• L’obiezione è un’incoscienza. Se non vuoi praticare aborti, puoi fare il dermatologo.

    Pochi giorni fa è stata data notizia che a luglio un medico obiettore di Napoli è stato licenziato dalla Asl in cui lavorava dopo che si è rifiutato di prestare cure mediche a una donna alla 18esima settimana di gravidanza. La donna è arrivata al presidio in travaglio, con il feto già privo di battito cardiaco e necessitava di un aborto farmacologico, che il ginecologo non ha voluto praticare appellandosi all’obiezione di coscienza. La paziente è stata salvata da un altro medico, chiamato di urgenza da un’ostetrica. L’Asl di Napoli ha licenziato l’obiettore per omissione di assistenza, e presto il caso passerà alla Procura e all’Ordine dei Medici. In Italia, 7 ginecologi che operano negli ospedali su 10 sono obiettori. La percentuale di obiezione supera l’80% in ben sette regioni, arrivando al 96,9% in Basilicata, senza contare gli anestesisti (48.8%) e il personale non medico (44%). A questo si aggiunge la galassia sommersa di “farmacisti obiettori”. Le virgolette sono obbligatorie, dato che secondo la legge 194/78 (la legge che ha depenalizzato l’aborto in Italia, promulgata nel 1978), “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza”. Ma, come specificato dall’OMS, la pillola del giorno dopo e dei cinque giorni dopo – che spesso i farmacisti si rifiutano di vendere adducendo fantasiose giustificazioni su ricette mancanti (che non sono obbligatorie per le maggiorenni) o il grande classico: “Mi spiace ma l’abbiamo finita”, guarda caso quando serve a te – non ha alcun effetto abortivo, pertanto l’obiezione non si può applicare. In Germania gli obiettori sono il 6%, in Francia il 3% mentre in Svezia e in Finlandia non esistono nemmeno.

    Il problema dell’obiezione di coscienza è che rende molto difficile per una donna ottenere l’IVG (interruzione volontaria di gravidanza) entro i tempi previsti dalla legge, cioè entro 90 giorni dal concepimento, conteggiati dal primo giorno dell’ultima mestruazione. Posto che non tutte le donne si accorgono subito di essere incinte e che la legge prevede la cosiddetta “pausa di riflessione” di sette giorni tra il rilascio del certificato medico che autorizza l’IVG e la conferma dell’appuntamento, tre mesi non sono poi così tanti, soprattutto se tutto questo percorso già abbastanza complesso da un punto di vista psicologico e pratico viene ostacolato da medici, infermieri, psicologi, personale sanitario e sistema burocratico. Per non parlare di quelli che si mettono fuori dagli ospedali o dalle università con vangeli, immagini di feti photoshoppati male e crocifissi per terrorizzare le donne che vogliono praticare un aborto. Per quanto la legge 194 tuteli l’obiezione di coscienza, essa sancisce chiaramente che “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure”. Questo, però, spesso non avviene. L’antropologa Silvia De Zordo ha condotto una ricerca negli ospedali di Roma e Milano per cercare di spiegare le cause della diffusione dell’obiezione di coscienza in Italia. I motivi religiosi, infatti, giustificano solo in parte questo fenomeno. La religione cristiana, ponendo l’accento sulla sacralità della vita sin dal concepimento, equipara l’aborto all’omicidio. Ma in casi come quello di Napoli, l’ostinazione a preservare la vita del feto (per altro già privo di battito cardiaco) ha quasi causato il decesso della madre. La legge 194 protegge l’obiezione di coscienza, ma ancor più la sicurezza delle donne. È stata fatta innanzitutto per contrastare le tecniche di aborto clandestine, a cui le donne ricorrevano per disperazione e che prevedevano pratiche molto pericolose come l’inserimento di ganci nell’utero, l’intossicazione tramite farmaci o erbe velenose, che in molti casi potevano portare a infezioni, perforazioni e quindi a emorragie e non difficilmente alla morte. L’accesso a tecniche mediche sicure per interrompere la gravidanza ha salvato moltissime vite. Ci sono molte altre specializzazioni di medicina altrettanto remunerative che un medico obiettore può intraprendere, se non ha a cuore la vita delle persone che esistono già perché preferisce quelle che devono ancora nascere. Dopotutto, un cristiano ortodosso che considera immorale prelevare organi dai cadaveri non si specializza di certo in trapianti. Storicamente, l’obiezione di coscienza era un atto di coraggio per contrastare un divieto o una legge che si riteneva sbagliata, e le conseguenze potevano essere molto pesanti. Un uomo che rifiutava la leva obbligatoria, ad esempio, veniva punito come un disertore: in tempo di guerra, rischiava la fucilazione. In Italia, l’obiezione di coscienza diventa un diritto dal 1972, anno in cui viene introdotta la legge n. 772. Da questo momento il concetto cambia: il servizio civile (quindi il modo in cui si esercita l’obiezione) è un’alternativa al servizio militare, una scelta. Semplificando, il danno procurato alla collettività per non aver svolto la naja, veniva ripagato con un altro lavoro di utilità sociale. Nel caso dell’aborto, però, non c’è un’alternativa, ma soltanto un enorme squilibrio. Chi fa obiezione per l’aborto non offre un’alternativa all’IVG, ma sottrae a una donna un diritto che per legge le è garantito.

    Non solo: l’obiezione di coscienza del singolo ricade anche sulla gestione del lavoro dell’intero reparto, con conseguenze gravi anche sui non obiettori. L’IVG infatti è una pratica abbastanza semplice e monotona e viene considerata generalmente un lavoro poco gratificante. Questo è dovuto al fatto che i pochi ginecologi non obiettori si ritrovano a praticare da soli tutti gli aborti, che vengono percepiti come un lavoro “accessorio”, nonostante siano la pratica medico-ginecologica più diffusa dopo il parto. I medici intervistati da De Zordo aggiungono anche il fatto che manchi un’adeguata formazione sulle nuove tecniche di aborto, come la D&E (dilatazione ed evacuazione strumentale) che all’estero viene praticata in anestesia totale dopo la diciassettesima settimana, mentre in Italia si preferisce ancora il travaglio indotto, obbligando la donna a un parto che non vuole fare. In generale, secondo De Zordo, il lavoro dei ginecologi che esercitano nell’ambito prenatale enfatizza molto il ruolo del feto e dell’embrione, che diventa quasi l’unico “paziente” a discapito della madre. Per questo motivo, molti medici si avvicinano a posizioni obiettanti. In alcuni ospedali, poi, l’obiezione è una scelta di comodo. Molti medici non obiettori si sentono stigmatizzati o esclusi da parte dei colleghi anti-abortisti. Quando questi ultimi occupano posizioni di prestigio all’interno degli ospedali, la carriera dei non obiettori può arenarsi proprio sulla pratica dell’IVG. Negli ospedali del Nord Italia, ad esempio, gli esponenti cattolici hanno un potere vastissimo: gran parte della sanità lombarda è dominata dal gruppo Comunione e Liberazione, che in alcuni casi, come la discussione sull’adozione della pillola abortiva Ru486, ha interferito con le decisioni del Pirellone, allora guidato da Roberto Formigoni, esponente di CL. All’interno di sei strutture lombarde, inoltre, è presente una sede del Movimento per la vita che sulla porta espone un’immagine di un feto con la scritta: “Mamma, ti voglio bene, non uccidermi”. Molte donne hanno raccontato di essere state indirizzate nei loro uffici dopo aver richiesto un IVG in un ospedale pubblico.

    C’è poi la questione economica. L’IVG si può praticare in ospedali pubblici, gratuitamente, sia in cliniche private. Per la sanità pubblica, l’aborto non può rientrare nelle procedure ospedaliere intra moenia, cioè nelle prestazioni di libera professione erogate nelle strutture ambulatoriali dell’ospedale. Questo legittima molti medici a dichiararsi obiettori per il SSN, ma poi eseguire l’IVG a pagamento nei propri ambulatori. Secondo i medici intervistati da De Zordo ci sarebbe una situazione fuori controllo per quanto riguarda gli “obiettori di comodo” o “falsi obiettori”, e inserire l’aborto tra le pratiche intra moenia potrebbe effettivamente incentivare molti ginecologi obiettori per motivi non religiosi (quindi quelli che rinunciano a praticare IVG per non restare indietro con la carriera) a prestare questo servizio anche nelle strutture pubbliche. A quarant’anni dalla sua approvazione, la legge 194 dovrebbe essere aggiornata. Quel testo fu l’esito di una lunghissima negoziazione con le forze cattoliche, evidente sin dal primo articolo (“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”). Le cose nel nostro Paese sono molto cambiate dal 1978: calano i cattolici praticanti, mentre aumentano gli obiettori e, come denuncia LAIGA (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’Applicazione della legge 194/78), l’età media dei non obiettori è alta e non sta avvenendo un ricambio generazionale. Questo perché, evidentemente, l’obiezione non è dettata tanto dalla coscienza, ma da interessi di altro tipo. L’obiezione andrebbe quindi regolamentata in modo chiaro e la specializzazione in ginecologia sconsigliata a chi non vuole praticare aborti: l’Italia ha già ricevuto due sanzioni dall’Unione Europea perché, nonostante la 194 imponga la garanzia del diritto all’IVG anche in presenza di medici obiettori, questo nei fatti non viene garantito. Una soluzione potrebbe essere quella di assicurare il 50% di personale non obiettore in tutte le strutture, oppure quella più drastica, già attuata dall’ospedale San Camillo di Roma, di non assumere medici obiettori. Finché avremo questo governo, pensare di cambiare la legge è un’idea un po’ troppo ottimistica. Visto l’attuale clima reazionario, ultracattolico e nemico dei diritti, è già tanto se riusciremo ancora ad avere diritto all’interruzione di gravidanza.

    https://thevision.com/attualita/aborto-obiettore-di-coscienza

    #IVG #femmes #Italie #statistiques #objection_de_conscience #médecine #chiffres #interruption_volontaire_de_grossesse #santé #accès #accès_aux_soins #gynécologie #pharmaciens #loi #legge_194/78 #avortement #religion #hôpitaux #comunione_e_liberazione #CL #movimento_per_la_vita

  • Téléphones interdits, surveillants qui réprimandent les étudiants distraits : une fac française pointée du doigt. Les étudiants de première année de la faculté de médecine de Nancy se plaignent des mesures prises par leur établissement.
    https://www.lalibre.be/international/europe/2022/09/27/telephones-interdits-surveillants-qui-reprimandent-les-etudiants-distraits-u

    De nouvelles règles strictes ont été mises en place à destination des nouveaux étudiants à Nancy, dans la faculté de médecine de l’Université de Lorraine. Et cela ne plait pas à tout le monde. Dans un article de l’Est républicain https://www.estrepublicain.fr/education/2022/09/26/a-la-faculte-de-medecine-de-nouvelles-regles-creent-la-polemique , des étudiants dénoncent des mesures qu’ils jugent trop drastiques.

    Plusieurs étudiants ont en effet confié que leurs téléphones devaient obligatoirement être rangés dans leur sac, que des bouts de scotch distribués par la fac devaient être collés sur les caméras de leur ordinateur, et que des surveillants tapotaient parfois sur l’épaule des étudiants distraits avec une canne télescopique.

    Un étudiant raconte ainsi qu’il a eu droit « à un petit coup la semaine passée ». « J’étais sur mon ordi, je faisais autre chose que le cours et le surveillant m’a tapoté l’épaule. Rien de grave mais c’est surprenant. » Comme l’explique une maman d’étudiant, également enseignante à l’Université de Lorraine, « les surveillants, pendant les cours, regardent sur les ordinateurs ou les tablettes personnels des étudiants, les empêchent de travailler autre chose que les cours, restent à leurs côtés pour les forcer à suivre coûte que coûte ». Elle a fait part de ce constat au Syndicat national de l’enseignement supérieur. Ces mesures sont en effet rares dans le supérieur où les étudiants bénéficient généralement d’une plus grande liberté.

