Corriere della Sera - Ultime Notizie

https://www.corriere.it

  • Migranti, patto Italia-Albania : sì dalla Corte costituzionale albanese all’accordo

    Cinque giudici supremi su nove non si oppongono all’intesa Roma-Tirana sui centri temporanei di accoglienza. Ora l’ultimo passaggio parlamentare in Albania, poi l’implementazione dell’accordo

    La Corte costituzionale albanese vota a favore dell’accordo per la realizzazione dei centri di accoglienza dei migranti siglato dai governi italiano e albanese. A sostenerlo è una nota della Consulta che conferma così le anticipazioni del Corriere.

    La decisione

    Secondo le fonti 5 giudici – su 9 – della Consulta locale hanno stabilito che l’intesa siglata a Roma dai premier Giorgia Meloni ed Edi Rama risulta «conforme» alla costituzione albanese. Dopo questo pronunciamento ora è atteso un veloce passaggio parlamentare per approvare l’accordo.

    Le motivazioni

    «La Corte ha valutato che il “protocollo sulla migrazione” non stabilisce confini territoriali e neppure altera l’integrità territoriale della Repubblica d’Albania, pertanto non costituisce un accordo relativo al territorio dal punto di vista fisico», si legge nella nota ufficiale. E ancora: «La Corte ha valutato che nelle due zone in cui agisce il protocollo, si applica il diritto albanese, oltre al diritto italiano» e che «la Corte ha constatato che per i diritti e le libertà umane opera una giurisdizione duplice, il che significa che la giurisdizione italiana nelle due zone in questione non esclude la giurisdizione albanese». L’accordo, poi, «non crea nuovi diritti e libertà costituzionali e non impone restrizioni aggiuntive ai diritti e alle libertà umane esistenti, al di là di quanto previsto dall’ordinamento giuridico albanese».

    Il patto

    Lo scorso novembre Meloni e Rama hanno siglato l’intesa che prevede la realizzazione in Albania di due centri per l’identificazione e l’accoglienza dei migranti salvati nel Mediterraneo. La prima struttura, quella di «registrazione», secondo l’accordo dovrebbe sorgere al porto di Shëngjin, nel nord del Paese, mentre nell’entroterra dovrebbe essere costruito un centro di permanenza a Gjadër. Tirana si è offerta di accogliere fino a 3 mila migranti in attesa di sapere se possono mettere piede nel territorio italiano o devono essere rimpatriati, il tutto a spese di Roma. Il protocollo ha una validità di cinque anni, prorogabili automaticamente di altri cinque in assenza di rilievi da parte italiana o albanese.

    Il ricorso

    L’accordo era stato però fortemente osteggiato dall’opposizione albanese che, dopo aver raccolto le firme necessarie, aveva portato il patto Roma-Tirana alla Corte costituzionale. Il 13 dicembre scorso i giudici albanesi hanno ammesso il ricorso e lo scorso 18 gennaio hanno iniziato a esaminarlo. Due i punti da chiarire, in particolare: il presunto mancato rispetto della procedura di negoziazione e firma e la possibile violazione dei diritti umani.

    Il voto

    Negli ultimi giorni la Consulta ha poi ricevuto ulteriori documenti dalla parte ricorrente – oltre alle «memorie» difensive del governo – e dopo diverse ore di confronto, anche acceso, 5 giudici non muovono obiezioni all’accordo, gli altri 4 sì.

    https://www.corriere.it/politica/24_gennaio_29/migranti-patto-italia-albania-si-corte-costituzionale-albanese-all-accordo-

    #Italie #asile #migrations #réfugiés #Albanie #accord #externalisation #centres #cour_constitutionnelle #justice #accord

    –-

    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Accordo Meloni-Rama: via libera della Corte costituzionale albanese

      Con cinque voti a favore e quattro contrari, la Corte costituzionale albanese ha convalidato il protocollo stipulato tra il premier Rama e la sua omologa Meloni sulla creazione di centri di accoglienza per migranti sul suolo albanese

      Ieri pomeriggio (29 gennaio) la Corte costituzionale albanese si è pronunciata sulla conformità del protocollo bilaterale stipulato il 6 novembre scorso sul trasferimento dei migranti nei centri situati a Gjadër e presso il Porto di Shëngjin.

      Il protocollo “è conforme alla Costituzione” cita il comunicato stampa della Corte, dando così il via libera al processo di ratifica da parte del Parlamento.

      Nella sua argomentazione, la Corte sostiene che il protocollo non incide sull’integrità territoriale dell’Albania sotto l’aspetto fisico. Nelle due aree previste per l’accoglienza dei migranti vige la giurisdizione albanese, oltre a quella italiana. Rimangono inoltre in vigore le norme del diritto internazionale in materia di migrazione e diritto di asilo, le cui convenzioni sono già ratificate da entrambi i paesi.

      La firma del protocollo tra i due premier si basa sul trattato di amicizia stipulato tra i due paesi nel 1995, il quale secondo la Corte funge da accordo quadro che permette al governo albanese di non necessitare della previa concessione di un mandato plenipotenziario di negoziazione da parte del Presidente della Repubblica.

      Il ricorso per incostituzionalità è stato presentato il 6 dicembre scorso da 30 deputati dell’opposizione provenienti dalle file del Partito Democratico e del Partito della Libertà.

      A seguito del pronunciamento della Corte, immediata è stata la reazione del promotore del ricorso, l’onorevole Gazment Bardhi sui social, il quale ha dichiarato : “Negare la trasparenza e soprattutto eludere l’opportunità di un parere consultivo da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono una chiara indicazione che la Corte costituzionale ha perso fin dall’inizio l’opportunità di fare giustizia su questo caso”.

      Non sono mancate neanche le reazioni da parte delle organizzazioni della società civile. “La Corte costituzionale ha ignorato il fatto che sull’accordo non sono stati consultati i cittadini, soprattutto gli abitanti di quelle aree, e non sono stati nemmeno interpellati i gruppi di interesse”, recita il comunicato di Qëndresa Qytetare (Resistenza civica), associazione civica attiva nella promozione dei diritti dei cittadini.

      In segno di protesta, un gruppo di giovani ha deposto simbolicamente una corona di fiori all’ingresso della Corte costituzionale, per simboleggiare il “decesso” della giustizia.

      Nelle prossime settimane verrà pubblicata la decisione della Corte sulla Gazzetta Ufficiale, dando così il via al processo di ratifica da parte del Parlamento. Il Partito Socialista al governo detiene attualmente la maggioranza di 74 deputati sui 140 complessivi.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Accordo-Meloni-Rama-via-libera-della-Corte-costituzionale-albanese-2

    • Albanie : la Cour constitutionnelle approuve l’accord avec l’Italie sur l’externalisation des demandes d’asile

      Bloqué par une procédure judiciaire, l’accord migratoire entre Rome et Tirana a finalement obtenu le feu vert de la Cour constitutionnelle albanaise. D’ici quelques mois, l’Albanie accueillera donc deux centres d’accueil pour les demandeurs d’asile secourus dans les eaux italiennes, malgré les nombreuses critiques visant le projet.

      Feu vert pour le projet italien. Lundi 29 janvier, la Cour constitutionnelle albanaise a approuvé la construction dans le pays de deux centres d’accueil pour les migrants secourus dans les eaux italiennes. L’accord entre Tirana et Rome « ne nuit pas à l’intégrité territoriale de l’Albanie », a tranché la Cour, faisant fi des nombreuses critiques d’ONG et de l’opposition albanaise qui l’avait saisie estimant que l’accord « violait la Constitution albanaise ».

      « Nous ne vendons pas un morceau de terre de l’Albanie », s’est défendu dans une interview à l’AFP le ministre albanais de l’Intérieur, Taulant Balla. « Nous offrons ces terres à l’Italie comme nous le faisons habituellement lorsque nous établissons une ambassade ».

      Cet accord ne nuit pas non plus, selon le communiqué de la Cour, « aux droits humains et aux libertés », et est « conforme à la Constitution albanaise ». Il doit maintenant être ratifié par le Parlement, ce qui devrait être une formalité puisque le Premier ministre et signataire de l’accord, le socialiste Edi Rama, y dispose d’une majorité.

      https://twitter.com/ecre/status/1752248412777353397

      Signé en novembre entre les deux pays, le texte prévoit l’ouverture d’un centre dans le port de Shëngjin (nord), servant à l’enregistrement des demandeurs d’asile. La structure sera construite sur un périmètre d’environ 240 mètres, et sera entouré d’une clôture de 4 mètres de haut, rehaussée de barbelés. Le centre de Gjader, lui, hébergera les migrants dans l’attente d’une réponse à leur demande d’asile.

      Ces deux centres qui seront gérés par l’Italie sur le territoire d’un pays qui ne fait pas partie de l’Union européenne (UE) - mais y aspire - pourront accueillir jusqu’à 3 000 migrants arrivés en Italie par voie maritime.
      Entre 650 et 750 millions d’euros

      Avec ce traité, les migrants récupérés en mer ne débarqueront pas en Italie, et ne fouleront même pas son sol. Ils seront directement emmenés vers les ports albanais. Rome contourne ainsi la responsabilité légale d’accueil qui lui incombe lorsqu’un demandeur d’asile est secouru sur son territoire, maritime en l’occurrence.

      En Italie, l’accord, avant même son éventuelle entrée en vigueur, a suscité de très nombreuses critiques. « Publicité électorale » en vue des élections européennes de juin, « inutile et coûteux », « inhumain et illégitime » : les députés d’opposition italiens n’ont pas manqué de dénoncer durement cet accord au cours du débat parlementaire.

      Ils en ont également critiqué le coût, estimé entre 650 et 750 millions d’euros sur cinq ans. Les dépenses pour la construction de ces deux centres et des infrastructures nécessaires, pour leur fonctionnement, pour la sécurité ainsi que pour les soins médicaux des demandeurs d’asile seront en effet couvertes à 100% par la partie italienne, selon les autorités albanaises.

      Un coût prohibitif qui s’ajoutent aux nombreuses critiques d’ONG et d’institutions contre le projet. L’International Rescue Committee (IRC) a fustigé un accord « déshumanisant », quand Amnesty International dénonçait une « proposition irréalisable, nuisible et illégale ».

      Le Conseil de l’Europe, lui, avait considéré en novembre que ce « régime d’asile extraterritorial se caractérise par de nombreuses ambiguïtés légales ». Il risque « d’aboutir à un traitement différent entre ceux dont les demandes d’asile seront examinées en Albanie et ceux pour qui cela se déroulera en Italie », avait estimé la commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe, Dunja Mijatovic dans un communiqué.

      Cela n’a pas empêché les députés italiens d’adopter le projet le 24 janvier, par 155 voix pour et 115 contre, avec deux abstentions. Le Sénat, où la coalition ultraconservatrice au pouvoir de Giorgia Meloni dispose d’une large majorité parlementaire, devrait aussi l’approuver sans difficulté.
      Faciliter les expulsions

      Le nombre de personnes tentant de rejoindre l’Europe via l’Italie a beaucoup augmenté l’an dernier. Selon le ministère italien de l’Intérieur, 157 652 personnes ont débarqué sur les côtes italiennes en 2023, contre 105 131 en 2022.

      Depuis quelques mois, Rome multiplie donc les mesures pour dissuader les exilés de débarquer sur son sol. Le 28 novembre, la Chambre des députés a voté à la majorité le décret Cutro 2, qui fixe notamment les conditions d’hébergement des exilés sur son sol. Avec la nouvelle législation par exemple, toute personne reconnue coupable, même avec une peine non définitive, de blessures corporelles sur des individus mineurs ou infirmes ne pourra entrer en Italie.

      Aussi, le délai de recours contre l’expulsion d’un étranger titulaire d’un titre de séjour de longue durée dans l’Union européenne est réduit de 30 à 15 jours.

      Le 24 septembre, un centre d’hébergement flambant neuf a par ailleurs été inauguré à Pozzallo en Sicile. Il accueillera uniquement les exilés provenant de « pays sûrs », qui ont donc très peu d’espoir d’obtenir une protection en Italie. Objectif affiché de cette nouvelle structure ? Accélérer le traitement des demandes d’asile, et donc les expulsions.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/54855/albanie--la-cour-constitutionnelle-approuve-laccord-avec-litalie-sur-l

    • La Corte costituzionale albanese approva il Protocollo Meloni-Rama con un voto politico, ma contro la legislazione dell’Unione Europea

      1. Le notizie di agenzia diffuse in Italia non hanno fornito le motivazioni del voto della Corte Costituzionale albanese che, a stretta maggioranza (5 contro 4), ha dichiarato che il Protocollo Italia-Albania sulla esternalizzazione delle procedure di identificazione e asilo non viola la Costituzione albanese. Una decisione che non chiude affatto la questione della conrarietà del Protocollo con la legislazione dell’Unione Europea e con principi altrettanto rilevanti e di immediata applicazione sanciti dalla Costituzione italiana. Rimane poi una consistente parte dei parlamentari albanesi, oggi all’opposizione, che continua a ritenere che non sia stata rispettata la procedura per la negoziazione e la stipula dell’accordo, in quanto il suo oggetto rientrerebbe nella categoria di accordi che necessitano dell’autorizzazione preventiva del Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 121, co. 1, lett. a) e b) della Costituzione, in quanto riguarda questioni di territorialità e diritti fondamentali. Se la decisione della Corte Costituzionale albanese sembra escludere la necessità della autorizzazione preventiva del Presidente della Repubblica, rimane aperta, anche in Albania la questione della possibile lesione dei diritti fondamentali della persona nei due nuovi centri che l’Italia dovrebbe aprire e gestire sotto giurisdizione italiana in territorio albanese.

      La ratifica del Protocollo da parte della Camera dei deputati in Italia ha lasciato aperte questioni che neppure la Corte costituzionale albanese ha risolto. Il riconoscimento dell’Albania non solo come “paese terzo sicuro”, ma come territorio nel quale si dovrebbe esercitare la “giurisdizione italiana”, non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      La Direttiva “rimpatri” 2008/115/CE si applica esclusivamente ai “cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare” (art.2). salva la possibilità di deroga nei casi di respingimento in frontiera, nel rispetto del principio di non refoulement (art.33 Conv. Ginevra 1951), delle procedure e delle garanzie fissate dall’art. 13 del Codice frontiere Schengen e in ogni caso dei divieti di respingimento collettivo richiamati anche dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

      Secondo il vigente Regolamento Dublino n.604/2013, “ Ogni Stato membro mantiene la possibilità di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro, nel rispetto delle norme e delle garanzie previste dalla direttiva 2013/32/UE”. La norma fa però riferimento a persone che comunque abbiano già uno status di richiedente asilo. Al riguardo la direttiva procedure appena citata individua chiaramente come ambito di applicazione il territorio degli Stati membri. In particolare, l’articolo 3 della direttiva 2013/32/UE (procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale) prevede che la direttiva si applichi “a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri” e che invece non si applichi “alle domande di asilo diplomatico o territoriale presentate presso le rappresentanze degli Stati membri”. Analogamente, l’articolo 3 della direttiva 2013/33/UE (norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) prevede che la direttiva si applichi a “tutti i cittadini di paesi terzi e agli apolidi che manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale nel territorio di uno Stato membro, comprese la frontiera, le acque territoriali, o le zone di transito, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio inqualità di richiedenti, nonché ai familiari, se inclusi nella domanda di protezione internazionale ai sensi del diritto nazionale” e che la direttiva non si applica invece “alle domande di asilo diplomatico o territoriale presentate presso le rappresentanze degli Stati membri”.

      Non si può neppure ritenere che il Protocollo firmato da Giorgia Meloni e da Edi Rama si collochi al di fuori del diritto dell’Unione europea, come pure era stato rilevato da qualche esponente della Commissione a Bruxelles, perchè se si arrivasse a questa conclusione la discriminazione tra le persone soccorse in acque internazionali e sbarcate in Albania, rispetto a quelle salvate nelle stesse acque internazionali, sempre da navi militari italiane, risulterebbe incompatibile con il principio di non discriminazione, affermato nella Costituzione italiana (art.3), nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e nella Convenzione europea sui diritti dell’Uomo. Come rileva la stessa Commissione europea, peraltro, al Protocollo “si applicano le leggi italiane, che comunque devono rispettare quelle comunitarie”.

      In ogni caso, non si può valutare il Protocollo Italia-Albania, e il relativo Disegno di legge di ratifica in Italia, come se il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo approvato con una intesa politica dal Conisglio dell’Unione Europea del dicembre dello scorso anno, fosse già un atto legislativo. Si deve dunque considerare ancora come termine di paragone la vigente legislazione europea, comprensiva anche della Direttiva rimpatri 2008/115/CE e del Regolamento Dublino n. 604/2013, che non sono stati ancora sostituiti, modificati o rifusi secondo le norme più restrittive che si vorrebbero introdurre con il nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo, concordato tra rappresentanti del Consiglio, e del Parlamento pochi mesi fa, ma ancora privo di qualsiasi valenza normativa.

      2. Come al solito le notizie sui fatti reali, dunque sulla reale portata della sentenza della Corte costituzionale albanese sono assai rare ma, per quanto accessibili, possiamo riprendere le poche fonti di informazione che hanno riportato i contenuti della decisione dei giudici albanesi, mentre in Italia si è rimasti al livello della propaganda politica a favore, o contro i partiti di governo. Partiti che nel parlamento italiano hanno una tale maggioranza da fare approvare tutti i provvedimenti che varano, anche nelle forme semplificate dei decreti legge, che di fatto espropriano le assemblee elettive, grazie anche al ricorso sistematico al voto di fiducia, di quel potere di controllo sull’esecutivo che rimane l’ultima traccia di un pluralismo democratico che oggi in Italia, come del resto in altri paesi europei, e nella stessa Albania, non esiste più. E la vicenda del Protocollo Italia-Albania lo conferma in pieno, sempre che poi dai progetti di legge e dalle campagne elettorali si passi ai fatti. E dunque alla realizzazione delle due grandi strutture di accoglienza/detenzione che il Protocollo prevede siano costruite in Albania e gestite “sotto la piena giurisdizione italiana”, anche se ormai è chiaro che sarà necessario ricorrere al concorso delle forze di polizia albanesi, quantomeno per i trasferimenti in territorio albanese e per le procedure di rimpatrio forzato dagli aeroporti di quel paese.

      Secondo quanto riferito dal sito “Politiko”, la Corte costituzionale albanese ha ritenuto che “il diritto internazionale vincolante per la Repubblica d’Albania, relativo alle questioni relative all’immigrazione e all’asilo, è applicabile anche dalle autorità italiane a causa della ratifica degli accordi internazionali da parte della Repubblica d’Italia. In base a questa analisi, la Corte non non ha messo in dubbio l’esistenza della responsabilità dello Stato albanese per le questioni regolate dal Protocollo sulle Migrazioni, che trae origine non solo da norme costituzionali, ma anche dal diritto internazionale che regola la responsabilità degli Stati nell’ambito della sua attuazione extraterritoriale”. La Corte Costituzionale albanese ha quindi ritenuto che “in materia di diritti e libertà dell’uomo opera una doppia giurisdizione, il che significa che la giurisdizione italiana nei due ambiti in questione non esclude la giurisdizione albanese,”

      Sulla base di questa considerazione, come riferisce la stessa fonte, la Corte Costituzionale albanese è giunta alla conclusione che il Protocollo sulle migrazioni non rientra nella categoria degli accordi internazionali previsti dalla lettera b) del punto 1 dell’articolo 121 della Costituzione perché, in sostanza, non crea nuovi diritti e libertà costituzionali, né comporta ulteriori restrizioni ai diritti umani e alle libertà esistenti, oltre a quelle previste dall’ordinamento giuridico albanese. E dunque, “tenendo conto che da un lato la questione costituzionale in esame costituisce una innovazione nella giurisprudenza albanese, in particolare per la nozione di accordo internazionale sotto il profilo giurisdizionale relativo alla sovranità, e dall’altro il Protocollo sulla Migrazione non afferma in una qualsiasi delle sue disposizioni che il governo albanese è privato della giurisdizione sul territorio albanese, la Corte ha analizzato se il governo albanese disponesse dei poteri adeguati per la negoziazione e la firma del protocollo in questione. A questo proposito, “la Corte ha valutato che il Trattato di Amicizia e Cooperazione tra la Repubblica d’Albania e la Repubblica Italiana, del 1995, costituisce un accordo quadro internazionale che, ai sensi dell’articolo 180 della Costituzione, si considera ratificato ai sensi della Costituzione e costituisce base sufficiente per il Protocollo sulla migrazione dovrà essere negoziato con l’autorizzazione del Primo Ministro e poteri conferiti dal Ministro degli Affari Esteri, nonché firmato dallo stesso Primo Ministro. Per questi motivi, la Corte Costituzionale della Repubblica d’Albania, in base agli articoli 131, comma 1, lettera “b” e 134, punto 1, lettera “c”, della Costituzione, nonché degli articoli 52 e 52/a , lettera “a”, della legge n. 8577 del 10.02.2000 “Sull’organizzazione e il funzionamento della Corte Costituzionale della Repubblica d’Albania”, decide a maggioranza che il Protocollo tra il Consiglio dei Ministri della Repubblica d’Albania e il Governo della Repubblica italiana, “Sul rafforzamento della cooperazione nel campo dell’immigrazione”, è conforme alla Costituzione consentendo la sua ratifica da parte dell’Assemblea. Secondo quanto riportato dalla stessa fonte, “La decisione finale sarà resa motivata entro i termini di legge previsti dalla legge n. 8577 del 10.02.2000 “Sull’organizzazione e il funzionamento della Corte Costituzionale della Repubblica d’Albania”, come modificato dal Regolamento sulle procedure giudiziarie della Corte Costituzionale. In base all’articolo 52/a, comma 2, della legge organica, la decisione finale è comunicata al Presidente, all’Assemblea e al Consiglio dei ministri ed è inviata per la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La decisione definitiva entra in vigore al momento della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e con l’entrata in vigore decade automaticamente la misura sospensiva”.

      3. Fatta la dovuta riserva sulla mancanza di una decisione finale e di un iter parlamentare che in Albania, a differenza di quanto successo in Italia, non si presenta affatto agevole, anche alla luce della strettissima maggioranza con cui la Corte costituzionale albanese ha dato via libera all’approvazione della legge di ratifica del Protocollo Meloni-Rama, le motivazioni della decisione dei giudici albanesi fin qui trapelate sembrerebbero corrispondere alle integrazioni apportate in Italia, in sede di ratifica del Protocollo, con una aggiunta importante sulla doppia giurisdizione, italiana e albanese, alla quale sarebbero sottoposti i due centri di accoglienza/detenzione, ammesso che si riesca ad aprirli, a Shengjin porto nel quale dovrebbe effettuarsi la identificazione e la selezione delle persone migranti e a Gijader struttura ubicata nella regione più interna del paese. Dove si dovrebbe realizzare la coesistenza, all’interno dell’area concessa all’Italia dalle autorità albanesi, di una parte destinata ad Hotspot, per le procedure accelerate in frontiera, ed una parte destinata a funzionare come centro per i rimpatri (CPR), alle quali dovrebbe aggiungersi una terza sezione destinata a carcere vero e proprio per quei migranti che si dovessero rendere responsabili di reati all’interno delle altre strutture. Insomma persino un carcere di alta sicurezza, il tutto formalmente sotto giurisdizione italiana, ma apprendiamo adesso dalla legge di ratifica in Italia, e dalla Corre costituzionale albanese, anche sotto la legislazione albanese, non sappiamo con quale compatibilità con il dettato della Costituzione italiana.

      La previsione che i centri in Albania, e dunque le persone che ci saranno deportate, potranno essere soggette alla legislazione, e dunque alla giurisdizione “europea, italiana ed albanese” costituisce soltanto un sotterfugio per aggirare gli ostacoli che venivano da parte albanese per la ratifica del Protocollo, di fronte alla previsione di una “piena giurisdizione italiana” da esercitare in territorio albanese, come hanno affermato da mesi i politici italiani, ma la soluzione inventata per quadrare il cerchio solleva problemi di compatibilità con il diritto internazionale dei rifugiati, con le normative europee vincolanti (alle quali l’Albania non è tenuta) in materia di procedure di protezione internazionale e di rimpatri forzati, e con le norme della Costituzione italiana in materia di uguaglianza (art.3), di asilo (art.10), di libertà personale (art.13), di diritti di difesa (art.24) e di ordine gerarchico delle fonti normative (art.117). Di certo la presenza di persone private della libertà personale all’interno delle strutture che si dovrebbero aprire in base al Protocollo Italia-Albania rende impossibile qualunque assimilazione al regine territoriale delle ambasciate italiane all’estero. Come rimane una mera dichiarazione di principio che il trattamento e la condizione giuridica delle persone sbarcate in Albania da navi militari italiane possa risultare del tutto corrispondente alla condizione giuridica delle persone migranti sbarcate in Italia e accolte o trattenute in centri italiani, siano Hotspot o Centri per il rimpatrio (CPR). Nè sembra che siano state richiamate con la dovuta evidenza, anche per le persone sbarcate in Albania, le norme che in Italia permettono il riconoscimento di una delle diverse forme di protezione speciale, soprattutto nei casi in cui ricorrano divieti di espulsione o di respingimento, anche con riferimento agli obblighi costituzionali dello Stato italiano.

      Gravi criticità rimangono evidenti nella individuazione dei soggetti cd. “vulnerabili”, che nella maggior parte dei casi dovrebbe avvenire nel tragitto dal luogo dei soccorsi in acque internazionali al porto di sbarco in Albania. Come si ricava dagli atti parlamentari, nella seduta della Camera dei deputati del 15 gennaio 2024, il rappresentante del Governo ha affermato che lo screening dei soggetti vulnerabili (considerando tali, “secondo la vigente normativa, i minori, minori non accompagnati, disabili, anziani, donne, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta, persone affette da gravi malattie o disturbi mentali, persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, vittime di mutilazioni genitali”) dovrebbe essere effettuato “nelle fasi immediatamente successive al loro soccorso o recupero, per mezzo di assetti navali a disposizione delle autorità statali, in modo da escludere che coloro che presentino vulnerabilità siano condotti in Albania”; il rappresentante del Governo ha anche affermato che “l’obiettivo dello screening preventivo da esperire a bordo di strutture idonee in mare, ove il migrante possa trovare un luogo sicuro in attesa della prossima destinazione, sarebbe dunque quello di alleviare l’impatto delle attività sui soggetti fragili riducendo il numero di stranieri da trasportare in Italia in un momento successivo, in relazione alle diverse posizioni accertate”. Il rappresentante del Governo ha rilevato infine che “resta ferma la possibilità di effettuare eventuali, ulteriori valutazioni di condizioni di vulnerabilità successivamente allo sbarco in Albania, presso le strutture adibite all’identificazione e alla primissima accoglienza. Al riguardo, osserva che non di rado la condizione di vulnerabilità può non essere immediatamente rilevabile mediante lo screening preventivo a bordo (ad esempio, coloro che si dichiarano vittime di tratta di esseri umani), richiedendo approfondimenti in una fase successiva” (Camera dei deputati, Commissioni I e III, seduta del 15 gennaio 2024)

      Si nota come nelle prime notizie diffuse dal governo Meloni circa navi di soccorso che trasferissero migranti salvati, o “recuperati” in acque internazionali si facesse ricferimento esclusivamente a navi militari italiane, e nel testo del Protocollo a “mezzi delle competenti autorità italiane, mentre con il disegno di legge di ratifica si è passati alla formula “assetti navali a disposizione delle autorità statali,“,con la previsione di una ingente somma di danaro da destinare evidentememte al noleggio di navi civili, per il trasporto dei naufraghi, perchè di naufraghi si tratta, verso l’Albania (e forse anche dall’Albania verso l’Italia). Rimangono assolutamente oscure, ed a alto rischio di violazione di diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, le modalità di trasferimento e/o trasbordo (in acque internazionali ?) degli stessi naufraghi dalla prima nave soccorritrice, che presumibilmente sarà una nave militare italiana, verso una seconda nave (civile ?) che dovrebbe poi trasferirli e sbarcarli in un porto albanese. Si potrebbe anche configurare una ennesima forma anomala (senza convalida giurisdizionale) di trattenimento amministrativo a bordo dei traghetti, come si è già verificato durante l’emergenza da Covid 19 a bordo delle cd. “navi quarantena”.

      Non sembra comunque ammissibile operare una qualsiasi sorta di pre-idntificazione in assenza di mediatori, interpreti e di una adeguata informazione, già a bordo delle navi militari o civili che siano, che hanno operato i soccorsi in acque internazionali, e ritornare dunque alla prassi degli “sbarchi selettivi”, distinguendo, e separando, già su queste stesse navi soggetti vulnerabili e non vulnerabili, operando di fatto quella stessa distinzione tra i naufraghi già ritenuta illegittima dal Tribunale di Catania lo scorso anno.

      In ogni caso non sembra possibile escludere che, già a bordo degli “assetti navali a disposizione delle autorità statali”, le persone soccorse in acque internazionali godano dei diritti fondamentali riconosciuti dalle Convenzioni internazionali e dall’ordinamento italiano.. Quanti saranno soccorsi in acque internazionali e si trovano a bordo di ” assetti navali a disposizione delle autorità statali”, non possano essere sbarcati in Albania, dove veranno sottoposte anche alla legislazione albanese, ed ai poteri concorrenti della polizia albanese, senza una preventiva convalida giurisdizionale, e dunque sulla base della mera discrezionalità di polizia, subendo nei fatti un respingimento collettivo, senza alcuna possibilità di ricorso. Come se le persone soccorse in mare, dunque naufraghi, fossero riducibili alla condizione di oggetto e non più di soggetto di diritti, forse non “carichi residuali”, ma pur sempre “carichi” da sbarcare in un porto straniero, una volta esclusa, in modo che non potrà che risultare approssimativo, la loro vulnerabilità. Per non parlare dei trattamenti inumani o degradanti ai quali gli stessi naufraghi potrebbero essere sottoposti durante i lunghi trasferimenti, fino a quando rimarranno su navi militari evidentemente prive di adeguati spazi ricettivi, dai luoghi degli eventi di soccorso al porto albanese.

      4. Con il voto della Camera in Italia, e adesso con questa decisione della Corte costituzionale albanese, si è completamente disattesa la dichiarazione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, che aveva espresso “preoccupazione” per l’accordo. Secondo Turk, “Questi trasferimenti in Albania per adempiere alle procedure di asilo e di rimpatrio evitano importanti questioni relative ai diritti umani, in particolare la libertà dalla detenzione arbitraria e la necessità di garantire adeguate procedure di asilo, compresi lo screening e l’identificazione”.

