• #PHOTOS: India’s Ancient Root Bridges Hold Lessons For The Modern World : Goats and Soda : NPR
    https://www.npr.org/sections/goatsandsoda/2020/08/01/892983791/photos-living-tree-bridges-in-a-land-of-clouds

    The more I learned, the more I realized how conventional vocabulary related to building and construction simply did not seem adequate to describe this process. As I walked across my first jing kieng jri, my mind darted this way and that, trying to find a comparable experience. No, it did not feel like crossing a concrete bridge. No, it did not feel like climbing a tree. Instead, it felt like a fairy tale come to life. And perhaps, in a way, that’s what it is.

    #ponts #arbres

  • #Roma_negata. Percorsi postcoloniali nella città
    Un viaggio attraverso la città per recuperare dall’oblio un passato coloniale disconosciuto.

    Libia, Somalia, Eritrea, Etiopia: quali sono le tracce dell’avventura coloniale italiana a Roma? Roma negata è un viaggio attraverso la città per recuperare dall’oblio un passato coloniale disconosciuto e dare voce a chi proviene da quell’Africa che l’Italia ha prima invaso e poi dimenticato. Igiaba Scego racconta i luoghi simbolo di quel passato coloniale; Rino Bianchi li fotografa, assieme agli eredi di quella storia. Il risultato è una costruzione narrativa e visiva di un’Italia decolonizzata, multiculturale, inclusiva, dove ogni cittadino possa essere finalmente se stesso. Negli anni trenta del secolo scorso Asmara, Mogadiscio, Macallè, Tripoli, Adua erano nomi familiari agli italiani. La propaganda per l’impero voluta da Benito Mussolini era stata battente e ossessiva. Dai giochi dell’oca ai quaderni scolastici, per non parlare delle parate, tutto profumava di colonie. Di quella storia ora si sa poco o niente, anche se in Italia è forte la presenza di chi proviene da quelle terre d’Africa colonizzate: ci sono eritrei, libici, somali, etiopi. Il libro riprende la materia dell’oblio coloniale e la tematizza attraverso alcuni luoghi di Roma che portano le tracce di quel passato dimenticato. I monumenti infatti, più di altre cose, ci parlano di questa storia, dove le ombre sono più delle luci. Prende vita così un’analisi emozionale dei luoghi voluti a celebrazione del colonialismo italiano, attraverso un testo narrativo e delle fotografie. In ogni foto insieme al monumento viene ritratta anche una persona appartenente a quell’Africa che fu colonia dell’Italia. Scego e Bianchi costruiscono così un percorso di riappropriazione della storia da parte di chi è stato subalterno. «Volevamo partire dal Corno D’Africa, dall’umiliazione di quel colonialismo crudele e straccione, perché di fatto era in quel passato che si annidava la xenofobia del presente (…) Da Roma negata emerge quel Corno d’Africa che oggi sta morendo nel Mediterraneo, disconosciuto da tutti e soprattutto da chi un tempo l’aveva sfruttato».

    https://www.ediesseonline.it/prodotto/roma-negata

    –---

    Citations :

    «Ma non tutte le memorie, lo stavo scoprendo con il tempo, avevano lo stesso trattamento.
    C’erano memorie di serie B e serie C. Memorie che nessuno voleva ricordare, perché troppo scomode, troppo vere.»

    (pp.16-17)

    «Ahi, il colonialismo italiano ferita mai risanata, ferita mai ricucita, memoria obliata»

    (p.18)

    «Ora la stele sta ad Axum, insieme alle sue sorelle etiopi. Ma a Piazza di Porta Capena cos’è rimasto di quel passaggio?
    Solo vuoto, solo silenzio, assenza, oblio, smemoratezza in salsa italica».

    (p.18)

    «E anche dimenticare la storia che lega Africa e Italia è un’infamia. Perché dimenticandola si dimentica di essere stati infami, razzisti, colonialisti. Italiani brava gente, ti dicono i più autoassolvendosi, e si continua beatamente a rifare gli stessi errori. Ieri i colonizzati, oggi i migranti, vittime di un sistema che si autogenera e autoassolve. Ecco perché sono ossessionata dai luoghi. E’ da lì che dobbiamo ricominciare un percorso diverso, un’Italia diversa.»

    (p.25)

    Sur le Cinema Impero :

    «Il colonialismo italiano era davanti ai loro occhi tutti i giorni con i suoi massacri, i suoi stupri, la sopraffazione dei corpi e delle menti. Era lì con la sua storia di lacrime e di sangue sparso. Era lì a testimoniare quel legame tra Africa e Italia. Un legame violento, cattivo, sporco e non certo piacevole. Anche nel nome quel cinema era violento. L’impero era quello che Benito Mussolini sognava per aver prestigio davanti alle altre potenze europee e soprattutto davanti a quell’Adolf Hitler che lo preoccupava tanto. L’imprero era quello del Mare Nostrum dove le faccette nere sarebbero state costrette a partorire balilla per la nazione tricolore. L’impero era quello che era riapparso ’sui colli fatali di Roma’. Un impero che Benito Mussolini nel discorso del 9 maggio 1936 aveva dichiarato
    ’Impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane’.
    Era la violenza delle squadracce, ma anche gli sventramenti indiscriminati del tessuto urbano delle città africane.
    L’Africa colonizzata dagli italiani si rempì così di archi di trionfo, busti pavoneggianti, palazzi improbabili. In Somalia per esempio De Vecchis, uno dei quadrumviri della marcia su Roma, aveva voluto costruire una cattedrale che fosse l’esatta copia di quella di Cefalù con le sue due torri altissime. Una volta costruita alcuni somali notarono l’altezza sproporzionata delle torri rispetto ai palazzi nei dintorni e cominciarono a definire la costruzione ’la doppia erezione’. E poi come dimenticare il faro di Capo Guardafui trasformato in un fascio littorio? Asmara (ma in generale l’Eritrea) fu quella che però subì più trasformazioni di tutti. Infatti fu chiamata da più parti la piccola Roma. Tra il 1935 e il 1941 gli architetti italiani si sbizzarrirono in questa città creando uno stile assai stravagante che mischiava modernismo, futurismo e un teutonico stile littorio.»

    (pp.32-33)

    Poésie de Ulisse Barbieri (anarchico poeta direttore del giornale « Combattiamo »), Dopo il disastro :

    «No, non è patriottismo, no, per DIO!
    Al massacro mandar nuovi soldati,
    Né tener lì... quei che si son mandati
    Perché dei vostri error paghino il Fio!
    Ma non capire... o branco di cretini...
    Che i patriotti... sono gli Abissini?»

    (p.56)

    «Il Risorgimento, se vogliamo dare anche questa lettura, fu la lotta di liberazione degli italiani dal dominio straniero, dal dominio coloniale. Una liberazione portata avanti da un’élite che si era legata ad uno strano potere monarchico, quello dei Savoia, ma pur sempre una liberazione. Ecco perché il colonialismo italiano è tra quelli europei uno dei più assurdi. Gli italiani, che avevano sperimentato sulla propria pelle il giogo straniero, ora volevano sottoporre lo stesso trattamento brutale a popolazioni che mai si erano sognate di mettersi contro l’Italia. Ma l’Italia voleva il suo posto al sole. Questa espressione sarà usata nel secolo successivo da Benito Mussolini per la guerra d’Etiopia, ma disegna bene le mire espansionistiche italiane anche durante questi primi passi come nazione neocoloniale. L’Italia, questa giovincella, viveva di fatto un complesso di inferiorità verso l’altra Europa, quella ricca, che conquistava e dominava. Si sentiva da meno di Gran Bretagna e Francia. Si sentiva sola e piccolina. Per questo l’Africa si stava affacciando nei pensieri di questa Italietta provinciale e ancora non del tutto formata. L’Italia voleva contare. Voleva un potere negoziale all’interno del continente europeo. E pensò bene (anzi male, malissimo!) di ottenerlo a spese dell’Africa.»

    (pp.56-57)

    «Venne infatti collocato davanti al monumento ai caduti un leone in bronzo proveniente direttamente da Addis Abeba. Non era un leone qualsiasi, bensì il celeberrimo #Leone_di_Giuda, simbolo che suggellava il patto dell’Etiopia con Dio. Sigillo, quindi, della tribù di Giuda, dal quale discendevano molti profeti e Cristo stesso.»

    (p.61)

    #Piazza_dei_cinquecento

    «E chi lo immaginava che proprio questa piazza babilonia fosse legata alal storia del colonialismo italiano? Infatti i cinquecento citati nel nome della piazza sono i cinquecento caduti di Dogali. Non so bene quando l’ho scoperto. Forse l’ho sempre saputo. E forse anche per questo, per un caso fortuito della vita, è diventata la piazza dei somali, degli eritrei, degli etiopi e anche di tutti gli altri migranti. Una piazza postcoloniale suo malgrado, quasi per caso. Perché è qui che la storia degli italiani in Africa orientale è stata cancellata. Nessuno (tranne pochi) sa chi sono stati i cinquecento o che cosa è successo a Dogali».

    (p.68)

    «Quello che successe in quei vent’anni scerellati non era solo il frutto di Benito Mussolini e dei suoi sgherri, ma di una partecipazione allargata del popolo italiano.
    Ed è forse questo il punto su cui non si è mai lavorato in Italia. In Germania per esempio non solo ci fu il processo di Norimberga contro i criminali di guerra nazisti, ma anche un lavoro incessante e certosino sulla memoria. Nel nostro paese si preferì invece voltare pagina senza capire, interiorizzare, percorrere la memoria delle atrocità vissute e/o perpetrate. In Italia la memoria è divisa o dimenticata. Mai studiata, mai analizzata, mai rivissuta, mai ripensata. Soprattutto la storia in Italia non è mai stata decolonizzata. Il colonialismo fu inghiottito da questo oblio e quelli che furono dei punti di riferimento simbolici del fascismo furono lasciati andare alla deriva come fossero delle zattere fantasma in un fiume di non detto.»

    (p.87)

    –—
    Obelisco di Axum, sur la Piazza Capena :

    «#Piazza_di_Porta_Capena fu teatro di alcune manifestazioni, e alcune riguardarono proprio le proteste per la restituzione dell’obelisco all’Etiopia. Ma in generale si può dire che il monumento era di fatto dimenticato. Stava lì, i romani lo sapevano, ma non ci facevano più tanto caso.
    Era lì, sola, immobile, eretta, dimenticata...
    Era lì lontana da casa...
    Era lì spogliata di ogni significato.
    Era giusto uno spartitraffico. Più imponente e raffinato di altri... certo, ma non tanto dissimile dai tanti alberi spennacchiati che svolgevano la stessa funzione in giro per la città.
    Nessuno per anni si occupò della stele. Qualcuno di tanto in tanto vagheggiava una ipotetica restituzione. Ma tutto era lento, tutto sembrava quasi impossibile.»

    (p.90)
    –-> 2005 :

    «Poi i soldi si trovarono e la stele ritornò a casa tra canti e balli popolari»

    (p.95)
    Et une fois restitué...

    «Ma il vuoto, mi chiedo, non si poteva colmare?
    Improvvisamente Piazza di Porta Capena divenne invisibile. Lo era già prima con la stele. Ma almeno con lei presente capitava che qualche romano la guardasse distrattamente e si interrogasse altrettanto distrattamente. Ma senza la stele il luogo è rimasto un non detto. Tutta la storia, tutto il dolore, tutte le nefandezze sparite con un colpo di spugna.»

    (p.96)

    «Quello che mi colpisce di questa polemica, di chi era contrario a una nuova stele e chi era a favore di un monumento nel sito del fu obelisco di Axum, è la totale assenza del dibattito del colonialismo italiano.
    Nessuno, da Fuksas a La Rocca, nominò mai i crimini di guerra che l’Italia fascista aveva compiuto contro l’Africa. Nessuno sottolineò il fatto che quella stele era un bottino di guerra. Nessuno percepì quel vuoto nella piazza come un vuoto di memoria. Anche un urbanista serio e sensibile come Italo Insolera disse non a caso che di obelischi era piena la città.
    Ora un monumento è stato messo. Ne ho parlato all’inizio del nostro viaggio. Un monumento per ricordare le vittime dell’11 settembre. Due colonne anonime di cui i romani ignorano il significato.»

    (pp.97-98)

    «La memoria non è negare quello che è stato, ma rielaborare quella vita passata, contestualizzarla e soprattutto non dimenticarla.»

    (p.101)

    «E poi la democrazia non si insegna, non si esporta, non si crea dal nulla. La democrazia è un moto spontaneo dell’anima. Ognuno ha il suo modo, i suoi tempi, le sue sfumature.»

    (p.103)

    Sur l’inscription sur le #Ponte_Principe_Amedeo_di_Savoia :

    «Comandante superiore delle forze armate dell’Africa Orientale Italiana durante unidici mesi di asperrima lotta isolato alla Madre Patria circondato dal nemico soverchiante per mezzo per forze confermava la già sperimentata capacità di condottiero sagace ed eroico. Aviatore arditissimo instancabile animatore delle proprie truppe le guidava ovunque per terra sul mare nel cielo in vittoriose offensive in tenaci difese impegnando rilevanti forze avversarie. Assediato nel ristretto ridotto dell’#Amba_Alagi alla testa di una schiera di prodi resisteva oltre il limite delle umane possibilità in un titanico sforzo che si imponeva all’ammirazione dello stesso nemico. Fedele continuatore delle tradizioni guerriere della stirpe sabauda puro simbolo delle romane virtù dell’Italia Imperiale Fascista. Africa Orientale Italiana 10 Giugno 1940, XVIII 18 maggio 1941. Motivazione della Medaglia d’Oro al valor militare conferita per la difesa dell’Impero.»

    «Ad Asmara gli abitanti del villaggio di Beit Mekae, che occupavano la collina più alta della città, furono cacciati via per creare il campo cintato, ovvero il primo nucleo della città coloniale, una zona interdetta agli eritrei. Una zona solo per bianchi. Quanti conoscono l’apartheid italiano? Quanti se ne vergognano?»

    (p.107)

    «Girando per Roma questo si percepisce molto bene purtroppo. I luoghi del colonialismo in città vengono lasciati nel vouto (Axum), nell’incuria (Dogali), nell’incomprensione (quartiere africano). Si cancella quello che è troppo scomodo. E’ scomodo per l’Italia ammettere di essere stata razzista. E’ scomodo ammettere che il razzismo di oggi ha forti radici in quello di ieri. E’ scomodo ammettere che si è ultimi anche nel prendersi le proprie responsabilità.»

    (p.107)

    «Etiopia e Eritrea avevano imbracciato le armi per una contesa sorta sul confine di Badme. Il confine era stato tracciato in modo incerto nel 1902 tra l’Italia (allora paese colonizzatore dell’Eritrea) e il regno d’Etiopia. E dopo più di un secolo Etiopia ed Eritrea si combattevano per quel mal nato confine coloniale»

    (p.112)

    «L’Europa è colpevole tutta per lo sfacelo di morte e dolore che sta riversando in uno dei mari più belli del mondo.»

    (p.124)

    «Per la maggior parte degli italiani, e dei media, erano semplicemente disperati, i soliti miserabili morti di fame (quasi un’icona, come il bambino del Biafra macilento e schelettrico), in fuga da guerra, dittatura e carestia. Una sorta di stereotipo universale, quello del disperato senza passato, senza presente e con un futuro impossibile da rivendicare.»

    (p.124)

    «Occupare uno spazio è un grido di esistenza.»

    (p.125)

    «La crisi è quando non sai che strada percorrere e soprattutto che strada hai percorso.»

    (p.125)

    «E come si fa a smettere di essere complici?
    In Somalia tutti i nomadi sanno che il miglior antidoto all’ignoranza, a quella jahilia che ci vuole muti e sordi, è il racconto. Io, che per metà vengo da questa antica stirpe di nomadi e cantastorie, so quanto valore può avere una parola messa al posto giusto. La storia va raccontata. Mille e mile volte. Va raccontata dal punto di vista di chi ha subito, di chi è stato calpestato, di chi ha sofferto la fame e la sete. La visione dei vinti, dei sopravvissuti, di chi ha combattuto per la sua libertà. Solo raccontando, solo mettendo in fila fatti, sensazioni, emozioni possiamo davvero farcela. Solo così le narrazioni tossiche che ci avvelenano la vita ci possono abbandonare. Il concetto di narrazione tossica viene dal collettivo Wu Ming:
    ’Per diventare ’narrazione tossica’, una storia deve essere raccontata sempre dallo stesso punto di vista, nello stesso modo e con le stesse parole, omettendo sempre gli stessi dettagli, rimuovendo gli stessi elementi di contesto e complessità.
    E’ sempre narrazione tossica la storia che gli oppressori raccontano agli oppressi per giustificare l’oppressione, che gli sfruttatori raccontano agli sfruttati per giustificare lo sfruttamento, che i ricchi raccontano ai poveri per giustificare la ricchezza.’»

    (p.128)

    –-> sur la #narration_toxique (#narrazione_tossica) :
    https://www.wumingfoundation.com/giap/2013/07/storie-notav-un-anno-e-mezzo-nella-vita-di-marco-bruno

    «La madre patria era nulla senza le sue colonie, per questo amava mostrarle succubi. Si era inventata il fardello dell’uomo bianco, la civilizzazione, la missione di Dio, solo per poter sfruttare il prossimo senza sensi di colpa.»