    La réponse de la direction
    Interrogées sur ces faits, les autorités de l’université ont répondu via un communiqué de presse https://www.tf1info.fr/education/a-la-fac-de-nancy-des-vigiles-tapotent-ils-sur-l-epaule-d-etudiants-distrait . L’Université de Lorraine explique notamment qu’en raison du grand nombre d’étudiants en première année de médecine, les cours sont délivrés par des enseignants qui interviennent dans un amphithéâtre et diffusés en vidéo dans d’autres amphithéâtres. « Les contractuels vacataires, appelés ’assistants d’enseignement’ sont présents uniquement dans les amphithéâtres où le cours est retransmis en vidéo afin de s’assurer que la retransmission se passe dans de bonnes conditions », explique l’établissement.

    Concernant les mesures dénoncées par les étudiants, l’université se justifie. Concernant le scotch posé sur les caméras des ordinateurs, elle explique : « Depuis cette rentrée, les assistants pédagogiques font appliquer les décisions de la commission pédagogique concernant l’interdiction de procéder à une captation audio/vidéo/photo. Dans ce cadre, ils peuvent être amenés à intervenir auprès d’étudiants pour leur faire cesser une captation. Il s’agit d’une intervention destinée à faire appliquer une règle, ce qui est toujours délicat. Les cours font de manière récurrente l’objet de trafics. »

    Au sujet de la canne télescopique, l’université reconnait « qu’un des assistants pédagogiques a utilisé un pointeur pendant les tout premiers jours à la rentrée. Cela découlait d’une habitude qu’il avait prise dans ses précédentes fonctions et il ne l’a jamais utilisé avec l’intention de faire peur. Constatant le risque de méprise, cet assistant pédagogique a rapidement cessé de l’utiliser. »

    #université #étudiant-e-s #smartphones #caméras #france #Nancy #travail #éducation #universités #médecine #trafics

  • Le réchauffement climatique favorise plus qu’il atténue les maladies.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4368

    Les changements dans la couverture terrestre naturelle comme l’un des aléas parce qu’elle peut être un émetteur direct de GES, via la déforestation et la respiration. Ce qui modifie la température via l’albédo et l’évapotranspiration... Un vecteur direct dans la transmission de maladies pathogènes via l’air... Sports / Santé

    / Sciences & Savoir, #Ecologie,_environnement,_nature,_animaux, #médecine,_sciences,_technologie,_ADN,_vaccin,_médicaments,_découvertes

    #Sports_/_Santé #Sciences_&_Savoir

  • Le gouvernement envisage de dérembourser certains #arrêts_de_travail prescrits en téléconsultation
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2022/09/25/le-gouvernement-envisage-de-derembourser-certains-arrets-de-travail-prescrit

    Si la mesure est adoptée dans le cadre du budget de la Sécurité sociale, seuls les arrêts prescrits par le #médecin_traitant [qu’on trouve pas] seront remboursés, annonce Gabriel Attal. Cela permettra, selon le ministre, « d’éviter que certains enchaînent les consultations en ligne jusqu’à trouver [le médecin] qui voudra bien leur délivrer un arrêt maladie ».

    Selon lui, « on a constaté une explosion des arrêts maladie donnés, en téléconsultation, par un professionnel qui n’est pas le médecin traitant » pour un montant de « près de 100 millions d’euros l’an dernier ».

    Plus globalement dans son entretien au JDD, Gabriel Attal insiste sur la lutte contre la #fraude_sociale, clin d’œil aux députés Les Républicains (LR) dont le vote pourrait être précieux lors de l’examen des budgets de l’Etat et de la Sécurité sociale au Parlement. Le ministre promet de « renforcer les pouvoirs des #cyberenquêteurs des caisses de la Sécurité sociale » qui pourront « repérer un professionnel qui ne déclare qu’une activité salariée mais propose ses services en indépendant sur Leboncoin sans les déclarer ».

    « Les fraudeurs n’écoperont plus seulement d’une amende, mais devront aussi régler leurs frais de dossier, car les Français en ont marre de payer pour eux », complète le ministre. A propos de la réforme des #retraites, la décision d’un amendement au budget de la Sécurité sociale sera « tranché[e] par le président et la première ministre », mais M. Attal l’a redit : « Nous ferons la réforme, notre régime est déficitaire. »

    #refus_du_travail #travail #budget

    • toujours le même discours moisi sur la #fraude_sociale = #guerre_aux_pauvres, avec zéro points de repères ni comparaisons avec les autres centres de coûts du budget de l’état ; stigmatisez, stigmatisez, il en restera toujours quelque chose.

      Attal a le mérite d’asséner un chiffre [pratique à la mode] qui du coup peut servir à évaluer l’ampleur des dégâts : « près de 100 millions d’euros l’an dernier » ; OMG ; environ le montant des sub à la presse https://seenthis.net/messages/974059 dont 1/6 part chez « I ❤️ Bernard » (LVMH).

      Et sinon, à combien ils estiment la fraude fiscale, des boites, des patrons, ou des riches ou semi-riches ? J’ai vu 100 aussi, dans l’internet, mais c’est 100 milliards https://www.francetvinfo.fr/economie/impots/lutte-contre-la-fraude-fiscale-pres-de-100-milliards-deuros-echappent-t

      Pour l’histoire des retraites, Le Monde a réussi à trouver un rapport avec le titre [et le sujet] de l’article, ou c’est juste qu’ils ont profité de l’occasion pour fourguer la propagande gouvernementale façon Coué [il en restera toujours quelque chose] ? Même le COR démontre que « notre régime est déficitaire » est au mieux une infox.

    • Bob de l’ARS @Mr_CPOM
      https://twitter.com/Mr_CPOM/status/1574131376517009409

      les arrêts c’est le genre de dépense qui a explosé en particulier suite aux réformes des retraites, avec une augmentation fulgurante chez les 55/65 et surtout les 60/65, bref les gens qui étaient retraités avant les réformes

      par effet de bord ça crée aussi du sous effectif dans bcp de services publics car quand un poste est occupé par qqn de cassé généralement ses absences de santé ne sont pas compensées

    • La retraite permet à celleux qui n’ont plus un état physique au top (on dit aussi être vieux ) de se soigner. Mais ça ne semble pas avoir été entré comme paramètre dans l’algorithme, et comme ça coûte finalement plus cher à la société que la retraite la prise en charge des soins + la place (suppression du service travail) pour réduire les coûts, après avoir supprimé les médecins suffisait de supprimer les consultations.

  • Ottawa aurait perdu le contrôle sur le cannabis thérapeutique pour les vétérans La Presse canadienne
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1914782/anciens-combattants-canada-programme-cannabis-medicinal-perte-contr

    Un audit interne au ministère des Anciens Combattants suggère qu’Ottawa, qui débourse des dizaines de millions de dollars chaque année pour la marijuana thérapeutique, a pratiquement perdu le contrôle de ce programme.

    Publié discrètement cette semaine, le rapport d’audit révèle notamment qu’Anciens Combattants Canada offre ce programme sans trop de supervision, d’encadrement ou de données probantes sur les bénéfices pour la santé des vétérans.


    Le programme fédéral mis en place pour fournir du cannabis thérapeutique aux anciens combattants a coûté 150 millions de dollars au cours du dernier exercice financier. C’est plus que tous les autres médicaments sur ordonnance combinés. (archives) Photo : Radio-Canada / Axel Tardieu

    Les résultats de l’audit sont publiés alors que le nombre d’anciens combattants qui demandent un remboursement pour leur cannabis médicinal a explosé depuis quelques années, passant d’une centaine en 2014 à plus de 18 000 l’année dernière. Et on ne semble pas voir une tendance à la baisse à l’horizon.

    Résultat : le ministère des Anciens Combattants a dépensé plus de 150 millions de dollars en marijuana à des fins thérapeutiques l’an dernier, soit plus que pour tous les autres médicaments sur ordonnance combinés. Ce poste budgétaire devrait atteindre 200 millions cette année et 300 millions d’ici 2025-2026.

    Pourtant, même si la demande a augmenté de façon exponentielle, les auteurs de l’audit ont constaté une pénurie persistante de recherches sur les avantages thérapeutiques – et les risques – associés au cannabis pour les anciens combattants, en particulier ceux qui souffrent de traumatismes psychologiques.

    L’audit souligne par ailleurs un manque de directives et de surveillance concernant l’admissibilité des vétérans à cette marijuana thérapeutique, les critères selon lesquels ce médicament est prescrit et la façon dont les anciens combattants obtiennent une ordonnance.

    Le ministère “a pris des mesures pour opérationnaliser sa politique afin de fournir aux vétérans un accès au remboursement du traitement”, indique le rapport. “Toutefois, d’importantes lacunes demeurent sur le plan des contrôles internes relatifs à la santé des vétérans et à la gestion du programme.”

    Explosion des réclamations
    Le ministère des Anciens Combattants a commencé à rembourser quelques vétérans pour leur cannabis médicinal en 2008, date à laquelle les approbations ont été accordées sur une base extrêmement limitée et avec l’approbation d’un médecin spécialiste.

    Cette décision faisait suite à une série de jugements rendus par les tribunaux il y a plus de 20 ans, qui ont accordé pour la première fois une protection juridique contre toute poursuite criminelle pour la consommation de marijuana à des fins médicales.

    Puis, en 2014, Santé Canada a assoupli ses règles pour déterminer ceux qui pouvaient autoriser l’utilisation de la marijuana médicinale, et dans quelles conditions et circonstances. Les nouvelles règles n’ont pas imposé de limites à la quantité de marijuana qui pouvait être autorisée ni au coût.

    Ce changement a entraîné une explosion des réclamations et des coûts, malgré la décision du gouvernement libéral, en 2016, de limiter les réclamations à trois grammes par jour, à un prix fixe de 8,50 $ le gramme . Le ministère peut par ailleurs rembourser, “à titre exceptionnel”, jusqu’à 10 grammes par jour “lorsqu’un vétéran satisfait à des exigences supplémentaires”.

    Les auteurs du rapport d’audit soulignent que, selon les recherches disponibles, qui sont encore limitées, les individus devraient consommer moins de trois grammes de cannabis par jour et faire des suivis réguliers avec leur professionnel de la santé.

    Santé Canada et le Collège des médecins de famille du Canada ont également mis en garde contre les effets potentiellement néfastes de la consommation de marijuana chez les personnes souffrant de troubles de santé mentale, en particulier de trouble de stress post-traumatique.

    Pourtant, le rapport d’audit indique qu’Anciens Combattants Canada n’a fourni ni directive ni restriction sur les types de problèmes de santé admissibles au remboursement de la marijuana à des fins médicales.

    Des contre-indications
    Pratiquement toutes les conditions médicales sont admissibles au programme, dont le syndrome de stress post-traumatique. Or, “la grande majorité” des vétérans qui ont été remboursés pour leur cannabis médicinal “étaient atteints de troubles de santé mentale [en particulier l’état de stress post-traumatique]”.

    Pourtant, ces états psychologiques “sont considérés comme une contre-indication” par des organismes de santé comme le Collège des médecins de famille du Canada et Santé Canada, indiquent les auteurs du rapport.

    Pendant la même période, près de 80 % des autorisations concernaient trois grammes de cannabis ou plus par jour, alors que les lettres d’autorisation de spécialistes pour de nombreux anciens combattants “ne comportaient que très peu d’éléments à l’appui d’une étroite relation médecin-patient”.

    “Les recommandations relatives au suivi étaient vagues, les spécialistes utilisant des formulations comme : suivi dans six mois ou selon les besoins cliniques, lit-on dans le rapport. Un peu plus de la moitié des lettres examinées dans le cadre de la vérification ne comportaient aucune mention relative au suivi.”

    De plus, environ le tiers des dossiers examinés ne comportaient aucune trace indiquant quel fournisseur de soins de santé avait effectivement autorisé l’ancien combattant à recevoir du cannabis médicinal. Et de nombreux dossiers étaient incomplets.

    Des professionnels généreux
    Dans l’une des conclusions les plus troublantes du rapport d’audit, on lit que 11 professionnels de la santé ont remis des autorisations à près de 40 % des vétérans qui demandaient un remboursement pour du cannabis thérapeutique, soit plus de 6000. Un de ces professionnels de la santé a approuvé à lui seul près de 1300 de ces demandes, et trois autres ont remis entre 700 et 830 autorisations.

