https://vacarme.org

    • Raniero Panzieri, Mario Tronti, Gaspare De Caro, Toni Negri (Turin, 1962)

      Conférence de Potere operaio à l’Université de Bologne en 1970.

      Manifestation de Potere operaio à Milan en 1972.

      Negri lors de son procès après la rafle du 7 avril 1979

      #Toni_Negri
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Toni_Negri

      Lénine au-delà de Lénine, Toni Negri (extrait de 33 Leçons sur Lénine), 1972-1973
      http://revueperiode.net/lenine-au-dela-de-lenine

      Domination et sabotage - Sur la méthode marxiste de transformation sociale, Antonio Negri (pdf), 1977
      https://entremonde.net/IMG/pdf/a6-03dominationsabotage-0-livre-high.pdf

      L’Anomalie sauvage d’Antonio Negri, Alexandre Matheron, 1983
      https://books.openedition.org/enseditions/29155?lang=fr

      Sur Mille Plateaux, Toni Negri, Revue Chimères n° 17, 1992
      https://www.persee.fr/doc/chime_0986-6035_1992_num_17_1_1846

      Les coordinations : une proposition de communisme, Toni Negri, 1994
      https://www.multitudes.net/les-coordinations-une-proposition

      Le contre-empire attaque, entretien avec Toni Negri, 2000
      https://vacarme.org/article28.html

      [#travail #multitude_de_singularités à 18mn] : Toni Negri, 2014
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-chemins-de-la-philosophie/actualite-philosophique-toni-negri-5100168

      à l’occasion de la parution du Hors-Série de Philosophie Magazine sur le thème, les philosophes et le #communisme.

      Socialisme = soviets + électricité, Toni Negri, 2017
      http://revueperiode.net/les-mots-dordre-de-lenine

      L’appropriation du capital fixe : une métaphore ?
      Antonio Negri, Multitudes 2018/1 (n° 70)
      https://www.cairn.info/revue-multitudes-2018-1-page-92.htm

      Domination et sabotage - Entretien avec Antonio Negri, 2019
      https://vacarme.org/article3253.html

    • Les nécros de Ration et de L’imMonde ont par convention une tonalité vaguement élogieuse mais elles sont parfaitement vides. Celle de l’Huma parait plus documentée mais elle est sous paywall...

      edit L’Huma c’est encore et toujours la vilaine bêtise stalinienne :

      Figure de prou de "l’opéraïsme" dans les années 1960, arrêté durant les années de plomb en Italie, penseur de la "multitude" dans les années 2000, le théoricien politique, spécialiste de la philosophie du droit et de Hegel, est mort à Paris à l’âge de 90 ans.
      Pierre Chaillan

      (...) Figure intellectuelle et politique, il a traversé tous les soubresauts de l’histoire de l’Italie moderne et restera une grande énigme au sein du mouvement communiste et ouvrier international . Né le 1er août 1933 dans l’Italie mussolinienne, d’un père communiste disparu à la suite de violences infligées par une brigade fasciste, Antonio Negri est d’abord militant de l’Action catholique avant d’adhérer en 1956 au Parti socialiste italien, qu’il quittera rapidement.

      Le théoricien, animateurs de “l’opéraïsme”

    • Un journaliste du Monde « Gauchologue et fafologue / Enseigne @sciencespo » diffuse sur X des extraits de l’abject "Camarade P38" du para-policier Fabrizio Calvi en prétendant que cette bouse « résume les critiques ».
      Mieux vaut se référer à EMPIRE ET SES PIÈGES - Toni Negri et la déconcertante trajectoire de l’opéraïsme italien, de Claudio Albertani https://infokiosques.net/spip.php?article541

    • #opéraïsme

      http://www.zones-subversives.com/l-op%C3%A9ra%C3%AFsme-dans-l-italie-des-ann%C3%A9es-1960

      Avant l’effervescence de l’Autonomie italienne, l’opéraïsme tente de renouveler la pensée marxiste pour réfléchir sur les luttes ouvrières. Ce mouvement politique et intellectuel se développe en Italie dans les années 1960. Il débouche vers une radicalisation du conflit social en 1968, et surtout en 1969 avec une grève ouvrière sauvage. Si le post-opéraïsme semble relativement connu en France, à travers la figure de Toni Negri et la revue Multitudes, l’opéraïsme historique demeure largement méconnu.

      Mario Tronti revient sur l’aventure de l’opéraïsme, à laquelle il a activement participé. Son livre articule exigence théorique et témoignage vivant. Il décrit ce mouvement comme une « expérience de pensée - d’un cercle de personnes liées entre elles indissolublement par un lien particulier d’amitié politique ». La conflictualité sociale et la radicalisation des luttes ouvrières doit alors permettre d’abattre le capitalisme.

    • IL SECOLO BREVE DI TONI NEGRI, Ago 17, 2023,
      di ROBERTO CICCARELLI.

      http://www.euronomade.info/?p=15660

      Toni Negri hai compiuto novant’anni. Come vivi oggi il tuo tempo?

      Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi. Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù.

      Novant’anni sono un secolo breve.

      Di secoli brevi ce ne possono essere diversi. C’è il classico periodo definito da Hobsbawm che va dal 1917 al 1989. C’è stato il secolo americano che però è stato molto più breve. È durato dagli accordi monetari e dalla definizione di una governance mondiale a Bretton Woods, agli attentati alle Torri Gemelle nel settembre 2001. Per quanto mi riguarda il mio lungo secolo è iniziato con la vittoria bolscevica, poco prima che nascessi, ed è continuato con le lotte operaie, e con tutti i conflitti politici e sociali ai quali ho partecipato.

      Questo secolo breve è terminato con una sconfitta colossale.

      È vero. Ma hanno pensato che fosse finita la storia e fosse iniziata l’epoca di una globalizzazione pacificata. Nulla di più falso, come vediamo ogni giorno da più di trent’anni. Siamo in un’età di transizione, ma in realtà lo siamo sempre stati. Anche se sottotraccia, ci troviamo in un nuovo tempo segnato da una ripresa globale delle lotte contro le quali c’è una risposta dura. Le lotte operaie hanno iniziato a intersecarsi sempre di più con quelle femministe, antirazziste, a difesa dei migranti e per la libertà di movimento, o ecologiste.

      Filosofo, arrivi giovanissimo in cattedra a Padova. Partecipi a Quaderni Rossi, la rivista dell’operaismo italiano. Fai inchiesta, fai un lavoro di base nelle fabbriche, a cominciare dal Petrolchimico di Marghera. Fai parte di Potere Operaio prima, di Autonomia Operaia poi. Vivi il lungo Sessantotto italiano, a cominciare dall’impetuoso Sessantanove operaio a Corso Traiano a Torino. Qual è stato il momento politico culminante di questa storia?

      Gli anni Settanta, quando il capitalismo ha anticipato con forza una strategia per il suo futuro. Attraverso la globalizzazione, ha precarizzato il lavoro industriale insieme all’intero processo di accumulazione del valore. In questa transizione, sono stati accesi nuovi poli produttivi: il lavoro intellettuale, quello affettivo, il lavoro sociale che costruisce la cooperazione. Alla base della nuova accumulazione del valore, ci sono ovviamente anche l’aria, l’acqua, il vivente e tutti i beni comuni che il capitale ha continuato a sfruttare per contrastare l’abbassamento del tasso di profitto che aveva conosciuto a partire dagli anni Sessanta.

      Perché, dalla metà degli anni Settanta, la strategia capitalista ha vinto?

      Perché è mancata una risposta di sinistra. Anzi, per un tempo lungo, c’è stata una totale ignoranza di questi processi. A partire dalla fine degli anni Settanta, c’è stata la soppressione di ogni potenza intellettuale o politica, puntuale o di movimento, che tentasse di mostrare l’importanza di questa trasformazione, e che puntasse alla riorganizzazione del movimento operaio attorno a nuove forme di socializzazione e di organizzazione politica e culturale. È stata una tragedia. Qui che appare la continuità del secolo breve nel tempo che stiamo vivendo ora. C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

      E che cosa possedeva quella sinistra?

      Un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. A Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta. In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato. Sono convinto che la direzione presa dall’Internazionale comunista – in maniera evidente e tragica con lo stalinismo, e poi in maniera sempre più contraddittoria e irruente -, abbia distrutto il desiderio che aveva mobilitato masse gigantesche. Per tutta la storia del movimento comunista è stata quella la battaglia.

      Cosa si scontrava su quel campo di battaglia?

      Da un lato, c’era l’idea della liberazione. In Italia è stata illuminata dalla resistenza contro il nazi-fascismo. L’idea di liberazione si è proiettata nella stessa Costituzione così come noi ragazzi la interpretammo allora. E in questa vicenda non sottovaluterei l’evoluzione sociale della Chiesa Cattolica che culminò con il Secondo Concilio Vaticano. Dall’altra parte, c’era il realismo ereditato dal partito comunista italiano dalla socialdemocrazia, quello degli Amendola e dei togliattiani di varia origine. Tutto è iniziato a precipitare negli anni Settanta, mentre invece c’era la possibilità di inventare una nuova forma di vita, un nuovo modo di essere comunisti.

      Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

      Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene. Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere. Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici. Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

      L’arresto avvenuto il 7 aprile 1979, primo momento della repressione del movimento dell’autonomia operaia, è stato uno spartiacque. Per ragioni diverse, a mio avviso, lo è stato anche per la storia del «manifesto» grazie a una vibrante campagna garantista durata anni, un caso giornalistico unico condotto con i militanti dei movimenti, un gruppo di coraggiosi intellettuali, il partito radicale. Otto anni dopo, il 9 giugno 1987, quando fu demolito il castello di accuse cangianti, e infondate, Rossana Rossanda scrisse che fu una «tardiva, parziale riparazione di molto irreparabile». Cosa significa oggi per te tutto questo?

      È stato innanzitutto il segno di un’amicizia mai smentita. Rossana per noi è stata una persona di una generosità incredibile. Anche se, a un certo punto, si è fermata anche lei: non riusciva a imputare al Pci quello che il Pci era diventato.

      Che cosa era diventato?

      Un oppressore. Ha massacrato quelli che denunciavano il pasticcio in cui si era andato a ficcare. In quegli anni siamo stati in molti a dirglielo. Esisteva un’altra strada, che passava dall’ascolto della classe operaia, del movimento studentesco, delle donne, di tutte le nuove forme nelle quali le passioni sociali, politiche e democratiche si stavano organizzando. Noi abbiamo proposto un’alternativa in maniera onesta, pulita e di massa. Facevamo parte di un enorme movimento che investiva le grandi fabbriche, le scuole, le generazioni. La chiusura da parte del Pci ha determinato la nascita di estremizzazioni terroristiche: questo è fuori dubbio. Noi abbiamo pagato tutto e pesantemente. Solo io ho fatto complessivamente quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione. Il Manifesto ha sempre difeso la nostra innocenza. Era completamente idiota che io o altri dell’Autonomia fossimo considerati i rapitori di Aldo Moro o gli uccisori di compagni. Tuttavia, nella campagna innocentista che è stata coraggiosa e importante è stato però lasciato sul fondo un aspetto sostanziale.

