• Alors que les #Etats-nations (notamment l’#Italie dans ce cas précis) ferment les portes aux exilés, les #villes semblent aujourd’hui faire preuve de #solidarité.

    Il y a eu l’exemple de #Valence, mais #Barcelone et #Berlin se disent prêtes à accueillir les personnes sauvées par les navires des #ONG en #Méditerranée.

    Ici, des liens sur les #villes-refuge :
    http://seen.li/eh64

    Et ci-dessous, dans le fil de la discussion, des liens plus récents.

    #Etat-nation #villes #urban_matter #migrations #réfugiés #asile

    • Barcelona urges Spain to allow migrant ship to dock

      Barcelona Mayor Ada Colau is calling on Spain’s prime minister to grant the city docking rights to help a Spanish aid boat that rescued 60 migrants in the Mediterranean near Libya.

      The Open Arms boat, run by Spanish aid group Proactiva Open Arms, was the cause of a political row Saturday between Italy and Malta, who both rejected taking in the aid boat’s migrants.

      Mr Colau tweeted that Spanish Prime Minister Pedro Sanchez should “save lives” because Barcelona “doesn’t want to be an accomplice to the policies of death of Matteo Salvini,” referring to Italy’s hard-line interior minister.

      Mr Salvini, head of an anti-migrant party in the Italian coalition government, has vowed that no more humanitarian groups’ rescue boats will dock in Italy.

      The Spanish vessel said it rescued the migrants Saturday — including five women, a nine-year-old child and three teenagers — after it spotted a rubber boat patched with duct tape floating in the sea. All the migrants appeared in good health.

      "Despite the hurdles, we continue to protect the right to life of invisible people,’ said Open Arms.

      Mr Salvini quickly declared that the rescue boat “can forget about arriving in an Italian port” and claimed the boat should go to Malta, the nearest port.

      But Malta swiftly pushed back, with its interior minister contending that the tiny Italian island of Lampedusa, south of Sicily, was closer to the boat.

      Earlier this month, Rome rejected the Aquarius ship carrying 630 migrants, forcing it to eventually dock in Spain.

      “For women and children really fleeing the war the doors are open, for everyone else they are not!” Mr Salvini tweeted.

      https://www.thenational.ae/world/europe/barcelona-urges-spain-to-allow-migrant-ship-to-dock-1.745767
      #villes-refuge

    • Migrants rescue boat allowed to dock in Barcelona

      A Spanish rescue boat which plucked 60 migrants from a patched-up rubber dinghy in the Mediterranean Sea near Libya has been given permission to sail to Barcelona, following another political row between Italy and Malta over where the vessel should dock.

      The boat, Open Arms, run by Spanish aid group Proactiva Open Arms, said it rescued the migrants – including five women, a nine-year-old child and three teenagers – after it spotted a rubber boat patched with duct tape floating in the sea. All the migrants appeared in good health.

      Italy’s right-wing interior minister Matteo Salvini quickly declared that the rescue boat “can forget about arriving in an Italian port”, and claimed it should instead go to Malta, the nearest port.

      Malta swiftly pushed back, with its interior minister contending that the tiny Italian island of Lampedusa, south of Sicily, was closer to the boat.

      http://www.itv.com/news/2018-06-30/migrants-rescue-boat-allowed-to-dock-in-barcelona

    • #Palerme:

      La Commission régionale de l’Urbanisme a rejeté le projet de pré-faisabilité du « #hotspot » à Palerme, confirmant l’avis du Conseil municipal de Palerme. L’avis de la Commission régionale reste technique. Le maire de Palerme a rappelé que "la ville de Palerme et toute sa communauté sont opposés à la création de centres dans lesquels la dignité des personnes est violée (...). Palerme reste une ville qui croit dans les valeurs de l’accueil, de la solidarité et des rencontres entre les peuples et les cultures, les mettant en pratique au quotidien. En cela, notre « non » à l’hotspot n’est pas et ne sera pas seulement un choix technique, mais plutôt un choix relatif à des principes et des valeurs".
      > Pour en savoir plus (IT) : http://www.palermotoday.it/politica/hotspot-zen-progetto-bocciato-regione.html

      – Leoluca Orlando, le maire de Palerme, continue de défier le gouvernement et les politiques migratoires de Salvini. La nouvelle querelle fait suite à une circulaire envoyée aux préfets et présidents de commissions sur la reconnaissance de la protection internationale. Matteo Salvini souhaite une accélération de l’examen des demandes et un accès plus strict au titre de séjour pour motif(s) humanitaire(s), un des avantages les plus accordés (cette année, ils représentaient 28% des trois titres de séjour prévus par la loi). La circulaire invite les commissions à être plus rigoureuses dans l’examen de la vulnérabilité.
      > Pour en savoir plus (IT) : www.palermotoday.it/politica/migranti-polemica-orlando-salvini-querela.html ?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter

      – 8 Juillet, 18h : manifestation citoyenne des oppressé.es à Palerme.
      > Pour en savoir plus (IT), lien vers l’évènement : http://palermo.carpediem.cd/events/7342024-prima-le-oppresse-e-gli-oppressi-at-piazza-giuseppe-verdi

      –-> Reçu via la mailing-list Migreurop

    • Migranti: parte l’offensiva degli amministratori locali contro la deriva xenofoba e razzista del Governo

      Primo firmatario dell’appello «inclusione per una società aperta» Nicola Zingaretti; tra gli aderenti Sala, Pizzarotti e De Magistris.

      Trentatré episodi di aggressioni a sfondo razzista da quando il governo Salvini - Di Maio si è insediato, tre solo nelle ultime ore; porti chiusi e criminalizzazione delle Ong; ruspe sui campi rom e una narrazione costante e diffusa che parla di invasione, sostituzione etnica, pericolo immigrazione: qualcuno ha deciso di non restare in silenzio e mostrare che esiste anche un’Italia che rifiuta tutto questo, rivendica lo stato di diritto e sostiene l’inclusione sociale come valore assoluto.

      Per questo oggi stato lanciato - e ha già raccolto più di 200 adesioni in tutta Italia - il manifesto «Inclusione per una società aperta», ideato e promosso dai consiglieri regionali del Lazio Alessandro Capriccioli, Marta Bonafoni, Paolo Ciani, Mauro Buschini e Daniele Ognibene e rivolto a tutti gli amministratori locali che rifiutino «la retorica dell’invasione e della sostituzione etnica, messa in campo demagogicamente al solo scopo di ottenere consenso elettorale, dagli imprenditori della paura e dell’odio sociale; rifiutino il discorso pubblico di denigrazione e disprezzo del prossimo e l’incitamento all’odio, che nutrono una narrazione della disuguaglianza, giustificano e fanno aumentare episodi di intolleranza ed esplicito razzismo», col fine di costruire «una rete permanente che, dato l’attuale contesto politico, affronti il tema delle migrazioni e dell’accoglienza su scala nazionale a partire dalle esperienze e dalle politiche locali, con l’obiettivo di opporsi fattivamente alla deriva sovranista e xenofoba che sta investendo il nostro paese», come si legge nell’appello diffuso quest’oggi.

      «In Italia viviamo una situazione senza precedenti», ha spiegato Alessandro Capriccioli, capogruppo di +Europa Radicali durante la conferenza stampa di lancio dell’appello insieme ai colleghi Paolo Ciani, Marta Bonaforni e Marietta Tidei. «Attraverso una strategia quasi scientifica è stato imposto un racconto sull’immigrazione che alimenta l’odio e lo sfrutta per ottenere consensi. Questo manifesto si rivolge agli amministratori locali che affrontano sul campo il tema dell’immigrazione con risultati virtuosi che spesso smentiscono quel racconto, ed è uno strumento per formare una rete istituzionale che potrà diventare un interlocutore autorevole e credibile in primo luogo di questo Governo, dettando indicazioni, strategie e proposte».

      Paolo Ciani, capogruppo di Centro Solidale, ha sottolineato come «questa narrazione distorta sta portando a un imbarbarimento della nostra società. Gli episodi di questi giorni rappresentano solo la punta dell’iceberg di un atteggiamento diffuso: sappiamo tutti che esistono degli istinti bassi che appartengono a tutti gli esseri umani e che, se trovano una loro legittimazione nelle istituzioni, diventano un problema». Marietta Tidei, consigliera regionale del Pd ha posto l’attenzione sul fatto che «oggi viene raccontato solo il brutto dell’immigrazione, ma noi siamo qui per dire che c’è anche molto che ha funzionato: il programma Sprar è un esempio virutoso», mentre la capogruppo della Lista Civica Zingaretti Marta Bonafoni ha sottolineato come ciò che conta sia «la quantità e la pronta risposta che stiamo avendo: la distribuzione geografica ci dice che c’è un’altra italia, che con questo appello diventa una rete istituzionale che si pone come interlocutrice del Governo».

      Oltre al Presidente della regione Lazio hanno già sottoscritto l’appello Beppe Sala, sindaco di Milano, Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, Luigi De Magistris, sindaco di Napoli e più di 200 tra assessori e consiglieri regionali, sindaci, presidenti di municipi e consiglieri comunali e municipali da ogni parte d’Italia.

      http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2018/08/03/news/migranti_parte_l_offensiva_degli_amministratori_locali_contro_la_deriva_x
      #xénophobie #racisme #anti-racisme

    • Espagne : #Bilbao accueille de plus en plus de migrants

      Dernière étape avant la France ou une autre destination, Bilbao accueille de plus en plus de migrants débarqués sur les plages du sud de l’Espagne. Le Pays basque, connu pour être doté d’un réseau de solidarité citoyenne très développé, prend en charge le sort de ces migrants en transit. C’est le cas de l’association #Ongi_Etorri_regugiak - « Bienvenue réfugié » - qui depuis trois mois aide un groupe de 130 subsahariens livrés à eux-mêmes.

      Dans la cour de récréation, une vingtaine d’Africains jouent au football en attendant l’heure du dîner. C’est dans cette ancienne école primaire du quartier populaire de Santuxtu, transformée en centre social, que sont hébergés ces migrants âgés de plus de 18 ans. Tous ont débarqué en zodiac sur les côtes espagnoles, puis ont été transportés jusqu’à Bilbao dans des bus affrétés par les autorités espagnoles. Mais à leur arrivée, ils sont très vite livrés à eux-mêmes.

      La solidarité d’une centaine de personnes a permis d’aider ces migrants et de prendre la relève des autorités locales comme le souligne Martha, une des volontaires. « On a ouvert ce dispositif entre personnes qui n’ont aucun moyen économique, c’est autofinancé, et on apprend sur le tas un peu de tout, explique-t-elle. Il y a des gens qui restent dormir pour voir si tout se passe bien. On est là pour les accompagner, pour créer aussi le lien avec les gens d’ici, avec la ville. C’est très émouvant de voir comment s’est créée une chaîne de solidarité entre différents quartiers peu à peu, qui ne devrait pas s’arrêter là et on espère qu’elle ne va pas se rompre ».

      Parmi ces migrants, Zacharia, un Camerounais de 29 ans, désigné chef cuisinier. C’est lui qui prépare les repas pour les 130 personnes avec les vivres donnés par les habitants du coin. Il espère l’obtenir l’asile politique, mais il va devoir attendre six mois pour avoir son premier rendez-vous avec les autorités, ce qui le préoccupe.

      Les autorités basques ont promis de se pencher sur le sort de ces migrants, mais d’ordinaire, ils sont très peu à choisir de rester au Pays basque. La plupart décident de continuer leur périple vers le nord de l’Europe avec ou sans aide.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/11498/espagne-bilbao-accueille-de-plus-en-plus-de-migrants

    • #Atlanta says NO to detention and YES to increased legal services and support for family reunification:

      Mayor Keisha Lance Bottoms Issues Executive Order to Permanently End City of Atlanta Receiving ICE Detainees

      Mayor Keisha Lance Bottoms has signed an Executive Order directing the Chief of the Atlanta City Department of Corrections to take the necessary action to permanently stop receiving U.S. Immigration and Customs Enforcement (ICE) detainees under the current agreement with the United States Marshals Service.


      https://t.co/9jZoIICiIi
      #détention_administrative #rétention

      #USA #Etats-Unis

    • How Cities Are Demanding a Greater Voice on Migration

      Cities are developing their own solutions to help fast-growing migrant and refugee populations in urban areas. Cities expert Robert Muggah describes the swell of initiatives by urban leaders and what it will take to overcome the barriers ahead.

      Most refugees and internally displaced people live in cities. Yet urban leaders are regularly excluded from international discussions about refugee response.

      Robert Muggah, cofounder of the Brazil-based think-tank the Igarape Institute and Canadian risk consultancy The SecDev Group, is among a growing chorus of city and migration experts calling for that to change. His recent paper for the World Refugee Council describes how cities are developing their own solutions and offers a blueprint for better cooperation.

      “Cities will need resources to scale up their activities,” Muggah told Refugees Deeply. “This may require changes in laws so that cities can determine their own residence policies and keep tax revenues generated by migrants who move there.”

      Refugees Deeply talked to Muggah about how city leaders are championing new approaches to displacement and the barriers they’re trying to overcome.
      Refugees Deeply: Are the global compacts on refugees and migration a missed opportunity for a smarter international approach to urban refugees and migrants?

      Robert Muggah: The international response to the urbanization of displacement has been woefully inadequate. The U.N. High Commissioner for Refugees (UNHCR), in particular, was remarkably slow to empower cities to assume a greater role in protecting and assisting refugees and other groups of concern. And while it has made some modest improvements, the UNHCR’s strategic plan (2017–21) makes just one reference to urban refugees – acknowledging that they constitute the majority of the agency’s caseload – but offers no vision or concrete recommendations moving forward.

      The global compacts on migration and refugees were never going to be revolutionary. But so far they have been a disappointment seen from the vantage point of cities. While still under review, the new compacts only tangentially address the central role of urban authorities, businesses and civic associations in supporting displaced populations. While they offer a suite of sensible-sounding proposals to ensure a more predictable approach to protection and care and “regularize” population movements more generally, they are silent on the role of cities. The global compact on refugees mentions the word “urban” just four times and “cities” just once. These omissions have not gone unnoticed: cities and inter-city networks are agitating for a greater voice.

      The global compacts on migration and refugees were never going to be revolutionary. But so far they have been a disappointment seen from the vantage point of cities.
      Refugees Deeply: What are some of the main political and institutional blockages to better equipping cities around the world to protect and care for migrants and refugees?

      Muggah: For most of the 20th and 21st centuries, nation states have actively resisted giving cities more discretion in responding to issues of cross-border and internal population displacement. Cities will not find recourse in international law, and the Sustainable Development Goals (SDGs) also have nothing to say about urban displacement. More positively, the nonbinding New Urban Agenda offers more concrete direction on cooperation between national and subnational authorities to address the needs of refugees and internally displaced people.

      Cities have also received comparatively limited support from international organizations to support urban refugees and displaced people. On the contrary – the UNHCR has instead emphasized the need to reduce assistance and promote self-reliance. Under immense pressure from U.N. member states, and host states in particular, the UNHCR sought to limit refugees from moving to cities where possible. UNHCR made tentative gestures to move beyond the minimalist approach and advocate for refugee rights in cities in the 2000s, but a camp-based model prevailed. There were concerns that the focus on refugees in cities could antagonize host countries, many of whom saw displaced people as a threat to domestic and international security.
      Refugees Deeply: What are some of the factors common to the most proactive and innovative cities on these issues?

      Muggah: A growing number of cities are demanding a greater voice on issues of migration and displacement. Earlier in 2018 a small delegation of cities – led by New York – sent recommendations to improve the overall wording and content of the Global Compact. Likewise, in 2017, the International Organization for Migration, together with the United Cities and Local Government (UCLG), assembled 150 cities to sign the Mechelen Declaration demanding a seat at the decision-making table. And in 2015, Eurocities also issued a statement on refugees in the wake of the influx of refugees from the Middle East and North Africa. They set up Solidarity Cities, which provides support to help cities deliver services and identify effective long-term solutions to protect social cohesion and integration.

      Cities are also getting on with developing legislative and policy frameworks to welcome refugees and promote protection, care and assistance. Good examples include more than 100 “welcoming cities” in the U.S. that have committed to promoting integration, developing institutional strategies for inclusion, building leadership among new arrivals and providing support to refugees. Meanwhile, some 500 jurisdictions describe themselves as “sanctuary cities.” Despite threats of cuts to funding, they are resisting federal efforts to enforce immigration law and are on the front line of supporting refugees. In the U.K., at least 80 “cities of sanctuary” offer another approach to providing compassionate solutions for refugees. Large and medium-sized cities across Europe are also adopting similar strategies, in cooperation with Eurocities – a network of major European cities founded in 1986.

      While it can generate tension with federal counterparts, these city-level responses can help contribute to greater safety and economic progress in the long run. Cities, states and countries with sanctuary policies tend to be safer and more prosperous than those without them. Sanctuary cities can build trust between law enforcement agencies and migrant communities. Likewise, the economies of sanctuary cities, towns and counties are largely more resilient than nonsanctuary counterparts, whether measured in terms of the population’s income, reliance on public assistance or labor force participation.
      Refugees Deeply: Many cities face financial and political limitations on their ability to respond to refugee crises. Where have you seen good examples of devolution of power and resources helping cities to respond better?

      Muggah: There are countless examples of cities strengthening their protection and care for urban refugees in a time of austerity. In New York, for example, city authorities launched ActionNYC, which offers free, safe legal assistance for migrants and refugees in multiple languages. In Barcelona, the SAIER (Service Center for Immigrants, Emigrants and Refugees) program provides free advice on asylum and return, while Milan works with the UNHCR and Save the Children to offer services for unaccompanied minors.

      Montreal established the BINAM (Bureau d’integration des nouveaux arrivants a Montreal) program to provide on-the-job training and mentoring to new arrivals, and Sao Paulo has created municipal immigration councils to help design, implement and monitor the city’s policies. Likewise, cities such as Atlanta and Los Angeles are requiring that migrants – in particular, refugees – have equal access to city facilities, services and programs regardless of their citizenship status.

      Cities are also banding together, pooling their resources to achieve greater influence on the urban refugee agenda. Today there are more than 200 intercity networks dedicated to urban priorities, ranging from governance and climate change to public safety and migration. Several of them have dedicated guidelines on how cities can protect and care for refugees. For example, the Global Parliament of Mayors, established in 2016, focuses on, among other things, promoting inclusive cities for refugees and advocating on their behalf. The International Coalition of Inclusive and Sustainable Cities and the UCLG are others, having teamed up with think-tanks and international agencies to strengthen information-sharing and best practices. Another new initiative is Urban20, which is promoting social integration, among other issues, and planning an inaugural meeting in October 2018.
      Refugees Deeply: Most cities at the forefront of refugee crises are in the Global South. What recommendations would you offer to ensure that international responses to urban displacement do not become too North-centric?

      Muggah: This reality is often lost on Northern policymakers and citizens as they seek to restrict new arrivals and reduce overseas assistance. The Carnegie Mellon University’s Create Lab and the Igarape Institute have developed a range of data visualization tools to highlight these trends, but a much greater effort is required to educate the public. These outreach efforts must be accompanied with a dramatic scaling-up of assistance to redressing the “causes” of displacement as well as supporting front-line cities absorbing the vast majority of the world’s displaced populations.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/09/21/how-cities-are-demanding-a-greater-voice-on-migration

    • Création de l’#association_nationale des #villes et #territoires accueillants

      À l’heure où l’échec des politiques migratoires européenne et nationale entraîne une montée des populismes tout en restreignant les droits humains fondamentaux, nous, élu.e.s de villes et collectivités, décidons de nous unir sous une bannière commune : celle de l’accueil inconditionnel.

      Nous demandons ainsi que l’Etat assume ses missions et assure les moyens pour créer des solutions d’accueil, d’hébergement et d’accompagnement plus nombreuses et plus qualitatives que celles existantes aujourd’hui. Cela doit passer par la mise en place d’une stratégie nationale d’accueil afin de répartir et d’accompagner l’effort de solidarité.