    (p.130)

    –-

    Sur la gestion des #funérailles et de l’#enterrement des victimes du #naufrage du #3_octobre_2013 :
    https://seenthis.net/messages/971940

    #mémoire #livre #colonialisme_italien #colonisation #Italie #Rome #traces #paysage #géographie_urbaine #post-colonialisme #toponymie #monuments #mémoire #Igiaba_Scego #passé_colonial #photographie #oubli_colonial #histoire #Asmara #Erythrée #architecture #urbanisme #stele_di_dogali #Dogali #Tedali #Adua #massacre #ras_Alula #Saati #maggiore_Boretti #Ras_Alula #Tommaso_De_Cristoforis #Vito_Longo #Luigi_Gattoni #Luigi_Tofanelli #basci-buzuk #Ulisse_Barbieri #Taitù #regina_Taitù #Pietro_Badoglio #Rodolfo_Graziani #italiani_brava_gente #oubli #ponte_Amedeo_d'Aosta #Principe_Amedeo #mémoire #démocratie #troupes_coloniales #dubat #meharisti #Badme #frontières #frontières_coloniales #zaptiè #retour_de_mémoire #Affile #Ercole_Viri

    –—

    ajouté à la métaliste sur la #colonialisme_italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

    ping @cede @albertocampiphoto @olivier_aubert

    • Citation tirée du livre «#La_frontiera» de #Alessandro_Leogrande:

      «Si è acceso qualcoa dentro di me quando ho scoperto che alcuni dei campi di concentramento eretti negli ultimi anni da Isaias Afewerki per reprimere gli oppositori sorgono negli stessi luoghi dove erano disposti i vecchi campi di concentramento del colonialismo italiano.
      In particolare nelle isole di #Dahlak, cinquanta chilometri al largo di Massaua, dove le galere italiane sono state prima riutilizzate dagli occupanti etiopici e in seguito dallo stesso regime militare del Fronte.
      Il penitenziario di #Nocra, una delle isole dell’arcipelago, fu attivo dal 1887 (proprio l’anno dell’eccidio di Dogali) al 1941, come ricorda Angelo Del Boca in Italiani, brava gente? Vi furono rinchiusi prigionieri comuni, ascari da punire, detenuti politici, oppositori e, dopo l’inizio della campagna d’Etiopia nel 1935, ufficiali e funzionari dell’impero di Hailé Selassié, perfino preti e monaci. (...) L’idea di fare di Nocra e delle isole limitrofe una gabbia infernale si è tramandata nel tempo, da regime a regime»

      (p.85-86)

      –---

      Sul Campo di concentramento di Nocra

      Il campo di Nocra o carcere di Nocra fu il più grande campo di prigionia italiano nella Colonia eritrea e dal 1936 il più grande dell’Africa Orientale Italiana. Venne aperto nel 1887 e chiuso nel 1941 dagli inglesi. Era situato nell’isola di Nocra, parte dell’Arcipelago di Dahlak, a 55 chilometri al largo di Massaua. Dal 1890 al 1941 fece parte del Commissariato della Dancalia. Arrivò a detenere tra un minimo di 500 prigionieri e un massimo di 1.800[1].


      https://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_concentramento_di_Nocra

      #camp_de_concentration #Tancredi_Saletta #Oreste_Baratieri

    • #Igiaba_Scego: “Scopriamo i simboli della storia coloniale a Roma per riempire un vuoto di memoria”

      Igiaba Scego, scrittrice italo somala autrice di libri come ‘Roma negata’ e ‘La linea del colore’, racconta e spiega i simboli del colonialismo presenti nella capitale. Spesso sconosciuti, ignorati, o lasciati nel degrado, narrano una storia che l’Italia ha rimosso: quella delle guerre coloniali che ebbero luogo anche prima del fascismo, e che oggi rappresentano il ‘vuoto di memoria’ del nostro paese. Un dibattito che si è accesso a Roma dopo la decisione di intitolare la stazione della metro C al partigiano italo-somalo #Giorgio_Marincola e non chiamarla più #Amba_Aradam.

      A Roma da qualche settimana si parla dei simboli e dei nomi del rimosso coloniale italiano, grazie alla proposta di intitolare la stazione della metro C su via dell’Amba Aradam a Giorgio Marincola, partigiano italo-somalo morto durante la Resistenza. Una proposta diventata realtà con il voto del consiglio comunale che ha deciso che Roma non appellerà una stazione della metropolitana ‘Amba Aradam’, l’altipiano montuoso dove l’esercito italiano massacrò 20.000 uomini e donne con bombardamenti a tappeto e l’utilizzo di armi chimiche. Di questo e altro abbiamo parlato con la scrittrice Igiaba Scego.

      Quali sono i simboli coloniali a Roma che andrebbero spiegati e sui quali bisognerebbe accendere l’attenzione?

      Non sono molti ma sono collocati in punti simbolici. A Roma, tra piazza della Repubblica e la stazione Termini c’è la Stele di Dogali, a riprova che il colonialismo non è stato solo fascista ma anche ottocentesco. L’obelisco è egiziano ma ha un basamento ottocentesco dedicato alla battaglia avvenuta nel 1887 a Dogali, in Eritrea, dove una colonna italiana venne intercettata e massacrata. Da lì anche il nome di piazza dei 500 davanti la stazione Termini. Di questa battaglia ne ho parlato in due libri, ‘Roma negata’ e ‘La linea del colore’. E nella piazza dove c’è la Stele, s’incontra il colonialismo con le migrazioni di oggi. Questo monumento, che nessuno conosce, è tra l’altro lasciato nel degrado. C’è poi il ponte Duca d’Aosta nei pressi del Vaticano, o il Cinema Impero a Tor Pignattara, che oggi si chiama Spazio Impero. Oltre al fatto di inserire il termine ‘impero’ nel nome, la struttura è quasi uguale a un cinema che è stato realizzato ad Asmara in Eritrea. Ma la cosa che colpisce di più sono i vuoti. Negli anni ’30, venne portata da Mussolini come bottino di guerra dall’Etiopia la Stele di Axum. Questa fu posizionata a piazza di Porta Capena, dove inizia anche il libro ‘Roma negata’. Dopo la guerra, non è stata restituita subito. Nel 1960, Abebe Bikila (campione olimpionico etiope) ha vinto i Giochi di Roma correndo a piedi nudi. Ho sempre pensato che il motivo della sua vittoria non fu solo la sua capacità fisica e la sua caparbietà, ma anche il dover essere costretto a passare per ben due volte davanti la Stele sottratta al suo popolo. Sono convinta che gli abbia dato lo sprint per vincere. La Stele fu poi restituita all’Etiopia negli anni Duemila, tra mille polemiche. Il problema è che ora in quella piazza non c’è nulla, solo due colonnine che rappresentano le Torri Gemelli e di cui nessuno sa nulla. Sarebbe stato giusto ergere sì un monumento per ricordare l’11 settembre, ma soprattutto uno per ricordare le vittime del colonialismo italiano e chi ha resistito ai colonizzatori. Un monumento riparatore per avvicinare i popoli vista la storia scomoda. Quella piazza rappresenta il vuoto di memoria, è come se qualcuno avesse fotografato il rimosso coloniale".

      Quali potrebbero essere i passi da compiere per far emergere il rimosso coloniale?

      Inserirlo nei programmi scolastici e nei libri di testo. Negli ultimi anni è emersa una certa sensibilità e tanti libri sono entrati a scuola grazie agli insegnanti. Sarebbe bello però avere anche nei programmi non solo la storia del colonialismo, ma anche il punto di vista del sud globale. Mi piacerebbe che la storia italiana fosse studiata globalmente, e far emergere le connessioni dell’Italia con l’Europa, l’Africa, l’America Latina e l’Asia. Non penso solo al colonialismo, ma anche alla storia delle migrazioni italiane. Alle superiori andrebbe studiata soprattutto la storia del ‘900. L’altro giorno è scoppiata quella bomba terribile a Beirut: quanti studenti e studentesse sanno della guerra civile in Libano? Sempre nella direzione di far emergere il rimosso coloniale, sarà istituito un museo che si chiamerà ‘Museo italo – africano Ilaria Alpi’. Ma la cosa che servirebbe tantissimo è un film o una serie tv. Presto sarà tratto un film da ‘The Shadow King’, libro di Maaza Mengiste, una scrittrice etiope – americana, che parla delle donne etiopi che resistono all’invasione fascista degli anni ’30. Un libro bellissimo e importante, come è importante che la storia del colonialismo italiano sia raccontata da un prodotto culturale potenzialmente globale. Ma perché un film sul colonialismo italiano lo deve fare Hollywood e non Cinecittà? Perché c’è ancora questa cappa? Non penso a un film nostalgico, ma a una storia che racconti la verità, la violenza. Serve sia lo studio alto sia il livello popolare. Altrimenti il rischio è che diventi solo un argomento per studiosi. È bello che escano libri all’estero, ma dobbiamo fare un lavoro anche qui.

      Quali sono le figure, magari anche femminili, che dovrebbero essere valorizzate e raccontate?

      Metterei in scena la collettività. Un’idea è fare un murales. Nel Medioevo le cattedrali erano piene di affreschi, e attraverso le immagini è stata insegnata la storia della chiesa. Userei la stessa tecnica, mostrando le immagini della resistenza anche delle donne etiope e somali. Servirebbe poi creare qualcosa che racconti anche le violenze subite nel quotidiano, perché non ci sono solo le bombe e i gas, ma anche i rapporti di potere. Mio padre ha vissuto il colonialismo e mi raccontava che prima dell’apartheid in Sudafrica c’era l’apartheid nelle città colonizzate, dove c’erano posti che non potevano essere frequentati dagli autoctoni. Racconterei queste storie sui muri delle nostre città e nelle periferie. È importante ricordare ciò che è stato fatto anche lì.

      https://www.fanpage.it/roma/igiaba-scego-scopriamo-i-simboli-della-storia-coloniale-a-roma-per-riempire-
      #histoire_coloniale #mémoire #symboles

      –---

      –-> sur la nouvelle toponymie de la station de métro:
      https://seenthis.net/messages/871345

    • Citations tirées du livre « #La_frontiera » de #Alessandro_Leogrande :

      «Dopo aver letto Roma negata, il libro di Igiaba Scego sui monumenti, le targhe, le lapidi e i palazzi della capitale che ricordano il colonialismo, sono andato a vedere l’#oblisco_di_Dogali. (...) Il libro è un viaggio nelle pieghe di Roma alla ricerca delle tracce del passato coloniale.
      (...)
      Il paradosso è che la rimozione del passato coloniale riguarda esattamente quelle aree che a un certo punto hanno cominciato a rovesciare i propri figli verso l’Occidente. Sono le nostre ex colonie uno dei principali ventri aperti dell’Africa contemporanea. I luoghi di partenza di molti viaggi della speranza sono stati un tempo cantati ed esaltati come suolo italiano, sulle cui zolle far sorgere l’alba di un nuovo impero»

      (pp.80-81)

      «In realtà il mausoleo [l’obelisco di Dogali], realizzato già nel giugno 1887 dall’architetto #Francesco_Azzurri, fu inizialmente collocato nella vicina piazza dei Cinquecento, l’enorme capolinea degli autobus che sorge davanti alla stazione Termini e si chiama così in onore dei caduti di #Dogali. Ma poi, nei primi anni del regime fascista, fu spostato qualche centinaio di metri in direzione nord-ovest, verso piazza della Repubblica. Ed è lì che è rimasto»

      (pp.82-82)

      https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/la-frontiera

  • Victoire d’Apple qui ne doit pas rembourser 13 milliards d’avantages fiscaux à l’Irlande
    _ Apple n’a finalement dû payer que 1% d’impôts irlandais sur ses bénéfices européens en 2003. Et en 2014, ce taux a encore diminué jusqu’à 0,005%
    https://www.rtbf.be/info/economie/detail_ue-contre-apple-la-justice-se-prononce-sur-les-13-milliards-d-avantages-

    C’est une victoire importante pour le géant du numérique Apple et pour le gouvernement irlandais. La justice européenne a annulé la décision de la Commission exigeant le remboursement à l’Irlande de 13 milliards d’euros d’avantages fiscaux.

    Selon le Tribunal de la Cour de justice de l’Union européenne, la Commission n’est pas parvenue à démontrer « l’existence d’un avantage économique sélectif » _ accordé par l’Etat irlandais à Apple. Cette décision constitue un cuisant revers pour la Commission européenne et sa vice-présidente Margrethe Vestager dans sa volonté de combattre la concurrence fiscale entre Etats qui profite aux multinationales. La Commission peut encore introduire un appel.

    L’Irlande et Apple se réjouissent
    Le gouvernement irlandais et Apple se sont immédiatement félicités de la décision des juges de Luxembourg. « Nous saluons le jugement de la Cour européenne » , a souligné le ministère irlandais des Finances dans un communiqué. Il répète qu’il « n’y a jamais eu de traitement spécial » pour Apple, taxé selon les règles en vigueur dans le pays.
    Selon Apple, « cette affaire ne portait pas sur le montant des impôts que nous payons, mais sur l’endroit où nous devons les payer. Nous sommes fiers d’être le plus grand contribuable au monde, car nous connaissons le rôle important que joue le versement d’impôts dans la société » , a déclaré le groupe à la pomme.

    Un taux de 0,005% sur les bénéfices
    L’affaire remonte au 30 août 2016 : alors Commissaire européenne à la Concurrence, Margrethe Vestager décide de frapper un grand coup. Selon l’enquête de la Commission, Apple a rapatrié en Irlande entre 2003 et 2014 l’ensemble des revenus engrangés en Europe (ainsi qu’en Afrique, au Moyen-Orient et en Inde) car l’entreprise y bénéficiait d’un traitement fiscal favorable, grâce à un accord passé avec les autorités de Dublin. Le groupe a ainsi échappé à la quasi-totalité des impôts dont il aurait dû s’acquitter sur cette période, soit environ 13 milliards d’euros, selon les calculs de la Commission.

    Margrethe Vestager dénonçait alors sans ménagement https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/fr/ip_16_2923 ces arrangements douteux entre le gouvernement irlandais et le géant technologique : « L’enquête de la Commission a conclu que l’Irlande avait accordé des avantages fiscaux illégaux à Apple, ce qui a permis à cette dernière de payer nettement moins d’impôts que les autres sociétés pendant de nombreuses années.  » La Commission a établi qu’Apple n’a finalement dû payer que 1% d’impôts irlandais sur ses bénéfices européens en 2003. Et en 2014, ce taux a encore diminué jusqu’à 0,005%, autrement dit, Apple ne paie pratiquement plus d’impôts sur ses bénéfices en Europe.

    Pour arriver à ce résultat, l’Irlande a détourné la possibilité de conclure des rulings, des arrangements fiscaux avec une société. La Commission relevait que " pratiquement tous les bénéfices de vente enregistrés par les deux sociétés étaient affectés en interne à un « siège ». L’appréciation de la Commission a montré que ces « sièges » n’existaient que sur le papier et n’auraient pas pu générer de tels bénéfices.  " Ce traitement fiscal préférentiel créé un avantage accordé à Apple envers ses concurrents. Cet avantage constitue une « aide d’Etat » illégale, puisqu’elle se fait aux dépens d’autres entreprises soumises à des conditions moins favorables.

    L’Irlande : eldorado des multinationales
    Pour Dublin néanmoins, il n’y avait rien d’illégal. Connue pour ses positions « pro-business », l’Irlande a attiré sur l’île de nombreuses multinationales, pourvoyeuses d’emplois, grâce à une fiscalité avantageuse. C’est d’ailleurs pour cette raison que l’Irlande, comme Apple, a fait appel de la décision. « La Commission a outrepassé ses pouvoirs et violé la souveraineté » irlandaise concernant l’impôt sur les sociétés, avait affirmé Dublin. Quant au patron d’Apple, Tim Cook, il avait qualifié l’affaire de « foutaise politique ».

    L’arrêt pris aujourd’hui est susceptible d’appel. La vice-présidente de la Commission a déclaré qu’elle allait « étudier avec attention le jugement et réfléchir aux prochaines étapes » , sans toutefois dire si la Commission allait faire appel de cet arrêt. Généralement, lorsque les affaires font l’objet d’un pourvoi devant la Cour, la décision définitive intervient environ 16 mois après. Donc dans le cas d’Apple, au cours de l’année 2021. « La Commission européenne maintient son objectif de voir toutes les entreprises payer leur juste part d’impôts » , a ajouté Mme Vestager.

    Pour la Danoise Margrethe Vestager, bête noire des Gafa et surnommée la « tax lady » par le président américain Donald Trump, précisément à cause du cas d’Apple, cette décision vient cependant affaiblir sa politique menée contre une série de multinationales ayant bénéficié d’un traitement fiscal jugé trop favorable.

    La taxe sur le numérique toujours en suspend
    Dans deux affaires similaires, les juges européens avaient tranché dans des sens différents. Ils avaient déjà réfuté les arguments de la Commission européenne concernant la chaîne américaine de cafés Starbucks, sommée de rembourser jusqu’à 30 millions d’euros d’arriérés d’impôts aux Pays-Bas. En revanche, dans le cas de Fiat, ils avaient donné raison à Bruxelles, qui exigeait du groupe italien le versement au Luxembourg d’une somme identique pour avantages fiscaux indus.

    #apple en #Irlande , #paradis_fiscal légal vis à vis de l’#UE #union_européenne Margrethe_Vestager #impôts #fraude_fiscal #multinationnales #gafa

    • Coronavirus : l’inquiétude monte chez les fabricants asiatiques de produits de mode
      https://fr.fashionnetwork.com/news/Coronavirus-l-inquietude-monte-chez-les-fabricants-asiatiques-de-

      Les moyens de subsistance de millions de travailleurs asiatiques de l’habillement sont actuellement menacés par les annulations de commandes des grandes marques de mode , ce qui inquiète à la fois les syndicats, les chercheurs et les militants locaux, qui craignent que la pandémie n’ait des effets délétères sur ce secteur régulièrement pointé du doigt pour ses violations du droit du travail.

      Magasins fermés, chute des ventes : de nombreuses enseignes occidentales annulent leurs commandes ou demandent des remises à leurs fournisseurs asiatiques, notamment au Cambodge ou au Bangladesh. Résultat, de nombreux employés du secteur ont été licenciés, ou ont dû accepter de travailler sans salaire. 

      Selon plusieurs observateurs de l’industrie de la mode, 60 millions de travailleurs pourraient avoir du mal à surmonter la crise, à moins que davantage de marques ne prennent leurs responsabilités. Des poids lourds comme Adidas, H&M et le propriétaire de Zara, Inditex ont promis de payer intégralement toutes leurs commandes, qu’elles soient livrées ou encore en production, selon le Consortium pour les droits des travailleurs (WRC), qui a mené une étude sur 27 des plus importants détaillants de mode mondiaux.

Toutefois, le groupe de surveillance américain a constaté qu’environ la moitié d’entre eux n’avaient pris aucun engagement de ce type pour honorer leurs contrats. Plusieurs détaillants, dont Asos, C&A, Edinburgh Woollen Mill, Gap et Primark, ont déclaré à la Thomson Reuters Foundation qu’ils avaient été contraints de suspendre ou d’annuler certaines commandes, tout en assurant maintenir le contact avec leurs fournisseurs afin d’atténuer l’impact économique de ces annulations.

      Côté fabricants, autre son de cloche. À les entendre, ceux-ci ne font pas le poids face à leurs interlocuteurs occidentaux, ce qui pourrait entraîner des pertes d’emplois. « On n’a jamais pu vraiment négocier avec les acheteurs », indique ainsi un important fournisseur de vêtements du sud de l’Inde, qui préfère garder l’anonymat pour protéger son entreprise.


      Face au tollé général provoqué par ces annulations, plusieurs marques ont accepté de rétablir certaines commandes — pas toutes —, tandis que d’autres ont exigé des remises, des délais de paiement ou se sont contentées de laisser leurs fournisseurs dans l’incertitude, rapporte Penelope Kyritsis, directrice adjointe au WRC. « Ne pas s’engager à honorer l’intégralité de ses commandes, c’est adopter une conduite irresponsable envers ses fournisseurs », tranche-t-elle.



      Il y a quelque temps, le WRC estimait que les annulations de commandes représentaient un manque à gagner de plus de 24 milliards de dollars (près de 22 milliards d’euros) pour les fournisseurs ; ce chiffre est probablement redescendu après les revirements de certaines marques. Mais selon la Fédération internationale de l’industrie textile, les commandes ont baissé de près d’un tiers dans le secteur de l’habillement. « La pandémie de Covid-19, à l’instar de la catastrophe du Rana Plaza, révèle comment les chaînes d’approvisionnement profitent aux entreprises au détriment des fournisseurs et, par conséquent, des travailleurs », conclut Penelope Kyritsis.