    “L’équipe de vérification a notamment constaté qu’un petit nombre de médecins avaient autorisé un très grand nombre de vétérans à avoir recours [au cannabis à des fins médicales], ce qui soulève des questions quant à la rigueur du suivi effectué”, lit-on dans le rapport.

    “Comme les lignes directrices sur l’autorisation [...] sont limitées, il existe un risque que certains professionnels de la santé prescrivent à outrance” ce traitement de cannabis.

    * Une poignée de fonctionnaires
    Malgré ces drapeaux rouges, ainsi que le risque pour les anciens combattants et les contribuables, les auteurs du rapport notent que la grande majorité des demandes de remboursement ont été approuvées, le ministère se concentrant sur l’accessibilité à ce programme plutôt que sur sa surveillance et son contrôle.

    On note ainsi que 45 anciens combattants dont l’état de santé était répertorié comme un trouble de toxicomanie ont reçu un remboursement. Par ailleurs, 46 vétérans ont reçu le remboursement de grandes quantités de cannabis (7 à 10 grammes par jour) “tout en ayant aussi reçu le remboursement de médicaments appartenant à chacune des quatre classes de médicaments à risque élevé : les antidépresseurs, les antipsychotiques, les benzodiazépines et les opioïdes”.

    Les auteurs du rapport rappellent que ce programme est administré “par un petit effectif de 3,5 employés [équivalents temps plein], avec le soutien du groupe des professionnels de la santé” du ministère.

    En réponse à ce rapport d’audit, les responsables d’Anciens Combattants Canada assurent qu’ils envisagent une variété de changements en matière de critères d’admissibilité au remboursement, ainsi que des limites sur le montant quotidien qui peut être autorisé et sur les types de produits.

    Le ministère envisage également un nouveau formulaire d’autorisation plus détaillé et des garanties supplémentaires exigées pour ceux qui demandent plus de trois grammes par jour. On ignore à quel moment ces changements pourraient être mis en place.

    #armée #vétérans #anciens_combattants #médecins #thc #canabis #cannabis #marijuana #cannabis_médicinal #drogue #médecins #stress #post-traumatique #santé_mentale #toxicomanie

  • Un filtrage mis en place pour accéder aux urgences du CHU d’Amiens Yann Defacque - Le journal d’Abbeville
    https://actu.fr/hauts-de-france/amiens_80021/un-filtrage-mis-en-place-pour-acceder-aux-urgences-du-chu-d-amiens_53575564.htm

    A l’instar de nombreux autres services d’urgences en France, le service des urgences polyvalentes adultes du CHU Amiens-Picardie est confronté à des difficultés de ressources humaines.

    Depuis ce lundi 5 septembre 2022, l’accès aux urgences, hors urgences vitales, sera filtré. Des professionnels de santé assureront le filtrage d’accès au service d’urgence afin que les patients qui ne nécessitent pas une prise en charge en urgence puissent, selon l’analyse de leurs besoins, bénéficier de conseils médicaux et le cas échéant être orientés vers un médecin de garde.

    Tous les patients qui nécessitent une prise en charge en urgence au CHU continueront d’être pris en charge.

    Ces mesures sont prises afin de garantir une prise en charge adaptée, en toute sécurité, au sein du service des urgences adultes du CHU.

    A noter : les urgences gynécologiques et obstétricales, ophtalmologiques et pédiatriques restent assurées dans leur fonctionnement habituel.

    Tout est mis en place au CHU Amiens-Picardie pour garantir la meilleure continuité de prise en charge du patient en parfaite sécurité, 24h sur 24.

    Le Directeur Général de l’Agence Régionale de Santé sera présent au CHU mardi 6 septembre 2022 afin d’évoquer les solutions déployables à l’échelle du territoire pour assurer la bonne continuité des prises en charge en soins non programmés et d’apporter son soutien aux professionnels mobilisés. . . . . bla . . bla . . .bla. .

    #hôpital #santé #france #santé_publique #travail #en_vedette La véritable #crise_sanitaire #médecine #soignants

  • Enquête policière sur un camp biblique pour enfants à la suite d’allégations d’exorcisme Radio-Canada - Avec les informations de Jason Warick
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1908492/enquete-policiere-allegations-exorcisme-camp-biblique

    Le camp biblique pour enfants Redberry, près de Saskatoon, fait l’objet d’une enquête par différents corps policiers en raison d’allégations concernant un exorcisme qui y aurait été pratiqué plus tôt cet été.

    L’incident se serait produit dans l’un des chalets du camp, selon un représentant du gouvernement ayant pris connaissance du rapport concernant l’événement. Ce dernier a toutefois demandé l’anonymat puisqu’il n’est pas autorisé à parler aux médias.

    Dans le document, deux témoins affirment qu’un jeune adolescent était étendu sur le sol, en détresse médicale. Son nez saignait et son corps était pris de contractions.

    D’autres campeurs ont alors voulu lui venir en aide en allant chercher un employé du camp. Une fois arrivé au chalet, celui-ci a décidé de pratiquer un exorcisme.


    Le camp Redberry accueille plus d’une centaine d’enfants chaque semaine au cours du mois d’août. Photo : CBC / Don Somers

    Une fois la cérémonie terminée, l’employé aurait affirmé avoir délivré le jeune adolescent du démon. Il aurait alors offert sa carte professionnelle aux autres campeurs en leur disant qu’ils devaient rester en contact avec lui pour le reste de leur vie puisque seul lui savait comment conjurer le démon.

    Certains des enfants ont été si terrifiés par l’expérience qu’ils ont téléphoné à leurs parents. Plusieurs d’entre eux sont d’ailleurs venus chercher leurs jeunes le soir même ou le lendemain matin. C’est à ce moment que les forces policières ont été avisées de l’incident.

    Contactée par CBC, la Gendarmerie royale du Canada a confirmé qu’une enquête au sujet de “deux rapports relatant un incident s’étant produit le soir du 13 juillet concernant un employé du camp Redberry et un jeune adolescent” était en cours.
    De son côté, le président du conseil d’administration du camp Redberry, Wayne Dick, affirme que lui et son équipe se penchent aussi sur l’incident.
    . . . . . .
    Le camp biblique Redberry, fondé en 1943, est géré par les Frères évangéliques conservateurs mennonites de la Saskatchewan. Sur son site web, dans la liste des partenaires, on retrouve d’autres groupes chrétiens ainsi que l’Association saskatchewanaise des camps.
    . . . . .

    #Santé #Enfants #exorcisme #religion #catholicisme #canada #Médecine au pays de #julien_trudeau #obscurantisme #bible #religion #tarés #enfants #scouts #scoutisme

  • #Ter_Apel, emergenza migranti. In 700 hanno dormito in strada, arriva Medici senza Frontiere

    Medici Senza Frontiere è intervenuta presso il centro per richiedenti asilo di Ter Apel, dove la notte scorsa 700 persone hanno dormito in strada, dice NOS.

    Da oggi l’organizzazione umanitaria internazionale Medici Senza Frontiere ha un’équipe a Ter Apel e presta assistenza ai richiedenti asilo che devono rimanere fuori dalla struttura per mancanza di posti di accoglienza.

    Il team è composto da cinque persone che forniscono assistenza sanitaria di base, dice NOS; curano ferite, infezioni e malattie della pelle e forniscono un primo soccorso psicologico ad adulti e bambini.

    È la prima volta che l’organizzazione umanitaria internazionale schiera una squadra nei Paesi Bassi.

    Ieri notte, circa 700 persone hanno dormito di nuovo all’aperto, dice la Croce Rossa. L’Agenzia centrale per l’accoglienza dei richiedenti asilo (COA) aveva già avvertito che potesse presentarsi una situazione come questa.

    Secondo MSF la situazione è simile a quella di Moria, sull’isola greca di Lesbo. Non c’erano docce e i servizi igienici non erano puliti.

    Il team ha parlato con persone che non riuscivano a lavarsi da una settimana: Alcuni avevano contratto una malattia della pelle a causa della mancanza di igiene. Negli ultimi giorni centinaia di persone hanno trascorso la notte all’aperto, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche. “Tra questi donne incinte, bambini e persone con malattie croniche, come il diabete”.

    Alcuni malati cronici hanno esaurito i farmaci. “Se questa situazione persiste, potrebbe portare a gravi emergenze mediche”, ha affermato MSF.

    Secondo il sottosegretario Van der Burg, è molto importante che Medici senza frontiere vada a Ter Apel e si rammarica per la situazione

    “Abbiamo toccato il fondo”, dice il sindaco di Groningen, Koen Schuiling, a NOS Radio 1 Journaal. Il sindaco, che è anche presidente della Comitato per la sicurezza di Groningen, afferma che la situazione al centro di per richiedenti asilo “è insostenibile da un po’ di tempo” e, come MSF, fa un paragone con il campo di Moria.

    La direttrice di MSF Judith Sargentini definisce senza precedenti che MSF debba agire nei Paesi Bassi, “ma le circostanze in cui si trovano queste persone sono disumane”. Vuole che il governo centrale e i comuni mettano fine a tutto questo. Il team di MSF dovrebbe rimanere a Ter Apel per quattro o sei settimane. “Questa è davvero una soluzione a breve termine.”

    Il sindaco di #Groningen si vergogna di Ter Apel che definisce ‘La nostra Lampedusa’, dice NOS.

    https://www.31mag.nl/ter-apel-emergenza-migranti-in-700-hanno-dormito-in-strada-arriva-medici-senza

    #MSF #migrations #réfugiés #Pays-Bas #Groningue #SDF #logement #hébergement #centre_d'accueil #médecins_sans_frontières

    –—

    MSF débarque donc aux Pays-Bas, comme elle avait débarqué à #Briançon en novembre 2021 quand le Refuge Solidaire a fermé temporairement pour faire pression sur l’Etat... qui s’en est lavé les mains...


    https://seenthis.net/messages/934336#message936406

    • Dutch asylum center disaster: Housing crisis and politics to blame for Ter Apel crisis

      Displaced people are still in limbo at Ter Apel’s asylum center in The Netherlands. Migration experts blame Dutch politicians and the lack of housing facilities for the asylum reception fiasco in the country.

      “Stress, insomnia and anger. That’s what I’ve been experiencing over the past few days,” said Saleh (name changed) a displaced person from Yemen, who is keen to seek asylum in The Netherlands.

      Seated on a torn mattress on a muddy footpath outside the Ter Apel asylum center in the northern province of Groningen — The Netherlands’ largest and main asylum reception center — he described how the inhumane conditions there had also left him feeling suicidal.

      “I fled horrible living conditions in Yemen in July this year hoping to live a better life in Europe. I reached The Netherlands in early August and continue to live in a harsh manner. I have been sleeping outside with the mosquitoes for more than three weeks since the Ter Apel center is overcrowded. They won’t even let me register for asylum and all this waiting and uncertainty has left me feeling like killing myself,” he told DW.
      Overcrowding and health hazards at Ter Apel

      Located in the lush green village of Ter Apel, this center can house up to 2,000 people and is also the place where refugees have to declare their arrival in order to begin their asylum application process.

      But over the past few weeks, bureaucracy in asylum procedures and overcrowding at the center led to more than 700 people camping outside. A three-month-old baby also died at the center last week.

      While investigations around the cause of the baby’s death are still ongoing, Nicole van Batenburg, press officer at Red Cross Netherlands, told DW that the health conditions in the center have been terrible for months.

      “We’ve seen a lot of health hazards. Many people get blisters, foot problems and skin issues because they can’t shower and have been sleeping in rough conditions outside. Some have also had heart and respiratory problems and we’ve been working together with Doctors Without Borders who have also set up their base here for the first time, to help people,” she said.

      Dutch Prime Minister Mark Rutte has said he was “ashamed” and announced several measures over the weekend to try and get the situation under control. So far, more than several hundred have been evacuated by bus to other asylum shelters around the country, in order to ensure that nobody had to sleep outside.

      Yet some like Saleh refused to leave, fearing they would lose their turn of registering their asylum claims at the main Ter Apel center. “I need to get my asylum papers and will continue waiting for however long it takes,” he said.

      According to Milo Schoenmaker, Chairman of the board of the Central Agency for the Reception of Asylum Seekers (COA), there are currently 16,000 people inside the center. He said in a statement that the Dutch cabinet, was now focusing on transferring the 16,000 people who live in the center and already hold asylum status.