      Nous l’enjoignons à respecter le droit et ses engagements internationaux (Protocole de Quito de l’ONU, Convention de Genève), européens (Pacte d’Amsterdam) et nationaux (Code des Familles et de l’Action Sociale)

      Néanmoins, dépositaires d’une tradition d’accueil et de valeurs humanistes, nous, élu.e.s locaux et territoriaux, mettons en oeuvre et expérimentons déjà sur nos territoires, au quotidien, des réponses aux impératifs de l’urgence humanitaire et d’inclusion de tout un chacun, même quand l’Etat est défaillant.
      Surtout, nous agissons en responsabilité, conformément à nos obligations règlementaires et législatives.

      L’association que nous avons constituée à Lyon 1er le 26 septembre 2018, rassemble tout.e.s les élu.e.s promouvant l’hospitalité, source de politiques inclusives et émancipatrices. Fort.e.s de notre expérience, animé.e.s par la volonté d’agir collectivement, nous donnerons à voir que des solutions dignes sont possibles et adaptées à chaque situation locale. Il n’y a pas UNE politique d’accueil, mais autant que de particularismes locaux.

      Elle permettra de mettre en avant toutes les réussites locales en matière d’accueil sur notre
      territoire et les réussites que cela engendre lorsque chacun assume ses responsabilités.
      Elle permettra aussi, la mise en commun de bonnes pratiques, l’accompagnement de territoires volontaires, la mobilisation autour d’enjeux liés aux politiques migratoires, la proposition de mesures adaptées. En partenariat avec toutes les forces vives volontaires : acteurs associatifs, citoyen.ne.s, universitaires, juristes, militant.e.s, etc.

      Nous souhaitons la bienvenue aux élu.e.s de tous horizons et de tout territoire, qui, partageant nos valeurs humanistes et notre volonté politique, veulent rejoindre notre association.

      Damien CARÊME, Maire de #Grande-Synthe, Président de l’Association
      Catherine BASSANI, Représentante de la ville de #Nantes
      Philippe BOUYSSOU, Maire d’#Ivry-Sur-Seine
      Marie-Dominique DREYSSE, Maire-adjointe de #Strasbourg
      Gérard FROMM, Maire de #Briançon
      Corinne IEHL, Elue de #Lyon 7ème arrondissement
      Myriam LAÏDOUNI-DENIS, Elue de la #Région_Auvergne-Rhône-Alpes
      Bernard MACRET, 4ème Adjoint aux Solidarités Internationales, #Grenoble
      Halima MENHOUDJ, Adjointe au Maire de #Montreuil
      Jaklin PAVILLA, 1ère Adjointe au Maire de #Saint-Denis
      Nathalie PERRIN-GILBERT, Maire du 1er arrondissement de Lyon
      Eric PIOLLE, Maire de #Grenoble
      Laurent RUSSIER, Maire de #Saint-Denis
      Bozena WOJCIECHOWSKI, Adjointe au Maire d’Ivry-sur-Seine

      https://blogs.mediapart.fr/fini-de-rire/blog/280918/creation-de-l-association-nationale-des-villes-et-territoires-accuei
      #villes_accueillantes #territoires_accueillants #France
      #ANVITA

    • How Cities Can Shape a Fairer, More Humane Immigration Policy

      National governments do not have all the answers on immigration says Bristol mayor Marvin Rees. Ahead of a mayors’ summit he outlines a better city-led response.

      People have always been on the move, both within nations and across borders, but increasingly migrants tend to settle in cities. This puts cities and their responses at the heart of the conversation, something we are looking to highlight at the Global Parliament of Mayors (GPM) Summit here in Bristol.

      There is a steady upward trend in the number of people who have left their homelands voluntarily for economic or other reasons, or who are forced to leave their homes as refugees or displaced persons for reasons of conflict or environmental disaster. Population diversity in most developed countries can be attributed to international migration, whereas in developing nations it is mostly internal migration that contributes to this diversity.

      This is an important moment in the United Kingdom’s approach to the issue of migration. The upcoming Immigration Bill, expected toward the end of this year, will bring unprecedented reform of U.K. immigration policy. At the same time, the scandal over the treatment of the Windrush generation has brought to public consciousness the impact of this government’s “hostile environment” policy and the burdensome bureaucracy the Home Office is inflicting on individual human lives. A fairer, more compassionate system is needed, one in which no one is detained without knowing why and when they will be released. It is everyone’s legitimate right to enjoy a family life with loved ones and to realize the aspiration to provide for oneself and one’s family and contribute to society through employment.

      However, national governments clearly do not have all the answers. Around the world, it is cities that are increasingly collaborating nationally and across borders, learning from each other and replicating good practice. Cities’ experiences have to be included in the national debate on how to take advantage of the full potential of migration and drive a change in policies and mind-set to ensure that migration is embraced as an opportunity rather than seen solely as a challenge.

      That is why this will be high on the agenda at the GPM summit opening on October 21, with almost 100 mayors representing both developed and emerging states in attendance. Cities are where migrants interact with communities, society and, if only indirectly, with the host country. The social, economic, political and cultural activities in a city can play a crucial role in countering the anxiety and fears associated with migration, and help integration and inclusivity. Where the right policies and practices are in place, migration can bring huge benefits to communities and cities, fueling growth, innovation and entrepreneurship.
      City Responses

      City responses to migration and refugees have been varied and multifaceted but they are characterized by the theme of inclusion, with city leaders attempting to design and implement policies that allow newcomers to contribute to, and benefit from, the flourishing of their new communities. These responses are rooted in an approach that is both principled and pragmatic – seeking to uphold human rights and dignity while at the same time identifying practical solutions to the challenges affecting local residents. At a time when, at national and international level, migration has been used by some as a political weapon to stoke resentment and tension, this city perspective has never been more vital in bringing both humanity and reality back into public discourse.

      In seeking to develop inclusive solutions on migration, cities across the globe are innovating and developing new models of best practice.

      Amsterdam has adopted a programme called “Everyone’s Police,” which encourages the reporting of crimes in the interest of more effective policing and community engagement.

      New York City has created the I.D. NYC scheme, a government-issued identification card available to all residents regardless of immigration status that enables people to access a variety of services and discounts in the city.

      Barcelona supports children and families applying for family reunification by providing comprehensive and personalized guidance on the legal, practical and psychological aspects of the process.

      Sao Paulo has established the Coordination of Policies for Migrants’ Unite within its municipal structures to promote city policies for migrants across departments and disciplines and in a participative manner.

      Amman has welcomed almost 2 million migrants and refugees in the last two decades as a result of conflicts in neighboring countries. And cities in Uganda have played a key role in implementing national policies designed to allow refugees to own land and set up businesses.

      These are just a handful of examples of the great work already being done by many cities on these issues. These innovations will be examined in detail at the GPM summit, with city representatives sharing their valuable learning and experience.

      A number of initiatives and networks have been established to support and catalyze such innovations and share best practice across different city contexts, from the World Economic Forum Global Future Council on Migration to the Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD) Champion Mayors for Inclusive Growth – and many more. Together these networks provide a wealth of resources and insight for cities seeking to make inclusion a reality.
      A Voice for Cities on the Global Stage

      Despite this vital work on the ground, cities remain underrepresented on the global stage when it comes to key decision-making on migration and refugee issues. This is the challenge the GPM summit will address.

      The GPM has already been actively engaged in the negotiations on the United Nations global compacts on migration and refugees. As the mayor of Bristol I become the first city leader to speak in the deliberations on the compact on migration in May 2018.

      At the summit we will debate and decide how, collectively, we can take a leadership role for cities in the implementation of the global compacts. We will hear from other key international stakeholders, as well as from mayors with direct and varied experience. And we will agree on practical steps to enable cities to implement the compacts in their areas of influence.

      The price of inaction is huge – a critical global diplomatic process could once again largely pass cities by and leave national-level politicians bickering over watered-down commitments. The potential prize is just as significant – a recognized seat at the table for cities to review and implement global compacts, and a range of practical resources to maximize the contributions that migrants and refugees can bring to our communities.

      Our conversations in Bristol represent a critical opportunity to better grasp the key issues for cities related to migration and integration, and to amplify the voice of city leaders in international policymaking relating to migrants and refugees.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/10/19/how-cities-can-shape-a-fairer-more-humane-immigration-policy

    • Migranti, «Venite al porto di Napoli, vi accogliamo»

      E sul fronte migranti: «Io faccio una proposta ai timonieri di navi: la prossima volta che avete un problema per le autorizzazioni avvicinatevi alle acque territoriali di una città povera ma dalla grande dignità. Avvicinatevi al porto di Napoli. Noi disponiamo di due gommoni come Comune, un po’ malandati ma funzionanti. Vi assicuro che ci sono pescatori democratici e tanta gente in grado di remare e venire a prendere. E mi metto io nella prima barca, voglio vedere se ci sparano addosso».

      https://napoli.repubblica.it/cronaca/2018/12/01/news/incontro_con_de_magistris_a_roma_nasce_terzo_fronte_-213118777/?ref=fbpr

    • Italie : #Palerme, l’exception

      En juin, il a été l’un des premiers à proposer d’accueillir l’Aquarius et ses passagers indésirables : Leoluca Orlando, le maire de Palerme, s’affiche comme l’un des plus farouches opposants à la politique migratoire du gouvernement italien. Il milite entre autres, pour la disparition du permis de séjour et la libre-circulation des personnes.

      Ces trois dernières années, la capitale sicilienne a accueilli des dizaines de milliers de migrants. Ils sont nombreux à y être restés et, parmi eux, beaucoup de mineurs isolés. Pour les prendre en charge, une multitude d’associations travaillent main dans la main avec le soutien de la mairie.
      Reportage à Palerme, où les initiatives se multiplient, à contre-courant de la politique du ministre de l’intérieur, Mateo Salvini.

      https://www.arte.tv/fr/videos/084352-000-A/italie-palerme-l-exception

      signalé par @sinehebdo
      https://seenthis.net/messages/743236

    • Le temps est venu pour des villes solidaires...


      https://twitter.com/seawatchcrew/status/1078595657051574272?s=19

      Stuck at Sea for over 6 days – the New Year for the rescued on Sea-Watch 3 must start ashore!

      Already on Saturday, the crew of the Sea-Watch 3 has saved 32 people from drowning, including four women, three unaccompanied minors, two young children and a baby. Five countries (Italy, Malta, Spain, Netherlands, Germany) refused to take responsibility and grant the rescued a port of safety for Christmas.
      In Germany only, more than 30 cities and several federal states have declared themselves to be safe havens and are willing to accept those rescued from distress at sea.

      https://sea-watch.org/en/stuck-at-sea-for-over-6-days-without-port-of-safety

    • NYC to Fund Health Care for All, Including the Undocumented, Mayor Says

      New York Mayor Bill de Blasio proposed a $100 million plan that he said would provide affordable “healthcare for all,” reaching about 600,000 people, including undocumented immigrants, low-income residents not enrolled in Medicaid and young workers whose current plans are too expensive.

      The plan, which de Blasio dubbed “NYC Care,” will offer public health insurance on a sliding price scale based on income, the mayor said during an interview Tuesday morning on MSNBC. It will begin later this year in the Bronx and will be available to all New Yorkers in 2021, and would cost at least $100 million once it reaches full enrollment, according to the mayor’s office.

      The proposed city-funded health insurance option would assign a primary care doctor to each plan participant and help patients find specialists if needed. De Blasio said the plan, which would be financed out of the city’s public health budget, would ultimately be cost effective by reducing hospital emergency room visits by uninsured patients and by improving public health.

      The program builds upon the city’s $1.6 billion a-year Department of Public Health and Mental Hygiene budget and the separately funded public hospital system, which already serves 475,000 under-insured and uninsured patients annually, including undocumented immigrants, in more than 11 hospitals and 70 neighborhood clinics. The city already has an insurance plan, MetroPlus, that will be used as the template for the coverage. The program may take two years to get “to full strength,” de Blasio said.

      https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-01-08/nyc-to-fund-health-care-for-all-including-the-undocumented

      #NYC #New_York

    • Avec la « ville-refuge », ce serait un nouveau concept de Ville qui pourrait émerger, un autre droit d’asile, une autre hospitalité qui transformerait le droit international

      Intervenant devant le Parlement international des écrivains pour répondre à un appel lancé en 1995 pour constituer un réseau de villes-refuges susceptibles d’accueillir un écrivain persécuté, Jacques Derrida s’interroge sur les implications de cette proposition. Une Ville peut-elle se distinguer d’un Etat, prendre de sa propre initiative un statut original qui, au moins sur ce point précis, l’autoriserait à échapper aux règles usuelles de la souveraineté nationale ? Peut-elle contribuer à une véritable innovation dans l’histoire du droit d’asile, une nouvelle cosmopolitique, un devoir d’hospitalité revisité ? Inventer cela peut être considéré comme une utopie, mais c’est aussi une tâche théorique et critique, urgente dans un contexte où les violences, les crimes, les tragédies, les persécutions, multiplient les réfugiés, les exilés, les apatrides et les victimes anonymes.

      Le droit d’asile est un vestige médiéval, qui a survécu aux guerres du 20ème siècle. Appeler les villes à renouer avec cette tradition en accueillant les réfugiés comme tels, sans leur proposer ni la naturalisation, ni le retour dans leur région d’origine, implique de déborder les limites fixés par les traités entre Etats souverains. On peut imaginer une nouvelle figure de ville, une ville franche qui bénéficierait d’un statut d’exemption, d’immunité, comparable à celui qui est encore parfois attaché à certains lieux, religieux ou diplomatiques.

      On trouve la notion de ville-refuge dans la bible, chez certains stoïciens grecs, chez Cicéron, Saint Paul (qui la sécularise), dans la tradition médiévale et religieuse (les églises comme lieu de « sauveté »). Les Lumières en héritent et Kant, dans son Article définitif en vue de la paix perpétuelle, en donne une formulation rigoureuse mais restrictive : (1) il limite l’hospitalité au droit de visite, excluant le droit de résidence ; (2) il la fait dépendre du droit étatique. Pour faire progresser le droit, il faut analyser ces restrictions. D’une part l’hospitalité selon Jacques Derrida est une Loi, un droit inconditionnel offert à quiconque, un principe irréductible ; mais d’autre part il faut répondre à l’urgence, à la violence et à la persécution. Cela peut ouvrir la possibilité d’une expérimentation - dans la pratique et dans la pensée, d’une autre idée du cosmopolitisme et de la démocratie à venir.

      En France, le droit d’asile est assez récent. La constitution de 1946 ne l’accorde qu’aux pesonnes persécutées à cause de leur action « en faveur de la liberté », une définition élargie en 1954 (par suite de l’adhésion à la Convention de Genève de 1951) à ceux dont la vie ou la liberté se trouve menacée « en raison de leur race, de leur religion ou de leurs opinions politiques ». L’application de cette Convention n’a été élargie aux personnes hors d’Europe et aux événements survenus après 1951 qu’en 1967. Mais les Etats-nations n’acceptent, en pratique, d’accorder ce droit que sous des conditions qui le rendent parfois presque impossible. En France, il faut que l’exilé ne puisse attendre aucun bénéfice économique de son immigration. Souvent, devant l’imprécision des règles, on laisse la police faire la loi - une confusion inquiétante, voire ignoble, comme le dénonçait Walter Benjamin, quand les limites de l’action de la police deviennent insaisissables, indéterminées. Le droit d’asile implique une subordination stricte de toutes les administrations policières au pouvoir politique.

      https://www.idixa.net/Pixa/pagixa-1308210805.html
      via @nepthys

    • #Jacques_Derrida und die Idee der Zufluchtsstädte

      Nach islamistischen Anschlägen in Algerien Anfang der 90er-Jahre flohen viele Kulturschaffende aus dem Land. Zusammen mit anderen internationalen Intellektuellen initiierte der französische Philosoph Jacques Derrida von Staaten unabhängige Zufluchtsorte für Verfolgte. Welche Kraft hat diese Idee heute?

      Der Exodus arabischer Intellektueller in den Westen hat eine lange Tradition. Vor über 20 Jahren wütete der islamistische Furor in Algerien. Viele Journalisten wurden damals ermordet, den Überlebenden blieb nur die Flucht ins westliche Ausland. Dieses Horrorszenario wiederholt sich heute in Syrien. Karim Chamoun, ein in Mainz lebender Radiojournalist, gibt den syrischen Flüchtlingen eine Stimme. Seine Landsleute informiert er über die eskalierenden Zustände in der Heimat. Offenbar – so berichtet Chamoun – läuft dem regierenden Assad-Clan die noch verbliebene Bildungselite davon:

      „In den letzten 18 Monaten sind sehr viele Pro-Assad-Intel­lektuelle ausgewandert und sind in Deutschland gelandet. Viele sind in der jetzigen Zeit ausgewandert, vor Angst, vor Terror. Die haben keine Organisation, die sie vereint.“

      Das Medieninteresse für Syrien lässt vergessen, dass schon vor über 20 Jahren islamistische Fanatiker eine tödliche Hetzjagd auf Journalisten und Künstler veranstalteten. Der Algerier Tahar Djaout war in den 80er-Jahren bekannt für seine Kommentare im Wochenmagazin Algérie-Actualité. Anfang 1993 gründete Djaout Ruptures – „Brüche“ –, eine Zeitschrift, die sich als Stachel im Fleisch einer autoritär regierten Gesellschaft verstand. Die Redakteure fürchteten allerdings nicht nur die Zensur, sie bangten um ihr Leben, da die „Islamische Heilsfront“ ihnen offen den Kampf angesagt hatte. Im Mai 1993 wurde Tahar Djaout vor seiner Haustür in Algier ermordet. Der Journalist war nicht das erste Opfer der Islamisten, aber das prominenteste. Unzählige andere folgten.

      Tahar Djaouts Ermordung war ein Fanal für die französische Intelligenz. Nicht länger wollte man sich auf den mutlosen internationalen PEN verlassen. Der Philosoph Jacques Derrida und der Soziologe Pierre Bourdieu, die lange Zeit in Algerien gelebt hatten, fühlten sich den Algeriern, den Opfern eines langen, erbitterten Bürgerkrieges gegen die französische Kolonialmacht, eng verbunden. Sie wollten den „Terrainverlust“ der Intellektuellen, einer Elite ohne Macht, wettmachen.
      Die Öffentlichkeit wachrütteln

      Christian Salmon, Gründer des Straßburger Zirkels „Carrefour de littérature“, startete eine Unterschriftenaktion. Weltweit verbündeten sich namhafte Schriftsteller mit den verfolgten Algeriern. Salmon schrieb:

      „Algerische Journalisten und Schriftsteller, die glücklich einem Attentat entkommen sind, müssen sich verbergen, während sie vergeblich auf ein Visum warten. Sie harren ungeduldig vor unseren Grenzen. Hunderte algerische Intellektuelle, dem Hass islamistischer Attentäter ausgeliefert, verdanken ihr Überleben entweder purem Glück oder der Überbeschäftigung der Henker. (…) Wir sagen jetzt: Es reicht! Genug der Morde in Algerien! Schriftsteller, Künstler und Intellektuelle zeigen ihren Widerstand. In aller Deutlichkeit sagen wir: Keine Demokratie ohne Solidarität, keine Zivilisation ohne Gastfreundschaft.“

      Aus Solidarität mit den algerischen Kollegen kamen im November 1993 im Straßburger „Carrefour de littérature“ zahlreiche internationale Autoren zusammen, um die Öffentlichkeit wachzurütteln. 200 Schriftsteller unterzeichneten den Appell. Bei einer rituellen Aktion wollte man es aber nicht belassen: Unter der Leitung des indischen Autors Salman Rushdie, der seit der Fatwa Ayatollah Chomeinis von den iranischen Häschern verfolgt wurde, gründeten sie das Internationale Schriftsteller-Parlament. Währenddessen rief Rushdie, zusammen mit Straßburgs Bürgermeisterin Catherine Trautmann und dem Generalsekretär des Europarats, zur Gründung von Zufluchtsstädten auf – von „villes- refuges“, um verfolgten Schriftstellern und Künstlern Asyl zu gewähren. Salman Rushdie schrieb das Gründungsdokument:

      „Heute widersetzt sich die Literatur ein weiteres Mal der Tyrannei. Wir gründeten das Schriftsteller-Parlament, damit es sich für die unterdrückten Autoren einsetzt und gegen ihre Widersacher erhebt, die es auf sie und ihre Werke abgesehen haben. Nachdrücklich erneuern wir die Unabhängigkeitserklärung, ohne die Literatur unmöglich ist, nicht nur die Literatur, sondern der Traum, nicht nur der Traum, sondern das Denken, nicht nur das Denken, sondern die Freiheit.“
      Kommunen können schneller auf neue Situationen reagieren

      Catherine Trautmann stellte später die Initiative der „villes-refuges“ vor, die zuvor vom Internationalen Schrift­steller-Parlament beschlossen wurde:

      „Es kommt darauf an, dass multikulturell sich verstehende Städte bereit sind, Gedankenfreiheit und Toleranz zu verteidigen. Die in einem Netz verbundenen Städte können etwas bewirken, indem sie verfolgte Künstler und Schriftsteller aufnehmen. Wir wissen, dass Euro­pa ein Kontinent ist, wo über alle Konflikte hinweg Intellektuelle leben und schreiben. Dieses Erbe müssen wir wach halten. Die bedrohten Intellektuellen müssen bei uns Bürgerrecht erhalten. Zu diesem Zweck sollte ein Netz der Solidarität geschaffen werden.“

      Das Projekt der „villes-refuges“ war anfangs äußerst erfolgreich: 1995 beschlossen Vertreter von mehr als 400 europäischen Städten die „Charta der villes-refuges“. Eine Resolution des Europäischen Parlaments förderte ein weltweites Netz von „villes-refuges“. Straßburg und Berlin gehörten zu den ersten „Zu­fluchts­städten“, es folgten Städte wie Venedig und Helsinki.