      Quale?
      Eravamo politicamente responsabili di un movimento molto più ampio contro il compromesso storico tra il Pci e la Dc. Contro di noi c’è stata una risposta poliziesca della destra, e questo si capisce. Quello che non si vuol capire è stata invece la copertura che il Pci ha dato a questa risposta. In fondo, avevano paura che cambiasse l’orizzonte politico di classe. Se non si comprende questo nodo storico, come ci si può lamentare dell’inesistenza di una sinistra oggi in Italia?

      Il sette aprile, e il cosiddetto «teorema Calogero», sono stati considerati un passo verso la conversione di una parte non piccola della sinistra al giustizialismo e alla delega politica alla magistratura. Come è stato possibile lasciarsi incastrare in una simile trappola?

      Quando il Pci sostituì la centralità della lotta morale a quella economica e politica, e lo fece attraverso giudici che gravitavano attorno alla sua area, ha finito il suo percorso. Questi davvero credevano di usare il giustizialismo per costruire il socialismo? Il giustizialismo è una delle cose più care alla borghesia. È un’illusione devastante e tragica che impedisce di vedere l’uso di classe del diritto, del carcere o della polizia contro i subalterni. In quegli anni cambiarono anche i giovani magistrati. Prima erano molto diversi. Li chiamavano «pretori di assalto». Ricordo i primi numeri della rivista Democrazia e Diritto ai quali ho lavorato anch’io. Mi riempivano di gioia perché parlavamo di giustizia di massa. Poi l’idea di giustizia è stata declinata molto diversamente, riportata ai concetti di legalità e di legittimità. E nella magistratura non c’è più stata una presa di parola politica, ma solo schieramenti tra correnti. Oggi, poi abbiamo una Costituzione ridotta a un pacchetto di norme che non corrispondono neanche più alla realtà del paese.

      In carcere avete continuato la battaglia politica. Nel 1983 scriveste un documento in carcere, pubblicato da Il Manifesto, intitolato «Do You remember revolution». Si parlava dell’originalità del 68 italiano, dei movimenti degli anni Settanta non riducibili agli «anni di piombo». Come hai vissuto quegli anni?

      Quel documento diceva cose importanti con qualche timidezza. Credo dica più o meno le cose che ho appena ricordato. Era un periodo duro. Noi eravamo dentro, dovevamo uscire in qualche maniera. Ti confesso che in quell’immane sofferenza per me era meglio studiare Spinoza che pensare all’assurda cupezza in cui eravamo stati rinchiusi. Ho scritto su Spinoza un grosso libro ed è stato una specie di atto eroico. Non potevo avere più di cinque libri in cella. E cambiavo carcere speciale in continuazione: Rebibbia, Palmi, Trani, Fossombrone, Rovigo. Ogni volta in una cella nuova con gente nuova. Aspettare giorni e ricominciare. L’unico libro che portavo con me era l’Etica di Spinoza. La fortuna è stata finire il mio testo prima della rivolta a Trani nel 1981 quando i corpi speciali hanno distrutto tutto. Sono felice che abbia prodotto uno scossone nella storia della filosofia.

      Nel 1983 sei stato eletto in parlamento e uscisti per qualche mese dal carcere. Cosa pensi del momento in cui votarono per farti tornare in carcere e tu decidesti di andare in esilio in Francia?

      Ne soffro ancora molto. Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene. In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo. Mi ha aiutato moltissimo a comprendere la vita dei Sans Papiers. Lo sono stato anch’io, ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi 8. Ma per altri versi mi dico che ho sbagliato. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere, quelli con cui ho vissuto i migliori anni della mia vita e le rivolte in quattro anni di carcerazione preventiva. Averli lasciati mi fa ancora male. Quella galera ha devastato la vita di compagni carissimi, e spesso delle loro famiglie. Ho novant’anni e mi sono salvato. Non mi rende più sereno di fronte a quel dramma.

      Anche Rossanda ti criticò…

      Sì, mi ha chiesto di comportarmi come Socrate. Io le risposi che rischiavo proprio di finire come il filosofo. Per i rapporti che c’erano in galera avrei potuto morire. Pannella mi ha materialmente portato fuori dalla galera e poi mi ha rovesciato tutte le colpe del mondo perché non volevo tornarci. Sono stati in molti a imbrogliarmi. Rossana mi aveva messo in guardia già allora, e forse aveva ragione.

      C’è stata un’altra volta che lo ha fatto?

      Sì, quando mi disse di non rientrare da Parigi in Italia nel 1997 dopo 14 anni di esilio. La vidi l’ultima volta prima di partire in un café dalle parti del Museo di Cluny, il museo nazionale del Medioevo. Mi disse che avrebbe voluto legami con una catena per impedirmi di prendere quell’aereo.

      Perché allora hai deciso di tornare in Italia?

      Ero convinto di fare una battaglia sull’amnistia per tutti i compagni degli anni Settanta. Allora c’era la Bicamerale, sembrava possibile. Mi sono fatto sei anni di galera fino al 2003. Forse Rossana aveva ragione.

      Che ricordo oggi hai di lei?

      Ricordo l’ultima volta che l’ho vista a Parigi. Una dolcissima amica, che si preoccupava dei miei viaggi in Cina, temeva che mi facessi male. È stata una persona meravigliosa, allora e sempre.

      Anna Negri, tua figlia, ha scritto «Con un piede impigliato nella storia» (DeriveApprodi) che racconta questa storia dal punto di vista dei vostri affetti, e di un’altra generazione.

      Ho tre figli splendidi Anna, Francesco e Nina che hanno sofferto in maniera indicibile quello che è successo. Ho guardato la serie di Bellocchio su Moro e continuo ad essere stupefatto di essere stato accusato di quella incredibile tragedia. Penso ai miei due primi figli, che andavano a scuola. Qualcuno li vedeva come i figli di un mostro. Questi ragazzi, in una maniera o nell’altra, hanno sopportato eventi enormi. Sono andati via dall’Italia e ci sono tornati, hanno attraversato quel lungo inverno in primissima persona. Il minimo che possono avere è una certa collera nei confronti dei genitori che li hanno messi in questa situazione. E io ho una certa responsabilità in questa storia. Siamo tornati ad essere amici. Questo per me è un regalo di una immensa bellezza.

      Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con i nuovi movimenti globali, e poi contro la guerra, hai acquisito una forte posizione di riconoscibilità insieme a Michael Hardt a cominciare da «Impero». Come definiresti oggi, in un momento di ritorno allo specialismo e di idee reazionarie e elitarie, il rapporto tra filosofia e militanza?

      È difficile per me rispondere a questa domanda. Quando mi dicono che ho fatto un’opera, io rispondo: Lirica? Ma ti rendi conto? Mi scappa da ridere. Perché sono più un militante che un filosofo. Farà ridere qualcuno, ma io mi ci vedo, come Papageno…

      Non c’è dubbio però che tu abbia scritto molti libri…

      Ho avuto la fortuna di trovarmi a metà strada tra la filosofia e la militanza. Nei migliori periodi della mia vita sono passato in permanenza dall’una all’altra. Ciò mi ha permesso di coltivare un rapporto critico con la teoria capitalista del potere. Facendo perno su Marx, sono andato da Hobbes a Habermas, passando da Kant, Rousseau e Hegel. Gente abbastanza seria da dovere essere combattuta. Di contro la linea Machiavelli-Spinoza-Marx è stata un’alternativa vera. Ribadisco: la storia della filosofia per me non è una specie di testo sacro che ha impastato tutto il sapere occidentale, da Platone ad Heidegger, con la civiltà borghese e ha tramandato con ciò concetti funzionali al potere. La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto. Deleuze parlava di Spinoza e riprendeva l’iconografia che lo rappresentava nei panni di Masaniello. Vorrei che fosse vero per me. Anche adesso che ho novant’anni continuo ad avere questo rapporto con la filosofia. Vivere la militanza è meno facile, eppure riesco a scrivere e ad ascoltare, in una situazione di esule.

      Esule, ancora, oggi?

      Un po’, sì. È un esilio diverso però. Dipende dal fatto che i due mondi in cui vivo, l’Italia e la Francia, hanno dinamiche di movimento molto diverse. In Francia, l’operaismo non ha avuto un seguito largo, anche se oggi viene riscoperto. La sinistra di movimento in Francia è sempre stata guidata dal trotzkismo o dall’anarchismo. Negli anni Novanta, con la rivista Futur antérieur, con l’amico e compagno Jean-Marie Vincent, avevamo trovato una mediazione tra gauchisme e operaismo: ha funzionato per una decina d’anni. Ma lo abbiamo fatto con molta prudenza. il giudizio sulla politica francese lo lasciavamo ai compagni francesi. L’unico editoriale importante scritto dagli italiani sulla rivista è stato quello sul grande sciopero dei ferrovieri del ’95, che assomigliava tanto alle lotte italiane.

      Perché l’operaismo conosce oggi una risonanza a livello globale?

      Perché risponde all’esigenza di una resistenza e di una ripresa delle lotte, come in altre culture critiche con le quali dialoga: il femminismo, l’ecologia politica, la critica postcoloniale ad esempio. E poi perché non è la costola di niente e di nessuno. Non lo è stato mai, e neanche è stato un capitolo della storia del Pci, come qualcuno s’illude. È invece un’idea precisa della lotta di classe e una critica della sovranità che coagula il potere attorno al polo padronale, proprietario e capitalista. Ma il potere è sempre scisso, ed è sempre aperto, anche quando non sembra esserci alternativa. Tutta la teoria del potere come estensione del dominio e dell’autorità fatta dalla Scuola di Francoforte e dalle sue recenti evoluzioni è falsa, anche se purtroppo rimane egemone. L’operaismo fa saltare questa lettura brutale. È uno stile di lavoro e di pensiero. Riprende la storia dal basso fatta da grandi masse che si muovono, cerca la singolarità in una dialettica aperta e produttiva.

      I tuoi costanti riferimenti a Francesco d’Assisi mi hanno sempre colpito. Da dove nasce questo interesse per il santo e perché lo hai preso ad esempio della tua gioia di essere comunista?

      Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere. Vengo da una famiglia che è stata miserabile durante la guerra e mi ha insegnato un affetto che mi fa vivere ancora oggi. Francesco è in fondo un borghese che vive in un periodo in cui coglie la possibilità di trasformare la borghesia stessa, e di fare un mondo in cui la gente si ama e ama il vivente. Il richiamo a lui, per me, è come il richiamo ai Ciompi di Machiavelli. Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta, rovesciando quello sviluppo e creando un nuovo modo di produrre. Non è mai stato ripreso a sufficienza Francesco, né è stato presa in debito conto l’importanza che ha avuto il francescanesimo nella storia italiana. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

      *

      Dall’infanzia negli anni della guerra all’apprendistato filosofico alla militanza comunista, dal ’68 alla strage di piazza Fontana, da Potere Operaio all’autonomia e al ’77, l’arresto, l’esilio. E di nuovo la galera per tornare libero. Toni Negri lo ha raccontato con Girolamo De Michele in tre volumi autobiografici Storia di un comunista, Galera e esilio, Da Genova a Domani (Ponte alle Grazie). Con Mi chael Hardt, professore di letteratura alla Duke University negli Stati Uniti, ha scritto, tra l’altro, opere discusse e di larga diffusione: Impero, Moltitudine, Comune (Rizzoli) e Assemblea (Ponte alle Grazie). Per l’editore anglo-americano Polity Books ha pubblicato, tra l’altro, sei volumi di scritti tra i quali The Common, Marx in Movement, Marx and Foucault.

