par exemple…). Mais il pose deux problèmes. D’abord, certaines personnes ne sont pas à l’aise avec l’usage du numérique, et ont besoin d’une aide humaine pour parvenir à leurs fins. Ensuite, dans ce cas particulier, les parchemins sont bien plus sécurisés que le numérique ! Nul ne sait si les formats informatiques actuels seront encore consultables sur les futurs supports dans un siècle. En outre, les bugs informatiques ou le piratage rendent le stockage numérique potentiellement fragile – bien plus que l’écrit imprimé. Même si l’obsession de réduire le personnel menace également la pérennité des documents. Un technicien de surface en moins, c’est un lanceur d’alerte perdu en cas de moisissure, de fuite, de rongeurs ou de parasites ! Traiter convenablement les personnels est une condition essentielle pour préserver nos archives.

      Aussi faut-il demeurer très vigilant à ce que le gouvernement remplisse ses obligations, et ne détruise pas notre mémoire collective. Une pétition circule, pour obtenir un nouveau bâtiment de conservation, des embauches de personnel et une implication du grand public et des professionnels de la recherche dans la détermination des politiques d’archives de la Nation. La mémoire collective est un bien précieux et fragile, victime d’attaques budgétaires par un gouvernement qui privilégie les plus riches – lesquels ont naturellement les moyens d’entretenir une mémoire privée avec de l’archivage personnel dans des coffres-forts inaccessibles !

  • The Pentagon is set to make a big push toward open source software next year - The Verge
    https://www.theverge.com/2017/11/14/16649042/pentagon-department-of-defense-open-source-software

    Besides cost, there are two other compelling explanations for why the military might want to go open source. One is that technology outside the Pentagon simply advances faster than technology within it, and by availing itself to open-source tools, the Pentagon can adopt those advances almost as soon as the new code hits the web, without going through the extra steps of a procurement process.

    Open-source software is also more secure than closed-source software, by its very nature: the code is perpetually scrutinized by countless users across the planet, and any weaknesses are shared immediately.

    “How would the Trojans have reacted if the Horse statue the Greeks gave them was made of glass and they could see right through it? They would have seen the malicious implants and removed them before letting the statue into their enterprise,” says Bob Gourley, co-founder of the security consultancy firm Cognitio and former chief technology officer of the Defense Intelligence Agency. “That is my key thought about open-source software. Everyone can examine the code and look for and remove vulnerabilities before they are brought into the enterprise.”

    #Logiciels_libres #Ministère_Défense #USA

  • La liste des clients de Nexa/Amesys s’allonge : de la DCRI à la Belgique en passant par la #Turquie
    https://reflets.info/la-liste-des-clients-de-nexaamesys-sallonge-de-la-dcri-a-la-belgique-en-pa

    Nos investigations, comme celles de Jean-Marc Manach ou d’Olivier Tesquet de Télérama avaient déjà permis de dresser une liste conséquente de clients d’Amesys, entreprise qui avait muté en Bull, puis en Nexa. Initialement, Reflets dénichait […]

    #Bienvenue_chez_Amesys #France #Allegretto_Asset_Management #Amesys #Camusat #Candy #Commission_européenne #Crocodile #DGSI #Doha #DRCPN #Égypte #Gabon #Kazakhstan #Libye #Maroc #Ministère_de_la_Défense #Nexa_Technologies #Ooredoo #PopCorn #Qatar #Qtel #Service_général_du_renseignement_et_de_la_sécurité_belge #SILAM #State_Security_Bureau #Toblerone

  • Le mystérieux parachute de #Florence_Parly licenciée d’Air #France
    https://www.mediapart.fr/journal/france/051117/le-mysterieux-parachute-de-florence-parly-licenciee-dair-france

    Florence Parly Déjà au cœur d’une polémique sur ses revenus à la #SNCF, la ministre des armées, Florence Parly, a empoché 675 800 euros bruts lors de son licenciement d’Air France en septembre 2014, officiellement « en raison de désaccords stratégiques ». Une nouvelle illustration des avantages perçus par une petite minorité de hauts fonctionnaires de Bercy.

    #Air_France #ministère_des_armées

  • Les petits lutins ont encore frappé | Le Vilain Petit Canard
    https://levilainpetitcanard.be/articles/actu/les-petits-lutins-ont-encore-frappe_769268625

    Cette fois, nos intrépides petits bachi-bouzouks sylvestres s’attaquent à du lourd, le sujet controversé de l’indépendance catalane. Les justifications ? Mais non, ça, c’est pour les faibles, et une fois de plus, ils sauront nous montrer par A+B=C(oupas) que la Vérité Vraie n’a pas à tenir compte de vétilles comme la « réalité » ou le « droit ». Il suffit qu’elle soit affirmée par l’Autorité.

    #médias #décodeurs #Les_Affabulateur #minver #ministère_de_la_vérité

    • Très drôle et en même temps tragiquement affligeant. Merci Agnès en tout cas pour le signalement.

      Bon, parfois, ça dérape sec, aussi, mais que voulez-vous, tout reclus qu’ils sont dans leur « Monde », ils n’ont pas forcément un accès facile aux sources, ou à toutes ces diableries, là, comment dites-vous ? Ah oui, l’Internet. Ils ont bien quelques terminaux minitel à la bibliothèque, mais ils semblerait que ceux-ci soient momentanément en dérangement depuis quelques années déjà.

    • D’une manière générale, en droit, les obligations pour le peuple sont libellées de manière on ne peut plus claire, et les droits, quant à eux, sont laissés opportunément dans un flou juridique, sujets à toutes sortes d’interprétations en fonction du contexte.