      Die Skepsis gegenüber den nationalen und überstaatlichen Organisationen wächst. Kommunen, die politische Macht auf lokaler Ebene ausüben, seien imstande, wesentlich schneller und flexibler auf neue, unvorgesehene Situationen zu reagieren, meint der amerikanische Politikwissenschaftler Benjamin Barber:

      „Der Unterschied zu Staaten liegt in der Eigenart der Städte: Sie sind zutiefst multikulturell, partizipatorisch, demokratisch, kooperativ. Städte interagieren und können viel erreichen, während Staaten eigensinnig sind und gemeinsames Handeln behindern. Die Welt globaler Demokratie führt uns nicht zu Staaten, sondern zu Städten. Demokratie entstand in der griechischen polis. Sie könnte ein weiteres Mal in der globalen kosmopolis entstehen.“

      Jacques Derrida ist im Oktober 2004 gestorben. Angesichts der unlösbar scheinenden Flüchtlingsprobleme wäre der Philosoph heutzutage ein verantwortungsvoller und sachkundiger Diskussionspartner. Vielleicht würde er darauf hinweisen, dass sich die Gesetze der Gastfreundschaft keineswegs geändert haben. Denn auch heute müssen Pflichten und Rechte, Grenzen und Freiheiten neu austariert werden. Im Interesse beider – der Gäste und der Gastgeber.

      https://www.deutschlandfunkkultur.de/villes-refuges-jacques-derrida-und-die-idee-der.976.de.html?dr
      #Derrida
      via @nepthys

    • #ICORN

      The #International_Cities_of_Refuge_Network (ICORN) is an independent organisation of cities and regions offering shelter to writers and artists at risk, advancing freedom of expression, defending democratic values and promoting international solidarity.

      Writers and artists are especially vulnerable to censorship, harassment, imprisonment and even death, because of what they do. They represent the liberating gift of the human imagination and give voice to thoughts, ideas, debate and critique, disseminated to a wide audience. They also tend to be the first to speak out and resist when free speech is threatened.

      ICORN member cities offer long term, but temporary, shelter to those at risk as a direct consequence of their creative activities. Our aim is to be able to host as many persecuted writers and artists as possible in ICORN cities and together with our sister networks and organisations, to form a dynamic and sustainable global network for freedom of expression.

      https://icorn.org
      #réseau #art #artistes #liberté_d'expression #écrivains

    • #New_Sanctuary_Coalition

      The New Sanctuary Coalition of #NYC is an interfaith network of congregations, organizations, and individuals, standing publicly in solidarity with families and communities resisting detention and deportation in order to stay together. We recognize that unjust global and systemic economic relationships and racism form the basis of the injustices that affect immigrants. We seek reform of United States immigration laws to promote fairness, social and economic justice.

      http://www.newsanctuarynyc.org
      #New_York

    • #Eine_Stadt_für_Alle

      Eine Stadt, aus der kein Mensch abgeschoben wird, in der sich alle frei und ohne Angst bewegen können, in der kein Mensch nach einer Aufenthaltserlaubnis gefragt wird, in der kein Mensch illegal ist. Das sind die grundlegenden Vorstellungen von einer Solidarity City. In einer solchen Stadt der Solidarität sollen alle Menschen das Recht haben zu leben, zu wohnen und zu arbeiten. Alle Menschen soll der Zugang zu Bildung und medizinischer Versorgung gewährt werden. Alle Menschen sollen teilhaben und das Stadtleben mitgestalten können – unabhängig von Aufenthaltsstatus, finanziellen Möglichkeiten, Hautfarbe, Geschlecht, Sexualität, Religion,…
      In vielen Städten in Deutschland, Europa und der ganzen Welt ist der Prozess, eine Solidarity City zu werden schon in vollem Gang.

      https://solidarity-city.eu/de
      #solidarity_city

    • The Cities Refugees Saved

      In the cities where the most refugees per capita were settled since 2005, the newcomers helped stem or reverse population loss.

      Mahira Patkovich was eight years old in 1997 when her family left Bosnia. After a long and complicated war, Muslim families like hers had found themselves without jobs, food, and any semblance of safety. So they sought refuge in America.

      The first year in their new home in Utica, New York, Patkovich felt uprooted—torn from her childhood and everything she knew, and thrust into an alien environment. She knew no one and didn’t speak English. But as time went by, she began to acclimate.

      “The next thing you know, you’re home,”she says in a recent mini-documentary by New American Economy, a bipartisan immigration reform group, and Off Ramp Films. “This is home.”

      Patkovich, the film shows, is now thriving. She works at the office of the Oneida County Executive, owns a small business, and is on her way to a master’s degree. She is also pregnant, and excited to raise her first-born in a community she loves.

      Utica—it’s clear—saved Patkovich and her family. But the truth is: They’re helping to save this town as well. Like many Rust Belt cities, Utica suffered enormously in the second part of the 20th century, losing jobs and bleeding out residents as major employers like General Electric and Lockheed Martin shuttered or left the Mohawk Valley.

      Adam Bedient, director of photography and editor at Off Ramp Films grew up in the nearby town of Clinton in the 1980s and ’90s. He wasn’t tracking Utica’s trajectory too closely then, in part, because not much was happening there. What he remembers of Utica in that era is a typical fading factory town, a place where shuttered storefronts and exposed bricks belied neglect. “Foundationally, there were beautiful things there, they just didn’t look cared for,” he says.

      Now, he’s working on a full-length feature about the refugee communities in Utica, and when he drives through town, he finds it simmering with new life. Old buildings are getting refurbished. Construction cranes bob up and down. And at the center of town is a long-vacant historic Methodist church that has been renovated and converted into a beautiful mosque—a symbol of the new Utica.

      Without its new Bosnian community, Utica would have faced a 6 percent population drop.

      “It’s really symbolic—it was previously a church that was going to be torn down,” Bedient told CityLab. “The Bosnian community bought it from the city, and now it’s a part of the skyline.”

      For CityLab, NAE crunched the numbers on the 11 cities that have resettled the most refugees per capita between 2005 and 2017 to gauge how welcoming these newcomers affected overall population. In almost all cases, refugee resettlement either stemmed population loss or reversed it completely. Without its new Bosnian community, for example, Utica would have faced a 6 percent population drop. With them, the city saw a 3 percent gain.

      But what Andrew Lim, NAE’s director of quantitative research, found surprising was that this list didn’t just include industrial towns hungry for newcomers—places like Syracuse, New York, and Springfield, Massachusetts; it also features places in the South and Sunbelt. Take Clarkston, Georgia, for example, a diverse Atlanta exurb of 13,000 (whose young mayor you may recognize from a recent episode of Queer Eye). Since the 1970s, Clarkston has taken in tens of thousands of refugees from various parts of Asia, the Middle East, Africa, and Europe. In Bitter Southerner, Carly Berlin recently explained how it gained its nickname as the “Ellis Island of the South.”

      As many white residents fled farther out to more fashionable developing Atlanta suburbs, Clarkston became perfect for refugees, with its hundreds of vacated apartments and access to public transportation, a post office, and a grocery store, all within walking distance. The little city became one of now 190 designated resettlement communities across the country.

      Using the data NAE extracted from the Census Bureau and from the Department of Homeland Services, CityLab’s David Montgomery created this nifty chart to show exactly how much refugees boosted or stabilized population in these 11 cities:

      But the pipeline that funneled refugees into cities like Utica is being closed up. In 2018, the Trump administration lowered the maximum number of refugees it takes in for the third year in a row—to 30,000, which is the lowest in three decades. Resettlement agencies, from Western Kansas to Florida, are having to close shop.

      Some places are already seeing the effects. In cities with large concentrations of refugees and refugee services, recent arrivals have been waiting for loved ones to join them. Because of the slash in numbers being accepted, some of these people have been thrust into uncertainty. Muslim refugees from countries listed in the final travel ban have been doubly hit, and may not be able to reunite with their families at all.

      But the effects of the Trump-era refugee policy don’t just affect individual families. In Buffalo, New York—another Rust Belt city that has been reinvigorated by new residents from refugee communities—medical clinics have closed down, housing developments have stalled, and employers have been left looking for employees, The Buffalo News reported. The loss for refugees hoping to come to America appears to also be a loss for the communities they might have called home

      The biggest argument for refugee resettlement is that it is a moral imperative, many advocates argue. Refugees are human beings fleeing terrible circumstances; assisting them is just the right thing to do. Foes of taking refugees—most notoriously, White House advisor Stephen Miller, who is quoted as saying that he would “be happy if not a single refugee foot ever touched American soil again” in a new book by a former White House communication aide—point to the perceived costs and dangers of taking in more. Past analyses shows little basis to that fear. In fact, cities with large refugee populations have seen drops in crime, per a previous NAE’s analysis. And according to NBC News, an intelligence assessment that included inputs from the FBI concluded that refugees did not pose a major national security threat. The Trump administration dismissed its findings.

      https://www.citylab.com/equity/2019/01/refugee-admissions-resettlement-trump-immigration/580318
      #USA #Etats-Unis #démographie

  • J’essaie de compiler ici des liens et documents sur les processus d’ #externalisation des #frontières en #Libye, notamment des accords avec l’#UE #EU.

    Les documents sur ce fil n’ont pas un ordre chronologique très précis... (ça sera un boulot à faire ultérieurement... sic)

    Les négociations avec l’#Italie sont notamment sur ce fil :
    https://seenthis.net/messages/600874
    #asile #migrations #réfugiés

    Peut-être qu’Isabelle, @isskein, pourra faire ce travail de mise en ordre chronologique quand elle rentrera de vacances ??

    • Ici, un des derniers articles en date... par la suite de ce fil des articles plus anciens...

      Le supplice sans fin des migrants en Libye

      Ils sont arrivés en fin d’après-midi, blessés, épuisés, à bout. Ce 23 mai, près de 117 Soudanais, Ethiopiens et Erythréens se sont présentés devant la mosquée de Beni Oualid, une localité située à 120 km au sud-ouest de Misrata, la métropole portuaire de la Tripolitaine (Libye occidentale). Ils y passeront la nuit, protégés par des clercs religieux et des résidents. Ces nouveaux venus sont en fait des fugitifs. Ils se sont échappés d’une « prison sauvage », l’un de ces centres carcéraux illégaux qui ont proliféré autour de Beni Oualid depuis que s’est intensifié, ces dernières années, le flux de migrants et de réfugiés débarquant du Sahara vers le littoral libyen dans l’espoir de traverser la Méditerranée.

      Ces migrants d’Afrique subsaharienne – mineurs pour beaucoup – portent dans leur chair les traces de violences extrêmes subies aux mains de leurs geôliers : corps blessés par balles, brûlés ou lacérés de coups. Selon leurs témoignages, quinze de leurs camarades d’évasion ont péri durant leur fuite.

      Cris de douleur
      A Beni Oualid, un refuge héberge nombre de ces migrants en détresse. Des blocs de ciment nu cernés d’une terre ocre : l’abri, géré par une ONG locale – Assalam – avec l’assistance médicale de Médecins sans frontières (MSF), est un havre rustique mais dont la réputation grandit. Des migrants y échouent régulièrement dans un piètre état. « Beaucoup souffrent de fractures aux membres inférieurs, de fractures ouvertes infectées, de coups sur le dos laissant la chair à vif, d’électrocution sur les parties génitales », rapporte Christophe Biteau, le chef de la mission MSF pour la -Libye, rencontré à Tunis.

      Leurs tortionnaires les ont kidnappés sur les routes migratoires. Les migrants et réfugiés seront détenus et suppliciés aussi longtemps qu’ils n’auront pas payé une rançon, à travers les familles restées au pays ou des amis ayant déjà atteint Tripoli. Technique usuelle pour forcer les résistances, les détenus torturés sont sommés d’appeler leurs familles afin que celles-ci puissent entendre en « direct » les cris de douleur au téléphone.

      Les Erythréens, Somaliens et Soudanais sont particulièrement exposés à ce racket violent car, liés à une diaspora importante en Europe, ils sont censés être plus aisément solvables que les autres. Dans la région de Beni Oualid, toute cette violence subie, ajoutée à une errance dans des zones désertiques, emporte bien des vies. D’août 2017 à mars 2018, 732 migrants ont trouvé la mort autour de Beni Oualid, selon Assalam.

      En Libye, ces prisons « sauvages » qui parsèment les routes migratoires vers le littoral, illustration de l’osmose croissante entre réseaux historiques de passeurs et gangs criminels, cohabitent avec un système de détention « officiel ». Les deux systèmes peuvent parfois se croiser, en raison de l’omnipotence des milices sur le terrain, mais ils sont en général distincts. Affiliés à une administration – le département de lutte contre la migration illégale (DCIM, selon l’acronyme anglais) –, les centres de détention « officiels » sont au nombre d’une vingtaine en Tripolitaine, d’où embarque l’essentiel des migrants vers l’Italie. Si bien des abus s’exercent dans ces structures du DCIM, dénoncés par les organisations des droits de l’homme, il semble que la violence la plus systématique et la plus extrême soit surtout le fait des « prisons sauvages » tenues par des organisations criminelles.

      Depuis que la polémique s’est envenimée en 2017 sur les conditions de détention des migrants, notamment avec le reportage de CNN sur les « marchés aux esclaves », le gouvernement de Tripoli a apparemment cherché à rationaliser ses dispositifs carcéraux. « Les directions des centres font des efforts, admet Christophe Biteau, de MSF-Libye. Le dialogue entre elles et nous s’est amélioré. Nous avons désormais un meilleur accès aux cellules. Mais le problème est que ces structures sont au départ inadaptées. Il s’agit le plus souvent de simples hangars ou de bâtiments vétustes sans isolation. »

      Les responsables de ces centres se plaignent rituellement du manque de moyens qui, selon eux, explique la précarité des conditions de vie des détenus, notamment sanitaires. En privé, certains fustigent la corruption des administrations centrales de Tripoli, qui perçoivent l’argent des Européens sans le redistribuer réellement aux structures de terrain.

      Cruel paradoxe
      En l’absence d’une refonte radicale de ces circuits de financement, la relative amélioration des conditions de détention observée récemment par des ONG comme MSF pourrait être menacée. « Le principal risque, c’est la congestion qui résulte de la plus grande efficacité des gardes-côtes libyens », met en garde M. Biteau. En effet, les unités de la marine libyenne, de plus en plus aidées et équipées par Bruxelles ou Rome, ont multiplié les interceptions de bateaux de migrants au large du littoral de la Tripolitaine.

      Du 1er janvier au 20 juin, elles avaient ainsi reconduit sur la terre ferme près de 9 100 migrants. Du coup, les centres de détention se remplissent à nouveau. Le nombre de prisonniers dans ces centres officiels – rattachés au DCIM – a grimpé en quelques semaines de 5 000 à 7 000, voire à 8 000. Et cela a un impact sanitaire. « Le retour de ces migrants arrêtés en mer se traduit par un regain des affections cutanées en prison », souligne Christophe Biteau.

      Simultanément, l’Organisation mondiale des migrations (OIM) intensifie son programme dit de « retours volontaires » dans leurs pays d’origine pour la catégorie des migrants économiques, qu’ils soient détenus ou non. Du 1er janvier au 20 juin, 8 571 d’entre eux – surtout des Nigérians, Maliens, Gambiens et Guinéens – sont ainsi rentrés chez eux. L’objectif que s’est fixé l’OIM est le chiffre de 30 000 sur l’ensemble de 2018. Résultat : les personnes éligibles au statut de réfugié et ne souhaitant donc pas rentrer dans leurs pays d’origine – beaucoup sont des ressortissants de la Corne de l’Afrique – se trouvent piégées en Libye avec le verrouillage croissant de la frontière maritime.

      Le Haut-Commissariat pour les réfugiés (HCR) des Nations unies en a bien envoyé certains au Niger – autour de 900 – pour que leur demande d’asile en Europe y soit traitée. Cette voie de sortie demeure toutefois limitée, car les pays européens tardent à les accepter. « Les réfugiés de la Corne de l’Afrique sont ceux dont la durée de détention en Libye s’allonge », pointe M. Biteau. Cruel paradoxe pour une catégorie dont la demande d’asile est en général fondée. Une absence d’amélioration significative de leurs conditions de détention représenterait pour eux une sorte de double peine.

      http://lirelactu.fr/source/le-monde/28fdd3e6-f6b2-4567-96cb-94cac16d078a
      #UE #EU

    • Remarks by High Representative/Vice-President Federica Mogherini at the joint press conference with Sven Mikser, Minister for Foreign Affairs of Estonia
      Mogherini:

      if you are asking me about the waves of migrants who are coming to Europe which means through Libya to Italy in this moment, I can tell you that the way in which we are handling this, thanks also to a very good work we have done with the Foreign Ministers of the all 28 Member States, is through a presence at sea – the European Union has a military mission at sea in the Mediterranean, at the same time dismantling the traffickers networks, having arrested more than 100 smugglers, seizing the boats that are used, saving lives – tens of thousands of people were saved but also training the Libyan coasts guards so that they can take care of the dismantling of the smuggling networks in the Libyan territorial waters.