      Non si vede soprattutto come le “procedure accelerate in frontiera” pure previste da Direttive europee e dalla legislazione italiana, possaono essere applicate sulla base di una finzione, come se la frontiera o il territorio prossimo alla frontiera (italiana) potesse delocalizzarsi fino all’esterno dell’Unione europea, in Albania. E dunque come se il diritto dell’Unione Europea fosse applicabile su persone che si trovano all’esterno degli Stati membri, Ed è proprio la recentissima decisione della Corte costituzionale albanese, che afferma il principio della doppia giurisdizione, a svelare i diversi profili di contrasto tra le prevision delle Direttive europee e il Protocollo Italia-Albania, come specificato nel disegno di legge di ratifica approvato in Italia dalla Camera.

      Per avviare i lavori di costruzione dei nuovi centri di accoglienza detenzione previsti in Albania “sotto giurisdizione italiana”, ma anche albanese, occorre ancora un voto del Parlamento albanese, dopo che la Corte costituzionale albanese avrà pubblicato tutte le sue motivazioni, ed il completamento dell’iter della legge di ratifica in Italia, con il voto del Senato. Non sembra prevedibile che le maggioranze assolute di cui dispongono Giorgia Meloni ed Edi Rama nei rispettivi parlamenti nazionali possano fallire l’obiettivo della ratifica del Protocollo. Dunque si può attendere l’ennesima ventata di propaganda con l’avvio dei lavori di costruzione e di riadattamento delle strutture previste a Shengjin e a Gijader proprio quando la campagna elettorale per le europee entrerà nel vivo. Difficile atttendersi in questa fase una posizione critica da parte di esponenti delle istituzioni europee, come la Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, o la Commissaria europea agli Interni Ylva Johansson, che hanno in vista il supporto della Meloni per uno scambio di voti nell’indicazione delle prossime presidenze europee. Al di là della propaganda, imane però il nodo del contrasto tra le norme internazionali, i principi costituzionali italiani, e le previsioni del Protocollo Italia-Albania. Una questione democratica, che non riguarda soltanto le persone migranti che saranno sbarcate in Albania.

      Si dovranno monitorare da vicino tutte le prassi amministrative che potrebbero seguire in materia di “procedure accelerate in frontiera” per i richiedenti asilo, e di trattenimento e di allontanamento forzato, per tutti coloro che neppure saranno ammessi ad una procedura di protezione internazionale, oppure saranno denegati in tempi tanto brevi da non consentire un esercizio effettivo dei diritti di difesa. Ammesso che, oltre la propaganda elettorale, le strutture di contenimento e di deportazione in Albania (perchè di questo si tratta) dei migranti soccorsi nelle acque internazionali del Mediterraneo siano davvero attivate. Anche se, a fronte dei tempi di trattenimento sempre più lunghi, non si raggiungeranno i numeri iperbolici promessi dalla Meloni (3000 persone al mese, 36.000 persone trattenute in un anno), ci si dovrà preparare ad una raffica di ricorsi a difesa delle singole persone soccorse in alto mare, pre-identificate su una nave italiana, deportate in Albania. Ricorsi che si dovranno sostenere ai più alti livelli della giurisdizione nazionale ed internazionale. Perchè fino a quando i governi non riusciranno a controllare del tutto la magistratura, rischio sempre più concreto anche a fronte della prevedibile valanga di destra che caratterizzerà le prossime elezioni europee, la giurisdizione, come l’informazione indipendente, rimangono gli unici argini per la difesa della democrazia e dei diritti umani in Europa, ed anche in Albania, se gli albanesi sperano davvero tanto di entrare nell’Unione Europea.

      https://www.a-dif.org/2024/01/30/la-corte-costituzionale-albanese-approva-il-protocollo-meloni-rama-con-un-vot

    • La Cassazione rinvia il “Decreto Cutro” alla Corte di Giustizia UE: in dubbio le “procedure accelerate in frontiera”, e dunque anche il Protocollo Italia-Albania

      1. Come era prevedibile dopo la requisitoria della Procura generale, la Corte di Cassazione, a sezioni unite, con una “ordinanza interlocutoria”, ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla norma del Decreto Cutro che prevede il pagamento di una cauzione da parte dei richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri per evitare il trattenimento amministrativo durante la cd. “procedura accelerata in frontiera”. La stessa Corte di Cassazione ha chiesto che la questione pregiudiziale sia trattata con procedimento d’urgenza; sospendendo il giudizio sui ricorsi presentati dal governo, tramite l’Avvocatura dello Stato, contro la mancata convalida dei decreti di trattenimento emessi dal Questore di Ragusa, pronunciata dai giudici Apostolico e Cupri del Tribunale di Catania. Il procedimento di fronte alla Corte di Cassazione proseguirà dunque dopo la pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, ma alcune motivazioni adottate dai giudici della Cassazione potranno avere effetti immediati sulle procedure accelerate in frontiera, in particolare sulle norme che a tale riguardo prevedono il trattenimento amministrativo generalizzato dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri, qualora in assenza di documenti identificativi non venga prestata una garanzia finanziaria , e quindi anche sulla attuazione del Protocollo Italia-Albania, che punta proprio ad esternalizzare le procedure accelerate in frontiera e la detenzione amministrativa prevista nei loro confronti dal “Decreto Cutro”.

      Per quanto la Corte di Cassazione sembri accogliere quasi per intero le motivazioni della Procura generale che, a sua volta, riprendeva le principali tesi del ricorso del governo rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, è evidente che il dubbio e quindi la questione posta dai giudici italiani alla Corte di Giustizia dell’Unione europea riguarda un punto centrale del “Decreto Cutro” (legge 50 del 2023) e dunque la legittinità dei provvedimenti adottati dalla questura di Ragusa, nella fase di prima applicazione del decreto nel centro Hotspot di Modica-Pozzallo, con il trattenimento dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri”, trattenimento che non era stato convalidato dai giudici del Tribunale di Catania. Tra le altre motivazioni di fatto e di diritto per cui i decreti di trattenimento adottati dal questore di Ragusa non potevano essere convalidati, i giudici Apostolico e Cupri osservavano che l’art. 6-bis del d.lgs. n. 142 del 2015, come modificato dal cd. “Decreto Cutro”, prevede una garanzia finanziaria la cui prestazione si configura non come misura effettivamente alternativa al trattenimento, ma come un requisito imposto al richiedente asilo, proveniente da un “paese terzo sicuro”, per evitare il trattenimento amministrativo, requisito che nella pratica non si sarebbe mai potuto adempiere.

      La Corte di Cassazione, a sezioni unite, riconduce la maggior parte dei motivi di ricorso del governo alla questione pregiudiziale che solleva davanti alla Corte di Giustizia UE e dunque ” al rapporto tra la valutazione caso per caso – che si richiede sia espressa in motivazione da parte dell’autorità amministrativa per il trattenimento alla frontiera onde stabilirne la necessità, la ragionevolezza e la proporzionalità a fronte della effettiva impraticabilità di misure alternative – e la prestazione della garanzia finanziaria, che, per come disciplinata dal diritto interno, non appare sintonica con il fine perseguito”. Tutte le altre motivazioni dei ricorsi presentati dal governo sembrano dunque assorbite da questa questione, e pertanto la Corte di Cassazione non tratta, e quindi neppure smentisce, i diversi rilievi di fatto e di diritto che avevano spinto il Tribunale di Catania, con diversi provvedimenti, a negare la convalida dei decreti di trattenimento adottati dal Questore di Ragusa. Anche se poi si afferma “La necessità di sollevare questione pregiudiziale interpretativa degli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE per emanare la sentenza discende altresì da una prognosi, ad una prima valutazione, di non manifesta infondatezza dei motivi del ricorso del Ministero dell’interno e del Questore della Provincia di Ragusa attinenti al profilo della “erronea affermazione della non applicabilità della procedura accelerata ai sensi dell’art. 28-bis d.lgs. n. 25/2008 e degli artt. 31, 33 e 43, direttiva 2013/32/UE”. “Prognosi ad una prima valutazione” che però non affronta specificamente i diversi problemi di legittimità dei decreti di trattenimento del questore di Ragusa non convalidati dal Tribunale di Catania. Il rinvio alla Corte di Giustizia riguarda comunque i primi casi affrontati dalla dott.ssa Apostolico, mentre la Cassazione si è riservata di decidere su altri otto successivi ricorsi del governo, sui quali potrebbe pronunciarsi dopo la decisione dei giudici di Lussemburgo, magari per giustificare comunque la legittimità degli ulteriori decreti di trattenimento adottati dal Questore di Ragusa.

      2. Dopo un richiamo a vari precedenti della Corte di Giustizia UE, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affermano come “Da tali pronunce si evince, tra l’altro, che gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33 ostano a che un richiedente protezione internazionale venga trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità; ostano pure a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura. L’eccezionalità della misura del trattenimento e la soggezione della stessa ai principi di necessità e proporzionalità inducono a giustificare il trattenimento solo qualora non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive, il cui catalogo è esemplificato dall’art. 8, paragrafo 4. Le misure «alternative» al trattenimento non sono definite nel dettaglio; si tratta comunque di limitazioni dei diritti umani dei richiedenti che, se non ingerenti quanto il trattenimento, non di meno devono applicarsi, quando comunque vi siano motivi legittimi per il trattenimento, sulla base di una valutazione caso per caso di necessità, ragionevolezza e proporzionalità”. Si osserva in particolare come “Il punto fondamentale – allora – è dato dal nesso tra la previsione della garanzia come misura alternativa al trattenimento e la valutazione caso per caso che si richiede ai fini della decisione di trattenimento, da esprimere necessariamente nella motivazione del provvedimento dell’autorità amministrativa”. Sfidiamo chiunque a trovare una qualsiasi traccia di motivazione individuale su questo specifico punto nei decreti di trattenimento adottati dalla questura di Ragusa, nei casi di mancata convalida da parte della giudice Apostolico di Catania. Oggetto a suo tempo di una violenta campagna di odio e di diffamazione. Ma analoghe perplessità sulla motivazione persistono anche nei casi delle successive mancate convalide dei decreti di trattenimento adottati dalla Questura di Ragusa sulle quali è intervenuto il giudice Cupri, dello stesso Tribunale di Catania, a fronte di una parvenza di motivazione, che però le Sezioni Unite della Cassazione non hanno preso in considerazione, limitandosi al rilievo della questione pregiudiziale ed al rinvio ai giudici di Lussemburgo. Questioni complesse, che comunque impongono considerazioni differenziate sui dieci procedimenti, esaminati in tempi diversi dai giudici Apostolico e Cupri, con riferimento ai singoli casi, che non potrano certo essere eluse dopo la soluzione della questione pregiudiziale da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Intanto prendiamo atto che i dubbi sollevati dai giudici catanesi che non hanno convaldato i decreti di trattenimento amministrativo disposti dal Questore di Ragusa sono stati, almeno in parte, condivisi anche dalla Corte di Cassazione a Sezioni unite.

      La Corte, dopo avere affermato con la richiamata ” prognosi ad una prima valutazione”, di condividere i motivi di ricorso del governo e del Questore di Ragusa, afferma infatti un principio di diritto che va decisamente in favore dei provvedimenti di mancata convalida del trattenimento adottati dal Tribunale di Catania, ed a tale riguardo basta leggere le motivazioni dei giudici catanesi e confrontarle con la carente motivazione che si riscontra nei provvedimenti adottati dalla Questura di Ragusa nei confronti dei richiedenti asilo trattenuti in procedura accelerata “in frontiera” nel centro Hotspot di Modica-Pozzallo. Nelle ordinanze della dott.ssa Apostolico che non convalidava il trattenimento amministrativo si leggeva appunto come il provvedimento del questore non fosse corredato da una motivazione “idonea”, in quanto privo di una “valutazione su base individuale delle esigenze di protezione manifestate, nonché della necessità e proporzionalità della misura in relazione alla possibilità di applicare misure meno coercitive”.

      Secondo la Corte di Cassazione, “Il provvedimento che dispone il trattenimento deve essere corredato da motivazione, la quale esamini la necessità, la ragionevolezza e la proporzionalità di una siffatta misura rispetto alla specifica finalità, nonché l’effettiva impraticabilità delle misure alternative, sulla base di una valutazione caso per caso. Se così è, dovrebbe ostare all’osservanza del diritto dell’Unione una normativa nazionale che sia interpretata ed applicata nel senso che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente, e ancor più che sia trattenuto perché non abbia prestato idonea garanzia finanziaria, stabilita in maniera rigida e non adattabile alla situazione individuale; vale a dire con modalità come quelle che si evincono nella riportata legislazione nazionale” .Nei provvedimenti adottati dal Questore di Ragusa non si rinviene traccia della valutazione “caso per caso” che la Corte di cassazione sembra ritenere una condizione imprescindibile di legittimità del trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri. Non si vede dunque su quali elementi la Corte di Cassazione, in sede di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, fondi la sua”prognosi, ad una prima valutazione, di non manifesta infondatezza dei motivi del ricorso del Ministero dell’interno e del Questore della Provincia di Ragusa attinenti al profilo della “erronea affermazione della non applicabilità della procedura accelerata ai sensi dell’art. 28-bis d.lgs. n. 25/2008 e degli artt. 31, 33 e 43, direttiva 2013/32/UE“. E’ probabile che i giudici della Cassazione su questo punto dirimente non si pronuncino in attesa della decisione della Corte di giustizia UE, ma comunque. al di là della loro “prognosi ad una prima valutazione” (politica?),sembrano confermare i rilievi del Tribunale di Catania che ha rilevato il carattere illegittimo dei decreti di trattenimento adottati dalla Questura di Ragusa.

      3. Quanto riportato dalle principali agenzie di informazione e contenuto nella parte finale della decisione della Cassazione, secondo cui “ Il rinvio pregiudiziale attiene a una questione sul sistema europeo comune di asilo, il quale costituisce uno degli elementi fondamentali dell’obiettivo dell’Unione europea relativo all’istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia aperto a quanti, spinti dalle circostanze, cercano legittimamente protezione nell’Unione”, contiene una affermazione ovvia che non può coprire la contraddizione interna presente nella decisione della stessa Corte di Cassazione. La Corte, a sezioni unite, afferma pregiudizialmente di propendere per le tesi del governo e del questore di Ragusa, ricorrenti rappresentati dall’avvocatura dello Stato, ma fornisce motivazioni che vanno a rafforzare le motivazioni dei giudici catanesi, che non vengono certo definite “apparenti” come nel ricorso presentato dalla stessa avvocatura dello Stato. Motivazioni che, almeno sul punto della “garanzia finanziaria”, vengono sostanzialmente riprese proprio dai giudici delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

      Non sappiamo per quanto tempo resterà sospeso il procedimento davanti alla Corte di Cassazione relativo ai ricorsi del governo e del questore di Ragusa contro i provevdimenti del Tribunale di Catania, in attesa di una decisione, che pure è stata richiesta con procedura d’urgenza, da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Procedura d’urgenza che può essere adottata solo” in casi eccezionali”, e su questo punto di ammissibilità dovranno pronunciarsi entro alcune settimane i giudici europei. Di certo questa questione rimane aperta a Lussemburgo e lascia in sospeso l’operatività del cd. Decreto Cutro con riferimento alle procedure accelerate in frontiera previste per i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri. Le conseguenze dei profili dubbi del trattenimento amministrativo generalizzato dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri” , che si sono già tradotti nel blocco delle “procedure accelerate in forntiera” presso il centro Hotspot di Modica-Pozzallo, potrebbero ricadere anche sull’attuazione del Protocollo Italia-Albania, ammesso che si riesca a superare le gravi problematiche attinenti le strutture logistiche e gli adempimenti procedurali, previsti dalla legge di ratifica in corso di approvazione al Senato, per non parlare degli ineludibili profili di conrrasto con la normativa euro-unitaria, se non di incostituzionalità, che sembrano tanto gravi da bloccarne la effettiva applicazione. Se la prestazione di una “garanzia finanziaria” per evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da “paesi terzi sicuri” desta già tali perplessità per le persone che vengono sbarcate in territorio italiano, cosa potrebbero pensare i giudici italiani e le corti internazionali di una analoga “garanzia finanziaria” nel caso di persone “trasportate” in Albania ? Oppure, queste persone sarebbero escluse dalla possibilità di prestare una analoga garanzia finanziaria, ancora prevista dalla legislazione italiana, con evidente violazione della normativa europea e del principio di non discriminazione?

      Non rimane che attendere un esercizio imparziale della giurisdizione, con provvedimenti motivati sulla base del principio di legalità e non per ragioni politiche, sia in Italia che davanti alla Corte di Giustizia UE, per garantire il prncipio di non discriminazione, la certezza del diritto, le garanzie sulla libertà personale previste dalla Costituzione italiana e dalla normativa cogente europea, i diritti di difesa e, non da ultimo, il diritto alla protezione internazionale ed il divieto di espulsioni o respingimenti collettivi. Intanto nella fase finale della ratifica da parte del Parlamento italiano del controverso Protocollo Italia-Albania, sarebbe opportuno che si tenesse conto di quanto osservato dalla Corte di Cassazione a sezioni unite, e del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europa, anche al fine di evitare i ricorsi alla Corte costituzionale italiana che si potrebbero sollevare se si arriverà ad una prima applicazione del trattenimento amministrativo “generalizzato” nelle “procedure accelerate in frontiera” in territorio albanese, nelle aree concesse in uso alle autorità italiane, ma sotto la “doppia giurisdizione” italiana ed albanese, come ha ribadito ancora di recente la Corte Costituzionale albanese.

      GIOVEDÌ 08 FEBBRAIO 2024 17.04.27

      == Migranti: avvocata, Cassazione conferma rilievi Apostolico =

      (AGI) – Ragusa, 8 feb. – “La Corte di Cassazione ha confermato i dubbi interpretativi che sono sorti dalla emissione del decreto Cutro”. Lo ha detto all’AGI Rosa Emanuela Lo Faro, avvocata di buona parte dei Migranti coinvolti nel procedimento per il quale la Corte Suprema ha sospeso la decisione sui trattenimenti nel Cpr di Pozzallo rinviado la materia alla Corte di giustizia europea. “Con questa ordinanza interlocutoria – ha proseguito Lo Faro – si chiarisce che le ordinanze della dott.ssa Apostolico avevano il solo scopo di applicare il diritto italiano in maniera conforme al diritto Unionale. Non fare politica o attaccare i politici, ma preservare la liberta’ di ogni singolo individuo”. (AGI) Rg3/Fab 081704 FEB 24

      GIOVEDÌ 08 FEBBRAIO 2024 16.34.05

      >>>ANSA/’Corte Ue si pronunci su fidejussione per i migranti’

      Ordinanza della Cassazione. Legale,confermati dubbi sul dl Cutro (di Marco Maffettone) (ANSA) – ROMA, 08 FEB – Il decreto Cutro finisce all’attenzione dei giudici della Corte di Giustizia Europea. E’ quanto stabilito dalle Sezioni unite civili di Cassazione che chiedono ai giudici della Ue di pronunciarsi, in tema di migranti provenienti da Paesi sicuri, sul segmento del decreto approvato dal Governo a settembre relativo alla garanzia finanziaria di circa 5mila euro che un richiedente asilo deve versare per evitare di essere trattenuto in un centro alla frontiera in attesa dell’esito dell’iter della domanda di protezione. In due ordinanze “interlocutorie” i giudici della Suprema Corte, accogliendo sostanzialmente la richiesta del procuratore generale, sollecitano ai giudici europei un intervento in via d’urgenza. Le Sezioni unite erano chiamate a vagliare 10 ricorsi del ministero dell’Interno sulle ordinanze con cui il tribunale di Catania non ha convalidato, nei mesi scorsi, i trattenimenti di alcuni migranti tunisini a Pozzallo, in applicazione di quanto disposto dal decreto Cutro. Nei due provvedimenti, entrambi di una ventina di pagine, le Sezioni Unite civili chiedono alla Corte Ue se le norme del Parlamento europeo e del Consiglio del 2013 “ostino”, in tema di garanzia finanziaria, “una normativa di diritto interno”. In particolare il quesito posto ai giudici con sede in Lussemburgo riguarda “gli articoli 8 e 9 della direttiva Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale” e se “ostino a una normativa di diritto interno che contempli, quale misura alternativa al trattenimento del richiedente (il quale non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente), la prestazione di una garanzia finanziaria il cui ammontare è stabilito in misura fissa – spiega la Cassazione – anziché in misura variabile senza consentire alcun adattamento dell’importo alla situazione individuale del richiedente, né la possibilità di costituire la garanzia stessa mediante intervento di terzi, sia pure nell’ambito di forme di solidarietà familiare”. In questo modo “imponendo modalità suscettibili di ostacolare la fruizione della misura alternativa da parte di chi non disponga di risorse adeguate, nonché precludendo la adozione di una decisione motivata che esamini e valuti caso per caso la ragionevolezza e la proporzionalità di una siffatta misura in relazione alla situazione del richiedente”. Per il legale di sei dei 10 migranti trattenuti dal questore di Ragusa e poi liberati dai giudici etnei Iolanda Apostolico e Rosario Cuprì, con questa decisione la “Cassazione ha confermato i dubbi interpretativi che sono sorti dalla emissione del decreto Cutro. Qui in Italia le leggi non sono chiare, perché dovrebbero essere compatibili con le norme internazionali e non si capisce se lo sono. Per questo la Suprema Corte ha investito della questione la Corte Ue”, afferma l’avvocato Rosa Maria Lo Faro. In merito alla “proceduta accelerata” nei trattenimenti, nell’udienza del 30 gennaio scorso, l’ufficio del pg rappresentato in aula da dall’avvocato generale Renato Finocchi Ghersi e dal sostituto procuratore generale Luisa De Renzis, l’ha definita “legittima e conforme alla legge”. Nella requisitoria il Pg ha sostenuto che “non si può trascurare quanto affermato dall’Avvocatura dello Stato circa la situazione di emergenza a Lampedusa, caratterizzata da flussi consistenti e ravvicinati in quella zona e dall’elevato numero delle domande di protezione internazionale così da rendere difficilmente gestibile la trattazione della domanda nel luogo di arrivo”. (ANSA). 2024-02-08T16:33:00+01:00 ANSA

      GIOVEDÌ 08 FEBBRAIO 2024 15.20.22

      Migranti: Albano (Md), verdetto Cassazione conferma Apostolico

      Migranti: Albano (Md), verdetto Cassazione conferma Apostolico (ANSA) – ROMA, 08 FEB – “La decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di chiedere la verifica di conformità al diritto Ue di alcune norme del decreto Cutro – dichiara la presidente di Magistratura democratica Sivia Albano – conferma che gli attacchi nei confronti della giudice Apostolico erano privi di senso anche sul piano giuridico. Le Sezioni unite confermano che c’è un problema di conformità alla direttiva delle norme che prevedono una garanzia finanziaria come alternativa alla detenzione nei centri”. “Quando il giudice rileva profili di illegittimità delle norme per la non conformità al diritto della Ue o alla Costituzione, – prosegue Albano – non lo fa certo per fare opposizione al Governo, ma esercita la funzione che la Costituzione e i trattati gli attribuiscono”. “Ciò significa anche – conclude Albano – che la pronuncia delle Sezioni unite non dovrebbe essere caricata di significati, in un senso o nell’altro. E’ un fisiologico controllo di legittimità: quello della Corte di Cassazione, quello della giudice Apostolico, quello di tutti i giudici che hanno ragionevolmente espresso dubbi su quel decreto”. (ANSA). 2024-02-08T15:20:00+01:00 COM-ANSA

      https://www.a-dif.org/2024/02/08/la-cassazione-rinvia-il-decreto-cutro-alla-corte-di-giustizia-ue-in-dubbio-le

    • Raniero Panzieri, Mario Tronti, Gaspare De Caro, Toni Negri (Turin, 1962)

      Conférence de Potere operaio à l’Université de Bologne en 1970.

      Manifestation de Potere operaio à Milan en 1972.

      Negri lors de son procès après la rafle du 7 avril 1979

      #Toni_Negri
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Toni_Negri

      Lénine au-delà de Lénine, Toni Negri (extrait de 33 Leçons sur Lénine), 1972-1973
      http://revueperiode.net/lenine-au-dela-de-lenine

      Domination et sabotage - Sur la méthode marxiste de transformation sociale, Antonio Negri (pdf), 1977
      https://entremonde.net/IMG/pdf/a6-03dominationsabotage-0-livre-high.pdf

      L’Anomalie sauvage d’Antonio Negri, Alexandre Matheron, 1983
      https://books.openedition.org/enseditions/29155?lang=fr

      Sur Mille Plateaux, Toni Negri, Revue Chimères n° 17, 1992
      https://www.persee.fr/doc/chime_0986-6035_1992_num_17_1_1846

      Les coordinations : une proposition de communisme, Toni Negri, 1994
      https://www.multitudes.net/les-coordinations-une-proposition

      Le contre-empire attaque, entretien avec Toni Negri, 2000
      https://vacarme.org/article28.html

      [#travail #multitude_de_singularités à 18mn] : Toni Negri, 2014
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-chemins-de-la-philosophie/actualite-philosophique-toni-negri-5100168

      à l’occasion de la parution du Hors-Série de Philosophie Magazine sur le thème, les philosophes et le #communisme.

      Socialisme = soviets + électricité, Toni Negri, 2017
      http://revueperiode.net/les-mots-dordre-de-lenine

      L’appropriation du capital fixe : une métaphore ?
      Antonio Negri, Multitudes 2018/1 (n° 70)
      https://www.cairn.info/revue-multitudes-2018-1-page-92.htm

      Domination et sabotage - Entretien avec Antonio Negri, 2019
      https://vacarme.org/article3253.html

    • Les nécros de Ration et de L’imMonde ont par convention une tonalité vaguement élogieuse mais elles sont parfaitement vides. Celle de l’Huma parait plus documentée mais elle est sous paywall...

      edit L’Huma c’est encore et toujours la vilaine bêtise stalinienne :

      Figure de prou de "l’opéraïsme" dans les années 1960, arrêté durant les années de plomb en Italie, penseur de la "multitude" dans les années 2000, le théoricien politique, spécialiste de la philosophie du droit et de Hegel, est mort à Paris à l’âge de 90 ans.
      Pierre Chaillan

      (...) Figure intellectuelle et politique, il a traversé tous les soubresauts de l’histoire de l’Italie moderne et restera une grande énigme au sein du mouvement communiste et ouvrier international . Né le 1er août 1933 dans l’Italie mussolinienne, d’un père communiste disparu à la suite de violences infligées par une brigade fasciste, Antonio Negri est d’abord militant de l’Action catholique avant d’adhérer en 1956 au Parti socialiste italien, qu’il quittera rapidement.

      Le théoricien, animateurs de “l’opéraïsme”

    • Un journaliste du Monde « Gauchologue et fafologue / Enseigne @sciencespo » diffuse sur X des extraits de l’abject "Camarade P38" du para-policier Fabrizio Calvi en prétendant que cette bouse « résume les critiques ».
      Mieux vaut se référer à EMPIRE ET SES PIÈGES - Toni Negri et la déconcertante trajectoire de l’opéraïsme italien, de Claudio Albertani https://infokiosques.net/spip.php?article541

    • #opéraïsme

      http://www.zones-subversives.com/l-op%C3%A9ra%C3%AFsme-dans-l-italie-des-ann%C3%A9es-1960

      Avant l’effervescence de l’Autonomie italienne, l’opéraïsme tente de renouveler la pensée marxiste pour réfléchir sur les luttes ouvrières. Ce mouvement politique et intellectuel se développe en Italie dans les années 1960. Il débouche vers une radicalisation du conflit social en 1968, et surtout en 1969 avec une grève ouvrière sauvage. Si le post-opéraïsme semble relativement connu en France, à travers la figure de Toni Negri et la revue Multitudes, l’opéraïsme historique demeure largement méconnu.

      Mario Tronti revient sur l’aventure de l’opéraïsme, à laquelle il a activement participé. Son livre articule exigence théorique et témoignage vivant. Il décrit ce mouvement comme une « expérience de pensée - d’un cercle de personnes liées entre elles indissolublement par un lien particulier d’amitié politique ». La conflictualité sociale et la radicalisation des luttes ouvrières doit alors permettre d’abattre le capitalisme.

    • IL SECOLO BREVE DI TONI NEGRI, Ago 17, 2023,
      di ROBERTO CICCARELLI.

      http://www.euronomade.info/?p=15660

      Toni Negri hai compiuto novant’anni. Come vivi oggi il tuo tempo?

      Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi. Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù.

      Novant’anni sono un secolo breve.

      Di secoli brevi ce ne possono essere diversi. C’è il classico periodo definito da Hobsbawm che va dal 1917 al 1989. C’è stato il secolo americano che però è stato molto più breve. È durato dagli accordi monetari e dalla definizione di una governance mondiale a Bretton Woods, agli attentati alle Torri Gemelle nel settembre 2001. Per quanto mi riguarda il mio lungo secolo è iniziato con la vittoria bolscevica, poco prima che nascessi, ed è continuato con le lotte operaie, e con tutti i conflitti politici e sociali ai quali ho partecipato.

      Questo secolo breve è terminato con una sconfitta colossale.

      È vero. Ma hanno pensato che fosse finita la storia e fosse iniziata l’epoca di una globalizzazione pacificata. Nulla di più falso, come vediamo ogni giorno da più di trent’anni. Siamo in un’età di transizione, ma in realtà lo siamo sempre stati. Anche se sottotraccia, ci troviamo in un nuovo tempo segnato da una ripresa globale delle lotte contro le quali c’è una risposta dura. Le lotte operaie hanno iniziato a intersecarsi sempre di più con quelle femministe, antirazziste, a difesa dei migranti e per la libertà di movimento, o ecologiste.

      Filosofo, arrivi giovanissimo in cattedra a Padova. Partecipi a Quaderni Rossi, la rivista dell’operaismo italiano. Fai inchiesta, fai un lavoro di base nelle fabbriche, a cominciare dal Petrolchimico di Marghera. Fai parte di Potere Operaio prima, di Autonomia Operaia poi. Vivi il lungo Sessantotto italiano, a cominciare dall’impetuoso Sessantanove operaio a Corso Traiano a Torino. Qual è stato il momento politico culminante di questa storia?

      Gli anni Settanta, quando il capitalismo ha anticipato con forza una strategia per il suo futuro. Attraverso la globalizzazione, ha precarizzato il lavoro industriale insieme all’intero processo di accumulazione del valore. In questa transizione, sono stati accesi nuovi poli produttivi: il lavoro intellettuale, quello affettivo, il lavoro sociale che costruisce la cooperazione. Alla base della nuova accumulazione del valore, ci sono ovviamente anche l’aria, l’acqua, il vivente e tutti i beni comuni che il capitale ha continuato a sfruttare per contrastare l’abbassamento del tasso di profitto che aveva conosciuto a partire dagli anni Sessanta.

      Perché, dalla metà degli anni Settanta, la strategia capitalista ha vinto?

