• #Biasca_contro. La trilogia

    Quella che - con il titolo La vigna di San Carlo -sarebbe diventata la terza parte della trilogia di Victor Tognola complessivamente intitolata Biasca contro, andò in onda nella tarda serata del 29 febbraio 2004 nel contesto della trasmissione televisiva «Storie».

    Contro l’orario della prima diffusione vi fu un sollevamento popolare. Ne diedero ampia eco i quotidiani ticinesi. Damiano Realini su «La Regione» il 10 marzo 2004 scrisse: «se da un lato pubblico e critica hanno unanimemente apprezzato il lavoro (che ricordiamo essere la prima parte di una trilogia dedicata alla memoria della Biasca degli ultimi moicani ovvero alla Biasca de i biasca) mandato in onda dalla Televisione della Svizzera di lingua italiana (TSI) nella trasmissione «Storie» di domenica 29 febbraio, dall’altro lato la trilogia starebbe subendo (secondo le accuse qui di seguito riportate) un presunto ostracismo da parte della stessa TSI.»

    Il 15 maggio il comitato a sostegno di Biasca contro si presentò alla sede della TSI a Comano con le firme raccolte: «Biasca contro, 3000 firme a muso duro*»*, intitolava «La Regione» il 22 aprile; lo medesimo quotidiano, il 24 maggio, annunciava la replica dell’opera di Tognola: «In seguito alle pressione del pubblico televisivo (oltre 3 mila firme giunte dalla Svizzera italiana) la Tsi ritrasmette il documentario di Victor Tognola Biasca Contro - La vigna di San Carlo domani sera, martedì, alle ore 21 su Tsi 2, in un orario, dunque, accessibile a tutti.»

    Di grande rilevanza storica, in questo dossier abbiamo raccolto le tre parti della trilogia complessivamente intitolata Biasca contro: La vigna di San Carlo andò in onda il 29 febbraio 2004; Biasca la Strega, il 21 settembre 2005, e la stessa sera andò in onda Biasca la Rossa.

    La vigna di San Carlo:
    https://lanostrastoria.ch/entries/2JZXxe0jnER

    Biasca la strega:
    https://lanostrastoria.ch/entries/BgWA3LpB74O

    Biasca la rossa:
    https://lanostrastoria.ch/entries/WOa7eaOa7eP

    https://lanostrastoria.ch/galleries/biasca-contro-la-trilogia
    #Tessin #suisse #anarchie #film #documentaire #film_documentaire #Victor_Tognola #Biasca #résistance #gauche

  • #Radio_Monte_Ceneri - Quello scomodo microfono

    #Felice_Antonio_Vitali (1907-2001), l’autore di questo libro li ebbe contro tutti, ad eccezione di Guglielmo Canevascini, che sempre lo sostenne e che ben merita il titolo di “padre della Radio della Svizzera Italiana”.

    L’AUTORE

    Felice Antonio Vitali (1907-2001) ha diretto la Radio Monte Ceneri dal 1931 al 1947. Sarà poi corrispondente della SSR nella Berlino quadripartita fino al 1956; inviato dell’Unesco e consulente in materia di radioprogrammi in Libia (1957-58) e capo del dipartimento Attualità e Politica alla Televisione di Zurigo (1958-67). Nel 1961 ha ricevuto il Prix Italia per un documentario.

    Dalla prefazione di Bixio Candolfi.

    (…) un libro che riguarda da vicino, voglio dire i ticinesi, il Ticino e la Radio della Svizzera italiana. Un libro di Felice Antonio Vitali che è insieme un auto-biografia e la storia della “giovinezza” della RSI, della quale egli fu il primo direttore, l’”inventore”, in un certo senso, con pochi altri. Ho detto della RSI; dirò, meglio, di “Radio Monteceneri”, come allora si chiamava la nostra radio. (…) come è documentato da numerose lettere di italiani che, non senza gravi rischi in qualche caso, negli anni bui della tirannide nazifascista, spinti dalla seta di notizie obiettive alla ricerca di conforto e speranza, si sintonizzavano sull’unica stazione libera di lingua italiana. (…) L’autore confessa che il libro era nato anche come proposito di “dare una risposta agli autori delle mille polemiche” con le quali la stampa di allora e il movimento “Controproradio” l’avevano combattuto. (…) Il capitolo più importante del libro è forse quello che illustra i non facili rapporti di Radio Monteceneri, durante la guerra, con le autorità di Berna, dopo che il Consiglio federale ebbe deciso di sospendere la concessione.

    https://lanostrastoria.ch/entries/EDknOJDDXp2

    Et je découvre qu’il n’y a aucune mention de cette radio (qui a joué un rôle important pour les luttes anti-fascistes en Italie) sur wikipedia... faudrait s’y mettre...

    #radio #anti-fascisme #résistance #Suisse #Tessin #radio_Monteceneri #WWII #seconde_guerre_mondiale #Monte_Ceneri

    • Storia della stazione radio nazionale onde medie del Monte Ceneri

      La stazione radio del Monte Ceneri venne messa in servizio il 18 aprile dell’anno 1933. Il progetto di una stazione radio per la Svizzera di lingua italiana avrebbe dovuto essere incluso nella pianificazione dei due trasmettitori nazionali di Beromünster (per la Svizzera tedesca) e di Sottens (per la Svizzera francese) entrati in servizio nel 1931. Ma la minoranza italofona venne in un primo tempo dimenticata e vide la luce, come detto sopra, qualche anno dopo con la costruzione della Stazione Radio OM del Monte Ceneri.

      Le tre stazioni nazionali svizzere non erano in grado di coprire allo stesso tempo l’intero territorio della Confederazione. L’onda terrestre non raggiunge infatti distanze elevate e non supera ostacoli montagnosi dei quali è ricco il panorama alpino.

      Pertanto, per favorire l’ascolto dei programmi radio nelle tre lingue nazionali, ecco una invenzione tipicamente svizzera: il radiotelefono.

      Il prezioso documento spiega perché la stazione radio venne eretta sul Monte Ceneri nel bel mezzo della Piazza d’ Armi dell’artiglieria, divenuta poi importante base logistica dell’esercito a cura del Dipartimento federale della difesa.

      Durante la seconda guerra mondiale, le trasmissioni su OM dal Monte Ceneri, grazie alla diffusione di notizie incensurate e pertanto attendibili, vennero seguite attentamente anche nella vicina Italia.

      Dopo la seconda guerra mondiale, l’aumento di potenza portò un bel miglioramento rispetto ai 15 kW avuti fino ad allora. Ma persistevano ancora interferenze da trasmettitori esteri. Pertanto nel 1967 la potenza veniva aumentata a 100 kW.

      Nel 1956 venne istallato il primo trasmettitore onde ultracorte a modulazione di frequenza, OUC - FM, nella nuova stazione radio del Monte Morello, colle dominante la regione di Chiasso. Quella stazione fu il terzo impianto radiofonico nel Cantone Ticino.

      Al Monte Ceneri, nel 1958, contemporaneamente alla stazione del San Salvatore, ecco la messa in servizio dei primi trasmettitori del Cantone Ticino per la televisione in bianco e nero.

      Nel 1972 sotto la direzione degli ingegneri Ernst Hanselmann delle Direzione Generale delle PTT di Berna e Renato Ramazzina della Direzione di Circondario dell’Azienda federale delle PTT di Bellinzona, iniziò la progettazione per la costruzione di un nuovo moderno impianto per le OM: l’impianto Monte Ceneri Cima.

      Correva l’anno 1983 quando l’evoluzione nel campo delle telecomunicazioni consigliò una riorganizzazione della divisione Radiocom di Telecom PTT per il Ticino e il Grigioni italiano che porterà alla fine dello storico monopolio della Confederazione: Swisscom SA viene infatti affiancata dalle ditte concorrenti Sunrise e Orange.

      La ricerca nel campo della fibra ottica data dal 1956. Il perfezionamento e l’applicazione ad uso pratico nelle telecomunicazioni avvenne nel 1970. Negli anni 90 del Novecento la trasmissione satellitare di programmi radiotelevisivi nella tecnica digitale era realtà. La prima fibra ottica in Ticino venne messa in posa da una ditta Giapponese tra Faido e Bellinzona nel 1980.

      In Svizzera nel 2008 l’esercizio degli storici trasmettitori nazionali Onde Medie venne sospeso, superato dagli eventi: Beromünster, Sottens e Monte Ceneri (30 giugno 2008) cessarono la loro attività e alla mezzanotte del 2012 Monte Ceneri Cima venne spento definitivamente.

      La trasformazione della grande Azienda federale delle PTT, diede origine al Museo della Radio e nel 2001, tredici collaboratori fondano l’Associazione Museo della RAdio, AMRA, ritenuta la formula migliore per garantirne il futuro.

      Come era il Ticino prima della radio? Un Ticino “povero” della civiltà contadina raccontato da alcuni scrittori nostrani, senza la radio. Quando la radio nel 1933 arriva a complemento dei giornali comincia una nuova Storia.

      https://lanostrastoria.ch/entries/x08AodKq71l
      #histoire

    • Il legale del sacerdote: «Siamo in una fase complessa e preferiamo non esprimerci»

      Due mesi di carcere preventivo per il religioso accusato di abusi – Il giudice dei provvedimenti coercitivi Paolo Bordoli ha confermato la richiesta della Procura - Don Rolando Leo è stato già trasferito alla Farera - Emerge che l’inchiesta della magistratura è stata aperta alcuni mesi fa dopo la denuncia della presunta vittima, oggi maggiorenne.

      Il giudice dei provvedimenti coercitivi Paolo Bordoli ha confermato oggi pomeriggio la carcerazione preventiva chiesta dalla Procura per don Rolando Leo, il sacerdote fermato mercoledì scorso con l’accusa di atti sessuali con fanciulli, coazione sessuale, atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere e pornografia. Don Leo è stato trasferito al carcere giudiziario della Farera dove potrebbe rimanere almeno per i prossimi due mesi.

      Il provvedimento cautelare era tanto atteso quanto sostanzialmente scontato. Ed è giunto al termine di un’inchiesta, si è appreso oggi, durata alcuni mesi. La prima segnalazione al Ministero pubblico, fatta dall’amministratore apostolico della diocesi di Lugano, monsignor Alain de Raemy, risale infatti a marzo, quando il prelato era stato informato dei presunti abusi direttamente dalla presunta vittima.

      Quest’ultima, ormai maggiorenne, aveva raccontato al vescovo di aver subito attenzioni improprie negli anni precedenti, quindi in età minore, e aveva confermato la volontà di far emergere la vicenda proprio per raccogliere l’appello lanciato dallo stesso de Raemy dopo la pubblicazione del rapporto sugli abusi in àmbito religioso redatto dall’Università di Zurigo.

      Una domanda inevitabile

      Una domanda è sorta subito, inevitabile: il fermo del sacerdote è avvenuto, come detto, mercoledì mattina all’alba, al Collegio Papio di Ascona. Don Rolando Leo era tornato la sera prima da un pellegrinaggio di una decina di giorni a Medjugorje, in Bosnia Erzegovina. Un viaggio, organizzato dalla Pastorale giovanile diocesana (e ampiamente documentato con servizi e fotografie sul portale catt.ch), a cui aveva partecipato un folto gruppo di ragazzi. Alla luce di quanto raccolto dal vescovo, e sapendo che la magistratura aveva aperto un fascicolo d’inchiesta su fatti sicuramente da accertare, ma comunque potenzialmente molto gravi, perché la Curia ha lasciato che il sacerdote accompagnasse i giovani, molti dei quali minori, a Medjugorje? «Una domanda lecita», hanno ammesso dalla Diocesi. Alla quale, tuttavia, non è stata data, almeno per il momento, alcuna risposta.

      Resta il fatto, e va sottolineato, che monsignor de Raemy ha in ogni caso applicato senza remore le nuove regole del Codice di diritto canonico, sospendendo il sacerdote da tutti i suoi incarichi.

      Un analogo provvedimento potrebbe prendere, nelle prossime settimane, anche il DECS in relazione al ruolo di don Leo come docente liceale e come direttore dell’Ufficio insegnamento religioso scolastico. In questo senso le autorità cantonali hanno annunciato un approfondimento di natura amministrativa.

      Risalire al passato

      Ciò che appare chiaro, in questo momento, è che per fare chiarezza e far emergere la verità occorrerà andare a ritroso nel tempo, con tatto e delicatezza. Che, in questi casi, non sono mai abbastanza. Ciò che attende la procuratrice pubblica titolare dell’inchiesta, Valentina Tuoni, non nuova a indagini così complesse - ricordiamo, su tutte, quella riguardante l’istruttore di yoga del Luganese - è un lavoro di cesello; un lavoro nel quale, alla fine, ciascun particolare potrebbe fare la differenza.