      And we are doing two other things to prevent the losses of lives but also the flourishing of the trafficking of people: inside Libya, we are financing the presence of the International Organisation for Migration and the UNHCR so that they can have access to the detention centres where people are living in awful conditions, save these people, protect these people but also organising voluntary returns to the countries of origin; and we are also working with the countries of origin and transit, in particular Niger, where more than 80% of the flows transit. I can tell you one number that will strike you probably - in the last 9 months through our action with Niger, we moved from 76 000 migrants passing through Niger into Libya to 6 000.

      https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/26042/remarks-high-representativevice-president-federica-mogherini-joint-press
      #Libye #Niger #HCR #IOM #OIM #EU #UE #Mogherini #passeurs #smugglers

    • Il risultato degli accordi anti-migranti: aumentati i prezzi dei viaggi della speranza

      L’accordo tra Europa e Italia da una parte e Niger dall’altra per bloccare il flusso dei migranti verso la Libia e quindi verso le nostre coste ha ottenuto risultati miseri. O meglio un paio di risultati li ha avuti: aumentare il prezzo dei trasporti – e quindi i guadagni dei trafficanti di uomini – e aumentare a dismisura i disagi e i rischi dei disperati che cercano in tutti i modi di attraversare il Mediterraneo. Insomma le misure adottate non scoraggiano chi vuole partire. molti di loro muoiono ma non muore la loro speranza di una vita migliore.

      http://www.africa-express.info/2017/02/03/il-risultato-dellaccordo-con-il-niger-sui-migranti-aumentati-prezzi

    • C’était 2016... et OpenMigration publiait cet article:
      Il processo di esternalizzazione delle frontiere europee: tappe e conseguenze di un processo pericoloso

      L’esternalizzazione delle politiche europee e italiane sulle migrazioni: Sara Prestianni ci spiega le tappe fondamentali del processo, e le sue conseguenze più gravi in termini di violazioni dei diritti fondamentali.

      http://openmigration.org/analisi/il-processo-di-esternalizzazione-delle-frontiere-europee-tappe-e-conseguenze-di-un-processo-pericoloso/?platform=hootsuite

    • Per bloccare i migranti 610 milioni di euro dall’Europa e 50 dall’Italia

      Con la Libia ancora fortemente compromessa, la sfida per la gestione dei flussi di migranti dall’Africa sub-sahariana si è di fatto spostata più a Sud, lungo i confini settentrionali del Niger. Uno dei Paesi più poveri al mondo, ma che in virtù della sua stabilità - ha mantenuto pace e democrazia in un’area lacerata dai conflitti - è oggi il principale alleato delle potenze europee nella regione. Gli accordi prevedono che il Niger in cambio di 610 milioni d’ euro dall’Unione Europea, oltre a 50 promessi dall’Italia, sigilli le proprie frontiere settentrionali e imponga un giro di vite ai traffici illegali. È dal Niger infatti che transita gran parte dei migranti sub-sahariani: 450.000, nel 2016, hanno attraversato il deserto fino alle coste libiche, e in misura inferiore quelle algerine. In Italia, attraverso questa rotta, ne sono arrivati 180.000 l’anno scorso e oltre 40.000 nei primi quattro mesi del 2017.


      http://www.lastampa.it/2017/05/31/esteri/per-bloccare-i-migranti-milioni-di-euro-dalleuropa-e-dallitalia-4nPsLCnUURhOkXQl14sp7L/pagina.html

    • The Human Rights Risks of External Migration Policies

      This briefing paper sets out the main human rights risks linked to external migration policies, which are a broad spectrum of actions implemented outside of the territory of the state that people are trying to enter, usually through enhanced cooperation with other countries. From the perspective of international law, external migration policies are not necessarily unlawful. However, Amnesty International considers that several types of external migration policies, and particularly the externalization of border control and asylum-processing, pose significant human rights risks. This document is intended as a guide for activists and policy-makers working on the issue, and includes some examples drawn from Amnesty International’s research in different countries.

      https://www.amnesty.org/en/documents/pol30/6200/2017/en

    • Libya’s coast guard abuses migrants despite E.U. funding and training

      The European Union has poured tens of millions of dollars into supporting Libya’s coast guard in search-and-rescue operations off the coast. But the violent tactics of some units and allegations of human trafficking have generated concerns about the alliance.

      https://www.washingtonpost.com/world/middle_east/libyas-coast-guard-abuses-desperate-migrants-despite-eu-funding-and-training/2017/07/10/f9bfe952-7362-4e57-8b42-40ae5ede1e26_story.html?tid=ss_tw

    • How Libya’s #Fezzan Became Europe’s New Border

      The principal gateway into Europe for refugees and migrants runs through the power vacuum in southern Libya’s Fezzan region. Any effort by European policymakers to stabilise Fezzan must be part of a national-level strategy aimed at developing Libya’s licit economy and reaching political normalisation.

      https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/north-africa/libya/179-how-libyas-fezzan-became-europes-new-border
      cc @i_s_

      v. aussi ma tentative cartographique :


      https://seenthis.net/messages/604039

    • Avramopoulos says Sophia could be deployed in Libya

      (ANSAmed) - BRUSSELS, AUGUST 3 - European Commissioner Dimitris Avramopoulos told ANSA in an interview Thursday that it is possible that the #Operation_Sophia could be deployed in Libyan waters in the future. “At the moment, priority should be given to what can be done under the current mandate of Operation Sophia which was just renewed with added tasks,” he said. “But the possibility of the Operation moving to a third stage working in Libyan waters was foreseen from the beginning. If the Libyan authorities ask for this, we should be ready to act”. (ANSAmed).

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2017/08/03/avramopoulos-says-sophia-could-be-deployed-in-libya_602d3d0e-f817-42b0-ac3

    • Les ambivalences de Tripoli face à la traite migratoire. Les trafiquants ont réussi à pénétrer des pans entiers des institutions officielles

      Par Frédéric Bobin (Zaouïa, Libye, envoyé spécial)

      LE MONDE Le 25.08.2017 à 06h39 • Mis à jour le 25.08.2017 à 10h54

      Les petits trous dessinent comme des auréoles sur le ciment fauve. Le haut mur hérissé de fils de fer barbelés a été grêlé d’impacts de balles de kalachnikov à deux reprises, la plus récente en juin. « Ils sont bien mieux armés que nous », soupire Khaled Al-Toumi, le directeur du centre de détention de Zaouïa, une municipalité située à une cinquantaine de kilomètres à l’ouest de Tripoli. Ici, au cœur de cette bande côtière de la Libye où se concentre l’essentiel des départs de migrants vers l’Italie, une trentaine d’Africains subsahariens sont détenus – un chiffre plutôt faible au regard des centres surpeuplés ailleurs dans le pays.

      C’est que, depuis les assauts de l’établissement par des hommes armés, Khaled Al-Toumi, préfère transférer à Tripoli le maximum de prisonniers. « Nous ne sommes pas en mesure de les protéger », dit-il. Avec ses huit gardes modestement équipés, il avoue son impuissance face aux gangs de trafiquants qui n’hésitent pas à venir récupérer par la force des migrants, dont l’arrestation par les autorités perturbe leurs juteuses affaires. En 2014, ils avaient repris environ 80 Erythréens. Plus récemment, sept Pakistanais. « On reçoit en permanence des menaces, ils disent qu’ils vont enlever nos enfants », ajoute le directeur.

      Le danger est quotidien. Le 18 juillet, veille de la rencontre avec Khaled Al-Toumi, soixante-dix femmes migrantes ont été enlevées à quelques kilomètres de là alors qu’elles étaient transférées à bord d’un bus du centre de détention de Gharian à celui de Sorman, des localités voisines de Zaouïa.

      On compte en Libye une trentaine de centres de ce type, placés sous la tutelle de la Direction de combat contre la migration illégale (DCMI) rattachée au ministère de l’intérieur. A ces prisons « officielles » s’ajoutent des structures officieuses, administrées ouvertement par des milices. L’ensemble de ce réseau carcéral détient entre 4 000 et 7 000 détenus, selon les Nations unies (ONU).

      « Corruption galopante »

      A l’heure où l’Union européenne (UE) nourrit le projet de sous-traiter à la Libye la gestion du flux migratoire le long de la « route de la Méditerranée centrale », le débat sur les conditions de détention en vigueur dans ces centres a gagné en acuité.

      Une partie de la somme de 90 millions d’euros que l’UE s’est engagée à allouer au gouvernement dit d’« union nationale » de Tripoli sur la question migratoire, en sus des 200 millions d’euros annoncés par l’Italie, vise précisément à l’amélioration de l’environnement de ces centres.

      Si des « hot spots » voient le jour en Libye, idée que caressent certains dirigeants européens – dont le président français Emmanuel Macron – pour externaliser sur le continent africain l’examen des demandes d’asile, ils seront abrités dans de tels établissements à la réputation sulfureuse.

      La situation y est à l’évidence critique. Le centre de Zaouïa ne souffre certes pas de surpopulation. Mais l’état des locaux est piteux, avec ses matelas légers jetés au sol et l’alimentation d’une préoccupante indigence, limitée à un seul plat de macaronis. Aucune infirmerie ne dispense de soins.

      « Je ne touche pas un seul dinar de Tripoli ! », se plaint le directeur, Khaled Al-Toumi. Dans son entourage, on dénonce vertement la « corruption galopante de l’état-major de la DCMI à Tripoli qui vole l’argent ». Quand on lui parle de financement européen, Khaled Al-Toumi affirme ne pas en avoir vu la couleur.

      La complainte est encore plus grinçante au centre de détention pour femmes de Sorman, à une quinzaine de kilomètres à l’ouest : un gros bloc de ciment d’un étage posé sur le sable et piqué de pins en bord de plage. Dans la courette intérieure, des enfants jouent près d’une balançoire.

      Là, la densité humaine est beaucoup plus élevée. La scène est un brin irréelle : dans la pièce centrale, environ quatre-vingts femmes sont entassées, fichu sur la tête, regard levé vers un poste de télévision rivé au mur délavé. D’autres se serrent dans les pièces adjacentes. Certaines ont un bébé sur les jambes, telle Christiane, une Nigériane à tresses assise sur son matelas. « Ici, il n’y a rien, déplore-t-elle. Nous n’avons ni couches ni lait pour les bébés. L’eau de la nappe phréatique est salée. Et le médecin ne vient pas souvent : une fois par semaine, souvent une fois toutes les deux semaines. »

      « Battu avec des tuyaux métalliques »

      Non loin d’elle, Viviane, jeune fille élancée de 20 ans, Nigériane elle aussi, se plaint particulièrement de la nourriture, la fameuse assiette de macaronis de rigueur dans tous les centres de détention.

      Viviane est arrivée en Libye en 2015. Elle a bien tenté d’embarquer à bord d’un Zodiac à partir de Sabratha, la fameuse plate-forme de départs à l’ouest de Sorman, mais une tempête a fait échouer l’opération. Les passagers ont été récupérés par les garde-côtes qui les ont répartis dans les différentes prisons de la Tripolitaine. « Je n’ai pas pu joindre ma famille au téléphone, dit Viviane dans un souffle. Elle me croit morte. »

      Si la visite des centres de détention de Zaouïa ou de Sorman permet de prendre la mesure de l’extrême précarité des conditions de vie, admise sans fard par les officiels des établissements eux-mêmes, la question des violences dans ces lieux coupés du monde est plus délicate.

      Les migrants sont embarrassés de l’évoquer en présence des gardes. Mais mises bout à bout, les confidences qu’ils consentent plus aisément sur leur expérience dans d’autres centres permettent de suggérer un contexte d’une grande brutalité. Celle-ci se déploie sans doute le plus sauvagement dans les prisons privées, officieuses, où le racket des migrants est systématique.

      Et les centres officiellement rattachés à la DCMI n’en sont pas pour autant épargnés. Ainsi Al Hassan Dialo, un Guinéen rencontré à Zaouïa, raconte qu’il était « battu avec des tuyaux métalliques » dans le centre de Gharian, où il avait été précédemment détenu.

      « Extorsion, travail forcé »

      On touche là à l’ambiguïté foncière de ce système de détention, formellement rattaché à l’Etat mais de facto placé sous l’influence des milices contrôlant le terrain. Le fait que des réseaux de trafiquants, liés à ces milices, peuvent impunément enlever des détenus au cœur même des centres, comme ce fut le cas à Zaouïa, donne la mesure de leur capacité de nuisance.

      « Le système est pourri de l’intérieur », se désole un humanitaire. « Des fonctionnaires de l’Etat et des officiels locaux participent au processus de contrebande et de trafic d’êtres humains », abonde un rapport de la Mission d’appui de l’ONU en Libye publié en décembre 2016.

      Dans ces conditions, les migrants font l’objet « d’extorsion, de travail forcé, de mauvais traitements et de tortures », dénonce le rapport. Les femmes, elles, sont victimes de violences sexuelles à grande échelle. Le plus inquiétant est qu’avec l’argent européen promis les centres de détention sous tutelle de la DCMI tendent à se multiplier. Trois nouveaux établissements ont fait ainsi leur apparition ces derniers mois dans le Grand Tripoli.

      La duplicité de l’appareil d’Etat, ou de ce qui en tient lieu, est aussi illustrée par l’attitude des gardes-côtes, autres récipiendaires des financements européens et même de stages de formation. Officiellement, ils affirment lutter contre les réseaux de passeurs au maximum de leurs capacités tout en déplorant l’insuffisance de leurs moyens.

      « Nous ne sommes pas équipés pour faire face aux trafiquants », regrette à Tripoli Ayoub Kassim, le porte-parole de la marine libyenne. Au détour d’un plaidoyer pro domo, le hiérarque militaire glisse que le problème de la gestion des flux migratoires se pose moins sur le littoral qu’au niveau de la frontière méridionale de la Libye. « La seule solution, c’est de maîtriser les migrations au sud, explique-t-il. Malheureusement, les migrants arrivent par le Niger sous les yeux de l’armée française » basée à Madama…

      Opérations de patrouille musclées

      Les vieilles habitudes perdurent. Avant 2011, sous Kadhafi, ces flux migratoires – verrouillés ou tolérés selon l’intérêt diplomatique du moment – étaient instrumentalisés pour exercer une pression sur les Européens.

      Une telle politique semble moins systématique, fragmentation de l’Etat oblige, mais elle continue d’inspirer le comportement de bien des acteurs libyens usant habilement de la carte migratoire pour réclamer des soutiens financiers.

      La déficience des équipements des gardes-côtes ne fait guère de doute. Avec son patrouilleur de 14 mètres de Zaouïa et ses quatre autres bâtiments de 26,4 mètres de Tripoli – souffrant de défaillances techniques bien qu’ayant été réparés en Italie –, l’arsenal en Tripolitaine est de fait limité. Par ailleurs, l’embargo sur les ventes d’armes vers la Libye, toujours en vigueur, en bride le potentiel militaire.

      Pourtant, la hiérarchie des gardes-côtes serait plus convaincante si elle était en mesure d’exercer un contrôle effectif sur ses branches locales. Or, à l’évidence, une sérieuse difficulté se pose à Zaouïa. Le chef local de gardes-côtes, Abdelrahman Milad, plus connu sous le pseudonyme d’Al-Bija, joue un jeu trouble. Selon le rapport du panel des experts sur la Libye de l’ONU, publié en juin, Al-Bija doit son poste à Mohamed Koshlaf, le chef de la principale milice de Zaouïa, qui trempe dans le trafic de migrants.

      Le patrouilleur d’Al-Bija est connu pour ses opérations musclées. Le 21 octobre 2016, il s’est opposé en mer à un sauvetage conduit par l’ONG Sea Watch, provoquant la noyade de vingt-cinq migrants. Le 23 mai 2017, le même patrouilleur intervient dans la zone dite « contiguë » – où la Libye est juridiquement en droit d’agir – pour perturber un autre sauvetage mené par le navire Aquarius, affrété conjointement par Médecins sans frontières et SOS Méditerranée, et le Juvena, affrété par l’ONG allemande Jugend Rettet.

      Duplicité des acteurs libyens

      Les gardes-côtes sont montés à bord d’un Zodiac de migrants, subtilisant téléphones portables et argent des occupants. Ils ont également tiré des coups de feu en l’air, et même dans l’eau où avaient sauté des migrants, ne blessant heureusement personne.

      « Il est difficile de comprendre la logique de ce type de comportement, commente un humanitaire. Peut-être le message envoyé aux migrants est-il : “La prochaine fois, passez par nous.” » Ce « passez par nous » peut signifier, selon de bons observateurs de la scène libyenne, « passez par le réseau de Mohamed Koshlaf », le milicien que l’ONU met en cause dans le trafic de migrants.

      Al-Bija pratiquerait ainsi le deux poids-deux mesures, intraitable ou compréhensif selon que les migrants relèvent de réseaux rivaux ou amis, illustration typique de la duplicité des acteurs libyens. « Al-Bija sait qu’il a commis des erreurs, il cherche maintenant à restaurer son image », dit un résident de Zaouïa. Seule l’expérience le prouvera. En attendant, les Européens doivent coopérer avec lui pour fermer la route de la Méditerranée.

      http://www.lemonde.fr/afrique/article/2017/08/16/en-libye-nous-ne-sommes-que-des-esclaves_5172760_3212.html

    • A PATTI CON LA LIBIA

      La Libia è il principale punto di partenza di barconi carichi di migranti diretti in Europa. Con la Libia l’Europa deve trattare per trovare una soluzione. La Libia però è anche un paese allo sbando, diviso. C’è il governo di Tripoli retto da Fayez al-Sarraj. Poi c’è il generale Haftar che controlla i due terzi del territorio del paese. Senza contare gruppi, milizie, clan tribali. Il compito insomma è complicato. Ma qualcosa, forse, si sta muovendo.

      Dopo decine di vertici inutili, migliaia di morti nel Mediterraneo, promesse non mantenute si torna a parlare con una certa insistenza della necessità di stabilizzare la Libia e aiutare il paese che si affaccia sul Mediterraneo. Particolarmente attiva in questa fase la Francia di Macron, oltre naturalmente all’Italia.

      Tra i punti in discussione c’è il coinvolgimento di altri paesi africani di transito come Niger e Ciad che potrebbero fungere da filtro. Oltre naturalmente ad aiuti diretti alla Libia. Assegni milionari destinati a una migliore gestione delle frontiere ad esempio.

      Ma è davvero così semplice? E come la mettiamo con le violenze e le torture subite dai migranti nei centri di detenzione? Perché proprio ora l’Europa sembra svegliarsi? Cosa si cela dietro questa competizione soprattutto tra Roma e Parigi nel trovare intese con Tripoli?

      http://www.rsi.ch/rete-uno/programmi/informazione/modem/A-PATTI-CON-LA-LIBIA-9426001.html

    • Le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique adopte un programme de soutien à la gestion intégrée des migrations et des frontières en Libye d’un montant de 46 millions d’euros

      À la suite du plan d’action de la Commission pour soutenir l’Italie, présenté le 4 juillet, le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique a adopté ce jour un programme doté d’une enveloppe de 46 millions d’euros pour renforcer les capacités des autorités libyennes en matière de gestion intégrée des migrations et des frontières.

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-2187_fr.htm

    • L’Europe va verser 200 millions d’euros à la Libye pour stopper les migrants

      Les dirigeants européens se retrouvent ce vendredi à Malte pour convaincre la Libye de freiner les traversées de migrants en Méditerranée. Ils devraient proposer d’équiper et former ses gardes-côtes. Le projet d’ouvrir des camps en Afrique refait surface.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/020217/leurope-va-verser-200-millions-deuros-la-libye-pour-stopper-les-migrants

      –-> pour archivage...

    • Persécutés en Libye : l’Europe est complice

      L’Union européenne dans son ensemble, et l’Italie en particulier, sont complices des violations des droits humains commises contre les réfugiés et les migrants en Libye. Enquête.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/refugies-et-migrants-persecutes-en-libye-leurope-est-complice

      #complicité

      Et l’utilisation du mot « persécutés » n’est évidemment pas été choisi au hasard...
      –-> ça renvoie à la polémique de qui est #réfugié... et du fait que l’UE essaie de dire que les migrants en Libye sont des #migrants_économiques et non pas des réfugiés (comme ceux qui sont en Turquie et/ou en Grèce, qui sont des syriens, donc des réfugiés)...
      Du coup, utiliser le concept de #persécution signifie faire une lien direct avec la Convention sur les réfugiés et admettre que les migrants en Libye sont potentiellement des réfugiés...

      La position de l’UE :

      #Mogherini was questioned about the EU’s strategy of outsourcing the migration crisis to foreign countries such as Libya and Turkey, which received billions to prevent Syrian refugees from crossing to Greece.

      She said the situation was different on two counts: first, the migrants stranded in Libya were not legitimate asylum seekers like those fleeing the war in Syria. And second, different international bodies were in charge.

      “When it comes to Turkey, it is mainly refugees from Syria; when it comes to Libya, it is mainly migrants from Sub-Saharan Africa and the relevant international laws apply in different manners and the relevant UN agencies are different – the UNHC

      https://www.euractiv.com/section/development-policy/news/libya-human-bondage-risks-overshadowing-africa-eu-summit
      voir ici : http://seen.li/dqtt

      Du coup, @sinehebdo, « #persécutés » serait aussi un mot à ajouter à ta longue liste...