La catastrophe du Rana Plaza, du nom de cet immeuble au Bangladesh dont l’effondrement avait tué 1135 travailleurs de l’habillement en 2013, avait déclenché plusieurs initiatives pour améliorer les conditions et les droits du travail à l’échelle mondiale — les experts sont cependant divisés sur le rythme et la portée de ces réformes. Certains observateurs de l’industrie estiment que l’attention suscitée par la crise sanitaire pourrait donner un nouveau souffle à la mobilisation, quand d’autres craignent que la pandémie n’érode les avancées récentes sur le terrain.

      Des réputations en danger
      Les revenus du secteur de l’habillement, qui s’élèvent à 2500 milliards de dollars, pourraient chuter de 30 % en 2020, selon un récent rapport du cabinet de conseil en gestion McKinsey, qui prévient que les entreprises de mode pourraient être les plus touchées par la crise qui s’annonce.

Les marques de vêtements, les syndicats et les organisations patronales ont annoncé la semaine dernière la création d’un groupe de travail, convoqué par les Nations Unies, afin d’aider les fabricants à payer leurs salariés et à survivre à la crise, tout en garantissant l’accès des travailleurs aux soins de santé et à la protection sociale. Toutefois, selon le WRC, certains des détaillants qui soutiennent l’initiative n’ont pas atteint son objectif — garantir que toutes les commandes, livrées ou en cours de production, soient payées dans les temps.

"Visiblement, certaines marques préfèrent soigner leur image publique plutôt que d’honorer leurs contrats", ironise Fiona Gooch, conseillère politique principale au sein du groupe de défense Traidcraft Exchange. « Les détaillants se servent du Covid-19 pour mettre en danger leurs fournisseurs et exiger des remises... certains se comportent comme des voyous », tranche-t-elle, à quelques jours de la Fête du Travail. « Ces mauvais comportements pourraient nuire à leur réputation, après la crise ».

En revanche, les entreprises qui font preuve d’équité et de transparence sur les droits des travailleurs pendant cette période troublée pourraient attirer de nouveaux investisseurs, prédisent plusieurs experts en placement de fonds. Ce mois-ci, un groupe de 286 investisseurs pesant plus de 8200 milliards de dollars d’actifs a exhorté les entreprises à protéger autant que possible leurs relations avec leurs fournisseurs, et à garantir les droits des travailleurs dans leurs chaînes d’approvisionnement.


      Des remises et des annulations 
Selon deux fournisseurs bangladais, qui s’expriment sous couvert d’anonymat, certains détaillants — notamment la société britannique Edinburgh Woollen Mill (EWM) — ont exigé des rabais allant jusqu’à 70 %, un chiffre qui ferait perdre de l’argent aux fabricants sur ces commandes.

Selon un propriétaire d’usine indien, EWM aurait exigé une remise de 50 %, en précisant que le paiement restant ne serait versé qu’après la vente de 70 % des marchandises en question. « EWM adopte un comportement opportuniste, abusif et contraire à l’éthique », déplore-t-il, ajoutant que la plupart de ses autres acheteurs occidentaux ont « agi raisonnablement » dans le cadre des négociations engagées autour de leurs commandes.

Un porte-parole du groupe EWM — qui contrôle également des marques comme Jane Norman et Peacocks — assure que des négociations sont en cours avec ses fournisseurs pour trouver une solution « qui leur convienne ». « Ce n’est pas ce que nous souhaiterions faire en temps normal, mais les circonstances actuelles sont telles que cela devient nécessaire », plaide-t-il.

De nombreuses marques ont fait valoir des clauses de force majeure dans leurs contrats, invoquant des circonstances extraordinaires et imprévues pour annuler leurs commandes. Mais selon plusieurs experts juridiques, il faut encore déterminer si la pandémie peut justifier le recours à cette clause, déclenchée habituellement par les guerres ou les catastrophes naturelles.

Pour l’Organisation internationale des employeurs (OIE), le plus grand réseau de défense du secteur privé au monde, de manière générale, les marques ont agi de manière responsable dans le cadre des négociations avec leurs fournisseurs. « Toutes les marques et tous les acheteurs sont sous pression... des arrangements flexibles ont été mis en place et fonctionnent déjà, dans une certaine mesure au moins », assure le secrétaire général de l’OIE, Roberto Suárez Santos. « La situation est difficile pour tout le monde ».


      Vers un recul des droits des travailleurs ?
      Selon un rapport publié cette semaine par le cabinet de conseil en gestion des risques Verisk Maplecroft, les travailleurs du secteur de l’habillement récemment licenciés pourraient se tourner vers des emplois précaires, où ils risqueraient d’être victimes de travail forcé, voire d’imposer le même traitement à leurs enfants pour remédier à la perte de leurs revenus.

Dans des pays comme la Birmanie, certaines usines ont licencié des ouvriers syndiqués en invoquant une baisse des commandes, tout en conservant des employés non syndiqués, selon des militants qui craignent que la pandémie ne provoque également une érosion des droits, qui pourrait passer inaperçue dans la tourmente actuelle. « Nous devons veiller à ce que les droits et les conditions de travail des ouvriers ne soient pas remis en cause par la crise », martèle Aruna Kashyap, avocate principale de la division consacrée aux droits des femmes de Human Rights Watch, qui exige également que la santé des travailleurs soit prise en compte.

Alors que la plupart des usines fonctionnent toujours au Cambodge et que des centaines d’entre elles ont rouvert au Bangladesh cette semaine, plusieurs défenseurs des droits des travailleurs se disent inquiets face à la faible application des mesures de distanciation physique et d’hygiène. Au Cambodge, par exemple, des petites mains s’inquiètent pour leur santé au travail, mais rappellent qu’elles ont des familles à nourrir. Au Bangladesh, une source du ministère du Travail reconnaît que les quelque 500 usines qui ont repris leurs activités ne sont pas en mesure de faire respecter les mesures de distanciation physique par leurs salariés.

Garantir la sécurité des employés sur leur lieu de travail, c’est justement l’un des objectifs du groupe de travail soutenu par l’ONU, qui exhorte par ailleurs les donateurs, les institutions financières et les gouvernements à accélérer l’accès au crédit, aux allocations de chômage et aux compléments de revenus. Pour ces militants, il est nécessaire que les régimes d’aide et de sécurité sociale des pays producteurs de vêtements soient en partie financés par les marques elles-mêmes, et que la réglementation des pays occidentaux contraigne les entreprises à éradiquer les pratiques commerciales déloyales, l’exploitation et l’esclavage moderne.

Mais pour Jenny Holdcroft, du syndicat IndustriALL qui regroupe 50 millions de membres dans le monde entier, la lumière jetée sur les difficultés des travailleurs du secteur et la réaction inégale des marques face à la crise pourrait s’avérer insuffisante pour transformer en profondeur les chaînes d’approvisionnement. « Si l’on examine toute l’histoire de l’industrie de l’habillement, il est peu probable qu’un véritable changement arrive suite à la crise », prophétise ainsi la secrétaire générale adjointe de l’organisation.

"Les dynamiques et les rapports de pouvoir à l’oeuvre dans le secteur permettent aux marques de s’en tirer malgré leurs comportements autocentrés. Il faut que nous placions la barre plus haut pour l’ensemble de l’industrie de l’habillement... tout en empêchant les entreprises les moins éthiques de continuer leurs activités".



      La Thomson Reuters Foundation entretient un partenariat avec la Laudes Foundation, elle-même affiliée à l’enseigne C&A.

      #mode #esclavage #travail #économie #Inde #Birmanie #Cambodge #Banglades

    • La richissime famille Benetton cède les autoroutes italiennes
      https://fr.businessam.be/la-richissime-famille-benetton-cede-les-autoroutes-italiennes

      Le groupe Atlantia, contrôlé par la dynastie commerciale Benetton, transfère la gestion des autoroutes italiennes à l’État. Cet accord fait suite à la tragédie de l’effondrement du pont Morandi, à Gênes, il y a deux ans.
      La société d’autoroutes Aspi (Autostrade per l’Italia) est transférée à un véhicule d’investissement du gouvernement italien, la Cassa Depositi e Prestiti (CDP).
      Aspi exploitait jusqu’ici plus de 3.000 kilomètres d’autoroutes en tant que société de péage. Elle était également le gestionnaire du pont de Gênes, qui s’est effondré en août 2018. Une catastrophe qui a coûté la vie à 43 personnes. Les Benetton ont pointé du doigt à de multiples reprises. Les enquêtes préliminaires ont en effet révélé de graves lacunes en matière de maintenance. Des critiques envers sa famille qui n’ont pas été au goût du patriarche, Luciano Benetton.
      . . . . . . .
      #Benetton #Italie #pont_morandi #gênes #ponte_morandi #catastrophe d’une #privatisation #pont #infrastructures #effondrement #autostrade #autoroutes #benetton

    • #Torino, prima città rifugio in Italia di chi difende i diritti umani

      Decolla il progetto del Comune con #Amnesty_International. Anche un polo per formare sull’accoglienza.

      Trovano casa a Torino gli attivisti di Amnesty International, ma anche tutti quelli che ogni giorno sono minacciati per la loro battaglia per i diritti umani. L’assessore ai Giovani, Marco Giusta, ha siglato un accordo che la trasforma nella prima “#shelter_city” d’Italia, cioè luogo di rifugio e accoglienza per chi si batte per i diritti umani e per questo è minacciato nel proprio Paese. Il progetto prevede un periodo di ospitalità che va da tre mesi a un anno, a seconda delle necessità: “Si tratta della messa a punto di un lavoro di tre anni e mezzo – racconta Giusta - Torino è davvero diventata la Capitale dei Diritti. Le conoscenze sono fuori dal Palazzo, costruire ponti e collaborazioni con chi lavora ogni giorno sul tema è stato fondamentale. Servivano spazi di codecisione amministrativi e li abbiamo creati al fine di lanciare programmazioni concrete e permanenti per la Città”.
      Il patto prevede da un lato la creazione di una rete d’accoglienza, ma anche il rafforzamento di progetti come #Open_011, la Casa della mobilità giovanile di corso Venezia. Una realtà nato nel 2006 durante le Olimpiadi Invernali e che oggi punta a diventare un Training Centre di livello internazionale. Sarà qui infatti la sede operativa di #JHREP, il Programma di Educazione ai Diritti Umani che Amnesty International Italia, Cifa Onlus e la rete internazionale #Hreyn intendono sviluppare per promuovere l’organizzazione di momenti formativi, training e study session nazionali e internazionali sul territorio torinese. “Torino sui diritti non deve essere arroccata, deve passare all’attacco – chiarisce l’assessore - Attacco non violento, ma strategico: serve una strategia per aggredire il fenomeno di violenza di genere, l’antisemitismo, il razzismo, il fascismo. La nostra strategia è sempre la stessa: serve diffondere valori e temi nella cittadinanza. Una città dei diritti, per me, è una città in cui le persone scelgono di venire a vivere e in cui scelgono di rimanere. In cui i e le giovani mettono alla prova i propri talenti e ambizioni. In cui ogni persona ha la possibilità di lavorare e il diritto di sentirsi a casa. In cui tutti i quartieri beneficiano di nuove opportunità e si sviluppano”.
      Già da luglio è attiva la nuova convenzione ventennale per la gestione dello spazio che prevede un ulteriore innalzamento degli standard qualitativi e l’introduzione di tariffe calmierate riservate a progetti sostenuti dalla Città o finanziati dal programma “#Erasmus_plus” e dal Consiglio d’Europa.

      https://torino.repubblica.it/cronaca/2019/12/10/news/torino_prima_citta_rifugio_in_italia_di_chi_difende_i_diritti_uman
      #Turin #citoyenneté

    • Padova sarà presto la seconda città-rifugio per i difensori dei diritti umani

      L’Italia diventa sempre più sensibile al tema della protezione degli human rights defenders, i difensori dei diritti umani. Tanto che, dopo Trento, anche Padova sarà presto una pioniera delle città-rifugio.

      Grazie ad una campagna lanciata un anno e mezzo fa dalla rete In difesa di formata da oltre 40 associazioni italiane, anche il nostro Paese avrà le sue shelter-cities, luoghi protetti per avvocati, blogger, attivisti in pericolo. La provincia autonoma di Trento ha già approvato una mozione a riguardo, e presto seguirà la provincia di Padova.

      «Ma entro fine anno contiamo di arrivare a cinque enti locali trasformati in shelter cities italiane», anticipa a b-hop Francesco Martone, portavoce della rete «#In_difesa_di…» (www.indifesadi.org)

      Ma cosa sono esattamente le città-rifugio? Luoghi sicuri e protetti nei quali i perseguitati in patria per via del loro essere schierati per professione a difesa dei diritti dei più vulnerabili (pensiamo a chi protegge i popoli indigeni in America Latina o agli avvocati e blogger in Cina, o ancora agli attivisti per diritti degli omosessuali in Africa), potranno vivere tranquilli ma in attività per un periodo circoscritto della loro vita.

      E continuare a lavorare anche a distanza, per portare a compimento la loro missione.

      «Sono due le città italiane che iniziano a muoversi in questa direzione per esser accreditate come shelter city: una è Trento, che ha annunciato di recente il suo coinvolgimento in questo meccanismo – assicura Martone – e l’altra è Padova, che ancora non ha formalizzato l’impegno, ma presto lo farà».

      «Stiamo lavorando anche su Prato e poi con la Regione Lazio e il comune di Milano», dice.

      Ma come si fa a candidarsi per essere una città che protegge chi nel proprio Paese ha dei problemi a proseguire con il lavoro di attivista? Ricordiamo che solo nel 2017 sono morte 312 persone, assassinate perché combattevano per i diritti umani. Parliamo spesso di regimi, altre volte di democrazie a rischio, Stati come la Colombia, la Mauritania, l’Iraq, l’Eritrea.

      Intanto, per accogliere, bisogna avere una “vocazione” già avviata, spiega Martone. Ad esempio, una società civile che abbia già preso a cuore una causa specifica.

      Poi ci si deve collegare ad un protocollo d’intesa che nel frattempo va avanti a livello nazionale. Bisogna cioè manifestare l’interesse ad ospitare un “perseguitato” e prendersi anche dei rischi o la responsabilità di tutelare la sua identità. Certo, l’Italia rispetto ad altri Paesi è indietro ma comincia a muovere passi importanti.

      «Il tema human rights defenders in Italia è relativamente nuovo – spiega Martone– In Germania o Olanda, invece, già esistono gli shelter e funzionano bene. Per i nostri enti locali questo è un uovo di colombo, adesso ci dicono: “finalmente per la prima volta quando parliamo di diritti umani sappiamo esattamente cosa possiamo fare per tutelare le persone“».

      Si tratta di attivare anzitutto un sistema di relazioni diplomatiche abbastanza solido e multi-livello.

      «Necessariamente il nostro lavoro nella Campagna italiana coinvolge le ambasciate e il ministero degli esteri. Noi siamo da due anni in dialogo con la Farnesina su questo», spiega ancora l’attivista.

      E i risultati si vedono: nonostante l’incertezza politica l’Italia è ormai ingaggiata.

      «La Farnesina ha risposto per ora organizzando un mega convegno a Roma sulle buone pratiche.

      Il 18 giugno prossimo saranno presenti alla Farnesina, attivisti dall’area euro-mediterranea, l’Ong Frontline defenders, e Justice & Peace, una Ong olandese che gestisce il programma locale di protezione e molti altri.

      «Questa roba qui in Italia non è stata mai fatta. Intanto creiamo le premesse perché si possa iniziare a capire come fare: incontriamo soggetti che già fanno opera di protezione».

      In effetti ad Amsterdam, Groningen, l’Aja, Maastricht, Middelburg, in Olanda, esistono convenzioni e strutture dove le persone perseguitate possono riprendere fiato, cercare alleanze, ricaricare le energie. Lavorare da avvocati, giornalisti, blogger, attivisti.

      Un esempio? Amsterdam. Dove «puoi essere ciò che sei, amare chi vuoi e pensare e credere in ciò che desideri. Libertà e tolleranza sono parte integrante della città. Ed è questo che rende Amsterdam una shelter city per eccellenza». Così si legge sul sito olandese.

      Lookkaté, ad esempio, è un’attivista che viene dalla Thailandia dove promuove i diritti civili e politici del popolo Thai. Ora si trova in Olanda dove ha trovato momentanemente un po’ di pace. E di alleati.

      «L’altra grande sfida è in effetti quella di trovare terreno fertile: una società civile locale che non solo accolga ma che collabori con lo human rights defender», spiega ancora Martone.

      «Quando un attivista minacciato tende a lasciare il paese d’origine prima ci sono dei protocolli da seguire, dei visti da ottenere, uno status di protezione internazionale temporanea per esempio», spiega infine Martone.

      https://www.b-hop.it/primo-piano/anche-padova-le-citta-rifugio-difensori-dei-diritti-umani
      #Padoue

    • Il Comune di Montegrotto Terme diventa Città Rifugio per i difensori dei diritti umani

      Il Consiglio Comunale di #Montegrotto_Terme ha approvato una mozione per aderire al progetto “Città Rifugio”.

      Si tratta di un progetto pilota di accoglienza temporanea e supporto per difensori dei diritti umani minacciati, in grado di raccogliere le diverse disponibilità territoriali per la relocation degli Human Rights Defenders, da attivare di concerto con la rete "In Difesa Di - per i diritti umani e chi li difende”, con gli altri Enti locali italiani interessati, le organizzazioni della società civile presenti ed attive sul territorio, e il Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova.

      Il Comune di Montegrotto Terme va ad aggiungersi ai Comuni di #Trento, Padova, #Cadoneghe, #Ponte_San_Nicolò, #Rubano, #Noventa_Padovana, #Asiago, Torino e alla Provincia Autonoma di Trento che hanno già aderito all’iniziativa.

      Con l’approvazione della mozione il Comune di Montegrotto Terme si impegna inoltre a:

      promuovere occasioni di studio, formazione e scambio di esperienze tra amministrazioni territoriali, organizzazioni della società civile e università sul ruolo degli enti locali nella protezione dei difensori dei diritti umani e le Città-Rifugio;
      promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado iniziative di sensibilizzazione sui difensori dei diritti umani intese come educazione all’assunzione di responsabilità per lo svolgimento di ruoli di cittadinanza attiva e democratica;
      sollecitare il Governo nazionale affinché attivi programmi di protezione per i difensori dei diritti umani, rafforzando l’iniziativa del corpo diplomatico italiano nell’attuazione delle linee-guida UE ed OSCE, ed aderendo alla Temporary Relocation Platform dell’Unione Europea;
      prevedere attraverso gli strumenti della cooperazione decentrata iniziative di supporto a programmi e progetti di sostegno e protezione dei difensori dei diritti umani in paesi terzi, centrale per il perseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile;
      inviare la rispettiva mozione all’ANCI ed alla Conferenza Stato-Regioni al fine di diffonderla presso altri Enti locali sollecitandone l’impegno per la protezione dei difensori dei diritti umani e la creazione di opportunità di rifugio temporaneo per attivisti a rischio e di programmi di cooperazione decentrata nei paesi terzi.