      Fermo restando il principio della presunzione d’innocenza, dal quale ogni possibile ragionamento deve necessariamente prendere le mosse, se qualcosa c’è stato va ricercato nel passato dell’uomo di fede il quale, in questi anni, ha girato in lungo e in largo il Ticino nell’àmbito del suo ministero. Sarà compito degli inquirenti, partendo dalla segnalazione fatta dalla presunta vittima, raccogliere ulteriori testimonianze da mettere poi a confronto con la tesi del sacerdote. E capire se ci si trova di fronte a un caso isolato o se vi siano altri episodi e altre persone coinvolte.

      Questa sera il Corriere del Ticino è riuscito a mettersi in contatto telefonico con il difensore di don Rolando Leo per raccogliere la versione dell’indagato. «Sono stato con il mio cliente a lungo, oggi, al momento siamo in una fase complessa e molto delicata, preferiamo per questo evitare ogni dichiarazione», ha detto il legale, rinviando ai prossimi giorni un eventuale nuovo passaggio.

      «Fatti non avvenuti al Papio»

      Chi, oggi, ha vissuto un’altra giornata difficile è stato sicuramente il rettore del Papio, don Patrizio Foletti, al quale molti si sono rivolti per capire quanto accaduto al cappellano del Collegio.

      In una lettera inviata alle famiglie degli allievi, don Foletti - insieme con il suo vice Paolo Scascighini - non ha nascosto i fatti, ma ha anche tentato di rassicurare sul futuro dell’istituzione. «Desideriamo prendere contatto con voi a seguito delle notizie che ci hanno raggiunto» e «concernenti don Rolando - si legge nella lettera -. Precisiamo soltanto che, a tutt’oggi, i fatti non sembrano toccare l’attività di don Rolando in Collegio. Siamo ovviamente sconcertati e addolorati come voi, e stiamo già facendo quanto possibile per iniziare in modo sereno l’anno scolastico. Dignità e rispetto della persona restano, come sempre anche in passato, al centro delle attenzioni del Collegio. In attesa di rivedervi restiamo a disposizione per ascoltare il vostro disagio».

      Al CdT, il rettore ha ripetuto i propri sentimenti di costernazione e di sconforto. Ma ha pure sottolineato come «le prime reazioni» interne alla scuola siano state positive. «Di una cosa sono certo - ha aggiunto don Foletti - il Collegio è estraneo a quanto accaduto».

      Se il Papio ha scelto di scrivere alle famiglie, la Diocesi - almeno per il momento - si è limitata al comunicato stampa diffuso giovedì pomeriggio. Ogni altra richiesta di commento è stata sin qui cortesemente respinta, «nel rispetto - dicono dalla Curia - della privacy delle persone coinvolte». Nessuna conferenza stampa è in programma nei prossimi giorni.

      https://www.cdt.ch/news/ticino/il-legale-del-sacerdote-siamo-in-una-fase-complessa-e-preferiamo-non-esprimerci-

  • Campi di lavoro e lavoro nei campi

    Dall’agosto 1940 e fino alla fine del 1945 vennero internati, in numerosi campi sparsi sull’insieme del territorio ticinese, mediamente circa un migliaio di soldati stranieri, i quali rappresentarono una categoria specifica dell’insieme dei profughi accolti durante la Seconda guerra mondiale. Si trattò in gran parte di soldati polacchi, ma nei campi allestiti in Ticino risiedettero per periodi di tempo variabili pure francesi, italiani, tedeschi, austriaci, sovietici, indiani e vietnamiti, nonché un contingente di combattenti provenienti dal continente africano. Chi erano questi uomini? A quale regime furono sottoposti e perché? Dove sorsero i campi in cui furono confinati? Come trascorrevano le loro giornate? Quali furono i rapporti con la popolazione locale? Quale memoria della loro presenza si è sedimentata in Ticino? Attingendo a fonti archivistiche sinora poco sfruttate, il volume analizza e approfondisce il tema dell’internamento militare sul piano regionale, facendolo costantemente dialogare in senso verticale con quello nazionale. La pluralità degli approcci adottati e dei punti di vista considerati ha consentito di fare emergere alcune specificità ticinesi e, in altri casi, di fare luce su aspetti finora poco studiati dell’internamento militare nel suo insieme. Colmando una lacuna storiografica e fornendo un quadro esaustivo delle coordinate geografiche e temporali dell’internamento militare, il libro si presta a fungere da strumento imprescindibile per chiunque voglia affrontare la tematica della presenza di internati militari in Ticino ed eventualmente approfondirla sul piano locale.

    #livre
    #camps_de_travail #Tessin #Suisse #histoire #réfugiés_ukrainiens #réfugiés_polonais #Pologne #deuxième_guerre_mondiale #seconde_guerre_mondiale #WWII #mémoire

    • Polish Army in Insubrica region: the case study of Polish internees in Losone

      During the German campaign in the West, in June 1940, 2nd Polish Infantry Division under command of Bronisław Prugar-Ketling (1891-1948) was sent to the French region of Belfort to support 8th French army. After being cut off from supply, approximately 12,000 to 13,000 Polish soldiers of this Infantry Division, crossed the Swiss border on 19-20 June 1940, south of Ajoie, avoiding thus the German capture.

      The soldiers were interned in Switzerland according to the Hague Convention. After a failed attempt to concentrate all Pole servicemen in only one camp in Büren an der Aare, Polish soldiers were dispersed throughout Switzerland. From 1941, barrack camps were set up in all Switzerland, where these Poles soldiers were interned until December 1945. In the Insubrica region, many Polish soldiers were gathered and managed in Losone, nearby Locarno and Ascona.

      These interned Poles soldiers made mainly group-wise work assignments for the Swiss national defence works, related to the national infrastructure like constructions of roads and bridges, drainage of swamps as well as general works in the agriculture. A total of 450 kilometers in paths, bridges and canals were built alone in Ticino by these servicemen. At present, monuments and commemorative plaques commemorate the involuntary stay of these Polish soldiers people throughout the Ticino region. After the war, around 500 Poles were able to settle down in Switzerland, obtaining the Swiss citizenship.

      In addition to building and paving roads between Arcegno and Golino in the Canton Ticino, the Polish army soldiers, interned in the Losone camp during 1941-1945, worked hard to reclaim approximately 100 hectares of the land in the municipality of Losone between “Saleggi” and “Gerre”. This hard work reshaped radically the landscape of the region in the mid of the 1940s.

      Thanks to the intervention of Polish soldiers, a large amount of uncultivated agricultural areas in Ticino could be developed and, later, transformed in tourist and industrial zones.

      A hard work of Polish prisoners allowed a creation of a very important agricultural zone in Losone that persisted for many years until a construction of the famous 18 holes Golf place (shown in the centre of the map that can be seen above).

      Further in the North, in the 1980’s, an important industrial settlement called “Zandone” was created (on the left side of the above shown map). The Polish work allowed to erect a large camping in Melezza and the “Scuderia delle cavalli delle Gerre” in the area of Zandone. Between Arcegno and Golino, Polish soldiers managed to pave a road, that is named today “strada dei polacchi” (in English: Polish road).

      Polish soldiers were interned also in other parts of Switzerland and left unmistakable traces of their hard work. There are several so-called Polenweg‘s, which are roads that were built by Polish soldiers during the Second World War in Switzerland.

      https://insubricahistorica.ch/blog/2018/04/16/polish-army-in-insubrica-region-case-of-losone
      #Losone

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      Gli internati polacchi nel Locarnese e Valle Maggia

      Avevamo già scritto nell’aprile 2018 su Insubrica Historica un breve contributo sugli internati polacchi nella regione Insubrica. Durante dei lavori di ricerca per un imminente pubblicazione di Insubrica Historica sul Locarnese, abbiamo ritrovato ulteriori dettagli, che valgono la pena di essere condivisi.

      La presenza degli internati polacchi in Ticino e soprattutto nel Locarnese è legata soprattutto alla caserma di Losone posta nella località Piana di Arbigo, la quale ospitò ben oltre la fine del conflitto un ingente numero di soldati polacchi, circa un migliaio. Da questa caserma vennero impiegati per diversi lavori di bonifica. La loro presenza viene ricordata nel Locarnese per la Strada dei Polacchi da Arcegno a Golino, o ancora ad Orselina per la cappella della Madonna di “Ostra Brama”.

      Vi erano però diversi altri campi di lavoro distribuiti nella regione, i quali ospitavano anche loro soldati polacchi. In particolare grazie ad un recente articolo di Fabio Cheda Gli internati polacchi a Maggia, vi sono alcuni dettagli di questi campi nella Valle Maggia.

      I campi erano distribuiti nella maniera seguente: ai Ronchini di Aurigeno (15-30 militi), a Bignasco (10-15 militi), a Cevio (40-50 militi), a Linescio (30-35 militi), presso l’edificio “Cortao di Bonitt” a Maggia (30-35 militi), al Piano di Peccia (fino a 15 militi) e a San Carlo (100-200 militi). Nella sola Valle Maggia vi era circa il 15% (n=200) del totale dei soldati polacchi internati in Svizzera (n=12’000) durante la guerra. La maggior parte di loro erano entrati in Svizzera nella regione del Giura Francese, duranta la disfatta dell’esercito francese nell’estate del 1940.

      L’ubicazione di alcuni di questi campi e località di lavoro come a Lodano, lascia dedurre che l’impiego di questi soldati non era confinato al solo settore agricolo ma soprattutto anche nel disboscamento delle superfici forestali della Valle.

      «Questi baldi giovanotti facevano girare spesso la testa alle ragazze e alle mogli locali, tenendo in considerazione che gran parte degli uomini del paese erano impegnati nel servizio militare. È appurato che i Polacchi abbiano lasciato il segno: una donna si presentò un giorno ai capi responsabili mostrando il ventre gonfio…» (Fabio Cheda, A tu per tu, Dicembre 2020)

      Sempre secondo Fabio Cheda, il rapporto dei soldati polacchi con la popolazione era esemplare. Molto positivo, soprattutto con le signorine della Valle, tanto che vennero celebrati anche dei matrimoni.

      Non tutti i soldati polacchi ebbero la pazienza di restare fino alla fine del conflitto, oppure di ritornare in Pologna. Ve ne sono alcuni che riuscirono anche a fuggire da questi campi di lavoro prima e dopo il conflitto, i quali pur essendo controllati da soldati dell’esercito Elvetico, non sottostavano a rigida disciplina, come invece si ebbe in altri campi soprattutto della Svizzera tedesca.

      https://insubricahistorica.ch/blog/2021/09/30/gli-internati-polacchi-nel-locarnese-e-valle-maggia
      #internement #internés

    • Internati polacchi in Svizzera tra guerra, lavoro e sentimento

      Un’analisi storica sulla presenza degli internati militari polacchi in Svizzera durante la Seconda Guerra Mondiale vuole essere un momento prezioso per una riflessione su noi stessi e sulla nostra terra elvetica: terra di transito in cui i nostri orizzonti hanno potuto incontrarsi, per pochi anni, con un popolo straordinario, che nel dolore, nella perdita e nella sofferenza del conflitto ha saputo dare, oltre che il suo sudore del lavoro - fondamentale per il nostro Paese - durante l’internamento, un esempio unico di dignità, di comunanza e di fratellanza.
      Al di là della politica e delle vicissitudini belliche, gli uomini hanno saputo ritrovarsi, anche soltanto per un istante.

      https://www.editore.ch/shopvm/varia/internati-polacchi-in-svizzera-tra-guerra-lavoro-e-sentimento-detail.html

  • #Monte_Verità

    1906. Hanna ne veut rien d’autre que se libérer de son corset bourgeois. Lorsqu’elle s’enfuit au célèbre Monte Verità, laissant ses filles derrière elle, elle est d’abord réticente à accepter le mode de vie libre de ceux qui cherchent un sens à leur vie. Mais lorsqu’elle commence à photographier les invités, elle se dépasse. Dans sa dévotion à l’art, elle doit se demander : peut-elle retourner dans sa famille sans se renier ?

    https://www.swissfilms.ch/fr/movie/monte-verita/030D2745C6844CEBB173B407A434D520
    #film #Ascona #Tessin #Suisse #liberté #montagne

  • #CIAO-CIAO_BOURBINE (#BON_SCHUUR_TICINO)

    Un #référendum fou plonge la Suisse dans l’#état_d'urgence. En acceptant l’initiative « #No_Bilangue », il ne devrait plus y avoir qu’une seule langue nationale : le français. De nombreux Suisses alémaniques sont donc en crise. Dont Walter Egli, 56 ans, qui travaille pour la police fédérale et doit veiller à ce que le passage au monolinguisme se fasse correctement. Bien qu’il ne parle pratiquement pas le français lui-même, il est envoyé au #Tessin avec un partenaire romand pour découvrir un groupe de résistance tessinois qui lutte par tous les moyens contre la nouvelle loi.

    https://www.youtube.com/watch?v=ak9cfKFw0tw


    https://www.swissfilms.ch/fr/movie/bon-schuur-ticino/8E192B51D33E4ED2B6C0ABEEC82B75A7

    #langues #Suisse #monolinguisme #démocratie_directe #comédie #résistance #Tessin
    #film

  • A #Briançon, l’accueil des migrants de plus en plus compliqué : « Ce n’est plus gérable »

    « Beaucoup marché dans le désert… C’est pas facile… Police tunisienne courir derrière moi… Marcher cinq jours, pas d’eau, pas d’ombre… » Il ne s’arrête plus. Sans qu’on ne lui ait posé la moindre question, Issouf (les personnes citées par leur prénom n’ont pas souhaité donner leur nom), s’est mis à parler du parcours migratoire qu’il a engagé il y a presque six mois depuis le Burkina Faso, aux côtés de son père Abdoul.