      Perché è mancata una risposta di sinistra. Anzi, per un tempo lungo, c’è stata una totale ignoranza di questi processi. A partire dalla fine degli anni Settanta, c’è stata la soppressione di ogni potenza intellettuale o politica, puntuale o di movimento, che tentasse di mostrare l’importanza di questa trasformazione, e che puntasse alla riorganizzazione del movimento operaio attorno a nuove forme di socializzazione e di organizzazione politica e culturale. È stata una tragedia. Qui che appare la continuità del secolo breve nel tempo che stiamo vivendo ora. C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

      E che cosa possedeva quella sinistra?

      Un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. A Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta. In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato. Sono convinto che la direzione presa dall’Internazionale comunista – in maniera evidente e tragica con lo stalinismo, e poi in maniera sempre più contraddittoria e irruente -, abbia distrutto il desiderio che aveva mobilitato masse gigantesche. Per tutta la storia del movimento comunista è stata quella la battaglia.

      Cosa si scontrava su quel campo di battaglia?

      Da un lato, c’era l’idea della liberazione. In Italia è stata illuminata dalla resistenza contro il nazi-fascismo. L’idea di liberazione si è proiettata nella stessa Costituzione così come noi ragazzi la interpretammo allora. E in questa vicenda non sottovaluterei l’evoluzione sociale della Chiesa Cattolica che culminò con il Secondo Concilio Vaticano. Dall’altra parte, c’era il realismo ereditato dal partito comunista italiano dalla socialdemocrazia, quello degli Amendola e dei togliattiani di varia origine. Tutto è iniziato a precipitare negli anni Settanta, mentre invece c’era la possibilità di inventare una nuova forma di vita, un nuovo modo di essere comunisti.

      Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

      Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene. Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere. Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici. Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

      L’arresto avvenuto il 7 aprile 1979, primo momento della repressione del movimento dell’autonomia operaia, è stato uno spartiacque. Per ragioni diverse, a mio avviso, lo è stato anche per la storia del «manifesto» grazie a una vibrante campagna garantista durata anni, un caso giornalistico unico condotto con i militanti dei movimenti, un gruppo di coraggiosi intellettuali, il partito radicale. Otto anni dopo, il 9 giugno 1987, quando fu demolito il castello di accuse cangianti, e infondate, Rossana Rossanda scrisse che fu una «tardiva, parziale riparazione di molto irreparabile». Cosa significa oggi per te tutto questo?

      È stato innanzitutto il segno di un’amicizia mai smentita. Rossana per noi è stata una persona di una generosità incredibile. Anche se, a un certo punto, si è fermata anche lei: non riusciva a imputare al Pci quello che il Pci era diventato.

      Che cosa era diventato?

      Un oppressore. Ha massacrato quelli che denunciavano il pasticcio in cui si era andato a ficcare. In quegli anni siamo stati in molti a dirglielo. Esisteva un’altra strada, che passava dall’ascolto della classe operaia, del movimento studentesco, delle donne, di tutte le nuove forme nelle quali le passioni sociali, politiche e democratiche si stavano organizzando. Noi abbiamo proposto un’alternativa in maniera onesta, pulita e di massa. Facevamo parte di un enorme movimento che investiva le grandi fabbriche, le scuole, le generazioni. La chiusura da parte del Pci ha determinato la nascita di estremizzazioni terroristiche: questo è fuori dubbio. Noi abbiamo pagato tutto e pesantemente. Solo io ho fatto complessivamente quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione. Il Manifesto ha sempre difeso la nostra innocenza. Era completamente idiota che io o altri dell’Autonomia fossimo considerati i rapitori di Aldo Moro o gli uccisori di compagni. Tuttavia, nella campagna innocentista che è stata coraggiosa e importante è stato però lasciato sul fondo un aspetto sostanziale.

      Quale?
      Eravamo politicamente responsabili di un movimento molto più ampio contro il compromesso storico tra il Pci e la Dc. Contro di noi c’è stata una risposta poliziesca della destra, e questo si capisce. Quello che non si vuol capire è stata invece la copertura che il Pci ha dato a questa risposta. In fondo, avevano paura che cambiasse l’orizzonte politico di classe. Se non si comprende questo nodo storico, come ci si può lamentare dell’inesistenza di una sinistra oggi in Italia?

      Il sette aprile, e il cosiddetto «teorema Calogero», sono stati considerati un passo verso la conversione di una parte non piccola della sinistra al giustizialismo e alla delega politica alla magistratura. Come è stato possibile lasciarsi incastrare in una simile trappola?

      Quando il Pci sostituì la centralità della lotta morale a quella economica e politica, e lo fece attraverso giudici che gravitavano attorno alla sua area, ha finito il suo percorso. Questi davvero credevano di usare il giustizialismo per costruire il socialismo? Il giustizialismo è una delle cose più care alla borghesia. È un’illusione devastante e tragica che impedisce di vedere l’uso di classe del diritto, del carcere o della polizia contro i subalterni. In quegli anni cambiarono anche i giovani magistrati. Prima erano molto diversi. Li chiamavano «pretori di assalto». Ricordo i primi numeri della rivista Democrazia e Diritto ai quali ho lavorato anch’io. Mi riempivano di gioia perché parlavamo di giustizia di massa. Poi l’idea di giustizia è stata declinata molto diversamente, riportata ai concetti di legalità e di legittimità. E nella magistratura non c’è più stata una presa di parola politica, ma solo schieramenti tra correnti. Oggi, poi abbiamo una Costituzione ridotta a un pacchetto di norme che non corrispondono neanche più alla realtà del paese.

      In carcere avete continuato la battaglia politica. Nel 1983 scriveste un documento in carcere, pubblicato da Il Manifesto, intitolato «Do You remember revolution». Si parlava dell’originalità del 68 italiano, dei movimenti degli anni Settanta non riducibili agli «anni di piombo». Come hai vissuto quegli anni?

      Quel documento diceva cose importanti con qualche timidezza. Credo dica più o meno le cose che ho appena ricordato. Era un periodo duro. Noi eravamo dentro, dovevamo uscire in qualche maniera. Ti confesso che in quell’immane sofferenza per me era meglio studiare Spinoza che pensare all’assurda cupezza in cui eravamo stati rinchiusi. Ho scritto su Spinoza un grosso libro ed è stato una specie di atto eroico. Non potevo avere più di cinque libri in cella. E cambiavo carcere speciale in continuazione: Rebibbia, Palmi, Trani, Fossombrone, Rovigo. Ogni volta in una cella nuova con gente nuova. Aspettare giorni e ricominciare. L’unico libro che portavo con me era l’Etica di Spinoza. La fortuna è stata finire il mio testo prima della rivolta a Trani nel 1981 quando i corpi speciali hanno distrutto tutto. Sono felice che abbia prodotto uno scossone nella storia della filosofia.

      Nel 1983 sei stato eletto in parlamento e uscisti per qualche mese dal carcere. Cosa pensi del momento in cui votarono per farti tornare in carcere e tu decidesti di andare in esilio in Francia?

      Ne soffro ancora molto. Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene. In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo. Mi ha aiutato moltissimo a comprendere la vita dei Sans Papiers. Lo sono stato anch’io, ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi 8. Ma per altri versi mi dico che ho sbagliato. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere, quelli con cui ho vissuto i migliori anni della mia vita e le rivolte in quattro anni di carcerazione preventiva. Averli lasciati mi fa ancora male. Quella galera ha devastato la vita di compagni carissimi, e spesso delle loro famiglie. Ho novant’anni e mi sono salvato. Non mi rende più sereno di fronte a quel dramma.

      Anche Rossanda ti criticò…

      Sì, mi ha chiesto di comportarmi come Socrate. Io le risposi che rischiavo proprio di finire come il filosofo. Per i rapporti che c’erano in galera avrei potuto morire. Pannella mi ha materialmente portato fuori dalla galera e poi mi ha rovesciato tutte le colpe del mondo perché non volevo tornarci. Sono stati in molti a imbrogliarmi. Rossana mi aveva messo in guardia già allora, e forse aveva ragione.

      C’è stata un’altra volta che lo ha fatto?

      Sì, quando mi disse di non rientrare da Parigi in Italia nel 1997 dopo 14 anni di esilio. La vidi l’ultima volta prima di partire in un café dalle parti del Museo di Cluny, il museo nazionale del Medioevo. Mi disse che avrebbe voluto legami con una catena per impedirmi di prendere quell’aereo.

      Perché allora hai deciso di tornare in Italia?

      Ero convinto di fare una battaglia sull’amnistia per tutti i compagni degli anni Settanta. Allora c’era la Bicamerale, sembrava possibile. Mi sono fatto sei anni di galera fino al 2003. Forse Rossana aveva ragione.

      Che ricordo oggi hai di lei?

      Ricordo l’ultima volta che l’ho vista a Parigi. Una dolcissima amica, che si preoccupava dei miei viaggi in Cina, temeva che mi facessi male. È stata una persona meravigliosa, allora e sempre.

      Anna Negri, tua figlia, ha scritto «Con un piede impigliato nella storia» (DeriveApprodi) che racconta questa storia dal punto di vista dei vostri affetti, e di un’altra generazione.

      Ho tre figli splendidi Anna, Francesco e Nina che hanno sofferto in maniera indicibile quello che è successo. Ho guardato la serie di Bellocchio su Moro e continuo ad essere stupefatto di essere stato accusato di quella incredibile tragedia. Penso ai miei due primi figli, che andavano a scuola. Qualcuno li vedeva come i figli di un mostro. Questi ragazzi, in una maniera o nell’altra, hanno sopportato eventi enormi. Sono andati via dall’Italia e ci sono tornati, hanno attraversato quel lungo inverno in primissima persona. Il minimo che possono avere è una certa collera nei confronti dei genitori che li hanno messi in questa situazione. E io ho una certa responsabilità in questa storia. Siamo tornati ad essere amici. Questo per me è un regalo di una immensa bellezza.

      Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con i nuovi movimenti globali, e poi contro la guerra, hai acquisito una forte posizione di riconoscibilità insieme a Michael Hardt a cominciare da «Impero». Come definiresti oggi, in un momento di ritorno allo specialismo e di idee reazionarie e elitarie, il rapporto tra filosofia e militanza?

      È difficile per me rispondere a questa domanda. Quando mi dicono che ho fatto un’opera, io rispondo: Lirica? Ma ti rendi conto? Mi scappa da ridere. Perché sono più un militante che un filosofo. Farà ridere qualcuno, ma io mi ci vedo, come Papageno…

      Non c’è dubbio però che tu abbia scritto molti libri…

      Ho avuto la fortuna di trovarmi a metà strada tra la filosofia e la militanza. Nei migliori periodi della mia vita sono passato in permanenza dall’una all’altra. Ciò mi ha permesso di coltivare un rapporto critico con la teoria capitalista del potere. Facendo perno su Marx, sono andato da Hobbes a Habermas, passando da Kant, Rousseau e Hegel. Gente abbastanza seria da dovere essere combattuta. Di contro la linea Machiavelli-Spinoza-Marx è stata un’alternativa vera. Ribadisco: la storia della filosofia per me non è una specie di testo sacro che ha impastato tutto il sapere occidentale, da Platone ad Heidegger, con la civiltà borghese e ha tramandato con ciò concetti funzionali al potere. La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto. Deleuze parlava di Spinoza e riprendeva l’iconografia che lo rappresentava nei panni di Masaniello. Vorrei che fosse vero per me. Anche adesso che ho novant’anni continuo ad avere questo rapporto con la filosofia. Vivere la militanza è meno facile, eppure riesco a scrivere e ad ascoltare, in una situazione di esule.

      Esule, ancora, oggi?

      Un po’, sì. È un esilio diverso però. Dipende dal fatto che i due mondi in cui vivo, l’Italia e la Francia, hanno dinamiche di movimento molto diverse. In Francia, l’operaismo non ha avuto un seguito largo, anche se oggi viene riscoperto. La sinistra di movimento in Francia è sempre stata guidata dal trotzkismo o dall’anarchismo. Negli anni Novanta, con la rivista Futur antérieur, con l’amico e compagno Jean-Marie Vincent, avevamo trovato una mediazione tra gauchisme e operaismo: ha funzionato per una decina d’anni. Ma lo abbiamo fatto con molta prudenza. il giudizio sulla politica francese lo lasciavamo ai compagni francesi. L’unico editoriale importante scritto dagli italiani sulla rivista è stato quello sul grande sciopero dei ferrovieri del ’95, che assomigliava tanto alle lotte italiane.

      Perché l’operaismo conosce oggi una risonanza a livello globale?

      Perché risponde all’esigenza di una resistenza e di una ripresa delle lotte, come in altre culture critiche con le quali dialoga: il femminismo, l’ecologia politica, la critica postcoloniale ad esempio. E poi perché non è la costola di niente e di nessuno. Non lo è stato mai, e neanche è stato un capitolo della storia del Pci, come qualcuno s’illude. È invece un’idea precisa della lotta di classe e una critica della sovranità che coagula il potere attorno al polo padronale, proprietario e capitalista. Ma il potere è sempre scisso, ed è sempre aperto, anche quando non sembra esserci alternativa. Tutta la teoria del potere come estensione del dominio e dell’autorità fatta dalla Scuola di Francoforte e dalle sue recenti evoluzioni è falsa, anche se purtroppo rimane egemone. L’operaismo fa saltare questa lettura brutale. È uno stile di lavoro e di pensiero. Riprende la storia dal basso fatta da grandi masse che si muovono, cerca la singolarità in una dialettica aperta e produttiva.

      I tuoi costanti riferimenti a Francesco d’Assisi mi hanno sempre colpito. Da dove nasce questo interesse per il santo e perché lo hai preso ad esempio della tua gioia di essere comunista?

      Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere. Vengo da una famiglia che è stata miserabile durante la guerra e mi ha insegnato un affetto che mi fa vivere ancora oggi. Francesco è in fondo un borghese che vive in un periodo in cui coglie la possibilità di trasformare la borghesia stessa, e di fare un mondo in cui la gente si ama e ama il vivente. Il richiamo a lui, per me, è come il richiamo ai Ciompi di Machiavelli. Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta, rovesciando quello sviluppo e creando un nuovo modo di produrre. Non è mai stato ripreso a sufficienza Francesco, né è stato presa in debito conto l’importanza che ha avuto il francescanesimo nella storia italiana. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

      *

      Dall’infanzia negli anni della guerra all’apprendistato filosofico alla militanza comunista, dal ’68 alla strage di piazza Fontana, da Potere Operaio all’autonomia e al ’77, l’arresto, l’esilio. E di nuovo la galera per tornare libero. Toni Negri lo ha raccontato con Girolamo De Michele in tre volumi autobiografici Storia di un comunista, Galera e esilio, Da Genova a Domani (Ponte alle Grazie). Con Mi chael Hardt, professore di letteratura alla Duke University negli Stati Uniti, ha scritto, tra l’altro, opere discusse e di larga diffusione: Impero, Moltitudine, Comune (Rizzoli) e Assemblea (Ponte alle Grazie). Per l’editore anglo-americano Polity Books ha pubblicato, tra l’altro, sei volumi di scritti tra i quali The Common, Marx in Movement, Marx and Foucault.

      In Italia DeriveApprodi ha ripubblicato il classico «Spinoza». Per la stessa casa editrice: I libri del rogo, Pipe Line, Arte e multitudo (a cura di N. Martino), Settanta (con Raffaella Battaglini). Con Mimesis la nuova edizione di Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi. Con Ombre Corte, tra l’altro, Dall’operaio massa all’operaio sociale (a cura di P. Pozzi-R. Tomassini), Dentro/contro il diritto sovrano (con G. Allegri), Il lavoro nella costituzione (con A. Zanini).

      A partire dal prossimo ottobre Manifestolibri ripubblicherà i titoli in catalogo con una nuova prefazione: L’inchiesta metropolitana e altri scritti sociologici, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do; Marx oltre Marx (prefazione di Sandro Mezzadra); Trentatré Lezioni su Lenin (Giso Amendola); Potere Costituente (Tania Rispoli); Descartes politico (Marco Assennato); Kairos, Alma Venus, moltitudo (Judith Revel); Il lavoro di Dioniso, con Michael Hardt (Francesco Raparelli)

      #autonomie #prison #exil

    • Le philosophe italien Toni Negri est mort

      Inspirant les luttes politiques en Italie dans les années 1960 et 1970, son travail a également influencé le mouvement altermondialiste du début du XXIe siècle.


      Toni Negri, à Rome (Italie), en septembre 2010. STEFANO MONTESI - CORBIS / VIA GETTY IMAGES

      Il était né dans l’Italie fasciste. Il disparaît alors que l’extrême droite gouverne à nouveau son pays. Le philosophe Toni Negri, acteur et penseur majeur de plus d’un demi-siècle de luttes d’extrême gauche, est mort dans la nuit du 15 au 16 décembre à Paris, à l’âge de 90 ans, a annoncé son épouse, la philosophe française Judith Revel.

      « C’était un mauvais maître », a tout de suite réagi, selon le quotidien La Repubblica, le ministre de la culture italien, Gennaro Sangiuliano. « Tu resteras à jamais dans mon cœur et dans mon esprit, cher Maître, Père, Prophète », a écrit quant à lui, sur Facebook, l’activiste Luca Casarini, l’un des leaders du mouvement altermondialiste italien. Peut-être aurait-il vu dans la violence de ce contraste un hommage à la puissance de ses engagements, dont la radicalité ne s’est jamais affadie.

      Né le 1er août 1933 à Padoue, Antonio Negri, que tout le monde appelle Toni, et qui signera ainsi ses livres, commence très tôt une brillante carrière universitaire – il enseigne à l’université de Padoue dès ses 25 ans –, tout en voyageant, en particulier au Maghreb et au Moyen-Orient. C’est en partageant la vie d’un kibboutz israélien que le jeune homme, d’abord engagé au parti socialiste, dira être devenu communiste. Encore fallait-il savoir ce que ce mot pouvait recouvrir.

      Cette recherche d’une nouvelle formulation d’un idéal ancien, qu’il s’agissait de replacer au centre des mutations du monde, parcourt son œuvre philosophique, de Marx au-delà de Marx (Bourgois, 1979) à l’un de ses derniers livres, Inventer le commun des hommes (Bayard, 2010). Elle devient aussi l’axe de son engagement militant, qui va bientôt se confondre avec sa vie.

      Marxismes hétérodoxes

      L’Italie est alors, justement, le laboratoire des marxismes dits hétérodoxes, en rupture de ban avec le parti communiste, en particulier l’« opéraïsme » (de l’italien « operaio », « ouvrier »). Toni Negri le rejoint à la fin des années 1960, et s’en fait l’un des penseurs et activistes les plus emblématiques, toujours présent sur le terrain, dans les manifestations et surtout dans les usines, auprès des ouvriers. « Il s’agissait d’impliquer les ouvriers dans la construction du discours théorique sur l’exploitation », expliquera-t-il dans un entretien, en 2018, résumant la doctrine opéraïste, particulièrement celle des mouvements auxquels il appartient, Potere Operaio, puis Autonomia Operaia.

      Des armes circulent. Le terrorisme d’extrême droite et d’extrême gauche ravage le pays. Bien qu’il s’oppose à la violence contre les personnes, le philosophe est arrêté en 1979, soupçonné d’avoir participé à l’assassinat de l’homme politique Aldo Moro, accusation dont il est rapidement blanchi. Mais d’autres pèsent sur lui – « association subversive », et complicité « morale » dans un cambriolage – et il est condamné à douze ans de prison.
      Elu député du Parti radical en 1983, alors qu’il est encore prisonnier, il est libéré au titre de son immunité parlementaire. Quand celle-ci est levée [par un vote que le parti Radical a permis de rendre majoritaire, ndc], il s’exile en France. Rentré en Italie en 1997, il est incarcéré pendant deux ans, avant de bénéficier d’une mesure de semi-liberté. Il est définitivement libéré en 2003.

      Occupy Wall Street et les Indignés

      Il enseigne, durant son exil français, à l’Ecole normale supérieure, à l’université Paris-VIII ou encore au Collège international de philosophie. Ce sont aussi des années d’intense production intellectuelle, et, s’il porte témoignage en publiant son journal de l’année 1983 (Italie rouge et noire, Hachette, 1985), il développe surtout une pensée philosophique exigeante, novatrice, au croisement de l’ontologie et de la pensée politique. On peut citer, entre beaucoup d’autres, Les Nouveaux Espaces de liberté, écrit avec Félix Guattari (Dominique Bedou, 1985), Spinoza subversif. Variations (in)actuelles (Kimé, 1994), Le Pouvoir constituant. Essai sur les alternatives de la modernité (PUF, 1997) ou Kairos, Alma Venus, multitude. Neuf leçons en forme d’exercices (Calmann-Lévy, 2000).
      Ce sont cependant les livres qu’il coécrit avec l’Américain Michael Hardt qui le font connaître dans le monde entier, et d’abord Empire (Exils, 2000), où les deux philosophes s’efforcent de poser les fondements d’une nouvelle pensée de l’émancipation dans le contexte créé par la mondialisation. Celle-ci, « transition capitale dans l’histoire contemporaine », fait émerger selon les auteurs un capitalisme « supranational, mondial, total », sans autres appartenances que celles issues des rapports de domination économique. Cette somme, comme la suivante, Multitude. Guerre et démocratie à l’époque de l’Empire (La Découverte, 2004), sera une des principales sources d’inspiration du mouvement altermondialiste, d’Occupy Wall Street au mouvement des Indignés, en Espagne.

      C’est ainsi que Toni Negri, de l’ébullition italienne qui a marqué sa jeunesse et décidé de sa vie aux embrasements et aux espoirs du début du XXIe siècle, a traversé son temps : en ne lâchant jamais le fil d’une action qui était, pour lui, une forme de pensée, et d’une pensée qui tentait d’agir au cœur même du monde.
      Florent Georgesco
      https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/12/16/le-philosophe-italien-toni-negri-est-mort_6206182_3382.html

      (article corrigé trois fois en 9 heures, un bel effort ! il faut continuer !)

    • Pouvoir ouvrier, l’équivalent italien de la Gauche prolétarienne

      Chapeau le Diplo, voilà qui est informé !
      En 1998, le journal avait titré sur un mode médiatico-policier (« Ce que furent les “années de plomb” en Italie »). La réédition dans un Manière de voir de 2021 (long purgatoire) permis un choix plus digne qui annonçait correctement cet article fort utile : Entre « compromis historique » et terrorisme. Retour sur l’Italie des années 1970.
      Diplo encore, l’iconographie choisit d’ouvrir l’oeil... sur le rétroviseur. J’identifie pas le leader PCI (ou CGIL) qui est à la tribune mais c’est évidement le Mouvement ouvrier institué et son rôle (historiquement compromis) d’encadrement de la classe ouvrière qui est mis en avant.

      #média #gauche #Italie #Histoire #Potere_operaio #PCI #lutte_armée #compromis_historique #terrorisme

      edit

      [Rome] Luciano Lama, gli scontri alla Sapienza e il movimento del ’77
      https://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/17_febbraio_16/scontri-sapienza-lama-foto-6ad864d0-f428-11e6-a5e5-e33402030d6b.shtml

      «Il segretario della Cgil Luciano Lama si è salvato a stento dall’assalto degli autonomi, mentre tentava di parlare agli studenti che da parecchi giorni occupano la città universitaria. Il camion, trasformato in palco, dal quale il sindacalista ha preso la parola, è stato letteralmente sfasciato e l’autista è uscito dagli incidenti con la testa spaccata e varie ferite». E’ la cronaca degli scontri alla Sapienza riportata da Corriere il 18 febbraio del 1977, un giorno dopo la “cacciata” del leader della CGIL Luciano Lama dall’ateneo dove stava tenendo un comizio. Una giornata di violenza che diventerà il simbolo della rottura tra la sinistra istituzionale, rappresentata dal Pci e dal sindacato, e la sinistra dei movimenti studenteschi. Nella foto il camion utilizzato come palco da Luciano Lama preso d’assalto dai contestatori alla Sapienza (Ansa)

    • ENTRE ENGAGEMENT RÉVOLUTIONNAIRE ET PHILOSOPHIE
      Toni Negri (1933-2023), histoire d’un communiste
      https://www.revolutionpermanente.fr/Toni-Negri-1933-2023-histoire-d-un-communiste

      Sans doute est-il compliqué de s’imaginer, pour les plus jeunes, ce qu’a pu représenter Toni Negri pour différentes générations de militant.es. Ce qu’il a pu symboliser, des deux côtés des Alpes et au-delà, à différents moments de l’histoire turbulente du dernier tiers du XXème siècle, marqué par la dernière poussée révolutionnaire contemporaine – ce « long mois de mai » qui aura duré plus de dix ans, en Italie – suivie d’un reflux face auquel, loin de déposer les armes, Negri a choisi de résister en tentant de penser un arsenal conceptuel correspondant aux défis posés par le capitalisme contemporain. Tout en restant, jusqu’au bout, communiste. C’est ainsi qu’il se définissait.

    • À Toni Negri, camarade et militant infatigable
      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/181223/toni-negri-camarade-et-militant-infatigable

      Toni Negri nous a quittés. Pour certains d’entre nous, c’était un ami cher mais pour nous tous, il était le camarade qui s’était engagé dans le grand cycle des luttes politiques des années soixante et dans les mouvements révolutionnaires des années soixante-dix en Italie. Il fut l’un des fondateurs de l’opéraïsme et le penseur qui a donné une cohérence théorique aux luttes ouvrières et prolétariennes dans l’Occident capitaliste et aux transformations du Capital qui en ont résulté. C’est Toni qui a décrit la multitude comme une forme de subjectivité politique qui reflète la complexité et la diversité des nouvelles formes de travail et de résistance apparues dans la société post-industrielle. Sans la contribution théorique de Toni et de quelques autres théoriciens marxistes, aucune pratique n’aurait été adéquate pour le conflit de classes.
      Un Maître, ni bon ni mauvais : c’était notre tâche et notre privilège d’interpréter ou de réfuter ses analyses. C’était avant tout notre tâche, et nous l’avons assumée, de mettre en pratique la lutte dans notre sphère sociale, notre action dans le contexte politique de ces années-là. Nous n’étions ni ses disciples ni ses partisans et Toni n’aurait jamais voulu que nous le soyons. Nous étions des sujets politiques libres, qui décidaient de leur engagement politique, qui choisissaient leur voie militante et qui utilisaient également les outils critiques et théoriques fournis par Toni dans leur parcours.

    • Toni Negri, l’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique, Yann Moulier Boutang
      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/toni-negri-lau-dela-de-marx-a-lepreuve-de-la-politique-20231217_Z5QALRLO7

      Il n’est guère de concepts hérités du marxisme qu’il n’ait renouvelés de fond en comble. Contentons-nous ici de quelques notions clés. La clé de l’évolution du capitalisme, ne se lit correctement que dans celle de la composition du travail productif structuré dans la classe ouvrière et son mouvement, puis dans les diverses formes de salariat. Le Marx le plus intéressant pour nous est celui des Grundrisse (cette esquisse du Capital). C’est le refus du travail dans les usines, qui pousse sans cesse le capitalisme, par l’introduction du progrès technique, puis par la mondialisation, à contourner la « forteresse ouvrière ». Composition de classe, décomposition, recomposition permettent de déterminer le sens des luttes sociales. Negri ajoute à ce fond commun à tous les operaïstes deux innovations : la méthode de la réalisation de la tendance, qui suppose que l’évolution à peine perceptible est déjà pleinement déployée, pour mieux saisir à l’avance les moments et les points où la faire bifurquer. Deuxième innovation : après l’ouvrier qualifié communiste, et l’ouvrier-masse (l’OS du taylorisme), le capitalisme des années 1975-1990 (celui de la délocalisation à l’échelle mondiale de la chaîne de la valeur) produit et affronte l’ouvrier-social.

      C’est sur ce passage obligé que l’idée révolutionnaire se renouvelle. L’enquête ouvrière doit se déplacer sur ce terrain de la production sociale. La question de l’organisation, de la dispersion et de l’éclatement remplace la figure de la classe ouvrière et de ses allié.e.s. L’ouvrier social des années 1975 devient la multitude. Cela paraît un diagramme abstrait. Pourtant les formes de lutte comme les objectifs retenus, les collectifs des travailleuses du soin, de chômeurs ou d’intérimaires, les grèves des Ubereat témoignent de l’actualité de cette perspective. Mais aussi de ses limites, rencontrées au moment de s’incarner politiquement. (1)

      https://justpaste.it/3t9h9

      edit « optimisme de la raison, pessimisme de la volonté », T.N.
      Ration indique des notes qui ne sont pas publiées...

      Balibar offre une toute autre lecture des apports de T.N. que celle du très recentré YMB
      https://seenthis.net/messages/1032920

      #marxisme #mouvements_sociaux #théorie #compostion_de_classe #refus_du_travail #luttes_sociales #analyse_de_la tendance #ouvrier_masse #ouvrier_social #enquête_ouvrière #production_sociale #multitude #puissance #pouvoir

    • Décider en Essaim, Toni Negri , 2004
      https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=pqBZJD5oFJY

      Toni Negri : pour la multitude, Michael Löwy
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2023/12/18/toni-negri

      Avec la disparition d’Antonio Negri – Toni pour les amis – la cause communiste perd un grand penseur et un combattant infatigable. Persécuté pour ses idées révolutionnaires, incarcéré en Italie pendant de longues années, Toni est devenu célèbre grâce à ses ouvrages qui se proposent, par une approche philosophique inspirée de #Spinoza et de #Marx, de contribuer à l’émancipation de la multitude

      .

    • Un congedo silenzioso, Paolo Virno
      https://ilmanifesto.it/un-congedo-silenzioso


      Toni Negri - Tano D’Amico /Archivio Manifesto

      Due anni fa, credo, telefona Toni. Sarebbe passato per Roma, mi chiede di vederci. Un’ora insieme, con Judith, in una casa vuota nei pressi di Campo de’ Fiori (un covo abbandonato, avrebbe pensato una canaglia dell’antico Pci). Non parliamo di niente o quasi, soltanto frasi che offrono un pretesto per tacere di nuovo, senza disagio.

      Ebbe luogo, in quella casa romana, un congedo puro e semplice, non dissimulato da nenie cerimoniose. Dopo anni di insulti pantagruelici e di fervorose congratulazioni per ogni tentativo di trovare la porta stretta attraverso cui potesse irrompere la lotta contro il lavoro salariato nell’epoca di un capitalismo finalmente maturo, un po’ di silenzio sbigottito non guastava. Anzi, affratellava.

      Ricordo Toni, ospite della cella 7 del reparto di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, che piange senza ritegno perché le guardie stanno portando via in piena notte, con un «trasferimento a strappo», i suoi compagni di degnissima sventura. E lo ricordo ironico e spinoziano nel cortile del penitenziario di Palmi, durante la requisitoria cui lo sottopose un capo brigatista da operetta, che minacciava di farlo accoppare da futuri «collaboratori di giustizia» allora ancora bellicosi e intransigenti.