      L’iniziativa intende dare attuazione alla Dichiarazione “sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti” (Dichiarazione sui Difensori dei diritti umani), adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1998; alle Linee Guida sui Difensori dei diritti umani, adottate dal Consiglio dell’Unione Europea nel 2004 e aggiornate nel 2008, volte ad orientare il lavoro delle rappresentanze diplomatiche dell’Unione e degli Stati Membri e la “Piattaforma UE di coordinamento per l’asilo temporaneo dei difensori dei diritti umani”; nonché alle Linee Guida sulla protezione dei Difensori dei diritti umani, adottate dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) nel 2014.

      L’art. 1 della Dichiarazione sui Difensori dei diritti umani stabilisce che “tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale”.

      L’Unione Europea nell’ambito della “Piattaforma di coordinamento per l’asilo temporaneo dei difensori dei diritti umani” (European Union Human Rights Defenders RE location Platform, EUTRP), ha implementato dei programmi di training in modo da garantire la necessaria sicurezza del Difensore; l’obiettivo è dunque un approccio di sviluppo e potenziamento delle capacità (capacity building), affinché i difensori dei diritti umani acquisiscano gli strumenti per mitigare i rischi che corrono e che risultano determinanti affinché possano elevare il loro livello di sicurezza e la qualità del loro lavoro.

      Nel Rapporto presentato quest’anno dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani è stata riaffermata la centralità degli Enti locali in un sistema integrato di protezione e sostegno ai difensori dei diritti umani che preveda anche un maggior impegno da parte della diplomazia, attraverso le ambasciate in paesi terzi e nei consessi internazionali quali il Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite.
      Nel medesimo Rapporto sono indicati i principi che devono informare le iniziative a sostegno dei programmi di ricollocamento temporaneo dei difensori dei diritti umani: che siano fondate sui diritti umani, che includano difensori e difensore di differenti background, integrino la dimensione di genere, siano fondate su un approccio olistico alla sicurezza, siano orientate alla protezione di individui e collettivi, prevedano la partecipazione dei difensori e difensore nella scelta delle misure di protezione e siano flessibili al fine di soddisfare i bisogni specifici dei difensori e delle difensore.

      L’iniziativa “Città Rifugio-Shelter City” fu lanciata per la prima volta nel 2012 dai Paesi Bassi. Essa prevede che, quando i difensori dei diritti umani sono seriamente minacciati a causa del loro operato da attivisti, possono richiedere un alloggio temporaneo alle città olandesi di: Amsterdam, Groningen, L’Aja, Maastricht, Middelburg, Nijmegen, Tilburg, Utrecht. Il periodo di permanenza di un difensore dei diritti umani è ridotto (dai 3 ai 6 mesi), questo perché la ratio è di fornirgli un periodo di “rest and respite” (riposo e tregua) al di fuori del suo paese, per poi poter affrontare nuovamente la lotta nonviolenta per i diritti umani quando le minacce saranno cessate.
      L’iniziativa olandese è stata in grado di amplificare un forte segnale al governo dei paesi di origine, all’opinione pubblica e agli eventuali responsabili delle minacce al difensore dei diritti umani: sostenendo pubblicamente il difensore, l’iniziativa dimostra che le violazioni sui diritti umani denunciate dall’attivista minacciato, sono prese seriamente in considerazione da parte della comunità internazionale. A tal riguardo, particolarmente vulnerabili, risultano essere le cosiddette Women Human rights Defenders, donne attiviste minacciate, e le loro famiglie.

      In Italia, sotto impulso della rete “In Difesa Di - per i diritti umani e chi li difende” alcuni Enti locali italiani stanno lavorando alla creazione di programmi di accoglienza temporanea e rifugio per difensori e difensore dei diritti umani a rischio.

      La mozione approvata dal Comune di Montegrotto Terme è disponibile al link sottostante.

      https://unipd-centrodirittiumani.it/it/news/Il-Comune-di-Montegrotto-Terme-diventa-Citta-Rifugio-per-i-difensori-dei-diritti-umani/4969

  • En Allemagne, pas d’#asperges sans Roumains

    Chronique, sur la vie, la vraie, vue d’Allemagne. Ce voisin qu’on croit connaître très bien mais qu’on comprend si mal. Au menu de cette semaine, la passion des Allemands pour les asperges a poussé le gouvernement à ouvrir ses frontières pour faire rentrer des #saisonniers roumains, indispensables à la récolte de leur légume-roi.

    Il a déjà été évoqué dans cette chronique le rapport singulier qu’entretiennent les Allemands avec leurs asperges. Ils les aiment bien blanches, massives, au diamètre imposant, et noyées sous environ douze litres d’épaisse sauce hollandaise. C’est ainsi : entre les Allemands et l’asperge la relation est passionnelle, fusionnelle, et surtout irrationnelle. Comme le dit avec humour la chroniqueuse Margarete Stokowski, que ne ferait-on pas pour célébrer le « culte » du « vieux mâle blanc des arts culinaires » ? Ainsi, tous les ans, le pays, premier producteur européen, surveille ses récoltes comme le lait sur le feu, et on ne compte plus les articles espérant le retour du Spargelzeit, le temps des asperges, comme la promesse de jours meilleurs.
    « Aucun Allemand ne veut faire ce boulot »

    Aussi le pays se trouva-t-il fort dépourvu lorsque le coronavirus menaça de mettre en péril la récolte du légume-roi. Sans travailleurs saisonniers venus de l’Est, pas d’asperges, et pas de sauce hollandaise. Car si les Allemands se bousculent pour acheter leur légume préféré, ils se pressent moins pour les ramasser. « Aucun Allemand ne veut faire ce boulot », déplorait déjà un producteur dans le Brandebourg en 2018. Ramasser des asperges est harassant, et consiste à travailler dix heures par jour le dos courbé pour le salaire minimum.

    Un printemps sans asperges ? Face à cette catastrophe annoncée, le gouvernement allemand n’est pas resté les bras ballants. La ministre de l’Agriculture, Julia Klöckner (CDU), a d’abord proposé d’utiliser des demandeurs d’asile, dont on lèverait l’interdiction de travail. Certaines personnes originaires d’Albanie, de Bosnie-Herzégovine ou du Kosovo ne pourraient-elles pas faire l’affaire ? Finalement, le gouvernement s’est dit : coronavirus ou pas, il nous faut des travailleurs saisonniers. D’un seul homme, les exploitants se sont proposés afin d’aller chercher les volontaires par avion. Seul hic, la plupart des frontières en Allemagne sont fermées depuis la mi-mars.

    Soulagement

    Qu’à cela ne tienne. Si Paris vaut bien une messe, l’asperge vaut bien une entorse à la fermeture des frontières. Le 2 avril, le gouvernement fédéral a permis la venue de 80 000 travailleurs saisonniers. Des images d’ouvriers roumains, photographiés à leur sortie d’avion façon paparazzade, ont alors envahi les médias, qui poussèrent un cri de soulagement : « Les saisonniers sont là. » Même le parti d’extrême droite AfD s’est réjoui, une fois n’est pas coutume, de l’#ouverture_des_frontières.

    Seulement, l’affaire n’est pas sans danger, quand bien même les exploitants assurent respecter les consignes d’hygiène et de sécurité. L’un de ces ouvriers agricoles roumains est mort du Covid-19 lors du week-end de Pâques, près de Fribourg-en-Brisgau (Bade-Wurtemberg). Il avait 57 ans. On suppose qu’il a contracté le virus en Allemagne. Une éditorialiste du Zeit s’est indignée, et elle n’est pas la seule : « Pas besoin d’être diplômée en économie pour comprendre que l’idée d’envoyer des milliers de Roumains démunis en Allemagne pour travailler dans les champs en pleine pandémie n’est pas particulièrement bonne. »

    https://www.liberation.fr/planete/2020/04/21/en-allemagne-pas-d-asperges-sans-roumains_1785811

    #travailleurs_étrangers #migrations #coronavirus #covid-19 #Roumanie #travailleurs_roumains

    Ajouté à cette métaliste :
    https://seenthis.net/messages/849493

  • #Sakhaline : un #pont russe vers l’Asie ? - REGARD SUR L’EST
    http://regard-est.com/sakhaline-un-pont-russe-vers-lasie

    L’histoire a montré qu’en #Russie, les ponts ne sont pas toujours conçus uniquement comme moyens de passage. Souvent, ils peuvent aussi être au service d’une affirmation de puissance, ce qu’illustrent les récents exemples des ponts de l’île Rousski à Vladivostok et de Crimée. Le projet de pont vers le Japon est à la jonction entre gigantisme et nécessité de créer des liens à l’opposé de la frontière européenne.

    #infrastructures #transport #circulation #mobilité

  • #Coronavirus : quand les #gens_du_voyage ne peuvent plus voyager

    Le #confinement vaut pour tout le monde. Le « restez chez vous » se conçoit aussi sur quatre roues. La #Wallonie impose leur maintien sur place, même sur des sites officieux.

    Le confinement d’une population est une décision forte et contre-nature. Mais que dire lorsque l’#interdiction_de_circuler concerne les gens du voyage dont le propre est de prendre la route et de s’installer au bord de celle-ci, parfois au petit bonheur la chance ? Etienne Charpentier est de ceux-là. Il témoigne de sa #frustration depuis le terrain de #Pont-à-Celles où il a installé sa caravane et une dizaine d’autres, avec sa famille : « Quand tout cela sera fini, les roues vont chauffer ! », résume celui qui préside le comité national des gens du voyage, déjà dans les starting-blocks.

    Combien sont-ils en Wallonie ? On cite le chiffre de 10.000, à la belle saison. Mais le recensement est difficile. Traditionnellement, beaucoup de Français sillonnent nos routes. Le confinement annoncé, ils ont préféré rentrer chez eux. Ils reviendront tôt ou tard.

    En hiver, beaucoup de gens du voyage ont aussi un point de chute fixe. C’est le cas d’Albert Zepp à #Mons : « J’y ai une maison et une caravane dans le jardin, où je dors. J’y suis confiné comme tous les Belges. Mais s’il n’y avait pas de coronavirus, j’aurais déjà repris la route, vers les Ardennes, la France. L’été, c’est la saison de #pèlerinages. J’attends le feu vert des autorités. » D’autres, comme Etienne Charpentier, ont été surpris par le confinement et n’ont plus bougé depuis lors.

    « Or, l’hiver est fini et on a l’habitude de dire que les gens du voyage bougent toutes les trois semaines à partir de mars. Les consignes les empêchent de #repartir, cette fois », note Ahmed Hakim qui dirige le centre de médiation des gens du voyage. Avec cette structure, la Wallonie s’est dotée d’un outil qui combat les idées reçues et tente d’améliorer les relations de ces citoyens avec les autorités et la population.

    « Des gens responsables »

    Le directeur peut témoigner d’une application stricte des instructions fédérales : « Je suis agréablement surpris. Les gens du voyage se montrent très sensibles à la situation sanitaire. Ils prennent ça très au sérieux. Les familles sont dans une sorte de #promiscuité, mais elles cherchent elles aussi à respecter la #distanciation_sociale. A ma connaissance, aucun foyer épidémique n’a été enregistré dans ces communautés. »

    Le centre de médiation a publié une affichette qui recense les gestes et les attitudes à adopter face au coronavirus : lavage des mains, distances, éternuements… Mais d’autres pictogrammes font référence à ce mode de vie particulier : éviter les discussions en groupe devant les caravanes, ne pas laisser courir les enfants en bande… Ici, le « restez chez vous » se conçoit sur quatre roues !

    « Nous ne sommes pas des gens à part. Nous savons que nous devons aussi nous protéger et protéger les autres. Nous sommes des gens responsables », explique Etienne Charpentier. Il n’empêche : quand la question d’un confinement a été mise sur la table, les gens du voyage ont bien senti que les rapports parfois compliqués avec les populations sédentaires risquaient de s’exacerber un peu plus.

    Leurs responsables s’en sont même ouverts dans un communiqué à l’intention des autorités : « A l’heure où les mesures de confinement et les fermetures des frontières se multiplient, plusieurs groupes de la communauté installés dans différentes communes wallonnes subissent les affres de la population et se voient sommés de déguerpir. Ce sont des “villages” entiers qui sont contraints de se déplacer. »

    Le respect des consignes

    Etienne Charpentier évoque des cas en #Hainaut, mais il n’en dira pas plus. A Pont-à-Celles où il a trouvé refuge avec les siens, l’accueil a été correct. « Mais cela n’a pas été simple parce que le terrain choisi est dans le centre-ville. Nous avons eu des expériences difficiles, des difficultés quand d’autres communautés ont choisi de s’installer sur le site de l’Arsenal », explique Pascal Tavier (PS), le bourgmestre. Quand le confinement a été décrété, certains habitants ont craint que les gens du voyage « dévalisent » les commerces locaux.

    Mais le climat s’est apaisé dans cette commune proche de Charleroi : « Ils se sont installés sans accord et sont peu nombreux. Nous avons négocié. Cette famille respecte le voisinage, il y a eu une ou deux #plaintes, mais c’est tout. Ils ont pris contact avec Ores et la SWDE pour l’accès à l’électricité et à l’eau. Etienne Charpentier et les siens sont là jusqu’à la fin du confinement. »

    Pont-à-Celles respecte à la lettre les instructions du gouvernement wallon. Alerté de possibles difficultés par les représentants de la communauté, Pierre-Yves Dermagne (PS), le ministre des Pouvoirs locaux, a adressé un courrier aux gouverneurs de provinces et à travers eux à toutes les communes. La principale recommandation porte sur « le maintien des installations actuelles sur les sites officiels et officieux. »

    Le même exécutif avait déjà gelé toutes les procédures d’#expulsion. Il a affiné sa réflexion pour les gens du voyage : le temps de la crise, « ceux-ci doivent pouvoir y demeurer sans être inquiétés et sans entrave ni dans l’exercice de leurs #droits ni dans l’accomplissement de leurs #obligations », précise le ministre qui demande aussi que « les autorités communales organisent l’accès à l’#eau et à l’#électricité. »

    Un impact économique

    Pas question donc d’un cadeau à une communauté minoritaire : il s’agit de protéger des citoyens en difficulté dans des temps troublés. Mais le gouvernement wallon s’inscrit aussi dans une logique unanimement partagée : pendant le confinement, les #déplacements sont interdits. En caravane, aussi !

    Etienne Charpentier nous a demandé de l’écrire : « L’intervention wallonne a été très appréciée. » Le maintien sur place est pourtant pénible à vivre. Les familles et les groupes ne peuvent plus se rencontrer, se croiser. La fête de #Pâques approche et elle compte beaucoup pour les gens de la route, elle se vivra cette fois en petit comité.

    Le moment venu et comme partout ailleurs, il faudra aussi parler de l’après-coronavirus : « Ce confinement, c’est toute une #économie en panne sur les marchés, le spectacle ou les fêtes foraines. Beaucoup sont indépendants et leurs activités au jour le jour ne permettent pas d’engranger de la trésorerie. Il faudra aussi aider les gens du voyage », plaide déjà Ahmed Hakim.

    Les terrains, sujet sensible

    En Wallonie, onze communes ont conclu une convention avec la Région pour assurer l’accueil des gens du voyage. Trois d’entre elles (#Namur, #Ath et #Bastogne) disposent de #terrains officiels et équipés. En 2019, la législation a été renforcée et un appel à projets a été lancé. Neuf communes ont été retenues pour bénéficier d’une subvention de 500.000 euros qui permettra d’aménager des sites nouveaux : Amay, Charleroi, Mons, Ramillies, Verviers, Lessines, Ottignies-Louvain-la-Neuve, Sambreville et encore Bastogne. La procédure suit son cours, elle est suivie de près par Christie Morreale (PS), la ministre des Affaires sociales.

    Et à #Bruxelles ? Aucun site officiel n’est disponible actuellement pour les gens du voyage. « Des sites officieux ont existé du côté de #Schaerbeek, #Anderlecht ou #Bruxelles-Ville, mais ils ne sont plus accessibles », déplore le Wallon Ahmed Hakim qui suit la situation de près parce que les familles de la route ne connaissent pas de frontières. Il ajoute : « C’est dommage parce qu’en 2012, la capitale avait approuvé une ordonnance qui considérait que la #caravane était bien un habitat. »

    https://plus.lesoir.be/293333/article/2020-04-08/coronavirus-quand-les-gens-du-voyage-ne-peuvent-plus-voyager
    #Roms #Belgique #mobilité #immobilité #covid-19 #préjugés #fermeture_des_frontières

    ping @thomas_lacroix

  • Berlin ready to airlift Greek island refugees

    German activists have collected funds to start airlifting refugees and asylum seekers from the Greek islands to Berlin.

    “If the governments say yes, we can start immediately. It is a matter of organisation with a flight broker, which means it could take two days,” Axel Steier of the German NGO #Mission_Lifeline, told EUobserver on Tuesday (31 March).

    Steier, who co-founded the NGO, says they collected €55,000 in donations following plans by city of Berlin state politicians to relocate 1,500 people or possibly more stuck on the Greek islands to the German capital.

    He says German church affiliated charity organisations like #Diakonie and #Stadtmission_Berlin have agreed to help when it comes to housing the new arrivals.

    The money collected covers two flights but the NGO is seeking more donations to continue future airlifts.

    “We try to finance more now so we can make an airlift between #Lesbos and Berlin and if there is more money and more willing local governments we can bring more,” said Steier.

    Some 42,000 refugees, asylum seekers and migrants are spread out across five Greek Aegean islands. Of those, around 20,000 are crammed into Moria, a camp on the island of Lesbos, and whose facilities are designed to accommodate 3,000.

    Faced with deplorable conditions described as among the worst in the world when it comes to refugee camps, fears are mounting of a looming Covid-19 outbreak amid reports by Human Rights Watch that Greece is also arbitrarily detaining nearly 2,000 people on the mainland.

    The urgency of the efforts to decongest the islands has since led to a new proposal by the Berlin state government to bring in the most vulnerable.

    In an interview with German media outlet Der Tagesspiegel, Berlin’s justice minister Dirk Behrendt said the idea had received cross party support at the state level and that the city is ready to take in people.

    “The red-red-green state government is completely on the same page,” he said, in reference to party coalition colours spanning the Social Democratic Party, Left Party, and the Greens.

    “If something doesn’t happen very quickly at the federal level - and for me this is more a question of hours than days - then Berlin is also prepared to take its own steps together with civil society organisations and fly people out of Lesbos,” he said.

    He noted while Germany was able to repatriate 170,000 holiday-makers around the world in a matter of days due to the pandemic, the federal government is still dithering about on earlier pledges to relocate unaccompanied minors from Greece.