    Le garçon de 10 ans montre ses jambes, couvertes de cicatrices. Des cailloux sur lesquels il serait tombé, souvent. « J’ai vu des cadavres, des gens mourir. Le Sahara a tué les gens, demande à papa ! Je dis la vérité » , poursuit-il, agitant ses bras.

    Après avoir traversé le Mali, l’Algérie et la Tunisie, Issouf et son père ont franchi la Méditerranée jusqu’à l’île italienne de Lampedusa. « Ma maman ne voulait pas qu’on traverse, elle avait peur, elle disait : “Retournez-vous”. On a risqué la vie. Tout le monde rit maintenant. Ils sont contents. »

    Fin juillet, Issouf et Abdoul ont passé à pied le col alpin de Montgenèvre, près de la frontière entre l’Italie et la France. Une route privilégiée depuis la fin de l’année 2016 et la recrudescence des contrôles policiers dans les Alpes-Maritimes. Issouf et Abdoul ont été refoulés une première fois par la police française, avant de réussir leur passage et de gagner Briançon (Hautes-Alpes), à une quinzaine de kilomètres.

    On les rencontre aux Terrasses solidaires, un ancien sanatorium de la ville, racheté 1 million d’euros en 2021 par une poignée de fondations et d’associations telles que Refuges solidaires, Médecins du monde ou Tous migrants et au sein duquel sont désormais accueillis les migrants en transit.

    « J’étais dos au mur »

    « Inchallah, on va trouver les documentset on va faire venir maman en France » , nous dit Issouf, volubile. Son père, Abdoul, est dans le dur. Il a laissé sa femme et deux de ses enfants dans un Burkina Faso « invivable », en proie à l’ « insécurité » et à la « crise » économique. Il vivait à Koudougou, la troisième ville du pays, sous la férule de groupes djihadistes. « Tout saute, raconte-t-il, en pleurs. J’aurais pu devenir djihadiste, j’étais dos au mur. Si tu n’es pas fort d’esprit, tu peux faire n’importe quoi pour t’en sortir. »

    De sa route vers la France, il raconte chaque étape, les nuits passées cachés dans des champs d’oliviers à attendre les passeurs, sans bruit, les francs CFA acquittés à chaque étape, les pick-up et les marches harassantes, les nombreux refoulements de la Tunisie vers l’Algérie, les petits boulots comme aide-maçon payés 30 dinars (8,80 euros) la journée, les gens « de bonne foi » qui lui offraient à boire et à manger, ou ceux, effrayants, qui raflaient « les Noirs »et les envoyaient vers le désert.

    Depuis le mois de mai, à Briançon, on constate un afflux de personnes aux Terrasses solidaires, en lien avec l’augmentation des départs depuis la Tunisie, un pays en proie à une crise économique et à une montée des violences envers les migrants subsahariens. La nuit, ils peuvent être soixante-dix à arriver au refuge. Ces derniers jours, le nombre de personnes hébergées sur place est monté à plus de 200, des hommes presque exclusivement, alors que les normes de sécurité limitent la capacité d’accueil du lieu à une soixantaine de personnes.

    Des tentes ont été montées à l’extérieur du bâtiment ; le réfectoire est devenu un vaste dortoir où une quarantaine de lits de camp ont été alignés. Les personnes s’y reposent, un œil sur leur téléphone quand elles ne dorment pas, le visage enfoui sous une couverture.

    « Nos stocks de nourriture s’épuisent »

    Les bénévoles ont toujours connu les variations saisonnières des arrivées. A l’hiver 2021, tout juste après avoir été inauguré, le lieu avait fermé ses portes plusieurs semaines alors que quelque 230 personnes s’y trouvaient.

    « On est saturé, alerte aujourd’hui encore Luc Marchello, membre du conseil d’administration des Terrasses solidaires. Ce n’est plus gérable, ni par rapport à la dignité de l’accueil ni par rapport aux tensions que cela génère. » « On demande à la préfecture d’ouvrir un centre d’hébergement mais elle nous laisse sans réponse » , se désole Alfred Spira, professeur de médecine à la retraite et également membre du conseil d’administration du refuge.

    Sollicités sur le sujet, les services de l’Etat dans le département assurent dans un mail au Monde que les demandes d’hébergement faites auprès du 115 – le Samusocial – « restent conformes au nombre constaté les années précédentes à la même époque ».

    « Nos stocks de nourriture s’épuisent, les dons arrivent de façon ponctuelle. On a trois veilleurs de nuit salariés, on en voudrait bien quatre » , explique pour sa part Jean Gaboriau, administrateur de l’association Refuges solidaires. Les seuls deniers publics seraient ceux de l’agence régionale de santé, qui consacrerait environ 40 000 euros par an à la prise en charge de la blanchisserie.

    Du reste, une quinzaine de bénévoles s’activent chaque jour sur place. « On est complètement accaparés par la gestion de l’accueil, témoigne Luc Marchello . En général, les personnes restent entre trois et cinq jours mais une partie ne sait pas où aller ou attend un [transfert d’argent] Western Union pour pouvoir acheter un billet de train. »

    Abdoul et Issouf sont de ceux que personne n’attend. « Il nous faut des indices pour nous orienter. On ne connaît personne en France, confie le père, qui souhaite déposer une demande d’asile. On se mettra dans les mains des gens qui sont gentils. » Quelques jours plus tard, il partira vers Strasbourg.

    Mounir, lui, veut aller à Paris pour travailler dans la pâtisserie. Au Maroc, dont il est originaire, le salaire qu’il pouvait espérer n’atteint pas les 300 euros. « Et puis tu n’es pas déclaré et tu te fais dégager du jour au lendemain » , dit-il. Le jeune homme de 25 ans s’inquiète de la possibilité de travailler en France alors qu’il n’a pas de titre de séjour et se renseigne sur les démarches à faire pour être régularisé. Avec ses quelques compagnons de route, originaires des villes de Marrakech, Ouarzazate, Midelt ou Tiznit, il a d’abord pris un avion vers la Turquie avant de remonter la route dite des Balkans. La plupart ont l’Espagne en ligne de mire. Pour y faire de la soudure, de l’électricité, de la coiffure ou de l’agriculture, qu’importe. Là-bas, ont-ils compris, obtenir les papiers ne prendrait « que » deux ans et demi.

    https://www.lemonde.fr/article-offert/effyfhbwvptb-6184494/a-briancon-l-accueil-des-migrants-de-plus-en-plus-complique-ce-n-est-plus-ge

    #asile #migrations #réfugiés #accueil #Briançonnais #Hautes-Alpes #frontière_sud-alpine #Alpes #hébergement #mise_à_l'abri #terrasses_solidaires #refuge_solidaire #refuges_solidaires #frontières #Italie #France #Montgenèvre #115

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    Juin 2023 :
    Nouveau cri d’alarme du #Refuge_solidaire
    https://seenthis.net/messages/1004387

    • Migranti, emergenza in Val di Susa: centri di accoglienza al limite per i profughi diretti in Francia

      I controlli alla frontiera sempre più stringenti, in pochi giorni arrivate a #Oulx più di 150 persone.

      Al #Rifugio_Fraternità_Massi di Oulx la parola emergenza è ormai scomparsa dal lessico quotidiano. Il flusso costante di uomini, donne e bambini che ogni giorno cercano di attraversare il confine ha perso da tempo i caratteri dell’eccezionalità, evolvendosi in un fenomeno sempre più sistemico, ma non per questo meno tragico.

      A dimostrarlo sono i numeri registrati dalle associazioni impegnate nel progetto #MigrAlp; un bilancio impietoso che vede il rifugio di don Luigi Chiampo ospitare ogni notte un centinaio di persone, malgrado i posti disponibili all’interno della struttura siano soltanto una settantina.

      Ad inizio agosto in un paio di occasioni si è arrivati addirittura a raggiungere le 150 presenze e da allora la necessità ha finito per trasformare in abitudini consolidate quelle che un tempo erano soluzioni emergenziali. Non fanno più notizia le brandine allestite in sala mensa, né i viaggi intrapresi ogni sera dalla Croce Rossa per trasportare al polo logistico di Bussoleno quanti non trovano posto ad Oulx.

      La situazione, intanto, resta grave anche al confine francese, come testimoniano i quasi 300 migranti accolti lo scorso 13 agosto al centro delle Terrasses Solidaires di Briançon. «La militarizzazione della frontiera non fa che incentivare la clandestinità e mettere a rischio la vita dei più deboli - spiega Piero Gorza, antropologo e referente Medu per il Piemonte – dal 2018 ad oggi sulle nostre montagne sono morte 10 persone, l’ultima soltanto una manciata di giorni fa. L’aumento dei flussi e il mutamento della loro composizione ha visto moltiplicarsi le vulnerabilità di quanti affrontano il cammino». Gli iraniani, afghani e curdi che fino allo scorso ottobre rappresentavano il 70% delle persone in transito ad Oulx sono ora soltanto una minoranza.

      «Quanti provengono dalla rotta balcanica scelgono di passare da Como o dalla Svizzera, dove ottengono un foglio di via che consente loro di arrivare più facilmente in Germania», spiega Paolo Narcisi, presidente dell’associazione Rainbow for Africa. Ad affrontare le montagne dell’alta Val Susa sono ormai perlopiù i migranti dell’Africa subsahariana.

      Sono molte le donne, spesso incinte o con al seguito i bambini talvolta frutto delle violenze subite nei campi di transizione libici. Tanti, troppi, i minori non accompagnati. «Da gennaio ne abbiamo accolti un centinaio al polo logistico di Bussoleno – sottolinea Michele Belmondo, responsabile delle emergenze della Croce Rossa di Susa – un dato allarmante se paragonato ai 90 di cui ci siamo occupati nel corso dell’intero 2022».

      Recano sul corpo i segni delle torture e di un cammino di cui spesso ignorano le insidie, basti pensare ai due ragazzi recuperati l’altro giorno dal Soccorso Alpino sopra Bardonecchia, a 2mila metri di altitudine, con ai piedi un paio di ciabatte.

      Ad accrescere la preoccupazione in vista dell’autunno contribuisce inoltre la carenza di risorse economiche. «Se la situazione rimarrà invariata, entro fine settembre avremo terminato i fondi stanziati per il 2023 dalla Prefettura per la gestione del progetto MigrAlp - precisa Belmondo - 550 mila euro a fronte dei 750 mila richiesti da associazioni e istituzioni. Arriveranno a consuntivo soltanto a fine anno».

      https://www.lastampa.it/torino/2023/08/23/news/migranti_emergenza_alta_val_di_susa-13007663
      #Val_Suse #Suisse #Côme #Chiasso #Tessin

    • "Combien de temps on va tenir ?" : les Terrasses de Briançon dépassées par l’afflux inédit de migrants venant d’Italie

      Pour la première fois depuis son ouverture en 2021, les Terrasses solidaires, lieu associatif de Briançon à la frontière franco-italienne, a accueilli plus de 300 migrants pendant deux jours. « On navigue à vue », raconte un administrateur du lieu, d’une capacité d’accueil maximum de 81 places.

      La situation aux Terrasses solidaires de Briançon empire. Les 13 et 14 août, le lieu associatif a accueilli plus de 300 personnes. « Une première », indique Jean Gaboriau, l’un des administrateurs du lieu, à InfoMigrants. Et depuis, l’accueil ne faiblit que légèrement. Ce mercredi, 220 personnes étaient admises, là où il n’y a qu’environ 80 places.