      In Italia DeriveApprodi ha ripubblicato il classico «Spinoza». Per la stessa casa editrice: I libri del rogo, Pipe Line, Arte e multitudo (a cura di N. Martino), Settanta (con Raffaella Battaglini). Con Mimesis la nuova edizione di Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi. Con Ombre Corte, tra l’altro, Dall’operaio massa all’operaio sociale (a cura di P. Pozzi-R. Tomassini), Dentro/contro il diritto sovrano (con G. Allegri), Il lavoro nella costituzione (con A. Zanini).

      A partire dal prossimo ottobre Manifestolibri ripubblicherà i titoli in catalogo con una nuova prefazione: L’inchiesta metropolitana e altri scritti sociologici, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do; Marx oltre Marx (prefazione di Sandro Mezzadra); Trentatré Lezioni su Lenin (Giso Amendola); Potere Costituente (Tania Rispoli); Descartes politico (Marco Assennato); Kairos, Alma Venus, moltitudo (Judith Revel); Il lavoro di Dioniso, con Michael Hardt (Francesco Raparelli)

      #autonomie #prison #exil

    • Le philosophe italien Toni Negri est mort

      Inspirant les luttes politiques en Italie dans les années 1960 et 1970, son travail a également influencé le mouvement altermondialiste du début du XXIe siècle.


      Toni Negri, à Rome (Italie), en septembre 2010. STEFANO MONTESI - CORBIS / VIA GETTY IMAGES

      Il était né dans l’Italie fasciste. Il disparaît alors que l’extrême droite gouverne à nouveau son pays. Le philosophe Toni Negri, acteur et penseur majeur de plus d’un demi-siècle de luttes d’extrême gauche, est mort dans la nuit du 15 au 16 décembre à Paris, à l’âge de 90 ans, a annoncé son épouse, la philosophe française Judith Revel.

      « C’était un mauvais maître », a tout de suite réagi, selon le quotidien La Repubblica, le ministre de la culture italien, Gennaro Sangiuliano. « Tu resteras à jamais dans mon cœur et dans mon esprit, cher Maître, Père, Prophète », a écrit quant à lui, sur Facebook, l’activiste Luca Casarini, l’un des leaders du mouvement altermondialiste italien. Peut-être aurait-il vu dans la violence de ce contraste un hommage à la puissance de ses engagements, dont la radicalité ne s’est jamais affadie.

      Né le 1er août 1933 à Padoue, Antonio Negri, que tout le monde appelle Toni, et qui signera ainsi ses livres, commence très tôt une brillante carrière universitaire – il enseigne à l’université de Padoue dès ses 25 ans –, tout en voyageant, en particulier au Maghreb et au Moyen-Orient. C’est en partageant la vie d’un kibboutz israélien que le jeune homme, d’abord engagé au parti socialiste, dira être devenu communiste. Encore fallait-il savoir ce que ce mot pouvait recouvrir.

      Cette recherche d’une nouvelle formulation d’un idéal ancien, qu’il s’agissait de replacer au centre des mutations du monde, parcourt son œuvre philosophique, de Marx au-delà de Marx (Bourgois, 1979) à l’un de ses derniers livres, Inventer le commun des hommes (Bayard, 2010). Elle devient aussi l’axe de son engagement militant, qui va bientôt se confondre avec sa vie.

      Marxismes hétérodoxes

      L’Italie est alors, justement, le laboratoire des marxismes dits hétérodoxes, en rupture de ban avec le parti communiste, en particulier l’« opéraïsme » (de l’italien « operaio », « ouvrier »). Toni Negri le rejoint à la fin des années 1960, et s’en fait l’un des penseurs et activistes les plus emblématiques, toujours présent sur le terrain, dans les manifestations et surtout dans les usines, auprès des ouvriers. « Il s’agissait d’impliquer les ouvriers dans la construction du discours théorique sur l’exploitation », expliquera-t-il dans un entretien, en 2018, résumant la doctrine opéraïste, particulièrement celle des mouvements auxquels il appartient, Potere Operaio, puis Autonomia Operaia.

      Des armes circulent. Le terrorisme d’extrême droite et d’extrême gauche ravage le pays. Bien qu’il s’oppose à la violence contre les personnes, le philosophe est arrêté en 1979, soupçonné d’avoir participé à l’assassinat de l’homme politique Aldo Moro, accusation dont il est rapidement blanchi. Mais d’autres pèsent sur lui – « association subversive », et complicité « morale » dans un cambriolage – et il est condamné à douze ans de prison.
      Elu député du Parti radical en 1983, alors qu’il est encore prisonnier, il est libéré au titre de son immunité parlementaire. Quand celle-ci est levée [par un vote que le parti Radical a permis de rendre majoritaire, ndc], il s’exile en France. Rentré en Italie en 1997, il est incarcéré pendant deux ans, avant de bénéficier d’une mesure de semi-liberté. Il est définitivement libéré en 2003.

      Occupy Wall Street et les Indignés

      Il enseigne, durant son exil français, à l’Ecole normale supérieure, à l’université Paris-VIII ou encore au Collège international de philosophie. Ce sont aussi des années d’intense production intellectuelle, et, s’il porte témoignage en publiant son journal de l’année 1983 (Italie rouge et noire, Hachette, 1985), il développe surtout une pensée philosophique exigeante, novatrice, au croisement de l’ontologie et de la pensée politique. On peut citer, entre beaucoup d’autres, Les Nouveaux Espaces de liberté, écrit avec Félix Guattari (Dominique Bedou, 1985), Spinoza subversif. Variations (in)actuelles (Kimé, 1994), Le Pouvoir constituant. Essai sur les alternatives de la modernité (PUF, 1997) ou Kairos, Alma Venus, multitude. Neuf leçons en forme d’exercices (Calmann-Lévy, 2000).
      Ce sont cependant les livres qu’il coécrit avec l’Américain Michael Hardt qui le font connaître dans le monde entier, et d’abord Empire (Exils, 2000), où les deux philosophes s’efforcent de poser les fondements d’une nouvelle pensée de l’émancipation dans le contexte créé par la mondialisation. Celle-ci, « transition capitale dans l’histoire contemporaine », fait émerger selon les auteurs un capitalisme « supranational, mondial, total », sans autres appartenances que celles issues des rapports de domination économique. Cette somme, comme la suivante, Multitude. Guerre et démocratie à l’époque de l’Empire (La Découverte, 2004), sera une des principales sources d’inspiration du mouvement altermondialiste, d’Occupy Wall Street au mouvement des Indignés, en Espagne.

      C’est ainsi que Toni Negri, de l’ébullition italienne qui a marqué sa jeunesse et décidé de sa vie aux embrasements et aux espoirs du début du XXIe siècle, a traversé son temps : en ne lâchant jamais le fil d’une action qui était, pour lui, une forme de pensée, et d’une pensée qui tentait d’agir au cœur même du monde.
      Florent Georgesco
      https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/12/16/le-philosophe-italien-toni-negri-est-mort_6206182_3382.html

      (article corrigé trois fois en 9 heures, un bel effort ! il faut continuer !)

    • Pouvoir ouvrier, l’équivalent italien de la Gauche prolétarienne

      Chapeau le Diplo, voilà qui est informé !
      En 1998, le journal avait titré sur un mode médiatico-policier (« Ce que furent les “années de plomb” en Italie »). La réédition dans un Manière de voir de 2021 (long purgatoire) permis un choix plus digne qui annonçait correctement cet article fort utile : Entre « compromis historique » et terrorisme. Retour sur l’Italie des années 1970.
      Diplo encore, l’iconographie choisit d’ouvrir l’oeil... sur le rétroviseur. J’identifie pas le leader PCI (ou CGIL) qui est à la tribune mais c’est évidement le Mouvement ouvrier institué et son rôle (historiquement compromis) d’encadrement de la classe ouvrière qui est mis en avant.

      #média #gauche #Italie #Histoire #Potere_operaio #PCI #lutte_armée #compromis_historique #terrorisme

      edit

      [Rome] Luciano Lama, gli scontri alla Sapienza e il movimento del ’77
      https://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/17_febbraio_16/scontri-sapienza-lama-foto-6ad864d0-f428-11e6-a5e5-e33402030d6b.shtml

      «Il segretario della Cgil Luciano Lama si è salvato a stento dall’assalto degli autonomi, mentre tentava di parlare agli studenti che da parecchi giorni occupano la città universitaria. Il camion, trasformato in palco, dal quale il sindacalista ha preso la parola, è stato letteralmente sfasciato e l’autista è uscito dagli incidenti con la testa spaccata e varie ferite». E’ la cronaca degli scontri alla Sapienza riportata da Corriere il 18 febbraio del 1977, un giorno dopo la “cacciata” del leader della CGIL Luciano Lama dall’ateneo dove stava tenendo un comizio. Una giornata di violenza che diventerà il simbolo della rottura tra la sinistra istituzionale, rappresentata dal Pci e dal sindacato, e la sinistra dei movimenti studenteschi. Nella foto il camion utilizzato come palco da Luciano Lama preso d’assalto dai contestatori alla Sapienza (Ansa)

    • ENTRE ENGAGEMENT RÉVOLUTIONNAIRE ET PHILOSOPHIE
      Toni Negri (1933-2023), histoire d’un communiste
      https://www.revolutionpermanente.fr/Toni-Negri-1933-2023-histoire-d-un-communiste

      Sans doute est-il compliqué de s’imaginer, pour les plus jeunes, ce qu’a pu représenter Toni Negri pour différentes générations de militant.es. Ce qu’il a pu symboliser, des deux côtés des Alpes et au-delà, à différents moments de l’histoire turbulente du dernier tiers du XXème siècle, marqué par la dernière poussée révolutionnaire contemporaine – ce « long mois de mai » qui aura duré plus de dix ans, en Italie – suivie d’un reflux face auquel, loin de déposer les armes, Negri a choisi de résister en tentant de penser un arsenal conceptuel correspondant aux défis posés par le capitalisme contemporain. Tout en restant, jusqu’au bout, communiste. C’est ainsi qu’il se définissait.

    • À Toni Negri, camarade et militant infatigable
      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/181223/toni-negri-camarade-et-militant-infatigable

      Toni Negri nous a quittés. Pour certains d’entre nous, c’était un ami cher mais pour nous tous, il était le camarade qui s’était engagé dans le grand cycle des luttes politiques des années soixante et dans les mouvements révolutionnaires des années soixante-dix en Italie. Il fut l’un des fondateurs de l’opéraïsme et le penseur qui a donné une cohérence théorique aux luttes ouvrières et prolétariennes dans l’Occident capitaliste et aux transformations du Capital qui en ont résulté. C’est Toni qui a décrit la multitude comme une forme de subjectivité politique qui reflète la complexité et la diversité des nouvelles formes de travail et de résistance apparues dans la société post-industrielle. Sans la contribution théorique de Toni et de quelques autres théoriciens marxistes, aucune pratique n’aurait été adéquate pour le conflit de classes.
      Un Maître, ni bon ni mauvais : c’était notre tâche et notre privilège d’interpréter ou de réfuter ses analyses. C’était avant tout notre tâche, et nous l’avons assumée, de mettre en pratique la lutte dans notre sphère sociale, notre action dans le contexte politique de ces années-là. Nous n’étions ni ses disciples ni ses partisans et Toni n’aurait jamais voulu que nous le soyons. Nous étions des sujets politiques libres, qui décidaient de leur engagement politique, qui choisissaient leur voie militante et qui utilisaient également les outils critiques et théoriques fournis par Toni dans leur parcours.