      Toni era un carcerato goffo, ingenuo, ignaro dei trucchi (e del cinismo) che il ruolo richiede. Fu calunniato e detestato come pochi altri nel Novecento italiano. Calunniato e detestato, in quanto marxista e comunista, dalla sinistra tutta, da riformatori e progressisti di ogni sottospecie.

      Eletto in parlamento nel 1983, chiese ai suoi colleghi deputati, in un discorso toccante, di autorizzare la prosecuzione del processo contro di lui: non voleva sottrarsi, ma confutare le accuse che gli erano state mosse dai giudici berlingueriani. Chiese anche, però, di continuare il processo a piede libero, giacché iniqua e scandalosa era diventata la carcerazione preventiva con le leggi speciali adottate negli anni precedenti.

      Inutile dire che il parlamento, aizzato dalla sinistra riformatrice, votò per il ritorno in carcere dell’imputato Negri. C’è ancora qualcuno che ha voglia di rifondare quella sinistra?

      Toni non ha mai avuto paura di strafare. Né quando intraprese un corpo a corpo con la filosofia materialista, includendo in essa più cose di quelle che sembrano stare tra cielo e terra, dal condizionale controfattuale («se tu volessi fare questo, allora le cose andrebbero altrimenti») alla segreta alleanza tra gioia e malinconia. Né quando (a metà degli anni Settanta) ritenne che l’area dell’autonomia dovesse sbrigarsi a organizzare il lavoro postfordista, imperniato sul sapere e il linguaggio, caparbiamente intermittente e flessibile.

      Il mio amico matto che voleva cambiare il mondo
      Toni non è mai stato oculato né morigerato. È stato spesso stonato, questo sì: come capita a chi accelera all’impazzata il ritmo della canzone che ha intonato, ibridandolo per giunta con il ritmo di molte altre canzoni appena orecchiate. Il suo luogo abituale sembrava a molti, anche ai più vicini, fuori luogo; per lui, il «momento giusto» (il kairòs degli antichi greci), se non aveva qualcosa di imprevedibile e di sorprendente, non era mai davvero giusto.

      Non si creda, però, che Negri fosse un bohèmien delle idee, un improvvisatore di azioni e pensieri. Rigore e metodo campeggiano nelle sue opere e nei suoi giorni. Ma in questione è il rigore con cui va soppesata l’eccezione; in questione è il metodo che si addice a tutto quel che è ma potrebbe non essere, e viceversa, a tutto quello che non è ma potrebbe essere.

      Insopportabile Toni, amico caro, non ho condiviso granché del tuo cammino. Ma non riesco a concepire l’epoca nostra, la sua ontologia o essenza direbbe Foucault, senza quel cammino, senza le deviazioni e le retromarce che l’hanno scandito. Ora un po’ di silenzio benefico, esente da qualsiasi imbarazzo, come in quella casa romana in cui andò in scena un sobrio congedo.

  • Remote Atlantic Ocean rock could host migrants, UK says

    The UK is threatening to deport irregular migrants to Ascension Island if its plan to send people to Rwanda fails, amid another lethal shipwreck in the Mediterranean.

    British officials briefed national press anonymously on the Ascension Island idea on Sunday (6 August).

    “It’s pragmatic to consider all options and it makes sense to draw up proposals to stop the boats that could work alongside our Rwanda policy,” a “senior government source” told The Sunday Times.

    “We’re still confident that our Rwanda scheme is lawful, but having alternative proposals on the table would provide us with a back-up if we’re frustrated legally,” the source said.

    “All options were on the table”, British home secretary Suella Braverman also told the Mail on Sunday.

    Ascension Island is part of the Saint Helena, Ascension and Tristan da Cunha British overseas territory in the South Atlantic Ocean.

    The volcanic outcrop is just 88 km squared and located 6,000 km away from Europe.

    Braverman had planned to start deporting people to Rwanda on flights in January to act as a deterrent.

    But this was ruled illegal by the Court of Appeal in June over deficiencies in Rwanda’s asylum system, with a final verdict due by the Supreme Court in late autumn.

    Other “Plan B” locations alongside Ascension Island included Alderney in the Channel islands, a British military base in Cyprus, Ghana, Nigeria, Namibia, and Morocco, the Sunday Times reported.

    Niger had been on the list, but a coup in Niamey in July now threatened to see military intervention by neighbouring states, making the region a source of even higher numbers of refugees.

    The Falkland Islands had also been considered, but were deemed too sensitive due to the 1982 Falklands War between Britain and Argentina.

    And British officials cited Australia’s policy of processing asylum claims on Nauru in the South Pacific as a model for their far-flung schemes.

    The Rwanda Plan A has been pasted by human-rights groups as demonisation of vulnerable people by Britain’s ruling Conservative Party, which trails in polls ahead of elections likely in 2024.

    About 15,000 have crossed to the UK on small boats from France so far this year, down 15 percent on the same period in 2022.

    But arrivals to Europe are on the rise, via dangerous Mediterranean crossings and Turkey.

    Over 127,300 people came in the first seven months of this year compared to 189,600 in all of last year, according to the International Organisation for Migration, a UN limb.

    More than 2,330 people lost their lives or went missing, compared to 2,965 in 2022.

    Another woman and child died and 30 were still missing after two boats capsized near the Italian island of Lampedusa on Sunday, Italian authorities said.

    The coastguard saved 57 people so far.

    They also airlifted 34 others, including two pregnant women and a child, who had been clinging to a cliff face on Lampedusa since Friday following a previous shipwreck.
    Unwelcoming mood

    The right-wing government of Italian prime minister Giorgia Meloni has been accused of complicating rescues by forcing charity ships to disembark at far-away ports, echoing the UK approach.

    And migration is likely to feature heavily in the European Parliament elections next year, just as in post-Brexit Britain.

    Germany’s far-right AfD party declared the EU a “failed project” and promised to crack down on migrants in its programme for next June’s vote, unveiled on Sunday.

    It called for the EU to reform as a “federation of European nations” that protected “different identities” in Europe.

    It also spoke of a “Europe of fatherlands, a European community of sovereign, democratic states”.

    The AfD is poles apart from the old German spirit under former conservative chancellor Angela Merkel, who welcomed refugees in 2015.

    But the far-right party is now polling at 19 to 22 percent, making it the second strongest political force in the EU’s largest member state.

    https://euobserver.com/world/157327

    #UK #Atlantique #Angleterre #île #île_de_l'ascension #externalisation #modèle_australien #asile #migrations #réfugiés #océan_atlantique

    L’île de l’Ascension après d’autres magnifiques idées :
    – le Rwanda : https://seenthis.net/messages/966443
    – la Bibby Stockholm : https://seenthis.net/tag/bibby_stockholm

    Et ça rappelle farouchement ce que les Australiens ont mis en place (la #Pacific_solution) sur l’île de #Nauru : https://seenthis.net/tag/nauru

    D’ailleurs, je découvre grâce aux archives seenthis (#merci @seenthis) qu’en 2020, la #Grande-Bretagne avait déjà imaginé d’envoyer les demandeurs d’asile sur une autre île au milieu de l’Atlantique qui leur appartient : l’île de #Saint-Hélène : https://seenthis.net/messages/881888

    –—

    ajouté à la métaliste autour des #îles qui sont utilisées (ou dont il a été question d’imaginer de le faire) pour y envoyer des #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/881889

    • L’ultima idea di Londra per i richiedenti asilo: «spedirli» su un’isola in mezzo all’Atlantico

      All’Ascensione, territorio dipendente da Sant’Elena. Intanto da ieri decine spostati su una chiatta a Portland

      La buona notizia è che, causa golpe, è tramontata definitivamente l’ipotesi di spostare i migranti in Niger. La cattiva notizia? Tutto il resto.

      Gli arrivi record nel Regno Unito stanno mettendo a durissima prova il governo Sunak, anche se tra i presunti vantaggi di Brexit c’era proprio quello di «riprendere il controllo dei confini britannici» sottraendoli agli odiati burocrati di Bruxelles.

      Così l’ultima ipotesi è quella di portare migliaia di persone — in attesa di verdetto sulla richiesta d’asilo — su un’isola sperduta tra costa africana (1.600 chilometri) e costa sudamericana (2.300 chilometri), l’Isola dell’Ascensione, nell’amministrazione di Sant’Elena di napoleonica memoria. Charles Darwin, che durante il suo viaggio con il veliero Beagle la visitò nel 1836, la definì «orribile».

      L’esilio agli antipodi dei migranti non è neanche il problema più urgente di Sunak, che peraltro è in vacanza negli Stati Uniti con la famiglia, sadicamente pedinato dai tabloid inglesi anche alla lezione di spinning in una palestra di lusso a Santa Monica con accompagnamento musicale di Taylor Swift.

      È cominciato infatti ieri pomeriggio il trasferimento di alcune decine di migranti su una chiatta, la Bibby Stockholm, ancorata nel porto di Portland . Arrivano da alberghi di Oxford, Bristol, Torbay e Bournemouth: proprio il problema degli hotel è quello più urgente. Il governo paga infatti sei milioni di sterline al giorno (sette milioni di euro) per ospitare in albergo migliaia di migranti. L’idea della chiatta è venuta, semplicemente, per risparmiare mentre le lista d’attesa per le richieste d’asilo si allungano spaventosamente.

      Neanche i tabloid stanno facendo sconti al governo: due mesi fa campeggiava sulle loro prime pagine la protesta dei migranti iraniani che rifiutavano la sistemazione in un albergo londinese di Pimlico (centralissimo, 175 euro a notte) perché pretendevano camere singole, e per questo si erano accampati in strada.

      La capacità ricettiva dell’apparato dello Stato britannico pare uscita da un vecchio sketch dei Monty Python, e sarebbe un brutto gesto, oggi, quello di rinfacciare alla fazione pro-Brexit le vecchie critiche alle (effettive) falle nell’accoglienza ai migranti targata Ue. Ma certo è che il «piano B» è una priorità del governo Sunak: s’intende l’idea di trasferire fuori dai confini nazionali i migranti finché non sarà definito l’esito delle loro richieste d’asilo. Soltanto quattordici mesi fa, quando il governo Johnson ormai al capolinea ipotizzò di utilizzare il Ruanda come parcheggio per i migranti desiderosi di vivere nel Regno Unito stringendo con Kigali un accordo di cooperazione da 160 milioni di euro, l’allora principe Carlo con una clamorosa e inedita violazione della tradizionale neutralità politica della Corona — sempre silente sulle scelte governative — lasciò trapelare di essere rimasto «allibito».

      Un trasferimento di seimila chilometri nel territorio britannico d’oltremare nell’Atlantico meridionale provocherebbe, al netto di ogni altra considerazione politica e umanitaria, una serie di complessi problemi organizzativi, dato che l’isola di 88 chilometri quadrati ha soltanto ottocento abitanti e non è ovviamente attrezzata per diventare un campo profughi. Perfino il Daily Mail, giornale per nulla favorevole all’apertura delle frontiere, la definiva ieri «una pietra vulcanica in mezzo al nulla».

      Al momento il piano di collaborazione con Kigali è stato bloccato da un tribunale, ma il governo aspetta il pronunciamento definitivo della Corte suprema in ottobre.

      https://www.corriere.it/esteri/23_agosto_07/ultima-idea-londra-richiedenti-asilo-spedirli-un-isola-mezzo-all-atlantico-

  • Entrevista al Papa Francisco: “Putin no para, quiero encontrarme con él en Moscú. No voy a ir a Kiev ahora”
    https://www.corriere.it/cronache/22_maggio_03/intervista-papa-francesco-putin-694c35f0-ca57-11ec-829f-386f144a5eff.shtml
    Entrevista al Papa Francisco: “Todavía no hemos recibido respuesta de Putin. ¿Zelenski? Lo llamé el primer día del conflicto, pero ahora no es el momento de ir a Kiev. Hablé durante 40 minutos con el patriarca Kirill, le dije: no somos clérigos de estado. Italia está haciendo un buen trabajo, cirugía de rodilla hoy"

  • E la corsia si trasformò in trincea. Come è stato curato il «paziente 1»

    Testimonianza. L’infettivologo di Pavia #Raffaele_Bruno racconta la sua lotta al contagio (HarperCollins)

    Un desiderio e un ricordo. Il trentottenne #Mattia_Maestri, il giovane e sano maratoneta la cui colonna sonora della vita può essere Born to Run di Bruce Springsteen e ormai noto come paziente 1, si risveglia dopo 20 giorni di coma con la voglia di mangiare una pizza con cipolla e salame piccante e in mente le ultime parole sentite da un infermiere prima di essere intubato: «Il coronavirus Cudogn ensa’ nianche addu sta» (il coronavirus non sa neanche dove sia di casa Codogno). Mai previsione più sbagliata. Ancora oggi, a quasi dieci mesi di distanza da quel 20 febbraio 2020 alle ore 20, ci ritroviamo a essere parte di una storia che credevamo e speravamo mai potesse accadere.

    Leggere Un medico. La storia del dottore che ha curato il paziente 1 (HarperCollins), scritto in prima persona dall’infettivologo del San Matteo di Pavia Raffaele Bruno con il giornalista di Sky Tg24 Fabio Vitale, non vuol dire tanto essere catapultati di nuovo nelle corsie d’ospedale di marzo e aprile con i pazienti moribondi in fame di ossigeno, quanto piuttosto rimettere in fila le priorità delle nostre vite: «Credo in Dio, ma quello che vedo in ospedale sta facendo vacillare la convinzione che ci sia qualcuno lassù che possa consentire tutto questo — scrive Bruno —. Un dio che lascia morire genitori o figli così, da soli. Avresti bisogno di una carezza, di una parola di conforto prima di andare via per sempre, e invece ti ritrovi in un letto d’ospedale con attorno medici e infermieri che non riesci nemmeno a vedere in faccia».

    Adesso siamo sotto Natale e abbiamo voglia più che mai di lasciarci tutto alle spalle. La testimonianza di Bruno ci fa capire perché ciò non è ancora possibile. La storia del dottore che ha curato il paziente 1 aiuta a ritrovare quella forza collettiva che in primavera ci faceva mettere sui balconi i tricolori, teli e cartelli con su scritto «Andrà tutto bene» e definire i medici eroi. Una resilienza che non può venire meno neppure in un’Italia con l’economia in crisi e i nervi a fior di pelle.

    Partito da Cosenza e dopo gli anni romani a Tor Vergata, Bruno cresce professionalmente all’epoca della lotta senza quartiere all’Hiv e all’epatite C, per trovare a Pavia le dimensioni di una città piccola, ma con la vivacità del grande polo universitario. È il 21 gennaio 2020 quando il dottore fa una promessa a sé stesso: «In palestra due volte alla settimana, niente alibi». Bike e tapis roulant, sessanta minuti che ricomprendono pure la doccia e il ritorno a casa. I casi di cittadini cinesi positivi a un nuovo coronavirus sono ancora a fondo pagina sui siti di informazione.

    Nel giro di un mese la palestra diventa un lontano ricordo, i giornali non parlano (quasi) d’altro. Per Bruno la decisione obbligata è di vivere in una sorta di isolamento dalla famiglia: camere separate per lui e la moglie, la figlia Matilde per un po’ dalla suocera. Le notti sono in reparto, le facce sono sempre le stesse, segno che nessuno riposa da settimane. Saltati riposi, permessi, congedi, ferie. I giorni passano e il virus non risparmia nemmeno i colleghi. Sono i mesi più duri, quelli in cui ai medici sembra di essere tornati nell’Ottocento. Senza certezze.

    Corre parallela la storia del paziente 1. «Se salvi Mattia, salvi l’Italia», si sente ripetere Bruno. La guarigione di Mattia può essere la prova che da questa malattia si può guarire, anche se dopo aver combattuto a lungo. Quel giorno arriva: «Caro Mattia, sei pronto?». «Per cosa, professore?» «Non volevi andare a casa?».

    Con il passare delle settimane subentra, però, anche l’insofferenza. Il dottore l’intercetta nelle parole di un passante: «Va bene, professore, lasci perdere. Prima ci chiudete in casa, poi non sapete dirci perché né per quanto tempo. La saluto, arrivederci». Scrive Bruno: «Resto immobile, seguendo con lo sguardo la sagoma di quest’uomo che scompare in un vicolo». Alla fine del libro la consapevolezza è che «siamo tutti dentro una pagina di storia condivisa che non va dimenticata. La normalità resta un privilegio. E la memoria l’arma più potente per affrontare nuove crisi».

    https://www.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB/2020/12/15/43/pe-la-span-classrossocorsiaspan-si-trasformo-in-trinceap-pcome-e-stato-cura

    #Italie #premier_patient_covid #covid-19 #coronavirus #patient_0 #patient_1 #témoignage

    • Un medico

      Raffaele Bruno è un medico, da un anno è Direttore della Clinica di Malattie Infettive al Policlinico San Matteo di Pavia. A gennaio, come molti dottori italiani, viene a sapere di un nuovo virus, che stava iniziando a far vittime in Cina: il SARS-CoV2. Ancora non può immaginare che, neanche un mese più tardi, si troverà a dover curare Mattia, un giovane uomo di Codogno, il primo paziente italiano conosciuto. È con la sua malattia che il Covid-19, rimasto fi no a quel momento un’idea spaventosa, diventa una realtà presente e terribile. Con il suo ricovero ha ufficialmente inizio, in Europa, la più grande emergenza sanitaria degli ultimi cento anni, ha inizio un’odissea che riguarderà prima il nostro paese, poi tutto il continente, infine il mondo intero. Bruno e i suoi colleghi dovranno affrontare un virus sconosciuto e tremendo, di cui nessuno sa nulla e che li farà sentire “come medici dell’800” che devono costruirsi le conoscenze sul campo. Scritto con Fabio Vitale, tra i principali volti di Sky TG24, Un medico racconta i primi mesi della lotta contro il Covid-19 nel cuore della regione italiana più colpita, la Lombardia, che suo malgrado si è improvvisamente e drammaticamente ritrovata a essere “il centro del mondo”. Una testimonianza diretta e indimenticabile che si legge come un romanzo, la storia che ricostruisce quei giorni terribili in cui però non si è persa la speranza. Un libro che ribadisce come di fronte alle avversità o alle grandi calamità sia necessario riscoprire il coraggio che è in noi e ciò che veramente è importante, un libro che ci ricorda quello per cui vale la pena di battersi e lottare.

      https://www.harpercollins.it/9788869059032/un-medico

      #livre

  • Rights in route. The “#quarantine_ships” between risks and criticisms

    The use of quarantine ships is one of the measures put in place by the Italian government to deal with the arrivals of foreign nationals in times of pandemic. Almost two months after the start of this experiment, it is possible to make a first assessment of the adequacy and criticism entailed in this measure.

    The first experiment was carried out on board the ship Rubattino, run by the Tirrenia company, which hosted 183 people between the 17 April and the 5 May. On the 19 April, the Ministry of Infrastructure and Transportations launched a procedure for the chartering of vessels for the assistance and “health surveillance” of migrants autonomously arriving on the Italian coasts or rescued in SAR operations. The #Moby_Zazà was then identified as a “quarantine ship” capable of accommodating up to 250 people. 160 migrants, whose Covid-19 test was finally negative, left the ship on the 30 May.

    The issue of the controversial interministerial decree no. 150 of 7 April 2020 gave rise to the redefinition of post-disembarkation procedures. The decree establishes that, during the health emergency caused by the spread of Covid-19, Italian ports cannot be classified as safe places, place of safety, for the landing of migrants.

    On 12 April, Decree no. 1287/2020 of the Head of the Civil Protection Department was published, entrusting the Department for Civil Liberties and Immigration of the Ministry of the Interior with the management of procedures related to the fiduciary isolation and quarantine of foreign citizens rescued or arrived independently by sea. On the basis of this decree, the Ministry of Interior, together with the Italian Red Cross, may use ships for the “health surveillance” period “with reference to persons rescued at sea and for whom it is not possible to indicate the “Place of Safety”. This indication, apparently sibylline, refers to the persons referred to in the decree of 7 April, i.e. persons rescued outside the Italian SAR by ships flying a foreign flag for which Italian ports cannot be considered “safe places”. Migrants arriving autonomously, i.e. not as a result of SAR operations, should in the first instance carry out the quarantine period in reception facilities on the territory and not on ships, unless it is for some reason impossible to identify such facilities, as in fact happened for many people disembarked in Italy in May and June.

    A number of problems arise from use of the so-called quarantine ships. First of all, it is a device for the deprivation of personal freedom which differs clearly from the measures to which foreign citizens who have come to Italy by other means have been subjected during the lockdown. The Interministerial Decree of 17 March provided that persons arriving from abroad, in the absence of symptoms, must report their return to the public sanitary office, prevention department, and undergo isolation and health surveillance for a period of 14 days. It is therefore a formula with markedly discriminatory characteristics.

    With regard to the conditions in which people are inside the ship, the words of the National Ombudsman for the rights of prisoners effectively paint the situation of the Moby Zaza: “the […] playful image painted on the hull, corresponds dramatically to the reality of those who, presumably escaped from wars or imprisonments, await the flow of the, though dutiful, quarantine with a lack of certain information and support against despair”.

    The use of ships for the quarantine also has important symbolic value both for migrants subjected to the measure and in the political debate linked to the issue of disembarkation and the sharing of responsibility among the European member states in the field of migration.

    Finally, no news has been spread about the procedures that are implemented on the ships, about the support that is or is not provided to foreign citizens, about the possible police investigations carried out on board and about institutional and non institutional actors operating on board.

    For this reason, a request for access to the files was sent to the Ministry of the Interior and the Ministry of Health to find out which procedures are implemented on board, how they are carried out and who is involved.

    From the first answers received from the Civil Liberty and Immigration Department, as implementing entity, it is clear only the role of the Italian Red Cross responsible for health care measures, cultural linguistic mediation, social assistance, psychological support and identification of vulnerabilities.

    Finally, particular attention deserves the future of this praxis: migration management policies in recent years teach us that the major innovations have been introduced to manage emergencies. The hotspots themselves were set up in 2015 as an extraordinary measure to deal with a situation where the number of people arriving in Italy and Greece was extremely high. However, this system, having ended “the emergency”, continued to operate and became fully integrated into the ordinary management system of migration, revolutionizing it and introducing serious violations of the rights of foreign citizens.

    It is therefore necessary to ensure that quarantine ships do not become the forerunner of “#hotspot_ships”, “hotspot platforms” or other systems aimed at preventing foreign citizens rescued at sea from disembarking in Italy. The conditions of the ships, their structural isolation, the difficult monitoring and the impossibility of the contacts with civil society, make this formula absolutely inadequate for carrying out the delicate operations of reception, information, definition of the legal status of foreign citizens.

    https://inlimine.asgi.it/rights-in-route-the-quarantine-ships-between-risks-and-criticisms

    #navi_quarantena #hotspot #bateaux_hotspots #frontières_mobiles #Italie #migrations #asile #réfugiés #frontières #navi-quarantena #Méditerranée #mer #bateaux_quarantaine #bateau_quarantaine

    ping @isskein

    • Cosa sono e quanto costano le navi da quarantena per i migranti?

      Le navi da quarantena sono traghetti privati usati per isolare i migranti arrivati in Italia via mare e sono state istituite dal governo il 12 aprile con un decreto della Protezione civile, dopo che era stato dichiarato lo stato di emergenza per l’epidemia di coronavirus. Lo stato di emergenza terminerà il 31 luglio e non è ancora chiaro se le navi da quarantena rimarranno operative. Secondo il decreto, sui traghetti dovrebbero essere trasferite tutte le persone che sono state soccorse dalle imbarcazioni delle ong, tuttavia negli ultimi mesi sono stati confinati su queste strutture anche alcuni migranti che erano arrivati a terra direttamente con delle imbarcazioni di fortuna partite dalla Tunisia o dalla Libia.

      Le navi da quarantena sono sotto accusa da quando, il 20 maggio scorso, un ragazzo tunisino di 28 anni si è buttato in mare per raggiungere a nuoto la costa ed è morto. L’ultimo caso di un trasbordo su una nave da quarantena che ha fatto discutere è quello che ha coinvolto la nave Ocean Viking dell’ong Sos Meditérranée: bloccata per dieci giorni in mare, la notte del 6 luglio ha ricevuto dalle autorità italiane l’autorizzazione ad attraccare a Porto Empedocle, da dove i migranti sono stati trasferiti sulla Moby Zazà, anche se sono risultati tutti negativi al test per il covid-19.

      Come funzionano
      I traghetti Rubattino e Moby Zazà della Compagnia italiana di navigazione (Cin, già Tirrenia) sono le due navi passeggeri usate per la quarantena dei migranti. La Rubattino è stata attiva fino al 7 maggio ed è stata usata per la quarantena di 180 persone soccorse dalla nave della ong Sea Eye, Alan Kurdi, il 17 aprile 2020 e dall’imbarcazione Aita Mari il 19 aprile 2020. La Moby Zazà è diventata operativa il 12 maggio e attualmente il contratto è valido fino al 13 luglio.

      Per il nolo di questa nave la Compagnia italiana di navigazione ha ricevuto una somma che oscilla tra 900mila euro e 1,2 milioni di euro. La sorveglianza sanitaria a bordo è svolta dagli operatori della Croce rossa italiana (Cri). “Le navi non sono ospedali, sono traghetti passeggeri, attrezzati per ospitare circa 250 persone”, spiega la responsabile immigrazione della Croce rossa (Cri) Francesca Basile. “Dal 15 maggio la Moby Zazà ha ospitato 680 persone”, continua Basile, che assicura che sulla nave medici, infermieri e operatori culturali sono protetti da dispositivi di sicurezza e seguono tutti i protocolli sanitari per garantire la salute delle persone.

      Chi risulta negativo al test per il coronavirus rimane a bordo per quindici giorni, chi risulta positivo rimane sulla nave fino al momento in cui il tampone diventa negativo. “Abbiamo riscontrato una trentina di persone positive al test dall’inizio dell’operazione a maggio. Erano tutti asintomatici. Sono stati isolati a bordo della nave in una zona rossa, su uno dei ponti. Finché il tampone non è diventato negativo”, spiega la responsabile della Croce rossa.

      I costi e le criticità
      Alcuni esperti hanno però evidenziato diverse criticità di queste navi, soprattutto dopo che il 20 maggio un ragazzo tunisino si è gettato in mare ed è morto, mentre tentava di raggiungere la costa a nuoto. Valentina Brinis, operatrice legale dell’ong Open Arms, spiega che tenere le persone per lunghi periodi a bordo di una nave provoca un disagio psicologico, che anche in passato ha spinto le persone a gettarsi in mare. “Come Open Arms abbiamo avuto esperienza di quanto sia rischioso tenere a bordo le persone per un periodo di tempo prolungato, come c’è già successo nell’agosto del 2019 nella missione 66”.

      In quel caso le condizioni psicologiche critiche delle persone erano state documentate anche dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio che aveva parlato di “grande disagio fisico e psichico, di profonda prostrazione psicologica e di altissima tensione emozionale che avrebbero potuto provocare reazioni difficilmente controllabili delle quali, peraltro, i diversi tentativi di raggiungere a nuoto l’isola costituivano solo un preludio”.

      Per l’operatrice la quarantena andrebbe svolta a terra, nei centri di accoglienza e negli hotspot, perché “sulla nave è difficile mantenere una situazione di calma quando le persone hanno un vissuto molto traumatico”. Spesso tra le altre cose le persone sono fatte scendere a terra per poi risalire a bordo della nave da quarantena, “creando incomprensioni e frustrazioni che possono essere state all’origine del gesto del ragazzo che si è gettato in mare”. Un altro elemento di criticità è la violazione delle leggi internazionali sul soccorso in mare: le Convenzioni internazionali sul soccorso in mare stabiliscono infatti che le persone soccorse debbano essere rapidamente portate a terra e solo una volta arrivate in un place of safety (Pos) i soccorsi sono da ritenersi conclusi.

      Infine non sono chiari i protocolli seguiti a bordo delle navi da quarantena, mentre nei centri a terra ci sono delle normative (i capitolati hotspot) che regolamentano ogni aspetto di questi luoghi in cui le persone sono private temporaneamente della libertà personale. Anche dal punto di vista medico, uno studio coordinato da Joacim Rocklöv, docente di epidemiologia all’Università Umeå, in Svezia, pubblicato sul Journal of travel medicine, ha mostrato che il confinamento delle persone a bordo delle navi (in quel caso si trattava della nave da crociera Diamond Princess) non è efficace per limitare il contagio. Secondo lo studio, l’evacuazione della nave avrebbe portato a un ottavo circa i casi riscontrati al termine della quarantena a bordo.

      Per l’esperto di diritto marittimo Fulvio Vassallo Paleologo anche la conformità alle leggi di questo tipo di navi è dubbia, anche se consentita dalle direttive europee: “Un documento non vincolante della Commissione Europea sembra prevedere, con limiti assai discrezionali, questa vistosa violazione delle regole dettate in materia di prima accoglienza dalle direttive dell’Unione europea, dal diritto internazionale del mare e dall’articolo 10 ter del testo unico sull’immigrazione n.286 del 1998”, afferma Vassallo Paleologo.

      Dopo l’Italia, anche Malta ha adottato questo tipo di navi turistiche adibite a navi da quarantena per gli stranieri

      Secondo la Commissione europea infatti,“per quanto riguarda le condizioni di accoglienza, gli stati membri possono avvalersi della possibilità prevista dalla direttiva 2013/33/UE di stabilire, in casi debitamente giustificati e per un periodo ragionevole di durata più breve possibile, modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza diverse da quelle normalmente richieste. Tali modalità devono in ogni caso garantire che si provveda alle esigenze essenziali, compresa l’assistenza sanitaria. Le misure di quarantena o di isolamento per la prevenzione della diffusione della covid-19 non sono disciplinate dall’acquis dell’Unione europea in materia di asilo. Tali misure possono essere imposte anche ai richiedenti asilo conformemente alla normativa nazionale, a condizione che siano necessarie, proporzionate e non discriminatorie”.

      “Rimane dunque da accertare se il trattenimento in quarantena a bordo di navi traghetto ancorate in mare, come la Moby Zazà sia ‘necessario, proporzionato e non discriminatorio’. La prassi del trattenimento su navi traghetto destinate alla quarantena dei naufraghi ha comunque disatteso il chiaro indirizzo fornito dalla Corte di cassazione con la sentenza del 20 febbraio 2020, sul caso Rackete, che ribadisce come le operazioni di soccorso in mare si concludano soltanto con lo sbarco a terra, in conformità del diritto internazionale e della normativa interna”, conclude l’esperto.