      D’ordinaire, les associatifs et citoyens solidaires voient plutôt arriver « entre 5 et 30 personnes par jour » à Briançon, décrit Luc Marchello, responsable de la sécurité des Terrasses Solidaires. Mais le week-end dernier par exemple, une centaine d’exilés, pour la quasi-totalité originaire d’Afrique subsaharienne, sont arrivés en une nuit.

      Des matelas sont posés à même le sol où c’est possible, des tentes sont installées sur les terrasses extérieures… « On n’a pas le choix, on pousse les murs », raconte Jean Gaboriau. Et d’ajouter : « Le réfectoire est devenu un dortoir. Les gens dorment par terre ». À l’étage, normalement condamné, un petit espace a été aménagé afin d’accueillir le plus calmement possible les populations vulnérables comme les femmes enceintes ou les enfants.
      Appel à l’aide de l’État

      Ici, le va-et-vient est quotidien. Chaque jour, de nouveaux exilés viennent remplacer ceux qui partent. « Depuis le mois de mai, la situation est très compliquée. On tourne à minimum 150 personnes (soit plus de deux fois la capacité d’accueil, ndlr) », raconte l’administrateur.

      Et les nouveaux arrivants, la plupart du temps, arrivent fortement impactés par la traversée des Alpes entre l’Italie et la France, qui se fait aujourd’hui en grande partie par le Col de Montgenèvre. « Cela varie, mais beaucoup arrivent blessés aux chevilles, genoux… Ou sont en état de déshydratation, complète Jean Gaboriau. Il y a aussi beaucoup de femmes enceintes, dont certaines sont très, très proches du terme. »

      Ce passage peut aussi engendré la mort. Le corps d’un exilé y a été retrouvé le 7 août dernier. Selon des informations d’Infomigrants, il s’agit d’un Guinéen âgé de 19 ans. Une enquête est toujours en cours et l’autopsie n’a pas permis de découvrir les causes de la mort mais elles sont « non suspectes et certainement pas d’origine traumatiques », selon le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy.

      Ainsi, les bénévoles du lieu en appellent à l’État et regrettent, dans un communiqué publié mardi, qu’"aucune réponse n’a jamais été apportée par l’État aux situations de crise rencontrées dans ce lieu d’hébergement". Après plusieurs courriers envoyés à la préfecture des Hautes-Alpes, des signalements effectués aux pompiers, ils demandent aux autorités « l’ouverture d’un dialogue » ainsi que « la création d’un centre d’hébergement d’urgence mobile ». « La seule réponse que l’on a obtenue de la préfecture, c’était le 31 juillet, et c’était une lettre qui rappelait la loi et l’interdiction d’aider des personnes en situation irrégulière à rentrer en France », se désole Jean Gaboriau.

      Contactée par Infomigrants, la préfecture indique que « les difficultés de l’association gestionnaires des Terrasses Solidaires ont bien été entendues par la Préfecture, qui leur a répondu ». Mais « cette situation n’a pas vocation à durer ». Et d’ajouter : « La seule solution efficace aux difficultés rencontrées par les associations et, plus largement, les territoires impactées par ce triste phénomène, est le renforcement progressif du dispositif de lutte contre l’immigration illégale. »
      "On navigue à vue"

      Et la situation ne va pas aller en s’arrangeant, s’inquiètent les bénévoles, « au vu de l’importance du nombre de personnes qui arrivent en Italie depuis le début de l’année ». L’Italie enregistre en effet un record d’arrivées par la mer avec 101 386 migrants débarqués depuis le début de l’année, selon les données du ministère de l’Intérieur, contre 48 940 pour la même période de 2022. Et les exilés sont nombreux à prendre la route de la France pour y demander l’asile ou se rendre vers d’autres pays d’Europe.

      La hausse des prix des transports en commun « aggrave aussi la situation », estime Jean Gaboriau car les prix des TGV vers les grandes métropoles françaises descendent rarement sous la barre des 100 euros, surtout en cette période de vacances scolaires. « Donc forcément, les gens restent plus longtemps et attendent que les prix baissent », ajoute-t-il.

      Jusqu’à présent, les Terrasses solidaires s’adaptent en augmentant les stocks de nourriture et grâce aux dons qui se multiplient. « Combien de temps va-t-on tenir ? » s’interroge l’administrateur. « On navigue à vue », admet-il. Et les bénévoles, eux aussi, sont exténués. « Moi, je me suis mis au vert quelques jours pour revenir efficace mais pour ceux qui viennent de loin et qui restent plusieurs semaines, il faut aussi les préserver », raconte-t-il, précisant qu’une « responsable des bénévoles » veille à la situation.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/51145/combien-de-temps-on-va-tenir--les-terrasses-de-briancon-depassees-par-

      signalé aussi ici par @cy_altern :
      https://seenthis.net/messages/1013811

  • La storia infinita

    Legionari romani sulle Alpi? Battaglie navali sui nostri laghi? Raduni di streghe sul Ceneri? Ogni pietra, ogni dipinto, ogni spigolo di strada sussurra storie nascoste. La Svizzera italiana e l’intera Confederazione sono disseminate di numerose tracce, curiose e talvolta nascoste, che ci parlano del nostro affascinante passato. Le donne e gli uomini che hanno abitato il nostro territorio prima di noi, attraverso i millenni, hanno lasciato molte testimonianze. E ognuna è una storia che merita di essere raccontata e che evoca non solo ciò che ci siamo lasciati alle spalle, ma anche e soprattutto spiega il nostro presente.

    Nella prima stagione de «La storia infinita» intraprenderemo quattro avvincenti viaggi di scoperta nel tempo. Ci tufferemo nella Svizzera romana e scopriremo la straordinaria globalizzazione di duemila anni fa, quando facevamo parte di un impero che andava dalla Scozia ai deserti dell’Iraq. Parleremo di guerra: oggi è drammaticamente tornata in Europa, ma per tutto il Medioevo insanguinava anche la Svizzera italiana, campo di battaglia sul quale le potenze dell’epoca si sono contese il controllo sulle infinite ricchezze che transitavano dai passi alpini. Cercheremo poi di capire che cosa sia stata l’epoca dei baliaggi, quei tre secoli in cui l’attuale Canton Ticino è stato suddito della «feroce democrazia» svizzera. E infine racconteremo come le vie di comunicazione hanno forgiato la Svizzera italiana, dai primi intrepidi colonizzatori preistorici fino alla costruzione della rete stradale moderna nell’Ottocento: strade che hanno diffuso geni, idee e ricchezze, ma anche pandemie e violenze.

    https://www.rsi.ch/play/tv/programma/la-storia-infinita?id=15525805

    #histoire #Tessin #Suisse #guerres #pandémie #peste #Alpes #Empire_romain #commerce #migrations #bailliages_communs #bagliaggi #transports #série #vidéo #RSI #Jonas_Marti

    –> où je découvre notamment cet impostant mémorial du maréchal #Souvorov:
    https://seenthis.net/messages/978234

  • People’s knowledge and perceptions of #Trachycarpus_fortunei (Chinese windmill palm) invasions and their management in #Ticino, Switzerland

    The introduction of alien plant species can lead to biological invasions, which have major impacts on people and the environment. Trachycarpus fortunei (Hook.) H. Wendl. (Arecaceae) is an alien plant (palm tree) that has been introduced as an ornamental into urban areas across the world, but in many regions, it has started invading forests and other natural environments leading to negative impacts. To improve understanding and guide management, this study sought to assess people’s knowledge and perceptions of T. fortunei in Ticino, the region in Switzerland where invasions of the species are most common. To achieve this goal, an online survey was conducted, and a total of 487 responses were received. The formal name(s) (scientific or common names) of T. fortunei were unknown to almost all participants (89 %), and people mostly just called them “palm”. Most respondents were familiar with the term invasive alien species (IAS) (88 %) and were aware of the invasiveness (spread) of T. fortunei (73 %). The study showed that although people like to see the palm in the region (51 %) and enjoyed the related sense of place it provides, respondents have become aware of the challenges associated with invasions and the majority (65 %) would like to see more done to control the spread of T. fortunei invasions within natural areas, particularly forests. To improve management, a large number of respondents (63 %) mentioned that education and awareness programmes should be implemented to provide people with knowledge on how to deal with invasive alien plants and thus prevent further spread. Almost a third of respondents supported (32 %) the regulated sale of T. fortunei in an effort to reduce invasions. Educational level, gender, and age affected response patterns, and this needs to be accounted for within strategic management planning, in particular, within education and awareness-raising initiatives. Tailored and targeted educational campaigns and management plans need to be established to prioritise and improve control of this invasive palm in Switzerland in the long term.

    https://gh.copernicus.org/articles/77/443/2022
    #Tessin #espèces_invasives #Suisse #palmiers #palmier

  • #Pezzi_di_frontiera. Geografie e immaginario del confine.

    Il confine prima di essere una linea o uno spazio è una condizione umana. Confini e frontiere testimoniano la necessità di identificarsi e di porre dei limiti sul corpo o nella mente. Al contempo essi affermano il possesso sulla terra e disciplinano l’occupazione del territorio che, per essere definito tale, necessita di confini, siano essi legati alla proprietà o all’appartenenza a una comunità o a una nazione. Da qui l’esigenza di sviluppare delle «geografie del confine» che trovano espressione nella cultura giuridica, nella rappresentazione cartografica, nella costruzione di barriere e segni di demarcazione, ma anche nell’immaginario collettivo - dal linguaggio alla toponomastica, fino alle più varie pratiche culturali -, con i vantaggi e le derive che ne comportano. L’esposizione temporanea inaugurata a Casa Cantoni a Cabbio nel 2020 accompagna il visitatore in un viaggio attraverso la complessità e i numerosi volti dei confini, dalle espressioni materiali nel territorio ai riflessi nell’immaginario collettivo. In un mondo globalizzato l’idea di confine e di limite porta con sé numerose contraddizioni.


    https://www.mevm.ch/esposizioni/pezzi-di-frontiera

    #frontières #frontière #exposition #Tessin #Suisse

  • Svolta sul bunker di #Camorino

    Il cantone vuole chiudere il prima possibile la struttura sotterranea - Emesso un bando per cercare soluzioni alternative .

    Il canton Ticino cambia passo e decide di chiudere il controverso bunker di Camorino: la struttura sotterranea che alloggia richiedenti l’asilo la cui domanda è già stata respinta o neppure presa in considerazione, ovvero i cosiddetti casi «NEM». Il Consiglio di Stato ha indetto una raccolta di proposte per cercare soluzioni alternative.

    In sostanza, il Governo chiede a privati o enti pubblici - via foglio ufficiale - di proporre strutture idonee ad accogliere richiedenti l’asilo. Il bando scade venerdì. «L’obiettivo è uscire il prima possibile», spiega Gabriele Fattorini, direttore della Divisione dell’azione sociale e delle famiglie. «È chiaro che questo dipende anche dalla quantità di offerte che arrivano. Se non dovessero arrivarne bisognerà chinarsi ancora una volta sul tema e riaprire una riflessione. Il prima possibile credo che sia la risposta più corretta», afferma.

    Negli anni ci sono state manifestazioni, petizioni, appelli. Nel 2019, un centinaio di medici ha messo nero su bianco che «le condizioni in cui vivono i richiedenti l’asilo a Camorino sono disumane». L’ultima petizione in ordine di tempo è del Forum Alternativo che in queste settimane ha raccolto 1’600 firme.

    «È da diverso tempo che si sta cercando una soluzione alternativa, ma non è facile individuare una nuova sede, perché anzitutto richiede un consenso da parte delle autorità comunali, ma anche un consenso della popolazione», osserva Fattorini. In un rapporto del 2019, la Commissione nazionale per la prevenzione della tortura aveva scritto, in termini generali, che nessuno dovrebbe vivere in una struttura sotterranea per più di 3 mesi, perché manca luce e non circola aria. A Camorino si può rimanere anche un anno o più.

    Nonostante le critiche, il Cantone ha sempre dichiarato che la situazione era - secondo quanto si legge in una risposta del Consiglio di Stato a un’interpellanza dell’anno scorso - «modesta, ma idonea e in linea con quanto stabilito dal quadro normativo vigente per le persone che sono tenute a lasciare la Svizzera».

    Cos’è cambiato? «Siamo in un contesto di grande movimento. Innanzitutto c’è anche la costruzione che dovrebbe partire a breve che obbligherà la partenza da questa struttura di Camorino e in tutto questo ambito di pianificazione generale della migrazione, la ricerca di altre soluzioni fuori terra è sicuramente ritenuta più adeguata».