      “This offers them perspective and creates space for new people who need asylum reception,” he said.

      Yahia Mane, a refugee from Sierra Leone, thinks this is a false claim.

      “They are lying about no place inside the center. There are rooms still empty. I saw that when I was inside with my family. They just don’t want to admit more people. That makes them criminals,” he said.

      “I lived inside with my wife and two kids for three weeks after registering, but it was horrible. We didn’t even get proper food. They now want to transfer me to another prison-like asylum center and separate me from my family, and make place for new arrivals. I didn’t expect this from the Netherlands. I came here hoping I would have a safe roof for my family,” he told DW.
      Politics and housing crisis behind asylum reception fiasco

      Sophie in’t Veld, a member of the European Parliament and politician from the liberal D66 party, told DW that the asylum reception crisis is mainly a political problem.

      “Being one of the richest countries in the world, I find it absolutely shameful that the political system of our country has resulted in people living in such conditions. The current government has mismanaged migration over the past few years with some political parties in the country wanting to stop immigration. They want no more asylum seekers, which I think is an illusion,” she said.

      Veld was also critical of the Dutch government’s solution of tackling the Ter Apel reception crisis by limiting family reunification visas and restricting migrant arrivals agreed under a 2016 European Union deal with Turkey.

      “This is clearly a violation of human rights and also EU law. I particularly find the family reunification restriction disturbing because that means people can be cut off from their children, their parents and relatives for a long period of time,” she said.

      The Dutch government has set a September 10 deadline to have all refugees living in proper shelters and also instructed the Dutch army to build a second asylum reception center.

      But Bram Frows, Director of the Mixed Migration Center, said the problem is also linked to a huge housing crisis brewing in The Netherlands.

      “There just aren’t enough houses in the country which affects the availability of houses for asylum seekers. So this means they will continue living in asylum reception centers across the country for months. In turn, the asylum centers have no capacity to receive new arrivals and people have to sleep outside,” he told DW.

      Rising house prices and property investors manipulating the housing market are some of the main reasons behind the lack of enough housing facilities in the Netherlands according to a study commissioned by the Dutch Interior Ministry.

      Frows lists a number of other issues that are exacerbating the problem.

      “Shortage of laborers means there aren’t enough people to construct new homes. A nitrogen emission crisis is stalling the process of building houses. And farmers are being told by the far right that the Dutch elite who support immigration will encroach farmlands to build new homes for migrants. So in the end, it is the asylum seekers who bear the brunt,” he added.
      Pathway ahead with EU help

      The European Union Agency for Asylum has already stepped in to support the Dutch authorities in increasing asylum reception capacity. According to an EU Commission spokesperson, the operational plan was signed between the Agency and the Dutch authorities on May 6 this year.

      “The plan, with one year validity, aims to extend reception and accommodation capacities for asylum seekers and displaced people, deploying seven European Union Agency for Asylum staff on the ground and providing 160 containers. As of August 23, the first Reception Officer from the European Union Agency for Asylum has been deployed to Ter Apel,” the spokesperson told DW.

      Yet Frows thinks the EU should also critically assess the Dutch asylum policy, including the government’s newly proposed ideas on family reunification.

      “The government’s plan to handle this crisis by reducing family reunification arrivals in order to avoid congestion at Ter Apel should be avoided. So far, these people arrive on family reunification visas and also need to register at Ter Apel. There is no need for that since they have already been vetted. This isn’t a solution to stop overcrowding,” he said.

      He added that the Dutch government can find creative solutions like using empty office buildings as temporary housing sectors.

      Cities like Velsen-North and Amsterdam have already been proactive. According to local media reports, both have approved an agreement with the central government to house at least 1,000 refugees on a cruise ship anchored to their ports for at least six months.

      For Saleh, who still remains in limbo on the streets of Ter Apel, such solutions give him hope for the near future.

      “I know the Dutch people are amazing and will find solutions. But the bureaucracy of the migration system is what is really affecting us right now. I hope I get my papers soon so I can live and work in any place here to give back to this country,” he said.

      https://www.dw.com/en/dutch-asylum-center-disaster-housing-crisis-and-politics-to-blame-for-ter-apel-crisis/a-62979784

      #modèle_hollandais

  • Les femmes médecins passent plus de temps en consultation... et gagnent moins que les hommes | Slate.fr
    http://www.slate.fr/story/231656/ecart-salarial-remuneration-femmes-hommes-medecins-duree-consultations-inegali

    Il est évident que des consultations plus longues ne font pas nécessairement des consultations de meilleure qualité. Cela étant, les patients ayant bénéficié de ces minutes supplémentaires ont tendance à être plus satisfaits des soins reçus. En 2016, une étude révélait même que les patients âgés avaient moins de risques de mourir à l’hôpital ou d’y retourner s’ils étaient pris en charge par des femmes.
    Un système imparfait

    Outre ces consultations plus longues, l’enquête met aussi en évidence des différences au niveau de la facturation. Alors qu’elles établissent davantage de diagnostics et passent plus de commandes pour leurs patients, les femmes médecins ont tendance à proposer des tarifs moins élevés. Ce décalage entre le temps accordé à leurs patients et les revenus générés pourrait expliquer pourquoi les femmes médecins sont confrontées à un plus grand risque d’épuisement professionnel que leurs homologues masculins, alertent les auteurs de l’étude.

  • Plus de précision dans la rectification des gènes, un CRISPR prometteur.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4345

    De cette nouvelle compréhension, car venant de recherche et expérimentation, il y aura sûrement des applications potentielles de grande envergure dans le domaine de l’édition de gènes. La conclusion est que la réparation provoquée par Nickase par rapport à Cas9 diffère à la fois par le moment du développement, stades tardifs par rapport aux stades précoces. Et par la production d’événements mutagènes indésirables, rares par rapport aux fréquents. High-tech / Sciences

    / Sciences & Savoir, #médecine,_sciences,_technologie,_ADN,_vaccin,_médicaments,_découvertes

    #High-tech_/_Sciences #Sciences_&_Savoir

  • Individualisme pandémique | Mediapart | 07.08.22

    https://www.mediapart.fr/journal/france/070822/face-une-pandemie-faut-il-se-contenter-d-outils-imparfaits

    De nombreux chercheurs et chercheuses l’ont souligné durant cette crise : la France, qui était à l’origine même de la santé publique à la fin du XVIIIe siècle, est maintenant l’un des pays les plus focalisés sur le soin individuel curatif. « En matière de dépenses nationales de santé, chaque fois que nous dépensons 100 euros, 96 euros vont aux soins individuels et 4 euros seulement à la prévention organisée. Le déséquilibre est très fort alors que les pays à forte politique de santé publique sont plutôt sur un ratio de 90/10 », déplore William Dab.

    Pour cet ex-directeur général de la santé, « nous avons été remarquables dans le domaine des soins : nous avons été l’un des pays où il y a eu le moins de pertes de chance. En revanche, en ce qui concerne la prévention, il y beaucoup de choses à rebâtir ». À commencer par accepter d’autres approches que la médecine curative individuelle, des approches où le « plus » est souvent mieux que le « parfait », où le mieux est parfois l’ennemi du bien.

    • Cité dans l’article:
      To mask or not to mask: Modeling the potential for face mask use by the general public to curtail the COVID-19 pandemic

      Face mask use by the general public for limiting the spread of the COVID-19 pandemic is controversial, though increasingly recommended, and the potential of this intervention is not well understood. We develop a compartmental model for assessing the community-wide impact of mask use by the general, asymptomatic public, a portion of which may be asymptomatically infectious. Model simulations, using data relevant to COVID-19 dynamics in the US states of New York and Washington, suggest that broad adoption of even relatively ineffective face masks may meaningfully reduce community transmission of COVID-19 and decrease peak hospitalizations and deaths. Moreover, mask use decreases the effective transmission rate in nearly linear proportion to the product of mask effectiveness (as a fraction of potentially infectious contacts blocked) and coverage rate (as a fraction of the general population), while the impact on epidemiologic outcomes (death, hospitalizations) is highly nonlinear, indicating masks could synergize with other non-pharmaceutical measures. Notably, masks are found to be useful with respect to both preventing illness in healthy persons and preventing asymptomatic transmission. Hypothetical mask adoption scenarios, for Washington and New York state, suggest that immediate near universal (80%) adoption of moderately (50%) effective masks could prevent on the order of 17–45% of projected deaths over two months in New York, while decreasing the peak daily death rate by 34–58%, absent other changes in epidemic dynamics. Even very weak masks (20% effective) can still be useful if the underlying transmission rate is relatively low or decreasing: In Washington, where baseline transmission is much less intense, 80% adoption of such masks could reduce mortality by 24–65% (and peak deaths 15–69%), compared to 2–9% mortality reduction in New York (peak death reduction 9–18%). Our results suggest use of face masks by the general public is potentially of high value in curtailing community transmission and the burden of the pandemic. The community-wide benefits are likely to be greatest when face masks are used in conjunction with other non-pharmaceutical practices (such as social-distancing), and when adoption is nearly universal (nation-wide) and compliance is high.

      https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.04.06.20055624v1

    • Et aussi cité dans l’article, l’enquête de Mediapart sur la pénurie de masques (déjà plusieurs fois cité sur seenthis) :

      Masques : les preuves d’un mensonge d’Etat

      Pénurie cachée, consignes sanitaires fantaisistes, propositions d’importations négligées, stocks toujours insuffisants, entreprises privilégiées : basée sur de nombreux témoignages et documents confidentiels, une enquête de Mediapart révèle la gestion chaotique au sommet de l’État, entre janvier et aujourd’hui, sur la question cruciale des masques. Et les mensonges qui l’ont accompagnée. Les soignants, eux, sont contaminés par centaines.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/020420/masques-les-preuves-d-un-mensonge-d-etat

  • #canada : Des infirmières malades de la COVID-19 forcées de travailler Le Devoir - Nikoo Pajoom
    https://www.ledevoir.com/societe/sante/740238/coronavirus-au-boulot-meme-malades

    L’accalmie estivale attendue n’est pas arrivée dans les hôpitaux. Des infirmières ayant des symptômes sévères de la COVID-19, dont des nausées, des vomissements, des maux de tête et des douleurs musculaires, sont forcées de travailler auprès de patients vulnérables pour éviter des ruptures de service dans le réseau de la santé.

    Selon ce que Le Devoir a appris, cette obligation de rester en poste malgré un test de dépistage positif et des symptômes incommodants crée un malaise chez des travailleurs de la santé. Des infirmières ont confié leurs craintes d’infecter des patients ou de commettre des erreurs médicales en raison de la fatigue et des symptômes de la COVID-19.


    Photo : Jacques Nadeau Le Devoir Le ministère de la Santé et des Services sociaux confirme que des employés malades de la COVID-19 peuvent être appelés à travailler en cas de « compromission persistante » de l’accès aux services due au manque de personnel. _

    « C’est une situation dangereuse pour mes collègues, pour les patients et pour moi-même », raconte une infirmière qui travaille en gériatrie auprès d’une clientèle vulnérable. Elle a demandé à garder l’anonymat par crainte de représailles.

    Présentant des symptômes d’une infection à la COVID-19, cette travailleuse a effectué un test rapide de dépistage qui s’est révélé positif. Après un test PCR qui a confirmé l’infection, les gestionnaires responsables des employés avec un test positif à la COVID lui ont dit de s’isoler pendant cinq jours. Cependant, après avoir informé sa cheffe d’unité, cette infirmière a dû rester sur son quart de travail « avec l’accord de la haute direction ».

    Le lendemain, des gestionnaires lui ont ordonné de retourner au travail en raison du manque de personnel dans son unité. Mais, entre-temps, son état de santé s’était détérioré : « J’ai développé des symptômes de plus en plus intenses. Nausées, vomissements, céphalées, douleurs musculaires et douleurs abdominales. »

    Elle en a informé les personnes responsables. Pourtant, on lui a dit que tant qu’elle n’avait pas de fièvre, elle devait continuer à travailler. Cette décision a conduit l’infirmière à travailler « avec des étourdissements et des nausées ». « J’ai malheureusement vomi dans mon département. »

    Après cet épisode, on lui a intimé de rentrer chez elle immédiatement. Mais sans aucune relève, l’infirmière a été obligée de terminer son quart malgré ses symptômes.