    • v. aussi:
      Libya: Libya’s dark web of collusion: Abuses against Europe-bound refugees and migrants

      In recent years, hundreds of thousands of refugees and migrants have braved the journey across Africa to Libya and often on to Europe. In response, the Libyan authorities have used mass indefinite detention as their primary migration management tool. Regrettably, the European Union and Italy in particular, have decided to reinforce the capacity of Libyan authorities to intercept refugees and migrants at sea and transfer them to detention centres. It is essential that the aims and nature of this co-operation be rethought; that the focus shift from preventing arrivals in Europe to protecting the rights of refugees and migrants.

      https://www.amnesty.org/fr/documents/document/?indexNumber=mde19%2f7561%2f2017&language=en
      #rapport

    • Amnesty France : « L’Union Européenne est complice des violations de droits de l’homme en Libye »

      Jean-François Dubost est responsable du Programme Protection des Populations (réfugiés, civils dans les conflits, discriminations) chez Amnesty France. L’ONG publie un rapport sur la responsabilité des gouvernements européens dans les violations des droits humains des réfugiés et des migrants en Libye.

      https://www.franceinter.fr/emissions/l-invite-de-6h20/l-invite-de-6h20-12-decembre-2017
      #responsabilité

    • Accordi e crimini contro l’umanità in un rapporto di Amnesty International

      La Rotta del Mediterraneo centrale, dal Corno d’Africa, dall’Africa subsahariana, al Niger al Ciad ed alla Libia costituisce ormai l’unica via di fuga da paesi in guerra o precipitati in crisi economiche che mettono a repentaglio la vita dei loro abitanti, senza alcuna possibile distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo. Anche perché in Africa, ed in Libia in particolare, la possibilità concreta di chiedere asilo ed ottenere un permesso di soggiorno o un visto, oltre al riconoscimento dello status di rifugiato da parte dell’UNHCR, è praticamente nulla. Le poche persone trasferite in altri paesi europei dai campi libici (resettlement), come i rimpatri volontari ampiamente pubblicizzati, sono soltanto l’ennesima foglia di fico che si sta utilizzando per nascondere le condizioni disumane in cui centinaia di migliaia di persone vengono trattenute sotto sequestro nei centri di detenzione libici , ufficiali o informali. In tutti gravissime violazioni dei diritti umani, anche subito dopo la visita dei rappresentanti dell’UNHCR e dell’OIM, come dichiarano alcuni testimoni.

      https://www.a-dif.org/2017/12/12/accordi-e-crimini-contro-lumanita-in-un-rapporto-di-amnesty-international

    • Bundestag study: Cooperation with Libyan coastguard infringes international conventions

      “Libya is unable to nominate a Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC), and so rescue missions outside its territorial waters are coordinated by the Italian MRCC in Rome. More and more often the Libyan coastguard is being tasked to lead these missions as on-scene-commander. Since refugees are subsequently brought to Libya, the MRCC in Rome may be infringing the prohibition of refoulement contained in the Geneva Convention relating to the Status of Refugees. This, indeed, was also the conclusion reached in a study produced by the Bundestag Research Service. The European Union and its member states must therefore press for an immediate end to this cooperation with the Libyan coastguard”, says Andrej Hunko, European policy spokesman for the Left Party.

      The Italian Navy is intercepting refugees in the Mediterranean and arranging for them to be picked up by Libyan coastguard vessels. The Bundestag study therefore suspects an infringement of the European Human Rights Convention of the Council of Europe. The rights enshrined in the Convention also apply on the high seas.

      Andrej Hunko goes on to say, “For two years the Libyan coastguard has regularly been using force against sea rescuers, and many refugees have drowned during these power games. As part of the EUNAVFOR MED military mission, the Bundeswehr has also been cooperating with the Libyan coastguard and allegedly trained them in sea rescue. I regard that as a pretext to arm Libya for the prevention of migration. This cooperation must be the subject of proceedings before the European Court of Human Rights, because the people who are being forcibly returned with the assistance of the EU are being inhumanely treated, tortured or killed.

      The study also emphasises that the acts of aggression against private rescue ships violate the United Nations Convention on the Law of the Sea. Nothing in that Convention prescribes that sea rescues must be undertaken by a single vessel. On the contrary, masters of other ships even have a duty to render assistance if they cannot be sure that all of the persons in distress will be quickly rescued. This is undoubtedly the case with the brutal operations of the Libyan coastguard.

      The Libyan Navy might soon have its own MRCC, which would then be attached to the EU surveillance system. The European Commission examined this option in a feasibility study, and Italy is now establishing a coordination centre for this purpose in Tripoli. A Libyan MRCC would encourage the Libyan coastguard to throw its weight about even more. The result would be further violations of international conventions and even more deaths.”

      https://andrej-hunko.de/presse/3946-bundestag-study-cooperation-with-libyan-coastguard-infringes-inter

      v. aussi l’étude:
      https://andrej-hunko.de/start/download/dokumente/1109-bundestag-research-services-maritime-rescue-in-the-mediterranean/file

    • Migrants : « La nasse libyenne a été en partie tissée par la France et l’Union européenne »

      Dans une tribune publiée dans « Le Monde », Thierry Allafort-Duverger, le directeur général de Médecins Sans Frontières, juge hypocrite la posture de la France, qui favorise l’interception de migrants par les garde-côtes libyens et dénonce leurs conditions de détention sur place.

      https://www.msf.fr/actualite/articles/migrants-nasse-libyenne-ete-en-partie-tissee-france-et-union-europeenne
      #hypocrisie

    • Libye : derrière l’arbre de « l’esclavage »
      Par Ali Bensaâd, Professeur à l’Institut français de géopolitique, Paris-VIII — 30 novembre 2017 à 17:56

      L’émotion suscitée par les crimes abjectes révélés par CNN ne doit pas occulter un phénomène bien plus vaste et ancien : celui de centaines de milliers de migrants africains qui vivent et travaillent depuis des décennies, en Libye et au Maghreb, dans des conditions extrêmes d’exploitation et d’atteinte à leur dignité.

      L’onde de choc créée par la diffusion de la vidéo de CNN sur la « vente » de migrants en Libye, ne doit pas se perdre en indignations. Et il ne faut pas que les crimes révélés occultent un malheur encore plus vaste, celui de centaines de milliers de migrants africains qui vivent et travaillent depuis des décennies, en Libye et au Maghreb, dans des conditions extrêmes d’exploitation et d’atteinte à leur dignité. Par ailleurs, ces véritables crimes contre l’humanité ne sont, hélas, pas spécifiques de la Libye. A titre d’exemple, les bédouins égyptiens ou israéliens - supplétifs sécuritaires de leurs armées - ont précédé les milices libyennes dans ces pratiques qu’ils poursuivent toujours et qui ont été largement documentées.

      Ces crimes contre l’humanité, en raison de leur caractère particulièrement abject, méritent d’être justement qualifiés. Il faut s’interroger si le qualificatif « esclavage », au-delà du juste opprobre dont il faut entourer ces pratiques, est le plus scientifiquement approprié pour comprendre et combattre ces pratiques d’autant que l’esclavage a été une réalité qui a structuré pendant un millénaire le rapport entre le Maghreb et l’Afrique subsaharienne. Il demeure le non-dit des inconscients culturels des sociétés de part et d’autre du Sahara, une sorte de « bombe à retardement ». « Mal nommer un objet, c’est ajouter au malheur de ce monde » (1) disait Camus. Et la Libye est un condensé des malheurs du monde des migrations. Il faut donc les saisir par-delà le raccourci de l’émotion.

      D’abord, ils ne sont nullement le produit du contexte actuel de chaos du pays, même si celui-ci les aggrave. Depuis des décennies, chercheurs et journalistes ont documenté la difficile condition des migrants en Libye qui, depuis les années 60, font tourner pour l’essentiel l’économie de ce pays rentier. Leur nombre a pu atteindre certaines années jusqu’à un million pour une population qui pouvait alors compter à peine cinq millions d’habitants. C’est dire leur importance dans le paysage économique et social de ce pays. Mais loin de favoriser leur intégration, l’importance de leur nombre a été conjurée par une précarisation systématique et violente comme l’illustrent les expulsions massives et violentes de migrants qui ont jalonné l’histoire du pays notamment en 1979, 1981, 1985, 1995, 2000 et 2007. Expulsions qui servaient tout à la fois à installer cette immigration dans une réversibilité mais aussi à pénaliser ou gratifier les pays dont ils sont originaires pour les vassaliser. Peut-être contraints, les dirigeants africains alors restaient sourds aux interpellations de leurs migrants pour ne pas contrarier la générosité du « guide » dont ils étaient les fidèles clients. Ils se tairont également quand, en 2000, Moussa Koussa, l’ancien responsable des services libyens, aujourd’hui luxueusement réfugié à Londres, a organisé un véritable pogrom où périrent 500 migrants africains assassinés dans des « émeutes populaires » instrumentalisées. Leur but était cyniquement de faire avaliser, par ricochet, la nouvelle orientation du régime favorable à la normalisation et l’ouverture à l’Europe et cela en attisant un sentiment anti-africain pour déstabiliser la partie de la vieille garde qui y était rétive. Cette normalisation, faite en partie sur le cadavre de migrants africains, se soldera par l’intronisation de Kadhafi comme gardien des frontières européennes. Les migrants interceptés et ceux que l’Italie refoule, en violation des lois européennes, sont emprisonnés, parfois dans les mêmes lieux aujourd’hui, et soumis aux mêmes traitements dégradants.

      En 2006, ce n’était pas 260 migrants marocains qui croupissaient comme aujourd’hui dans les prisons libyennes, ceux dont la vidéo a ému l’opinion, mais 3 000 et dans des conditions tout aussi inhumaines. Kadhafi a signé toutes les conventions que les Européens ont voulues, sachant qu’il n’allait pas les appliquer. Mais lorsque le HCR a essayé de prendre langue avec le pouvoir libyen au sujet de la convention de Genève sur les réfugiés, Kadhafi ferma les bureaux du HCR et expulsa, en les humiliant, ses dirigeants le 9 juin 2010. Le même jour, débutait un nouveau round de négociations en vue d’un accord de partenariat entre la Libye et l’Union européenne et le lendemain, 10 juin, Kadhafi était accueilli en Italie. Une année plus tard, alors même que le CNT n’avait pas encore établi son autorité sur le pays et que Kadhafi et ses troupes continuaient à résister, le CNT a été contraint de signer avec l’Italie un accord sur les migrations dont un volet sur la réadmission des migrants transitant par son territoire. Hier, comme aujourd’hui, c’est à la demande expresse et explicite de l’UE que les autorités libyennes mènent une politique de répression et de rétention de migrants. Et peut-on ignorer qu’aujourd’hui traiter avec les pouvoirs libyens, notamment sur les questions sécuritaires, c’est traiter de fait avec des milices dont dépendent ces pouvoirs eux-mêmes pour leur propre sécurité ? Faut-il s’étonner après cela de voir des milices gérer des centres de rétention demandés par l’UE ?

      Alors que peine à émerger une autorité centrale en Libye, les pays occidentaux n’ont pas cessé de multiplier les exigences à l’égard des fragiles centres d’un pouvoir balbutiant pour leur faire prendre en charge leur protection contre les migrations et le terrorisme au risque de les fragiliser comme l’a montré l’exemple des milices de Misrata. Acteur important de la réconciliation et de la lutte contre les extrémistes, elles ont été poussées, à Syrte, à combattre Daech quasiment seules. Elles en sont sorties exsangues, rongées par le doute et fragilisées face à leurs propres extrémistes. Les rackets, les kidnappings et le travail forcé pour ceux qui ne peuvent pas payer, sont aussi le lot des Libyens, notamment ceux appartenant au camp des vaincus, détenus dans ce que les Libyens nomment « prisons clandestines ». Libyens, mais plus souvent migrants qui ne peuvent payer, sont mis au travail forcé pour les propres besoins des miliciens en étant « loués » ponctuellement le temps d’une captivité qui dure de quelques semaines à quelques mois pour des sommes dérisoires.

      Dans la vidéo de CNN, les sommes évoquées, autour de 400 dinars libyens, sont faussement traduites par les journalistes, selon le taux officiel fictif, en 400 dollars. En réalité, sur le marché réel, la valeur est dix fois inférieure, un dollar valant dix dinars libyens et un euro, douze. Faire transiter un homme, même sur la seule portion saharienne du territoire, rapporte 15 fois plus (500 euros) aux trafiquants et miliciens. C’est par défaut que les milices se rabattent sur l’exploitation, un temps, de migrants désargentés mais par ailleurs encombrants.

      La scène filmée par CNN est abjecte et relève du crime contre l’humanité. Mais il s’agit de transactions sur du travail forcé et de corvées. Il ne s’agit pas de vente d’hommes. Ce n’est pas relativiser ou diminuer ce qui est un véritable crime contre l’humanité, mais il faut justement qualifier les objets. Il s’agit de pratiques criminelles de guerre et de banditisme qui exploitent les failles de politiques migratoires globales. On n’assiste pas à une résurgence de l’esclavage. Il ne faut pas démonétiser l’indignation et la vigilance en recourant rapidement aux catégories historiques qui mobilisent l’émotion. Celle-ci retombe toujours. Et pendant que le débat s’enflamme sur « l’esclavage », la même semaine, des centaines d’hommes « libres » sont morts, noyés en Méditerranée, s’ajoutant à des dizaines de milliers qui les avaient précédés.

      (1) C’est la véritable expression utilisée par Camus dans un essai de 1944, paru dans Poésie 44, (Sur une philosophie de l’expression), substantiellement très différente, en termes philosophiques, de ce qui sera reporté par la suite : « Mal nommer les choses, c’est ajouter aux malheurs du monde. »

      http://www.liberation.fr/debats/2017/11/30/libye-derriere-l-arbre-de-l-esclavage_1613662

    • Quand l’Union européenne veut bloquer les exilé-e-s en Libye

      L’Union européenne renforce les capacités des garde-côtes Libyens pour qu’ils interceptent les bateaux d’exilé-e-s dans les eaux territoriales et les ramènent en Libye. Des navires de l’#OTAN patrouillent au large prétendument pour s’attaquer aux « bateaux de passeurs », ce qui veut dire que des moyens militaires sont mobilisés pour empêcher les exilé-e-s d’atteindre les côtes européennes. L’idée a été émise de faire le tri, entre les personnes qui relèveraient de l’asile et celles qui seraient des « migrants économiques » ayant « vocation » à être renvoyés, sur des bateaux ua large de la Libye plutôt que sur le sol italien, créant ainsi des « #hotspots_flottants« .

      https://lampedusauneile.wordpress.com/2016/07/15/quand-lunion-europeenne-veut-bloquer-les-exile-e-s-en-lib

    • Le milizie libiche catturano in mare centinaia di migranti in fuga verso l’Europa. E li richiudono in prigione. Intanto l’Unione Europea si prepara ad inviare istruttori per rafforzare le capacità di arresto da parte della polizia libica. Ma in Libia ci sono tante «guardie costiere» ed ognuna risponde ad un governo diverso.

      Sembra di ritornare al 2010, quando dopo i respingimenti collettivi in Libia eseguiti direttamente da mezzi della Guardia di finanza italiana a partire dal 7 maggio 2009, in base agli accordi tra Berlusconi e Gheddafi, si inviarono in Libia agenti della Guardia di finanza per istruire la Guardia Costiera libica nelle operazioni di blocco dei migranti che erano riusciti a fuggire imbarcandosi su mezzi sempre più fatiscenti.

      http://dirittiefrontiere.blogspot.ch/2016/05/le-milizie-libiche-catturano-in-mare.html?m=1

    • Merkel, Hollande Warn Libya May Be Next Big Migrant Staging Area

      The European Union may need an agreement with Libya to restrict refugee flows similar to one with Turkey as the North African country threatens to become the next gateway for migrants to Europe, the leaders of Germany and France said.

      http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-04-07/merkel-hollande-warn-libya-may-be-next-big-migrant-staging-area
      #accord #Libye #migrations #réfugiés #asile #politique_migratoire #externalisation #UE #Europe

    • Le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique adopte un programme de 90 millions € pour la protection des migrants et l’amélioration de la gestion des migrations en Libye

      Dans le prolongement de la communication conjointe sur la route de la Méditerranée centrale et de la déclaration de Malte, le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique a adopté ce jour, sur proposition de la Commission européenne, un programme de 90 millions € visant à renforcer la protection des migrants et à améliorer la gestion des migrations en Libye.

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-951_fr.htm

    • L’Europa non può affidare alla Libia le vite dei migranti

      “Il rischio è che Italia ed Europa si rendano complici delle violazioni dei diritti umani commesse in Libia”, dice il direttore generale di Medici senza frontiere (Msf) Arjan Hehenkamp. Mentre le organizzazioni non governative che salvano i migranti nel Mediterraneo centrale sono al centro di un processo di criminalizzazione, l’Italia e l’Europa stanno cercando di delegare alle autorità libiche la soluzione del problema degli sbarchi.

      http://www.internazionale.it/video/2017/05/04/ong-libia-migranti

    • MSF accuses Libyan coastguard of endangering people’s lives during Mediterranean rescue

      During a rescue in the Mediterranean Sea on 23 May, the Libyan coastguard approached boats in distress, intimidated the passengers and then fired gunshots into the air, threatening people’s lives and creating mayhem, according to aid organisations Médecins Sans Frontières and SOS Méditerranée, whose teams witnessed the violent incident.

      http://www.msf.org/en/article/msf-accuses-libyan-coastguard-endangering-people%E2%80%99s-lives-during-mediter

    • Enquête. Le chaos libyen est en train de déborder en Méditerranée

      Pour qu’ils bloquent les flux migratoires, l’Italie, appuyée par l’UE, a scellé un accord avec les gardes-côtes libyens. Mais ils ne sont que l’une des très nombreuses forces en présence dans cet État en lambeaux. Désormais la Méditerranée devient dangereuse pour la marine italienne, les migrants, et les pêcheurs.


      http://www.courrierinternational.com/article/enquete-le-chaos-libyen-est-en-train-de-deborder-en-mediterra

    • Architect of EU-Turkey refugee pact pushes for West Africa deal

      “Every migrant from West Africa who survives the dangerous journey from Libya to Italy remains in Europe for years afterwards — regardless of the outcome of his or her asylum application,” Knaus said in an interview.

      To accelerate the deportations of rejected asylum seekers to West African countries that are considered safe, the EU needs to forge agreements with their governments, he said.

      http://www.politico.eu/article/migration-italy-libya-architect-of-eu-turkey-refugee-pact-pushes-for-west-a
      cc @i_s_

      Avec ce commentaire de Francesca Spinelli :

    • Pour 20 milliards, la Libye pourrait bloquer les migrants à sa frontière sud

      L’homme fort de l’Est libyen, Khalifa Haftar, estime à « 20 milliards de dollars sur 20 ou 25 ans » l’effort européen nécessaire pour aider à bloquer les flux de migrants à la frontière sud du pays.

      https://www.rts.ch/info/monde/8837947-pour-20-milliards-la-libye-pourrait-bloquer-les-migrants-a-sa-frontiere-

    • Bruxelles offre 200 millions d’euros à la Libye pour freiner l’immigration

      La Commission européenne a mis sur la table de nouvelles mesures pour freiner l’arrivée de migrants via la mer méditerranée, dont 200 millions d’euros pour la Libye. Un article de notre partenaire Euroefe.

      http://www.euractiv.fr/section/l-europe-dans-le-monde/news/bruxelles-offre-200-millions-deuros-a-la-libye-pour-freiner-limmigration/?nl_ref=29858390

      #Libye #asile #migrations #accord #deal #réfugiés #externalisation
      cc @reka

    • Stuck in Libya. Migrants and (Our) Political Responsibilities

      Fighting at Tripoli’s international airport was still under way when, in July 2014, the diplomatic missions of European countries, the United States and Canada were shut down. At that time Italy decided to maintain a pied-à-terre in place in order to preserve the precarious balance of its assets in the two-headed country, strengthening security at its local headquarters on Tripoli’s seafront. On the one hand there was no forsaking the Mellitah Oil & Gas compound, controlled by Eni and based west of Tripoli. On the other, the Libyan coast also had to be protected to assist the Italian forces deployed in Libyan waters and engaged in the Mare Nostrum operation to dismantle the human smuggling network between Libya and Italy, as per the official mandate. But the escalation of the civil war and the consequent deterioration of security conditions led Rome to leave as well, in February 2015.

      http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/stuck-libya-migrants-and-our-political-responsibilities-16294

    • Libia: diritto d’asilo cercasi, smarrito fra Bruxelles e Tripoli (passando per Roma)

      La recente Comunicazione congiunta della Commissione e dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, il Memorandum Italia-Libia firmato il 2 febbraio e la Dichiarazione uscita dal Consiglio europeo di venerdì 3 alla Valletta hanno delineato un progetto di chiusura della “rotta” del Mediterraneo centrale che rischia di seppellire, di fatto, il diritto d’asilo nel Paese e ai suoi confini.

      http://viedifuga.org/libia-diritto-d-asilo-cercasi-smarrito-fra-bruxelles-e-tripoli

    • Immigration : l’Union européenne veut aider la Libye

      L’Union européenne veut mettre fin à ces traversées entre la Libye et l’Italie. Leur plan passe par une aide financière aux autorités libyennes.

      http://www.rts.ch/play/tv/19h30/video/immigration-lunion-europeenne-veut-aider-la-libye?id=8360849

      Dans ce bref reportage, la RTS demande l’opinion d’Etienne Piguet (prof en géographie des migrations à l’Université de Neuchâtel) :
      « L’Union européenne veut absolument limiter les arrivées, mais en même temps on ne peut pas simplement refouler les gens. C’est pas acceptable du point de vue des droits humains. Donc l’UE essaie de mettre en place un système qui tient les gens à distance tout en leur offrant des conditions acceptables d’accueil » (en Libye, entend-il)
      Je m’abstiens de tout commentaire.