    Oggi, nella struttura sotterranea alloggiano 23 persone, tutte con statuto di NEM: dovrebbero lasciare il Paese perché la loro domanda d’asilo è stata respinta o neppure presa in considerazione, ma non possono essere rimpatriate contro la loro volontà perché con i loro Paesi d’origine la Confederazione non ha accordi di riammissione.

    https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/Svolta-sul-bunker-di-Camorino-14646993.html

    #Tessin #asile #migrations #réfugiés #Suisse #bunkers #bunker #fermeture #alternatives #déboutés #NEM

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    sur ce bunker voir aussi :
    https://seenthis.net/messages/577204
    https://seenthis.net/messages/789186

  • In der Schweiz wird eine riesige Batterie aus Beton gebaut - Magazin - 1E9
    https://1e9.community/t/in-der-schweiz-wird-eine-riesige-batterie-aus-beton-gebaut/3384

    Au Tessin, dispositif de stockage gravitaire d’énergie par empilement de blocs de béton. Fonctionnellement équivalent au STEP (station de turbinage et de pompage d’eau) sauf que ce sont des blocs de béton qu’on empile et qu’on dépile, le complément idéal (?) aux énergies intermittentes.

    Reste à convaincre les populations qu’à côté du champ d’éoliennes on va monter des tours de blocs de béton de 80 mètres de haut…

    #yapuka

    via @cdb_77

    Jan. ’20
    Im schweizerischen Tessin wird derzeit eine gigantische Batterie gebaut. Rund 120 Meter soll sie in den Himmel ragen – und jede Menge Energie speichern. Dabei kommt diese Batterie ganz ohne Lithium oder Säuren aus. Denn der Erfinder der Mega-Batterie setzt auf ein so einfaches wie uraltes Konzept.

    Sie tut sich schwer, aber sie geht voran, die Energiewende. Bereits jetzt werden 35 Prozent des Stromverbrauchs in Deutschland durch erneuerbaren Energien gedeckt. Aber diese Energiequellen haben ein Problem. Zumindest Wind- und Sonnenkraft gibt es nur, wenn der Wind weht oder die Sonne scheint. Und wenn zu viel Energie fließt, geht die gerne mal sinnlos verloren, wenn es an Verbrauchern mangelt. Denn bislang fehlen vielfach Möglichkeiten, um überschüssige Energie sofort, langfristig, schnell abrufbar und auch günstig zu speichern. Wasserpumpspeicherwerke brauchen viel Platz, virtuelle Kraftwerke aus Heimspeichern wie von Sonnen aus dem Allgäu stehen noch am Anfang und Batteriekaskaden wie die Powerpacks von Tesla sind teuer.

    Der Schweizer Ingenieur Andrea Pedretti aus Lugano schlägt daher noch eine andere Lösung vor – eine ziemlich einfache, die er mit seinem Start-up Energy Vault verwirklichen will. Er will überschüssige Energie in Betonklötzen speichern. Denn seine Batterie soll aus einem Kran mit sechs Armen bestehen. Und eben zahlreichen Betonblöcken. Gibt es eine Überproduktion von elektrischem Strom, wird der Kran genutzt, um die aus Bauschutt gepressten 35-Tonnen-Blöcke aufeinander zu stapeln. Dadurch wird der Strom in potentielle Energie umgewandelt – also jene Art von Energie, die ein Objekt durch Masse und Höhe gewinnt. Es ist das gleiche Prinzip, das bei Wasser- und Pumpspeicherkraftwerken genutzt wird.

    Je höher ein Betonblock sitzt, umso mehr Energie speichert er – auf physikalisch natürliche Weise. Hunderte davon sollen sich in einer Turm-artigen Struktur aufeinanderstapeln lassen. Wird die Energie wieder benötigt, greift der Kran die Betonblöcke und lässt sie zur Erde zurückfahren, wo sie als Mauer um den Turm herum aufgestapelt werden. Dabei wird die Energie über Rollen und einen Generator wieder in elektrischen Strom umgewandelt – und das mit einer Effizienz von 85 Prozent. Im Gegensatz zu anderen Speichermöglichkeiten soll der Turm nahezu überall installierbar sein. Er funktioniert in Wüsten- wie auch Eis- und Tropenregionen. Dazu ließe sich das Konzept anpassen. Statt Betonklötzen könnte der Kran ebenso Steinquader oder ausgemusterte Schiffscontainer aufnehmen und aufeinandersetzen. Eben das, was in der entsprechenden Region einfach herstellbar und verfügbar ist.

    • Test positivi e ospiti illustri: la grande torre continua a stupire
      https://www.cdt.ch/ticino/bellinzona/test-positivi-e-ospiti-illustri-la-grande-torre-continua-a-stupire-HE4053081


      Test positivi e ospiti illustri: la grande torre continua a stupire
      Una fotografia scattata lo scorso luglio, quando la torre è entrata in funzione.
      © CdT/Zocchetti

      INNOVAZIONE Castione, la gru per lo stoccaggio di energia realizzata da una start-up ticinese suscita interesse non solo da parte dei potenziali clienti, ma anche di visitatori importanti - Il prototipo risponde in modo soddisfacente alla fase sperimentale: «Confermate le nostre aspettative» - LE FOTO

      Dapprima il presidente della Direzione generale della Banca nazionale svizzera Thomas J. Jordan. Ed ora l’ambasciatrice della Gran Bretagna nel nostro Paese ed in Liechtenstein Jane Caroline Owen. L’imponente torre energetica realizzata dalla start-up luganese Energy Vault nella zona industriale di Castione non smette di suscitare interesse. I due illustri ospiti l’hanno visitata negli scorsi mesi il primo e la scorsa settimana la seconda, rimanendo entrambi affascinati dall’idea innovativa sviluppata dal team guidato dal CEO Robert Piconi e dal capotecnico Andrea Pedretti.

      Per l’azienda ticinese non è che la conferma di quanto va dicendo dal novembre 2019, quando i suoi vertici presentarono la loro «creatura» durante una serata pubblica raccogliendo consensi anche da parte della popolazione...

      bon, au moment de la photo, y a même pas de quoi recharger un smartphone ;-)

    • Nouvelles de mars 2020, donc d’il y a un an...

      La #tour de #Arbedo est un prototype avec fonction démonstrative, dit le journal La Regione (traduction deepl) :

      "si tout se passe bien, si le projet garantit effectivement ce que les simulations informatiques annoncent aujourd’hui, il sera ensuite démantelé et destiné à un groupe indien engagé dans le développement de systèmes de production d’énergie propre dans l’un des coins les plus pollués de la planète. Pendant des mois à Castione devraient donc venir - si le coronavirus le permet, étant donné le frein sur les vols - des ingénieurs du monde entier intéressés à radiographier l’invention développée par l’équipe coordonnée par l’administrateur délégué #Robert_Piconi et le technicien en chef #Andrea_Pedretti, ingénieur tessinois qui a des connaissances approfondies dans le domaine des énergies renouvelables mais qui est aussi de retour de la faillite de la société #Airlight, jusqu’en 2016 présente sur la Riviera avec trois sociétés et qui n’a pas réussi à activer au Maroc le système photovoltaïque révolutionnaire développé à Biasca également grâce à des fonds publics. En outre, à Castione, selon les intentions, il est prévu d’installer la « salle de contrôle », c’est-à-dire le siège où Energy Vault pourrait gérer à distance les différentes installations vendues en « se déplaçant » sur quatre grands fuseaux horaires. Beaucoup dépendra du succès commercial et de la capacité réelle de la centrale à produire suffisamment d’#électricité au moment où les grands consommateurs, en premier lieu les mégapoles assoiffées d’#énergie_renouvelable pour remplacer le charbon et le nucléaire, en auront besoin."

      Luce verde alla maxi torre energetica di Castione

      Il Municipio ha rilasciato oggi la licenza edilizia sulla base del preavviso cantonale positivo. Ritirata l’opposizione delle Ffs.


      Stando alla tabella di marcia avrebbe dovuto essere funzionante già da alcune settimane, invece la licenza edilizia che dà il via libera alla sua installazione è arrivata oggi. A rilasciarla, durante la seduta odierna, il Municipio di Arbedo-Castione sulla base di due attesi documenti: il preavviso positivo espresso dal Dipartimento del territorio e il recente ritiro dell’opposizione inoltrata dalle Ffs contro la domanda di costruzione. Luce verde dunque alla maxi torre energetica che la Energy Vault, start-up di Biasca, inizierà a elevare prossimamente fino a un massimo di 60 metri dal suolo con l’intento di avviare la fase test di produzione di energia nel corso della primavera e per la durata massima di un paio d’anni. Gli ideatori e promotori, ascoltate le richieste delle Ferrovie, le hanno assecondate spostando di qualche metro una parte dell’installazione di cantiere, così da non intralciare eventuali future esigenze di spazio per la posa di condotte e cavi elettrici necessari alla nuova Officina di manutenzione dei treni prevista nelle vicinanze.

      Ingegneri da tutto il mondo (Coronavirus permettendo)

      Il prototipo della Energy Vault a Castione a avrà una funzione dimostrativa: se tutto filerà liscio, se il progetto garantirà concretamente quanto dicono ora le simulazioni al computer, sarà poi smontato e destinato a un gruppo indiano impegnato nello sviluppo di sistemi di produzione di energia pulita in uno degli angoli più inquinati del pianeta. Per mesi a Castione dovrebbero dunque giungere - Coronavirus permettendo, considerato il freno ai voli - ingegneri da tutto il mondo interessati a radiografare l’invenzione messa a punto dal team coordinato dal Ceo Robert Piconi e dal capotecnico Andrea Pedretti, ingegnere ticinese che vanta un’ampia conoscenza nel campo delle energie rinnovabili ma che è anche reduce dal fallimento della ditta Airlight, fino al 2016 presente in Riviera con tre società e che non è riuscita ad attivare in Marocco il rivoluzionario impianto fotovoltaico sviluppato a Biasca anche grazie a finanziamenti pubblici. Peraltro proprio a Castione, stando alle intenzioni, si prevede di installare la cosiddetta ‘control room’, ossia la sede nella quale Energy Vault potrebbe gestire in remoto i vari impianti venduti ‘muovendosi’ su quattro grandi fusi orari. Il condizionale è d’obbligo e molto dipenderà dal successo commerciale e dalla reale capacità dell’impianto di produrre corrente elettrica a sufficienza e nel momento in cui essa viene richiesta dai grandi consumatori, in primis le megalopoli assetate di energia rinnovabile in sostituzione di carbone e nucleare.

      Dal Ticino all’India

      La torre dotata in cima di sei gru alzerà e abbasserà un centinaio di blocchi da 35 tonnellate l’uno per generare corrente elettrica in discesa. Il prototipo castionese tuttavia non produrrà corrente ma servirà a testare il cervello (software) e il processo di produzione e spostamento dei blocchi (hardware). Saranno pure testate la linea di produzione dei blocchi costituiti da cemento povero e terra, come pure la strumentazione tecnica prodotta in Italia che è stata già acquistata dall’azienda indiana Tata Power che la ritirerà una volta ultimata la fase test di Castione.
      Il guadagno? Alzare di notte e abbassare di giorno

      Il principio di produzione energetica è lo stesso dei bacini idroelettrici ad accumulazione, dove cioè l’acqua viene ripompata in quota di notte consumando corrente elettrica a basso costo e turbinata di giorno producendo corrente venduta a prezzi più elevati di quella notturna. La torre consuma corrente elettrica alzando i mattoni e ne produce, abbassandoli, nel momento di grande richiesta, quando la corrente messa in rete ha un costo maggiore. Stando agli sviluppatori di #Energy_Vault l’utilizzo di motori elettrici e componenti meccaniche di ultima generazione assicurano un’efficienza molto elevata, calcolata fra il 78 e l’80%. In soldoni, se si consuma un kWh in salita se ne produce 0,8 in discesa, che venduto al prezzo previsto nelle ore di maggior consumo genera il guadagno destinato a rendere il progetto una soluzione sostenibile sul piano finanziario e su quello ambientale.

      https://www.laregione.ch/cantone/bellinzonese/1424508/corrente-castione-torre-luce-produzione

      #énergie #stockage_d'énergie #Inde #Maroc #Tessin #Suisse

  • #Initiative_anti-burqa. Communiqué de presse de #Stopexclusion

    Avec déception, nous constatons l’acceptation de l’initiative sur l’interdiction de se dissimuler le visage. En tant que Coordination contre l’exclusion et la xénophobie, nous regrettons que cette loi discriminatoire soit désormais inscrite dans notre Constitution. Nous sommes soulagé‧e‧s de voir que Genève s’y est opposé. Le non l’a emporté dans notre canton, mais à une courte majorité ce qui nous laisse tout de même avec une certaine inquiétude.

    Nous avons combattu cette initiative pour son contenu discriminatoire, sexiste et islamophobe.