    • Toni Negri, l’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique, Yann Moulier Boutang
      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/toni-negri-lau-dela-de-marx-a-lepreuve-de-la-politique-20231217_Z5QALRLO7

      Il n’est guère de concepts hérités du marxisme qu’il n’ait renouvelés de fond en comble. Contentons-nous ici de quelques notions clés. La clé de l’évolution du capitalisme, ne se lit correctement que dans celle de la composition du travail productif structuré dans la classe ouvrière et son mouvement, puis dans les diverses formes de salariat. Le Marx le plus intéressant pour nous est celui des Grundrisse (cette esquisse du Capital). C’est le refus du travail dans les usines, qui pousse sans cesse le capitalisme, par l’introduction du progrès technique, puis par la mondialisation, à contourner la « forteresse ouvrière ». Composition de classe, décomposition, recomposition permettent de déterminer le sens des luttes sociales. Negri ajoute à ce fond commun à tous les operaïstes deux innovations : la méthode de la réalisation de la tendance, qui suppose que l’évolution à peine perceptible est déjà pleinement déployée, pour mieux saisir à l’avance les moments et les points où la faire bifurquer. Deuxième innovation : après l’ouvrier qualifié communiste, et l’ouvrier-masse (l’OS du taylorisme), le capitalisme des années 1975-1990 (celui de la délocalisation à l’échelle mondiale de la chaîne de la valeur) produit et affronte l’ouvrier-social.

      C’est sur ce passage obligé que l’idée révolutionnaire se renouvelle. L’enquête ouvrière doit se déplacer sur ce terrain de la production sociale. La question de l’organisation, de la dispersion et de l’éclatement remplace la figure de la classe ouvrière et de ses allié.e.s. L’ouvrier social des années 1975 devient la multitude. Cela paraît un diagramme abstrait. Pourtant les formes de lutte comme les objectifs retenus, les collectifs des travailleuses du soin, de chômeurs ou d’intérimaires, les grèves des Ubereat témoignent de l’actualité de cette perspective. Mais aussi de ses limites, rencontrées au moment de s’incarner politiquement. (1)

      https://justpaste.it/3t9h9

      edit « optimisme de la raison, pessimisme de la volonté », T.N.
      Ration indique des notes qui ne sont pas publiées...

      Balibar offre une toute autre lecture des apports de T.N. que celle du très recentré YMB
      https://seenthis.net/messages/1032920

      #marxisme #mouvements_sociaux #théorie #compostion_de_classe #refus_du_travail #luttes_sociales #analyse_de_la tendance #ouvrier_masse #ouvrier_social #enquête_ouvrière #production_sociale #multitude #puissance #pouvoir

    • Décider en Essaim, Toni Negri , 2004
      https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=pqBZJD5oFJY

      Toni Negri : pour la multitude, Michael Löwy
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2023/12/18/toni-negri

      Avec la disparition d’Antonio Negri – Toni pour les amis – la cause communiste perd un grand penseur et un combattant infatigable. Persécuté pour ses idées révolutionnaires, incarcéré en Italie pendant de longues années, Toni est devenu célèbre grâce à ses ouvrages qui se proposent, par une approche philosophique inspirée de #Spinoza et de #Marx, de contribuer à l’émancipation de la multitude

      .

    • Un congedo silenzioso, Paolo Virno
      https://ilmanifesto.it/un-congedo-silenzioso


      Toni Negri - Tano D’Amico /Archivio Manifesto

      Due anni fa, credo, telefona Toni. Sarebbe passato per Roma, mi chiede di vederci. Un’ora insieme, con Judith, in una casa vuota nei pressi di Campo de’ Fiori (un covo abbandonato, avrebbe pensato una canaglia dell’antico Pci). Non parliamo di niente o quasi, soltanto frasi che offrono un pretesto per tacere di nuovo, senza disagio.

      Ebbe luogo, in quella casa romana, un congedo puro e semplice, non dissimulato da nenie cerimoniose. Dopo anni di insulti pantagruelici e di fervorose congratulazioni per ogni tentativo di trovare la porta stretta attraverso cui potesse irrompere la lotta contro il lavoro salariato nell’epoca di un capitalismo finalmente maturo, un po’ di silenzio sbigottito non guastava. Anzi, affratellava.

      Ricordo Toni, ospite della cella 7 del reparto di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, che piange senza ritegno perché le guardie stanno portando via in piena notte, con un «trasferimento a strappo», i suoi compagni di degnissima sventura. E lo ricordo ironico e spinoziano nel cortile del penitenziario di Palmi, durante la requisitoria cui lo sottopose un capo brigatista da operetta, che minacciava di farlo accoppare da futuri «collaboratori di giustizia» allora ancora bellicosi e intransigenti.

      Toni era un carcerato goffo, ingenuo, ignaro dei trucchi (e del cinismo) che il ruolo richiede. Fu calunniato e detestato come pochi altri nel Novecento italiano. Calunniato e detestato, in quanto marxista e comunista, dalla sinistra tutta, da riformatori e progressisti di ogni sottospecie.

      Eletto in parlamento nel 1983, chiese ai suoi colleghi deputati, in un discorso toccante, di autorizzare la prosecuzione del processo contro di lui: non voleva sottrarsi, ma confutare le accuse che gli erano state mosse dai giudici berlingueriani. Chiese anche, però, di continuare il processo a piede libero, giacché iniqua e scandalosa era diventata la carcerazione preventiva con le leggi speciali adottate negli anni precedenti.

      Inutile dire che il parlamento, aizzato dalla sinistra riformatrice, votò per il ritorno in carcere dell’imputato Negri. C’è ancora qualcuno che ha voglia di rifondare quella sinistra?

      Toni non ha mai avuto paura di strafare. Né quando intraprese un corpo a corpo con la filosofia materialista, includendo in essa più cose di quelle che sembrano stare tra cielo e terra, dal condizionale controfattuale («se tu volessi fare questo, allora le cose andrebbero altrimenti») alla segreta alleanza tra gioia e malinconia. Né quando (a metà degli anni Settanta) ritenne che l’area dell’autonomia dovesse sbrigarsi a organizzare il lavoro postfordista, imperniato sul sapere e il linguaggio, caparbiamente intermittente e flessibile.

      Il mio amico matto che voleva cambiare il mondo
      Toni non è mai stato oculato né morigerato. È stato spesso stonato, questo sì: come capita a chi accelera all’impazzata il ritmo della canzone che ha intonato, ibridandolo per giunta con il ritmo di molte altre canzoni appena orecchiate. Il suo luogo abituale sembrava a molti, anche ai più vicini, fuori luogo; per lui, il «momento giusto» (il kairòs degli antichi greci), se non aveva qualcosa di imprevedibile e di sorprendente, non era mai davvero giusto.

      Non si creda, però, che Negri fosse un bohèmien delle idee, un improvvisatore di azioni e pensieri. Rigore e metodo campeggiano nelle sue opere e nei suoi giorni. Ma in questione è il rigore con cui va soppesata l’eccezione; in questione è il metodo che si addice a tutto quel che è ma potrebbe non essere, e viceversa, a tutto quello che non è ma potrebbe essere.

      Insopportabile Toni, amico caro, non ho condiviso granché del tuo cammino. Ma non riesco a concepire l’epoca nostra, la sua ontologia o essenza direbbe Foucault, senza quel cammino, senza le deviazioni e le retromarce che l’hanno scandito. Ora un po’ di silenzio benefico, esente da qualsiasi imbarazzo, come in quella casa romana in cui andò in scena un sobrio congedo.

  • L’art du tract

    https://vacarme.org/article1680.html (octobre 2008)

    Or, à ce nécessaire savoir-faire juridique s’ajoute un savoir-faire pratique qui tend à réserver de fait, et en dépit du développement de l’instruction, ce mode d’action à certaines catégories de population et à certains groupes. Savoir-faire dans la confection des tracts lorsqu’il s’agit de faire un choix entre la simplicité et la lisibilité du message et le souci d’en dire le plus possible, lorsqu’il s’agit de prendre en compte à la fois le positionnement militant et les attentes potentielles des lecteurs, lorsqu’il s’agit enfin d’être le plus précis possible tant dans les arguments avancés que dans le vocabulaire et le respect de la langue : on sait combien le rapport à l’écrit est socialement différencié. Savoir-faire dans le choix des lieux et des moments de distribution les plus adaptés en fonction des « cibles » recherchées par l’action. Savoir-faire dans les modes de distribution : la nécessité d’établir un contact visuel, d’aller vers les gens, de tenir le tract de façon à ce qu’il soit vu, de préparer une argumentation, de savoir passer du temps quand le contact peut devenir intéressant et ne pas en perdre quand le contact ne peut rien donner…

    • Savoir-faire, aussi et surtout, dans l’adaptation du type de tractage aux usages qu’on souhaite en faire. En effet, si le tract militant apparaît d’abord comme un mode d’information alternatif qui permet à un groupe de rester relativement maître du message qu’il fait circuler, il est aussi l’objet d’autres formes d’investissement qui supposent parfois que sa fonction informative ne soit plus que secondaire. Un usage d’adjuvant au service d’autres formes d’action lorsqu’il s’agit de tester l’accueil d’une cause dans une population, de mobiliser pour une autre action ou d’en faire le prétexte d’une action médiatique. Un usage « militant » lorsqu’il s’agit d’occuper les militants par une activité « à faible rendement ». Un usage expressif lorsqu’il s’agit de faire exister une organisation, de lui donner une image, par la seule existence du tract, mais aussi en verbalisant et en construisant un « nous » et un « eux ». Un usage ludique quand on en fait essentiellement un usage oblique, destiné à divertir le lecteur, souvent en jouant avec les codes prêtés au tract politique. Mais, aussi et surtout, un usage « conatif » lorsqu’il s’agit de faire de la distribution du tract l’occasion d’engager la conversation avec ceux et celles à qui on les propose, de les aborder à moindre coût d’un côté comme de l’autre — puisque chacun peut sortir de cette interaction très rapidement — et ainsi, de sensibiliser, voire de recruter, des sympathisants potentiels en jouant de ce que les sociologues américains ont nommé l’effet foot-in-the-door, c’est-à-dire l’idée que lorsqu’une personne a été amenée à répondre favorablement à une petite requête, elle a plus de chances de répondre favorablement à une requête plus importante.