    Le lendemain, à cause d’une forte fièvre, elle a été autorisée à s’isoler jusqu’au retour à une température sous les 38°C.

    Éviter les ruptures de service  
    Le ministère de la Santé et des Services sociaux (MSSS) confirme que des employés malades de la COVID-19 peuvent être appelés à travailler en cas de « compromission persistante » de l’accès aux services due au manque de personnel.

    Quelque 6478 employés du réseau de la santé étaient absents en raison de la COVID-19 en date du 26 juillet, selon le MSSS. « Il est évident que ce taux d’absentéisme contribue à exercer davantage de pression sur les employés en poste et sur le réseau de la santé », affirme Robert Maranda, porte-parole du MSSS.

    « La réintégration précoce d’un employé infecté par la COVID se fait lorsque les autres options ont été épuisées et lorsque l’établissement risque la rupture de services en raison du manque de travailleurs », précise-t-il. L’établissement doit s’assurer que le retour se fait en zone « chaude », où sont des personnes déjà infectées par la COVID, ou auprès de clientèles moins vulnérables. Des mesures doivent être prises pour éviter que d’autres employés se contaminent, en réservant aux travailleurs infectés une salle de repas ou un vestiaire, par exemple. Ces derniers doivent aussi porter des équipements de protection adéquats, souligne le MSSS.

    Principe de précaution
    Une autre infirmière ayant 20 années d’expérience, qui souhaite aussi rester anonyme, a dû travailler malgré un test positif de COVID-19 et des symptômes d’une infection. Elle faisait de son mieux pour éviter ses collègues et elle allait dans un coin « où il n’y avait personne » quand elle avait besoin de se moucher.

    « Je ne l’ai pas dit à mes patients, parce que je ne voulais pas leur faire peur », explique l’infirmière.

    « Les gens étaient choqués de savoir qu’ils pouvaient être soignés par une infirmière non vaccinée, mais ils ne savent peut-être pas que les travailleurs de la santé sont susceptibles d’être contagieux », ajoute-t-elle.

    La Fédération interprofessionnelle de la santé du Québec (FIQ) soutient que les travailleuses de la santé infectées à la COVID-19 devraient s’isoler pendant 10 jours.

    « Nous prônons le principe de précaution au bénéfice des travailleuses, mais aussi pour les patients. On ne doit pas faire de compromis sur la santé et la sécurité des patients et des travailleuses », fait valoir Benoit Hamilton, attaché de presse de la FIQ.

    Le travail des infirmières atteintes de COVID-19 « ne semble pas une pratique généralisée pour l’instant », selon le syndicat.

    De son côté, l’Ordre des infirmières et infirmiers du Québec rappelle que ses membres n’ont « aucune obligation déontologique d’informer leurs patients de leur condition de santé ».

    Une infirmière qui se rend au travail en se sachant malade « doit en aviser son employeur et respecter les règles de prévention des infections », dont le port d’équipements de protection pour protéger ses patients.

    « Par contre, si elle considère qu’elle n’est pas apte à se rendre au travail au point d’affecter la qualité des soins à prodiguer, elle doit se retirer et en aviser son employeur. »

    #covid-19 #coronavirus #santé #pandémie #sars-cov-2 #Hôpital #Santé #Santé_Publique #Soignants #Soignantes #Médecine #esclavage ? #Travail #crise_sanitaire #conditions_de_travail

  • #Découverte : Le manque de moyens consacrés aux infirmiers a un impact direct sur la mortalité des patients aux soins intensifs Sophie Mergen - RTBF
    https://www.rtbf.be/article/le-manque-de-moyens-consacres-aux-infirmiers-a-un-impact-direct-sur-la-mortalit

    C’est le constat interpellant que dressent plusieurs chercheurs belges, suite à une vaste étude menée dans dix-sept hôpitaux du pays.

    En filigrane, cette question : le montant investi par les hôpitaux dans leurs infirmiers a-t-il un impact sur la santé des patients ? 

    Durant un an, des chercheurs ont passé à la loupe pas moins de 18 000 séjours hospitaliers en soins intensifs, en comparant les hôpitaux qui investissent beaucoup dans leurs ressources infirmières à ceux qui investissent peu. 

    Les résultats sont sans appel : les hôpitaux qui dépensent le plus d’argent pour leurs infirmiers affichent un taux de mortalité significativement plus bas. Ce taux de mortalité chute même de 20% par rapport aux hôpitaux qui consacrent peu d’argent à leurs ressources infirmières.


    C’est un message fort adressé à nos hôpitaux et nos politiques

    A l’origine de l’étude, un collectif de chercheurs belges emmené par Arnaud Bruyneel, infirmier spécialisé en soins intensifs et doctorant en Santé publique à l’Université Libre de Bruxelles. "Plus le budget consacré aux infirmiers est important, plus l’hôpital peut engager, et plus le nombre d’équivalents temps plein par patient est donc élevé" explique-t-il. « On peut aussi supposer que là où le budget est le plus important, les infirmiers sont plus qualifiés, plus spécialisés et plus expérimentés, ce qui explique qu’ils coûtent plus cher à l’hôpital ». 

    Premier enseignement :  moins il y a d’infirmiers par patient, plus le taux de mortalité est important. Cette étude vient donc confirmer d’autres études internationales, publiées dans des revues prestigieuses comme The Lancet. Ces études démontraient déjà que chaque patient ajouté à une infirmière augmentait de 7% le risque de mortalité. 

    « Quand le suivi n’y est pas, aux soins intensifs, on le paye cash »
    Des résultats qui n’étonnent pas Thomas Persoons, infirmier SIAMU. Après avoir travaillé dix-huit ans aux soins intensifs, il a quitté le secteur des soins aigus suite à un burn-out. L’impact du manque de moyens sur la mortalité, il l’a vécu de près.  "On n’est clairement pas assez nombreux pour suivre correctement les patients, vu la lourdeur des cas et le temps que demandent les nouvelles techniques de soins (ECMO, dialyses en continu, etc)". 

    Il y a eu des accidents. Des patients sont décédés parce qu’on ne savait pas être à deux endroits en même temps

    « On a eu des cas où on ne savait plus où donner de la tête et clairement, il y a pu avoir des accidents, des patients qui sont décédés parce qu’on ne savait pas être à deux endroits en même temps ». 

    « Aux soins intensifs, quand le suivi n’est pas là, ça se paye cash » continue-t-il. « Si ça craque dans deux chambres en même temps et qu’on n’est pas assez, on ne sait pas être partout ». 

    « La Belgique est un très mauvais élève »
    Pour Jérôme Tack, président de la SIZ Nursing, association francophone des infirmiers de soins intensifs, les résultats de l’étude peuvent aussi être expliqués comme tel :  "Quand la charge de travail est trop importante, il y a toute une série de soins qu’on ne sait pas effectuer, et cela a un impact sur la mortalité. Par exemple, on n’a pas le temps de mobiliser les patients, ce qui entraîne des escarres".

    « C’est ce qu’on appelle les soins manquants » ajoute Arnaud Bruyneel. "Ce sont des soins essentiels que les infirmiers omettent de réaliser par manque de temps. Ce manque de soins augmente le nombre de complications et a, in fine, un impact sur la mortalité". 

    On a des normes complètement obsolètes

    Une récente étude du KCE, centre fédéral d’expertise des soins de santé, montrait que seuls 26% des infirmiers avaient pu réaliser l’ensemble des soins nécessaires durant leur dernière pause de travail. Autrement dit, trois infirmiers sur quatre avaient laissé des soins en suspens. 

    Pour Jérôme Tack, la Belgique est un très mauvais élève en ce qui concerne l’encadrement des patients en soins intensifs.  "On a des normes complètement obsolètes. On est à 1 infirmier pour 3 patients quand d’autres pays européens sont à 1 pour 2 voire 1 pour 1 pour certains types de patients"  dénonce-t-il. 
     

    Un mauvais calcul sur le long terme ? 
    L’étude qui vient d’être publiée montre encore que plus le budget alloué aux ressources infirmières est important, plus les durées d’hospitalisation diminuent. Pour Arnaud Bruyneel,  "il est urgent d’investir dans la profession infirmière, car cela permet d’améliorer la qualité des soins, mais aussi d’économiser de l’argent à moyen et à long terme en diminuant la durée de séjour, les complications et le nombre de réadmissions à l’hôpital". 

    Pour cet expert, les hôpitaux et la société en général auraient donc un retour sur investissement, car cela permettrait à terme de diminuer les coûts liés à des durées d’hospitalisation plus longues et de réduire les coûts pris en charge par la sécurité sociale. 

    L’épineuse question des salaires
    Par ailleurs, pour améliorer le ratio « patients par infirmier », l’une des clés est d’éviter que ces derniers ne quittent la profession prématurément. Or, la dernière étude du KCE montre qu’aux soins intensifs, un infirmier sur deux a l’intention d’abandonner le métier. "Plus on traîne, plus ce phénomène va s’amplifier" explique Arnaud Bruyneel. « Il est éminemment urgent de revaloriser la profession ». 

    Dans ce contexte, la question des salaires est centrale. Avec la réforme IFIC, de nombreux infirmiers spécialisés en soins intensifs perdent de l’argent par rapport à l’ancien système. "Si je prends mon cas, comme infirmier en soins intensifs avec quinze ans d’expérience, je perds 45 000 euros sur ma carrière en entrant dans le nouveau système, alors que je ne travaille qu’à mi-temps". 

    Je me suis dit ’stop, je vais à la catastrophe’

    Pour Thomas Persoons, ce manque de valorisation, de considération et l’intensité de la charge de travail sont des facteurs de burn-out. "Le problème, c’est que quand vous êtes en burn-out, vous faites moins bien votre boulot. Moi, j’avais des trous de mémoire sur des dosages de médicaments ! Je n’en pouvais plus et je me suis dit ’stop, je vais à la catastrophe si je continue à travailler dans cet état-là’ ". 

    Un véritable cercle vicieux difficile à briser. Pour Arnaud Bruyneel, « il faudra des années ». En attendant, l’impact du manque de moyens sur la mortalité des patients est, lui, bien réel. Et désormais avéré dans les hôpitaux belges. 

    #Hôpital #Santé #Santé_Publique #Soignants #Soignantes #Médecine #Travail #crise_sanitaire #conditions_de_travail

  • Ce que la mort dit de la vie
    https://laviedesidees.fr/Ce-que-la-mort-dit-de-la-vie.html

    A propos de : Fabien Provost, 2021, Les mots de la morgue. La #médecine légale en #Inde du Nord, Collection Ethnologiques, Editions Mimésis. La médecine légale permet de produire une documentation administrative mobilisée dans les décisions de justice. L’ethnographie de la morgue en Inde montre que l’éthique scientifique s’inscrit également dans des contraintes sociales et professionnelles qui façonnent l’expertise.

    #Société #éthique
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20220720_morgue.pdf
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20220720_morgue.docx

  • La Macronie récompense ses héros. Aujourd’hui, le ministère de la santé décore la présidente de la société française de pédiatrie.

    Décret du 13 juillet 2022 portant promotion et nomination dans l’ordre national de la Légion d’honneur
    https://www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000046045274

    Ministère de la santé et de la prévention
    Au grade de chevalier

    […]

    Mme Gras-Le Guen, née Gras (Christèle, Florence, Jacqueline), professeur des universités-praticien hospitalier, cheffe du service de pédiatrie générale et des urgences pédiatriques d’un centre hospitalier universitaire ; 31 ans de services.