    Lancée et portée par l’extrême droite, ce texte ne visait qu’à alimenter une politique de stigmatisation d’une partie de la population de ce pays : la communauté musulmane et en particulier les femmes musulmanes. Les affiches de l’UDC, montrant des femmes au visage caché et aux regards haineux ne font que confirmer le caractère xénophobe de cette campagne et son but : exclure, marginaliser, discriminer, stigmatiser, sur fond d’un imaginaire de guerre de civilisations, produisant crainte, peur et méfiance.

    L’amalgame entre port de la burqa et terrorisme, stigmatise et enferme la totalité de la communauté musulmane dans une vision unilatérale, stéréotypée et fausse de l’islam.

    L’initiative a suscité un vaste débat dans la population, sur des aspects comme la liberté religieuse et culturelle, le libre choix de chacune à disposer de son corps et de sa manière de s’habiller.

    A souligner aussi l’engagement de nombreuses associations et collectifs de femmes et féministes, en faveur d’une vision tolérante et ouverte de la société.

    Nous ne tomberons pas dans la diabolisation de celles et ceux qui ont vu dans cette initiative, à notre avis faussement, une occasion de promouvoir la libération et la dignité de la femme, et de contribuer à la promotion de l’égalité entre les hommes et les femmes. Nous souhaitons nous retrouver uni‧e‧s dans les prochains combats pour l’égalité.

    Notre coordination continuera sa démarche contre toutes les discriminations, qu’elles soient liées au genre, aux différences d’orientations sexuelles, à la nationalité, au statut social juridique et économique.

    Nous ne le répéterons jamais assez : il n’y a que l’égalité des droits, la justice, le respect de l’identité de chacune et chacun pour garantir une société solidaire et sans discrimination aucune.

    https://www.stopexclusion.ch/2021/03/07/initiative-anti-burqa-communique-de-presse
    #burqa #Suisse #votation #votations #initiative #islam #voile #discriminations #islamophobie #sexisme #UDC #stigmatisation #femmes_musulmanes #femmes #xénophobie #terrorisme #amalgame #islam #corps

    ping @cede

  • Enfants entre exil et asile

    En Suisse, la lutte continue pour assurer des conditions dignes et humaines aux mineurs non accompagnés (#MNA), qu’ils soient requérants (#RMNA) ou non. Malheureusement, selon #Mohammad_Jadallah, ce combat pour la #dignité est loin d’être terminé. L’activiste pointe dans ce dossier les dysfonctionnements du système suisse et les manquements de l’État, notamment à #Genève.

    Le mercredi 11 mars 2019, j’ai ancré mon navire à la Maison Vaudagne à Meyrin. Dans le cadre des projections scolaires du FIFDH autour de la migration et malgré le début de l’épidémie du Covid-19, j’ai eu le plaisir de rencontrer des élèves (de 11 à 14 ans environ) et leur professeur et d’échanger sur le sujet. Nous avons regardé un film sur le parcours des enfants réfugiés (Afghanistan : enfant de l’exil : https://www.arte.tv/fr/videos/081145-000-A/afghanistan-enfant-de-l-exil) puis Jasmine Caye et moi-même avons partagé notre expertise et notre expérience sur la question de la migration sous la modération de Charlotte Frossard, membre du comité de Jet d’Encre.

    J’essaie de porter un regard analytique et critique sur la question de l’immigration, de la résistance et des réussites des mouvements ainsi que sur les chemins migratoires individuels. Je pense qu’il est fondamental de rendre visibles et de mettre l’accent à la fois sur les mineurs non accompagnés, car ces jeunes mineurs n’ont rien si ce n’est leur motivation d’avoir une vie digne à Genève et, bien sûr, les soutiens de collectifs genevois qui sensibilisent les politiciens.

    En lien avec la thématique du film Afghanistan : Enfant de l’exil, nous avons abordé la question des requérants d’asile, mais surtout celle des mineurs non accompagnés (MNA), qu’ils demandent l’asile ou non. Notre discussion nous a menés à rappeler à quel point il est important à Genève de ne pas oublier ces #jeunes qui se retrouvent démunis : pas de papiers, pas d’hébergement, pas d’aide financière, etc. Et, après l’obtention de leur majorité, ils sont généralement renvoyés dans leur pays d’origine.

    De plus, qu’ils soient RMNA ou MNA, ce sont avant tout des enfants qui ont le droit d’être protégés – ce qui n’est pas le cas à Genève ! Ces enfants sont traumatisés car ils n’ont pas d’accès au permis, ni renouvelable ni provisoire, pour leur permettre de bien s’intégrer sur le long terme. Et bien que ce ne soit pas son devoir officiel, il faut relever que la communauté d’origine en exil de ces enfants n’est pas toujours présente pour leur apporter un soutien moral et culturel, et leur permettre d’aspirer à un avenir meilleur.

    Avant d’aller plus loin, je tiens à soulever que personne n’est plus apte à revendiquer ses besoins de base et exprimer son ressenti que les personnes directement concernées. Les #mineurs s’organisent pour sortir de l’#invisibilité et être entendus. Individuellement ou collectivement, leur voix est puissante. Bereket Gebrihwet disait dans le premier épisode du reportage de Nouvo, Les enfants de l’exil (https://www.youtube.com/watch?v=5tChg_zX4iA

    ) : « J’en ai marre. Pourquoi on m’a dit de retourner dans mon pays [Érythrée]. Je ne veux pas et je ne peux pas. » Il n’a rien de plus clair que cette phrase ! Très fort, on le voit plein d’enthousiasme, le regard porté vers l’avenir.

    Les MNA ne manifestent pas pour manifester, mais pour rappeler et sonner l’alarme. Ils cherchent à mettre fin à leur situation précaire indéterminée et inacceptable. Dans le film Bunkers (http://www.bunkersfilm.com/fr/accueil), je disais « C’est la prison. En prison, au moins, on sait qu’on sortira un jour… mais dans le bunker, … on ne sait pas quand on sortira ».

    Les #bunkers : une lutte sans fin pour des conditions dignes

    Il y a un peu plus de deux mois, face à cette situation préoccupante, Solidarité, le Collectif de soutien aux mineurs non-accompagnés a occupé le Grütli pendant plus d’une semaine, lors du Festival Black Movie avec pour but de revendiquer la mise en place de mesures de protection pour les mineurs non accompagnés et la prise en charge de ces jeunes par l’État de Genève. La question de l’occupation du Grütli n’est pas nouvelle. Cette fameuse maison des arts genevoise a également été occupée, en 2015 pendant la Fête de la musique, sous la forme d’un squattage par le Collectif de l’occupation du Grütli. L’#occupation a toujours eu pour but de sortir la question de l’asile des griffes de la « Ville de paix » qu’est prétendument Genève.

    La politique migratoire genevoise est une partie de la politique d’immigration suisse. Et malgré son statut international de Capitale de la paix, lieu où la Convention relative au statut des réfugiés a été signée et où le Haut-Commissariat des Nations unies aux droits de l’homme est situé, il semblerait que les sous-sols de Genève ne fassent pas partie du monde et que les personnes qui les habitent soient gravement discriminées et invisibles. La Commission nationale de prévention de la torture (CNPT) a clairement indiqué en 2013 dans un rapport que les « installations militaires [que sont les abris PC ou bunkers] ne sont adaptées qu’à des séjours de courte durée, de trois semaines au maximum », et ce, pour des raisons de santé physique et mentale.

    En 2014-2015, le collectif #Stop_Bunkers, dont j’ai fait partie, s’est extirpé des sous-sols (les abris de la protection civile, ou #abris_PC) de Genève pour atterrir au sommet de la Vieille-Ville où le Grand Conseil genevois est situé. Ce mouvement de requérants d’asile luttait contre des conditions de vie qui leur étaient imposées. C’est la première fois en Suisse qu’un tel mouvement s’exprimait en son propre nom et qu’il a manifesté et clamé ses revendications dans la motion 2259-A, basée sur les droits humains : une vie humaine et digne, « On veut de l’air pas du vent ». Durant l’audition de la motion, un commissaire UDC disait : « En venant en Suisse, ils ont fait une erreur de parcours, car la Suisse est le pays des bunkers et des montagnes ». Et malheureusement, il semblerait que la xénophobie ne soit pas qu’une caractéristique exclusive de l’UDC, mais bien celle d’autres partis politiques qui œuvrent également dans ce sens.

    Suite à la lutte sans précédent de ce collectif, les bunkers à Genève ont fermé depuis deux ans, mais ce n’est pas le cas dans les autres cantons suisses. Il y a quelques semaines, j’ai appris que la Suisse continuait sa tradition contradictoire d’accueillir de nouveaux arrivants au #Tessin dans deux bunkers à #Stabio. En effet, un jeune homme « habitant » d’un de ces bunkers m’a confirmé que celui dans lequel il vivait était composé de trois dortoirs, 40 personnes, 4 toilettes, 2 salles de bain, des hommes de sécurité qui fouillaient les requérants. Selon ce jeune homme, les collaborateurs sont sympas mais « c’est pour couvrir le fait qu’on est mis sous terre (14 jours-4 mois) ». Aujourd’hui, les deux bunkers du Tessin ont été fermés et tous les habitants ont été déplacés dans un nouveau centre à Balerna dans lequel est apparu un cas de coronavirus parmi les requérants. Autre canton mais situation identique : « À #Urdorf par exemple, 40 personnes vivent dans un bunker de protection civile, jusqu’à dix partagent un dortoir souterrain », selon Autonome Schüle Zürich.

    Tant pour les mineurs non accompagnés que pour les requérants d’asile vivant dans des bunkers, la question de la #visibilité est fondamentale pour amener aux yeux de tous leurs revendications. L’occupation d’un lieu est ainsi un moyen non négligeable (et qui a fait ses preuves à Genève) de sensibiliser la population aux conditions de vie inhumaines qu’ils endurent mais également de confronter les politiciens à une réalité à laquelle ils contribuent : la violation des #droits_humains.

    État des lieux : où en est-on aujourd’hui ?

    En ce qui concerne la lutte contre les autorités, il faut savoir que les revendications des MNA n’ont toujours pas abouti. Bien au contraire, le Grand Conseil tente de les éloigner les uns des autres afin d’amoindrir leur force et d’empêcher leur mouvement de #résistance. En effet, les autorités suisses ont modifié la loi sur l’asile en 2019 en créant des centres de détention administrative pré-renvoi afin d’éviter que des personnes déboutées s’installent avec de faux papiers (papier blanc)1. Est-ce que le Grand Conseil va prendre ces mesures pour casser leur capacité de résistance jusqu’à ce qu’ils atteignent 18 ans et ensuite les renvoyer ?

    La fermeture, ou plutôt le « contrôle », des frontières suisses décrétée par le Conseil fédéral en date du 13 mars 2020 sur la base de mesures de santé contre le Covid-19 affecte directement les demandeurs d’asile qui eux sont interdits d’entrer en Suisse en ces temps de pandémie mondiale. Le 1er avril 2020, le Conseil fédéral a prononcé une ordonnance COVID-192 sur les mesures prises en matière d’asile : en raison de la mesure d’exception, toutes les procédures administratives et judiciaires ainsi que les audiences ont été interrompues partout en Suisse, à l’exception du domaine de l’asile. Les auditions sont maintenues, malgré une distanciation sociale pas toujours respectée ou un représentant juridique absent. Les décisions de renvoi sont maintenues, et les délais pour faire recours raccourcis3. Néanmoins, on peut noter un certain paradoxe quand nous voyons que les frontières restent ouvertes pour les travailleur-ses essentiel-les pour la Suisse, et que les vols de renvoi sont maintenus en dépit de la suspension de la majorité des vols internationaux.

    Aujourd’hui, malgré la lutte contre les processus fastidieux de l’État dans l’étude des revendications et leur mise en place, les bunkers sont toujours ouverts en Suisse. Il y a là une contradiction entre la fermeture des bunkers pour les personnes vulnérables en mettant en avant l’argumentaire de l’#insalubrité et l’ouverture de ces mêmes bunkers pour les réfugiés en mettant en avant la crise du logement.

    Et si la Suisse, qui se dit engagée pour la promotion et le respect des droits humains et la protection des enfants, procède ainsi, que fera le reste du monde ?

    https://www.jetdencre.ch/enfants-entre-exil-et-asile

    #enfants #enfance #Suisse #asile #migrations #réfugiés #Momo #in/visibilité #invisibilité #visibilité

    • 1. La frontiera siamo noi

      Quando abbiamo iniziato la riflessione attorno al tema dei confini e delle frontiere eravamo consapevoli della complessità, delle contraddizioni e dell’attualità dell’argomento della mostra. Aggiornavamo i documenti da esporre con un occhio a quanto succedeva nel mondo rispetto alle frontiere.