      Autant de savoir-faire qui expliquent que la pratique du tract fasse l’objet d’une division du travail assez stricte dans les entreprises de mobilisation qui y recourent entre ceux qui participent à sa conception — au niveau national ou plus local —, ceux qui participent à sa distribution et ceux dont on attend seulement qu’ils les lisent. On a du reste pu montrer, par exemple, que la conception des tracts était essentiellement une activité masculine, et que le fait qu’elle commence à être confiée à des femmes était en soi le signe d’un certain recul du machisme dans ces organisations [2]. Plus généralement, la manière dont est organisée la conception des tracts dans un groupe est souvent très révélatrice de la façon dont ce groupe fonctionne de manière plus globale.

  • La mort de Pierre Alferi, écrivain singulier
    https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/08/17/la-mort-de-pierre-alferi-ecrivain-singulier_6185726_3382.html

    L’écrivain et poète, auteur de réalisations diverses comme des recueils, des romans et des essais, est mort le 16 août, à Paris, à l’âge de 60 ans.

    Hommage à Pierre Alferi (1963-2023) : « Ma grande affaire est le maintien ou le retour de la vie dans ce qui s’arrête »
    https://diacritik.com/2023/08/17/hommage-a-pierre-alferi-1963-2023-ma-grande-affaire-est-le-maintien-ou-le

    • Pour les cinq de Villiers-le-Bel, 21 juin 2010
      https://www.liberation.fr/societe/2010/06/21/pour-les-cinq-de-villiers-le-bel_660439

      A Villiers-le-Bel, les 25 et 26 novembre 2007, un renversement s’est produit : ces gamins que la police s’amuse de mois en mois à shooter ont à leur tour pris leurs aises avec ceux qui les ciblent. Ces quartiers submergés par une occupation devenue militaire ont, un temps, submergé les forces d’occupation. Les roueurs ont été roués. L’espace de deux soirées, la peur a changé de camp. Comble de l’horreur, il paraît que les émeutiers étaient « organisés ».

      C’est cela l’événement de Villiers-le-Bel. Si l’ordre de ce monde s’affirme jusque dans les recoins les plus infimes de l’existence comme un ordre policier, cet ordre a été, en un point nommé Villiers-le-Bel, renversé. Or cet ordre du monde est celui sous lequel nous vivons tous, sous lequel nous étouffons. Quelle que soit l’aptitude du système à masquer l’étendue de son délabrement, chacun sent qu’il a fait son temps. Quand il s’effondrera finalement, Villiers-le-Bel entrera dans la longue chronique des soulèvements qui auront auguré de la fin d’un monde de malheur. Depuis deux siècles, l’histoire de France a cessé d’être la légende de ses rois pour devenir, un jour de 1789, celle de leur renversement. Elle a déserté les palais, et ses moments véritables ont lieu dans la rue, avec le peuple en armes, en grève ou en révolte. Elle tient désormais dans chacune de ces circonstances où la population, objet permanent de la sollicitude policière, cesse d’être la population et redevient le peuple. En novembre 2007, l’histoire était à Villiers-le-Bel. Dans ces moments politiques, les choses sont rendues à une simplicité aveuglante. On est soit du côté de la police, soit du côté du peuple. Il n’y a pas de tiers parti.

      Aujourd’hui s’ouvrit à Pontoise le procès des prétendus « tireurs de Villiers-le-Bel ». L’année dernière, le procès des premiers émeutiers avait été l’occasion d’une formidable unanimité journalistique contre les prévenus, et c’est le même phénomène qui se profile aujourd’hui. Comme Gambetta traitait la Commune d’« insurrection criminelle » et célébrait « le dévouement, la sagesse » des conseils de guerre chargés de liquider les communards, comme le bon Tocqueville louait durant le massacre de juin 1948 ces troupes qui « font admirablement leur devoir », les inculpés seront forcément présentés comme des délinquants-polygames-à-femme-en-burqa. On ne reculera devant aucune infamie pour justifier que l’on prenne ainsi le parti de forces de l’ordre qui, après avoir renversé deux enfants du quartier et entraîné leur mort, vont se plaindre devant le tribunal d’avoir reçu quelques plombs dans l’épaisseur de leurs gilets pare-balles.

      Les cinq inculpés auraient aussi bien pu être tirés au sort parmi les jeunes de Villiers-le-Bel. C’eût été plus démocratique. Le dossier de l’accusation a été établi en utilisant des méthodes inqualifiables - des dénonciations anonymes et rémunérées, dont plusieurs ont été discréditées depuis, de simples déclarations faites au cours de gardes à vue de quatre jours et sous la pression que l’on imagine. Et c’est avec ce dossier, fait de témoignages douteux, que l’on s’apprête à requérir des dizaines d’années d’emprisonnement. Une justice qui avaliserait de tels procédés ne serait plus qu’une chambre d’enregistrement de l’arbitraire policier. Ce serait une nouvelle étape dans la « guerre totale aux bandes » où le pouvoir en place croit trouver son salut. Ce serait couvrir la vengeance privée de l’institution policière contre le peuple de Villiers-le-Bel.

      Pour toutes ces raisons, nous disons que la justice n’a pas à connaître de ce dossier : on ne traîne pas un événement devant une cour d’assises. Nous refusons de laisser le gouvernement mener en notre nom cette stupide « guerre à la banlieue », aussi rentable soit-elle électoralement. Nous sommes lassés d’avance de cette mauvaise mise en scène. Nous appelons tous ceux qui nous entendent à manifester leur soutien aux inculpés et leur refus de cette justice.

      Signataires : Pierre Alféri Ecrivain, Keny Arkana rappeuse, Miguel Benassayag Ecrivain, Rokhaya Diallo Militante associative et chroniqueuse, Dominique Grange Chanteuse, Eric Hazan Editeur, Hugues Jallon Editeur, Serge Quadruppani Ecrivain, Benjamin Rosoux Tarnacois, Bob Siné Dessinateur, Jean-Marie Straub Cinéaste, Miss. Tic Artiste plasticienne, Rémy Toulouse Editeur, Dominique Tricaut Avocat, Antoine Volodine Ecrivain.

  • Émigration choisie, entretien avec Madjiguène Cissé
    https://vacarme.org/article1230.html

    On apprend aujourd’hui 15 mai 2023 le décès de Madjiguène Cissé, apparue au milieu des visages des sans-papiers rassemblés à Saint-Bernard en 1996. Madjiguène avait alors refusé d’être régularisée en solo, et choisi son pays d’origine, le Sénégal, comme nouveau terrain d’action. Terrain de combat, plus exactement. Sa pensée s’articule autour de dynamiques collectives. Informatique, alphabétisation, santé, prévention, mise en réseau : ses impulsions se concrétisent, par exemple, au marché de Dakar, avec l’achat d’emplacements, pour échapper à la domination des hommes-propriétaires, ou encore, non loin de la capitale, avec l’achat de parcelles pour bâtir une cité d’habitat social. Madjiguène Cissé aimait dans ces femmes assemblées leur potentiel révolutionnaire : ayant moins de droits, elles ont un monde à y (...)

  • « Voir comme on ne voit jamais » - dialogue entre Pierre Bourdieu et Toni Morrison (@vacarme, 1998)
    https://vacarme.org/article807.html

    Pierre Bourdieu : Ce qui m’impressionne, quand je regarde votre itinéraire, c’est que vous avez une attitude qu’on pourrait dire à la fois engagée et retenue. Autant que je sache, vous n’êtes jamais entrée dans les formes ouvertes d’engagement. On ne vous voit pas engagée fortement dans le mouvement féministe, bien que le mouvement féministe se réclame de vous ; on ne vous voit pas ostentatoirement engagée avec le mouvement noir, bien que ce mouvement vous réclame. En même temps, vous avez pour vous définir une formule assez belle, une sorte de formule génératrice de ce que vous êtes : vous dites que vous êtes « une femme écrivain africaine-américaine, dans un monde sexualisé et racialisé ». Manifestement, vous êtes très puissamment engagée dans votre œuvre ; et aussi dans vos actions : je pense à ce que vous avez fait récemment à propos de l’affaire de ce juge accusé de harassement. Vous êtes donc très engagée, mais d’une manière très spéciale, « engagée-dégagée ». J’aimerais bien que vous nous disiez la philosophie de cet engagement... qui me plaît beaucoup.

    Toni Morrison : C’est très vrai. J’ai un gros problème : comme vous l’avez rappelé, je vis dans un monde totalement racialisé et sexualisé, et je dois y faire ce pour quoi je me sens vraiment bonne. Or je ne me sens pas bien dans le milieu des organisations : je ne suis jamais là quand il faut, et je n’aime pas recevoir des ordres ; j’ai donc une marge de manœuvre très limitée dans certains milieux politiques. Mais je crois qu’écrire est l’acte politique par excellence. J’en veux pour preuve que la première mesure des gouvernements oppresseurs, c’est de censurer ou de détruire les livres, ou encore de bâillonner les gens. Et ils font cela justement parce qu’ils ne sont pas stupides, parce qu’ils savent très bien que l’acte même d’écrire est séditieux, potentiellement séditieux en tout cas, et toujours porteur d’interrogations. Mes livres ne répondent pas uniquement à des préoccupations esthétiques, pas plus qu’ils ne ré-pondent exclusivement à des préoccupations politiques. Je pense que, pour pouvoir être pris au sérieux, l’art doit faire les deux à la fois. Il n’y a au-cune raison pour qu’une œuvre d’art ne prenne pas son propre monde au sérieux, aucune excuse pour ne pas faire la meilleure œuvre possible. Mais, d’un autre côté, je pense que les écrivains se doivent aussi de s’engager dans un certain type d’action collective. Comme vous le savez, nous n’avons pas aux États-Unis cette longue tradition d’« intellectuels » politiquement actifs ; elle a existé par moments, puis a disparu, et je crois que nous traversons en ce moment une de ces périodes où cette tradition est plus enterrée que vivante, au contraire de la France. C’est pourquoi ce qui s’est passé il y a deux ans aux États-Unis, lors de la nomination d’un certain juge, a créé une situation politique exceptionnelle. Le problème était de trouver quelqu’un qui fût capable de succéder au juge Marshall, ce juge afro-américain absolument extraordinaire qui, durant cinquante ou soixante ans, s’était battu sans relâche et avait remporté de nombreuses victoires au service de deux causes : celle des droits de l’homme, et celle des droits civiques des Noirs. Or le président Bush a choisi un homme noir plus jeune, parce que c’était un Noir de droite et malléable. Pour commenter cette nomination, Bush a déclaré : « Je veux que vous compreniez qu’il n’est pas question de race dans cette affaire, cette nomination a été décidée en dehors de tout critère racial. » C’est alors que sont arrivées les accusations de harcèlement sexuel ; ce fut un véritable fiasco, et tout le monde a été absolument fasciné par cette histoire. Je ne sais pas ce que vous avez pu en percevoir en Europe, mais tout cela était presque paralysant ; ils ne suffisait pas d’appeler les sénateurs par téléphone, parce qu’aussitôt ils vous demandaient : « Pour qui votez-vous ? Qu’est-ce que vous voulez ? » Quoi qu’il en soit — me voilà en colère à nouveau, ce n’était pas prévu ! —, j’ai fait appel à tout un groupe d’écrivains, à des gens de diverses disciplines universitaires : histoire, anglais, droit, droit critique, anthropologie, religion, éthique, philosophie, etc. Nous étions dix-huit ; il y avait des Blancs et des Noirs, des hommes et des femmes. En très peu de temps, parce qu’il y avait urgence, nous avons écrit une anthologie dans laquelle chacun d’entre nous utilisait le point de vue de sa discipline pour déconstruire, analyser et clarifier la situation politique qui nous avait amenés jusque-là. Nous avons intitulé ce livre Race in Justice Engendering Power, jeu de mots un peu compliqué...