    “There is apparently a reluctance in Germany because there are fears of playing into the hands of the AfD [Alternative for German, a far-right political party] with a large-scale evacuation operation,” he told Tagesspiegel.

    The EU had earlier this year cobbled together a plan to evacuate 1,600 unaccompanied minors in the aftermath of Turkey’s failed efforts to force political concessions after opening its borders for migrants to cross into Greece.

    Croatia, France, Germany, Ireland, Italy, Luxembourg and Portugal were among the first to agree to take in the minors but the proposal stalled following the outbreak of Covid-19. Some states, such as the Netherlands, have flat out refused.

    “We are not willing to take over children,” said Dutch migration minister Ankie Broekers-Knol earlier this month.

    https://euobserver.com/coronavirus/147944
    #Allemagne #asile #migrations #réfugiés #pont_aérien #Grèce #îles #évacuation #relocalisation #société_civile #Berlin #solidarité #accueil #hébergement #coronavirus #vulnérabilité

    ping @thomas_lacroix @isskein

    –----------

    @karine4 en lien avec la question des #villes-refuges, quelques citations :

    Berlin’s justice minister Dirk Behrendt said the idea had received cross party support at the state level and that the city is ready to take in people.

    “If something doesn’t happen very quickly at the federal level - and for me this is more a question of hours than days - then Berlin is also prepared to take its own steps together with civil society organisations and fly people out of Lesbos,” he said.

    Ajouté à la métaliste sur les villes-refuge

  • 43. Il ponte spezzato

    Lara riceve un messaggio da Luigi: “Faccio l’ultima consegna e vengo a casa”. Da quel momento soltanto silenzio e poi l’ansia che comincia a salire. È il 14 agosto 2018 e alle ore 11.36 di quella vigilia di Ferragosto è crollato il Ponte Morandi di Genova. Il bilancio definitivo sarà di 43 morti, decine di feriti e 600 sfollati. Una sciagura annunciata che mette a nudo una gestione insufficiente della rete stradale italiana. L’indagine sul crollo di Genova stabilirà chi deve assumersene le responsabilità, per questo caso. Tra le macerie la magistratura cerca i reperti, ritenuti la prova chiave per stabilire le cause del disastro: monconi di calcestruzzo e fili di acciaio, che dall’hangar di Genova viaggiano fino ai laboratori dell’EMPA di Dübendorf, dove vengono sottoposti ad una super perizia. Un lavoro che Falò ha potuto seguire in esclusiva assoluta. E il parere degli esperi svizzeri si intreccia con le testimonianze dei sopravvissuti, dei familiari delle vittime, dei soccorritori e di chi ha perso la casa, per dar vita ad un documentario-inchiesta in cui la ricerca della verità insegue le drammatiche storie dei protagonisti.


    https://www.rsi.ch/la1/programmi/informazione/falo/43.-Il-ponte-spezzato-11531245.html
    #14_août_2018 #Gênes #pont #ponte_Morandi #privatisation #Gruppo_autostradale_per_l'Italia #responsabilité #entretien #maintenance #sfollati_via_Porro #péages #profit #business #Italie #film #film_documentaire

    –—

    Une donnée essentielle pour comprendre ce qui s’est passé :
    Coût d’entretien des autoroutes :
    98% des coûts ont été pris en charge avant 1999, soit avant la privatisation de la gestion des autoroutes en 1999 (https://it.wikipedia.org/wiki/Autostrade_per_l%27Italia)
    2% après 1999...

  • Il ponte di Brooklyn
    Wikiradio del 24/05/2016 - Rai Radio 3
    https://www.raiplayradio.it/audio/2016/05/Il-ponte-di-Brooklyn---Wikiradio-del-24052016-e2ec0f4a-930f-483d-b0b2-d

    Il 24 maggio 1883 viene definitivamente aperto al transito il ponte di Brooklyn con Gian Luca Favetto

    Repertorio

    – due estratti da un docu-fiction dedicato alla famiglia Roebling, dal titolo «Il ponte di Brooklyn» (dal programma tv Passaggio a Nord-Ovest, RAI 1, marzo 2014)

    – da una intervista a Ferdinando Scianna, in cui il fotografo parla del suo celebre scatto - risalente al 1986 - di una macchina incidentata sullo sfondo dei ponti di Brooklyn e Manhattan (da Il terzo anello - Passiamoci sopra...Storie di ponti - Radio3, 9 settembre 2006)

    – lettura di un brano da America di Franz Kafka in cui è descritto il ponte di Brooklyn (da Rosebud - Radio2, novembre 1994)

    – breve estratto dal documentario «Itinerari diversi», dedicato alle invenzioni che hanno fatto la storia degli Stati Uniti (Discovery Channel)

    – uno spot anni Settanta della celebre «gomma del ponte» (fonte: YouTube)

    Brani musicali

    – «Just over the Brooklyn Bridge» di Art Garfunkel (dall’allbum Up ’Til Now, ed Sony Music Entertainment, 1993)

    – «The Brookly Bridge» (musica di Sammy Cahn, testo di Jule Styne) nell’esecuzione di Frank Sinatra (ed. Columbia Records, 1947)❞

    #podcast #wikiradio #RaiRadio3 #USA #Roebling #EmilyWarrenRoebling #newYork #pontBrooklyn

  • #Giuseppe_Pinelli - une épine dans le flanc du pouvoir

    Un #podcast de Yaëlle Lucas et Lorenzo Valera, pour raconter une des pages les plus sombres de l’histoire italienne : la mort du cheminot anarchiste Giuseppe #Pinelli, tombé par la fenêtre du commissariat lors d’un interrogatoire, le 14 décembre 1969.

    https://www.terracanto.org/une-epine-dans-le-flanc-du-pouvoir
    #audio #histoire #massacre #Piazza_Fontana #anarchisme #violences_policières #Italie #assassinat

    ping @wizo @albertocampiphoto

  • Denmark starts border checks at crossings to Sweden

    Danish police on Tuesday began performing border checks at the country’s crossings with Sweden, moves that followed a series of shootings and explosions around Copenhagen that Danish authorities say were carried out by people crossing the waterway between the Scandinavian neighbors.

    The checks were conducted on trains and vehicles crossing the Oresund Bridge over the narrow waterway that separates Copenhagen, Denmark’s largest city, and Malmo, Sweden’s third-largest city. Checks were also carried out at ferry ports.

    Police spokesman Jens Jespersen told The Associated Press that officers at the Oresund Bridge vehicle checkpoint had “a particular focus on cross-border crime involving explosives, weapons and drugs.” He also said authorities were stopping cars to have “a peak at who is inside.”

    “It gives us a pretty good picture of who is coming over,” he said.

    For years, Danes and Swedes have been able to cross without needing a passport. Now a passport is needed for Swedes entering Denmark — at least for the next six months.

    That requirement and the checkpoints come after violence that includes 13 explosions in Copenhagen since February, as well as a shooting in June that killed two Swedish citizens.

    The spiraling violence is believed to be gang related, stemming from disputes over drugs, money, protection and retaliation. An estimated 200 people in Malmo belong to about a dozen gangs.

    On Saturday, a shooting in Malmo killed a 15-year-old boy and critically wounded another. Police said the teenagers who were shot were well-known to authorities in Malmo and officials vowed to crack down even further on organized crime. No one has been arrested.

    Lilian Gustavsson, a 67-year-old Swedish woman who was about to embark on the train to Malmo from Copenhagen’s international airport, said she understood why the Danes were carrying out the checks.

    “I believe this will mean a little travel delay for everyone,” she said. “I fear we might get stuck, but better that than having criminals crossing.”

    As part of Monday’s checks, all vehicles coming from Sweden on the Orseund Bridge were led to a rest area on the Danish side. They then went through a large white tent where officers checked the driver, passengers and the car. Police scanned vehicle license plates, Jespersen said, “so if a (vehicle) is known in the system, we can pull it aside.”

    During the roughly four-hour check Monday, no one was pulled aside, he said. He declined to give details as to when police would carry out further checks but said “a good guess would be two or three times a week.”

    https://apnews.com/45659f17ec2e44eb8160ec4efeb10c21
    #fermeture_des_frontières #contrôles_frontaliers #Schengen (fin de -) #frontières #Danemark #Suède #migrations #asile #réfugiés

    ping @reka

    • Les papeteries de #Pont_de_Claix : un #patrimoine méconnu

      A l’occasion des Journées européennes du patrimoine qui se dérouleront les 14 et 15 septembre prochains, la ville de Pont-de-Claix organise une exposition sur la mémoire des papeteries et des papetiers.

      Le site industriel des papeteries a fermé ses portes le 1er juillet 2008 suite à une liquidation judiciaire. Ce fut un important drame social puisque des centaines de personnes se sont retrouvées sans emploi. C’est également une page de l’histoire qui se tourne pour la commune de Pont-de-Claix, car à bien des égards, les papeteries sont un site important. L’entreprise d’origine familiale est la première à s’être installée sur le territoire Pontois. De surcroît, cette industrie est à l’origine de la création et de la structuration de la commune.

      187 ans d’Histoire et d’activités industrielles

      Le Pont-de-Claix est une commune récente : cette année, la ville fête son 141ème anniversaire. Elle tire son nom du pont qui surplombe le Drac, construit entre 1608 et 1611 à l’initiative de François de Bonne, futur Duc de Lesdiguières.

      Cependant, la construction de ce pont n’est pas à l’origine de la fondation de la commune. Il faut savoir que jusqu’à la fin du XIXe siècle le hameau du Pont-de-Claix dépendait de la ville de Claix, canton de Vif, et de Champagnier, canton de Vizille. Ce n’est qu’en 1872 que les Pontois, de plus en plus nombreux suite à l’établissement des papeteries, ont exprimé le souhait de l’autonomie du bourg. La fondation de la commune est étroitement liée à l’implantation de la première société industrielle, les papeteries de Pont-de-Claix.

      Les papeteries de Pont-de-Claix se sont installées au Hameau du Pont, sur la terre de Marcelline du Drac en 1821. Le pharmacien grenoblois, Etienne Breton, passionné de chimie, et ses fils Jules et Paul Breton sont les fondateurs de ces papeteries. A la mort de son père et de son frère, Paul Breton dirige l’entreprise avec son cousin Paul Bon et madame Vve Breton. Paul Breton est un personnage important pour la ville de Pont-de-Claix car il n’est autre que le premier maire de la commune. Il a joué un rôle majeur pour l’autonomie du petit bourg pontois obtenue en 1873. L’industrie est donc à l’origine de la fondation de la commune.

      Ce site a traversé 187 années d’Histoire de France et a lutté contre les différentes crises rencontrées jusqu’en 2008. Pendant la Première Guerre mondiale par exemple, un dispensaire de 60 lits a été aménagé dans les papeteries pour soigner les soldats blessés et du papier macule goudronné [ndlr : papier d’emballage renforcé] a été envoyé au front pour isoler les tranchées du froid. L’histoire forte de cette bâtisse est intimement liée à l’histoire des pontois. C’est toute une histoire de la papeterie française et d’un savoir-faire qui s’est terminée en 2008.

      Les papeteries aujourd’hui

      Actuellement, le site est en cours de démolition. Seuls des bâtiments datant du XIXe siècle, la Villa Sombardier et le château seront conservés. Afin de ne pas perdre une partie importante de l’Histoire, la ville de Pont-de-Claix a mis en place un comité de travail pour la mémoire des papeteries.

      Ce groupe de mémoire des papeteries est composé de différents services de la ville tels que les centres sociaux, l’urbanisme, la bibliothèque, la communication, la maison de l’Habitant, les archives et enfin la culture. Pour mener à bien ce projet de mémoire, nous sommes à la recherche de témoignages, de documents photos / vidéos, d’archives et d’objets qui sont en lien avec les papeteries et la vie sociale des papetiers et leurs familles.

      https://www.echosciences-grenoble.fr/articles/les-papeteries-de-pont-de-claix-un-patrimoine-meconnu

      #patrimoine_industriel

    • Et voilà le #projet_d'aménagement de la #métro...

      Projet d’aménagement des Papeteries de #Pont-de-Claix

      Une entrée stratégique : Le projet de réaménagement des « Papeteries » doit permettre de valoriser le positionnement stratégique du site en tant que porte d’entrée pour le sud de l’agglomération.

      Développer l’activité économique et la création d’emplois : Avec ce projet, les partenaires entendent conforter le positionnement de Pont-de-Claix comme un pôle économique majeur de la Métropole. Pour ce faire, le projet des « Papeteries » mêlera emplacement pour des entreprises et nouveaux logements dans un « projet mixte ».

      Penser à l’existant : Ces nouvelles constructions devront permettre une bonne transition avec les quartiers d’habitat voisins, la Métropole veillera à apporter un traitement architectural et paysager élevé.

      Préserver l’histoire : Les Papeteries de Pont-de-Claix sont une trace importante de l’histoire de notre territoire. La Métropole tachera de valoriser ce site historique et son patrimoine bâti.

      L’avenue des maquis de l’Oisans qui traverse le site, sera requalifiée afin de s’adapter aux nouveaux usages.


      https://participation.lametro.fr/project/projet-d-amenagement-des-papeteries-de-pont-de-claix/presentation/presentation-et-suivit

      #aménagement_du_territoire

  • Ventimiglia : sempre più caro e pericoloso il viaggio dei migranti al confine Italia-Francia

    Confine Francia-Italia: migranti fermati, bloccati, respinti

    I respingimenti sono stati monitorati uno ad uno dagli attivisti francesi del collettivo della Val Roja “#Kesha_Niya” (“No problem” in lingua curda) e dagli italiani dell’associazione Iris, auto organizzati e che si danno il cambio in staffette da quattro anni a Ventimiglia per denunciare gli abusi.

    Dalle 9 del mattino alle 20 di sera si piazzano lungo la frontiera alta di #Ponte_San_Luigi, con beni alimentari e vestiti destinati alle persone che hanno tentato di attraversare il confine in treno o a piedi. Migranti che sono stati bloccati, hanno passato la notte in un container di 15 metri quadrati e infine abbandonati al mattino lungo la strada di 10 km, i primi in salita, che porta all’ultima città della Liguria.

    Una pratica, quella dei container, che le ong e associazioni Medecins du Monde, Anafé, Oxfam, WeWorld e Iris hanno denunciato al procuratore della Repubblica di Nizza con un dossier il 16 luglio. Perché le persone sono trattenute fino a 15 ore senza alcuna contestazione di reato, in un Paese – la Francia – dove il Consiglio di Stato ha stabilito come “ragionevole” la durata di quattro ore per il fermo amministrativo e la privazione della libertà senza contestazioni. Dall’inizio dell’anno i casi sono 18 mila, scrive il Fatto Quotidiano che cita dati del Viminale rilasciati dopo la richiesta di accesso civico fatta dall’avvocata Alessandra Ballerini.

    Quando sia nato Sami – faccia da ragazzino sveglio – è poco importante. Più importante è che il suo primo permesso di soggiorno in Europa lo ha avuto a metà anni Duemila. All’età di 10 anni. Lo mostra. È un documento sloveno. A quasi 20 anni di distanza è ancora ostaggio di quei meccanismi.

    A un certo punto è stato riportato in Algeria – o ci è tornato autonomamente – e da lì ha ottenuto un visto per la Turchia e poi la rotta balcanica a piedi. Per provare a tornare nel cuore del Vecchio Continente. Sami prende un foglio e disegna le tappe che ha attraversato lungo la ex Jugoslavia. Lui è un inguaribile ottimista. Ci riproverà la sera stessa convinto di farcela.

    Altri sono in preda all’ansia di non riuscire. Come Sylvester, nigeriano dell’Edo State, vestito a puntino nel tentativo di farsi passare da turista sui treni delle Sncf – le ferrovie francesi. È regolare in Italia. Ha il permesso di soggiorno per motivi umanitari, oggi abolito da Salvini e non più rinnovabile.

    «Devo arrivare in Germania perché mi aspetta un lavoro come operaio. Ma devo essere lì entro ottobre. Ho già provato dal Brennero. Come faccio a passare?», chiede insistentemente.

    Ventimiglia: le nuove rotte della migrazione

    Il flusso a Ventimiglia è cambiato. Rispetto ai tunisini del 2011, ai sudanesi del 2015, ma anche rispetto all’estate del 2018. Nessuno, o quasi, arriva dagli sbarchi salvo sporadici casi, mostrando plasticamente una volta di più come la cosiddetta crisi migratoria in Europa può cambiare attori ma non la trama. Oggi sono tre i canali principali: rotta balcanica; fuoriusciti dai centri di accoglienza in Italia in seguito alle leggi del governo Conte e ai tagli da 35 a 18-21 euro nei bandi di gare delle Prefetture; persone con la protezione umanitaria in scadenza che non lavorano e non possono convertire il permesso di soggiorno. Questa la situazione in uscita.

    In entrata dalla Francia si assiste al corto circuito del confine. Parigi non si fida dell’Italia, pensa che non vengano prese le impronte digitali secondo Dublino e inserite nel sistema #Eurodac. Perciò respinge tutti senza badare ai dettagli, almeno via treno. Incluse persone con i documenti che devono andare nelle ambasciate francesi del loro Paese perché sono le uniche autorizzate a rilasciare i passaporti.

    Irregolari di lungo periodo bloccati in Italia

    In mezzo ci finiscono anche irregolari di lungo periodo Oltralpe che vengono “rastrellati” a Lione o Marsiglia e fatti passare per nuovi arrivi. Nel calderone finisce anche Jamal: nigeriano con una splendida voce da cantante, da nove mesi in Francia con un permesso di soggiorno come richiedente asilo e in attesa di essere sentito dalla commissione. Lo hanno fermato gli agenti a Breil, paesotto di 2 mila anime di confine, nella valle della Roja sulle Alpi Marittime. Hanno detto che i documenti non bastavano e lo hanno espulso.

    Da settimane gli attivisti italiani fanno il diavolo a quattro con gli avvocati francesi per farlo rientrare. Ogni giorno spunta un cavillo diverso: dichiarazioni di ospitalità, pec da inviare contemporaneamente alle prefetture competenti delle due nazioni. Spesso non servono i muri, basta la burocrazia.

    Italia-Francia: passaggi più difficili e costosi per i migranti

    Come è scontato che sia, il “proibizionismo” in frontiera non ha bloccato i passaggi. Li ha solo resi più difficili e costosi, con una sorta di selezione darwiniana su base economica. In stazione a Ventimiglia bastano due ore di osservazione da un tavolino nel bar all’angolo della piazza per comprendere alcune superficiali dinamiche di tratta delle donne e passeurs. Che a pagamento portano chiunque in Francia in automobile. 300 euro a viaggio.

    Ci sono strutture organizzate e altri che sono “scafisti di terra” improvvisati, magari per arrotondare. Come è sempre stato in questa enclave calabrese nel nord Italia, cuore dei traffici illeciti già negli anni Settanta con gli “spalloni” di sigarette.