      Alla notizia della diffusione del COVID-19 nei territori asiatici, abbiamo incluso l’argomento, pensando alle frontiere che si chiudono e si modificano. L’estendersi di un virus sconosciuto subito ci fa sentire al di qua o al di là di un confine che separa, bloccati negli spostamenti, portatori di contagio da non diffondere, chiusi e preoccupati dentro “le mura” di un continente, un paese, una città, nella propria abitazione o addirittura nel proprio corpo. Non eravamo però consapevoli che questa pandemia avrebbe trasformato le frontiere in un argomento–chiave, universalmente condiviso e presente in ogni conversazione. Riaffiora un immaginario che affonda le radici nella storia dei muri e delle separazioni e individua l’importanza dei contatti sociali quando si annullano le attività e i momenti d’incontro. Il virus, che si diffonde ovunque, oltre ogni frontiera, mette in discussione alcune nostre certezze e la nostra libertà nel varcare i confini. Le frontiere divengono luogo di interminabili confronti: fin dove arrivano? Tenerle aperte o chiuderle? Chi lasciar passare? Chi respingere?

      Ci fanno riflettere sull’importanza del nostro essere individui sociali, sulla relazione indispensabile con i nostri simili, e anche ­– al di là dei muri – sulle fragilità umane, le responsabilità condivise e la consapevolezza della necessità di agire insieme.

      https://www.mevm.ch/diari-dal-confine/la-frontiera-siamo-noi

    • 2. I limiti delle carte

      Viviamo in un’epoca in cui le mappe sono onnipresenti. Dai siti internet agli schermi degli smartphone, quasi ovunque possiamo identificare la nostra posizione geografica ed esplorare virtualmente il territorio per pianificare un viaggio, raggiungere il luogo di un appuntamento, calcolare una distanza.

      Nel corso della storia i limiti dell’ecumene si sono progressivamente estesi. Nell’Età degli imperi i progressi scientifici e tecnici hanno trasformato la cartografia in un potente strumento politico e di affermazione delle identità nazionali. In epoca più recente l’avvento della fotogrammetria, lo sviluppo di nuovi metodi di calcolo e la rivoluzione digitale hanno fornito ulteriori stimoli alla rappresentazione cartografica, consentendo di tracciare limiti e itinerari sempre più precisi e accurati nello spazio geografico, offrendo nuove modalità di fruizione ma anche mezzi di controllo e vigilanza più efficaci. I settori più diversi, dall’economia al web, hanno conosciuto una “svolta geografica”. Il mondo è oggi disponibile e la produzione dello spazio diventa un fenomeno di massa.

      Grazie alla cartografia e ai mezzi di trasporto e di comunicazione possiamo considerare la Terra come la nostra casa e sentirci cittadini del mondo, con i vantaggi e gli svantaggi di questa nuova condizione. All’inizio del 2020 attraverso mappe costantemente aggiornate abbiamo assistito con apprensione all’evoluzione del contagio di COVID-19. Di fronte a questa nuova sfida imposta dalla globalizzazione gli Stati – sempre più fortezze – devono chiudere le porte e condurre una battaglia quotidiana contro un nemico invisibile. I confini, compresi quelli interni, tornano ad essere presidiati e l’ecumene torna a contrarsi. In questo contesto nuovo e drammatico la geografia delle migrazioni non fa più notizia e le tragedie che si consumano altrove appaiono distanti. Rimane la geografia delle differenze.
      Sono, del resto, i limiti della condizione umana: una realtà che sfugge a ogni possibile rappresentazione.


      https://www.mevm.ch/diari-dal-confine/i-limiti-delle-carte
      #cartographie #Italie

  • La galassia offshore dei trader ticinesi. Il caso Duferco

    La catena societaria del gruppo Duferco, la più importante azienda di commercio di materie prime di Lugano di Federico Franchini

    È considerato il più importante commerciante d’acciaio del mondo e l’unica multinazionale con sede in Ticino. È la Duferco di Lugano, capostipite e fiore all’occhiello della piazza di trading del Ceresio. Nonostante la sua importanza di lei si sa poco o nulla. Chi la controlla? Quali sono i suoi utili? Attraverso documenti ufficiali area ha ricostruito la sua struttura societaria. Quello che emerge è una galassia complessa che si dirama in diversi paradisi fiscali.

    Rue Guillaume Schneider 6, Lussemburgo. Per ricostruire la catena societaria di Duferco occorre partire da qui. Se il Ticino è il centro operativo delle diverse società legate a questo gruppo, il cuore societario è nel Granducato. È qui, dove si sono trasferite da Guernsey nel 2010, che hanno sede le case madri di quelle che di fatto sono le due Duferco: la Duferco Participations Holding (Dph), legata alla storica proprietà italiana, e la Duferco International Trading Holding (Dith), oggi in mani cinesi. Queste due holding, benché legate tra loro da vincoli storici e di proprietà, vanno considerate come due multinazionali a sé.

    La Duferco del Dragone
    È il 2014 quando il colosso pubblico cinese Hesteel Group acquisisce la maggioranza della Duferco di #Lugano. In realtà, il controllo arriva a monte: Hesteel, tramite una controllata di Singapore, acquisisce la maggioranza della Dith, la società madre delle attività di trading. L’alleanza è tra titani: il secondo produttore d’acciaio del mondo si unisce al principale commerciante di prodotti siderurgici del pianeta. Gli ormai ex azionisti di maggioranza, il fondatore #BrunoBolfo e suo nipote #AntonioGozzi perdono il controllo sulla Dith, ma attraverso l’altra #Duferco, la Dph, mantengono un’importante quota di minoranza nella holding che ora detiene i diritti esclusivi per vendere l’acciaio cinese.

    Dopo Hesteel (61%) e Dph (27%), il terzo azionista di Dith è la Big Brown Dog Holding (12%) di Hong Kong, controllata dal Ceo Matthew De Morgan e nella quale, fino a poco fa, mantenevano qualche briciola gli ucraini dell’Unione Industriale del Donbass (Isd). Prima dell’arrivo di Hesteel, infatti, Bolfo & Co. avevano stretto un accordo strategico con l’Isd che, tramite la cipriota Steelhold, aveva acquisito quote di minoranza della Dith. Oggi, gli oligarchi dell’est sono ormai usciti di scena lasciando spazio ai nuovi padroni dell’acciaio, i dragoni cinesi della provincia di Hebei.

    Il gruppo ha mantenuto la sede operativa in Ticino, dove sono attive sette società tra cui la capostipite della piazza luganese: la Duferco Sa. La Dith è attiva soprattutto nel commercio di acciaio (ma non solo) e dispone di alcune unità produttive come una fabbrica in Macedonia, controllata tramite filiali a Cipro e nel Liechtenstein. La diminuzione della domanda di acciaio cinese e la crisi dei dazi sta pesando sulle performance del gruppo: dopo essere diminuiti del 20% nel 2018, gli utili di Dith sono scesi di un altro 57% nel 2019, issandosi a 26 milioni di dollari.

    Dxt: il gigante sconosciuto
    Ogni anno, Handelszeitung pubblica la lista delle più importanti società elvetiche per cifra d’affari. Nel 2019, per arrivare al Ticino occorreva scendere alla 32esima posizione: qui si trova la Dxt Commodities. Poco nota al grande pubblico, questa azienda è specializzata nel trading d’idrocarburi ed energia elettrica. Dxt è stata fondata nel 1999 dai top manager di Duferco, in collaborazione con alcuni fiduciari di Lugano. Gli stessi, per intenderci, che hanno ideato la tanto discussa ingegneria fiscale della Gucci. Anche per il trading l’asse è sempre quello: Lugano-Lussemburgo. La Dxt è controllata al 95% dalla Dxt International, sede nel Granducato. Una società che ha realizzato 26 milioni di euro di utili nel 2018, grazie soprattutto alla controllata ticinese. La Dxt International è detenuta al 50% da due altre società: la Spelugues Investments, basata nel Delaware e posseduta dal Ceo Benedict Sciortino; e la Dph, la Duferco “italiana”. Oltre alla Dxt, quest’ultima detiene in Ticino, sempre per il tramite di una lussemburghese, anche la metà del gruppo di commercio marittimo Nova Marine.

    Scatole cinesi
    Ma chi controlla la Dph? Il primo scalino a ritroso porta alla Btb Investments, una società che la detiene al 100%. A questo punto l’organigramma si biforca in due rami. Uno va verso altre due entità – la Ultima Holding a sua volta controllata dalla Lagrev Investments – che sembrano portare al manager Antonio Gozzi. L’altro ramo, leggermente maggioritario, conduce alla Bb Holding Investments che, come le altre lussemburghesi citate, ha sede al numero 6 di Rue Guillaume Schneider. La Bb Holding fa capo al vecchio patron, quel Bruno Bolfo che, ancora una volta, sembra avere azzeccato tutte le sue mosse: nel 2019, l’utile netto della sua holding è aumentato del 66% raggiungendo gli 85 milioni di dollari. La Duferco italiana, insomma, sembra rendere di più rispetto a quella cinese. Per mettere al sicuro il suo tesoro milionario, però, Bruno Bolfo ha pensato a uno scalino in più: la Bb Holding è infatti detenuta al 100% da La Sesta Trust, un fondo fiduciario basato nel Liechtenstein. Ultima fermata di una galassia decisamente offshore.

    Mister acciaio e gli amici luganesi

    È l’11 agosto del 1982 quando, presso lo studio del notaio Filippo Solari di Lugano, viene costituita la Duferco Sa. Il gruppo era stato creato qualche anno prima in Brasile dal ligure Bruno Bolfo, un manager con esperienze nell’acciaio in Italia, Stati Uniti e Sudamerica.

    In Ticino, al momento della creazione della Duferco, Bolfo non c’è. A comparire di fronte al notaio sono due figure note del sottobosco finanziario e societario luganese: Elio Borradori, padre dell’attuale sindaco Marco, che diventerà noto per essere stato l’amministratore dei dittatori Saddam Hussein e Ferdinando Marcos, e il suo socio Josef Kraft. Al momento della sua creazione, la maggioranza delle azioni della Duferco saranno detenute da una sconosciuta società del Liechtenstein, la Forward Investment, amministrata dallo stesso Kraft.

    Quando, un anno dopo, viene creata in Lussemburgo la prima Duferco Holding, lo schema si ripete: il controllo è affidato alla Laconfida di Vaduz, la società figlia dello studio legale Borradori e da cui sono transitati molti dei segreti finanziari, più o meno occulti, legati al sottobosco fiduciario luganese. Nel 1990, quando la Duferco decide d’insediare la sua casa madre a Guernsey, la Duferco Holding viene liquidata nel Granducato. Ad occuparsi della liquidazione sono Josef Kraft e Jean-Louis Hurst, suo successore a Laconfida ed ex dirigente del gruppo Ocra, la struttura creata da Tito Tettamanti per la gestione della contabilità parallela dei potentati di mezzo mondo. Hurst entrerà di lì a poco anche nella Duferco di Lugano, nel frattempo diventata sede operativa di quello che si sta profilando come il più grande commerciante di acciaio del pianeta.

    Una società che negli anni ’90 si lancia alla conquista del selvaggio Est in preda al caos delle privatizzazioni del settore siderurgico. In quegli anni, oltre a stringere alleanze con gli oligarchi russi e ucraini, Duferco consolida la propria struttura societaria in Ticino. Per farlo, Bruno Bolfo fa affidamento ad un gruppo di rampanti fiduciari ed esperti fiscali. Nel 1996, infatti, nel Cda di Duferco c’entrano Donato Cortesi e Adelio Lardi, gli ideatori dell’ingegneria fiscale dei giganti della moda che in quegli anni inizieranno a insediarsi in Ticino.

    Nel 1999, Lardi e Cortesi, assieme al già citato Hurst e ai top manager di Duferco, si faranno promotori della nascita di Dufenergy, la società che diventerà Dxt Commodities. Un nome poco noto, ma che oggi è la più importante azienda ticinese per cifra d’affari. Una società che, come abbiamo visto nell’articolo sopra, è controllata di fatto al 50% da una società del Delaware, al 25% da una lussemburghese e al 25% da un trust del Lichtenstein, cassaforte dei tesori di Bruno Bolfo. Insomma, dall’inizio alla fine, i segreti di Duferco portano sempre a Vaduz.

    https://www.areaonline.ch/La-galassia-offshore-dei-trader-ticinesi-Il-caso-Duferco-08bb2900


    https://pbs.twimg.com/media/ETx22_HWoAAI-TT?format=jpg&name=large

    #matière_première #offshore #acier @cdb_77 #suisse #tessin

  • Le #village qui va devenir un #hôtel

    Avec seulement onze habitants, la commune tessinoise de #Corippo est extrêmement petite. Il s’agit même de la plus petite de #Suisse. Plus pour longtemps toutefois, car dans quelques mois, le #hameau fusionnera avec la commune du #Val_Verzasca. Mais la question centrale reste la suivante : quelles perspectives économiques possède un village de #montagne minuscule essentiellement peuplé de personnes âgées ?