  • Blouses blanches et panthères noires, entretien avec Alondra Nelson
    https://vacarme.org/article2293.html

    Sur un aspect méconnu de l’activisme des Black Panthers à partir de la fin des années 1960 : leur combat pour l’accès aux soins et l’ouverture de cliniques communautaires dans les quartiers noirs. Dans ces lieux, les soins étaient dispensés par des médecins et des infirmières ralliés à la cause mais également par les militants eux-mêmes qui s’étaient emparés des savoir-faire médicaux. (Janvier 2021 : Alondra Nelson vient d’être nommée dans l’administration Joe Biden.) Source : Vacarme, 2013

  • #Podcast / #Audio | La grenouille, la marmite & le drone
    ............................. | Reflets sécuritaires d’un capitalisme ordinaire

    Écouter ici : https://open.audio/channels/lagrenouille
    –—> Lien pour télécharger les informations, illustrations de l’émission format livret :https://framadrop.org/lufi/r/WEJ3nb33dD#FN+zYbv7SeLoR4IW9CmnEylM+w4ObG/a8gdFqL0cDWA=
    (c’est super bien fait, n’hésitez pas !)
    Info publiée aussi sur https://nantes.indymedia.org/articles/54535

    La Loi sécurité globale a mis des dizaines de milliers de personnes dans la rue. Pourtant elle n’est qu’une toute petite partie de l’iceberg sécuritaire.

    Dans cette émission radiophonique, nous explorerons les eaux glacées du capitalisme sécuritaire.

    Il sera question - un peu - de la loi Sécurité globale mais surtout de l’approfondissement et de la généralisation de logique sécuritaire.

    On écoutera :- La manière dont s’arme l’Etat depuis des décennies pour surveiller, réprimer, contrôler les populations, de comment les innovations technologiques (du drône au flashball en passant par la reconnaissance faciale, la 5G et l’Intelligence Artificielle) viennent s’articuler avec les outils de contrôle déjà existants- Des industriels de la sécurité qui poussent à l’inflation sécuritaire et à la privatisation- La capitalisme osciller entre bâton et carotte pour se maintenir- La manière dont la logique sécuritaire se met en œuvre dès le plus jeune âge à l’école - Des grenouilles installées dans une marmite où elles cuisent à petit feu - Des critiques vaines de la sécurité qui espèrent un capitalisme plus doux - La logique du risque qui fait de nous des individus apeurés et suspicieux, demandeurs de toujours plus de sécurité - La logique sécuritaire s’appliquer différemment en fonction de ta couleur de peau et de ta classe sociale - Des pistes de résistance.

    Vous entendrez par ordre d’apparition : Bastien Le Querrec (membre de la Quadrature du net), Marion et Vincent (enseignant.e.s en collège et maternelle), Mathieu Rigouste (auteur notamment de La domination policière) et Paul Rocher (auteur de Gazer, mutiler soumettre). Vous trouverez aussi à l’intérieur des fictions radiophoniques, des montages de l’espace et d’autres joyeusetés.

    contact : aieaieaieuh@protonmail.com

    Aller plus loin :

    Technologie : Article sur les usages présents et possibles de la justice prédictive en France : https://technopolice.fr/blog/la-police-predictive-progresse-en-france-exigeons-son-interdiction

    Analyse de la loi Sécurité Globale et des atrocités qui viennent par la Quadrature du net : https://www.laquadrature.net/2020/11/19/la-technopolice-moteur-de-la-securite-globale

    Répressions et résistances : entretien avec Mathieu Rigouste :https://vacarme.org/article2947.html

    Document sur les fichiers policiers :https://infokiosques.net/IMG/pdf/La_folle_volonte_de_tout_ficher-version_longue-148p-juin2020-pageparpa

    Utilisation de la reconnaissance faciale et des fichiers de police : https://infokiosques.net/IMG/pdf/reconnaissance_faciale_et_fichiers_de_police-16p-fil-2019.pdf

    Décrets récents qui viennent approfondir le fichage : https://paris-luttes.info/des-fiches-toujours-plus-riches-et-14569?lang=fr

    Anti-sécurité : Contre la vidéo surveillance et ses critiques : https://rebellyon.info/Contre-la-video-surveillance-et-ses

    Récit et critique de la manifestation organisée par la Coordination Stop loi sécurité globale : https://sansnom.noblogs.org/archives/3021

    Anti-sécurité : une déclaration https://www.cairn.info/revue-vacarme-2016-4-page-52.htm

    Hégémonie de la sécurité : https://vacarme.org/article2943.html

    Eloigner le péril, une introduction à la critique de la sécurité : http://www.platenqmil.com/blog/2017/10/31/eloigner-le-peril-introduction-a-une-critique-de-la-securite

    Emissions radio « La sécurtié, catégorie fondamentale du capital » sur sortir du capitalisme : http://sortirducapitalisme.fr/emissions/238-la-securite-categorie-fondamentale-du-capital

    Résister : Cartographie de la vidéo-surveillance par ville (plus mis à jour) : https://www.sous-surveillance.net/https://www.sous-surveillance.net

    #surveillance #PPL #Securité #SNMO #

  • Mélenchon, « République » etc. « La créolisation n’est pas un projet ou un programme, c’est un fait » https://www.nouvelobs.com/debat/20200925.OBS33823/tribune-jean-luc-melenchon-la-creolisation-n-est-pas-un-projet-ou-un-prog

    « Créolisation ». Un mot dans mon discours sur la République a fait parler. Je laisse de côté la poignée de sots pour qui ce fut une nouvelle occasion d’essayer de me faire endosser la camisole de force de leurs hantises identitaires. Ainsi de madame Saporta. Son ignorance crasse éclata quand elle affirma que le concept de créolisation renvoyait aux « origines » de chacun. Elle ignore donc ce que veut dire ce mot depuis qu’Edouard Glissant l’a mis en scène. Commençons donc par lire ce qu’en disait Edouard Glissant en 2005 dans une interview au journal « le Monde » :

    « La créolisation, c’est un métissage d’arts, ou de langages qui produit de l’inattendu. C’est une façon de se transformer de façon continue sans se perdre. C’est un espace où la dispersion permet de se rassembler, où les chocs de culture, la disharmonie, le désordre, l’interférence deviennent créateurs. C’est la création d’une culture ouverte et inextricable, qui bouscule l’uniformisation par les grandes centrales médiatiques et artistiques. Elle se fait dans tous les domaines, musiques, arts plastiques, littérature, cinéma, cuisine, à une allure vertigineuse… »

    Le verbe riche d’Edouard Glissant fonctionne ici dans toute sa performance. Il permet de comprendre ce que désigne le mot « créolisation » sans aucun doute d’interprétation.

    Notons l’essentiel. Primo : la créolisation n’est ni un projet ni un programme. C’est un fait qui se constate. Il se produit de lui-même. D’où la sottise de ceux qui m’attribuent la créolisation comme un objectif politique. Veulent-ils s’opposer au processus spontané de la créolisation ? Mais alors il faudrait qu’ils disent pourquoi. Et surtout comment comptent-ils s’y prendre. Secundo : la créolisation ne concerne pas exclusivement la langue comme fait semblant de le croire Eric Zemmour. Elle implique bien davantage l’ensemble des usages de l’existence sociale. Ce sont ces habitudes par lesquelles chacun accède à la vie en société et qui lui paraissent naturelles, évidentes. J’aurais dû écrire « habitus » pour être aussi précis que possible. Cela désignerait alors la façon personnelle avec laquelle cette intégration des usages se fait pour chacun, en relation avec ses appartenances sociales telles que le lieu de vie, la classe sociale, les réseaux de vie collective.

    Le vieux Thomas Legrand en faisait sa chronique ce matin : https://www.franceinter.fr/emissions/l-edito-politique/l-edito-politique-30-septembre-2020

    Au moins, en posant ce débat, Mélenchon fait-il réfléchir… On l’avait oublié [non, toi], mais ce devrait être aussi ça, la politique.

    Faut que je regarde ça maintenant, je ne te remercie pas @fil.
    https://www.youtube.com/watch?v=4nNP1g5_6-M

    Anyway, depuis le temps que je veux lire ceci de feu Alain Ménil :

    Édouard Glissant, signataire du Manifeste des 121 en 1960, « pour un droit à l’insoumission », jusqu’à la créolisation de la FI en 2020, tout s’explique — en attendant le ticket Mélenchon-Taubira : )

    Déformation professionnelle oblige, deux archives du @mdiplo :

    Il n’est frontière qu’on n’outrepasse (octobre 2006)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2006/10/GLISSANT/13999

    La Martinique : une société morbide et ses pulsions (juin 1977)
    https://www.monde-diplomatique.fr/1977/06/GLISSANT/34289

    Dépouillée de ses valeurs culturelles, condamnée à une mendicité officielle, parée d’une bourgeoisie de pure fiction, la Martinique pourtant résiste à la politique d’assimilation.

    • écrire en compagnie - Vacarme
      https://vacarme.org/article2999.html

      Dire « le monde », c’est penser avec Édouard Glissant ?

      Tiphaine Samoyault : Glissant est central pour moi. Avec lui, on quitte l’équivalence entre monde et universel et on rattache monde et divers. Il y a eu un moment historique où mondial fonctionnait avec universel et avec cosmopolitisme. Ce moment est passé. Monde doit être branché sur d’autres mots. J’emprunte à Glissant la façon dont il s’en sert comme d’un adjectif, comme dans « littérature-monde ». Quand il parle du « Tout-monde », il créolise le français, parce que monde en créole, c’est « les gens ». « Tout moun » est une expression des plus courantes pour dire « les autres », « la bande », « la fine équipe ». Glissant ne l’invente pas, mais il en joue, parce que « Tout-monde » en français a une résonance autrement plus autoritaire, avec laquelle il ironise.