  • Les greffes de rein sans rejets et les précurseurs à Stanford.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4338

    Les médicaments pris à vie, par les malades ayant eu une greffe, n’éliminent pas complètement le risque que leur corps finisse par attaquer l’organe posé en remplacement de celui obsolète. C’est-à-dire leur effet d’éviter les rejets, de l’organe transplanté suite à chirurgie, n’était complètement acquis. Souvent des dérèglements provoquent des complications... Cette méthode réalisée à Stanford de placer des cellules souches et rein ensemble dans une même transplantation est l’avenir. High-tech / Sciences

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  • L’hôpital de Chauny s’inquiète de voir partir ses médecins étrangers après l’application d’une nouvelle réglementation Eric Henry
    https://france3-regions.francetvinfo.fr/hauts-de-france/aisne/l-hopital-de-chauny-s-inquiete-de-voir-partir-ses-medec

    La procédure d’autorisation d’exercice prévoit que les médecins ayant obtenus leurs diplômes en dehors de l’Union européenne doivent, dans certains cas, effectuer un parcours de consolidation des connaissances dans des centres hospitaliers universitaires. À Chauny, les organisations syndicales s’inquiètent de voir s’éloigner de nombreux médecins des hôpitaux de proximité.

    Laurence Mascoli, la secrétaire FO de l’hôpital de Chauny dans l’Aisne, ne cache pas son inquiétude. « Le directeur de l’établissement n’y peut rien, nous essayons de nous battre pour conserver notre offre de soins et nous avons le sentiment que tout est fait pour fermer des établissements comme le nôtre. » _Cible de son inquiétude le départ prévisible de médecins du service cardiologie.

    Quatre médecins du service de cardiologie de Chauny pourraient quitter l’établissement pour faire valider leurs diplômes dans un CHU Laurence Mascoli Secrétaire générale FO centre hospitalier de Chauny

    L’évolution réglementaire décidée en 2020 entre en application. Les médecins étrangers ayant obtenu leurs diplômes en dehors de l’Union européenne peuvent désormais être reconnus comme docteurs à part entière. Jusqu’à présent, ils font fonction d’internes dans les établissements où ils exercent. Une situation qui les contraint à une rémunération beaucoup moins intéressante que leurs homologues de l’Union européenne.

    Désormais, en effectuant un parcours de consolidation dans un centre hospitalier universitaire, leur statut deviendra plus attractif. « Un séjour d’une voire deux années dans un centre hospitalier universitaire leur est demandé pour leur permettre de quitter leur situation contractuelle » , explique Laurence Mascoli.

    Une nouvelle perspective intéressante pour ces praticiens, mais qui risque, selon la représentante FO, de laisser l’hôpital de Chauny dépourvu de cadres indispensables à son bon fonctionnement. « Dans tous les services, ces médecins diplômés hors Union européenne assurent la continuité de l’activité. Dès septembre, un médecin en cardiologie devra quitter Chauny pendant un an pour son parcours de consolidation, trois autres sont concernés. Comment les remplacer ? » _

    Le souhait que l’ARS fasse preuve de discernement dans l’application des textes
    Le maire de Chauny (divers centre) et président du conseil de surveillance de l’hôpital, Emmanuel Liévin, indique avoir été alerté du problème par la direction. « Effectivement c’est un sujet de préoccupation, je ne sais pas si c’est volontaire, mais en tout cas, ces décisions fragilisent encore les hôpitaux de proximité. »

    Emmanuel Liévin appelle la commission qui supervise la consolidation des compétences des praticiens à individualiser les parcours. « Dans de nombreux cas, ces médecins exercent depuis plusieurs années, voire plus d’une décennie. Leur demander subitement de passer une année ou plus en CHU pour prouver leur compétence me semble complétement disproportionné » . Le maire de Chauny demande donc à l’ARS de la souplesse et du cas par cas afin de limiter ces parcours de consolidation à quelques semaines lorsque cela suffit.

    La CGT santé et action sanitaire souligne par la voix de son secrétaire départemental Olivier Fenioux ,que l’évolution des PADHUE (praticiens diplômés hors Union européenne) était réclamée depuis longtemps. « La plupart de ces médecins sont exploités très clairement, leur traitement mensuel est de l’ordre de 1 500 euros, ils sont cantonnés aux tâches les plus ingrates, nous avons milité pour une meilleure reconnaissance de leur travail. »

    Le syndicaliste reconnaît que leurs absences vont poser de gros problèmes aux petits établissements hospitaliers où il évalue leur proportion dans le personnel médical à environ 70 %. Une situation inextricable dont la seule issue reste pour Olivier Fenioux l’augmentation des salaires et l’obligation pour le personnel médical nouvellement formé d’exercer pendant un temps limité dans les zones en tension.

    Le cas de ceux qui n’ont pas effectué l’évaluation des connaissances
    Laurent Schott, le directeur de l’hôpital de Chauny confirme l’existence de difficultés pour le parcours de consolidation des connaissances d’un certain nombre de médecins, mais il nuance une situation très complexe. « Les médecins hors union européenne ayant réussi l’évaluation des connaissances, même à l’étranger, pourront exercer dans des hôpitaux de proximité à la condition qu’un médecin de leur spécialité puisse les encadrer. En revanche, ceux qui n’ont pas effectué l’évaluation des connaissances devront effectivement se rendre en CHU parfois pour plusieurs années. »

    Je peux citer le cas d’un anesthésiste qui devra se rendre pendant 4 ans dans un centre hospitalier universitaire alors qu’il donne satisfaction depuis plusieurs années dans son hôpital, cela pose problème Laurent Schott directeur de l’hôpital de Chauny

    Laurent Schott salue toutefois la prise de conscience des pouvoirs publics pour régler un problème évident de conformité. « Certains médecins PADHUE ne pouvaient pas constater de décès ou signer un arrêt de travail car ils n’avaient pas la reconnaissance de l’ordre. La nouvelle réglementation vise à éliminer ces incohérences. »

    Les médecins PADHUE qui n’ont pas passé l’évaluation des connaissances devront donc se rendre pendant plusieurs années dans des hôpitaux universitaires pour posséder la maîtrise des différents domaines complexes de leurs spécialités. Le directeur de l’hôpital de Chauny souligne que ces hôpitaux universitaires risquent très vite de se retrouver submergés par l’arrivée de ces médecins diplômés hors Union européenne. « Est-ce que ces établissements auront les ressources humaines disponibles pour offrir à ces médecins l’encadrement professionnel nécessaire à leur parcours de consolidation des connaissances ? » , se demande Laurent Schott.

    Il plaide lui aussi pour une application raisonnable de la nouvelle réglementation. Elle peut parfois poser problème pour des médecins étrangers exerçant depuis longtemps en France, mais elle offre également, selon lui, un cadre général pour faciliter le recrutement à l’étranger de nouveaux médecins diplômés hors Union européenne.

    #docteresses #docteurs #médecins #ARS #santé #société #Hôpitaux #Santé_Publique #PADHUE #CHU #ue #union_européenne

  • Verdures & couleurs d’environnement bons au moral des humains.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4327

    L’objectif de cette recherche est de rapporter des données et des scripts qui décrivent les expériences psychologiques des utilisateurs humains dans une tâche comportementale écologiquement valide. Choisir un comportement naturel lors de la marche dépend de la perception de l’environnement qui a des couleurs et des végétaux qui influent sur le moral. High-tech / Sciences

    / Sciences & Savoir, #Ecologie,_environnement,_nature,_animaux, #médecine,_sciences,_technologie,_ADN,_vaccin,_médicaments,_découvertes, #Data_-_Données

    #High-tech_/_Sciences #Sciences_&_Savoir

  • Télémédecine, une machine entre soignant et patient
    https://laviedesidees.fr/Telemedecine-une-machine-entre-soignant-et-patient.html

    Alexandre Mathieu-Fritz, Le praticien, le patient et les artefacts : genèse des mondes de la télémédecine, Collection Sciences sociales. Mines ParisTech-PSL. Le sociologue A. Mathieu-Fritz analyse le développement de la télémédecine, mise en lumière par la #pandémie. Il étudie les évolutions des pratiques des professionnels de santé, du « colloque singulier » avec le patient, les délégations entre les métiers.

    #Société #médecine #nouvelles_technologies
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/202206_telemedecine.docx

  • La grande saignée des médecins algériens Orient XXI - Moussa Acherchour
    https://orientxxi.info/magazine/la-grande-saignee-des-medecins-algeriens,5653

    Plus de 1 200 médecins devraient s’expatrier en France en 2022. Dans un pays qui souffre d’une grave pénurie de praticiens et où la gestion chaotique de la pandémie de Covid-19 a mis a jour les failles du système de santé, la nouvelle a fait l’effet d’une bombe.

    C’est une véritable bombe qu’a lancée en février 2022 le docteur Lyes Merabet, dirigeant d’un syndicat de praticiens de santé publique, sans probablement en mesurer sur le moment toutes les conséquences. Mille deux cents médecins algériens, issus de diverses spécialités (sur un total de 1 993 postes ouverts cette année) auraient été reçus avec succès, début février, à l’examen de vérification de connaissances (EVC) en France.


    Au-delà des doutes qui ont commencé à planer sur l’exactitude de ce chiffre, la nouvelle est tombée comme un couperet sur une opinion publique déjà fortement désabusée par un système de santé qui a montré ses limites pendant deux ans, avec la gestion de la pandémie du Covid-19 marquée par une succession de scandales. À commencer par la pénurie d’oxygène médical l’été 2020 https://orientxxi.info/magazine/tempete-sanitaire-sur-les-hopitaux-algeriens,4983 . Les commentaires outrés — et souvent sarcastiques — sur les réseaux sociaux mettent aussi en lumière l’étendue de la colère des Algériens, d’abord vis-à-vis de dirigeants qui sont à leurs yeux moralement responsables du dépérissement du système de santé.

    Le choc a été encore plus fort chez des personnels soignants à bout de nerfs et qui se sentent dévalorisés. Leurs réactions montrent le niveau de désillusion et de mécontentement dans le milieu hospitalier algérien, prélude à un nouveau bras de fer avec des autorités elles-mêmes dépassées par la crise. Dans un appel lancé au président Abdelmadjid Tebboune, une coordination des personnels de santé a qualifié ce départ de 1 200 médecins vers la France de « saignée dangereuse ». En craignant « une catastrophe imminente », le texte confirmait l’ampleur du malaise qui ronge le corps médical algérien.

    Le gouvernement s’en lave les mains
    Acculé et contraint de reconnaître les faits, le gouvernement a sur le coup tenté de relativiser. Seules justifications données par le ministre de la santé Abderrahmane Benbouzid qui, après avoir subi tant de revers, doit désormais avoir le cuir blindé : « Il y a trop de médecins arrivés à l’âge de la retraite qui ne veulent pas céder leurs places aux jeunes ». Et d’ajouter à propos du départ massif de médecins vers la France : « Cela ne se passe pas qu’en Algérie »…

    Incapable de trouver une explication rationnelle à ce phénomène qui n’est pas loin de rappeler en Algérie celui de la harga (émigration clandestine), le professeur Mehiaoui, qui siège à la très officielle Commission de surveillance du coronavirus, dit croire à « la bonne foi » des médecins qui choisissent l’exil pour avoir encadré 80 % d’entre eux. Leur décision relève, selon lui, d’« un choix personnel » que nul ne peut discuter. Dans un pays où d’anciens ministres n’ont aucune gêne à aller se faire soigner en France, la question n’est plus taboue depuis longtemps.

    Reste à mesurer les pertes pour le pays, avec le départ d’un nombre aussi important de médecins formés aux frais de l’État. D’après les chiffres fournis par la Banque mondiale, L’Algérie ne compte que
    1,7 médecin pour 1 000 habitants en 2018, contre 6,5 pour la France, 4,9 pour l’Union européenne et 3,8 pour l’ensemble des pays de l’OCDE1 venaient d’Algérie (47,64 % contre 41,73 % en 2017, dont plus de 50,8 % de femmes). Les Tunisiens pour leur part représentaient 19,2 % des inscrits en 2018 (21,11 % en 2017).

    L’économiste de la santé Ahcène Zehnati estime, dans une étude parue en 2021, que les médecins algériens « semblent afficher une forte disposition à l’expatriation ». Pourquoi le choix de la France ? Le chercheur l’explique par des raisons historiques et culturelles (un système de formation calqué sur le système français, l’existence de conventions interuniversitaires, etc.). Le phénomène migratoire est, selon le chercheur, multidimensionnel. « Seule une approche pluridisciplinaire basée sur des données individuelles permettrait une connaissance exhaustive des mobiles de l’émigration des médecins », soutient-il.