    • New EU Partnerships in North Africa: Potential to Backfire?

      As European leaders meet in Malta to receive a progress report on the EU flagship migration partnership framework, the European Union finds itself in much the same position as two years earlier, with hundreds of desperate individuals cramming into flimsy boats and setting off each week from the Libyan coast in hope of finding swift rescue and passage in Europe. Options to reduce flows unilaterally are limited. Barred by EU law from “pushing back” vessels encountered in the Mediterranean, the European Union is faced with no alternative but to rescue and transfer passengers to European territory, where the full framework of European asylum law applies. Member States are thus looking more closely at the role transit countries along the North African coastline might play in managing these flows across the Central Mediterranean. Specifically, they are examining the possibility of reallocating responsibility for search and rescue to Southern partners, thereby decoupling the rescue missions from territorial access to international protection in Europe.

      http://www.migrationpolicy.org/news/new-eu-partnerships-north-africa-potential-backfire

    • Migration: MSF warns EU about inhumane approach to migration management

      As European Union (EU) leaders meet in Malta today to discuss migration, with a view to “close down the route from Libya to Italy” by stepping up cooperation with the Libyan authorities, we want to raise grave concerns about the fate of people trapped in Libya or returned to the country. Médecins Sans Frontières (MSF) has been providing medical care to migrants, refugees and asylum seekers detained in Tripoli and the surrounding area since July 2016 and people are detained arbitrarily in inhumane and unsanitary conditions, often without enough food and clean water and with a lack of access to medical care.

      http://www.msf.org/en/article/migration-msf-warns-eu-about-inhumane-approach-migration-management

    • EU and Italy migration deal with Libya draws sharp criticism from Libyan NGOs

      Twelve Libyan non-governmental organisations (NGOs) have issued a joint statement criticising the EU’s latest migrant policy as set out at the Malta summit a week ago as well as the Italy-Libya deal signed earlier which agreed that migrants should be sent back to Libya and repartiated voluntarily from there. Both represented a fundamental “immoral and inhumane attitude” towards migrants, they said. International human rights and calls had to be respected.

      https://www.libyaherald.com/2017/02/10/eu-and-italy-migration-deal-with-libya-draws-sharp-criticism-from-libya

    • Libya is not Turkey: why the EU plan to stop Mediterranean migration is a human rights concern

      EU leaders have agreed to a plan that will provide Libya’s UN-backed government €200 million for dealing with migration. This includes an increase in funding for the Libyan coastguard, with an overall aim to stop migrant boats crossing the Mediterranean to Italy.

      https://theconversation.com/libya-is-not-turkey-why-the-eu-plan-to-stop-mediterranean-migration

    • EU aims to step up help to Libya coastguards on migrant patrols

      TUNIS (Reuters) - The European Union wants to rapidly expand training of Libyan coastguards to stem migrant flows to Italy and reduce deaths at sea, an EU naval mission said on Thursday, signaling a renewed push to support a force struggling to patrol its own coasts.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya/eu-aims-to-step-up-help-to-libya-coastguards-on-migrant-patrols-idUSKCN1GR3

      #UE #EU

    • Why Cooperating With Libya on Migration Could Damage the EU’s Standing

      Italy and the Netherlands began training Libyan coast guard and navy officers on Italian and Dutch navy ships in the Mediterranean earlier in October. The training is part of the European Union’s anti-smuggling operation in the central Mediterranean with the goal of enhancing Libya’s “capability to disrupt smuggling and trafficking… and to perform search-and-rescue activities.”

      http://europe.newsweek.com/why-cooperating-libya-migration-could-damage-eus-standing-516099?rm
      #asile #migrations #réfugiés #Europe #UE #EU #Libye #coopération #externalisation #Méditerranée #Italie #Pays-Bas #gardes-côtes

    • Les migrants paient le prix fort de la coopération entre l’UE et les garde-côtes libyens

      Nombre de dirigeants européens appellent à une « coopération » renforcée avec les garde-côtes libyens. Mais une fois interceptés en mer, ces migrants sont renvoyés dans des centres de détention indignes et risquent de retomber aux mains de trafiquants.

      C’est un peu la bouée de sauvetage des dirigeants européens. La « coopération » avec la Libye et ses légions de garde-côtes reste l’une des dernières politiques à faire consensus dans les capitales de l’UE, s’agissant des migrants. Initiée en 2016 pour favoriser l’interception d’embarcations avant leur entrée dans les eaux à responsabilité italienne ou maltaise, elle a fait chuter le nombre d’arrivées en Europe.

      Emmanuel Macron en particulier s’en est félicité, mardi 26 juin, depuis le Vatican : « La capacité à fermer cette route [entre la Libye et l’Italie, ndlr] est la réponse la plus efficace » au défi migratoire. Selon lui, ce serait même « la plus humaine ». Alors qu’un Conseil européen crucial s’ouvre ce jeudi 28 juin, le président français appelle donc à « renforcer » cette coopération avec Tripoli.

      Convaincu qu’il faut laisser les Libyens travailler, il s’en est même pris, mardi, aux bateaux humanitaires et en particulier au Lifeline, le navire affrété par une ONG allemande qui a débarqué 233 migrants mercredi soir à Malte (après une semaine d’attente en mer et un blocus de l’Italie), l’accusant d’être « intervenu en contravention de toutes les règles et des garde-côtes libyens ». Lancé, Emmanuel Macron est allé jusqu’à reprocher aux bateaux des ONG de faire « le jeu des passeurs ».

      Inédite dans sa bouche (mais entendue mille fois dans les diatribes de l’extrême droite transalpine), cette sentence fait depuis bondir les organisations humanitaires les unes après les autres, au point que Médecins sans frontières (qui affrète l’Aquarius avec SOS Méditerranée), Amnesty International France, La Cimade et Médecins du monde réclament désormais un rendez-vous à l’Élysée, se disant « consternées ».

      Ravi, lui, le ministre de l’intérieur italien et leader d’extrême droite, Matteo Salvini, en a profité pour annoncer mercredi un don exceptionnel en faveur des garde-côtes de Tripoli, auxquels il avait rendu visite l’avant-veille : 12 navires de patrouille, une véritable petite flotte.

      En deux ans, la coopération avec ce pays de furie qu’est la Libye post-Kadhafi semble ainsi devenue la solution miracle, « la plus humaine » même, que l’UE ait dénichée face au défi migratoire en Méditerranée centrale. Comment en est-on arrivé là ? Jusqu’où va cette « coopération » qualifiée de « complicité » par certaines ONG ? Quels sont ses résultats ?

      • Déjà 8 100 interceptions en mer
      À ce jour, en 2018, environ 16 000 migrants ont réussi à traverser jusqu’en Italie, soit une baisse de 77 % par rapport à l’an dernier. Sur ce point, Emmanuel Macron a raison : « Nous avons réduit les flux. » Les raisons, en réalité, sont diverses. Mais de fait, plus de 8 100 personnes parties de Libye ont déjà été rattrapées par les garde-côtes du pays cette année et ramenées à terre, d’après le Haut Commissariat aux réfugiés (le HCR). Contre 800 en 2015.

      Dans les écrits de cette agence de l’ONU, ces migrants sont dits « sauvés/interceptés », sans qu’il soit tranché entre ces deux termes, ces deux réalités. À lui seul, ce « / » révèle toute l’ambiguïté des politiques de coopération de l’UE : si Bruxelles aime penser que ces vies sont sauvées, les ONG soulignent qu’elles sont surtout ramenées en enfer. Certains, d’ailleurs, préfèrent sauter de leur bateau pneumatique en pleine mer plutôt que retourner en arrière.

      • En Libye, l’« abominable » sort des migrants (source officielle)
      Pour comprendre les critiques des ONG, il faut rappeler les conditions inhumaines dans lesquelles les exilés survivent dans cet « État tampon », aujourd’hui dirigé par un gouvernement d’union nationale ultra contesté (basé à Tripoli), sans contrôle sur des parts entières du territoire. « Ce que nous entendons dépasse l’entendement, rapporte l’un des infirmiers de l’Aquarius, qui fut du voyage jusqu’à Valence. Les migrants subsahariens sont affamés, assoiffés, torturés. » Parmi les 630 passagers débarqués en Espagne, l’une de ses collègues raconte avoir identifié de nombreux « survivants de violences sexuelles », « des femmes et des hommes à la fois, qui ont vécu le viol et la torture sexuelle comme méthodes d’extorsion de fonds », les familles étant souvent soumises au chantage par téléphone. Un diagnostic dicté par l’émotion ? Des exagérations de rescapés ?

      Le même constat a été officiellement dressé, dès janvier 2017, par le Haut-Commissariat aux droits de l’homme de l’ONU. « Les migrants se trouvant sur le sol libyen sont victimes de détention arbitraire dans des conditions inhumaines, d’actes de torture, notamment de violence sexuelle, d’enlèvements visant à obtenir une rançon, de racket, de travail forcé et de meurtre », peut-on lire dans son rapport, où l’on distingue les centres de détention officiels dirigés par le Service de lutte contre la migration illégale (relevant du ministère de l’intérieur) et les prisons clandestines tenues par des milices armées.

      Même dans les centres gouvernementaux, les exilés « sont détenus arbitrairement sans la moindre procédure judiciaire, en violation du droit libyen et des normes internationales des droits de l’homme. (…) Ils sont souvent placés dans des entrepôts dont les conditions sont abominables (…). Des surveillants refusent aux migrants l’accès aux toilettes, les obligeant à uriner et à déféquer [là où ils sont]. Dans certains cas, les migrants souffrent de malnutrition grave [environ un tiers de la ration calorique quotidienne minimale]. Des sources nombreuses et concordantes [évoquent] la commission d’actes de torture, notamment des passages à tabac, des violences sexuelles et du travail forcé ».

      Sachant qu’il y a pire à côté : « Des groupes armés et des trafiquants détiennent d’autres migrants dans des lieux non officiels. » Certaines de ces milices, d’ailleurs, « opèrent pour le compte de l’État » ou pour « des agents de l’État », pointe le rapport. Le marché du kidnapping, de la vente et de la revente, est florissant. C’est l’enfer sans même Lucifer pour l’administrer.

      En mai dernier, par exemple, une centaine de migrants a réussi à s’évader d’une prison clandestine de la région de Bani Walid, où MSF gère une clinique de jour. « Parmi les survivants que nous avons soignés, des jeunes de 16 à 18 ans en majorité, certains souffrent de blessures par balles, de fractures multiples, de brûlures, témoigne Christophe Biteau, chef de mission de l’ONG en Libye. Certains nous racontent avoir été baladés, détenus, revendus, etc., pendant trois ans. » Parfois, MSF recueille aussi des migrants relâchés « spontanément » par leurs trafiquants : « Un mec qui commence à tousser par exemple, ils n’en veulent plus à cause des craintes de tuberculose. Pareil en cas d’infections graves. Il y a comme ça des migrants, sur lesquels ils avaient investi, qu’ils passent par “pertes et profits”, si j’ose dire. »

      Depuis 2017, et surtout les images d’un marché aux esclaves diffusées sur CNN, les pressions de l’ONU comme de l’UE se sont toutefois multipliées sur le gouvernement de Tripoli, afin qu’il s’efforce de vider les centres officiels les plus honteux – 18 ont été fermés, d’après un bilan de mars dernier. Mais dans un rapport récent, daté de mai 2018, le secrétaire général de l’ONU persiste : « Les migrants continuent d’être sujets (…) à la torture, à du rançonnement, à du travail forcé et à des meurtres », dans des « centres officiels et non officiels ». Les auteurs ? « Des agents de l’État, des groupes armés, des trafiquants, des gangs criminels », encore et encore.

      Au 21 juin, plus de 5 800 personnes étaient toujours détenues dans les centres officiels. « Nous en avons répertorié 33, dont 4 où nous avons des difficultés d’accès », précise l’envoyé spécial du HCR pour la situation en Méditerranée centrale, Vincent Cochetel, qui glisse au passage : « Il est arrivé que des gens disparaissent après nous avoir parlé. » Surtout, ces derniers jours, avec la fin du ramadan et les encouragements des dirigeants européens adressés aux garde-côtes libyens, ces centres de détention se remplissent à nouveau.

      • Un retour automatique en détention
      Car c’est bien là, dans ces bâtiments gérés par le ministère de l’intérieur, que sont théoriquement renvoyés les migrants « sauvés/interceptés » en mer. Déjà difficile, cette réalité en cache toutefois une autre. « Les embarcations des migrants décollent en général de Libye en pleine nuit, raconte Christophe Biteau, de MSF. Donc les interceptions par les garde-côtes se font vers 2 h ou 3 h du matin et les débarquements vers 6 h. Là, avant l’arrivée des services du ministère de l’intérieur libyen et du HCR (dont la présence est autorisée sur la douzaine de plateformes de débarquement utilisées), il y a un laps de temps critique. » Où tout peut arriver.

      L’arrivée à Malte, mercredi 27 juin 2018, des migrants sauvés par le navire humanitaire « Lifeline » © Reuters
      Certains migrants de la Corne de l’Afrique (Érythrée, Somalie, etc.), réputés plus « solvables » que d’autres parce qu’ils auraient des proches en Europe jouissant déjà du statut de réfugiés, racontent avoir été rachetés à des garde-côtes par des trafiquants. Ces derniers répercuteraient ensuite le prix d’achat de leur « marchandise » sur le tarif de la traversée, plus chère à la seconde tentative… Si Christophe Biteau ne peut témoigner directement d’une telle corruption de garde-côtes, il déclare sans hésiter : « Une personne ramenée en Libye peut très bien se retrouver à nouveau dans les mains de trafiquants. »

      Au début du mois de juin, le Conseil de sécurité de l’ONU (rien de moins) a voté des sanctions à l’égard de six trafiquants de migrants (gel de comptes bancaires, interdiction de voyager, etc.), dont le chef d’une unité de… garde-côtes. D’autres de ses collègues ont été suspectés par les ONG de laisser passer les embarcations siglées par tel ou tel trafiquant, contre rémunération.

      En tout cas, parmi les migrants interceptés et ramenés à terre, « il y a des gens qui disparaissent dans les transferts vers les centres de détention », confirme Vincent Cochetel, l’envoyé spécial du HCR. « Sur les plateformes de débarquement, on aimerait donc mettre en place un système d’enregistrement biométrique, pour essayer de retrouver ensuite les migrants dans les centres, pour protéger les gens. Pour l’instant, on n’a réussi à convaincre personne. » Les « kits médicaux » distribués sur place, financés par l’UE, certes utiles, ne sont pas à la hauteur de l’enjeu.

      • Des entraînements financés par l’UE
      Dans le cadre de l’opération Sophia (théoriquement destinée à lutter contre les passeurs et trafiquants dans les eaux internationales de la Méditerranée), Bruxelles a surtout décidé, en juin 2016, d’initier un programme de formation des garde-côtes libyens, qui a démarré l’an dernier et déjà bénéficié à 213 personnes. C’est que, souligne-t-on à Bruxelles, les marines européennes ne sauraient intervenir elles-mêmes dans les eaux libyennes.

      Il s’agit à la fois d’entraînements pratiques et opérationnels (l’abordage de canots, par exemple) visant à réduire les risques de pertes humaines durant les interventions, et d’un enseignement juridique (droit maritimes, droits humains, etc.), notamment à destination de la hiérarchie. D’après la commission européenne, tous les garde-côtes bénéficiaires subissent un « check de sécurité » avec vérifications auprès d’Interpol et Europol, voire des services de renseignement des États membres, pour écarter les individus les plus douteux.

      Il faut dire que les besoins de « formation » sont – pour le moins – criants. À plusieurs reprises, des navires humanitaires ont été témoins d’interceptions violentes, sinon criminelles. Sur une vidéo filmée depuis le Sea Watch (ONG allemande) en novembre dernier, on a vu des garde-côtes frapper certains des migrants repêchés, puis redémarrer alors qu’un homme restait suspendu à l’échelle de bâbord, sans qu’aucun Zodiac de secours ne soit jamais mis à l’eau. « Ils étaient cassés », ont répondu les Libyens.

      Un « sauvetage » effectué en novembre 2017 par des garde-côtes Libyens © Extrait d’une vidéo publiée par l’ONG allemande Sea Watch
      Interrogée sur le coût global de ces formations, la commission indique qu’il est impossible à chiffrer, Frontex (l’agence de garde-côtes européenne) pouvant participer aux sessions, tel État membre fournir un bateau, tel autre un avion pour trimballer les garde-côtes, etc.

      • La fourniture d’équipements en direct
      En décembre, un autre programme a démarré, plus touffu, financé cette fois via le « Fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique » (le fonds d’urgence européen mis en place en 2015 censément pour prévenir les causes profondes des migrations irrégulières et prendre le problème à la racine). Cette fois, il s’agit non plus seulement de « formation », mais de « renforcement des capacités opérationnelles » des garde-côtes libyens, avec des aides directes à l’équipement de bateaux (gilets, canots pneumatiques, appareils de communication, etc.), à l’entretien des navires, mais aussi à l’équipement des salles de contrôle à terre, avec un objectif clair en ligne de mire : aider la Libye à créer un « centre de coordination de sauvetage maritime » en bonne et due forme, pour mieux proclamer une « zone de recherche et sauvetage » officielle, au-delà de ses seules eaux territoriales actuelles. La priorité, selon la commission à Bruxelles, reste de « sauver des vies ».

      Budget annoncé : 46 millions d’euros avec un co-financement de l’Italie, chargée de la mise en œuvre. À la marge, les garde-côtes libyens peuvent d’ailleurs profiter d’autres programmes européens, tel « Seahorse », pour de l’entraînement à l’utilisation de radars.

      L’Italie, elle, va encore plus loin. D’abord, elle fournit des bateaux aux garde-côtes. Surtout, en 2017, le ministre de l’intérieur transalpin a rencontré les maires d’une dizaine de villes libyennes en leur faisant miroiter l’accès au Fonds fiduciaire pour l’Afrique de l’UE, en contrepartie d’un coup de main contre le trafic de migrants. Et selon diverses enquêtes (notamment des agences de presse Reuters et AP), un deal financier secret aurait été conclu à l’été 2017 entre l’Italie et des représentants de milices, à l’époque maîtresses des départs d’embarcations dans la région de Sabratha. Rome a toujours démenti, mais les appareillages dans ce coin ont brutalement cessé pour redémarrer un peu plus loin. Au bénéfice d’autres milices.

      • L’aide à l’exfiltration de migrants
      En même temps, comme personne ne conteste plus l’enfer des conditions de détention et que tout le monde s’efforce officiellement de vider les centres du régime en urgence, l’UE travaille aussi à la « réinstallation » en Europe des exilés accessibles au statut de réfugié, ainsi qu’au rapatriement dans leur pays d’origine des migrants dits « économiques » (sur la base du volontariat en théorie). Dans le premier cas, l’UE vient en soutien du HCR ; dans le second cas, en renfort de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM).

      L’objectif affiché est limpide : épargner des prises de risque en mer inutiles aux réfugiés putatifs (Érythréens, Somaliens, etc.), comme à ceux dont la demande à toutes les chances d’être déboutée une fois parvenus en Europe, comme les Ivoiriens par exemple. Derrière les éléments de langage, que disent les chiffres ?

      Selon le HCR, seuls 1 730 réfugiés et demandeurs d’asile prioritaires ont pu être évacués depuis novembre 2017, quelques-uns directement de la Libye vers l’Italie (312) et la Roumanie (10), mais l’essentiel vers le Niger voisin, où les autorités ont accepté d’accueillir une plateforme d’évacuations de 1 500 places en échange de promesses de « réinstallations » rapides derrière, dans certains pays de l’UE.