    Sono i numeri in città a dire che i migranti transitato, anche se pagando. Nel campo Roja gestito dalla Croce Rossa su mandato della Prefettura d’Imperia – l’unico rimasto dopo gli sgomberi di tutti gli accampamenti informali – da gennaio ci sono stabilmente tra le 180 e le 220 persone. Turn over quasi quotidiano in città di 20 che escono e 20 che entrano, di cui un minore.

    Le poche ong che hanno progetti aperti sul territorio frontaliero sono Save The Children, WeWorld e Diaconia Valdese (Oxfam ha lasciato due settimane fa), oltre allo sportello Caritas locale per orientamento legale e lavorativo. 78 minori non accompagnati da Pakistan, Bangladesh e Somalia sono stati trasferiti nel Siproimi, il nuovo sistema Sprar. Il 6 e il 12 luglio, all’una del pomeriggio, sono partiti due pullman con a bordo 15 e 10 migranti rispettivamente in direzione dell’hotspot di Taranto. È stato trasferito per errore anche un richiedente asilo a cui la polizia ha pagato il biglietto di ritorno, secondo fonti locali.

    Questi viaggi sono organizzati da Riviera Trasporti, l’azienda del trasporto pubblico locale di Imperia e Sanremo da anni stabilmente con i conti in rosso e che tampona le perdite anche grazie al servizio taxi per il ministero dell’Interno: 5 mila euro a viaggio in direzione dei centri di identificazione voluti dall’agenda Europa nel 2015 per differenziare i richiedenti asilo dai cosiddetti “migranti economici”.
    A Ventimiglia vietato parlare d’immigrazione oggi

    A fine maggio ha vinto le elezioni comunali Gaetano Scullino per la coalizione di centrodestra, subentrando all’uscente Pd Enrico Ioculano, oggi consigliere di opposizione. Nel 2012, quando già Scullino era sindaco, il Comune era stato sciolto per mafia per l’inchiesta “La Svolta” in cui il primo cittadino era accusato di concorso esterno. Lui era stato assolto in via definitiva e a sorpresa riuscì a riconquistare il Comune.

    La nuova giunta non vuole parlare di immigrazione. A Ventimiglia vige un’ideologia. Quella del decoro e dei grandi lavori pubblici sulla costa. C’è da completare il 20% del porto di “Cala del Forte”, quasi pronto per accogliere i natanti.

    «Sono 178 i posti barca per yacht da 6,5 a oltre 70 metri di lunghezza – scrive la stampa del Ponente ligure – Un piccolo gioiello, firmato Monaco Ports, che trasformerà la baia di Ventimiglia in un’oasi di lusso e ricchezza. E se gli ormeggi sono già andati a ruba, in vendita nelle agenzie immobiliari c’è il complesso residenziale di lusso che si affaccerà sull’approdo turistico. Quarantaquattro appartamenti con vista sul mare che sorgeranno vicino a un centro commerciale con boutique, ristoranti, bar e un hotel». Sui migranti si dice pubblicamente soltanto che nessun info point per le persone in transito è necessario perché «sono pochi e non serve».

    Contemporaneamente abbondano le prese di posizione politiche della nuova amministrazione locale per istituire il Daspo urbano, modificando il regolamento di polizia locale per adeguarsi ai due decreti sicurezza voluti dal ministro Salvini. Un Daspo selettivo, solo per alcune aree della città. Facile immaginare quali. Tolleranza zero – si legge – contro accattonaggio, improperi, bivacchi e attività di commercio abusivo. Escluso – forse – quello stesso commercio abusivo in mano ai passeurs che libera la città dai migranti.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2019/07/24/ventimiglia-migranti-oggi-bloccati-respinti-francia-situazione/amp
    #coût #prix #frontières #asile #migrations #Vintimille #réfugiés #fermeture_des_frontières #France #Italie #danger #dangerosité #frontière_sud-alpine #push-back #refoulement #Roya #Vallée_de_la_Roya

    –----------

    Quelques commentaires :

    Les « flux » en sortie de l’Italie, qui entrent en France :

    Oggi sono tre i canali principali: rotta balcanica; fuoriusciti dai centri di accoglienza in Italia in seguito alle leggi del governo Conte e ai tagli da 35 a 18-21 euro nei bandi di gare delle Prefetture; persone con la protezione umanitaria in scadenza che non lavorano e non possono convertire il permesso di soggiorno. Questa la situazione in uscita.

    #route_des_Balkans et le #Decrét_Salvini #Decreto_Salvini #decreto_sicurezza

    Pour les personnes qui arrivent à la frontière depuis la France (vers l’Italie) :

    In entrata dalla Francia si assiste al corto circuito del confine. Parigi non si fida dell’Italia, pensa che non vengano prese le impronte digitali secondo Dublino e inserite nel sistema Eurodac. Perciò respinge tutti senza badare ai dettagli, almeno via treno. Incluse persone con i documenti che devono andare nelle ambasciate francesi del loro Paese perché sono le uniche autorizzate a rilasciare i passaporti.
    (...)
    In mezzo ci finiscono anche irregolari di lungo periodo Oltralpe che vengono “rastrellati” a Lione o Marsiglia e fatti passare per nuovi arrivi.

    #empreintes_digitales #Eurodac #renvois #expulsions #push-back #refoulement
    Et des personnes qui sont arrêtées via des #rafles à #Marseille ou #Lyon —> et qu’on fait passer dans les #statistiques comme des nouveaux arrivants...
    #chiffres

    Coût du passage en voiture maintenant via des #passeurs : 300 EUR.

    Et le #business des renvois de Vintimille au #hotspot de #Taranto :

    Il 6 e il 12 luglio, all’una del pomeriggio, sono partiti due pullman con a bordo 15 e 10 migranti rispettivamente in direzione dell’hotspot di Taranto. È stato trasferito per errore anche un richiedente asilo a cui la polizia ha pagato il biglietto di ritorno, secondo fonti locali.

    Questi viaggi sono organizzati da #Riviera_Trasporti, l’azienda del trasporto pubblico locale di Imperia e Sanremo da anni stabilmente con i conti in rosso e che tampona le perdite anche grazie al servizio taxi per il ministero dell’Interno: 5 mila euro a viaggio in direzione dei centri di identificazione voluti dall’agenda Europa nel 2015 per differenziare i richiedenti asilo dai cosiddetti “migranti economici”.

    –-> l’entreprise de transport reçoit du ministère de l’intérieur 5000 EUR à voyage...

  • Hé ben, ils deviennent vachement engagés à l’INA:
    https://twitter.com/inafr_officiel/status/1145759473333485568

    L’aspersion de gaz lacrymogène directement sur le visage de manifestants assis sur la voie publique ? Bien avant l’épisode du Pont de Sully : du déjà-vu en 2010, lors de cette manifestation d’infirmières à Montpellier. #PontDeSully #Sully

    https://video.twimg.com/amplify_video/1145725439048060928/vid/720x404/VsB2_O1sbfayPqhm.mp4?tag=13


  • Au moins 25 000 ponts en France sont « en mauvais état structurel »
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2019/06/27/au-moins-25-000-ponts-en-france-presentent-des-problemes-de-securite_5482062


    Le pont reliant La Rochelle à l’île de Ré, en mai 2018.
    XAVIER LEOTY / AFP

    Selon un rapport sénatorial, la dégradation de nombre d’ouvrages est le fruit d’un « sous-investissement chronique », posant « des problèmes de sécurité et de disponibilité pour les usagers ».

    Deux semaines avant l’effondrement meurtrier du viaduc Morandi, à Gênes, le maire de la petite commune de Beaumontel, dans l’Eure, a constaté au matin du 1er août 2018 qu’un des piliers du pont sur la Risle, entre la mairie et l’église, s’était affaissé et ne soutenait plus rien. Pont fermé, 250 000 euros de travaux. Un mois après la catastrophe italienne, c’est sur l’imposant viaduc de l’île de Ré qu’un câble précontraint rompait en raison de la corrosion. Circulation restreinte, 2 millions d’euros de réparations. La France n’est pas à l’abri d’un accident tragique : au moins 25 000 ponts sont « en mauvais état structurel » et « posent des problèmes de sécurité et de disponibilité pour les usagers », selon un rapport sénatorial rendu public jeudi 27 juin, qui réclame un « plan Marshall » pour « éviter le drame ».

    Dans la foulée de l’écroulement du viaduc italien, le Sénat avait lancé une mission d’information sur l’état des ponts en France, dirigée par le président de la commission de l’aménagement du territoire et du développement durable, le centriste Hervé Maurey, et dotée des moyens d’une commission d’enquête. Le nombre de ponts en France est évalué entre 200 000 et 250 000 – une fourchette étonnamment large. C’est la première surprise du rapport : personne n’est capable de donner le nombre exact de ces ponts routiers, faute d’un recensement du patrimoine des collectivités locales. Une inconnue révélatrice « des lacunes de la politique de surveillance et d’entretien », estime la mission.

    L’Etat possède 24 000 ponts. La moitié, gérée par les sociétés concessionnaires d’autoroutes, est sans problème. Pour le reste, 7 % présentent des défauts de sécurité et 2 800 d’entre eux, construits après-guerre, arrivent en « fin de vie » et nécessitent une chirurgie lourde. Un audit externe, remis en juin 2018 au ministère des transports, estimait qu’un tiers des ponts de l’Etat avaient besoin de travaux, dont 7 % présentaient « un risque d’effondrement ». Le tableau est plus sombre encore du côté des collectivités territoriales, qui gèrent 90 % des ouvrages : entre 100 000 et 120 000 pour les départements, dont 8,5 % en mauvais état, et de 80 000 à 100 000 pour les communes, dont 18 % à 20 % présentent des défaillances.

    #paywall

  • Migranti, Centri per il rimpatrio peggio del carcere: “condizioni deplorevoli”

    Una situazione ancora più critica che in passato, molto dura e preoccupante, sia dal punto di vista della vita quotidiana, che scorre senza nessuna attività, con evidenti ripercussioni sulla salute psicofisica delle persone ristrette (fino a sei mesi o anche più), sia per quanto riguarda le condizioni materiali degli ambienti, spesso danneggiati o incendiati da precedenti ospiti ma mantenuti in tali condizioni di deterioramento e di assenza di igiene. E’ la fotografia dei Cpr (#Centri_per_il_rimpatrio) in Italia secondo il Garante delle persone private della libertà #Mauro_Palma.

    A distanza di alcuni mesi dalle ultime visite il Garante, nei giorni scorsi, ha effettuato nuove visite in quattro dei sei Centri per il rimpatrio presenti sul territorio italiano. Il 6 giugno una delegazione guidata da #Daniela_de_Robert, componente del Collegio del Garante, si è recata presso il Cpr di #Ponte_Galeria, a Roma, nel quale ha visitato l’appena riaperta sezione maschile. Il 18, il 19 e il 20 giugno, una delegazione guidata dal Presidente Mauro Palma e dalla stessa de Robert, ha visitato i Cpr di #Palazzo_San_Gervasio (in provincia di #Potenza), di #Bari e di #Brindisi. “Alcune criticità appaiono persino più gravi che in passato, in primo luogo perché la possibile prolungata permanenza rende ancora più inaccettabili talune condizioni, in secondo luogo perché nuove criticità si sono prodotte nel tempo: per esempio il guasto, riscontrato in un Centro, di tutti i telefoni pubblici che, unito alla mancata disponibilità di telefoni cellulari da destinare agli ospiti, rischia di comprimere il diritto alla difesa e quello all’unità familiare - si legge nella nota del Garante -. In alcuni Cpr non esistono ambienti forniti di tavoli e gli ospiti si trovano costretti a consumare i pasti sul proprio letto. Una privazione della libertà disposta perlopiù non in conseguenza di reati ma per irregolarità amministrative non può essere simile o peggiore a quella di chi sconta una pena. Tantomeno può prevedere minori garanzie di tutela dei propri diritti: per questo il diritto al reclamo e il potere di vigilanza dell’autorità giurisdizionale devono essere introdotti per le situazioni di privazione della libertà delle persone migranti, come il Garante nazionale ha da tempo raccomandato”. Pertanto il Garante chiede al governo di valutare “l’assoluta necessità di rendere la qualità della vita in questi Centri compatibile con il recente allungamento dei tempi di trattenimento”.

    Dopo aver visitato recentemente il Porto di #Civitavecchia e le zone aeroportuali di #Fiumicino e #Malpensa, il Garante nazionale il 20 giugno ha altresì visitato il Porto di #Bari – il primo Porto d’Italia per respingimenti – e le relative pertinenze, esaminando le procedure di espulsione e di respingimento, al fine di evitare che l’Italia debba rispondere in sede internazionale per eventuali violazioni.

    https://www.redattoresociale.it/article/ed20f84c-41c9-456c-8ca0-bb42d23d03a2/migranti_nei_centri_per_il_rimpatrio_condizioni_deplorevoli_e_sempr
    #cpr #détention_administrative #rétention #Italie #asile #migrations #réfugiés #ports #aéroports #renvois #expulsions #Italie

  • More street name changes on the cards for #District_Six

    The names of more streets will be changed to their original names in the erstwhile District Six, whose name was changed to #Zonnebloem.

    Dr Anwar Nagia, founder of the District Six Museum, said: “We as the museum are currently in the process of changing five street names back to their old street names, such as the old #Pontact_Street and #Tennent_Street.”

    He said there were many elements that they had to look at that still existed in District Six.

    “We are in the process of changing five street names, but to us they have already been changed symbolically,” he said. “We are doing this the right way and we didn’t want to do this in a campaign way. Presentations will be made this week to the subcouncil committee on renaming and then we will take it from there.”

    The museum started a campaign last year to officially change the name of Zonnebloem back to District Six.

    In the apartheid era, District Six was named Zonnebloem when the area was declared whites-only and the previous residents were forcibly removed. It was a farming estate until the early 19th century, when it became a suburb of Cape Town as the population and city boundaries grew.

    Zonnebloem became home to freed slaves, merchants, labourers and immigrants. The District Six area is made up of Walmer Estate, Zonnebloem and lower Vredehoek.

    Some parts of Walmer Estate, like Rochester Street, were completely destroyed, while other parts, such as Cauvin Road, were preserved but the houses were demolished. In other parts of Walmer Estate, like Worcester Road and Chester Road, people were evicted but only a few houses were destroyed.

    City media manager Luthando Tyhalibongo said: “In order for a name to be changed, the procedure outlined in the city’s naming policy must be followed. This includes, among others, for the proposal to be considered by a relevant committee, public participation, a report to council (with detailed technical specifications and an estimate budget for a name change) and a favourable vote by council to approve the name change.”

    Tyhalibongo said the city would have to undertake a public participation process to offer residents and interested and affected parties the opportunity to comment on the proposed name change.

    https://image.iol.co.za/image/1/process/610x99999?source=https://inm-baobab-prod-eu-west-1.s3.amazonaws.com/public/inm/media/image/111196030.JPG
    https://www.iol.co.za/capeargus/news/more-street-name-changes-on-the-cards-for-district-six-27028784
    #toponymie #noms_de_rue #Afrique_du_Sud #musée

  • Morts à la frontière #Italie-#France (frontière basse, donc #Vintimille)

    #frontière_sud-alpine #montagne #mourir_aux_frontières #asile #migrations #réfugiés #décès #morts #frontières #frontières

    –-

    Liste des morts à cette frontière entre 2016 et 2018, par Nous voulons des coquelicots :

    Depuis la fermeture de la frontière en juin 2015, de nombreux réfugiés ont péri en tentant de la franchir.

    9 septembre 2018 : le corps sans vie d’un migrant échoué à 3 mètres de profondeur a été repêché hier par la capitainerie du futur nouveau port de Vintimille.

    20 juin 2018 : Un migrant d’environ 35 ans a été trouvé, sans doute mort noyé, par des passants, sur le rivage à Vintimille.

    14/01/2018
    Un migrant qui pourrait être de nationalité Gambienne, a été retrouvé matin décédé par électrocution en gare de Menton (Alpes-Maritimes), sur le toit de la locomotive d’un train en provenance de Vintimille (Italie). Les pompiers sont intervenus vers 6h00 pour prendre en charge la victime, précise le service départemental d’incendie et de secours (SDIS), Il s’était allongé au niveau de la caténaire et a subi de ce fait un arceau électrique qui l’a brûlé par électrocution, précise la police. Trois détonations avaient été entendues par les passagers et le conducteur du train peu après le départ de Vintimille (Italie), des témoins apercevant aussi des flammes, mais l’arrêt n’a été possible qu’en gare de Menton.

    27/12/2017 : un jeune homme d’une vingtaine d’années, d’origine africaine, est retrouvé mort sur un talus de l’autoroute, après avoir chuté pendant son sommeil depuis la cabane abandonnée où il dormait en surplomb de l’A8 au niveau de Roquebrune-Cap-Martin.

    26/08/2017 : un homme de 25 ans est retrouvé électrocuté dans le compartiment technique du train venant de Vintimille.

    16/08/2017 : un homme Irakien de 36 ans, heurté par un train dans le tunnel de Peglia.

    12/07/2017 : un jeune Gambien de 23 ans, heurté par un camion sur la via Aurelia entre la frontière et Vintimille. Selon des témoins, il était seul et la police a indiqué qu’il avait été reconduit en Italie par la police française il y a quelques jours.

    13/06/2017 : un jeune soudanais âgé de 16 ans meurt noyé à Vintimille, dans la mer, à l’embouchure de la Roya.

    23/05/2017 : Un homme sénégalais est retrouvé électrocuté dans le compartiment technique du train venant de Vintimille.

    19/05/2017 : Un homme malien de 30 ans est électrocuté dans le compartiment technique du train venant de Vintimille.

    19/03/2016 : un homme africain, hébergé au camp géré par la Croix Rouge Italienne, tombe du Pas de la Mort. Son corps est retrouvé le 21 mars.

    17/02/2017 : un homme est électrocuté sur le toit du train venant de Vintimille. Il est retrouvé au centre de maintenance de Cannes La Bocca.

    05/02/2017 : Un jeune homme nord-africain, entre 20 et 25 ans, est percuté par un train dans le tunnel de Dogana.

    04/01/2017 : Mohammad Hani, Lybien de 26 ans, est percuté par un scooter à Vintimille.

    23/12/2016 : un jeune algérien d’environ 25 ans est percuté par un train à Latte.

    22/11/2016 : Alimonu Kingsley, Nigérian de 23 ans, se noie, emporté par la Roya.

    21/10/2016 : un jeune homme est percuté par une voiture sur l’autoroute A8.

    07/10/2016 : Milet, 17 ans et Erythréenne est percutée par un camion sur l’autoroute.

    06/09/2016 : un jeune homme d’origine africaine chute depuis le viaduc de Ste Agnès en tentant d’échapper aux forces de l’ordre.