    Un chiffre difficilement vérifiable
    Interrogé par Orient XXI sur le scandale du départ annoncé de 1 200 médecins, Ahcène Zehnati relativise cependant le problème. « Ayant déjà utilisé les données de l’organisme français2 lors de mes différentes publications sur la thématique de l’émigration des médecins algériens, je trouve que le chiffre des 1 200 médecins est difficilement vérifiable », affirme-t-il. Et il enchaîne :

    Personnellement, j’ai contacté le CNG et le Syndicat national des praticiens à diplôme hors Union européenne (SNAPADHUE) pour confirmer le chiffre, aucune suite n’a été donnée à mes sollicitations. Quand on examine la liste des lauréats de l’EVC, la nationalité des candidats n’a jamais été précisée. Elle ne mentionne que le nom, le prénom et la date de naissance. La liste diffusée compte des médecins algériens, marocains, tunisiens, libanais, syriens, français et autres nationalités. Il est donc difficile de dénombrer les effectifs des médecins algériens à travers le seul nom de famille.

    Le chercheur explique aussi que la nationalité est précisée dans le bilan annuel de l’organisme. Or, le dernier bilan date, selon lui, de 2018. Du coup, il ne s’explique pas l’origine du chiffre des 1 200 médecins. Il précise que les lauréats ne sont pas nécessairement des médecins qui sont partis d’Algérie pour passer l’examen. Nombreux sont ceux qui sont déjà en France ou ailleurs.

    Le découragement des professionnels de la santé
    La polémique ravive surtout le découragement des professionnels de la santé. Des médecins ne se sentent plus gênés d’avouer leur désir de quitter le pays. Comme Soraya H., médecin depuis sept ans au Centre hospitalier universitaire (CHU) de Tizi Ouzou. Elle a postulé à cet examen, mais n’a pas pu le passer, faute de visa. Elle dit avoir eu l’occasion à trois reprises de faire un stage en France. Qu’est-ce qui pousse le médecin algérien à partir ? Réponse cinglante : « Je crois que vous n’avez pas besoin de poser cette question ! » Elle dit ne plus supporter d’évoluer dans un milieu où règne la médiocrité. Lutter pour changer ou réformer le système de santé algérien lui semble inutile, voire sans espoir. « Les résidents ont déjà essayé et ont été tabassés comme des chiens errants », rappelle-elle, faisant référence à la manifestation des médecins résidents à Alger https://orientxxi.info/magazine/algerie-une-capitale-interdite-de-manifestation,2216 , violemment réprimée en janvier 2018 par les forces de l’ordre.

    Peu considérés dans leur pays, les médecins algériens se plaignent aussi des faibles salaires qu’ils perçoivent, surtout dans le secteur public. Les salaires varient entre 80 000 dinars (505 euros), pour les généralistes, et 114 000 dinars (720 euros), pour les spécialistes. Ceux qui travaillent dans les cliniques privées sont mieux rémunérés : les médecins recrutés comme urgentistes gagnent 5 000 dinars (32 euros) la journée, les chirurgiens sont quant à eux payés au pourcentage. Ce qui explique en partie la forte propension de praticiens exerçant dans le secteur public à vouloir s’installer à l’étranger, bien qu’ils sachent pertinemment qu’ils y seront sous-payés par rapport aux praticiens autochtones, quand bien même ils obtiendraient l’équivalence de leurs diplômes. Ce qui prouve que le facteur salaire n’est pas toujours déterminant dans le choix des médecins.

    Viennent ensuite les conditions de travail et les perspectives d’évolution de carrière, qui achèvent de démotiver les professionnels de la santé dans ce pays. Les médecins du secteur public rencontrent d’innombrables embûches bureaucratiques et corporatistes pour trouver une place dans le privé ou travailler à leur compte.

    En outre, le manque d’équipements adéquats, l’absence d’espaces aménagés à l’intérieur des structures hospitalières, la surcharge qui pèse sur les médecins résidents souvent appelés à pallier l’absence de spécialistes préférant s’engager avec des cliniques privées, finissent par amoindrir le rendement des médecins et partant, de l’ensemble de la corporation.

    Autre facteur dont se plaignent les personnels médicaux en Algérie : la violence quotidienne à laquelle ils sont exposés dans les hôpitaux, et qui a pris des proportions alarmantes ces dernières années. Elle est souvent l’œuvre de citoyens outrés par la mauvaise prise en charge des patients.

    Plusieurs spécialités particulièrement concernées
    D’après un rapport de l’Insee, le taux d’émigration global des médecins algériens était, cette année-là, de 23,35 %. Ce chiffre englobe tous les médecins nés en Algérie, quel que soit leur lieu de formation (France ou Algérie), et exerçant en France, mais ne comptabilise pas ceux faisant fonction d’interne (FFI), ni les praticiens attachés associés (PAA), qui n’ont pas le plein exercice de la médecine en France et ne peuvent donc s’inscrire à l’Ordre des médecins.

    L’étude montre que certaines spécialités sont plus concernées que d’autres : la radiologie, la néphrologie et surtout la psychiatrie, d’où la grave pénurie dont souffre toujours l’Algérie. Les spécialistes de ces disciplines ont l’avantage d’être dispensés, en France, de toute demande d’équivalence de leur diplôme pour exercer. Les généralistes représentent pour leur part 37 % des médecins exilés. En 2017, le Conseil de l’ordre des médecins français avait évalué le nombre de médecins diplômés en Algérie installés en France à 4 404 personnes.

    #santé #médecine #Algérie #France #en_vedette #travail #santé_publique #hôpital #médecins #migrations

  • Témoignages. La crise aux Urgences vue des patients : « c’est le quart monde. J’ai cru que j’avais changé de siècle, de pays. » Alexandra Huctin - france3-regions
    https://france3-regions.francetvinfo.fr/hauts-de-france/nord-0/lille/temoignages-la-crise-aux-urgences-vue-des-patients-c-es

    Alors qu’Emmanuel Macron et la nouvelle ministre de la santé sont ce 31 mai au chevet des Urgences de l’hôpital de Cherbourg, en Normandie, des patients du Nord et du Pas-de-Calais nous racontent leur vécu. « Un choc, une humiliation », des mots qui reviennent souvent.

    Pas question de vouloir ici incriminer le personnel soignant ou administratif des services des Urgences du Nord et du Pas-de-Calais. Il n ’y a pas de procès d’intention, tout le monde ou presque souligne la bienveillance souvent de ces derniers mais aussi leur « dépassement » face à une situation parfois incontrôlable. « Les soignants des Urgences ne peuvent pas faire de miracle face au système qui se dégrade et aux médecins de garde qui ne se déplacent plus », souligne par exemple Marie-Blanche, elle même infirmière libérale. Nos derniers articles sur l’hôpital public dans les Hauts-de-France https://france3-regions.francetvinfo.fr/hauts-de-france/nord-0/roubaix/plans-blancs-et-service-fermes-dans-les-hauts-de-france ont mentionné les appels au secours des hospitaliers épuisés alors que des plans blancs sont déclenchés partout pour pallier les manques de personnel. Nous avons simplement, cette fois, donné la parole à ceux qu’on n’entend jamais : les citoyens, les patients, via un appel à témoin.

    Karine a 47 ans et vit dans l’agglomération lilloise. Cette cadre commerciale chute sur la Grand Place de Lille vers 16H30, le jeudi de l’Ascension. Très vite sa cheville double de volume. Les pompiers la conduise au CHR de Lille. « Je me suis aperçue à ce moment là que je n’avais pas mis les pieds aux urgences du CHR depuis des lustres. »

    « J’ai le cul à l’air à cause du pantalon en papier trop petit  »

    Tout commence, comme pour tout arrivant, par un premier contact administratif puis un « triage ». « Je réalise qu’ils récupèrent alors (ndlr : sur le brancard des pompiers) le film en papier qui protège, pour le réutiliser. Au CHRU, ils n’en n’ont plus », raconte Karine. Elle sera, si elle accepte de rester assise, « mise aux circuits courts. c’est plus rapide ». Mal lui en a pris. Assise, son pied pend dans le vide. « J’ai mal mais je me dis qu’il est 17H30 que ça va aller vite comme on me l’a expliqué. »

    Moins d’une heure après, sa radio est faite. Karine se dit qu’elle a de la chance, et attend la lecture de sa radio pleine d’optimisme. Autour d’elle tout le monde court : « C’est long mais je ne peux en vouloir à personne. Ils enchaînent et moi j’attends l’interne. » La douleur devient insupportable. Karine se glisse sur un banc en métal pour pouvoir « surélever la jambe sur le fauteuil roulant. » Son calvaire commence, elle le réalisera plus tard. 

    J’ai faim, j’ai soif, j’ai froid. Je suis inconfortable. Quatre heures après on m’apprend que c’est fracturé, qu’il faut plâtrer

    Karine, fracture de la cheville, CHR de Lille, le 26 mai à France 3 Hauts-de-France

    A 23H30, soit plus de six heures après son arrivée, Karine est plâtrée rapidement. « On m’enfile alors un pantalon de bloc trop petit  », car elle ne peut plus mettre son jean avec lequel elle est arrivée. « J’ai le jean autour du cou comme un sac. On me pousse vers l’accueil des urgences à minuit, j’ai le cul à l’air à cause du pantalon en papier trop petit. J’ai mal. Avec les béquilles je porte comme je peux mon dossier médical. J’attends le Uber, j’ai froid et je pleure d’humiliation. Je supplie les gens dans le hall de ne pas me regarder. »

    On ne lui commandera pas d’ambulance, trop chère et pas assez rapide. C’est la seule excuse qu’on lui avancera alors qu’elle se sent jetée, abandonnée en pleine nuit. Son plâtre dégoulinant lui glace les sangs. 

    « Le sentiment d’avoir été déshumanisée »
    Elle explique n’avoir vu que des soignants gentils mais pressés et des patients très patients qui « parfois demandent à partir en signant une décharge » tellement c’est insupportable d’être là. L’attente est violente. 

    Un monsieur lui raconte qu’il a passé 11 heures dans le circuit court, avant de partir finalement au bloc. Plus choquant encore selon Karine, ce circuit court qui « bafoue toutes les règles de discrétion » et de secret médical. « On panse dans la salle d’attente devant tout le monde. Un jeune homme à côté de moi doit parler de ses problèmes testiculaires (une contorsion) à l’interne, dans le hall. L’interne qui reçoit aussi un coup de fil du légiste de garde pour savoir si ça vaut le coup d’examiner le vagin de la jeune fille huit jours après. On entend tout, on sait tout sur tout le monde.  » 

    C’est le quart monde ! J’avais l’impression d’avoir changé de siècle, de pays, d’être dans un dispensaire en Afrique. On entend les râles des gens qui souffrent à côté de nous. Il n’y a pas de rideaux, rien, aucune intimité
    Karine, cheville cassée le week-end de l’Ascension
    à France 3 Hauts-de-France

    « J’ai le sentiment d’avoir été déshumanisée » résume Karine encore sous le choc quelques jours plus tard. Les mots n’expriment pas de colère, seulement du désarroi. Sa fille est aide-soignante, elle n’imaginait pas pour autant vivre cela pour une cheville cassée. « Il faut que les gens sachent que ça se passe comme ça . » A Lille mais aussi à Dunkerque. Vanessa nous jure qu’elle n’y remettra jamais les pieds alors qu’elle vient d’emménager dans cette sous-préfecture du Nord. 

    En février dernier, elle ne se sent pas bien un samedi. son généraliste ne consulte pas le week-end. Vanessa est atteinte d’une maladie auto-immune, un lupus systémique. Le médecin de la maison médicale lui dit dit qu’il suspecte une embolie pulmonaire, qu’elle doit immédiatement se rendre aux Urgences sans repasser chez elle prendre quelques affaires. Il lui fait un courrier pour qu’elle le donne à son arrivée là-bas. Son beau-père joue les taxis et elle arrive aux Urgences rapidement en début de journée. 

    Durant plus d’une heure (1h15), elle attend debout. « On me dit de patienter, je crois m’évanouir. » Un monsieur qui est en train de faire son admission avec la secrétaire prend conscience de son malaise et lui amène sa chaise. Personne ne l’avait fait avant, pas un soignant. 