      Et c’est là que le bât blesse. Paris, par exemple, s’est engagé à faire venir 3 000 réfugiés de Niamey (Niger), mais n’a pas tenu un vingtième de sa promesse. L’Allemagne ? Zéro.

      « On a l’impression qu’une fois qu’on a évacué de Libye, la notion d’urgence se perd », regrette Vincent Cochetel, du HCR. Une centaine de migrants, surtout des femmes et des enfants, ont encore été sortis de Libye le 19 juin par avion. « Mais on va arrêter puisqu’on n’a plus de places [à Niamey], pointe le représentant du HCR. L’heure de vérité approche. On ne peut pas demander au Niger de jouer ce rôle si on n’est pas sérieux derrière, en termes de réinstallations. Je rappelle que le Niger a plus de réfugiés sur son territoire que la France par exemple, qui fait quand même des efforts, c’est vrai. Mais on aimerait que ça aille beaucoup plus vite. » Le HCR discute d’ailleurs avec d’autres États africains pour créer une seconde « plateforme d’évacuation » de Libye, mais l’exemple du Niger, embourbé, ne fait pas envie.

      Quant aux rapatriements vers les pays d’origine des migrants dits « économiques », mis en œuvre avec l’OIM (autre agence onusienne), les chiffres atteignaient 8 546 à la mi-juin. « On peut questionner le caractère volontaire de certains de ces rapatriements, complète Christophe Biteau, de MSF. Parce que vu les conditions de détention en Libye, quand on te dit : “Tu veux que je te sorte de là et que je te ramène chez toi ?”… Ce n’est pas vraiment un choix. » D’ailleurs, d’après l’OIM, les rapatriés de Libye sont d’abord Nigérians, puis Soudanais, alors même que les ressortissants du Soudan accèdent à une protection de la France dans 75 % des cas lorsqu’ils ont l’opportunité de voir leur demande d’asile examinée.
      En résumé, sur le terrain, la priorité des États de l’UE va clairement au renforcement du mur de la Méditerranée et de ses Cerbère, tandis que l’extraction de réfugiés, elle, reste cosmétique. Pour Amnesty International, cette attitude de l’Union, et de l’Italie au premier chef, serait scandaleuse : « Dans la mesure où ils ont joué un rôle dans l’interception des réfugiés et des migrants, et dans la politique visant à les contenir en Libye, ils partagent avec celle-ci la responsabilité des détentions arbitraires, de la torture et autres mauvais traitements infligés », tance un rapport de l’association publié en décembre dernier.

      Pour le réseau Migreurop (regroupant chercheurs et associations spécialisés), « confier le contrôle des frontières maritimes de l’Europe à un État non signataire de la Convention de Genève [sur les droits des réfugiés, ndlr] s’apparente à une politique délibérée de contournement des textes internationaux et à une sous-traitance des pires violences à l’encontre des personnes exerçant leur droit à émigrer ». Pas sûr que les conclusions du conseil européen de jeudi et vendredi donnent, à ces organisations, la moindre satisfaction.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/280618/les-migrants-paient-le-prix-fort-de-la-cooperation-entre-lue-et-les-garde-

    • Au Niger, l’Europe finance plusieurs projets pour réduire le flux de migrants

      L’Union européenne a invité des entreprises du vieux continent au Niger afin qu’elles investissent pour améliorer les conditions de vie des habitants. Objectif : réduire le nombre de candidats au départ vers l’Europe.

      Le Niger est un pays stratégique pour les Européens. C’est par là que transitent la plupart des migrants qui veulent rejoindre l’Europe. Pour réduire le flux, l’Union européenne finance depuis 2015 plusieurs projets et veut désormais créer un tissu économique au Niger pour dissuader les candidats au départ. Le président du Parlement européen, Antonio Tajani, était, la semaine dernière dans la capitale nigérienne à Niamey, accompagné d’une trentaine de chefs d’entreprise européens à la recherche d’opportunités d’investissements.
      Baisse du nombre de départ de 90% en deux ans

      Le nombre de migrants qui a quitté le Niger pour rejoindre la Libye avant de tenter la traversée vers l’Europe a été réduit de plus de 90% ces deux dernières années. Notamment grâce aux efforts menés par le gouvernement nigérien avec le soutien de l’Europe pour mieux contrôler la frontière entre le Niger et la Libye. Mais cela ne suffit pas selon le président du Parlement européen, Antonio Tajani. « En 2050, nous aurons deux milliards cinq cents millions d’Africains, nous ne pourrons pas bloquer avec la police et l’armée l’immigration, donc voilà pourquoi il faut intervenir tout de suite ». Selon le président du Parlement européen, il faut donc améliorer les conditions de vie des Nigériens pour les dissuader de venir en Europe.
      Des entreprises françaises vont investir au Niger

      La société française #Sunna_Design, travaille dans le secteur de l’éclairage public solaire et souhaite s’implanter au Niger. Pourtant les difficultés sont nombreuses, notamment la concurrence chinoise, l’insécurité, ou encore la mauvaise gouvernance. Stéphane Redon, le responsable export de l’entreprise, y voit pourtant un bon moyen d’améliorer la vie des habitants. « D’abord la sécurité qui permet à des gens de pouvoir penser à avoir une vie sociale, nocturne, et une activité économique. Et avec ces nouvelles technologies, on aspire à ce que ces projets créent du travail localement, au niveau des installations, de la maintenance, et de la fabrication. »
      Le Niger salue l’initiative

      Pour Mahamadou Issoufou, le président du Niger, l’implantation d’entreprises européennes sur le territoire nigérien est indispensable pour faire face au défi de son pays notamment démographique. Le Niger est le pays avec le taux de natalité le plus élevé au monde, avec huit enfants par femme. « Nous avons tous décidé de nous attaquer aux causes profondes de la migration clandestine, et l’une des causes profondes, c’est la #pauvreté. Il est donc important qu’une lutte énergique soit menée. Certes, il y a les ressources publiques nationales, il y a l’#aide_publique_au_développement, mais tout cela n’est pas suffisant. il faut nécessairement un investissement massif du secteur privé », explique Mahamadou Issoufou. Cette initiative doit être élargie à l’ensemble des pays du Sahel, selon les autorités nigériennes et européennes.

      https://mobile.francetvinfo.fr/replay-radio/en-direct-du-monde/en-direct-du-monde-au-niger-l-europe-finance-plusieurs-projets-p
      #investissements #développement #APD

    • In die Rebellion getrieben

      Die Flüchtlingsabwehr der EU führt zu neuen Spannungen in Niger und droht womöglich gar eine Rebellion im Norden des Landes auszulösen. Wie Berichte aus der Region bestätigen, hat die von Brüssel erzwungene Illegalisierung des traditionellen Migrationsgeschäfts besonders in der Stadt Agadez, dem Tor zur nigrischen Sahara, Zehntausenden die Lebensgrundlage genommen. Großspurig angekündigte Ersatzprogramme der EU haben lediglich einem kleinen Teil der Betroffenen wieder zu einem Job verholfen. Lokale Beobachter warnen, die Bereitschaft zum Aufstand sowie zum Anschluss an Jihadisten nehme zu. Niger ist ohnehin Schauplatz wachsenden jihadistischen Terrors wie auch gesteigerter westlicher „Anti-Terror“-Operationen: Während Berlin und die EU vor allem eine neue Eingreiftruppe der Staatengruppe „G5 Sahel“ fördern - deutsche Soldaten dürfen dabei auch im Niger eingesetzt werden -, haben die Vereinigten Staaten ihre Präsenz in dem Land ausgebaut. Die US-Streitkräfte errichten zur Zeit eine Drohnenbasis in Agadez, die neue Spannungen auslöst.
      Das Ende der Reisefreiheit

      Niger ist für Menschen, die sich aus den Staaten Afrikas südlich der Sahara auf den Weg zum Mittelmeer und weiter nach Europa machen, stets das wohl wichtigste Transitland gewesen. Nach dem Zerfall Libyens im Anschluss an den Krieg des Westens zum Sturz von Muammar al Gaddafi hatten zeitweise drei Viertel aller Flüchtlinge, die von Libyens Küste mit Ziel Italien in See stachen, zuvor das Land durchquert. Als kaum zu vermeidendes Nadelöhr zwischen den dichter besiedelten Gebieten Nigers und der Wüste fungiert die 120.000-Einwohner-Stadt Agadez, von deren Familien bis 2015 rund die Hälfte ihr Einkommen aus der traditionell legalen Migration zog: Niger gehört dem westafrikanischen Staatenbund ECOWAS an, in dem volle Reisefreiheit gilt. Im Jahr 2015 ist die Reisefreiheit in Niger allerdings durch ein Gesetz eingeschränkt worden, das, wie der Innenminister des Landes bestätigt, nachdrücklich von der EU gefordert worden war.[1] Mit seinem Inkrafttreten ist das Migrationsgeschäft in Agadez illegalisiert worden; das hatte zur Folge, dass zahlreiche Einwohner der Stadt ihren Erwerb verloren. Die EU hat zwar Hilfe zugesagt, doch ihre Maßnahmen sind allenfalls ein Tropfen auf den heißen Stein: Von den 7.000 Menschen, die offiziell ihre Arbeit in der nun verbotenen Transitreisebranche aufgaben, hat Brüssel mit einem großspurig aufgelegten, acht Millionen Euro umfassenden Programm weniger als 400 in Lohn und Brot gebracht.
      Ohne Lebensgrundlage

      Entsprechend hat sich die Stimmung in Agadez in den vergangenen zwei Jahren systematisch verschlechtert, heißt es in einem aktuellen Bericht über die derzeitige Lage in der Stadt, den das Nachrichtenportal IRIN Ende Juni publiziert hat.[2] Rangiert Niger auf dem Human Development Index der Vereinten Nationen ohnehin auf Platz 187 von 188, so haben die Verdienstmöglichkeiten in Agadez mit dem Ende des legalen Reisegeschäfts nicht nur stark abgenommen; selbst wer mit Hilfe der EU einen neuen Job gefunden hat, verdient meist erheblich weniger als zuvor. Zwar werden weiterhin Flüchtlinge durch die Wüste in Richtung Norden transportiert - jetzt eben illegal -, doch wachsen die Spannungen, und sie drohen bei jeder neuen EU-Maßnahme zur Abriegelung der nigrisch-libyschen Grenze weiter zu steigen. Das Verbot des Migrationsgeschäfts werde auf lange Sicht „die Leute in die Rebellion treiben“, warnt gegenüber IRIN ein Bewohner von Agadez stellvertretend für eine wachsende Zahl weiterer Bürger der Stadt. Als Reiseunternehmer für Flüchtlinge haben vor allem Tuareg gearbeitet, die bereits von 1990 bis 1995, dann erneut im Jahr 2007 einen bewaffneten Aufstand gegen die Regierung in Niamey unternommen hatten. Hinzu kommt laut einem örtlichen Würdenträger, dass die Umtriebe von Jihadisten im Sahel zunehmend als Widerstand begriffen und für jüngere, in wachsendem Maße aufstandsbereite Bewohner der Region Agadez immer häufiger zum Vorbild würden.
      Anti-Terror-Krieg im Sahel

      Jihadisten haben ihre Aktivitäten in Niger in den vergangenen Jahren bereits intensiviert, nicht nur im Südosten des Landes an der Grenze zu Nigeria, wo die nigrischen Streitkräfte im Krieg gegen Boko Haram stehen, sondern inzwischen auch an der Grenze zu Mali, von wo der dort seit 2012 schwelende Krieg immer mehr übergreift. Internationale Medien berichteten erstmals in größerem Umfang darüber, als am 4. Oktober 2017 eine US-Einheit, darunter Angehörige der Spezialtruppe Green Berets, nahe der nigrischen Ortschaft Tongo Tongo unweit der Grenze zu Mali in einen Hinterhalt gerieten und vier von ihnen von Jihadisten, die dem IS-Anführer Abu Bakr al Baghdadi die Treue geschworen hatten, getötet wurden.[3] In der Tat hat die Beobachtung, dass Jihadisten in Niger neuen Zulauf erhalten, die Vereinigten Staaten veranlasst, 800 Militärs in dem Land zu stationieren, die offiziell nigrische Soldaten trainieren, mutmaßlich aber auch Kommandoaktionen durchführen. Darüber hinaus beteiligt sich Niger auf Druck der EU an der Eingreiftruppe der „G5 Sahel“ [4], die im gesamten Sahel - auch in Niger - am Krieg gegen Jihadisten teilnimmt und auf lange Sicht nach Möglichkeit die französischen Kampftruppen der Opération Barkhane ersetzen soll. Um die „G5 Sahel“-Eingreiftruppe jederzeit und überall unterstützen zu können, hat der Bundestag im Frühjahr das Mandat für die deutschen Soldaten, die in die UN-Truppe MINUSMA entsandt werden, auf alle Sahelstaaten ausgedehnt - darunter auch Niger. Deutsche Soldaten sind darüber hinaus bereits am Flughafen der Hauptstadt Niamey stationiert. Der sogenannte Anti-Terror-Krieg des Westens, der in anderen Ländern wegen seiner Brutalität den Jihadisten oft mehr Kämpfer zugeführt als genommen hat, weitet sich zunehmend auf nigrisches Territorium aus.
      Zunehmend gewaltbereit

      Zusätzliche Folgen haben könnte dabei die Tatsache, dass die Vereinigten Staaten gegenwärtig für den Anti-Terror-Krieg eine 110 Millionen US-Dollar teure Drohnenbasis errichten - am Flughafen Agadez. Niger scheint sich damit dauerhaft zum zweitwichtigsten afrikanischen Standort von US-Truppen nach Djibouti mit seinem strategisch bedeutenden Hafen zu entwickeln. Washington errichtet die Drohnenbasis, obwohl eine vorab durchgeführte Umfrage des U.S. Africa Command und des State Department ergeben hat, dass die Bevölkerung die US-Militäraktivitäten im Land zunehmend kritisch sieht und eine starke Minderheit Gewalt gegen Personen oder Organisationen aus Europa und Nordamerika für legitim hält.[5] Mittlerweile dürfen sich, wie berichtet wird, US-Botschaftsangehörige außerhalb der Hauptstadt Niamey nur noch in Konvois in Begleitung von nigrischem Sicherheitspersonal bewegen. Die Drohnenbasis, die ohne die von der nigrischen Verfassung vorgesehene Zustimmung des Parlaments errichtet wird und daher mutmaßlich illegal ist, droht den Unmut noch weiter zu verschärfen. Beobachter halten es für nicht unwahrscheinlich, dass sie Angriffe auf sich zieht - und damit Niger noch weiter destabilisiert.[6]
      Flüchtlingslager

      Hinzu kommt, dass die EU Niger in zunehmendem Maß als Plattform nutzt, um Flüchtlinge, die in libyschen Lagern interniert waren, unterzubringen, bevor sie entweder in die EU geflogen oder in ihre Herkunftsländer abgeschoben werden. Allein von Ende November bis Mitte Mai sind 1.152 Flüchtlinge aus Libyen nach Niger gebracht worden; dazu wurden 17 „Transitzentren“ in Niamey, sechs in Agadez eingerichtet. Niger gilt inzwischen außerdem als möglicher Standort für die EU-"Ausschiffungsplattformen" [7] - Lager, in die Flüchtlinge verlegt werden sollen, die auf dem Mittelmeer beim Versuch, nach Europa zu reisen, aufgegriffen wurden. Damit erhielte Niger einen weiteren potenziellen Destabilisierungsfaktor - im Auftrag und unter dem Druck der EU. Ob und, wenn ja, wie das Land die durch all dies drohenden Erschütterungen überstehen wird, das ist völlig ungewiss.

      [1], [2] Eric Reidy: Destination Europe: Frustration. irinnews.org 28.06.2018.

      [3] Eric Schmitt: 3 Special Forces Troops Killed and 2 Are Wounded in an Ambush in Niger. nytimes.com 04.10.2017.[4] S. dazu Die Militarisierung des Sahel (IV).

      [5] Nick Turse: U.S. Military Surveys Found Local Distrust in Niger. Then the Air Force Built a $100 Million Drone Base. theintercept.com 03.07.2018.

      [6] Joe Penney: A Massive U.S. Drone Base Could Destabilize Niger - And May Even Be Illegal Under its Constitution. theintercept.com 18.02.2018.

      [7] S. dazu Libysche Lager.

      https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/7673

      –-> Commentaire reçu via la mailing-list Migreurop :

      La politique d’externalisation de l’UE crée de nouvelles tensions au Niger et risque de déclencher une rebellion dans le nord du pays. Plusieurs rapports de la région confirment que le fait que Bruxelle ait rendu illégal la migration traditionnelle et de fait détruit l’économie qui tournait autour, particulièrement dans la ville d’Agadez, porte d’entrée du Sahara nigérien, a privé de revenus des dizaines de milliers de personnes. Les programmes de développement annoncés par l’UE n’ont pu aider qu’une infime partie de ceux qui ont été affectés par la mesure. Les observateurs locaux constatent que une augmentation des volontés à se rebeller et/ou à rejoindre les djihadistes. Le Niger est déja la scène d’attaques terroristes djihadistes ainsi que d’opérations occidentales « anti-terreur » : alors que Berlin et l’UE soutiennent une intervention des forces du G5 Sahel - les soldats allemands pourraient être déployés au Niger - les Etats Unis ont étendu leur présence sur le territoire. Les forces US sont en train de construire une base de #drones à Agadez, ce qui a déclenché de nouvelles tensions.

      #déstabilisation

    • Libya: EU’s patchwork policy has failed to protect the human rights of refugees and migrants

      A year after the emergence of shocking footage of migrants apparently being sold as merchandise in Libya prompted frantic deliberations over the EU’s migration policy, a series of quick fixes and promises has not improved the situation for refugees and migrants, Amnesty International said today. In fact, conditions for refugees and migrants have largely deteriorated over the past year and armed clashes in Tripoli that took place between August and September this year have only exacerbated the situation further.

      https://www.amnesty.org/en/documents/mde19/9391/2018/en
      #droits_humains

      Pour télécharger le rapport:
      https://www.amnesty.org/download/Documents/MDE1993912018ENGLISH.pdf

    • New #LNCG Training module in Croatia

      A new training module in favour of Libyan Coastguard and Navy started in Split (Croatia) on November the 12.
      Last Monday, November the 12th, a new training module managed by operation Sophia and focused on “Ship’s Divers Basic Course” was launched in the Croatian Navy Training Centre in Split (Croatia).

      The trainees had been selected by the competent Libyan authorities and underwent a thorough vetting process carried out in different phases by EUNAVFOR Med, security agencies of EU Member States participating in the Operation and international organizations.

      After the accurate vetting process, including all the necessary medical checks for this specific activity, 5 Libyan military personnel were admitted to start the course.

      The course, hosted by the Croatian Navy, will last 5 weeks, and it will provide knowledge and training in diving procedures, specifically related techniques and lessons focused on Human Rights, Basic First Aid and Gender Policy.

      The end of the course is scheduled for the 14 of December 2018.

      Additionally, with the positive conclusion of this course, the threshold of more than 300 Libyan Coastguard and Navy personnel trained by #EUNAVFOR_Med will be reached.

      EUNAVFOR MED Operation Sophia continues at sea its operation focused on disrupting the business model of migrant smugglers and human traffickers, contributing to EU efforts for the return of stability and security in Libya and the training and capacity building of the Libyan Navy and Coastguard.


      https://www.operationsophia.eu/new-lncg-training-module-in-croatia

    • EU Council adopts decision expanding EUBAM Libya’s mandate to include actively supporting Libyan authorities in disrupting networks involved in smuggling migrants, human trafficking and terrorism

      The Council adopted a decision mandating the #EU_integrated_border_management_assistance_mission in Libya (#EUBAM_Libya) to actively support the Libyan authorities in contributing to efforts to disrupt organised criminal networks involved in smuggling migrants, human trafficking and terrorism. The mission was previously mandated to plan for a future EU civilian mission while engaging with the Libyan authorities.

      The mission’s revised mandate will run until 30 June 2020. The Council also allocated a budget of € 61.6 million for the period from 1 January 2019 to 30 June 2020.