    De nombreux autres migrants ont été blessés, parfois très gravement lors du passage de la frontière, et ont été accueillis dans des hôpitaux français et italiens.

    http://ademonice06.com/frontiere-de-dangers

    –-

    Article du 19 septembre 2017 qui fait la liste des 14 migrants morts à la frontière franco-italienne :

    Dans une indifférence coupable, les morts s’accumulent à la frontière franco-italienne

    Embarqués sur l’interminable route de l’exil, les migrants ne sont pas au bout de leurs peines à l’approche du territoire français. Pour tenter – vainement – de les dissuader de passer, rien ne leur est facilité par les autorités. Contraints à marcher de longues heures aux bord de routes dangereuses, à pratiquer des sentiers escarpés, à manger, boire et dormir au bord des rivières, certains migrants n’en sortent pas vivants. Officiellement, 14 sont morts à la frontière franco-italienne depuis septembre 2016. Et la liste, qui pourrait être encore plus lourde, continue de s’allonger.

    https://basta.media/Dans-une-indifference-coupable-les-morts-s-accumulent-a-la-frontiere-franco

    –------

    Una scia di sangue senza fine a Ventimiglia : almeno 26 stranieri morti in sei anni

    - 7 ottobre 2016: Milet Tesfamariam, 16 anni, eritrea, investita da un tir mentre camminava sull’autostrada, in una galleria poco dopo la barriera di Ventimiglia, direzione Francia
    – 21 ottobre 2016: Ali Ahmad, 18 anni, sudanese, investito da un furgone sul viadotto Saint-Agnès mentre camminava sull’A8.
    – 23 dicembre 2016: 25enne algerino investito e ucciso dal treno a Latte, Ventimiglia.
    – 4 gennaio 2017: Mohamed Hani, 26 anni, proveniente dalla Libia, muore travolto da uno scooter dopo essere saltato in strada da un recinzione del parco Roja, a Ventimiglia, dove era stato allestito un centro per l’accoglienza dei migranti.
    – 5 febbraio 2017: un giovane di circa 20 anni muore investito da un treno nel tunnel della dogana a Ventimiglia.
    – 17 febbraio 2017: un migrante muore folgorato sul tetto del treno partito da Ventimiglia e diretto a Cannes.
    – 21 marzo 2017: un migrante muore precipitando dal sentiero del Passo della Morte a Ventimiglia.
    – 19 maggio 2017: un 30enne del Mali muore folgorato nel compartimento tecnico di un treno francese, partito da Ventimiglia e diretto a Cannes. Pochi giorni dopo, il 23 maggio del 2017, un altro migrante farà la stessa fine.
    – 3 giugno 2017: un 25enne nigeriano muore annegato a Ventimiglia.
    – 13 giugno 2017: il 16enne sudanese Alfatehe Ahmed Bachire muore annegato davanti alla foce del Roja a Ventimiglia.
    – 12 luglio 2017: un 23enne del Gambia muore investito da un camion sull’Aurelia a Latte, Ventimiglia.
    – 16 agosto 2017: un 36enne iracheno muore investito da un treno a Peglia, Ventimiglia.
    – 26 agosto 2017: un giovane migrante muore folgorato sul treno partito da Ventimiglia e diretto in Francia.
    – 27 dicembre 2017: un migrante di circa 20 anni muore precipitando dal versante della montagna di Roquebrune.
    – 14 gennaio 2018: un 28enne del Gambia muore folgorato sul tetto del treno tra Ventimiglia e Mentone.
    – 20 giugno 2018: un migrante muore annegato nello specchio acqueo antistante Ventimiglia.
    – 9 settembre 2018: un migrante muore annegato a Ventimiglia.
    – 8 dicembre 2020: un migrante muore folgorato sul tetto del treno partito da Ventimiglia e diretto in Francia.
    –-> ce décès n’est pas dans mes données et je ne trouve aucune info sur internet
    – 27 maggio 2021: un 37enne pachistano viene trovato morto per strada a Roverino, Ventimiglia.
    – 3 giugno 2021: un giovane migrante muore annegato nei pressi della foce del fiume Roja a Ventimiglia: si stava lavando quando le onde e la corrente lo hanno portato al largo.
    – 29 settembre 2021: un 17enne bengalese muore folgorato sul tetto del treno partito dalla stazione di Ventimiglia e diretto a Nizza.
    – 30 ottobre 2021: un migrante muore precipitando da un dirupo del passo della morte a Ventimiglia.
    – 1 febbraio 2022: migrante morto folgorato sotto il pantografo del treno partito da Ventimiglia.
    – 2 marzo 2022: migrante muore sul tetto di un locomotore di un treno a Ventimiglia
    – 2 aprile 2022: due migranti muoiono travolti da un furgone sull’A10 all’altezza dell’area di servizio di Bordighera. Stavano attraversando la strada.

    –-----
    Liste des mort·es depuis 2015 :


    –-> différences par rapport à ma liste :
    – Kingsley Alimonu serait mort le 22/11/2016 et non pas le 23/12/2016 comme indiqué sur cette liste
    – la personne décédée le 05/02/2017 aurait été identifiée, il s’agirait de Tal Abdoul
    – la personne décédée le 17/02/2017 aurait été identifié, il s’agirait de Daouda Bah
    – la personne décédée le 21/03/2017 aurait été identifié, il s’agirait deAbderazake Jahyea
    – la personne décédée le 20/06/2018 a été enregistrée dans ma base de données comme décédée le 18/06/2018
    – les 8 cadavres retrouvés le 03/10/2020 ne sont probablement pas des migrants —> pas inclus dans ma base de données
    – Musa Balde a été ajouté dans ma base de données avec date de décès 22/05/2021 et non pas 23/05/2021
    – la personne décédée le 27/05/2021 a été identifiée comme Khan Shahzad. Je ne l’ai pas incluse dans ma base de données, avec comme explication « pas de franchissement de la frontière »
    – la personne décédée le 07/11/2021 a été enregistrée dans ma base de données comme décédée le 06/11/2021
    – la personne décédée le 27/11/2021 a été enregistrée dans ma base de données comme décédée le 26/11/2021
    – la personne décédée le 03/02/2022 a été enregistrée dans ma base de données comme décédée le 01/02/2022
    – selon ma base de données Ullah Rezwan Sheyzad serait décédé le 26/01/2022 et non pas le 01/02/2022

    Ajouté à cette métaliste
    https://seenthis.net/messages/758646

    • 08.09.2018
      Ventimiglia: migrante travolto da un treno in località La Mortola. E’ vivo. Soccorsi in atto e traffico ferroviario bloccato

      Torna improvvisamente d’attualità la questione migranti a Ventimiglia. Dopo i due che ieri si sono arrampicati nelle rocce di ponte San Luigi, oggi un altro, cercando di varcare il confine è stato travolto da un treno Thello, in località #La_Mortola


      http://www.sanremonews.it/2018/09/08/leggi-notizia/argomenti/cronaca/articolo/ventimiglia-migrante-travolto-da-un-treno-in-localita-la-mortola-e-vivo-

    • 05.12.2018
      Ventimiglia: nuova tragedia dell’immigrazione, giovane rimane folgorato sul tetto di un treno diretto in Francia

      Il migrante si era sistemato sul tetto di un convoglio con la speranza di poter attraversare il confine. Ora è ricoverato in gravissime condizioni al centro grandi ustionati di Pisa.
      Ventimiglia: nuova tragedia dell’immigrazione, giovane rimane folgorato sul tetto di un treno diretto in Francia

      Un altro tentativo di passare il confine di Ventimiglia si è trasformato in tragedia. E’ accaduto ieri sera poco prima della mezzanotte, nei pressi della stazione ferroviaria della città frontaliera.

      Un giovane, del quale al momento non si conoscono le generalità e nemmeno la nazionalità, è salito sul tetto di un treno diretto in Francia ed è entrato in contatto con i cavi dell’alta tensione che alimentano i convogli, rimanendo folgorato.

      E’ subito scattato l’allarme e, sul posto è intervenuto il personale medico del 118, i Vigili del Fuoco, un’ambulanza e gli agenti della Polizia Ferroviaria. Il traffico ferroviario è stato anche momentaneamente sospeso per consentire i soccorsi del giovane immigrato.

      Le cure dei medici sono andate avanti per diversi minuti ed il giovane è sopravvissuto. Le sue condizioni, secondo i primi riscontri medici, sono gravissime ma è stato comunque deciso il trasporto immediato al centro grandi ustionati di Pisa, dove è arrivato in nottata.

      http://www.sanremonews.it/2018/12/05/mobile/leggi-notizia/argomenti/cronaca/articolo/ventimiglia-nuova-tragedia-dellimmigrazione-giovane-rimane-folgorato-sul

    • 07.10.2016
      Frontière italienne : une jeune migrante meurt sur l’autoroute A8

      Une jeune fille faisant partie d’un groupe de migrants qui tentaient de gagner la France depuis Vintimille en Italie est morte percutée par un poids-lourds sur l’autoroute A8 à la frontière franco-italienne. La victime est une Erythréenne de 17 ans, selon le site italien Riviera24.it, qui diffuse des images de l’intervention des secours après l’accident.

      « La victime est une femme à ma connaissance. Quatre autres personnes, des femmes, ont été hospitalisées en état de choc à Bordighera mais ne sont pas blessées », a indiqué la police italienne de Vintimille. Le drame s’est produit « au niveau du tunnel de la Giraude, côté italien, un poids-lourd a percuté un migrant », a-t-on précisé au centre opérationnel de la gendarmerie de Nice.

      Ils prennent tous les risques

      Début septembre, un jeune Africain avait été retrouvé mort sous un viaduc autoroutier près de Menton, dans le même secteur, et une enquête a été ouverte pour déterminer s’il a pu se tuer après avoir paniqué à la vue d’une patrouille de gendarmes et enjambé la glissière de sécurité.

      Vintimille est un cul-de-sac pour les migrants africains en route pour la France. L’Italie, notamment l’ONG catholique Caritas et la Croix-Rouge, continuent d’apporter une aide humanitaire. Les opérations de police se multiplient aussi.

      Les migrants prennent des risques importants pour gagner l’Hexagone, par la montagne, l’autoroute ou le train tout en tentant d’échapper aux contrôles. Plus de 24 000 migrants ont été interpellés depuis janvier dans les Alpes-Maritimes, selon le dernier décompte de la préfecture fin septembre.

      http://www.leparisien.fr/faits-divers/frontiere-italienne-une-jeune-migrante-meurt-sur-l-autoroute-a8-07-10-201

    • C’était 1995...
      #Sospel : un mort, le Gisti seul coupable

      Traverser une frontière pour demander l’asile politique peut, aux termes de la convention de Genève, se faire sans titre de circulation ni de séjour. Ce n’est cependant pas sans risque. Un enfant l’a appris à ses dépens, en 1995 : il est mort sous les balles d’un policier. Accident ? Bavure ? Le policier a été acquitté. Le Gisti, qui avait dénoncé les excès de la surveillance aux frontières, a, lui, été condamné.
      Coups de feu mortels sur des demandeurs d’asile

      Il faisait beau sans doute, et la nuit devait être étoilée sur les Alpes quand, le 20 août 1995 vers 3h30 du matin, quarante-deux Tziganes du Monténégro (l’autre composante, avec la Serbie, de la République fédérale de Yougoslavie), dont dix-huit mineurs, franchissent la frontière franco-italienne dans quatre véhicules.

      Échappés d’une guerre que les accords de Dayton gèleront seulement dans quelques mois, enfin à l’abri de la ségrégation et des mauvais traitements qui frappent les Tziganes dans leur pays, peut-être goûtaient-ils les charmes d’une paisible nuit estivale de montagne. En faction sur le bord de la petite route sinueuse, près du col de Brouis, à une dizaine de kilomètres de l’Italie, deux policiers de la Direction centrale du contrôle de l’immigration et de la lutte contre l’emploi clandestin (Diccilec, ex-Police de l’air et des frontières) veillent. Les deux premiers véhicules des Tziganes — un Combi Volkswagen immatriculé aux Pays-Bas suivi d’une Passat immatriculée en ex-Yougoslavie — défilent devant les policiers sans s’arrêter. Le sous-brigadier Christian Carenco tire alors trois coups de son fusil à pompe sur l’arrière de la voiture. L’enquête établira qu’il fait feu « à environ 1,80 mètre de la Passat ». Une balle en caoutchouc d’abord, puis deux balles Brennecke utilisées pour la chasse aux sangliers. Ça doit encore sentir la poudre quand les deux derniers véhicules du convoi passent à leur tour sans être interceptés.

      Au petit matin, le médecin de Sospel, petite commune des environs, avertit la gendarmerie qu’on lui a amené un enfant ensanglanté. Il est mort de ses blessures. Todor Bogdanovic avait sept ans. Il dormait à l’arrière de la voiture visée.

      Sans un mot de regret, le préfet explique aussitôt que « le département [des Alpes-Maritimes] est un lieu de passage très fréquenté par les clandestins. Depuis le début de l’année, les policiers ont arrêté 120 passeurs, alors que 8 664 personnes en situation irrégulière, toutes nationalités confondues, ont été reconduites à la frontière ». Tout est donc pour le mieux dans le meilleur des mondes policiers. Ce que confirme le ministre de la justice de l’époque, Jacques Toubon, pour lequel le tir au fusil à pompe sur les Tziganes est « un travail qui a été fait par les policiers normalement ». Todor Bogdanovic a eu ce qu’il méritait.

      Tel n’est pas l’avis du Gisti. Au risque calculé de troubler la quiétude estivale, il ne peut tolérer que la mort du petit Todor passe inaperçue.

      Dès le 21 août, il publie un communiqué dans lequel il observe qu’à en croire les pouvoirs publics, « il paraît presque normal d’ouvrir le feu sur toute voiture qui ne s’arrêterait pas à l’occasion d’un contrôle ». « Assisterions-nous, en cette circonstance, s’interroge le Gisti, à l’éclosion d’une nouvelle pratique administrative autorisant parfois la DICCILEC et la police en général à abattre les étrangers supposés clandestins quand il ne se prêtent pas docilement à leur interpellation ? »

      Après avoir dénoncé les « trésors d’imagination » dépensés, de façon générale, par les douaniers, les policiers et les préfectures « pour éviter d’enregistrer les demandes d’asile présentées par des arrivants démunis de papiers » et observé que « la France compte moins de 20 000 exilés d’ex-Yougoslavie sur son territoire, alors que l’Allemagne en accueille plus de 350 000 », le Gisti se demande, pour finir : « La France ne fait-elle pas le jeu du gouvernement serbe en plaçant des snippers [sic] sur la route de leur exil ? ».

      Dans les heures qui suivent le drame, les Tziganes de Sospel manifestent la volonté de demander l’asile à la France.

      Ceci n’empêche pas l’administration de notifier des arrêtés de reconduite à la frontière (APRF) aux dix-huit adultes du groupe en invitant simplement l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (OFPRA) à examiner en urgence leur requête du statut de réfugié. Avec complaisance, l’Office se met au travail.

      Avant même d’avoir communiqué sa décision aux intéressés, le directeur de l’OFPRA fait savoir au tribunal administratif de Nice, qui s’en prévaut le 24 août pour refuser d’annuler les APRF, que les demandes d’asile seront rejetées, notamment parce que les Tziganes ne sont pas bosniaques mais serbes et que le Sandzac — leur région d’origine — ne serait pas affecté par la guerre. La belle affaire !

      Le Gisti n’a pas beaucoup de mal à retrouver un document tout frais (31 janvier 1995) du Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR), selon lequel « la situation des Musulmans du Sandzak n’a cessé de se détériorer au cours des six derniers mois [...]. Des rapports font état de torture », précise-t-il, avant de conclure que « le HCR continue de penser que l’éligibilité des demandeurs d’asile originaires du Kosovo et du Sandzak doit être évaluée au cas par cas » et qu’il y a « impérative nécessité » à procéder à « un examen très attentif des demandes individuelles au cours d’une procédure complète et équitable ».

      L’OFPRA n’en a que faire, pas plus que d’autres rapports, articles et témoignages édifiants que le Gisti se procure en quelques heures de recherches [1]. Les demandes d’asile sont rejetées, et les Tziganes refoulés en Italie. Le 26 août, le Gisti s’insurge contre cette exécution administrative dans un communique intitulé « Tous les dés étaient pipés », tandis que l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (ANAFÉ) constate « Un mort et dix-huit reconduits à la frontière : la dérive de la politique d’immigration ».

      De toute évidence, nous avons eu raison trop tôt puisque, le 2 juin 1997, le Conseil d’état annulera à la fois les APRF pour excès de pouvoir et le jugement du tribunal administratif de Nice.

      Sur le plan pénal, après une enquête menée par l’Inspection générale de la police nationale, le parquet a ouvert une information judiciaire qui a abouti, dès le 21 août 1995, à la mise en examen de Christian Carenco pour « coups et blessures volontaires ayant entraîné la mort sans intention de la donner ».

      Juste après les faits, le procureur de la République adjoint de Nice avait déclaré : « on ne peut pas accréditer la thèse de la légitime défense sans réserve. Il y a présomption d’utilisation d’une arme à feu dans des conditions qui peuvent paraître anormales... D’après les premiers éléments de l’enquête de l’IGPN, il semble qu’il y a eu des coups de feu intempestifs ».

      Mais, six mois plus tard, le juge d’instruction conclut à un non-lieu. Saisie en appel, la chambre d’accusation d’Aix-en-Provence renvoie, quant à elle, le 18 décembre 1997, le policier devant la cour d’assises des Alpes-Maritimes, tout en déclarant irrecevables les constitutions de parties civiles de la Cimade, de France Terre d’asile, de la Ligue des droits de l’homme et du Gisti, qui entendaient ainsi éviter l’enterrement de l’affaire [2].

      Christian Carenco s’étant pourvu en cassation contre son renvoi devant la cour d’assises, les associations ont également formé un pourvoi. Ces pourvois ont été rejetés par la Cour de cassation et l’affaire a été renvoyée devant la Cour d’assises.
      Plainte pour diffamation contre le Gisti

      Quant au Gisti, dont des extraits du communiqué ont été repris par l’Agence France Presse, il est poursuivi en diffamation. Le ministre de l’intérieur a, en effet, déposé plainte, le 5 septembre 1995, contre la présidente, responsable ès-qualités, pour diffamation publique envers une administration publique, estimant que les propos reproduits par l’AFP contiennent des allégations portant atteinte à l’honneur et à la considération de la police nationale.

      L’affaire vient devant la 17e Chambre correctionnelle du tribunal de grande instance de Paris, le 2 mai 1997. Henri Leclerc assure la défense de Danièle Lochak. Alfred Grosser est cité comme témoin.

      L’audience est l’occasion de refaire le procès de Sospel, mais aussi, de façon plus inattendue, d’entendre célébrer les louanges du Gisti, y compris par le représentant du ministère public, qui rend hommage au travail accompli par l’association, utile et nécessaire car civique, et qui reconnaît sa légitimité à intervenir dans cette histoire dramatique qu’on ne peut pas considérer comme un incident sans gravité.

      Le jugement reprend à son compte ces éloges : « le Gisti mène, pour la défense des droits de l’homme, une action salutaire et reconnue par tous et le soutien que cette association apporte particulièrement aux travailleurs immigrés et aux réfugiés est d’autant plus méritoire qu’il s’effectue, de nos jours, dans un climat politique et social difficile ».