      Dopo l’Italia, anche Malta ha adottato questo tipo di navi turistiche adibite a navi da quarantena per gli stranieri. Nelle ultime settimane sono state tenute al largo 425 persone su navi private, per un costo complessivo di 1,7 milioni di euro. “La maggior parte di questi soldi sono stati usati per le 33mila ore di sorveglianza ai migranti”, spiega il quotidiano The Times of Malta, soprattutto per evitare che facessero gesti di autolesionismo o che si gettassero in acqua. Ora La Valletta vorrebbe chiedere i soldi di questa operazione all’Unione europea, che ha già fatto sapere che non li rimborserà.

      https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2020/07/07/navi-quarantena-moby-zaza

      #coût #Italie #Malte #coronavirus #quarantaine #confinement #covid-19 #décret #protection_civile #ferries #privatisation #sauvetage #Rubattino #Compagnia_italiana_di_navigazione #Cin #Tirrenia #Croce_rossa_italiana (#Cri)

    • Migrant tourist boats operation cost €1.7 million

      The government provides a breakdown of costs as it pushes for EU funding.

      Hosting 425 migrants on four boats out at sea cost taxpayers €1.7 million and discussions to secure EU funds are ongoing, the government said on Monday.

      The vast majority of that cost - €1 million - went to pay for the 33,000 hours of security services needed to keep watch of the migrants.

      They were detained aboard the boats after Malta closed its ports when declaring a public health emergency over the COVID-19 pandemic.

      They were only brought ashore over fears of a takeover on one of them.

      On Monday the government said in a statement that renting the four vessels racked up a bill of €363,440: €3,000 a day for each Captain Morgan boat and €6,500 for one owned by Supreme Travel.

      The sum of €212,646.12 was paid out to 33 companies for the provision of food, drinks, sanitation products and clothes.

      Vessels needed to be rented out to deliver these items, and this cost €87,741. The disembarkation procedure meanwhile cost €10,908.12.

      In the statement the government said that talks with the EU about funding for the costs were ongoing.

      While the government has said that it expects the EU to foot the bill for the operation, the EU has said that Malta’s application for funding is “not eligible for support”.

      https://timesofmalta.com/articles/view/migrant-tourist-boats-operation-cost-17-million.803181

    • Italie : dans les #navires_de_quarantaine, des centaines de migrants enfermés loin des regards

      En raison du Covid-19, des centaines de migrants sont actuellement confinés dans des navires amarrés au large de ports italiens, afin d’observer une quarantaine de plusieurs semaines. La situation à bord est floue, presque aucune information ne circulant sur leurs conditions de vie.

      À leur arrivée à Lampedusa, après avoir traversé la Méditerranée, les migrants ne mettent pas tous le pied à terre. Ils sont le plus souvent transférés dans des ferries afin de limiter la surpopulation du seul centre d’accueil de l’île italienne qui dispose d’un peu moins de 100 places. Enfermés à bord de ces navires amarrés au large de plusieurs ports italiens, les exilés doivent observer une période de quarantaine de 14 jours, dans le but d’éviter la propagation de la pandémie de Covid-19.

      « En théorie, ils restent deux semaines, mais il semblerait que parfois cela dure plus longtemps », signale à InfoMigrants Flavio Di Giacomo, porte-parole de l’Organisation internationale des migrations (OIM).
      Très peu d’informations sur la situation à bord

      Les informations sur les conditions de vie à bord de ces centres flottants sont rares et difficiles à obtenir. Plusieurs centaines de migrants, pour la plupart originaires de Tunisie, vivent actuellement loin des regards dans ces bateaux.

      L’OIM admet avoir peu de détails sur la situation dans ces navires. « Nous n’avons pas d’équipe à l’intérieur de ces structures, donc peu d’informations à ce sujet. Nous ne savons pas combien de personnes y sont retenues, ni quel est leur quotidien », indique Flavio Di Giacomo.

      Selon Majdi Karbai, député tunisien du parti du courant démocratique joint par InfoMigrants, on dénombre environ 700 migrants pour le seul navire Azzura, positionné au large du port sicilien d’Augusta. « Je suis en contact avec des personnes à bord de ce ferry, mais je ne sais pas combien sont enfermées dans les autres navires. Il y en a aussi à Palerme ou en Calabre », précise-t-il.

      https://twitter.com/karbai/status/1311680948073832455

      Le 18 septembre, le député publie sur Twitter une vidéo filmée à bord de l’Azzurra, avec ce commentaire : « Tentative de suicide d’un migrant tunisien ». Les images laissent deviner un homme au sol au loin, entouré de plusieurs personnes. Il sera finalement pris en charge à l’hôpital, explique Majdi Karbai.
      Un migrant disparu après avoir tenté de s’échapper

      Le 1er octobre, il signale sur le même réseau social que cinq Tunisiens ont tenté de s’échapper d’un navire de quarantaine amarré à Palerme, en Sicile. « Deux sont tombés sur le quai et se sont cassés la jambe, trois se sont enfuis avant d’être arrêtés par la police », raconte le député.

      https://twitter.com/karbai/status/1311679465609719813

      Quelques jours plus tard, les médias italiens rapportent une histoire similaire. Dans la nuit du samedi 3 au dimanche 4 octobre, trois autres migrants ont sauté à l’eau depuis le navire Azzura. Deux d’entre eux ont été récupérés par des pompiers mais le troisième a disparu. Les recherches n’ont pas permis de le retrouver, laissant craindre une noyade.

      « Les migrants tentent de s’échapper de ces bateaux car ils redoutent d’être renvoyés en Tunisie », signale Majdi Karbai. Des dizaines de personnes ont en effet été transférées directement depuis ces navires vers des centres de renvoi, en vue d’une expulsion. D’autres ont reçu une obligation de quitter le territoire italien sous sept jours.

      « On ne sait pas pourquoi untel est renvoyé, et un autre écope de ce document. Tout est flou. Certains pourraient bénéficier d’une protection internationale mais ils n’ont eu accès à aucun avocat et n’ont pas pu demander l’asile », souligne le député. « Les droits de ces personnes sont bafoués », déplore encore Majdi Karbai.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/27749/italie-dans-les-navires-de-quarantaine-des-centaines-de-migrants-enfer

      Déjà signalé sur seenthis par @veronique_petit :
      https://seenthis.net/messages/879809

    • Abbandonati nei #CAS quarantena in attesa del rimpatrio

      In questi giorni la campagna LasciateCIEntrare sta raccogliendo diverse testimonianze di cittadini tunisini stritolati all’interno del sistema di controllo e trattenimento a cui sono sottoposti una volta intercettati allo sbarco. Che siano posti su navi quarantena, di fatto diventate luoghi di detenzione illegittima, o immediatamente all’interno di Cas quarantena detentivi, le procedure a cui sono sottoposti sono perlopiù funzionali ad un rimpatrio immediato. In questo dispositivo di trattenimento-rimpatrio non c’è alcuno spazio per la salvaguardia dei diritti fondamentali e per la tutela delle persone.

      «Quali sono gli accordi criminali stipulati tra Tunisia ed Italia? Cos’è questa orribile macchina aspira e sputa uomini?», afferma Yasmine Accardo, referente della campagna che sta inviando segnalazioni al Garante delle persone private della libertà e insieme a LasciateCIEntrare invoca il rispetto dei diritti fondamentali.

      «Si tratta ancora una volta di situazioni di gravità assoluta che ricordano che in futuro sarà anche peggio e che dovrebbero portare ad una denuncia e mobilitazione univoca delle persone e delle organizzazioni che ancora credono che esista un mondo di diritto», continua l’attivista.

      «I nuovi tanto acclamati decreti si inseriscono così perfettamente in questo contesto: lasciate ogni speranza voi che entrate. Noi non ci stiamo! Chiediamo un’immediata mobilitazione perché vengano liberate queste persone trattenute illegittimamente ed in condizioni di trattamenti inumani e degradanti».

      Le ultime testimonianze raccolte provengono da gruppi di persone trattenute in Sicilia a Trapani e Caltanissetta.
      Testimonianze da Trapani

      Arrivati il 19 settembre a Lampedusa, i cittadini tunisini dopo circa 3 giorni sono stati trasferiti in quarantena in un Cas a Valderice a Trapani, chiamato “Villa Sant’Andrea”. Fin dallo sbarco non hanno ricevuto alcuna adeguata informativa. Sono stati letteralmente sbattuti in questo centro e obbligati, per l’emergenza sanitaria Covid-19, a restare in quarantena. Nessuna figura di mediazione, nessuna attenzione per far sì che questo periodo di isolamento, reso necessario di questi tempi, potesse esser compreso come qualcosa a tutela della propria e altrui salute.

      Alcuni fuggono dal centro ed immediatamente si scatena la protesta dei vicini che chiedono maggiori protezioni, con in prima linea il sindaco di Valderice che pretende maggiori controlli. Verranno quindi costruite sbarre e potenziata la sorveglianza.

      La popolazione ha paura ed un «CAS quarantena» non è gradito. Nessun tentativo di portare anche solo un messaggio di vicinanza positiva, di benvenuto. Insulti e rabbia accolgono le persone che arrivano. Ben inteso di questi tempi ognuno di noi (lo sa bene chi è stato o sta in quarantena) viene evitato e guardato come un untore, con pochissimi che si preoccupano della solitudine di chi si trova “internato” o di portare un minimo di conforto anche da lontano.

      La paura è fuori verso chi è imprigionato, e dentro chi è isolato non trova niente di buono, solo polizia, rabbia, insulti in stanze approntate alla bell’e meglio con materassi di gommapiuma per terra e le solite porzioni di cibo freddo ed immangiabile.

      La parola «accoglienza» è qualcosa di profondamente lontano e questo gruppo di tunisini è più “fortunato di altri” perché se non altro non sono costretti a rimanere nelle navi quarantena anche per oltre un mese.

      Il centro che li ospita in questa detenzione strutturata per la quarantena, e che in realtà diventa pre-rimpatrio, è gestito da Badia Grande, perché i re del business dell’accoglienza ovviamente ne hanno approfittato subito anche in questa situazione: tanto i servizi sono ridotti all’osso. Non ci sono nemmeno le coperte. Stanze e materassi buttati a terra. “Minimal reception” mentre c’è sempre un grande guadagno e intanto i diritti sono al ribasso, se non proprio in estinzione. Un lavoro facile facile: quarantena e via. Quarantena e via. Perché qui non ci sono persone. Sole ombre di cui non resteranno nemmeno i resti.

      Ci rimangono le storie come quella di G. che deve essere raccontata perché si sappia ciò che accade.

      Il 24 settembre la polizia entra nelle stanze per prendere un gruppo di uomini per portarli in un altro centro, scopriremmo poi che si tratta del Cpr di via Corelli a Milano. G. è disperato, non vuole essere rimpatriato e si butta dal secondo piano.

      Cade e si rompe entrambe le gambe. Viene condotto al pronto soccorso di Trapani dove farà l’intervento il 7 ottobre. Due giorni dopo è già di nuovo sul materasso di gommapiuma buttato a terra nel centro di Badia Grande. Ha dolore alle gambe e non sa a chi chiedere aiuto.

      Nei giorni di ospedalizzazione aveva detto “non voglio tornare in quel posto orribile! Fatemi restare in ospedale finchè non mi sento bene. Per camminare mi servono le stampelle, ma ora ho troppo dolore”.

      Eppure il medico del reparto in cui G. è rimasto per due settimane ha ritenuto di dimetterlo solo due giorni dopo l’intervento.

      G. è ancora in attesa di poter essere riconosciuto come persona. Persona. Non come richiedente protezione che è un salto troppo lungo, quando nemmeno le basi del diritto esistono più.

      Vorrebbe capire se ci sono diritti dove è arrivato, vorrebbe sapere quali sono le procedure e perché fin dall’inizio è stato trattato come un vestito vuoto. Vuole capire perché qui ha trovato solo restrizioni e dolore.

      Il 9 ottobre hanno rimpatriato 80 tunisini in un giorno.
      Testimonianze da Caltanissetta

      Erano sulla nave quarantena GNV di fronte a Trapani. L’8 ottobre, circa 200 persone sono state trasferite dentro il CARA di Caltanissetta, in un’area posta proprio a fianco del CPR, al momento inagibile.

      Giunti nel centro intorno all’una di notte hanno trovato ad accoglierli materassi per terra in uno spazio circondato da polizia e militari. In condizioni disumane per tutta la notte hanno provato a protestare senza ottenere che parole monche e rimandi.

      Il giorno successivo un unico operatore urlante insieme ad un mediatore ha spiegato a 200 persone, stanche e preoccupate di trovarsi in condizioni così degradanti, quali sono le procedure: se vogliono chiedere la protezione possono farlo e la domanda verrà valutata dalla Commissione in tempi rapidi: 5 gg. Chi non farà domanda verrà rimpatriato.

      Tra di loro vi sono persone vulnerabili con patologie croniche, come il diabete, e da quando sono stati posti in quarantena non hanno ricevuto i farmaci a loro indispensabili. Sulla nave hanno fatto il test per il Covid-19 risultando negativi, si aspettavano dunque di raggiungere un centro di accoglienza degno di questo nome: invece il duro asfalto e materassi in gommapiuma a terra. Le condizioni dei bagni sono ovviamente impressionanti. «Se entriamo ci prendiamo una malattia certamente», ci dicono.

      C’è grande preoccupazione inoltre per il virus. Alla fine del trasferimento gestito dalla Croce Rossa, si sono ritrovati tutti insieme i gruppi provenienti dai piani diversi della nave quarantena. Alcuni di loro ci dicono che al settimo piano avevano messo i positivi: «Qui invece siamo tutti insieme. Tra noi ci sono alcuni positivi. Se eravamo negativi ora ci infetteremo tutti». Altri ripetono: “Ci hanno detto che proprio perché ci sono i positivi meglio che ci rimpatriano presto così non ci infettiamo”.

      E’ il caos totale tra persone in lacrime e chi vorrebbe tentare il suicidio. In una situazione di continui trattenimenti e scarsa informativa dove "ci trattano come schiavi e peggio delle bestie. Può succedere qualsiasi cosa. Siamo tutti spaventati. Quanto manterremo l’equilibrio in questa situazione?”.

      Anche le informazioni relativamente a chi è infetto e chi non lo è derivano da una gestione vergognosamente approssimata, autorità e sottoposti che hanno mescolato persone senza spiegare nulla, come fossero chicchi di mais. Così aumenta la paura e il sospetto e si rischia la caccia all’untore in un gruppo di persone già fortemente provato. Nessuna di loro ha incontrato organizzazioni di tutela delle persone, tenute evidentemente alla larga o conniventi e silenti con quanto sta accadendo.

      https://www.meltingpot.org/Abbandonati-nei-CAS-quarantena-in-attesa-del-rimpatrio.html

      #Trapani #Caltanissetta

    • Italy Has Turned Cruise Liners Into Jails for Migrants

      With Italy’s tourist sector sunk by the pandemic, authorities are now hiring cruise ships as floating jails for refugees. The migrant prisons show capitalism’s ability to restructure in times of crisis — but also the potential resistance to it.

      How do you make a prison?

      We like to imagine things being built from scratch. Perhaps stone and mortar heaped up by little computer game figurines, or Lego building blocks piled high. Most of the time, we have a simple idea of how our world is constructed, falling back on the games we played as children. Maybe this was occasionally the case when colonizers built their outposts. Perhaps they, too, were children once. But today’s world is already too built up for such endeavors — too full of things. Capitalists prefer to use what they find lying around, rather than invest in start-ups.

      On the Mediterranean island of Sicily, the material at hand was the cruise ship — and the prison it has been converted into is the so-called quarantine ship, on which newly arriving immigrants are forcibly kept. These new prisons are the single piece of technology that most succinctly sums up the transformations underway in Italy’s COVID-19 capitalism. Doubtless, other islands and continents have their own landmarks strewn across the landscape of contagion, from the New York hotel rooms packed with the homeless, to the food warehouses of central Nigeria. (And to each monument, its resistance: the lawsuits being filed in US courts, or the looting of stockpiles by Nigerian protesters).

      The Sicilian case can, even so, be used to open up some wider questions about what’s going on in this surreal border moment in history, how capitalism is reacting, and what forms of resistance we are witnessing. For years, working-class Africans and Asians have hammered on the gates of Europe to readdress the balance in global inequalities. The articulate call for freedom that reverberates from the borders is not hard to hear: one need only block out the deafening silence of our current barbarism.

      So, what I will attempt to show, here, is that the resistance to the authoritarianism unleashed by the pandemic does have a side that can be supported by progressive forces — that is, without being dragged into the pitfalls of repudiating scientific evidence, casting aside our masks and our principles. It provides a way to hold onto the thought that perhaps, at the end of all this, our governments might build something other than prisons.
      From Cruise Ships To Floating Prisons

      One of the first media stories that lifted the pandemic beyond China’s borders (a long ten months ago) was the quarantining of the Diamond Princess. This British-owned cruise ship was quarantined at the port of Okinawa, Japan in early February, with almost four thousand passengers and crew on board. Over the following month, one-fifth of the passengers were infected and gradually flown off to their respective countries or disembarked at port (the crew were less fortunate and less mobile). There were fourteen deaths. This was followed by other mass outbreaks on cruise ships: the Rotterdam, the Zaandam, the Ruby Princess, and the Greg Mortimer — all luxury holiday vessels that helped spread the virus around the world. The last of these was probably responsible for half the cases in Australia.

      Alongside the many criticisms made of how the Japanese authorities blocked everyone on board, leading to unnecessary deaths, it quickly became clear that cruise holidays would be one of the first markets to be axed in the name of human survival. Or rather, that the perils were so clear that tourists would soon disappear — and the invisible hand of the market would do its work. The sector sank. The cruise companies had, recently, began to hoist hopes of a new start to their ventures — but the second wave dashed such vanities.

      Leaving aside the glee one may draw from the shipowners’ misfortune, cruise holidays also provide an extraordinary symbol of our contemporary crisis. They bring the generational divide — a far wealthier older generation with expendable capital — into collision with the hypermobile internationalism of contemporary capitalism. The same hypermobility, that is, which brought us just-in-time logistics operations, international art fairs, and (as the Marxist geographer David Harvey has rightly pointed out) the pandemic itself.

      The cruise holiday’s disappearance was marked by a “traumatic” event: holidaymakers being held in quarantine on the ships. Indeed, journalists focused on passengers’ complaints and the sight of the upper classes roughing it onboard, while paying much less attention to the thousands of crew members trapped in cramped conditions. And as the cruise companies went bust and photographs of the new ship graveyards circulated on the internet, replete with the watery tears of the World Economic Forum and Saudi princes, far fewer words have been given over to one of the more peculiar yet indicative ways in which the sector has been rerouted: the “quarantine ship.”

      The Italian government first landed on the idea of using ships to quarantine newly arrived migrants from Africa back in May, when the ferry liner Moby Zazà was sequestered for this purpose and docked near the island of Lampedusa with several hundred people trapped on board. Since then, two cruise companies — GNV and SNAV — have won public tenders to provide a small fleet of cruise ships employed to quarantine hundreds of people at a time. The companies are being paid around €100 per person, per day for this service: over €1 million a month per ship.

      Those on board — mostly from Tunisia, but also Bangladesh, Ethiopia, Libya, Syria, and across West Africa — have experienced widely varying living conditions in isolation. Some of the ships have doctors and lawyers on board. Less fortunate passengers have seen only guards, crew, and police dogs. Newly arriving migrants, having already passed through the hell and high water of the Libyan war and the Mediterranean Sea, are trapped on board for a month or more, in conditions that potentially favor rather than prevent contagion. Even more extraordinarily, several cases have been brought to light of asylum seekers being sent from centers on mainland Italy to the quarantine ships, whether as a prevention against contagion or simply to punish those who rebel.

      Perhaps we might more aptly baptize such vessels “temporary prison ships” or even “floating hot spots.” This last phrase is especially appropriate given that a few years ago the Italian government proposed that the so-called EU border “hot spot” centers (for the mass identification and detention of newly arriving immigrants, experimented on Italian and Greek islands) be set up on ships — naming them “floating hot spots,” no less. The idea was dumped by the EU for infringing on just one too many human rights. But in love, war, and pandemic, anything goes. Here’s a short transcription of a video made by a young Ghanaian man removed by the Red Cross from his refugee hostel in the middle of the night:

      Last Sunday they bring people, say that they want to test us for COVID-19 . . . they tell me, they said I have positive. They take me from Roma to Palermo . . . I was asking my camp people — who tell me I am positive — so tell me, where is my positive document? They couldn’t show me . . . So now everyone in Roma with coronavirus, they are going to collect them on the ship? They quarantine me in Palermo, now we are in the Bari seaport, right now. Since they brought me here, no medicine, I couldn’t see doctor with my face . . . Try your best, and post [this video] to everywhere, so that the Italian leaders can also play it, to hear it, to fight for we the immigrants.

      Luxury Containers

      The use of luxury structures as centers of confinement is familiar to recent immigrants in Italy — and indeed to anyone (of whatever politics) who has followed the development of the Italian asylum system. It is extremely common for asylum seekers to be housed in government-funded (but privately run) hostels in former hotels, whether in the mountains or on the beach. Again, we very often find that these buildings have a lackluster history of Mafia-ish building speculation, rickety funding programs, market failure, and, finally, reconversion into hostels for asylum seekers. Or, to be a little less diplomatic, temporary housing for poor blacks.

      Failed beach resorts and ski chalets were not the only businesses to be propped up: you also find a range of failed old people’s homes, failed foster homes, failed student halls, etc. Furthermore, over the years the hotel-turned-camp has become the unwitting symbol of the far-right’s smear campaign against the African working class. Labeled as feckless, lazy, and presumptuous, for years asylum seekers’ protests for basic amenities (Wi-Fi, decent food, medical attention) were reported under headlines such as “Migrants Refuse 5* Hotel” or “We Want WiFi! Hotel Not Good Enough For Migrants” and similar.

      This kind of conversion of large housing structures from holiday homes/vessels into prisons/sites of confinement — floating or otherwise — represents a moment in what we might call “capitalist restructuring,” in which fixed capital has to be put to new uses. Following the Italian recession of 2012, these hostels and other containers were filled with the proletariat castoff (in one way or another) by the concurrent Arab Spring. The “quarantine ships” provide another moment of such restructuring. This is representative of the kind of response we are seeing, and probably will continue to see, to the global recession of 2020: not cuts and austerity, but active investment and reconversion of industries, in spurts of booming and busting that follow the contractions and spasms of waves of contagion. So much for the ways of capital.

      The question hanging over all of this, however, is to what extent this new world of things can be reshaped toward greater freedom, and not less. Mothballed factories can often be reopened, so long as the appropriate use is found. Moments of restructuring are not maneuvered by divine forces, but by ideas and the capacity of human beings to act upon those ideas. In the quarantine ships, we find the enactment of a particular idea of containment and the reconversion of luxury capital to those ends. It privileges containment as prison, over containment as community.

      But what if the capital of luxury could be converted into a common luxury? What if the rusty wreckage of today could become the raw material of tomorrow’s visionary futures? The very idea around which these prisons are being formed is the kernel of revolutionary thought: isolation, exodus, the commune. For every Robinson Crusoe (isolated by accident), there is a Maroon community (isolated by choice!). There was and still is a choice about the direction that the current moment of restructuring takes.

      The fixed capital of old sectors now laid into the waste bin of history — luxury cruise ships, packed shopping malls, packed anything really — can be put to new uses of many kinds. What we have seen with the “quarantine ships” is the expression of an authoritarian tendency that has prevailed over a utopian one. The idea of isolation has been interpreted as a prison rather than a holiday, as Lord of the Flies rather than Never Never Land.

      Michel Foucault noted these two opposing tendencies some four decades ago when he wrote: “The exile of the leper and the arrest of the plague do not bring with them the same political dream. The first is that of a pure community, the second that of a disciplined society.” And what if — as the Zapatistas have suggested in their reaction to the pandemic — the disciplined society was not that of an authoritarian disciplining, but rather one in which we ourselves have taken responsibility? What if instead of trying to force people to stay in a place of violence, we could instead make a site of quarantine so full of care, of luxury, of fulfilled desires, that no one wanted to leave it?

      The type of society I am alluding to is one that we have mentioned already: the holiday resort. OK, perhaps not the holiday resort as such — not Princess Cruises or the Four Seasons. Maybe capitalism still hasn’t managed to provide us with a true holiday. But perhaps even this minute form of utopia, the utopia of not working, of minibars and sun loungers, of exotic locations and intimate company, contains a small, tarnished vision of freedom.
      Diving for Freedom

      Perhaps it seems fanciful, even in bad taste, to discuss the utopian potential of containment amid a pandemic. Even more so to ponder such possibilities for Europe’s most exploited and least free population, the recently arrived working-class Africans and Asians aboard these ships. But the drive for freedom is there — rearing its head despite all the odds.

      Migrants have broken out and evaded every prison designed to contain them. People have run away from quarantine centers on land, leading to manhunts for Arabs in the forests of Sicily’s mountain ranges. There have been mass breakouts at the militarized “hub” in Villa Sikania, where an Ethiopian man was killed by a speeding car as he ran from the gates. They have fought with the police on board the quarantine ships, they — “the Tunisian heroes” as a Moroccan comrade has dubbed them — have burnt their beds in the detention centers. They have swallowed razor blades to protest their watery imprisonment and impending deportation. Like the young Ghanaian man quoted above, they have reached out to leaders and formed alliances with activists.

      Some have even dived overboard to reach dry ground. At least one man on board the Moby Zazà, the very first quarantine ship, died in the effort — if we needed reminding that the flight from containment can be a fight to the death.

      This is not the first time that people rescued from the Mediterranean route have later drowned at sea, desperately trying to reach the shore or another ship. There can be few examples so horrendous of the fatality of freedom, of the sheer necessity of breaking away. But the tragedy and desperation of these deaths remove nothing from the impulse for freedom that they express. It is a recognition of what is at stake in this moment of capitalist restructuring.

      Calls for freedom during the pandemic — and movements against the restrictive measures imposed by governments — have been dominated by a very different tone. Every country (or at least the ones I am familiar with) has its own version of the movement against lockdowns, enforced mask-wearing, and so on. Is this the same impulse for freedom? Do such movements represent the same acknowledgment of capital’s new turn? Is resistance to the quarantine ships the same as resistance to bans on alcohol sales or mass consumption in shopping malls?

      I think not. Not so much for any of the “political” connotations of the no-mask movement in the United States (associated with Trumpism), nor because one urges a return to a bland consumerism while the other sheds light on the darker, carceral corners of European civilization. But rather, because they deal with very different levels of freedom, with different consequences for people’s lives.

      In a society characterized by an authoritarian turn, everyone moves down a step on the scale of human rights. Those who had all their rights recognized and guaranteed find themselves with a few small tears at the edges of their personal constitutional charter. Those who were further down the ladder perhaps find themselves less free, crammed into makeshift lodgings, forced to renege on aspects of their autonomy. Those who were already clasping to the bottom rung of the ladder, however, now find themselves cast into gray zones of legality, their every freedom arbitrarily removed without reason or rhyme. And it is in these gray zones that capital makes its earliest advances when it restructures. It begins here, and works its way up.

      Forget the mask-dodgers and their irrationality: the resistance we should be looking at is that of the fugitives from our new prisons.

      https://jacobinmag.com/2020/11/italy-migrants-cruise-lines-ships-prisons-coronavirus

    • Navi quarantena, due operatori umanitari raccontano “quel sistema sbagliato che sospende il diritto”

      Il racconto dall’interno dei ragazzi che erano a bordo insieme ad Abou, il ragazzo di 15 anni morto una volta sceso a terra. Senso di frustrazione, burn out e rabbia. “L’isolamento è impossibile. Una scelta solo mediatica, è ora di cambiare”

      Il primo forte senso di frustrazione è arrivato quando Abou,15 anni, non ce l’ha fatta. Il ragazzo è peggiorato in fretta, in pochi giorni, l’evacuazione medica non l’ha salvato. Sul caso è stata aperta un’inchiesta ma il dubbio che a incidere pesantemente su quella morte sia stato anche il “sistema delle navi quarantena” resta. E sapere di non aver fatto abbastanza, di non essersi opposti a una gestione sbagliata, tormenta le notti. E’ per questo che per la prima volta alcuni operatori che erano a bordo della nave Allegra hanno deciso di parlare con Redattore Sociale e raccontare cosa succede su questi spazi galleggianti, che il Governo italiano ha pensato come luoghi di isolamento temporaneo per i migranti. Abbiamo raccolto le loro testimonianze, i nomi che riportiamo sono di fantasia ( i ragazzi hanno chiesto di mantenere l’anonimato) ma ne abbiamo verificato le identità e il ruolo.
      Effetto burn out: “Dopo l’esperienza sulle navi quarantena ho avuto un crollo”

      “Dopo la morte di Abou non ho rinnovato la mia missione, dovevo stare un altro mese ma ho preferito scendere. Non volevo più lavorare, mi sono presa del tempo. Ora faccio altro” racconta Martina, che ha iniziato a fare l’operatrice umanitaria a 25 anni. “Ora ne ho 37 e per me è ancora una scelta di vita. E allora cosa ci facevo là sopra? Quale era il mio ruolo in un luogo come quello?”. Chi si occupa di cooperazione internazionale lo chiama il “dilemma umanitario”: curare è sempre un imperativo categorico, ma in certi contesti la presenza degli operatori umanitari rischia di avallare scelte improprie. Di contro, non esserci vuol dire lasciare le persone senza un supporto necessario. Eppure l’idea di essere complice di un sistema che sospende il diritto e calpesta, in nome di una emergenza sanitaria, la dignità di persone in fuga, a Martina ha fatto venire il primo attacco di panico della sua vita. Così ha lasciato la collaborazione con Croce Rossa, ha smesso di lavorare per qualche mese e ora presta servizio in un ospedale, nelle sale di rianimazione dove sono curati i pazienti con il Covid-19.

      “Quando sono salita sull’Allegra avevo già una titubanza iniziale, era l’ultimo posto in cui volevo stare - spiega -. Sarei voluta scendere il giorno stesso, ma mi sono detta: proviamo a vedere. Se scendiamo tutti lasciamo sole queste persone, se restiamo cerchiamo almeno di fare qualcosa dall’interno: proviamo a umanizzare questa situazione”. Ma col passare dei giorni Martina capisce che il sistema non funziona. “Era tutto agghiacciante: le energie venivano a mancare, l’impegno era h24, eppure per quelle persone, fatte salire lì senza sapere neanche perché, la condizione non cambiava. Quando poi è successo di Abou ho avuto un tracollo emotivo. Dopo uno scontro coi nostri responsabili è arrivato il momento del burn out e il primo attacco di panico”.