    • Dans le fond, on ne peut que se féliciter qu’un penseur comme Édouard Glissant puisse être pris comme référence dans les débats politiques que connaît la France aujourd’hui. Et cela, pour tout un tas de raisons qui me conduisent à dire (avec d’autres) que Glissant fait partie de ces penseurs dont on a besoin en ces temps de confusion, tant il a envisagé je crois des perspectives qui peuvent être très utiles face aux enjeux que l’on connaît aujourd’hui en France. Je ne crois pas personnellement qu’en évoquant la notion glissantienne de créolisation, Jean-Luc Mélenchon puisse être accusé en quoi que ce soit d’opportunisme, de récupération ou même de provocation comme cela a été dit par ceux qui ont voulu créer là une polémique stérile. Certaines voix ont tenté de simplifier ce qu’il a dit, qui me paraît au contraire non seulement bienvenu, mais de surcroît porteur de pistes stimulantes pour le présent. On pourra bien sûr étayer çà et là, discuter, préciser (et c’est nécessaire parce que Glissant est un penseur de la nuance et de la complexité du réel), mais justement, c’est ce que je trouve stimulant : le fait que cette évocation ouvre des voies intéressantes dont il est nécessaire de débattre. Donc oui, pour le redire, je pense que cette référence a été faite à bon escient.

      https://blogs.mediapart.fr/loic-cery/blog/111020/edouard-glissant-la-creolisation-et-son-interpretation

  • VIH & #Banque_mondiale

    Les exigences du #FMI, imposant la restriction des dépenses publiques dans le but de relancer les économies, ont des conséquences graves sur la propagation des épidémies et l’accès aux traitements, tandis que le monopole des firmes pharmaceutiques est rarement remis en question, occasionnant des dépenses absurdes et parfaitement évitables. Malgré les échecs répétés des mesures d’austérité néolibérales et le succès du Portugal, qui a pris la voie opposée, les institutions internationales continuent d’imposer leur carcan, au mépris de la vie des personnes.


    https://vacarme.org/article3193.html

    #VIH #HIV #sida #santé #ViiV_Healthcare #big-pharma #industrie_pharmaceutique #licences_volontaires #médicaments #ajustements_structurels #Argentine #austérité #Roche #La_Roche #Grèce #Portugal #Pfizer #système_de_santé #brevets #médicaments_génériques #sofsbuvir #licence_d'office #évasion_fiscale #pandémie

    • Les effets des politiques d’austérité sur les dépenses et services publics de santé en Europe

      Cet article analyse l’évolution des politiques et des dépenses de santé depuis la grande récession (2008-2009) dans les pays européens. Dans un premier temps, l’article analyse les modalités des réformes et des mesures prises dans le secteur de la santé, en particulier depuis le tournant de l’austérité débuté en 2010, qu’il s’agisse de mesures visant à diminuer directement le volume et le prix des soins au moyen d’une limitation des emplois et des rémunérations dans le secteur de la santé ou à travers des réformes plus « structurelles ». La compression des dépenses publiques de santé a été d’autant plus forte que les mesures ont porté sur le facteur travail. Dans un second temps, l’article documente et analyse l’évolution des dépenses de santé. Si la croissance des dépenses (totales et publiques) de santé a été très peu altérée durant la récession de 2008-2009, une rupture est intervenue dans tous les pays après 2009 (l’Allemagne faisant exception). Certains pays « périphériques » ont connu une baisse des dépenses de santé sans équivalent dans l’histoire contemporaine. L’article conclut sur les limites des politiques d’austérité appliquées au champ de la santé, non pas tant au regard de leurs effets sur le soin ou la situation sanitaire, mais au regard même de leur objectif de réduction des déficits publics. Les travaux montrent que les restrictions opérées dans les dépenses publiques de santé, mais aussi celles en matière d’éducation et de protection sociale, ont des effets récessifs désastreux et s’avèrent inefficaces, ou moins efficaces que des réductions d’autres dépenses publiques.

      https://www.cairn.info/revue-de-l-ires-2017-1-page-17.htm

  • autoportrait - 3 / Samir Baaloudj - Vacarme
    https://vacarme.org/article375.html

    Mais les conneries prenaient souvent le dessus. Je suis tombé pour une bagarre à l’arme à feu, des choses comme ça, des choses qu’il faut oublier. Ensuite, j’ai été condamné pour outrages. Le MIB, pendant tout ce temps, ils nous ont aidés à tenir, à voir notre histoire en face. Ils m’ont aidé à avoir une conscience politique, à prendre sur moi, à remplir mes obligations à l’égard de Dieu. Ils ne le font même pas pour eux, ce sont nos grands frères le travail politique, ils le font pour les mômes. Si, eux, on n’intervient pas, dans quinze ou vingt ans, ils feront le Hezbollah dans les quartiers, se feront sauter avec des ceintures d’explosifs dans les quartiers. Parce qu’en face, c’est le silence. En face, c’est police-justice.Ils ne savent pas comment réagir face à des jeunes qui, aujourd’hui, ne cèdent pas à l’émeute, mais font un combat légal. Eux, ils attendent qu’on fasse sauter la mairie. Là, ils savent faire. Ils envoient les flics, condamnent ensuite. Ils savent très bien faire.

    #MIB

  • Je ne vous pardonnerai pas - Robert Bonamy

    https://vimeo.com/409446101

    Lettres de cinéma - La Cinémathèque française
    https://www.cinematheque.fr/article/1539.html

    Pour la première fois depuis 1895, le public se retrouve privé de projection, de faisceau lumineux sur un tissu blanc, donc d’émotion collective. Ce n’était jamais arrivé, même en temps de guerre : personne n’a le droit de sortir de chez soi pour aller voir un film. La projection publique, l’invention des Lumière, le rêve de Méliès, l’accomplissement qu’attendent tous les cinéastes du monde entier depuis toujours, est interrompue pour la première fois. Comme tout s’arrête, c’est la production même d’images et de sons du monde qui est touchée.

    Plus de tournages, plus de montage, plus rien. Restent les plateaux des chaînes d’information et le stock infini d’images cinématographiques et télévisuelles.

    Alors, depuis un mois, des artistes du monde entier nous ont envoyé des cartes postales, des bouteilles à la mer, des films brefs comme un message, des films courts, conçus et fabriqués avec les moyens du bord, avec trois fois rien. Des cinéastes chevronnés, des acteurs, des monteurs et producteurs, de jeunes étudiants de la Femis ou de Louis Lumière, aussi.

    Nous avons réuni les vingt-huit premiers films reçus, sur notre chaîne Viméo. Vingt-huit films comme autant de fenêtres ouvertes sur Beyrouth, la Creuse, la place de la République, La Rochelle, Grenoble ou Saint-Ouen. Vingt-huit films comme autant de promesses, de lendemains qui filment.

    Les vingt-huit premières contributions ont été rassemblées sur notre chaîne Vimeo.
    https://vimeo.com/showcase/6974393
    Nous vous informerons régulièrement des nouveautés, sur cette page et sur nos réseaux sociaux : #lettresdecinema.

    #cinémathèque #films

    • 6:00 « La voilà ma méditation métaphysique : Vous êtes des chiens aveugles qui piétinez nos âmes sur l’asphalte du progrès. Vous êtes les fantômes d’un monde mortifère détruisant nos songes. Vous avez presque le monopole radical de la mort, je ne vous laisserai pas celui de la vie. »

    • Et sinon …

      @colporteur @grommeleur je ne suis pas allée voir, mais ça ne m’étonne pas, c’est la digne continuité d’un système avec des grandes écoles élitistes dans lesquelles renforcer son réseau. Rien que la formation au cinéma dans la plus prestigieuse école (Femis) ne rassemble que des fils et filles de et un paquet de bourgeois friqués qui n’ont jamais eu d’autres horizons à questionner que les leurs. Le populo peut ainsi s’esbaudir de les voir raconter leur propre histoire du monde dans des films où vivre dans 200m2 est leur norme. Le cinéma français a du caca de riches patriarches blancs qui lui emplit les yeux depuis trop longtemps et qui forme malheureusement des répétiteurs du même monde.

      Woo, c’est intéressant de regarder leur choix, sacré progrès, il y a au moins 10 réalisatrices sur les 58 films … ça laisse donc 80% à l’expression de la vision du monde par des hommes. Il faudrait regarder aussi la place laissée aux « minorités » nan, parce que je rappelle incidemment que les femmes sont une minorité à 51% …
      #avant #pendant #après #sexisme

    • Il y a malgré tout certainement des choses visibles parmi les films proposées, ceux qui ont eu la chance d’en découvrir, dites s’il vous plait !
      Oui pour les critiques, redoublées ici même par des faits documentés. Il suffit de chercher le patron ! #Frédéric_Bonnaud le plus souvent sans # pour vérifier que les petites mains salariées et précaires sont maltraitées
      https://seenthis.net/messages/456399
      https://seenthis.net/messages/460858
      https://vacarme.org/article2893.html
      que la prog est particulièrement insoucieuse des femmes https://seenthis.net/messages/639672
      https://seenthis.net/messages/644779

      sauf à exhiber stars, jeunes « actrices prometteuses », réal consacrées, à l’occasion.

      Il y a aurait par ailleurs beaucoup à dire (et il doit exister des textes ce propos) sur ce que porte cette institution de prestige comme définition de la culture, du cinéma (la programmation, le musée façon small Disney is beautifull ou je sais pas quoi), du public. Les modalités d’accueil que caractérise le sort de la cafet’ sous-traitée et sa hausse des prix (si ça coûte,,c’est plus chic...) qui avait traditionnellement pu être un lieu de flânerie et d’échanges (reste la pelouse en face, si il pleut pas)...

      #Institution_culturelle #Patron #cinéma

    • Je fréquente avec assiduité mais c’est pas un lieu où je me sens super bien. Ça sent le vieux garçon, c’est le seul endroit dans ma vie où les gens font des conversations racistes, classistes et anti-écolos à voix haute, sans gêne. Et je confirme que la cafet’, sans être confortable, est assez chère, le tout dans un quartier avec des offres de restauration très standardisées, chères et sans âme...

  • Marseille en guerre
    entre effondrements et coquilles vides

    Par Bruno Le Dantec
    https://vacarme.org/article3298.html

    Si le bazar de Belsunce n’a pas bénéficié des réseaux du clientélisme municipal, la place qu’il a occupée en ville est inestimable. Ce qu’on réduisait un peu vite à un « commerce arabe » était ni plus ni moins que la réinvention d’échanges transméditerranéens par des ex-colonisés s’appuyant sur des liens familiers avec l’autre rive. Cela au moment où, avec les indépendances, Marseille cessait d’être « la porte du Sud et de l’Orient ». Ce bazar avait donc une signification politique forte, en cheville avec l’histoire et les affaires de la cité. Mais on n’a pas voulu le laisser prospérer. À droite parce que racisme et « nostalgérie » étaient trop prégnants. À gauche, parce que ni la doxa marxiste, ni le clientélisme du PS ne permettaient d’apprécier la puissance culturelle, économique et sociale du bazar — comparable, à son apogée dans les années 1980, à celui d’Istanbul. Le commerce d’échoppes et l’artisanat qui gravitait autour (comme le cuir travaillé dans les ateliers arméniens de la porte d’Aix) étaient vus comme des archaïsmes. Pourtant, la dimension universelle de cette constellation trabendiste crevait les yeux : le commerce des voitures d’occasion, par exemple, couvrait une géographie mondiale, depuis l’Europe du Nord jusqu’aux ports du Maghreb et de l’Afrique de l’Ouest, en passant par les ateliers mécaniques qui turbinaient en guirlande de l’avenue Salengro jusqu’à la montée de la Viste.

    #Marseille #Bruno_Le_Dantec

  • La Caravelle, une cité HLM - Vacarme
    https://vacarme.org/article999.html

    C’est l’histoire de La #Caravelle, un ensemble de barres HLM construit à #Villeneuve_la_Garenne entre 1959 et 1968, qui contient dans son nom la promesse d’un nouveau monde. C’est l’histoire de La Caravelle au moment où Roland Castro s’apprête à la remodeler intégralement. C’est l’histoire d’une cité qui devient neuf quartiers. C’est l’histoire de ses habitants, de ceux qui sont partis, de ceux qui sont venus, de ceux qui ne veulent pas la quitter. C’est aussi une histoire à la fois singulière et exemplaire de l’habitat social en France.

    un endroit où le confinement doit être très dur, 6000 habitants dans une barre en H où les balcons se comptent sur les doigts de la main (et depuis « l’intervention » de castro)...