    La route grimpe sérieusement. Elle passe à côté du barrage de la Verzasca – 220 mètres de haut –, rendu mondialement célèbre par le saut de James Bond dans « GoldenEye ». Puis elle longe le lac artificiel avant que Corippo, enfin, se dessine à l’horizon. Le hameau est accroché comme un nid d’oiseau au flanc droit de la vallée, ses petites maisons de pierre et leurs toits d’ardoise se fondant dans le paysage en terrasses. Le clocher de l’église se dresse au milieu du village. Un petit cimetière accueille les visiteurs à l’entrée de la localité. Mais les bougies de la Toussaint sont consumées, et les fleurs, fanées.

    Le lieu serait romantique, mais sous la pluie mêlée de neige il semble, en cet après-midi d’hiver, morose et peu accueillant. « Chiuso – fermé depuis le 30 octobre », annonce une pancarte devant l’unique auberge du village, relais apprécié des randonneurs en été. D’après l’Office fédéral de la statistique, la commune ne compte que onze habitants pour une moyenne d’âge de plus de 70 ans. C’est la plus petite de Suisse. Mais plus pour très longtemps, car en avril, Corippo fusionnera avec la commune de Verzasca.

    Aujourd’hui, à Corippo, bon nombre de maisons sont vides ou ne sont plus utilisées que comme résidences de vacances en été. À son époque la plus faste, en 1850, le village comptait près de 300 âmes. Un nombre qui n’a cessé de dégringoler. Corippo a connu le même destin que tout le Val Verzasca et d’autres régions de montagne du nord du Tessin. La pauvreté, conjuguée avec le manque d’emploi et de revenus, a poussé les gens à quitter le village.

    Pour l’instant, Corippo mérite toujours son superlatif de plus petite commune de Suisse. Sur place, cependant, on semble en faire peu de cas, et encore moins vouloir en parler. On ne répond pas, ou seulement sur un ton grincheux, aux questions des étrangers sur la situation de la localité. « Tout le monde est parti en plaine », marmonne un vieil homme en se hâtant de refermer le portail de son jardin derrière lui.

    Voilà des années déjà que le village n’a plus d’administration communale. Claudio Scettrini, 55 ans, forestier et plus jeune habitant de Corippo, a été son dernier maire. Le conseil communal comptait trois personnes : lui, sa tante et sa belle-sœur. « Mais nous devions toujours tout demander au canton, et à la fin il ne se passait jamais rien », expliquait-il au moment de jeter l’éponge, à bout de nerfs, en 2017. Depuis lors, la commune est administrée de l’extérieur.

    L’incapacité des toutes petites communes à assurer le bon fonctionnement de l’administration prouve, pour le conseiller d’État tessinois Norman Gobbi, qu’une politique de fusion ciblée est incontournable. D’après lui, les services importants qu’attendent aujourd’hui les citoyens ne peuvent plus être fournis de manière autonome par une commune de la taille de Corippo. L’approvisionnement en eau et les canalisations coûtent très cher. « Comme beaucoup d’autres communes, Corippo a dû se rendre à l’évidence », souligne le politique.

    C’est la raison pour laquelle la fusion de communes va bon train depuis plusieurs dizaines d’années. En 25 ans, le nombre de communes du Tessin est passé de 245 à 115. « Le plan de fusion cantonal vise une réduction à 27 communes à long terme », explique Norman Gobbi. Le même processus est à l’œuvre au niveau fédéral : à l’échelle du pays, le nombre de communes est passé de 2899 à 2255 entre 2000 et le printemps 2017. Certains cantons, comme Glaris, ont fait tabula rasa : de 25 communes, il est passé à trois en 2011. Cette évolution n’est pas que positive. Les sceptiques disent qu’avec la création de ces supercommunes, l’identité propre de chaque lieu s’effrite toujours davantage.

    Retour à Corippo : dans l’ancienne cure, près de l’église, une habitante met les points sur les « i » : « Les gens ne veulent plus parler aux journalistes, car ceux-ci ont déformé tous nos propos. » En effet, ces dernières années, un nombre considérable de médias ont déboulé dans ce hameau du Val Verzasca après avoir appris qu’il allait se transformer en hôtel. Des reportages ont même paru dans le « New York Times ». Et une équipe de la chaîne de TV BBC est venue tourner dans les ruelles de Corippo.

    Mais qu’est-ce qui est prévu, au fond ? L’idée est que certaines des vieilles maisons de pierre, les rustici, deviennent des chambres d’hôtel. La réception serait installée dans l’auberge, où les clients pourraient aussi prendre leurs repas. Le concept se nomme « Albergo diffuso », ou « hôtel disséminé », et a déjà été mis en œuvre dans plusieurs vieux villages d’Italie. En Suisse, Corippo ferait figure de pionnier.

    Fabio Giacomazzi est architecte, urbaniste et président de la Fondation Corippo, qui gère le projet d’hôtel et a racheté à cet effet une douzaine de maisons il y a quelques années. L’objectif est de préserver « la magie des lieux », mais aussi de donner un nouveau souffle au hameau. Fabio Giacomazzi a déjà fait visiter à plusieurs personnes le village et ses maisons abandonnées, où le temps semble s’être arrêté. Dans certaines, de vieilles chaussures traînent encore sur le sol, et l’on trouve du bric-à-brac dans les coins. Des toiles d’araignée ornent les fenêtres. Cela dit, un appartement de vacances a déjà été aménagé dans l’une des maisons de la fondation, et le moulin a lui aussi été remis en état. Début 2020, la rénovation des autres rustici devrait enfin commencer. Au village, on se méfie : « On nous promet tellement de choses depuis des années… », souffle une habitante.

    Fabio Giacomazzi comprend cette méfiance, mais il souligne aussi que les travaux ne pourront commencer que quand tous les fonds auront été réunis. Le budget global s’élève à 3,6 millions de francs. « Près de 600 000 francs manquent encore », indique l’architecte. Il a bon espoir de réussir à réunir bientôt cette somme, et compte pour cela sur des donateurs privés.

    Claire Amstutz soutient le projet. C’est elle qui gère l’auberge de Corippo. En hiver, elle n’y vient cependant que rarement. Nous la rencontrons presque par hasard, tandis qu’elle prépare le repas du dimanche pour ses fidèles clients : un plat bernois à base de haricots secs, pommes de terre, choucroute, lard et saucisse. Cette Suisse allemande d’origine ne sait pas encore, elle non plus, comment les choses évolueront ; elle attend son nouveau contrat pour la saison 2020.

    Fait curieux : au mur de l’auberge pend déjà un certificat de l’« Hotel Innovations Award », décerné par la Société Suisse de Crédit Hôtelier et Gastrosuisse en 2017 au projet « Albergo diffuso ». En raison de ce prix, un grand nombre de personnes ont déjà appelé pour réserver une chambre. « Ce qui n’est pas encore possible à ce jour », rigole Claire Amstutz.

    Thomas Egger trouve le projet de Corippo « exemplaire ». Le conseiller national PDC valaisan est président du Groupement suisse pour les régions de montagne (SAB). « L’idée d’un hôtel décentralisé est excellente pour mieux exploiter le patrimoine architectural existant », ajoute-t-il. Et de citer des initiatives similaires à Grengiols (VS), sous le nom de « Poort a Poort » et à Albinen (VS), sous la désignation d’« Albijou ».

    D’après Thomas Egger, il est hors de question d’abandonner des communes ou des parties des régions de montagne. Et il sait que le Conseil fédéral est sur la même longueur d’ondes. À la mi-novembre, ce dernier a approuvé un rapport indiquant comment assurer la pérennité des régions de montagne et contrer l’exode rural. Par exemple par l’extension des infrastructures numériques, en particulier avec le haut et très haut débit.

    https://www.revue.ch/fr/editions/2020/01/detail/news/detail/News/le-village-qui-va-devenir-un-hotel-1
    #Tessin #la_plus_petite_commune_de_Suisse #small_is_beautiful

  • Ce tweet, m’a donné envie de mettre ici les affiches dans lesquels le parti #UDC en #Suisse (mais pas que eux) utilise des images d’#animaux pour ses campagnes électorales...


    https://twitter.com/mathieuvonrohr/status/1178256562923692037
    En cette année 2019 c’est donc le #octopus qui est l’animal fétiche...
    #poulpe #pieuvre

    Il fut un temps il y a eu :
    des #requins...

    des #corbeaux :

    ... et évidemment des #moutons (noirs) :

    Et au #Tessin, un groupe probablement financé soit par l’UDC ou alors par la #Lega_dei_Ticinesi, avait utilisé des #rats...

    #affiche #campagne #animal #invasion #migrations #xénophobie #immigration_de_masse

    Pour celleux qui veulent en savoir un peu plus sur ce type de campagnes qui tapissent la Suisse, un article que j’avais écrit pour @visionscarto :
    En Suisse, pieds nus contre rangers


    https://visionscarto.net/en-suisse-pieds-nus-contre-rangers

    • Pour la petite et personnelle histoire, j’ai parlé exactement de cela, de ce club de hockey et de La Montanara, la chanson que le public chante en cas de victoire du club, dans l’introduction de ma thèse de doctorat...
      Si il y a des curieux, je peux vous copier-coller le passage...

  • Oro e acqua minerale

    C’è una piccola regione in Australia, nella zona centrale dello stato di Victoria, che è molto ticinese. C’è un paese che si chiama Hepburn dove i cognomi degli abitanti sono Rodoni, Vanzetta, Scheggia, Vanina, Tinetti, Righetti, Crippa, Perini, Respini... Non parlano italiano, non parlano dialetto ticinese e sono veramente australiani.

    I loro antenati emigrarono in Australia dal Ticino, attorno al 1850, quando scoppiò la febbre dell’oro. Facevano i cercatori d’oro, ma piano piano si insediarono in quella regione e crearono una comunità molto unita, che presto diventò la loro nuova patria.

    https://www.rsi.ch/la1/programmi/cultura/storie/Oro-e-acqua-minerale-10879319.html
    #film #documentaire #émigration #Tessin #Australie #histoire #Suisse #Biasca #sureau #eau_minérale #Hepburn #or #ruée_vers_l'or #extractivisme #colonisation #châtaigniers #mines
    #Welcome_Stranger, une #pépite_d'or :


    https://fr.wikipedia.org/wiki/Welcome_Stranger
    #nugget

    –---

    Quelques commentaires :
    « L’Australia non ha una lunga storia, solo un paio di secoli »
    –-> dit un habitant de Melbourne qui a acheté une maison à Hepburn construite par une Scheggia, un émigrant tessinois autour de 1815...
    Et la présentatrice en commentaire après le documentaire :

    «La storia dell’Australia è molto molto giovane, lo si diceva nel documentario, 2 secoli di storia o poco più»

    ... comme si les #peuples_autochtones n’existaient pas avant l’arrivée des Européens, comme si l’histoire n’est écrite que depuis leur arrivée... Il y a un sacré besoin de décoloniser l’histoire...

  • 1918, fuite des Suisses de Russie

    Dans les mois qui suivent la Révolution bolchévique d’octobre 1917, 8000 Suisses fuient la Russie dans le chaos des violences quotidiennes.

    De retour dans leur pays d’origine, nombre d’entre eux sont pris en charge par l’assistance publique. Deux familles, l’une romande et l’autre tessinoise, suivent aujourd’hui les traces de leurs ancêtres au destin si particulier.

    https://pages.rts.ch/docs/9849617-1918-fuite-des-suisses-de-russie.html
    #film #documentaire #réfugiés #octobre_1917 #Tessin #Suisse #révolution_d'octobre #Russie #révolution_russe #colonie_de_St.Nicolas #Mont_Chameau #migrations #restauration #viticulture #agriculture #colonie_italo-suisse #fuite #Michele_Raggi #collectivisation_des_terres #morire_di_crepacuore (#coeur_brisé)

  • Morts à la frontière #Italie-#Suisse (#Côme - #Chiasso)

    #frontière_sud-alpine #montagne #mourir_aux_frontières #asile #migrations #réfugiés #décès #morts #frontières #frontières

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    Morire di confine a Como

    Dopo essere stati a Ventimiglia, dove i morti di confine sono stati 12 in pochi mesi, torniamo a Como, dove i migranti provano e riprovano ad attraversare la frontiera a loro preclusa con la Svizzera, ferendosi o perdendo la vita sui treni, con numeri consistenti sia nei tentativi che nei respingimenti.

    https://openmigration.org/analisi/morire-di-confine-a-como

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