      La condizione stessa della nave non ha aiutato. “Non potevi isolarti, non potevi scendere, eri sempre lì a vivere in una condizione assurda con pochi medici e infermieri per tutte quelle persone - aggiunge. Da lì capisci che le navi non risolvono nulla, non garantiscono neanche una vera quarantena. Le persone rimangono insieme anche se in settori separati. Spesso chi si negativizza si trova a stare con chi è positivo e l’isolamento diventa infinito”. Le persone salvate insieme ad Abou dalla Open Arms il 10 settembre scorso erano state fatte salire direttamente sulla nave Allegra. Il 29 settembre le condizioni del ragazzo sono talmente gravi da richiedere un’evacuazione medica, morirà in ospedale qualche giorno dopo.

      “Dopo la morte di Abou mi aspettavo che cambiasse qualcosa, che ci fosse una sollevazione, bisognava parlare, denunciare, e invece nulla - conclude-. La sua morte è stata strumentalizzata da tutti: il povero ragazzo migrante che non ce l’ha fatta. No, era un ragazzo che stava dove non doveva stare, non è stato trattato come una persona. Meritava un’assistenza diversa”.
      Dov’è l’indipendenza dell’aiuto umanitario?

      Anche Marco è stato per 45 giorni sulla nave quarantena Allegra. Anche Marco era a bordo insieme ad Abou. Anche Marco oggi vive la stessa frustrazione. “L’impotenza che si sente di fronte a questa situazione è altissima. Soffrivamo noi a stare in mare, potendo muoverci e sapendo di avere una data di fine operazione, figuriamoci i migranti, portati lì senza che sapessero il motivo - spiega -. Le necessità di base venivano assicurate, il cibo, l’acqua, le mascherine. Ma l’assistenza non è solo questo. Ho sempre pensato che fosse tutto un grande teatro, una messa in scena: si potevano isolare meglio le persone a terra, assicurandogli anche assistenza. E invece no, dovevano stare in mezzo al mare. E’ un isolamento mediatico, teatrale”.

      Marco ricorda il via vai di persone di ogni età, dalle famiglie con bambini (anche di pochi mesi) ai minori che viaggiano soli, non accompagnati. “Ci sono state diverse proteste delle associazioni di tutela ma i minori continuano a restare a bordo, è un problema non risolto - aggiunge -. Di prassi i non accompagnati dovrebbero entrare in un circuito di accoglienza e tutela diverso. Invece salgono sulle navi senza aver mai parlato con un tutore o un garante. Alla fine, anche se dormono in stanze separate, si ritrovano in una situazione di promiscuità con gli adulti”. Ma è il sistema nave quarantena a creare questa situazione: “E’ difficile anche accompagnare le persone con bisogni particolari, come le vittime di tratta e chi ha subito abusi e torture. Il personale a bordo spesso non è preparato. L’ambito volontaristico è virtuoso, le persone danno il massimo a bordo ma in certi casi non basta - afferma -. Non è una nave ospedale, e così anche l’assistenza sanitaria non è quella che si può avere a terra. Quando è arrivato il gruppo della Open Arms abbiamo fatto i tamponi a bordo e separato le persone nel migliore dei modi. Ma non bastava ovviamente: capitava che le persone si muovessero negli spazi comuni, il contagio era sempre possibile”.

      L’operatore ha assistito anche all’arrivo in piena notte dei pullman con gli ospiti dei centri di accoglienza, mandati a fare l’isolamento sulle navi. “Scene davvero pietose: vedevamo queste famiglie che aspettavano sulla banchina alle due di notte, mamme con bambini, persone stremate - ricorda -. Non gli avevano spiegato nulla, abbiamo fatto noi l’informativa. Tutti temevano di salire sulla nave per essere rimpatriati, una cosa assurda”.

      Dopo le proteste delle organizzazioni, le denunce di Arci e Asgi e l’interrogazione parlamentare di Erasmo Palazzotto, il trasferimento dai centri è stato interrotto. Ma le anomalie non si sono fermate. Marco racconta, per esempio, della lista dei tamponi da fare con priorità alle persone che dovevano essere rimpatriate. E si chiede: “Dov’è l’indipendenza di un operatore umanitario in questo caso? Noi dovremmo essere autonomi, indipendenti, non siamo questurini, dobbiamo curare tutti: dal peggiore dei migranti al più virtuoso. Il nostro obiettivo è la cura delle persone, trattiamo tutti allo stesso modo. E allora, noi nemmeno lo dovremmo sapere chi abbiamo davanti. Dobbiamo assicurare a tutti il trattamento migliore”.

      Così non è stato e ora anche lui ha questo grande rimorso di essere stato parte di un sistema dove il diritto è sospeso e le ragioni politiche contano più di quelle sanitarie. “Oggi la mia denuncia la faccio non solo come operatore umanitario ma come cittadino italiano, vorrei che chi opera nel settore aprisse un dibattito serio sul sistema delle navi quarantena, un modello che non funziona e che va cambiato”.

      https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/navi_quarantena_due_operatori_umanitari_raccontano_quel_sistema_sba

    • Navi e #bus, la «quarantena» dei migranti

      La navi da quarantena per i migranti sono state istituite dal governo lo scorso aprile, per far fronte all’emergenza sanitaria legata al coronavirus. Sono navi private, per passeggeri, adibite all’assistenza e alla sorveglianza sanitaria. Da subito la misura ha suscitato perplessità.

      La navi da quarantena per i migranti sono state istituite dal governo lo scorso aprile, per far fronte all’emergenza sanitaria legata al coronavirus. Sono navi private, per passeggeri, adibite all’assistenza e alla sorveglianza sanitaria dei migranti soccorsi in mare o giunti in Italia con barche autonome, prima dello sbarco in un porto sicuro. La decisione è legata all’impossibilità di indicare un “place of safety” in Italia per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, per i casi di soccorso effettuati da parte di navi battenti bandiera straniera al di fuori dell’area Sar italiana.

      Da subito la misura ha suscitato perplessità. A partire dal Garante delle persone privati della libertà, Maura Palma, che, nei giorni immediatamente successevi alla decisione del governo, ha chiesto che non si creino zone di “limbo giuridico”, ribadendo la necessità che ogni persona sia messa nelle condizioni di esercitare i diritti fondamentali ed essere tutelata se vulnerabile, come le vittime di tratta. Duro anche il giudizio delle associazioni.

      La morte di Abou Dakite, quindicenne originario della Costa d’Avorio, dopo lo sbarco d’urgenza dalla nave quarantena “Allegra”, a Palermo, ha tragicamente riportato alla ribalta del dibattito mediatico la questione della presenza di minori sulle navi. Lo sbarco immediato e il collocamento in strutture idonee, in applicazione della legge Zampa, è stato chiesto dal Garante infanzia di Palermo e dai 200 tutori del distretto di Palermo, Agrigento e Trapani, mentre alcune associazioni hanno depositato esposti alle Procure presso i Tribunali per i Minorenni di Palermo e Catania.

      A centro di una interrogazione parlamentare il caso di alcuni trasferimenti dai centri di accoglienza alle navi quarantena di richiedenti asilo positivi al coronavirus. La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha risposto in un question time alla Camera, facendo sapere che ci sono ora altre 25 strutture a terra, con una ricettività totale di 2700 posti per migranti

      Più in generale la condizione dell’accoglienza dei migranti ai tempi del Covid è analizzata in un rapporto della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (Cild), in cui si fa il punto su quanto avvenuto nei luoghi di transito o di privazione della libertà e si analizzata la situazione verificatasi da febbraio a fine giugno nei Centri di permanenza per il rimpatrio, negli hotspot e nelle navi quarantena.

      Inoltre, nei mesi di lockdown il Tavolo Asilo e il Tavolo immigrazione e salute hanno realizzato un monitoraggio in 200 strutture di accoglienza che evidenza come, in mancanza di linee guida nazionali, solo il buonsenso abbia evitato l’esplosione di focolai. Ora le organizzazioni chiedono indicazioni precise per non trovarsi di nuovo impreparate. In particolare si chiede l’istituzione di strutture ponte, per l’isolamento fiduciario dei migranti.

      Il caso #Udine

      Tra le soluzioni improvvisate c’è quella dei #bus_quarantena a Udine: le persone in arrivo dalla rotta balcanica sono state portate su alcuni pullman posteggiati davanti al #parco_Sant’Osvaldo. Il prefetto di Udine parla di una scelta obbligata per la difficoltà di reperire sul territorio posti per l’accoglienza e per l’isolamento fiduciario dei migranti. Dopo la protesta delle associazioni e dell’Unhcr i migranti sono stati fatti scendere e portati in apposite strutture di accoglienza.

      https://www.redattoresociale.it/article/focus/navi-bus-la-quarantena-migranti

    • Migranti. Bus quarantena a Udine, “condizioni deprecabili, a bordo anche minori”

      Dopo giorni di polemiche e proteste continua la pratica dell’utilizzo dei pullman per l’isolamento fiduciario dei migranti, in attesa dello screening. Un consigliere comunale in visita: “Un pullman non può diventare un centro di prima accoglienza, è inaccettabile”

      Qualcuno ha sistemato a terra dei cartoni e delle lenzuola per passarci la notte. Il caldo è insopportabile e dentro al bus non si riesce a stare. Così c’è chi preferisce accamparsi sotto gli alberi del giardino di Sant’Osvaldo. Dopo giorni di polemiche e proteste a Udine continua la pratica dei “bus quarantena”: qui, da due settimane, vengono portate le persone che arrivano in città per i controlli anti Covid19, come se si trattasse di un centro di prima accoglienza. In realtà, è un normale autobus, davanti al quale sono stati montati tre bagni chimici. Per lavarsi i migranti possono utilizzare una pompa dell’acqua. “Le condizioni sono deprecabili sia dal punto di vista umano che sanitario, da quello che ci raccontano alcuni dormono sul pullman altri a terra. E’ una situazione vergognosa”, spiega Federico Pirone, consigliere di opposizione a Udine. Pirone per due volte ha fatto visita al bus quarantena: la prima due settimane fa, l’ultima ieri. “Su trenta persone circa, una sola era a lì da dieci giorni, gli altri ruotano, alcuni restano quattro o cinque giorni. Arrivano qui, fanno lo screening e poi vengono trasferiti - spiega -. Mentre eravamo sul posto è arrivata una nuova corriera con a bordo persone, che si sarebbero trasferite sul bus quarantena. Tra loro c’erano anche tre ragazzi, minori non accompagnati”. Secondo il consigliere è necessario “essere in grado di dare una risposta europea a questo fenomeno: per ragioni umanitarie questa situazione deve cessare, bisogna rimettere al centro il rispetto delle persone - aggiunge -. Un bus non può diventare un centro di prima accoglienza, non è accettabile, ci sono strumenti di legge che consentono di operare in maniera diversa. E vanno applicati”.

      I bus per l’isolamento fiduciario sono stati posteggiati davanti al parco Sant’Osvaldo il 5 settembre scorso. Il prefetto di Udine parla di una scelta obbligata per la difficoltà di reperire sul territorio posti per l’accoglienza e per l’isolamento fiduciario dei migranti. In una lettera inviata il 14 settembre 2020 al Prefetto di Udine e al Capo del Dipartimento della Protezione Civile, le associazioni ActionAid, Asgi, Intersos e numerose sigle del territorio hanno ricordato che con il Decreto Cura Italia, in vigore dal 17 marzo 2020, i Prefetti hanno acquisito poteri straordinari al fine di assicurare la possibilità di ospitare persone in isolamento fiduciario nel caso in cui queste non potessero farlo presso il proprio domicilio. Nel testo è specificato che il Prefetto può requisire “strutture alberghiere, ovvero di altri immobili aventi analoghe caratteristiche di idoneità, per ospitarvi le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare, laddove tali misure non possano essere attuate presso il domicilio della persona”. Per ora però le organizzazioni non hanno ricevuto risposta. La prossima settimana dovrebbe esserci un incontro anche con i responsabili del ministero dell’Interno.

      Intanto anche l’Unhcr sta seguendo con attenzione la situazione. “Ci auguriamo che venga al più presto trovata una soluzione adeguata per la quarantena. Siamo al corrente delle difficoltà, tuttavia quella attuale non consente di ospitare le persone in quarantena secondo standard accettabili- sottolinea Carlotta Sami portavoce di Unhcr -. Sappiamo che il territorio in questo momento è sotto pressione per l’aumento degli arrivi dai Balcani e che ci sono problemi a trovare posti in accoglienza, ma è necessario individuare strutture adeguate per far fare l’isolamento fiduciario ai migranti in ambienti idonei”. Cesare Fermi, responsabile Unità Migrazione di Intersos ricorda che “non esistono motivazioni di sicurezza o di ordine pubblico o di problematica logistica che possano giustificare in nessun modo una misura come quella di far pernottare degli esseri umani all’interno di un pullman in uno spazio aperto. Siamo assolutamente sconcertati dalle soluzioni che ultimamente in Italia si stanno cercando, dalle navi ai pullman".

      https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/bus_quarantena_a_udine_condizioni_deprecabili_a_bordo_anche_minori_

    • Les bateaux quarantaine, ou comment l’Italie enferme en haute mer

      On publie ici une réflexion sur une nouvelle forme de retention administrative qui est apparue et s’est développée depuis un an aux frontières méridionales de l’Europe, et en Italie notamment. Avec l’excuse de la pandémie, les Etats européens n’arretent pas de tester des nouvelles formes de controle des frontières, d’enfermement et d’expulsion. Mais ceux et celles qui les subissent y résistent tous les jours, meme lorsqu’iels sont enfermé.e.s dans des « CRA flottants ». A nous de soutenir leurs luttes.
      Depuis bientôt un an, un nouvel dispositif d’enfermement pour personnes étrangères existe au large des côtes d’Italie – et pas que. Les bateaux quarantaine, ferries de croisière désaffectés en raison de la pandémie et réaffectés à la quarantaine des migrant.e.s, rendent la guerre menée par l’Etat italien contre ceux et celles qui passent les frontières encore plus efficace et chirurgicale. Si en théorie ces bateaux servent à « assurer la santé » de ceux et celles qui y sont enfermé.es, ils se sont transformés en véritables centres de tri et d’expulsion.
      État d’ugence et bateaux quarantaine
      Tout commence en avril 2020, lorsque la pandémie du coronavirus explose partout et que les frontières des états européens ferment. Le 7 avril 2020, on déclare que les ports italiens ne sont pas ‘place of safety’, c’est-à-dire des endroits sûrs où faire débarquer les personnes qui viennent de la Méditerranée (1). Par conséquent, le 12 avril, l’Etat décide de louer des bateaux de croisière à des compagnies privées. L’appel d’offre est signé par la Protection civile italienne, et souscrit par le Ministère de l’Intérieur et celui des transports. À bord des ferries travaille le personnel de la Croix Rouge. Au début, ces bateaux sont conçus pour la contention des personnes sauvées en mer par les ONG – mais par pour celles et ceux qui débarquent de façon autonome sur les côtes italiennes. Le fonctionnement est apparemment simple : tout le monde est soumis à un test, celles et ceux qui sont négatif.ives sont mis.es en quarantaine pendant 15 jours, au bout desquels ils.elles sont libéré.es. Les autres restent à bord jusqu’à ce que leur test soit négatif. Évidemment dans les espaces fermés d’un bateau il est très difficile de contrôler la diffusion de la maladie, ce qui mène à enchainer des quarantaines qui ne se terminent jamais. Au départ on compte deux ferries, mais très rapidement, à la fin de l’été cinq bateaux mouillent au large des côtes italiennes. Ironie du sort : un des premiers bateaux loué à cette fin, le ‘Raffaele Rubattino’ de la Compagnie de Navigation Italienne, porte le nom de l’amiral qui acheta la baie d’Assab en 1870 au nom du royaume d’Italie, débutant l’aventure coloniale italienne en Afrique orientale qui sera ensuite poursuivie par le régime fasciste.

      Au fil du temps, la situation sur la terre ferme s’empire et il n’y a littéralement plus de place pour enfermer dans les centres d’accueil, les centres de rétention et dans les hotspot (2), à cause également de la fermeture des frontières. On commence alors à transférer sur les bateaux les personnes qui se trouvent déjà sur le sol italien. Les bateaux quarantaine deviennent des véritables hotspot flottants : les personnes y sont amenées sans recevoir aucun type d’information juridique sur leur situation – à bord il n’y a que le personnel de la Croix Rouge qui ne fournit pas de suivi juridique -, souvent on leur fait signer des papiers sans traduction et une fois qu’elles descendent elles sont amenées directement dans les CPR (3). Au cours de l’été, il arrive même que des migrant.es en voie de régularisation mais testé.es positif.ves au coronavirus soient amené.es sur un bateau, et qu’à cause de l’isolement et du manque d’information, ils et elles soient exclu.es du parcours d’accueil (4). Cette situation provoque l’indignation des associations humanitaires qui se décident enfin à prendre la parole et à dénoncer ce qui se passe dans ces lieux d’enfermement.

      Entre temps, le tri et les expulsions continuent : en particulier, les personnes tunisiennes passent souvent du bateau à l’avion, ou sont même expulsées par bateau (5). Ceci est permis par les accords entre la Tunisie et l’Italie – signés entre autres par la même ministre de l’intérieur italienne qui est une des signataires de l’appel d’offre pour la location des ferries de quarantaine. Ces traités autorisent le rapatriement forcé des citoyen.es tunisien.nes arrivé.es en Italie, ainsi que l’enterrement des déchets italiens en sol tunisien, en échange d’importantes sommes d’argent (6). Ordures et êtres humains : ce que l’Etat italien pense des personnes tunisiennes qui arrivent par mer est assez évident. En septembre, à la fin d’un été qui a vu reprendre la circulation touristique et les expulsions depuis l’Europe vers de nombreux pays d’Afrique et du Moyen Orient, un deuxième appel d’offre est lancé par la Protection civile (7). Cette fois une seule compagnie remporte l’appel d’offre, l’entreprise GNV (Grandi Navi Veloci), tandis que la Croix Rouge reste prestataire de service à bord des bateaux. Depuis, on compte 9 bateaux quarantaine à bord des côtes de la Sicile, de la Calabre et des Pouilles, où l’on continue d’enfermer, trier et expulser les migrant.es.
      Lutte et résistance sur les bateaux
      Ce qui est intéressant à remarquer, c’est le lien qui existe entre ce qui se passe sur les bateaux et ce qui se passe dans le hotspot de Lampedusa, d’où viennent la plupart des personnes enfermées en mer pendant l’été. Le 11 août une manifestation coordonnée a lieu dans le centre de l’île et sur le bateau Azzurra de GNV, pour dénoncer les conditions inhumaines de détention. Quelques semaines après, ce sera à cause des menaces du maire de Lampedusa, qui annonce une grève générale sur l’île, que le gouvernement décide de louer un nouveau ferry destiné à la quarantaine des personnes migrantes (8).

      Par ailleurs, la manifestation du 11 août n’est pas un acte isolé : des résistances collectives et individuelles existent depuis la création des bateaux quarantaine. Les moyens de révolte sont divers, comme c’est le cas dans les centres de rétention : automutilation, grève de la faim, incendie, et aussi quelques belles tentatives d’évasion. Le 21 novembre dernier, alors que le bateau accoste au port pour se réapprovisionner, un groupe des personnes arrive à s’évader du ferry Rhapsody de la GNV, profitant d’une échelle en bois et de l’absence de la police (9). La dernière manifestation remonte au 15 mars dernier, lorsqu’un groupe de personnes tunisiennes enfermées sur un bateau de la GNV bloque un des ponts du ferry et fait circuler une vidéo qui montre les conditions d’enfermement (10).

      La répression est aussi violente dans ces lieux, même si la police n’est pas présente à bord. Souvent par contre elle est présente au moment où le bateau accoste pour ‘gérer’ le débarquement des personnes enfermées. Il n’y a plus seulement les centres d’accueil et les hotspot qui sont militarisés, surveillés H24 par des militaires, face à la rage montante de celles et ceux qui y sont enfermé.es sans soin et sans information. En septembre, lorsque plusieurs centaines de migrant.es sont censé.es débarquer au port de Bari à la fin de leur quarantaine, suite au test positif d’une personne, on empêche à tout le monde de descendre. Les gens, à bout après plusieurs semaines sans aucun soin réel, s’enragent et essaient de débarquer. Ils et elles sont chargé.es par la police qui rentre jusque sur les ponts pour matraquer ceux et celles qui veulent descendre (11). Depuis leur mise en place, les bateaux quarantaine ont déjà tué trois personnes : au mois de mai, une personne tunisienne se suicide en se jetant depuis le pont du bateau Moby Zaza ; en septembre Abdallah, un mineur migrant, meurt à l’hôpital de Palerme de tuberculose, suite au manque de soins à bord du bateau où il était enfermé, tandis que quelques semaines plus tard, en octobre, Abou, âgé de 15 ans, meurt au bout de 15 jours de quarantaine à bord du bateau Allegra, à cause du manque de soins (12). Encore une fois, les frontières et les Etats tuent, quel que soit le dispositif qu’ils décident d’employer.
      La détention administrative “off-shore”
      Il faut dire que cette idée ne vient pas de nulle part, mais qu’elle a des précédents dans l’histoire d’Italie et plus en général de l’Europe et du monde. La détention administrative offshore est de fait pratiquée en Australie, où existent des véritables île-prison pour les immigré.es (13). En Italie, en 2016, le ministre de droite Alfano propose de construire des centres de détention offshore, mais l’Union Européenne déclare que cette proposition viole les droits humains (14). Il aura fallu une autre ministre seulement quatre ans après pour convaincre l’Europe de cette bonne idée et pour le faire réellement… D’ailleurs, on ne peut pas dire que des formes de détention administrative offshore ‘informelle’ n’étaient pas déjà pratiquées avant dans la Méditerranée. Il suffit de penser au blocus des ports pour les ONG en 2019, qui a mené des centaines de personnes à passer des semaines enfermées sur des bateaux au large des côtes italiennes. Ou encore à la répression de la piraterie somalienne par les empires européens, qui a permis d’expérimenter et ensuite de transformer en lois un arsenal répressif permettant la détention offshore. Entre 2009 et 2011, plusieurs pirates arrêtés par les armées italienne, française et anglaise coordonnées au sein de l’opération européenne Atalanta ont été détenus pour de longues périodes sur des bateaux militaires, dans l’attente de décider dans quel tribunal ils allaient être jugés. Suite à cette guerre à la piraterie, la France passe une loi en 2011 qui crée un « un régime sui generis pour la rétention à bord » des pirates sur le modèle de la détention administrative, et qui autorise la privation de liberté sur les avions, bateaux etc., qui deviennent ainsi des zones de non-droit (15).

      De lieux d’isolement sanitaire à prisons flottantes, les bateaux quarantaine permettent à l’Etat italien, et par conséquence à l’Europe, d’externaliser encore plus ses frontières, et d’affiner la machine à expulser. Ce n’est pas un hasard s’ils ont été mis en place en Italie, et plus précisément dans le sud de l’Italie, à Lampedusa, et que quelques mois plus tard deux bateaux quarantaine ont fait leur apparition à Malte et à Lesbos (16) : des lieux périphériques, aux frontières de l’Europe, des endroits clés pour le contrôle des mobilités. Comme les camps en Libye, ces ferries relèvent d’une gestion néocoloniale des migrations et des frontières. Parallèlement à la mise en place de ce dispositif, l’agence européenne Frontex a annoncé qu’à partir de janvier 2021 la mer Méditerranée sera surveillée par des drones… achetés à Israël, un état envahisseur et colonisateur.

      Encore une fois, ceux qui font de l’argent sur les corps de prisonnier.es sont les entreprises privées, et la Croix Rouge, professionnels de l’enfermement des migrant.es. C’est vers eux que va toute notre haine. En Italie comme partout, le seul intérêt de l’Etat est de mieux contrôler et enfermer. Les résistances des prisonnier.es, sur les bateaux quarantaine comme dans les CRA, nous montrent la seule voie face à la machine des expulsions : la détruire.

      (1) https://www.avvenire.it/attualita/pagine/italia-porto-non-sicuro-approdo-migranti
      (2) Les hotspot sont des lieux d’enfermement servant à identifier, enregistrer et prendre les empreintes digitales des migrants arrivant.
      (3) CPR, centres de permanence pour le rapatriement, équivalent italien des CRA.
      (4) https://www.imgpress.it/attualita/illegali-e-discriminatori-i-trasferimenti-coercitivi-sulle-navi-quarantena-
      https://www.tvsvizzera.it/tvs/migrazione-e-covid_navi-quarantena-anche-per-gli-immigrati-residenti-in-italia/46137554
      (5) https://ilmanifesto.it/navi-quarantena-per-i-tunisini-sono-lanticamera-dei-rimpatri
      (6) https://www.nigrizia.it/notizia/italia-tunisia-e-quellaccordo-fantasma
      (7)https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/09/10/migranti-nuovo-bando-navi-quarantenaanche-per-arrivi-terra_65a0eb84-10cc-43e5-8
      (8)https://www.corriere.it/cronache/20_agosto_30/migranti-lampedusa-viminale-annuncia-trasferimenti-imminenti-altre-3-navi-q
      (9) https://www.secoloditalia.it/2020/11/porto-empedocle-migranti-fuggono-dalla-scaletta-della-nave-quarantena-
      (10) https://www.facebook.com/107635584259867/videos/1413214879039905
      (11)https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1253758/bari-rivolta-sulla-nave-di-migranti-oltre-50-positivi-a-bor
      (12)https://ilmanifesto.it/navi-quarantena-i-minori-che-hanno-perso-la-vita-sono-due
      (13)https://www.infomigrants.net/en/post/25711/eu-trying-to-replicate-australia-s-offshore-detention-centers-refugee-
      (14)https://www.repubblica.it/politica/2016/05/18/news/sicurezza_alfano_nel_2015_il_minor_numero_di_reati_rispetto_all_ultimo_de
      (15)https://www.senat.fr/rap/r11-499/r11-499_mono.html
      (16) http://www.vita.it/it/article/2020/05/22/malta-e-italia-quei-migranti-nelle-navi-quarantena-tenuti-lontani-da-n/155580

      https://abaslescra.noblogs.org/les-bateaux-quarantaine-ou-comment-litalie-enferme-en-haute-mer

  • Le retour du masque de plongée Decathlon
    https://www.cnrs.fr/fr/cnrsinfo/en-17-jours-un-consortium-adapte-un-masque-de-plongee-pour-lutter-contre-le-cor

    Entre San Francisco, le Finistère et Paris, si l’idée prend immédiatement, c’est aussi parce que les initiateurs du projet se connaissent depuis longtemps. « Nous travaillions il y a encore quelques semaines sur notre projet commun, Plankton Planet, qui s’inscrit dans la continuité de l’expédition Tara Oceans », souligne Colomban de Vargas, directeur d’Unité au CNRS et océanographe à la Station biologique de Roscoff. « L’idée de ce projet est de développer une océanographie frugale à l’aide de petits instruments scientifiques robustes et bon-marchés pour mesurer la vie dans les eaux des océans planétaires en mobilisant les citoyens des mers. Finalement, en adaptant un masque de plongée, nous sommes restés dans notre domaine. »

    #covid19 #pénurie_de_masques #Storytelling

  • Cities must act

    40,000 people are currently trapped on the Aegean islands, forced to live in overcrowded camps with limited medical services and inadequate sanitation.

    #Glasgow, sign this petition from @ActMust
    @ScotlandMustAct
    demanding relocation from the islands.

    https://twitter.com/scotrefcouncil/status/1253348493332267009

    #Ecosse #UK #villes-refuge #Glasgow #migrations #asile #réfugiés #Grèce #relocalisation #pétition

    –---

    Ajouté à la métaliste sur les villes-refuge :
    https://seenthis.net/messages/759145

    ping @isskein @karine4

    • #CitiesMustAct (qui fait partie de la #campagne #EuropeMustAct)

      #CitiesMustAct is a bold new campaign asking the citizens, councils and mayors of European towns and cities to pledge their support for the immediate relocation of asylum seekers on the Greek islands.

      In our previous campaigns we pushed for change on the EU level. From our interaction with EU leaders we have learned that they are hesitant or even unable to act because they believe that there is no broad support for helping refugees among European citizens. Let’s prove them wrong!

      On the 30th of March, the Mayor and citizens of Berlin pledged to take in 1,500 refugees. Now we are asking cities and towns across Europe to join Berlin in offering sanctuary to refugees in overcrowded camps on the Greek mainland and islands.

      As COVID-19 threatens a health crisis in densely overcrowded camps, we must act now to relieve pressure on these horrendous camps.

      Whilst cities may not have the legislative power to directly relocate refugees themselves, #CitiesMustAct will send a powerful message of citizen solidarity that governments and the EU can’t ignore!

      Join us in spreading the #CitiesMustAct campaign across Europe - join us today!


      http://www.europemustact.org/citiesmustact

    • Cities lobby EU to offer shelter to migrant children from Greece

      #Amsterdam, #Barcelona and #Leipzig among cities calling for action to ease humanitarian crisis

      Ten European cities have pledged shelter to unaccompanied migrant children living in desperate conditions on Greek island camps or near the Turkish border.

      Amsterdam, Barcelona and Leipzig are among the cities that have written to European Union leaders, saying they are ready to offer a home to vulnerable children to ease what they call a rapidly worsening humanitarian crisis in Greece.

      “We can provide these children with what they now so urgently need: to get out of there, to have a home, to be safe, to have access to medical care and to be looked after by dedicated people,” the letter states.

      But the cities can only make good on their pledge if national governments agree. Seven of the 10 local government signatories to the letter are in countries that have not volunteered to take in children under a relocation effort launched by the European commission in March.

      #Rutger_Groot_Wassink, Amsterdam’s deputy mayor for social affairs, said it was disappointing the Dutch government had declined to join the EU relocation scheme. He believes Dutch cities could house 500 children, with “30-35, maybe 40 children” being brought to Amsterdam.

      “It’s not that we can send a plane in and pick them up, because you need the permission of the national government. But we feel we are putting pressure on our national government, which has been reluctant to move on this issue,” he said.

      The Dutch government – a four-party liberal-centre-right coalition – has so far declined to join the EU relocation effort, despite requests by Groot Wassink, who is a member of the Green party.

      “It might have something to do with the political situation in the Netherlands, where there is a huge debate on refugees and migrants and the national government doesn’t want to be seen as refugee-friendly. From the perspective of some of the parties they feel that they do enough. They say they are helping Greece and of course there is help for Greece.”

      If the Dutch government lifted its opposition, Groot Wassink said transfers could happen fairly quickly, despite coronavirus restrictions. “If there is a will it can be done even pretty soon,” he said.

      Ten EU countries – Belgium, Bulgaria, France, Croatia, Finland, Germany, Ireland, Portugal, Luxembourg and Lithuania – have pledged to take in at least 1,600 lone children from the Greek islands, just under a third of the 5,500 unaccompanied minors estimated to be in Greece.