  • Performing the law / LE #BUREAU_DES_DEPOSITIONS

    Comment qualifier le bureau des dépositions sans passer à côté des causes (déterminées) et des fins (encore inconnues) de ce collectif dont les performances ne sont ni des représentations ni des manifestations mais du “droit en train de se faire”… Nous retrouvons les lignes directrices du Labex performing the law mais dans une dimension encore plus aboutie. Il ne s’agit pas de dire que la #performance en elle-même est plus travaillée mais de souligner ici que la #fabrique_du_droit est encore plus essentielle, intrinsèque au projet.

    Un projet qui correspond parfaitement à une publication sur un carnet de recherches car on avance ici de brouillon en brouillon, l’œuvre collective évoluant au fur et à mesure des rencontres visibles et publiques mais aussi des événements quotidiens qui affectent les différents intervenants. Car la frontière entre vie privée et scène publique se veut ici poreuse puisque nous sommes aux marges de toutes les catégories : privé et public, fiction et réalité, matériel et immatériel, théorie et pratique…

    Le “Bureau des dépositions” est en effet le nom que s’est attribué un groupe d’hommes et de femmes pour rendre compte et désigner l’#œuvre_immatérielle constituée par la #co-présence des #co-auteurs et des co-autrices à un moment donné et en un lieu déterminé. La performance n’est donc pas la représentation d’une œuvre qui préexiste mais bien la réalisation concrète à l’instant-t de l’œuvre dont il est question et dont on pourra par la suite défendre l’#intégrité. Une œuvre qui tend à faire #justice, alors même que les principes brandis par notre pays, clamés haut et fort au titre des gloires nationales, se révèlent insuffisants pour venir en aide concrètement aux migrants. Ici, les migrants sont avant tout des co-auteurs et des co-autrices dont la présence est essentielle à l’intégrité d’une œuvre immatérielle. Le droit d’auteur, le #droit_des_obligations seront ici privilégiés, instruments d’action pour faire valoir non pas la reconnaissance de #droits_fondamentaux à des hommes pressentis nus parce que non élevés au rang de concitoyens mais les droits d’auteurs et d’autrices, inscrits dans des liens d’obligations… Expulser cet auteur, c’est atteindre l’œuvre et entraver sa réalisation et les performances prévues, c’est impliquer les co-auteurs, les co-autrices mais aussi les diverses institutions qui s’impliquent en signant des contrats avec les “#performeurs”.

    Ainsi, le Bureau des dépositions n’est pas né d’une interrogation théorique mais d’une urgence pratique et il s’agit alors de ne jamais perdre de vue que la représentation n’est jamais à entendre dans le sens classique d’un spectacle ou d’une performance artistique mais dans le cadre d’une difficulté à résoudre.

    La performance par la coprésence est une #action, dans le sens juridique du terme, une action qui relève de la capacité à obtenir justice, de la volonté de faire reconnaître un #droit et non d’un mouvement esthétique sans lendemain. Bien sûr, la démarche suppose, pour être visible, de se fondre dans une mise en scène mais il ne s’agit que d’un moyen et pas d’une fin. Pour ouvrir une scène publique qui a deux vocations : avancer en commun par le partage des problèmes et le recueil de solutions et constituer l’objet même de la démarche juridique : l’œuvre immatérielle.

    Être ensemble sur une scène, s’exprimer à la radio… voilà autant de concrétisations qui constituent un cheminement dont nous allons rendre compte, et dans un certaine mesure qui est encore difficile à déterminer, accompagner voire nourrir.

    Le premier plateau-radio d’octobre 2019 :


    https://r22.fr/focus/oeuvrer-les-limites-du-droit-deuxieme-session

    https://imaj.hypotheses.org/2420

    #audio

    #droit_d'auteur #droit_des_étrangers #asile #migrations #réfugiés

    Une initiative de #Sarah_Mekdjian et #Marie_Moreau

    ping @karine4 @isskein

    • A Grenoble, le Bureau des dépositions ne veut plus être empêché de créer

      Le collectif d’artistes projette de saisir la justice contre les procédures d’expulsion qui menacent certains de ses membres, demandeurs d’asile. Avec une arme : le statut de co-auteur.

      Dans leurs contrats figure une clause « d’indivision » qui prévoit l’annulation de la représentation en cas d’absence contrainte de l’un des coauteurs en raison de sa situation administrative. Un paragraphe tout sauf anodin pour Mamadou, Sarah, Ben, Sâa Raphaël, Marie, Pathé, Ousmane, Mamy, Aliou et Elhadj Sory, depuis que le Bureau des dépositions, le collectif d’artistes qu’ils ont fondé il y a un an, a cru voir son élan brisé par l’expulsion de deux membres.

      En mai 2019, deux mesures d’éloignement préfectorales ont mis entre parenthèses le travail artistique engagé par ces dix « auteurs-performeurs », dont la collaboration s’était scellée quatre mois plus tôt, autour d’ateliers d’écriture de lettres sur les violences des politiques migratoires. Trois mois après leur transfert respectif vers l’Espagne et l’Allemagne, Mamadou et Elhadj Sory ont à nouveau franchi la frontière, permettant ainsi au Bureau des dépositions de renouer avec ses ambitions.

      « On s’est dit qu’il fallait faire quelque chose pour se protéger », se souvient Ousmane, l’un des huit demandeurs d’asile originaires de Guinée-Conakry qui ont participé à la création du collectif. « L’agent actif de nos œuvres, c’est-à-dire la nécessaire présence physique des uns et des autres lors des temps de création pour échanger et faire œuvre, a été mis en péril », abonde Marie, coautrice au sein du groupe.
      Notion de coauteur

      À l’exception d’Ousmane, les autres exilés du collectif, âgés de 20 à 29 ans, vivent sous le coup d’une Obligation de quitter le territoire français (OQTF) ou d’un transfert, dit « Dublin », vers le premier pays de l’Europe où leurs empreintes digitales ont été enregistrées. Chaque soir, ils dorment aux côtés d’une soixantaine d’autres demandeurs d’asile au « Patio », un local désaffecté du campus de Grenoble ouvert dans l’urgence au début de l’hiver 2017 pour les abriter.

      https://www.lemonde.fr/culture/article/2020/02/19/a-grenoble-le-bureau-des-depositions-ne-veut-plus-etre-empeche-de-creer_6030

    • œuvrer une justice spéculative

      Bureau des dépositions. Exercice de justice spéculative est fondé sur une conception pragmatique du droit, à partir de celui déjà existant et de ses limites, à distance du régime moral et compassionnel de la plainte. L’œuvre s’inspire du droit de la propriété intellectuelle, infléchi par les pratiques du logiciel libre, afin d’attaquer le contentieux du droit des étrangers et du droit d’asile. Le fac-similé de la procédure est suivi d’un texte de Sarah Mekdjian et Marie Moreau retraçant les pratiques de cette œuvre signée en co-auctorialité, initiée depuis janvier 2019 au Patio solidaire sur le campus de l’université Grenoble Alpes, et au Magasin, centre national d’art contemporain à Grenoble. Il s’agit d’une création, immatérielle et processuelle, signée par dix auteur·trice·s.

      https://vacarme.org/article3283.html

    • #Bureau_des_dépositions. #Expulsions, #œuvres-milieux et recours au #droit

      Dix personnes, qui forment le Bureau des dépositions, créent des performances à Grenoble depuis 2018. En s’adressant les un·es aux autres et à un public, en ré-agençant les (im)-possibilités de paroles depuis la mise à découvert d’injustices légalement produites, elles, ils élaborent des conditions de trans-formations : langagières, sensibles, politiques. Dans le même temps, plusieurs performeurs sont inquiétés par le contentieux du droit des étrangers et du droit d’asile, expulsés légalement ou encore menacés d’expulsion. Des réponses se formulent auprès des tribunaux : alors que les performances requièrent la co-présence physique de chacun·e, les absences forcées portent atteinte à un milieu de création. Le droit d’auteur et de la propriété intellectuelle est ici convoqué et réinterprété dans le contexte d’expulsions légales et d’œuvres-milieux.

      https://www.multitudes.net/bureau-des-depositions-expulsions-oeuvres-milieux-et-recours-au-droit

  • Sur les Gilets Jaunes, l’État et le fascisme | Antonin Bernanos
    https://vacarme.org/article3268.html

    Je vous écris depuis la maison d’arrêt de la Santé, où je suis incarcéré dans le cadre d’une procédure judiciaire ouverte le 18 avril dernier à l’encontre de plusieurs personnes et militants antifascistes, suite à une confrontation ayant opposé des antifascistes à des militants d’extrême-droite. Cela fait près de six mois que je suis enfermé… Source : Vacarme

  • Du concept de prohibition à la notion de guerre | vih.org
    https://vih.org/20150424/du-concept-de-prohibition-a-la-notion-de-guerre

    La guerre à la drogue est un slogan qui cache une profonde modification du principe originel de #prohibition pour « faire de la politique avec d’autres moyens ». Pour Fabrice Olivet d’ASUD, à qui nous ouvrons nos colonnes, cette guerre a été conçue et perpétrée pour cibler certaines catégories de population. La guerre à la drogue serait aussi une guerre sociale, une guerre culturelle, une guerre raciale.

    http://www.asud.org/2013/12/15/la-guerre-aux-drogues-une-guerre-raciale
    https://seronet.info/article/ce-qui-tue-cest-bien-la-guerre-aux-drogues-84022

    Michelle Alexander nous parle d’une nouvelle société de caste, née sur les décombres d’une guerre à la drogue, menée rigoureusement et méthodiquement et contre la communauté afro-américaine. Une société ou un adulte noir de sexe masculin sur deux, a été incarcéré au moins une fois pour un délit lié aux stupéfiants. L’actualité des banlieues françaises éclaire ces propos d’un jour sinistre. Et si Michelle Alexander nous parlait de notre futur ? Et si le New Jim Crow était en train de s’appeler le nouveau Mohamed ?

    http://www.asud.org/2013/03/30/the-new-jim-crow-et-le-nouveau-bougnoule
    http://www.asud.org/2013/05/13/dix-questions-a-michelle-alexander
    #drogue

  • « Voir comme on ne voit jamais » - Vacarme
    https://vacarme.org/article807.html

    Figure puissante de la littérature américaine contemporaine, Toni Morrison compose, livre après livre, une œuvre polyphonique, portée par les passions, les voix, les rythmes de ceux que l’on opprime [1]. Une oeuvre dont on pressent sans mal qu’elle intéresse la sociologie de Pierre Bourdieu, mais à quel titre, exactement ? Pour ses affinités ou pour sa distance avec le savoir sociologique ? Parce qu’elle reflète une condition sociale, ou parce qu’elle s’en affranchit ? Comme invention littéraire ou comme intervention politique ? L’entretien qui suit permettra d’en juger. Il a eu lieu à Paris, le 22 octobre 1994.