      Le tribunal n’en estime pas moins que le délit de diffamation est constitué — par l’emploi des termes « purification ethnique » et « snipper » — et condamne la présidente du Gisti à 5 000 F d’amende.

      Les arguments de la défense n’ont donc pas été entendus. Ils consistaient, pour l’essentiel, à soutenir :

      que la police n’était mise en cause qu’indirectement par le communiqué, en tant qu’instrument d’une politique gouvernementale critiquable, de sorte que ses membres ne pouvaient se sentir diffamés ;

      que le caractère particulièrement dramatique et révoltant de l’affaire justifiait, de la part d’une organisation qui défend les droits de l’homme et entend alerter l’opinion publique lorsqu’ils sont violés, une expression particulièrement véhémente de son indignation ;

      que les poursuites reposaient sur un texte dont on pouvait se demander s’il était conforme à l’article 10 de la Convention européenne des droits de l’homme qui n’admet de limites à la liberté d’expression que lorsque celles-ci sont nécessaires, dans une société démocratique, à la protection de la sécurité nationale, à la défense de l’ordre, ou à la réputation d’autrui.

      L’affaire est venue en appel devant la 11e Chambre des appels correctionnels en novembre 1997. La cour a confirmé le jugement de première instance mais a considéré « qu’eu égard aux circonstances de l’espèce il convient de faire une application particulièrement modérée de la loi » : elle a donc condamné la présidente du Gisti à 1 000 F d’amende avec sursis.

      https://www.gisti.org/spip.php?article3477

    • Septembre 2018: Ventimiglia, cadavere recuperato in mare vicino al porto: è di un migrante

      Ventimiglia. Il corpo senza vita di un migrante, probabilmente di origine nordafricana, è stato recuperato ieri pomeriggio dalla Capitaneria di Porto sulla parte esterna della diga foranea del costruendo porto di Ventimiglia. Il cadavere si trovava incagliato tra gli scogli a circa 3 metri di profondità.

      Il migrante, di cui al momento non si conosce ancora l’identità, sarebbe morto annegato, probabilmente dopo una caduta dalla diga. Al momento è esclusa l’ipotesi di morte violenta. Sulla base di una prima ispezione del corpo, compiuta ieri dal medico legale, il pm ha infatti liberato la salma, ritenendo più probabile che il migrante sia scivolato in acqua accidentalmente.

      A dare l’allarme è stato il bagnino di un vicino stabilimento balneare che, a bordo di una piccola imbarcazione, ha avvistato il corpo sul fondale intorno alle 13 di ieri e avvertito la capitaneria. Quando il cadavere è stato recuperato, era ancora in rigor mortis: segno che il decesso era avvenuto da poco tempo. La vittima indossava ancora i vestiti, ma non aveva documenti. Il corpo si trova ora all’obitorio di Bordighera.

      https://www.riviera24.it/2018/09/ventimiglia-cadavere-recuperato-in-mare-vicino-al-porto-e-di-un-migrante-5

    • #Khan_Shahzad, 27_mai_2021

      #Khan_Shahzad, 37enne pakistano trovato senza vita all’uscita del Lidl a #Roverino.

      –-> Information reçue par Daniela Trucco e présente sur la page FB des Giovani Democratici de Imperia:
      https://www.facebook.com/GDImperia/posts/1814525028755796

      –-
      E’ un mendicante pachistano l’uomo trovato morto davanti la Lidl a Ventimiglia

      E’ un mendicante pachistano di 37 anni l’uomo trovato morto, stamattina, davanti al supermercato Lidl di Roverino, a Ventimiglia. E’ quanto emerge dall’identificazione della vittima. All’origine del decesso ci sarebbero cause naturali, nessun segno di violenza apparente. A trovare il corpo è stata la polizia locale della città di confine, mentre con il sindaco Gaetano Scullino stava effettuando un sopralluogo per i nuovi asfalti. L’uomo sembrava che dormisse e, invece, era deceduto. Sul posto anche il medico legale. A scopo cautelativo è stata disposta l’autopsia.

      https://primalariviera.it/cronaca/e-un-mendicante-pachistano-luomo-trovato-morto-davanti-la-lidl-a-vent

    • Janvier 2018: Ventimiglia, migrante muore folgorato sul tetto di un locomotore

      Il cadavere di un uomo è stato ritrovato sul tetto di un locomotore nei pressi della stazione ferroviaria di Mentone, in Francia, a poca distanza dal confine italiano. Secondo le prime ricostruzioni potrebbe trattarsi di un migrante che in mattinata avrebbe cercato di passare il confine aggrappandosi al pantografo che trasmette energia elettrica al treno, rimanendo folgorato. Il convoglio, francese della società Sncf, era partito da Ventimiglia in direzione della Francia. Per permettere lo svolgimento dei rilievi la circolazione ferroviaria è stata sospesa per circa 2 ore. Quello di oggi è il quinto caso registrato dall’inizio del 2017 di migranti che sono deceduti nel tentativo di oltrepassare il confine da Ventimiglia alla Francia.

      http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/ventimiglia_migrante_muore_folgorato_sul_tetto_di_un_locomotore-3483766

    • 04.02.2024 : suicide de #Ousmane_Sylla dans le CPR de #Ponte_Galeria à #Rome

      –-> Vu que Ousmane a été arrêté à Vintimille pour l’amener dans un centre de détention administrative dans le Sud de l’Italie et que, selon les informations que j’ai récolté à la frontière Vintimille-Menton, il avait l’intention de se rendre en France, j’ai décidé de l’inclure dans les cas des personnes décédées à la #frontière_sud-alpine.

      https://seenthis.net/messages/1049710

  • Les ponts vivants du Meghalaya : voyage entre eau et brume | National Geographic
    https://www.nationalgeographic.fr/voyage/les-ponts-vivants-du-meghalaya-voyage-entre-eau-et-brume
    https://www.nationalgeographic.fr/sites/france/files/styles/desktop/public/school-boys-living-root-bridge-meghalaya-india.jpg?itok=LnbFCJl3

    Bien avant l’apparition des matériaux de construction modernes, les Khasi ont mis au point une méthode très ingénieuse pour traverser les cours d’eau tumultueux et relier les villages isolés : les ponts de racine vivants, connus localement sous le nom de jing kieng jri.

    Afin de créer une fondation solide, des arbres sont plantés de chaque côté de la berge. Ensuite, pendant 15 à 30 ans, les Khasi tissent délicatement les racines des Ficus elastica sur un échafaudage en bambou temporaire pour relier les deux côtés. Grâce à l’humidité, au passage de piétons et au temps, le sol se tasse et l’enchevêtrement de racines s’épaissit et se renforce. Les ponts complètement développés au-dessus des rivières et des gorges profondes peuvent mesurer entre 4,5 et 76 mètres de long et supporter de lourdes charges pouvant aller jusqu’au poids de 35 individus.

    Contrairement aux matériaux de construction modernes comme le béton et l’acier, ces structures sont généralement plus résistantes avec l’âge et peuvent exister pendant plusieurs siècles. Elles résistent aussi régulièrement aux crues soudaines et aux violentes tempêtes qui sont légion dans la région. Les ponts constituent aussi un moyen durable et peu coûteux de relier les villages reculés dans les montagnes sur ce terrain escarpé. L’origine exacte de cette pratique dans la région est inconnue, mais la première trace écrite de l’existence de ces ponts remonte à plus d’une centaine d’années.

    #génial #faire_avec_la_nature #pont #arbre #racines #Inde

    • #beau
      The Amazing Living Bridges of Meghalaya
      https://drishtikone.com/2012/12/how-generations-of-indian-tribals-build-living-bridges-across-rivers-fr

      The development and upkeep of bridges is a community affair. Initially, a length of bamboo is secured across a river divide and a banyan plant, Ficus benghalensis is planted on each bank. Over the months and years, the roots and branches of the rapidly growing Ficus are trained along the bamboo until they meet in the middle and eventually supersede its support. At later stages in the evolution of the bridge, stones are inserted into the gaps and eventually become engulfed by the plant forming the beautiful walkways. Later still, the bridges are improved upon with the addition of hand rails and steps.

      Cherrapunji is credited with being the wettest place on earth, and The War-Khasis, a tribe in Meghalaya, long ago noticed this tree and saw in its powerful roots an opportunity to easily cross the area’s many rivers. Now, whenever and wherever the need arises, they simply grow their bridges.

      The root bridges, some of which are over a hundred feet long, take ten to fifteen years to become fully functional, but they’re extraordinarily strong – strong enough that some of them can support the weight of fifty or more people at a time.

      Because they are alive and still growing, the bridges actually gain strength over time – and some of the ancient root bridges used daily by the people of the villages around Cherrapunji may be well over five hundred years old.

  • Mozilla lance Fluent 1.0 pour révolutionner la localisation des logiciels
    https://blog.mozilla.org/press-fr/2019/04/17/mozilla-lance-fluent-1-0-pour-revolutionner-la-localisation-des-logici

    Mozilla propose en open source un système évolué de traduction ("localisation") des chaînes de langue d’un logiciel/d’une appli web :

    Fluent permet de s’adapter à la grammaire et au style d’autres langues, indépendamment de la langue source. Cela permet aux développeurs d’écrire du code agnostique du langage et aux localisateurs de réaliser des traductions naturelles plus rapidement et plus facilement.

    Système basé sur des fichiers au format FTL :

    FTL is a localization file format used for describing translation resources. FTL stands for Fluent Translation List.
    FTL is designed to be simple to read, but at the same time allows to represent complex concepts from natural languages like gender, plurals, conjugations, and others.

    Quelques ressources pour Fluent :
    – la page du projet Fluent : https://projectfluent.org
    – le guide de l’utilisateur de Fluent : https://projectfluent.org/fluent/guide
    – un exemple d’implémentation pour javascript : https://github.com/projectfluent/fluent.js

    Il ne semble (malheureusement) pas (encore ?) exister d’implémentation PHP...

    En parallèle pour simplifier le boulot des traducteurs.trices Mozilla propose un outil WYSIWYG de gestion des traductions : Pontoon
    – présentation de Pontoon : https://developer.mozilla.org/fr/docs/Mozilla/Localization/Localiser_avec_Pontoon
    – un bac à sable pour prendre en main/tester Pontoon : https://pontoon.mozilla.org/fr/tutorial/playground/?string=189479
    – intégrer Pontoon à un projet : https://developer.mozilla.org/fr/docs/Mozilla/Implementer_Pontoon_sur_un_projet_Mozilla
    – la doc officielle (en anglais) : https://mozilla-pontoon.readthedocs.io/en/latest

    #traduction #localisation #fluent #pontoon #mozilla #open_source #SPIP

  • Privatisations : la République en marché - #DATAGUEULE 88
    https://www.youtube.com/watch?v=1hYR2o1--8s

    Tout doit disparaître... surtout les limites ! Depuis 30 ans, les privatisations, à défaut d’inverser la spirale de la dette, déséquilibrent le rapport de force entre Etat et grandes entreprises à la table des négociations. Infrastructures, télécoms, BTP, eau ... les géants des marchés voient leur empire s’élargir dans un nombre croissant de secteurs vitaux. Cédant le pas et ses actifs au nom de la performance ou de l’efficacité, sans autre preuve qu’un dogme bien appris, la collectivité publique voit se dissoudre l’intérêt général dans une somme d’intérêts privés ... dont elle s’oblige à payer les pots cassés par des contrats où elle se prive de ses prérogatives. Mais comment donc les agents de l’Etat ont-ils fini par se convaincre qu’il ne servait à rien ?

  • Drone Surveillance Operations in the Mediterranean: The Central Role of the Portuguese Economy and State in EU Border Control

    Much has been written in the past years about the dystopic vision of EU borders increasingly equipped with drone surveillance (see here: http://www.europeanpublicaffairs.eu/high-tech-fortress-europe-frontex-and-the-dronization-of-borde, here: http://eulawanalysis.blogspot.com/2018/10/the-next-phase-of-european-border-and.html, here: https://www.heise.de/tp/features/EU-startet-Langstreckendrohnen-zur-Grenzueberwachung-4038306.html and here: https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2018/11/role-technology). Yet, when the first joint drone surveillance operation of #Frontex, the #European_Maritime_Safety_Agency (#EMSA) and Portuguese authorities was launched on 25 September 2018, there was a lack of response both from the media and concerned activists or researchers. Yet, the EMSA offered details about the operation on its website, and Frontex as well. In addition, Frontex mentioned in its press statement parallel operations undertaken in Italy and Greece in the same period.

    These operations were a crucial step for the setup of the joint European information system for border surveillance, #EUROSUR. The drone surveillance program in the context of Frontex operations is a major step in the operational setup of the EUROSUR program that aims to integrate databases and national coordination centres of 24 European countries. EUROSUR was officially introduced with a policy paper in 2008, and the system itself was launched on 1 December 2013 as a mechanism of information exchange among EU member states. But it is not yet fully operational, and drone surveillance is commonly seen as a central component for full operationability. Thus, the cooperation between the EMSA, Frontex and the Portuguese state in the recent operation is a crucial milestone to achieve the aim of EUROSUR to create a unified European border surveillance system.

    This is why the operation launched in Portugal in September 2018 is of higher significance to the ones in Italy and Greece since it includes not only national authorities but also the EMSA, located in Lisbon, as a new key actor for border surveillance. EMSA was founded in 2002 as a response to various shipping disasters that lead to environmental pollution and originally focuses on monitoring the movement of ships, with a focus on the safety of shipping operations, environmental safety at sea and the trading of illegal goods via maritime transport.

    In 2016 the EMSA was allocated 76 million Euros in a bid for the production of drones for the surveillance of the Mediterranenan in the context of Frontex missions. EMSA`s bid foresaw that drones would be hired by EMSA itself. EMSA would run the operation of drones and share real-time data with Frontex. The largest part of this bid, 66 million Euros, went to the Portuguese company #Tekever, while smaller portions went to the Italian defence company #Leonardo and to the Portuguese air force that will operate drones produced by the Portuguese company #UA_Vision. At the same time, the successful bid of Tekever and the integration of Portuguese authorities in surveillance operations catapults Portugal onto the map of the defence and surveillance industry that profits immensely from the recent technological craze around border surveillance (see here, here and here).

    Lisbon-based Tekever set up a factory for the production of drones in the Portuguese mainland in #Ponte_de_Sor, an emerging new hub for the aerospace industry. Together with French #Collecte_Localisation_Service, which specialises in maritime surveillance, Tekever founded the consortium #REACT in order to produce those specific drones. Under the Portuguese operation, ground control, i.e. the technical coordination of the flight of the drones, was located in Portugal under the authority of the Portuguese air force, while the operation was coordinated remotely by Frontex experts and Portuguese authorities in the #Frontex_Situational_Centre in Poland where data were shared in real-time with EMSA. This first operation is a crucial step, testing the technical and administrative cooperation between EMSA and Frontex, and the functionality of the drones that were specifically produced for this purpose. These drones are lighter than the ones used in Greece and Italy, and they are equipped with special cameras and #radars that can detect ship movements and receive emergency calls from the sea. This allows to run data collected by the drones through an algorithm that is programmed to distinguish so-called ´#migrant_vessels´ from other ships and boats.

    The Portuguese government has set up a number of initiatives to foster this industry. For example, a national strategy called #Space_2030 (#Estratégia_Portugal_Espaço_2030) was launched in 2018, and the newly founded #Portuguese_Space_Agency (#Agência_Espacial_Portuguesa) will begin to work in the first months of 2019. The fact that border surveillance is one of the larger European programs boosting the defence and surveillance industry financially has not generated any controversy in Portugal; neither the fact that a center-left government, supported by two radical left parties is propping up surveillance, aerospace and defence industries. The colonial continuities of this industrial strategy are all too visible since narratives like ‘from the discovery of the sea to the technology of space’ are used not only by industry actors, but also, for example, by the Portuguese Chamber of Commerce in the UK on its website. In this way, social and political #domination of non-European territories and the control of the movement of racialized bodies are reduced to the fact of technological capability – in the colonial period the navigation of the seas with optical instruments, astronomic knowledge and ships, and today the electronic monitoring of movements on the sea with drones and integrated computer systems. The Portuguese aerospace industry is therefore presented as a cultural heritage that continues earlier technological achievements that became instruments to set up a global empire.

    The lack of any mention about the start of the drone surveillance programme does not only demonstrate that border surveillance goes largely unquestioned in Europe, but also that the sums spent for surveillance and defence by EU agencies create incentives to engage more in the defence and surveillance industry. This goes all the more for countries that have been hit hard by austerity and deindustrialisation, such as Portugal. The recent increase of 9.3 billion Euros for the period 2021 to 2027 for border surveillance funding in the EU with the creation of the #Integrated_Border_Management_Fund focused on border protection, is a telling example of the focus of current EU industrial policies. For the same period, the European Commission has earmarked 2.2 billion Euro for Frontex in order to acquire, operate and maintain surveillance assets like drones, cameras, fences, and the like. In this situation, the political consensus among EU governments to restrict migration reinforces the economic interests of the defence industry and vice versa, and the interest of national governments to attract #high-tech investment adds to this. Those lock-in effects could probably only be dismantled through a public debate about the selective nature of the entrepreneurial state whose funding has decisive influence on which industries prosper.

    While the Portuguese government does not currently have a single helicopter operating in order to control and fight forest fires that have caused more than 100 deaths in the past two years, much EU and national public funding goes into technology aimed at the control of racialized bodies and the observation of earth from space. At the same time, there is considerable concern among experts that surveillance technology used for military means and border security will be rolled out over the entire population in the future for general policing purposes. For this reason, it remains important to keep an eye on which technologies are receiving large public funds and what are its possible uses.


    https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2019/02/drone
    #drones #contrôles_frontaliers #frontières #technologie #complexe_militaro-industriel #technologie_de_la_surveillance #externalisation #business #algorithme #colonialisme #néo-colonialisme #impérialisme #héritage_culturel #austérité #désindustrialisation

    ping @daphne @marty @albertocampiphoto @fil

    • Des drones en renfort dans l’#opération_Sophia

      Pour renforcer la surveillance aérienne, après le départ des navires, l’opération Sophia déployée en Méditerranée (alias #EUNAVFOR_Med) va bénéficier d’un renfort d’au moins un drone #Predator de l’aeronautica militare.

      L’#Italie a indiqué sa disponibilité à fournir un drone à l’opération Sophia, selon nos informations confirmées à bonne source. Ce pourrait être un #MQ-9A Predator B, la version la plus avancée et la plus récente du drone, d’une longueur de 10,80 m avec une envergure de plus de 20 mètres, qui peut voler à 445 km / heure. De façon alternative, selon les moyens disponibles, un MQ-1C Predator A, plus modeste (longueur de 8,20 m et envergure de 14,80 m), pouvant voler à 160 km/heure, pourrait aussi être déployé.

      http://www.bruxelles2.eu/2019/04/09/des-drones-en-renfort-dans-loperation-sophia
      #operation_Sophia