      So far, only a small number have been relocated: 12 to Luxembourg and 47 to Germany.

      The municipal intervention chimes with comments from the German Social Democrat MEP Brigit Sippel, who said earlier this month that she knew of “cities and German Länder who are ready … tomorrow, to do more”. The MEP said Germany’s federal government was moving too slowly and described the initial transfer of 47 children as “ridiculous”.

      Amsterdam, with Utrecht, organised the initiative through the Eurocities network, which brings together more than 140 of the continent’s largest municipalities, including 20 UK cities. The UK’s home secretary, Priti Patel, has refused calls to take in lone children from the Greek islands.

      Groot Wassink said solidarity went beyond the EU’s borders. He said: “You [the UK] are still part of Europe.”

      https://www.theguardian.com/world/2020/apr/24/cities-lobby-eu-to-offer-shelter-to-migrant-children-from-greece
      #Barcelone #îles #vulnérabilité #enfants #MNA #mineurs_non_accompagnés

    • Migrants and mayors are the unsung heroes of COVID-19. Here’s why

      - Some of the most pragmatic responses to COVID-19 have come from mayors and governors.
      - The skills and resourcefulness of refugees and migrants are also helping in the fight against the virus.
      - It’s time for international leaders to start following suit.

      In every crisis it is the poor, sick, disabled, homeless and displaced who suffer the most. The COVID-19 pandemic is no exception. Migrants and refugees, people who shed one life in search for another, are among the most at risk. This is because they are often confined to sub-standard and overcrowded homes, have limited access to information or services, lack the financial reserves to ride out isolation and face the burden of social stigma.

      Emergencies often bring out the best and the worst in societies. Some of the most enlightened responses are coming from the world’s governors and mayors. Local leaders and community groups from cities as diverse as #Atlanta, #Mogadishu (https://twitter.com/cantoobo/status/1245051780787994624?s=12) and #Sao_Paulo (https://www.docdroid.net/kSmLieL/covid19-pmsao-paulo-city-april01-pdf) are setting-up dedicated websites for migrants, emergency care and food distribution facilities, and even portable hand-washing stations for refugees and internally displaced people. Their actions stand in glaring contrast to national decision-makers, some of whom are looking for scapegoats.

      Mayors and city officials are also leading the charge when it comes to recovery. Global cities from #Bogotá (https://www.eltiempo.com/bogota/migrantes-en-epoca-de-coronavirus-en-bogota-se-avecina-una-crisis-478062) to #Barcelona (https://reliefweb.int/report/spain/barcelonas-show-solidarity-time-covid-19) are introducing measures to mitigate the devastating economic damages wrought by the lockdown. Some of them are neutralizing predatory landlords by placing moratoriums on rent hikes and evictions. Others are distributing food through schools and to people’s doorsteps as well as providing cash assistance to all residents, regardless of their immigration status.

      Cities were already in a tight spot before COVID-19. Many were facing serious deficits and tight budgets, and were routinely asked to do ‘more with less’. With lockdowns extended in many parts of the world, municipalities will need rapid financial support. This is especially true for lower-income cities in Africa, South Asia and Latin America where migrants, refugees and other vulnerable groups risk severe hunger and even starvation. They also risk being targeted if they try and flee. International aid donors will need to find ways to direct resources to cities and allow them sizeable discretion in how those funds are used.

      Philanthropic groups and city networks around the world are rapidly expanding their efforts to protect and assist migrants and refugees. Take the case of the #Open_Society_Foundations, which is ramping up assistance to New York City, Budapest and Milan to help them battle the pandemic while bolstering safety nets for the most marginal populations. Meanwhile, the #Clara_Lionel_and_Shawn_Carter_Foundations in the US have committed millions in grants to support undocumented workers in Los Angeles and New York (https://variety-com.cdn.ampproject.org/c/s/variety.com/2020/music/news/rihanna-jay-z-foundations-donate-million-coronavirus-relief-1203550018/amp). And inter-city coalitions, like the #US_Conference_of-Mayors (https://www.usmayors.org/issues/covid-19) and #Eurocities (http://www.eurocities.eu/eurocities/documents/EUROCITIES-reaction-to-the-Covid-19-emergency-WSPO-BN9CHB), are also helping local authorities with practical advice about how to strengthen preparedness and response.

      The truth is that migrants and refugees are one of the most under-recognized assets in the fight against crises, including COVID-19. They are survivors. They frequently bring specialized skills to the table, including expertise in medicine, nursing, engineering and education. Some governments are catching on to this. Take the case of Portugal, which recently changed its national policies to grant all migrants and asylum seekers living there permanent residency, thus providing access to health services, social safety nets and the right to work. The city of #Buenos_Aires (https://www.lanacion.com.ar/sociedad/coronavirus-municipios-provincia-buenos-aires-sumaran-medicos-nid234657) authorized Venezuelan migrants with professional medical degrees to work in the Argentinean healthcare system. #New_York (https://www.governor.ny.gov/news/no-20210-continuing-temporary-suspension-and-modification-laws-relating), #New_Jersey (https://www.nj.gov/governor/news/news/562020/20200401b.shtml) and others have cleared the way for immigrant doctors without US licenses to provide patient care during the current pandemic.

      There are several steps municipal governments, businesses and non-governmental organizations should take to minimize the impacts of COVID-19 on migrants and displaced people. For one, they need to clearly account for them in their response and recovery plans, including ensuring free access to healthy food and cash assistance. Next, they could strengthen migrant associations and allow qualified professionals to join the fight against infectious disease outbreaks. What is more, they could ensure access to basic services like housing, electricity, healthcare and education - and information about how to access them in multiple languages - as Portugal has done.

      Mayors are on the frontline of supporting migrants and refugees, often in the face of resistance from national authorities. Consider the experience of Los Angeles’s mayor, #Eric_Garcetti (https://losangeles.cbslocal.com/2020/04/08/coronavirus-garcetti-relief-businesses-immigrants), who recently called on the US Congress to provide rapid relief to roughly 2.5 million undocumented immigrants in California. Or the mayor of Uganda’s capital #Kampala, #Erias_Lukwago (https://www.monitor.co.ug/News/National/Opposition-gives-out-food-to-poor-despite-Museveni-ban/688334-5518340-hd23s8/index.html), who has resorted to distributing food himself to poor urban residents despite bans from the central government. At the same time, #Milan ’s mayor, #Giuseppe_Sala (https://www.corriere.it/economia/finanza/20_aprile_13/sala-sindaci-europei-alla-crisi-si-risponde-piu-solidarieta-attenzione-citt), wrote to the European Union to urgently request access to financial aid. These three mayors also lead the #Mayors_Migration_Council, a city coalition established to influence international migration policy and share resources (https://docs.google.com/document/u/1/d/e/2PACX-1vRqMtCR8xBONCjntcDmiKv0m4-omNzJxkEB2X2gMZ_uqLeiiQv-m2Pb9aZq4AlDvw/pub) with local leaders around the world.

      The truth is that refugees, asylum seekers and displaced people are not sitting idly by; in some cases they are the unsung heroes of the pandemic response. Far from being victims, migrants and displaced people reflect the best of what humanity has to offer. Despite countless adversities and untold suffering, they are often the first to step up and confront imminent threats, even giving their lives (https://www.nytimes.com/2020/04/08/world/europe/coronavirus-doctors-immigrants.html) in the process. The least we can all do is protect them and remove the obstacles in the way of letting them participate in pandemic response and recovery. Mayors have got this; it’s now time for national and international decision-makers to follow suit.

      https://www.weforum.org/agenda/2020/04/migrants-and-mayors-are-the-unsung-heroes-of-covid-19-heres-why
      #Mogadisho

      signalé par @thomas_lacroix

    • *Bologna: il Consiglio comunale per la regolarizzazione dei

      migranti irregolari*
      Il Consiglio Comunale di Bologna oggi ha approvato, con 18 voti favorevoli e 6 contrari, un ordine del giorno per ottenere un provvedimento di regolarizzazione dei migranti attualmente soggiornanti in territorio italiano in condizione di irregolarità originaria o sopravvenuta, con la massima tempestività, data l’emergenza sanitaria in corso.

      L’ordine del giorno è stato presentato dal consigliere Federico Martelloni (Coalizione civica) e firmato dai consiglieri Clancy (Coalizione civica), Frascaroli (Città comune), Palumbo (gruppo misto-Nessuno resti indietro), Errani, Persiano, Campaniello, Mazzoni, Li Calzi, Colombo (Partito Democratico), Bugani, Piazza, Foresti (Movimento 5 stelle). Ecco il testo :

      “Il Consiglio Comunale di Bologna, a fronte dello stato di emergenza sanitaria da Covid-19 in corso e delle misure assunte dal Governo nazionale e dalle Giunte locali per contrastarne la diffusione e limitarne l’impatto sulla popolazione attualmente presente sul territorio. Ritenuto che non trova spazio nell’odierno dibattito pubblico, segnato dalla predetta emergenza, l’esigenza di assumere provvedimenti che sanino la posizione dei migranti che soggiornano irregolarmente nel nostro Paese, tema oggetto dell’ordine del giorno votato il 23 dicembre 2019 dalla Camera dei Deputati in sede di approvazione della legge di bilancio, adottato col fine di produrre molteplici benefici per la collettività , a partire dal fatto che: a) si offrirebbe l’opportunità di vivere e lavorare legalmente nel nostro Paese a chi già si trova sul territorio ma che , senza titolo di soggiorno , è spesso costretto per sopravvivere a rivolgersi ai circuiti illeciti ; b) si andrebbe incontro ai tanti datori di lavoro che , bisognosi di personale, non possono assumere persone senza documenti , anche se già formati, e ricorrono al lavoro in nero ; c) si avrebbero maggiore contezza – e conseguentemente controllo – delle presenze sui nostri territori di alcune centinaia di migliaia di persone di cui poco o nulla si sa , e, conseguentemente, maggiore sicurezza per tutti.

      Dato atto chetale esigenza è stata ribadita, alla vigilia della dichiarazione dello stato di pandemia, dalla ministra dell’interno Lamorgese in data 15 gennaio 2020, in Risposta a interrogazione orale, confermando che “L’intenzione del Governo e del Ministero dell’Interno è quella di valutare le questioni poste all’ordine del giorno che richiamavo in premessa, nel quadro più generale di una complessiva rivisitazione delle diverse disposizioni che incidono sulle politiche migratorie e sulla condizione dello straniero in Italia” (resoconto stenografico della seduta della Camera dei Deputati del 15 gennaio 2020, pag. 22).Tenuto conto che il tema della regolarizzazione degli stranieri irregolarmente soggiornanti diventa ancor più rilevante e urgente nella contingenza che ci troviamo ad attraversare, come giustamente rimarcato nell’Appello per la sanatoria dei migranti irregolari al tempo dei Covid-19, elaborato e sottoscritto da centinaia di associazioni (visibile al seguente indirizzo: https://www.meltingpot.org/Appello-per-la-sanatoria-dei-migranti-irregolari-ai-tempi.html#nb1), atteso che alle buone ragioni della sanatoria si aggiungono , oggi, anche le esigenze di tutela della salute collettiva, compresa quella delle centinaia di migliaia di migranti privi del permesso di soggiorno, che non hanno accesso alla sanità pubblica. Considerato che l’Appello richiamato al punto che precede giustamente sottolinea che il migrante irregolare:-non è ovviamente iscritto al Sistema Sanitario Nazionale e di conseguenza non dispone di un medico di base, avendo diritto alle sole prestazioni sanitarie urgenti ;-non si rivolge alle strutture sanitarie nei casi di malattia lieve, mentre, nei casi più gravi non ha alternativa al presentarsi al pronto soccorso , il che contrasterebbe con tutti i protocolli adottati per contenere la diffusione del virus. – è costretto a soluzioni abitative di fortuna , in ambienti spesso degradati e insalubri, condivisi con altre persone .Considerato,in definitiva,che i soggetti “invisibili” sono per molti aspetti più esposti al contagio del virus e più di altri rischiano di subirne le conseguenze sia sanitarie, per la plausibile mancanza di un intervento tempestivo, sia sociali, per lo stigma cui rischiano di essere sottoposti a causa di responsabilità e inefficienze non loro ascrivibili .Assunto che iniziative di tal fatta sono all’ordine del giorno anche in altri paesi dell’Unione, avendo il governo del Portogallo già approvato una sanatoria per l’immediata regolarizzazione di tutti i migranti in attesa di permesso di soggiorno che avessero presentato domanda alla data di dichiarazione dell’emergenza Coronavirus, per consentirne l’accesso al sistema sanitario nazionale, all’apertura di conti correnti bancari; alle misure economiche straordinarie di protezione per persone e famiglie in condizioni di fragilità ; alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro .Condivide l’urgenza di intercettare centinaia di migliaia di persone attualmente prive di un regolare permesso di soggiorno, per contenere il loro rischio di contrarre il virus; perché possano con tranquillità usufruire dei servizi della sanità pubblica nel caso di sintomatologia sospetta; perché non diventino loro malgrado veicolo di trasmissione del virus, con tutte le nefaste conseguenze che possono derivarne nei territori, incluso il territorio di Bologna.

      Invita il Sindaco e la Giunta a dare massima diffusione, anche attraverso i canali di comunicazione istituzionale, agli appelli e alle iniziative finalizzate ad ottenere un provvedimento di regolarizzazione dei migranti attualmente soggiornanti in territorio italiano in condizione d’irregolarità originaria o sopravvenuta .a farsi promotore, in tutte le sedi istituzionali, a partire dall’ANCI, delle iniziative volte a ottenere l’adozione di un provvedimento di regolarizzazione ed emersione degli stranieri irregolarmente soggiornanti, con la massima tempestività richiesta dell’emergenza sanitaria oggi in corso.

      https://www.pressenza.com/it/2020/04/bologna-il-consiglio-comunale-per-la-regolarizzazione-dei-migranti-irrego
      #Bologne #régularisation

  • L’app Immuni da scaricare (e «indossare») - Coronavirus: App (quasi) obbligatoria, ipotesi braccialetto per gli anziani - Corriere.it
    https://www.corriere.it/cronache/cards/coronavirus-l-app-quasi-obbligatoria-braccialetto-gli-anziani/scaricare-immuni.shtml

    Per essere utile alla causa dovrà essere scaricata almeno dal 60% della popolazione. Altrimenti i contatti mappati non sarebbero sufficienti a tenere sotto controllo la situazione. La regola dei 40 metri quadri e il termoscanner per i dipendenti. Più corse per alleggerire i bus

    #restriction_de_mobilité #bracelet_électronique #Covid_1984

  • Coronavirus, l’app per tracciare gli spostamenti delle persone contagiate - Corriere.it
    https://www.corriere.it/tecnologia/20_marzo_18/coronavirus-pronta-app-italiana-tracciare-contagi-cosi-possiamo-fermare-l-e

    Permette di ricostruire i movimenti delle persone positive al coronavirus e di avvertire chi è entrato in contatto con loro ed è quindi a rischio contagio. Sviluppata da aziende italiane e pensata per la Protezione civile aspetta il via libera del governo « Abbiamo già sviluppato una app da scaricare sui cellulari che permette di tracciare in tempo reale i movimenti delle persone positive al coronavirus, di avvertire chi è entrato in contatto con loro ed è quindi a rischio contagio e di (...)

    #algorithme #smartphone #géolocalisation #santé

    ##santé

  • « Prisonniers tués par la police italienne suite à des révoltes dans différentes prisons. Au moins 8 morts dans 3 prisons. Les visites sont interdites à cause du coronavirus »

    Modena (Italie) : Sur la révolte et le massacre dans la prison de Modena | Attaque
    https://attaque.noblogs.org/post/2020/03/09/modena-italie-sur-la-revolte-et-le-massacre-dans-la-prison-de-moden

    Au début de l’après-midi d’aujourd’hui, 8 mars 2020, il a eu une révolte dans la prison Sant’Anna, à Modena.
    Cela a été clairement perçu depuis l’extérieur, puisque trois colonnes de fumée se levaient des bâtiments de la prison et à cause des nombreux allers-retours des matons et de la présence d’un hélicoptère de la police qui surveillait la zone.
    Du coup, dans les environs se sont rassemblés des nombreux familles des détenus, des solidaires et d’autres curieux, qui ont vu passer les GOM [Gruppo operativo mobile, Groupe opératif mobile de la Police pénitentiaire italienne, l’équivalent des ERIS français ; NdAtt.] en tenues anti-émeute et ont clairement entendu les bruits des quelques tirs.

    Coronavirus : rivolta in carcere a Modena, tre morti e 80 trasferiti
    https://www.agi.it/cronaca/news/2020-03-08/coronavirus-carcere-modena-7383460

    Tre detenuti sono morti nel carcere di Modena, dove si è sviluppata oggi una vera e propria rivolta dei carcerati, circa 530, in segno di protesta per le restrizioni ai colloqui dovute all’emergenza coronavirus. Altri due si trovano in rianimazione: sono in corso indagini sull’accaduto, mentre si registrano ancora forti tensioni all’interno del penitenziario, dove gli agenti stanno cercando di rientrare forzando le sbarre.

    « L’union de police pénitentiaire parle de 27 prisons sous contrôle des détenus »

    Coronavirus, rivolte nelle carceri a Modena, Napoli e Frosinone - Corriere.it
    https://www.corriere.it/cronache/20_marzo_08/coronavirus-rivolte-carceri-modena-frosinone-63cdd738-6149-11ea-8f33-90c941

    Nella rivolta delle carceri contro la sospensione dei colloqui per l’emergenza coronavirus si consuma il dramma di tre detenuti morti e un ferito grave nel penitenziario di Modena, dove fino a sera è andata in scena la protesta più grave e violenta. E a Pavia due agenti sono stati sequestrati e poi liberati (il procuratore aggiunto Mario Venditti ha fatto da mediatore: «Nessun atto di violenza, nessun sequestro»). Nella notte una cinquantina di reclusi era ancora sui tetti, dove venivano appiccati fuochi alimentati con ogni tipo di materiale.

    • l’article italien repris par #lenvolée
      https://roundrobin.info/2020/03/modena-sulla-rivolta-e-il-massacro-nel-carcere-di-modena

      SULLA RIVOLTA E IL MASSACRO ALL’ INTERNO DEL CARCERE DI MODENA

      Nel primo pomeriggio di oggi, 8 Marzo 2020, è scoppiata una rivolta nel carcere di S.Anna di Modena.
      Il fatto è stato chiaramente percepito dall’ esterno in quanto si elevavano dai bracci della struttura tre colonne di fumo, nonchè per il via-vai importante di guardie, oltre che per la presenza di un elicottero della Polizia che sorvegliava l’ area.
      Si sono così radunati vari parenti dei reclusi, solidali e altri spettatori nelle zone adiacenti, vedendo sfilare i GOM in antisommossa e sentendo distintamente alcuni spari.
      Dopo qualche tentativo di allontanamento da parte dei Vigili, le persone si sono comunque radunate davanti al carcere; dove si sono viste sfilare camionette, ambulanze a pulmini della Penitenziaria.
      A una certa, dopo varie richieste di notizie da parte dei parenti, sono usciti il Maggiore della Penitenziaria e un’ emissaria della direttrice del carcere dicendo loro che, durante le contrattazioni coi rivoltosi chiusi nel braccio, sono stati loro riconsegnati i cellulari per chiamare i loro cari. Domandavano quindi ai familiari di rispondere al telefono invitandoli a uscire.
      Verso sera, davanti un nutrito gruppo di antisommossa, sono usciti gli sbirri scortando alcuni dei detenuti e delle detenute dando loro colpi da ammanettati, qualcuno è uscito in barella.
      Già in quelle ore qualcuno ha scorto un sacco contenente un corpo morto.
      Si è riuscito a parlare con alcuni reclusi nel braccio adiacente il campo durante i fatti, che davano notizie di trasferimenti e di essere gli ultimi ancora da trasferire dalla sezione, edicendo che li stavano massacrando.
      Sono state trasferite 80 persone, pare a Bologna, Reggio Emilia, Parma, Piacenza e Ascoli, per mezzo di almeno quattro pulman di penitenziaria e altre camionette.

      I media di regime, ricostruiscono la vicenda come partita dalla sezione lavoranti, ed estesasi poi a tutto il carcere; dove i detenuti avrebbero bruciato materassi e si sarebbero asserragliati in almeno una delle strutture, pare da qualche video impossessandosi dell’ armeria.
      Durante la rivolta sarebbero morte tre persone, la cui identità non è stata precisata, così come la causa esatta del decesso.Due sarebbero invece in rianimazione.
      Si parla di gravi danni alla struttura e di distruzione di documenti.
      Salienti tra le cause dello scoppiare della rivolta sarebbero la negazione dei colloqui e la mancanza di mediatori causa IL virus, oltre che la sicurezza sanitaria interna alla struttura.

    • Les prisonnier.es italiens se révoltent face aux interdictions de parloirs. Nous avons longuement parlé de la situation en #Italie lors de notre dernière émission de radio : des #mutineries ont eu lieu dans au moins 37 prisons et au moins 13 prisonniers sont morts. Nous reproduisons, ici, trois lettres de prisonniers de la prison de Poggiareale à #Naples et diffusons une vidéo de la prison pour femmes de Naples où ces dernières se font entendre à l’extérieur.
      http://lenvolee.net/trois-lettres-de-prisonniers-a-naples
      http://www.lenvolee.net/wp-content/uploads/2020/03/lenvolee-20-03-13.mp3
      – Coronavirus : sur la situation en Italie et des révoltes dans les prisons là-bas. Lettres de prisonniers de la prison de Naples.
      – Coronavirus : sur la situation dans les #prisons_françaises.
      – Condé sur Sarthe : un an après le blocage des matons.

  • Violences conjugales : Aurélie Filippetti porte plainte pour diffamation contre Thomas Piketty

    https://www.lesinrocks.com/2019/11/30/actualite/societe/violences-conjugales-aurelie-filippetti-porte-plainte-pour-diffamation-c

    Après avoir été apostrophé au sujet de faits de violence envers son ex-conjointe Aurélie Filippetti, l’économiste avait indiqué que cette dernière avait été violente envers ses filles. L’ex-ministre a déposé plainte pour #diffamation, ce jeudi, auprès du procureur de la République.

    Cela faisait dix ans qu’elle ne s’était pas exprimée publiquement sur cette affaire. « Suite aux déclarations publiques de Thomas Piketty, j’ai déposé ce jour une plainte en diffamation devant le procureur de Paris », a simplement indiqué Aurélie Filippetti sur sa page Facebook ce jeudi 28 novembre.

    https://twitter.com/WCM_JustSocial/status/1197607748629934080

    https://archive.org/details/pikettyinterpellesurlesviolencesconjugalescommisesalencontreaureliefilippet

    https://archive.org/details/lexministreaureliefilippettiporteplaintecontrethomas

    Une semaine plus tôt, invité lors d’une conférence à l’ #Institut_d'Etudes_Politiques (#IEP, #Sciences_Po) de Toulouse, l’économiste Thomas Piketty, ex-conjoint d’Aurélie Filippetti, avait été interpellé par une étudiante : « Vous avez reconnu en 2009 avoir battu votre ex-conjointe. Et du coup je voulais savoir ce que vous pensiez du fait de faire cette conférence alors que dans trois jours, le 23 novembre, on va avoir la #Marche_contre_les_violences_faites_aux_femmes.. ? A l’IEP c’est la semaine des #violences_sexistes et sexuelles... », a déclaré la jeune femme devant l’étonnement de l’assemblée. Une scène diffusée sur Twitter et à laquelle Aurélie Filippetti avait répondu d’un simple « merci ».

    « C’est votre intervention que je trouve indécente », avait alors rétorqué l’auteur de Le capital au XXIe siècle à l’étudiante, avant de poursuivre : « La relation dont vous parlez a été une relation avec une personne extrêmement violente vis-à-vis de mes filles. J’ai trois filles, qui étaient petites à l’époque, et cette personne a été extrêmement violente vis-à-vis d’elles. Je l’ai mise hors de chez moi, je l’ai poussée dehors, ce que je regrette, et je vous assure qu’après le comportement qu’elle a eu avec mes filles beaucoup de personnes se seraient beaucoup plus énervées. »

    Ce sont ces mots qui sont visés dans la plainte déposée par l’ancienne #ministre_de_la_Culture, fait savoir aux Inrocks son avocat Me Vincent Tolédano. « Aurélie Filippetti a été très choquée des propos de #Thomas_Piketty, en tournée de promotion de son nouveau livre, jeudi dernier, à Toulouse, deux jours avant la marche contre les violences faites aux femmes. Accuser sa victime de violences sur mineurs est tout simplement insupportable », nous précise-t-il.

    « C’est un mensonge total », se défend #Aurélie_Filippetti dans une interview au Corriere della Serra, publiée ce vendredi 29 novembre, où elle évoque des actes de violence répétés. « En 2009, je l’avais dénoncé pour des violences qui ne concernaient pas que ce soir-là mais se répétaient. Et je n’ai retiré la plainte qu’après sa déclaration écrite », précise-t-elle dans les colonnes du journal italien. « Il fait porter la responsabilité sur la femme, sur moi, la victime », regrette l’ex-ministre. Elle ajoute : « C’est fou, pour se défendre, il a décidé d’inventer une histoire, d’un bout à l’autre. Il aurait pu simplement dire : ’Je préfère ne pas parler de ce sujet’, mais il a inventé toute une histoire parce qu’il n’a pas encore pris conscience de sa propre violence. »

    [...]

    Le 16 septembre 2009, le procureur de la République de Paris, a avisé Thomas Piketty de sa décision « de ne pas exercer dans l’immédiat des poursuites », suite au retrait de plainte d’Aurélie Filippetti contre son ancien compagnon, pour violences volontaires -, sa décision de classement étant « révocable à tout moment », souligne Me Vincent Tolédano, l’avis constituant toutefois « un avertissement » et un « rappel à la loi ».

    #Violences_conjugales

    • L’article de l’OBS paru à l’époque, le 26 septembre 2009

      Violences conjugales : avertissement et rappel à la loi pour Piketty
      https://www.nouvelobs.com/societe/20090924.OBS2364/violences-conjugales-avertissement-et-rappel-a-la-loi-pour-piketty.html

      L’enquête préliminaire ouverte à Paris à la suite d’une plainte pour violences entre conjoints déposée par la député PS de Moselle Aurélie Filippetti à l’encontre de l’économiste Thomas Piketty a débouché, mercredi 23 septembre, sur « un avis de classement, avertissement et rappel à la loi ».

      « M. Piketty ayant reconnu les faits de violence à l’encontre de Mme Filippetti et s’étant excusé, Mme Filippetti, dans l’intérêt des familles et des enfants, n’a pas donné suite à la procédure », a-t-on fait valoir dans l’entourage de la député socialiste.

      Sollicité par l’AFP, Thomas Piketty n’a pas souhaité faire de commentaire.

      Au cours de cette enquête, l’ économiste, conseiller économique de la candidate socialiste Ségolène Royal lors de la campagne présidentielle 2007, avait été pendant plusieurs heures entendu en garde à vue par les policiers de la Brigade de répression de la délinquance contre la personne (BRDP).
      (Avec AFP)

    • L’ex ministra Filippetti : « Piketty mi picchio più volte e ora mi dà la colpa »

      L’ancienne ministre Filippetti : « Piketty m’a frappé à plusieurs reprises et maintenant il m’en veut »

      https://www.corriere.it/esteri/19_novembre_29/ex-ministra-filippetti-piketty-mi-picchio-piu-volte-ora-mi-da-colpa-c4e807e

      La traduction (google traduction, désolé) de l’interview :

      Que contestez-vous dans le récit de Piketty ?

      "Tout. En 2009, je l’avais dénoncé pour des violences qui ne concernaient pas que ce soir-là mais se répètent. Et je n’ai retiré la plainte qu’après sa déclaration écrite ».

      Que contient cette déclaration de 2009 ?

      "Il a reconnu des épisodes répétés de violence et s’est excusé. C’est un document officiel déposé auprès de l’avocat Jean-Pierre Mignard, qui s’est alors prêté à un rôle de médiateur entre nous. À ce stade, ayant obtenu la reconnaissance des faits et des excuses, j’ai dû retirer la plainte pour éviter une nouvelle couverture médiatique. Il n’a pas du tout été totalement absous comme il essaye de le faire croire. Le procureur lui a quand même donné un avertissement et un rappel de la loi ".

      Combien de temps a duré l’enquête ?

      "Ce n’était pas une chose simple. Il a été mis en garde à vue, interrogé, l’enquête a duré plusieurs mois. Il y a une semaine, à la veille des manifestations en France contre la violence à l’égard des femmes, une étudiante de l’Université de Toulouse l’a interrogé sur ses actions passées. J’ai vu la vidéo, j’ai su ce qu’il avait publiquement répondu dans cet amphithéâtre, puis j’ai contacté l’avocat et jeudi j’ai présenté le procès en diffamation ».

      Piketty dit qu’il vous a poussé, que vous êtes tombez entre la porte et le montant de la porte.

      "Attention, rien de tout cela ne s’est passé. Ce sont des choses douloureuses pour moi. Blame it sur la femme, sur moi, la victime. C’est fou, pour se défendre, il a décidé d’inventer une histoire, de haut en bas. Il aurait pu simplement dire : "Je préfère ne pas parler de ce sujet", mais il a inventé toute une histoire parce qu’il n’a pas encore pris conscience de sa propre violence ".

      #Piketty vous accuse d’être violente avec ses trois jeunes filles.

      "C’est totalement faux, à tel point que c’est moi qui ai porté plainte contre lui pour actes de violence à l’époque, et non pas lui qui m’a dénoncé pour actes de violence à l’encontre de ses filles. C’est un mensonge total. Je suis la victime qui s’est tournée vers la police. Il essaie de complètement changer les choses. "

      Pensez-vous que votre ancien compagnon a été pris au dépourvu par l’étudiante ?

      "Je ne sais pas. Certains personnages masculins sont convaincus qu’ils sont au-dessus des lois. Ce qui est incroyable, c’est que je peux dire quelque chose comme ça, encore maintenant, après tout ce qui s’est passé avec le mouvement #MeToo et la prise de conscience de la violence à l’égard des femmes. Nous étions à deux jours de la grande manifestation contre les violences faites aux femmes, alors que la #France était totalement mobilisée sur ces questions. Il est terrible que la négation des faits aille si loin ".

      À la lumière de ce qui s’est passé ensuite, avez-vous regretté d’avoir retiré votre plainte il y a dix ans ?

      « Nous ne pouvons pas juger le choix d’alors avec la mentalité d’aujourd’hui. À l’époque, on avait tendance à minimiser la violence, comme il le fait encore aujourd’hui : quand il suggère que cela ne s’est produit qu’une fois, quand il parle d’une poussée au lieu de coups répétés, il minimise. Cependant, même alors, l’affaire a éclaté, mais sans conséquences majeures, peut-être parce que la société n’était pas prête. Il n’y avait pas encore de mouvement #MeToo ».