    La seule personne qui a eu pitié de moi c’est la personne qui est venue me chercher pour un scanner. elle m’a donnée un verre d’eau puis un deuxième. Je pleurais tellement qu’elle m’a aidée.

    Vanessa, Urgences de Dunkerque, suspicion d’embolie pulmonaire, en février 2022
    à France 3 Hauts-de-France

    Un yaourt ou un verre d’eau ? C’est trop ?  
    La première personne qui la reçoit à l’aiguillage, affirme qu’avec ce qu’elle a, il faut rester allonger (sic). On lui trouve un brancard. Un test PCR est fait. « Bingo, on me lâche que j’ai le Covid et on me colle dans un box, isolée de tout  ». Vanessa est paniquée, avec sa maladie, elle pense qu’elle a des risques énormes de ne pas supporter le virus. Depuis le début de la pandémie, elle a été épargnée tellement elle est prudente et attachée aux protocoles sanitaires.

    «  Pendant 19h, je me retrouve seule dans ce box. J’ouvre la porte une fois pour demander à boire tellement j’ai la gorge sèche et la bouche pâteuse. Je n’en peux plus, la soif c’est terrible. » Une voix peu aimable la réprimande. «  La seule personne qui a eu pitié de moi c’est la personne qui est venue me chercher pour un scanner. elle m’a donnée un verre d’eau puis un deuxième. Je pleurais tellement qu’elle m’a aidée. » Là aussi, le sentiment d’humiliation après 19h sur un brancard, seule dans un box sans boire ni manger est décuplé quand « on me met dehors à 3 heures du matin dans le froid  », parce que le scanner n’a rien révélé. Elle appelle dans sa famille pour que l’on vienne (vite) la chercher. «  Il y avait dans le couloir, une dame octogénaire qui réclamait à boire et à manger, sans cesse. » Vanessa a le cœur brisé devant les lamentations d’une dame (peut-être en fin de vie) laissée seule, surtout qu’elle entend l’équipe commander des pizzas parce que les plateaux « ne sont pas bons. » Vanessa aurait bien aimé qu’on apporte un yaourt ou un verre d’eau à la vieille dame. Rien que ça. Mais c’est déjà trop ? 

    Il y a un tel manque de personnel qu’on n’existe pas quand on arrive.
    Frédérique, Urgences d’Arras pour un enfant fiévreux
    à France 3 Hauts-de-France

    A Arras, début mai, Frédérique nous raconte s’être bataillée avec une équipe débordée et peu à l’écoute. « Il y a un tel manque de personnel qu’on n’existe pas quand on arrive », se souvient -elle. Avec elle, son fils de 4 ans qui ne va pas bien. La maman sait « en elle » que ça cloche. Mais le pédiatre qu’elle voir après une longue attente lui dit de rentrer chez elle. Elle s’exécute. Son fils en arrivant vomit. Elle repart à l’hôpital, insiste, implore. On diagnostiquera alors une méningite bactérienne à pneumocoque. Si elle n’avait pas osé retourner dans l’arène hostile, son fils pouvait mourir en quelques heures. Une erreur médicale ? Un dysfonctionnement dans la prise en charge aux Urgences ? Avec son témoignage, Frédérique veut surtout alerter, rappeler que dans ces conditions de travail, le risque est grand. On frôle l’accident permanent, l’erreur qui est malheureusement aux Urgences, souvent fatale.

    Des dizaines de témoignages nous sont parvenus, tous racontent l’attente interminable. « 7h15 pour une entorse sur une enfant de 3 ans, C’est honteux », confie cette maman lensoise. Beaucoup nous rappellent aussi « que ça ne date pas d’hier. » Mais le manque de personnel et la crise des vocations dans les écoles de soignants, ne promettent pas d’amélioration à venir. « Mais, que voulez-vous, tout le monde va aux Urgences aussi parce qu’il faut trois semaines pour obtenir une radio en ville, après une chute ». On en est là, du Nord au Sud. 

    #déglingue #EnMarche de l’ #Hôpital et de la #Santé_publique #France #santé #sante #soignantes #Soignants #Urgences #Médecine #Médecins #Lille la ville de Madame #martine_aubry #inhumanité #économie #quart_monde #ue #union_européenne

  • Les médecins étrangers inquiets des « lenteurs » de la procédure pour obtenir une autorisation d’exercice
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2022/05/31/les-medecins-etrangers-inquiets-des-lenteurs-de-la-procedure-pour-obtenir-un

    Les médecins étrangers inquiets des « lenteurs » de la procédure pour obtenir une autorisation d’exercice
    Le Syndicat national des praticiens à diplôme hors UE a appelé à un rassemblement mardi devant le ministère de la santé. Les praticiens redoutent d’être prolongés dans un « statut précaire ».
    Par Camille Stromboni
    Publié aujourd’hui à 17h29, mis à jour à 18h27
    Cela fait plusieurs mois qu’ils alertent. Les médecins à diplôme étranger pointent désormais une « situation alarmante ». En particulier pour ceux d’entre eux qui attendent de se voir délivrer une autorisation de plein exercice en France, dans le cadre de l’une des principales procédures pour l’obtenir, sur dossier, qui doit s’achever au 31 décembre 2022.
    Un « retard considérable » a été accumulé par les agences régionales de santé et le centre national de gestion, chargés d’examiner les quelque 4 500 dossiers de praticiens à diplôme « hors Union européenne » (UE), dénonce le Syndicat national des praticiens à diplôme hors Union européenne (Snpadhue), qui appelait à un rassemblement, mardi 31 mai, devant le ministère de la santé. « Seuls 1 500 dossiers sont pour l’instant arrivés jusqu’au centre national de gestion, soutient Nefissa Lakhdara, secrétaire générale du Snpadhue. Nous refusons une prolongation de cette procédure après le 31 décembre, elle a déjà été allongée d’un an avec le Covid-19, les médecins veulent voir le bout du tunnel. Il n’est pas question d’être maintenus encore dans des statuts précaires, il faut mettre les moyens pour instruire tous les dossiers. »
    « Madame la ministre, les Padhue sont abattus », ont scandé quelques dizaines de praticiens réunis avenue de Ségur, à Paris, où des membres du cabinet de la nouvelle ministre de la santé et de la prévention, Brigitte Bourguignon, les ont reçus. Elle s’est engagée à « étudier toutes les voies possibles d’accélération du traitement des situations individuelles », rapporte le ministère.Exerçant sous différents statuts, les praticiens titulaires d’un diplôme venant d’un pays hors UE représentent un pan peu connu de l’hôpital, et pourtant crucial pour permettre à de nombreux services de tourner. La colère monte face à la « lenteur » de la procédure relevant du décret dit « stock », ouverte aux médecins étrangers ayant déjà exercé deux ans au moins dans un établissement de santé pour obtenir une autorisation d’exercice définitive, notamment par un examen de leurs dossiers par différentes commissions régionale et nationale.
    « Mon dossier n’est pas encore passé devant la commission nationale… si ça continue à traîner, mon diplôme ne sera pas validé, je n’aurais plus le droit d’exercer », s’inquiète Seif Zebouche, diplômé de médecine générale en Algérie, qui travaille depuis cinq ans aux urgences de l’hôpital de Montfermeil, en Seine-Saint-Denis. « Il faut aussi de la clarté sur les conditions pour valider, parce que pour l’instant, on ne demande pas la même chose à des médecins étrangers qui ont le même parcours, dit-il à propos des stages supplémentaires ou des formations demandées après l’examen du dossier. Pour l’instant, on reste complètement dans le flou, on ne sait pas ce qu’on va devoir faire. » Dans son service, qui comme beaucoup d’hôpitaux se prépare à un été difficile, ils sont 14 Padhue, sur 17 praticiens.

    #Covid-19#migrant#migration#france#sante#systemesante#padhue#medecinetranger#diplomeetranger#horsUE

  • Ah, chez Lundi Matin, on en est encore aux élucubrations les plus crasses en matière de Covid, et que je t’enrobe ça dans un vocabulaire délirant et des paragraphes numérotés.

    Décoloniser la médecine ?
    https://lundi.am/Decoloniser-la-medecine

    Maintenir l’état d’exception théorique qui conduit à penser le covid comme un phénomène absolu, un virus qui existerait, simplement, en dehors de toute cosmologie, c’est fermer la porte à toutes les manières alternatives de le comprendre et donc, potentiellement, d’y faire face.

    […]

    l y a bien entendu des mauvaises conceptions des maladies : par exemple celles qui, empruntant tout au vocabulaire du nationalisme ambiant à l’époque de leur élaboration, font du corps une citadelle et du virus un étranger auquel il faut déclarer la guerre, cette métaphore dégénérant systématiquement en pensée du corps social national à préserver des étrangers. Leurs conséquences politiques sont bien connues. Reste à savoir ce que « nous », nous considérons comme des visions acceptables des maux qui nous affligent et surtout, comment imaginer la coexistence de différentes manières parfois antagonistes de concevoir ce mal selon les régions, les appartenances (ethniques, religieuses, politiques), le lieu et la forme de vie.

    […]

    Mais ce refus, qui s’agrégeait en Guadeloupe à une contestation sociale vivace, était aussi motivé sur la base de raisons religieuses et à partir de savoirs indigènes, certains acteurs affirmant être en mesure de combattre le covid par différentes méthodes locales (notamment les plantes médicinales, comme cela a également été le cas en Chine). Seule une perspective proprement coloniale nous permettrait de réduire ces motifs au rang de croyances insignifiantes.

    • C’est cependant un débat qu’il faudra avoir, dans les milieux de gauche/émancipation/décoloniaux, même en étant totalement opposé avec ce point de vue.

      On pense notamment au rôle de la Miviludes et de l’ordre des médecins dans la répression des médecines dites « alternatives » ou « parallèles » aujourd’hui.

      #médecine #santé #religion #anthropologie #relativisme #science #décolonial #Foucault #Bruno_Latour #vaccination #antivax #Guadeloupe #Paracelse

    • La Revue du Crieur aussi : Et si l’on battait le capitalisme sur le terrain du désir ? Alain Damasio, Revue du Crieur 2022/1 (N° 20)
      https://seenthis.net/messages/933520#message955946

      L’époque a un problème avec l’altérité. Elle ne sait plus vraiment comment l’accueillir, l’accepter, nouer avec elle, s’y articuler. Elle ne sait plus faire avec.

      Les migrants, les virus, les pas-comme-nous, les pas-de-chez-nous, les autres espèces, les autres genres ou les autres règnes : au mieux indifférence, angle mort, tache aveugle. Au pire conjuration et rejet. Expulsion. Exil. L’affect dominant est de fuir et chasser tout ce qui ne nous ressemble pas.

    • Bon, pas d’auteur et beaucoup de post-posts ou encore un travers du constructivisme que j’appelle le déconstructionnisme. Dire que quelque chose est le fruit d’une construction sociale, d’histoire, de rapports de force etc., ça ne veut pas dire que le processus que l’on mets en évidence abouti à des objets qui n’existent pas.

      Par ex, qu’il y ait tout un appareillage politique et de luttes sociales qui accompagne la « victoire » de l’approche de Pasteur contre les explications de type génération spontanée, ça ne veut pas dire que l’approche pastorienne n’est pas opérante du point de vue biologique ou médical.

      C’est un raccourci qui est assez fréquent chez certain·e·s lecteur·ice·s de Latour, Foucault etc...

      On a une situation - une épidémie par exemple - dont l’étendue est le fruit de différentes opérations humaines, de rapports de forces (impériaux ou coloniaux par exemple, mais aussi de classe ou industriels dans d’autres cas) et le fait qu’il y ait une accumulation d’erreurs humaines, d’intérêts particuliers et de rapports de force, voudrait presque dire que la maladie qui cause l’épidémie n’existe pas. A classer dans la catégorie #raccourcisexpéditifs

      Ps : Après, c’est aussi à mon avis un contre-coup de l’exploitation sans reconnaissance financière, notamment, de nombreux savoirs vernaculaires en phytothérapie par l’industrie pharmaceutique sous forme de molecules propriétaires qui renforce ce type de discours. De manière générale, le fait de balayer toute connaissance populaire (ex : la connaissance des patients sur leur propre maladie, celles de femmes sur les naissances etc...) d’un revers, ouvre la porte au charlatanisme et aux amalgames.