      Vous ne vous parlez plus ?

      "Non, jamais, c’est impossible. Son comportement à Toulouse est symptomatique de la violence sous-jacente. Ses phrases sont un autre acte violent. Contre moi et aussi contre ma fille, qui à l’époque avait 11 ans et se souvient très bien de tout ».

    • Les archives de 2009 montrent que Thomas Piketty qualifiait cette affaire d’ « histoires de caniveau ».

      On notera aussi qu’à l’époque le Nouvel Observateur (OBS) avait traité le sujet de manière légère (3 articles pour en tout 2800 caractères), à comparer avec l’article de Médiapart sur le harcèlement sexuel et les agressions sexuelles infligés par Christophe Rugia (57000 caractères)

      Le nouvel observateur semble avoir été le seul a relayer les conclusions de l’enquête via la dépêche AFP du 26 septembre 2009, comme on peut le voir sur cette recherche Google :

      Et le 4 mars 2019 Daniel Schneidermann se demande s’il faut en parler dans la mesure où ça ne serait qu’une affaire privée.

      https://www.arretsurimages.net/chroniques/le-matinaute/la-deputee-leconomiste-et-les-violences-conjugales

      Filippetti a porté plainte pour violences conjugales 04 mars 2009
      https://www.nouvelobs.com/politique/20090303.OBS7099/filippetti-a-porte-plainte-pour-violences-conjugales.html

      La députée socialiste Aurélie Filippetti a déposé une plainte contre son compagnon, l’économiste Thomas Piketty, pour violences entre conjoints, a-t-on appris mardi 3 mars. Une enquête préliminaire a été ouverte, a indiqué une source proche du dossier.
      Cette plainte a été déposée le 6 février par la porte-parole du groupe PS à l’Assemblée nationale, Aurélie Filippetti. Tout comme Thomas Piketty, elle est proche de Ségolène Royal.

      « Une affaire privée »

      Aurélie Filippetti fut pendant la campagne présidentielle de 2007 conseillère spéciale de la candidate pour les questions liées à l’environnement, la culture et l’éducation. Tandis que son compagnon occupait un poste de conseiller économique.
      Contactée par l’AFP, la députée âgée de 35 ans, a indiqué ne pas vouloir faire de commentaire. « C’est une affaire privée », a-t-elle déclaré.
      "Ce sont des histoires de caniveau", a pour sa part affirmé à l’AFP Thomas Piketty, 37 ans.
      L’enquête préliminaire, ouverte à la mi-février, a été confiée à la Brigade de répression de la délinquance contre la personne (BRDP). (avec AFP)

      Le compagnon de Filippetti placé en garde à vue 17 mars 2009
      https://www.nouvelobs.com/politique/20090317.OBS9255/le-compagnon-de-filippetti-place-en-garde-a-vue.html

      L’économiste Thomas Piketty a été placé, mardi 17 mars, en garde à vue à Paris dans le cadre d’une enquête préliminaire ouverte par le parquet de Paris après la plainte de sa compagne, la députée socialiste Moselle Aurélie Filippetti, pour violences entre conjoints, a indiqué une source judiciaire.
      Proche du Parti socialiste, Thomas Piketty, a été conseiller économique de Ségolène Royal lors de la campagne présidentielle 2007.
      Thomas Piketty a été placé en garde mardi matin dans les locaux de la Brigade de répression de la délinquance contre la personne (BRDP) chargée de l’enquête, où il était convoqué.
      Le parquet de Paris a ouvert à la mi-février une enquête préliminaire à la suite d’une plainte déposée par Aurélie Filippetti, porte-parole du groupe PS à l’Assemblée nationale, à l’encontre de son conjoint.

    • La retranscription des échanges, notamment parce que l’intervention finale d’Olivier Brossard, le directeur de l’Institut d’Études Politiques de Toulouse, est bien gerbante (tout comme tous les mensonges de Thomas Piketty, mis en gras) :

      Étudiante féministe

      Mon intervention s’adressera à vous mais aussi aux organisateurs et organisatrices de cet évènement ainsi qu’à l’assemblée.

      J’aimerai recontextualiser un peu cette conférence. Vous avez reconnu en 2009 avoir battu votre ex-conjointe. Et du coup je voulais savoir ce que vous pensiez de faire cette conférence alors que dans trois jours le 23 novembre on va avoir une marche contre les violences faites aux femmes. Cette semaine à l’IEP (de Toulouse) c’est la semaine des violences sexistes et sexuelles contre les femmes, donc je voulais savoir ce que vous en pensiez je voulais aussi savoir ce que vous pensiez des pensées autour des violences économiques envers les femmes.

      Thomas Piketty

      Ouais, je peux vous répondre ?

      Étudiante féministe

      Est-ce que vous pouvez me laisser finir s’il vous plaît ?
      Et du coup, je voulais savoir, pour les organisateurs et les organisatrices, si vous ne trouviez pas ça quelque peut indécent d’inviter quelqu’un qui...

      Thomas Piketty

      Alors moi je vais.... Attendez, je vais vous répondre. Je vais vous répondre et je vais vous dire pourquoi c’est votre intervention que je trouve indécente. Parce que si vous voulez le concours de la police ou de la magistrature pour faire des enquêtes, moi je vous invites à le passer et à faire ces enquêtes.

      En l’occurrence, vous parlez d’une affaire qui a été classée sans suite à l’issue d’une enquête dont... je vous mets au défi de trouver des éléments d’information qui pourraient justifier, enfin indiquer qu’il y aurait pu avoir des choses qui auraient été mal enquêtées, dissimulées etc.

      Moi ce que je peux vous dire c’est que la relation dont vous parlez a été une relation avec une personne plutôt extrêmement violente vis-à-vis de mes filles. J’ai trois filles, qui maintenant sont grande, mais qui étaient petites à l’époque, et cette personne a été extrêmement violente vis-à-vis d’elles. Je l’ai mis dehors de chez moi, je l’ai poussée dehors, ce que je regrette, mais je vous assure que vu le comportement qu’elle a eu avec mes filles beaucoup de personnes seraient beaucoup plus énervées que ça.

      Je regrette l’avoir poussé dehors de chez moi, elle est tombée juste dans l’entrebâillement de la porte, ce qui ne l’a pas empêche d’aller travailler le lendemain et le lendemain. Je le regrette néanmoins, mais je peux vous dire que par rapport aux violences faites par rapport à mes filles, le fait de la mettre hors de chez moi était une réaction [inaudible].

      Donc voilà vous savez tout de l’affaire. Moi je suis, je peux en parler plus longuement si vous voulez. Tout ce que je peux vous dire c’est que voilà, moi j’ai trois filles qui ont 16 ans, 19 ans, 22 ans. Il n’y a rien de plus éloigné de moi que l’idée de violence, avec que ce soit... conjointe ou qui que soit. Moi vraiment je vous invites... Je veux dire vous avez raisons d’être soucieuse de ces questions. Je le suis au moins autant que vous, mais simplement aller prendre la parole comme ça sans aucune information. Vous ne disposez d’aucune information précise sur cette affaire. Moi vraiment je vous invite, si vous pensez que les enquêtes ont été mal menées, allez passer le concours de la police, de la magistrature et faites de meilleurs enquêtes. Voilà.

      Thomas Piketty est applaudit par la salle. L’étudiante féministe souhaite reprendre la parole.

      Thomas Piketty

      Écoutez, je vous ai répondu. Je crois que ça suffit maintenant.

      Olivier Brossard Professeur de sciences économiques,
      Directeur de Sciences Po Toulouse

      Faites un peu d’introspection. Réfléchissez quand même un tout petit peu à ce que vous faites. C’est vous qui êtes indécente là. Stop, on s’arrête là. Une dernière question.

    • Une semaine plus tôt, invité lors d’une conférence à l’Institut d’Etudes Politiques (IEP) de Toulouse, l’économiste Thomas Piketty, ex-conjoint d’Aurélie Filippetti, avait été interpellé par une étudiante : « Vous avez reconnu en 2009 avoir battu votre ex-conjointe. Et du coup je voulais savoir ce que vous pensiez du fait de faire cette conférence alors que dans trois jours, le 23 novembre, on va avoir la Marche contre les violences faites aux femmes.. ? A l’IEP c’est la semaine des violences sexistes et sexuelles... », a déclaré la jeune femme devant l’étonnement de l’assemblée. Une scène diffusée sur Twitter et à laquelle Aurélie Filippetti avait répondu d’un simple « merci ».

      « C’est votre intervention que je trouve indécente », avait alors rétorqué l’auteur de Le capital au XXIe siècle à l’étudiante, avant de poursuivre : « La relation dont vous parlez a été une relation avec une personne extrêmement violente vis-à-vis de mes filles. J’ai trois filles, qui étaient petites à l’époque, et cette personne a été extrêmement violente vis-à-vis d’elles. Je l’ai mise hors de chez moi, je l’ai poussée dehors, ce que je regrette, et je vous assure qu’après le comportement qu’elle a eu avec mes filles beaucoup de personnes se seraient beaucoup plus énervées. »

      Je grasse parce qu’il ne faut pas que cette merde de remise en cause du propos d’une féministe passe inaperçue. Il peut lui répondre que c’est pas lui, qu’il a eu raison, tout ce qu’il veut sauf de dire que des féministes qui abordent la question des violences masculines sont indécentes.

      #violences_masculines #on_te_croit #violences_conjugales

    • @antonin1 apparemment les masculinistes aiment ce mot qui parlent d’eux puisque le directeur de #sciences_po_Toulouse, comme le note @gastlag parle aussi d’indécence dans sa morgue méprisante

      Olivier Brossard Professeur de sciences économiques,
      Directeur de Sciences Po Toulouse

      Faites un peu d’introspection. Réfléchissez quand même un tout petit peu à ce que vous faites. C’est vous qui êtes indécente là. Stop, on s’arrête là. Une dernière question.

      La #bienséance_masculine c’est exposer ses couilles l’avant veille des manifs contre les violences faites aux femmes.

    • À priori c’est pas que c’est eux qui l’emploient d’eux-mêmes, c’est l’étudiante qui a employé de mot en tout premier en disant « ne trouvez vous pas indécent d’inviter… » et du coup eux ensuite répondent « c’est vous qui êtes indécente » en reprenant sa phrase (genre « aaah c’est toi qui l’est, cassééée »).

    • @rastapopoulos c’est fort possible qu’ils aient repris cette expression puisqu’elle était lancé, mais ca n’attenue pas leur choix de la renvoyer ainsi, et ca montre leur manque de réflexion sur le sujet. Comme le souligne @antonin1 cette étudiante à fait son travail de militante et il n’y a aucune indécence à posé cette question.

      #couilles_de_cristal #sauflamisme (cf - toutes les femmes sont discriminés sauf-la-mienne ) #macho_de_gauche

    • Oui je sais parfaitement que l’étudiante lui pose cette question, et je suis d’accord avec ce terme concernant l’attitude de Piketty. Parce qu’il est réellement indécent de venir parader l’avant veille d’une manif sur les violences faites aux femmes alors qu’il a frappé sa femme. Et renvoyer ce terme marque bien le peu de cas que ces deux hommes font des femmes, à commencer par l’étudiante qui se fait humilier alors que la salle applaudit les deux grands hommes, l’un directeur, l’autre orateur invité qui viennent d’asséner une fin de non recevoir à sa deuxième question avec un mépris abjecte que je ne pourrais pas comparer à un jeu d’enfant mais à la fraternité des salopards qui font taire les femmes.

    • Piketty intervenait peut-être en s’imaginant que cette histoire était passé sous le radar de plein de monde (brava la féministe qui a malmené le grand homme). Mais on ne peut pas lui reprocher d’exister la semaine d’avant le 25 novembre !

      On pourrait lui reprocher de sortir un disque le 25 novembre (si si, ça a été fait, devinez par qui) ou de se mettre du rouge à lèvres contre les violences masculines.

      J’espère que Piketty se prendra la même chose que Baupin, avec une justice incapable de mettre des mecs devant leurs responsabilités mais qui au moins sait rétablir la vérité quand elle est malmenée en public.

      Je garde l’idée des couilles de cristal pour comparer avec la stigmatisation des snowflakes par Couturier.
      https://www.franceculture.fr/emissions/le-tour-du-monde-des-idees/le-tour-du-monde-des-idees-du-vendredi-06-avril-2018

    • Piketty intervenait peut-être en s’imaginant que cette histoire était passé sous le radar de plein de monde (brava la féministe qui a malmené le grand homme). Mais on ne peut pas lui reprocher d’exister la semaine d’avant le 25 novembre !

      He ben moi oui, je peux tout à fait reprocher à Piketti ou à n’importe qui d’oublier pif pof qu’il ait tabassé sa femme et de continuer à se pavaner comme si de rien. Et je me carre de son existence dans les amphis invité par sciences po alors que les féministes étudiantes s’organisent pour la manif. Nan mais oh, des fois les grands hommes feraient bien de se la mettre dans la glace et de voir qu’ils sont tout petit petit.

  • Via polare della Seta. Le mosse della Cina

    Il tunnel da record sotto il baltico, i giacimenti minerari in groenlandia e il controllo dello spazio aereo NATO. Le strategie per sfruttare i mari artici liberati dai ghiacci.

    Le prime prenotazioni on line, 50 euro l’una, sono state vendute subito dopo l’annuncio ufficiale: il più lungo #tunnel sottomarino del mondo (100 km) sarà scavato dal 2020 sul fondo del Mar Baltico, fra la capitale estone #Tallinn e quella finlandese, #Helsinki. Lo scaveranno e pagheranno quasi tutto i cinesi: quindici miliardi di euro, più 100 milioni offerti da un’impresa saudita. L’investimento a oltre 6.300 chilometri da Pechino non è lontano dalla loro «Via della Seta marittimo-terrestre», che dovrebbe collegare circa sessanta Paesi di tre Continenti. Uno dei suoi tratti vitali sarà la «Via polare della Seta», che sfrutterà i mari artici sempre più liberi dai ghiacci grazie al riscaldamento del clima.

    La Via polare della Seta

    Oggi, da Shanghai a Rotterdam attraverso la rotta tradizionale del canale di Suez, bisogna navigare per 48-50 giorni. Con la Via polare si scende a 33. Accorcerà di una settimana anche il passaggio che unisce Atlantico e Pacifico costeggiando Groenlandia, Canada e Alaska, rispetto alla rotta attraverso il canale di Panama. Navi cinesi hanno già collaudato entrambe le rotte. A fine maggio, il vice primo ministro russo Maxim Akimov ha annunciato che anche Mosca potrebbe unirsi al progetto di Pechino. La Cina è pronta a fare il suo gioco: da una parte marcare la sua presenza commerciale, politica e militare nel mondo, dall’altra sfruttare il sottosuolo dell’Artico. Parliamo del 20% di tutte le riserve del pianeta: fra cui petrolio, gas, uranio, oro, platino, zinco. Pechino ha già commissionato i rompighiaccio, fra cui — gara appena chiusa — uno atomico da 152 metri, costo previsto 140 milioni di euro, con 90 persone di equipaggio. Il più grande al mondo di questo tipo, e potrà spaccare uno strato di ghiaccio spesso un metro e mezzo. La Cina ha iniziato anche i test per l’«Aquila delle nevi», un aereo progettato per i voli polari, e sta studiando che cosa può combinare un sommergibile che emerga dai ghiacci. Un articoletto pubblicato dal Giornale cinese di ricerca navale, e subito monitorato dagli analisti militari occidentali, spiega: «Sebbene il ghiaccio spesso dell’Artico provveda a una protezione naturale per i sottomarini, tuttavia costituisce anche un rischio per loro durante il processo di emersione». Segue uno studio dettagliato sulle manovre da eseguire . Tutte le superpotenze compiono queste ricerche. Però la Cina non è uno Stato artico come la Russia o gli Usa, ma nel 2018 si è autodefinita uno «Stato quasi-artico». Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha risposto qualche settimana fa: «Ci sono solo Stati artici e non artici. Una terza categoria non esiste».

    Le attività cinesi in Groenlandia

    Pechino tira dritto, sopratutto in Groenlandia, portaerei naturale di fronte agli Usa e al Canada, dove il riscaldamento del clima sta sciogliendo 280 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno. Un dramma mondiale che però agevola l’estrazione di ciò che sta sotto. Perciò ha acquistato o gestisce con le sue compagnie di Stato i quattro più importanti giacimenti minerari. All’estremo Nord, nel fiordo di Cjtronen, c’è quello di zinco, gestito al 70% dalla cinese NFC, considerato il più ricco della terra. È strategico perché si trova di fronte all’ipotetica «Via polare della Seta», quella del passaggio verso Canada e Usa; e perché potrebbe placare la domanda di zinco della Cina, salita del 122% dal 2005 al 2015. Poi c’è il giacimento di rame di Carlsberg, proprietà della Jangxi Copper, colosso di Stato considerato il massimo produttore cinese di rame nel mondo. Il suo ex-presidente è stato appena condannato a 18 anni per corruzione.

    La Cina controlla le «terre rare»

    Poi ancora la miniera di ferro di Isua (della «General Nice» di Hong Kong); e infine Kvanefjeld, nell’estremo Sud: una riserva mai sfruttata di uranio e «terre rare», i metalli usati per la costruzione di missili, smartphone, batterie, hard-disk. Kvanefjeld , che è accessibile solo via mare, è proprietà della compagnia australiana Greenland Minerals Energy e al 12,5% della compagnia di Stato cinese Shenghe Resources, considerata la maggiore fornitrice di «terre rare» sui mercati internazionali. Con un investimento da 1,3 miliardi di dollari il giacimento potrà fornire una delle più alte produzioni al mondo di «terre rare». La quota azionaria della Shenghe è limitata, ma il suo ruolo nel progetto no, perché il prodotto estratto da Kvanefjeld sarà un concentrato di «terre rare» e uranio, i cui elementi dovranno essere processati e separati, e questo accadrà soprattutto a Xinfeng, in Cina, dove gli stabilimenti sono già in costruzione. Nel progetto anche un nuovo porto, nella baia accanto al giacimento. La Cina possiede già oltre il 90% di tutte le «terre rare» del mondo, dunque ne controlla i prezzi. Con quel che arriverà da Kvanefjeld, chiuderà quasi il cerchio. Nei lavori del porto, è coinvolto anche il colosso di Stato cinese CCCC, già messo sulla lista nera della Banca Mondiale per una presunta frode nelle Filippine. I dirigenti della Shenghe nel gennaio di quest’anno hanno formato una joint-venture con compagnie sussidiarie della China National Nuclear Corporation.

    Aereoporti: la CCCC non lascia

    La sigla del colosso edilizio CCCC è riemersa nella gara d’appalto lanciata dal governo groenlandese per l’allargamento e la costruzione di tre nuovi aeroporti intercontinentali — a Nuuk, Ilulissat e Qaqortoq — che dovrebbero assicurare all’isola collegamenti diretti con gli Usa e l’Europa. Nel 2018, sei imprese sono state ammesse: l’unica non europea era la CCCC. Ma la sua offerta ha preoccupato gli Usa (nell’isola c’è la base americana di Thule, che può intercettare i missili in arrivo su Washington) e la Danimarca (che ha un diritto di veto sulle questioni che toccano la sicurezza). Così i danesi hanno lanciato all’ultimo momento un’offerta d’oro rilevando un terzo della compagnia groenlandese che appaltava la gara, e la CCCC è stata esclusa. Ma lo scorso 5 aprile è stata annunciata una nuova gara per il «completamento» delle piste e dei terminal a Nuuk e Ilulissat: altro affare milionario, e i cinesi hanno tentato di rientrare grazie a joint-venture formate con imprese olandesi, canadesi e danesi. I lavori inizieranno a settembre.

    Le operazioni di controllo in Islanda

    Pechino ha messo a segno un altro successo nordico, questa volta a Karholl in Islanda: l’osservatorio meteo-astronomico battezzato «CIAO» («China-Iceland Joint Arctic Science Observatory»), tutto finanziato dai cinesi. Tre piani, 760 metri quadrati, controlla i cambiamenti climatici, le aurore boreali, i percorsi dei satelliti. E lo spazio aereo della Nato. Il vice responsabile dell’osservatorio è Halldor Johannson, che in Islanda è anche portavoce di Huang Nubo, il miliardario imprenditore ed ex dirigente del Partito comunista cinese che nel 2012 tentò di comprare per circa sette milioni di euro 300 chilometri di foreste islandesi, dichiarando di volerne fare un parco naturale e turistico. Anche su quelle foreste passavano e passano le rotte della Nato.

    https://www.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB/2019/06/24/12/pvia-polare-span-classrossodella-seta-span-classsezionele-mosse-della-cinas
    #arctique #Chine #Chinarctique #Groenland #espace_aérien #OTAN #mines #extractivisme #Baltique #route_de_la_soie #route_polaire #Estonie #Finlande

    ping @reka @simplicissimus

  • Norvegia, la prima free time zone del mondo - Corriere.it
    https://www.corriere.it/cronache/19_giugno_20/norvegia-l-isola-che-ha-abolito-tempo-saremo-prima-free-time-zone-mondo-8f5


    Les quelque trois cents habitants de l’île de Sommarøy, au nord de la Norvège, ont décidé d’"abolir" le #temps. En raison de son emplacement au-delà du #cercle_polaire_arctique, le soleil ne se couche jamais pendant 69 jours consécutifs, du 18 mai au 26 juillet, alors qu’en #hiver, une seule longue nuit quitte l’île dans le noir de novembre à janvier. C’est pourquoi, depuis des générations, les résidents ont appris à profiter le plus possible de l’#été, sans trop se soucier du décompte traditionnel des #heures. Maintenant, ils veulent officialiser cela en déclarant #Sommarøy, littéralement « #île_d'été », la première « #zone_de_temps_libre » au monde.

    Al tempo non si comanda, ma alle lancette sì. E se è sempre estate allora meglio approfittarne e sbarazzarsi degli orologi. È esattamente quello che pensano i circa trecento abitanti dell’isola di Sommarøy, nel nord della Norvegia, che hanno deciso di «abolire» il tempo. Vista la sua posizione oltre il circolo polare artico, qui il sole non tramonta mai per 69 giorni consecutivi, dal 18 maggio al 26 luglio, mentre d’inverno un’unica lunga notte lascia l’isola al buio da novembre a gennaio. Per questo motivo, da generazioni, i residenti hanno imparato a godersi il più possibile l’estate, senza prestare troppa attenzione al tradizionale conteggio delle ore. Adesso vogliono rendere tutto ufficiale, dichiarando Sommarøy, letteralmente «isola dell’estate», la prima «free-time zone» del mondo.

    • Tragedia al Brennero: profugo muore folgorato sul treno merci

      Il corpo trovato dagli agenti del commissariato di Brennero sul tetto di un container fermo allo scalo merci. I poliziotti: «Siamo impotenti»
      BRENNERO. Ancora un morto sui treni dei migranti in viaggio dall’Italia verso l’Austria. Questa notte allo scalo merci del Brennero è stato trovato il corpo di un uomo folgorato da una scarica elettrica, sul tetto di un container su un carro merci.

      Il convoglio, partito da Verona, era rimasto bloccato alla stazione di Brennero, a causa del deragliamento in Austria che da qualche giorno ha interrotto la linea oltreconfine. Sono stati gli operatori del Commissariato di polizia del Brennero a trovare il corpo. Durante il controllo di alcuni carri merci poco prima di mezzanotte, hanno notato lo squarcio nel telone di un vagone, fatto da alcuni migranti per salire e scendere.

      Guardando oltre, hanno notato un cadavere sul tetto di un container sul carro a fianco. Il corpo, che non era visibile da sotto, è stato notato dagli agenti saliti sulla cabina «dirigenti in movimento». Probabilmente, il migrante si è alzato in piedi facendo da parafulmine. Si è prodotta una scarica violentissima che lo ha ucciso sul colpo.

      La dinamica. Da quanto si è potuto ricostruire, l’uomo sarebbe salito sul tetto del container per cercare di squarciare dall’alto il telone di un vagone accanto, ed entrare per ripararasi dal freddo. Mentre era sul tetto, il treno avrebbe fatto un piccolo movimento, facendogli perdere l’equilibrio. Il migrante avrebbe quindi toccato i fili dell’alta tensione.

      Il suo corpo ha fatto da conduttore, scaricando l’energia verso terra. Dallo stato del cadavere, completamente carbonizzato, non è stato ancora possibile risalire alla nazionalità e all’identità della vittima. La salma è stata trasportata all’ospedale di Vipiteno. Molto probabilmente si tratta di un africano di circa 30 anni. In questi giorni infatti, a causa dell’incidente ferroviario in Austria, sono molti i giovani africani (una trentina) che - nonostante le temperature polari - stazionano a Brennero in attesa di passare il confine verso Nord.

      Si tratta dell’ennesima tragedia sulla linea del Brennero che vede coinvolti migranti che tentano di arrivare in Germania saltando a bordo dei carri merci.

      LE REAZIONI. In mattinata è stata diramata una nota a firma di Mario Deriu e Fulvio Coslovi, segretari provinciali dei sindacati di polizia Siulp e Coisp.

      "La morte di un uomo - si legge -, ancor più quando avviene tragicamente, suscita su ognuno di noi sentimento di pervasiva impotenza, ma quando questa è determinata da silenzi egoistici è da politiche di interesse di parte, bene, allora, siamo in qualche misura tutti responsabili. Questo per affermare che incrementare ossessivamente i controlli di polizia militarizzando la frontiera, non produce alcun risultato, se questi non sono sostenuti da precise scelte di politica europea, condivise e non unilaterali. Diversamente, per il futuro, non possiamo che presagire il ripetersi di tragedie di terra sul nostro territorio. I poliziotti, per l’ennesima volta, hanno assistito al dramma di una morte ingiusta. Toccati umanamente dalla cattiva sorte che ha colpito un uomo disperato, che cercava di realizzare il sogno di vita migliore, anche in questa occasione gli operatori hanno mostrato umanità e professionalità con la consapevolezza di non poter essere gli «armotizzatori sociali» di un fenomeno epocale".

      http://www.altoadige.it/cronaca/bolzano/tragedia-al-brennero-profugo-muore-folgorato-sul-treno-merci-1.1479811

    • Muore folgorato sul treno merci al Brennero

      Un migrante è morto nella notte su un treno merci al Brennero, salito con molta probabilità a Verona, nel suo viaggio dall’Italia verso l’Austria. L’uomo è stato folgorato da una scarica elettrica, sul tetto di un container su un carro merci. La notizia, di Alto Adige online, è stata confermata dalla polizia. Il convoglio numero 43128 verso le ore 23 era rimasto bloccato alla stazione di Brennero, a causa del deragliamento in Austria che da qualche giorno ha interrotto la linea oltreconfine.

      http://www.larena.it/territori/citt%C3%A0/muore-folgorato-sul-treno-merci-al-brennero-1.6190331

    • #Amine_Moutassadik

      Moutassadik Amine, 24 anni, marocchino, è invece morto l’antivigilia di Natale alla stazione di Brennero. Folgorato dai cavi dell’alta tensione mentre si trovava sul tetto di un container caricato su un terno merci. Lo hanno trovato i poliziotti italiani, costretti ormai da anni, a un lavoro difficilissimo e duro. Privi di mezzi e con il fiato sul collo dei gendarmi austriaci e bavaresi.

      https://www.altoadige.it/cronaca/bolzano/adan-ucciso-a-soli-13-anni-dalla-burocrazia-1.1483144

  • Stop alla proroga del #bonus baby sitter e nido (600 euro) per le mamme lavoratrici che rinunciano al congedo

    Addio al beneficio per il servizio di baby sitting per le mamme che rinunciano al congedo parentale: la legge di bilancio per il 2019 non ha prorogato la norma che consentiva alle mamme di «scambiare» il congedo parentale con un bonus fino a 600 euro mensili per un massimo di sei mesi (quelli previsti per il congedo parentale facoltativo) per pagare la baby sitter o l’asilo nido. Lo scrive l’Inps in un messaggio nel quale chiarisce che chi lo ha già chiesto entro l’anno scorso deve usarlo entro il 31 dicembre 2019.

    La legge di bilancio per il 2019 - scrive l’Inps - non ha previsto il rinnovo del beneficio «contributo per i servizi di baby-sitting e per i servizi all’infanzia» introdotto in via sperimentale per il triennio 2013-2015 e prorogato per il biennio 2017-2018. Pertanto dal 1 gennaio 2019, le madri lavoratrici non possono più presentare domanda per l’accesso al beneficio.

    https://www.corriere.it/economia/lavoro/guide/19_aprile_03/stop-proroga-bonus-baby-sitter-nido-600-euro-le-mamme-lavoratrici-che-rinun
    #baby_sitting #aide_financière #femmes #travail #femmes_et_travail #it_has_begun #Italie #congé_parental #femmes #patriarcat #maternité #aide #soutien #welfare_state #Etat_providence

  • En fait, les nouvelles d’#Italie, font vraiment vraiment vraiment #peur!
    C’est un #cauchmar.
    En Italie, le #fascisme n’est pas en marche... il va au galop!

    Quelques liens, que je mets ici en vrac, juste titre et lien...

    Novara, nel nuovo regolamento di polizia divieti su alcol in vetro, abiti succinti e bici legate ai pali

    https://www.lastampa.it/2018/11/02/novara/novara-nel-nuovo-regolamento-di-polizia-divieti-su-alcol-in-vetro-abiti-succinti-e-bici-legate-ai-pali-SZ2qRWWsy9coUXb6p80yNP/pagina.html

    ’’I bambini stranieri occupano le nostre altalene’’, le parole della nuova consigliera della Lega fanno il giro del web tra ironia e condanne
    https://www.ildolomiti.it/politica/2018/i-bambini-stranieri-occupano-le-nostre-altalene-le-parole-della-nuova-con

    Regione Veneto stanzia 50mila euro: premiate le scuole che fanno il presepe
    https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/veneto/regione-veneto-stanzia-50mila-euro-con-cui-premia-le-scuole-che-far

    Bomba carta e bottiglie molotov contro il centro di accoglienza per migranti
    http://www.riminitoday.it/cronaca/bomba-carta-e-bottiglie-molotov-contro-il-centro-di-accoglienza-per-migr

    Friuli, stretta su case a stranieri: il ’metodo-Lodi’ diventa modello e colpisce anche italiani

    https://video.repubblica.it/cronaca/friuli-stretta-su-case-a-stranieri-il-metodo-lodi-diventa-modello-e-colpisce-anche-italiani/318614/319243?ref=fbpr

    On parle de #méthode_Lodi, voici #Lodi:
    https://seenthis.net/messages/729303

    #fascismo_galoppante #fascisme_ordinaire

    cc @isskein @wizo