      In order to achieve its objectives EUBAM Libya provides capacity-building in the areas of border management, law enforcement and criminal justice. The mission advises the Libyan authorities on the development of a national integrated border management strategy and supports capacity building, strategic planning and coordination among relevant Libyan authorities. The mission will also manage as well as coordinate projects related to its mandate.

      EUBAM Libya responds to a request by the Libyan authorities and is part of the EU’s comprehensive approach to support the transition to a democratic, stable and prosperous Libya. The civilian mission co-operates closely with, and contributes to, the efforts of the United Nations Support Mission in Libya.

      The mission’s headquarters are located in Tripoli and the Head of Mission is Vincenzo Tagliaferri (from Italy). EUBAM Libya.

      https://migrantsatsea.org/2018/12/18/eu-council-adopts-decision-expanding-eubam-libyas-mandate-to-include-

      EUBAM Libya :
      Mission de l’UE d’assistance aux frontières (EUBAM) en Libye


      https://eeas.europa.eu/csdp-missions-operations/eubam-libya_fr

    • Comment l’UE a fermé la route migratoire entre la Libye et l’Italie

      Les Européens coopèrent avec un Etat failli, malgré les mises en garde sur le sort des migrants dans le pays

      L’une des principales voies d’entrée en Europe s’est tarie. Un peu plus de 1 100 personnes migrantes sont arrivées en Italie et à Malte par la mer Méditerranée sur les cinq premiers mois de l’année. Un chiffre en fort recul, comparé aux 650 000 migrants qui ont emprunté cette voie maritime ces cinq dernières années. Le résultat, notamment, d’une coopération intense entre l’Union européenne, ses Etats membres et la Libye.

      En 2014, alors que le pays est plongé dans une guerre civile depuis la chute du régime de Kadhafi, plus de 140 000 migrants quittent ses côtes en direction de l’Italie, contre quelque 42 000 l’année précédente pour toute la rive sud de la Méditerranée centrale. Cette dernière devient, deux ans plus tard, la principale porte d’entrée sur le continent européen.

      Inquiète de cette recrudescence, l’Italie relance en mars 2016 ses relations bilatérales avec la Libye – interrompues depuis la chute de Kadhafi –, à peine le fragile gouvernement d’union nationale (GNA) de Faïez Sarraj installé à Tripoli sous l’égide de l’ONU. Emboîtant le pas à Rome, l’UE modifie le mandat de son opération militaire « Sophia ». Jusque-là cantonnée à la lutte contre le trafic de migrants en Méditerranée, celle-ci doit désormais accompagner le rétablissement et la montée en puissance des gardes-côtes libyens.

      Dans cette optique, dès juillet 2016, l’UE mandate les gardes-côtes italiens pour « assumer une responsabilité de premier plan » dans le projet de mise en place d’un centre de coordination de sauvetage maritime (MRCC) à Tripoli et d’une zone de sauvetage à responsabilité libyenne dans les eaux internationales. C’est une étape majeure dans le changement du paysage en Méditerranée centrale. Jusque-là, compte tenu de la défaillance de Tripoli, la coordination des sauvetages au large de la Libye était assumée par le MRCC de Rome. Les migrants secourus étaient donc ramenés sur la rive européenne de la Méditerranée. Si Tripoli prend la main sur ces opérations, alors ses gardes-côtes ramèneront les migrants en Libye, même ceux interceptés dans les eaux internationales. Une manière de « contourner l’interdiction en droit international de refouler un réfugié vers un pays où sa vie ou sa liberté sont menacées », résume Hassiba Hadj-Sahraoui, conseillère aux affaires humanitaires de Médecins sans frontières (MSF).

      Les premières formations de gardes-côtes débutent en octobre 2016, et les agences de l’ONU sont mises à contribution pour sensibiliser les personnels au respect des droits de l’homme. « C’est difficile d’en mesurer l’impact, mais nous pensons que notre présence limite les risques pour les réfugiés », estime Roberto Mignone, l’ancien représentant du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés en Libye.

      Au sein de l’UE, tous les outils sont mobilisés. Même les équipes du Bureau européen d’appui à l’asile sont sollicitées. Un fonctionnaire européen se souvient du malaise en interne. « Le Conseil a fait pression pour nous faire participer, rapporte-t-il. On n’était clairement pas emballés. C’était nous compromettre un peu aussi dans ce qui ressemble à une relation de sous-traitance et à un blanc-seing donné à des pratiques problématiques. »
      Le travail des ONG entravé

      Le pays est alors dans une situation chaotique, et les migrants en particulier y encourent de graves violences telles que le travail forcé, l’exploitation sexuelle, le racket et la torture.

      Mais l’Europe poursuit son plan et continue de s’appuyer sur l’Italie. Le 2 février 2017, le gouvernement de gauche de Paolo Gentiloni (Parti démocrate) réactive un traité d’amitié de 2008 entre Rome et Tripoli, avec l’approbation du Conseil européen dès le lendemain. Des moyens du Fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique sont fléchés vers les enjeux migratoires en Libye – 338 millions d’euros jusqu’à aujourd’hui –, bien que l’Union fasse état de « préoccupations sur une collusion possible entre les bénéficiaires de l’action et les activités de contrebande et de traite ».

      A cette époque, les Nations unies dénoncent l’implication des gardes-côtes de Zaouïa (à 50 km à l’ouest de Tripoli) dans le trafic de migrants. En mai 2017, Marco Minniti, ministre italien de l’intérieur (Parti démocrate), remet quatre bateaux patrouilleurs à la Libye. Trois mois plus tard, Tripoli déclare auprès de l’Organisation maritime internationale (OMI) qu’elle devient compétente pour coordonner les sauvetages jusqu’à 94 milles nautiques au large de ses côtes.

      Le travail des ONG, lui, est de plus en plus entravé par l’Italie, qui les accuse de collaborer avec les passeurs et leur impose un « code de conduite ». S’ensuivront des saisies de bateaux, des retraits de pavillon et autres procédures judiciaires. L’immense majorité d’entre elles vont jeter l’éponge.

      Un tournant s’opère en Méditerranée centrale. Les gardes-côtes libyens deviennent à l’automne 2017 les premiers acteurs du sauvetage dans la zone. Ils ramènent cette année-là 18 900 migrants sur leur rive, presque quarante fois plus qu’en 2015.

      Leur autonomie semble pourtant toute relative. C’est Rome qui transmet à Tripoli « la majorité des appels de détresse », note un rapport de l’ONU. C’est Rome encore qui dépose en décembre 2017, auprès de l’OMI, le projet de centre libyen de coordination des sauvetages maritimes financé par la Commission européenne. Un bilan d’étape interne à l’opération « Sophia », de mars 2018, décrit d’ailleurs l’impréparation de Tripoli à assumer seule ses nouvelles responsabilités. La salle d’opération depuis laquelle les sauvetages doivent être coordonnés se trouve dans « une situation infrastructurelle critique »liée à des défauts d’électricité, de connexion Internet, de téléphones et d’ordinateurs. Les personnels ne parlent pas anglais.

      Un sauvetage, le 6 novembre 2017, illustre le dangereux imbroglio que deviennent les opérations de secours. Ce jour-là, dans les eaux internationales, à 30 milles nautiques au nord de Tripoli, au moins 20 personnes seraient mortes. Une plainte a depuis été déposée contre l’Italie devant la Cour européenne des droits de l’homme. Des rescapés accusent Rome de s’être défaussé sur les gardes-côtes libyens.« Un appel de détresse avait été envoyé à tous les bateaux par le MRCC Rome, relate Violeta Moreno-Lax, juriste qui a participé au recours. L’ONG allemande Sea-Watch est arrivée sur place quelques minutes après les gardes-côtes libyens. C’est Rome qui a demandé aux Libyens d’intervenir et à Sea-Watch de rester éloignée. »

      Les gardes-côtes présents – certains formés par l’UE – n’ont alors ni gilets ni canot de sauvetage. Sur les vidéos de l’événement, on peut voir l’embarcation des migrants se coincer sous la coque de leur patrouilleur. Des gens tombent à l’eau et se noient. On entend aussi les Libyens menacer l’équipage du Sea-Watch de représailles, puis quitter les lieux en charriant dans l’eau un migrant accroché à une échelle.

      Tout en ayant connaissance de ce drame, et bien qu’elle reconnaisse un suivi très limité du travail des gardes-côtes en mer, la force navale « Sophia » se félicite, dans son bilan d’étape de mars 2018, du « modèle opérationnel durable » qu’elle finance.

      L’année 2018 confirme le succès de cette stratégie. Les arrivées en Italie ont chuté de 80 %, ce qui n’empêche pas le ministre de l’intérieur, Matteo Salvini (extrême droite), d’annoncer à l’été la fermeture de ses ports aux navires humanitaires.
      « Esclavage » et « torture »

      L’ONU rappelle régulièrement que la Libye ne doit pas être considérée comme un « port sûr » pour débarquer les migrants interceptés en mer. Les personnes en situation irrégulière y sont systématiquement placées en détention, dans des centres sous la responsabilité du gouvernement où de nombreux abus sont documentés, tels que des « exécutions extrajudiciaires, l’esclavage, les actes de torture, les viols, le trafic d’être humains et la sous-alimentation ».

      La dangerosité des traversées, elle, a explosé : le taux de mortalité sur la route de la Méditerranée centrale est passé de 2,6 % en 2017 à 13,8 % en 2019.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/05/07/comment-l-ue-a-ferme-la-route-entre-la-libye-et-l-italie_5459242_3210.html

  • EU leaders consider centers outside bloc to process refugees

    Draft conclusions for the European Council summit next week propose the creation of ‘disembarkation platforms.’

    European Council President Donald Tusk has proposed that EU leaders create “regional disembarkation platforms” outside the European Union, where officials could quickly differentiate between refugees in need of protection and economic migrants who would potentially face return to their countries of origin.

    The proposal is an effort to break the acute political crisis over migration and asylum that has bedeviled EU leaders since 2015 — and even threatened in recent days to topple the German government — even as the numbers of arrivals have plummeted since the peak of the crisis.

    The disembarkation platform concept — which officials said would have to be implemented in cooperation with the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) and the International Organization for Migration (IOM) — could create a formal mechanism by which the EU can bridge the divide between hard-line leaders calling for tough border controls and those insisting that EU nations obey international law and welcome refugees in need of protection.

    But the idea could also open EU leaders to criticism that they are outsourcing their political problem by creating centers for people seeking entry in countries on the periphery of the bloc. Among the potential partner nations are Tunisia and Albania, but officials say it is far too soon to speculate.

    The idea to create such facilities was suggested in 2016 by Hungarian Prime Minister Viktor Orbán, the strongest critic of the EU’s policies on migration — especially on the relocation of refugees across Europe.

    More recently, French President Emmanuel Macron has endorsed the idea, and on Sunday Italian Foreign Minister Enzo Moavero said Italy wants to officially put the idea on the table at the European Council summit.

    According to the draft guidelines, the new sites would “establish a more predictable framework for dealing with those who nevertheless set out to sea and are rescued in Search And Rescue Operations.”

    The conclusions state: “Such platforms should provide for rapid processing to distinguish between economic migrants and those in need of international protection, and reduce the incentive to embark on perilous journeys.”
    https://www.politico.eu/article/regional-disembarkation-platforms-eu-leaders-consider-camps-outside-bloc-to

    Nouveau #mots, nouvelle absurdité #disembarkation_platform...!!!
    #tri #migrations #migrants_économiques #réfugiés #catégorisation #hotspots #externalisation #novlangue
    #regional_disembarkation_platforms #Tunisie #Albanie #plateformes_régionales_de_désembarquement

    cc @reka @isskein @i_s_

    • European Council meeting (28 J une 2018) – Draft conclusions

      In order to establish a more predictable framework for dealing with those who nevertheless set out to sea and are rescued in Search And Rescue Operations, the European Council supports the development of the concept of regional disembarkation platforms in close cooperation with UNHCR and IOM. Such platforms should provide for rapid processing to distinguish between economic migrants and those in need of international protection , and reduce the incentive to embark on perilous journeys.

      https://g8fip1kplyr33r3krz5b97d1-wpengine.netdna-ssl.com/wp-content/uploads/2018/06/draftEucoConclusionsJune.pdf
      #HCR #OIM #IOM

    • Une idée qui vient de la Hongrie...

      From protest to proposal : Eastern Europe tries new migration tactic

      “Asylum procedures should be completed outside the EU in closed and protected hotspots before the first entry on the territory of the EU,” states Orbán’s plan. “Third countries should be supported in establishing a system of reception and management of migratory flows … which should foresee careful on-site screening of refugees and economic migrants,” reads Renzi’s.

      https://www.politico.eu/article/viktor-orban-hungary-slovakia-from-protest-to-propose-eastern-europe-tries-

    • La UE estudia instalar centros de clasificación de inmigrantes en el norte de África

      Un borrador de documento para la cumbre afirma que la idea podría facilitar «un procesamiento rápido que distinga entre migrantes económicos y refugiados»

      La Unión Europea estudia la idea de construir centros para el procesamiento de inmigrantes en el norte de África en un intento por disuadir a la gente de emprender viajes a través del Mediterráneo que puedan poner en riesgo su vida, según indica un documento al que ha tenido acceso The Guardian.

      El Consejo Europeo de líderes de la UE «apoya el desarrollo del concepto de plataformas de desembarque regional», según señala un borrador de conclusiones de la cumbre europea que se llevará a cabo la próxima semana.

      La UE quiere estudiar la viabilidad de instalar estos centros en el norte de África, donde comienza la mayoría de los viajes de los inmigrantes que quieren llegar a suelo europeo. «Estas plataformas podrían facilitar un procesamiento rápido que distinga entre migrantes económicos y aquellos que necesitan protección internacional, y así reducir los incentivos a embarcarse en viajes peligrosos», sostiene el documento.

      La inmigración es un tema prioritario en la agenda de la próxima cumbre de dos días que se iniciará el 28 de junio. Los líderes de la UE intentarán llegar a un consenso sobre cómo manejar la crisis de los miles de refugiados e inmigrantes que llegan a Europa cada mes.

      Los líderes de Alemania y Francia, Angela Merkel y Emmanuel Macron, se han reunido este martes cerca de Berlín para fijar una posición común respecto a la inmigración y la eurozona, en medio de los temores sobre el desmoronamiento del proyecto europeo.

      Antes de la reunión, el ministro de Hacienda francés, Bruno Le Maire, afirmó que Europa está «en proceso de desintegración». «Vemos Estados que se están cerrando, intentando encontrar soluciones nacionales a problemas que requieren soluciones europeas», señaló. Así, llamó a construir «un nuevo proyecto europeo sobre inmigración», así como sobre asuntos económicos y financieros «que consoliden a Europa en un mundo en el que Estados Unidos está a un lado, China al otro y nosotros quedamos atrapados en el medio».

      El ministro de Interior alemán, Horst Seehofer, de línea dura, está presionando a la canciller Angela Merkel para que diseñe un plan europeo para finales de mes. Alemania sigue siendo el país europeo que más solicitudes de asilo recibe. Si no hay avance a nivel europeo, Seehofer quiere que la policía de las fronteras alemanas comience a negar la entrada a los inmigrantes.

      No queda claro cómo se llevaría a la práctica la propuesta europea de «plataformas de desembarque regional», o dónde se instalarían.

      En 2016, la UE llegó a un acuerdo con Turquía que redujo drásticamente el flujo migratorio, pero al bloque le ha resultado más difícil trabajar con los gobiernos del norte de África, especialmente con Libia, punto de partida de la mayoría de las embarcaciones que intentan llegar a Europa por el Mediterráneo.

      La Comisión Europea ha rechazado la posibilidad de llegar a un acuerdo con Libia parecido al de Turquía, debido a la inestabilidad del país. Sin embargo, el anterior Gobierno de Italia pactó con las milicias y tribus libias y colaboró para reconstituir la guardia costera libia. Estas acciones han contribuido a reducir drásticamente el número de personas que intenta cruzar el Mediterráneo, pero los críticos han denunciado un aumento en las violaciones de los derechos humanos.

      Según el documento filtrado, la UE prefiere construir los centros en colaboración con ACNUR, la agencia de la ONU para los refugiados, y con la Organización Internacional para la Migración, otro organismo relacionado con la ONU que con anterioridad ha criticado la escasez de rutas legales que tienen los inmigrantes y refugiados africanos para llegar a Europa.

      https://www.eldiario.es/theguardian/UE-instalar-procesamiento-inmigrantes-Africa_0_783922573.html

    • Commentaire d’Emmanuel Blanchard, via la mailing-list Migreurop :

      Au contraire de ce que suggère le titre choisi par ce journaliste (article ci-dessous), la proposition de créer ces plateformes de débarquement n’est pas vraiment « étonnante » tant elle ressemble aux « #processings_centers » et autres « #centres_d'identification » dont les projets ressurgissent régulièrement depuis le début des années 2000. Il y a cependant des évolutions (ces centres étaient pensés pour cantonner les exilés avant qu’ils prennent la mer et pas pour débarquer les boat-people secourus en mer) et le danger se rapproche : maintenant que ces camps existent sous le nom de hotpsots dans les iles grecques, il apparaît possible de les étendre dans des pays extérieurs ayant besoin du soutien financier ou politique de l’UE.

      #camps #cpa_camps

    • Europe Pushes to Outsource Asylum, Again

      With Dublin reform stalled, European leaders began to cast around for new ideas to solve the ongoing political crisis on migration and settled on a recurring proposition: the creation of asylum processing centres beyond the (strengthened) borders of the European Union.

      What exactly is up for discussion remains unclear. The plans championed by various EU leaders are diverse, yet the details remain fuzzy. What they have in common is a near-universal focus on shifting responsibility for dealing with refugees and migrants upstream. The idea of external processing looks good on paper, particularly in demonstrating to skeptical voters that governments have control over migration flows. But leaders also hope that by reducing inflows to the European Union, they will face less pressure to compromise on sharing responsibility for asylum within the bloc.

      The devil is in the detail. Proposals to externalize the processing of asylum claims are not new, but have largely fallen flat. Previous leaders balked at the idea of such elaborate constructions, especially when confronted with their significant practical complications. But public pressure to further slow arrivals of refugee and migrant boats has mounted in many countries, and leaders feel compelled to find an agreement. The result is a debate on migration increasingly divorced from reality.

      But before sitting down to the negotiating table, EU leaders may want to reflect on the exact model they wish to pursue, and the tradeoffs involved. Critically, does the concept of “regional disembarkation platforms” set out in the draft European Council conclusions offer a potential solution?

      Key Design Questions

      From Austria’s so-called Future European Protection System, to the “centres of international protection in transit countries” suggested by Italian Prime Minister Giuseppe Conte, to an outlier idea from the Danish Prime Minister to create centres to host failed asylum seekers in “undesirable” parts of Europe —a variety of models for externalization have been floated in recent weeks.

      Several proposals also envisage the simultaneous creation of joint processing centres within the European Union, coupled with the use of reception centres that restrict residents’ freedom of movement. While it is still unclear how such a plan would unfold, this commentary focuses on the external dimension alone.

      Where Would People Be Stopped and Processed?

      The proposals differ regarding where in the journey they would stop migrants and potential asylum seekers. French President Emmanuel Macron has vaguely referred to centres in key transit countries, such as Niger, Libya, and Chad, as well as closer to regions of origin. Others have focused more squarely on the North African coast.

      Centres operating far away from the European Union would likely function as a form of resettlement, stopping people en route (or even prior to the journey), and offering selected individuals an additional channel of EU entry in hopes that this would discourage the use of smugglers. Indeed, nascent EU efforts to resettle refugees evacuated from Libya to Niger (under the Evacuation Transit Mechanism, or ETM), demonstrate how this might work. At the other extreme, the model championed by Austrian Chancellor Sebastian Kurz would see migrants and refugees returned to “safe zones” in Africa, where they would stay, even after arriving at the external EU border.

      The latter concept is problematic under current EU and international law. By returning arrivals to third countries without giving them the opportunity to submit an asylum claim, governments would be likely to run afoul of the EU Asylum Procedures Directive, as well as the European Convention on Human Rights, which prohibits signatories from the “collective expulsion of aliens.” European Court of Human Rights case law also precludes the pushback of migrants rescued by European boats while crossing the Mediterranean. Conversely, however, if migrants and potential asylum seekers are stopped before entering EU waters, and without the involvement of European-flagged vessels, then no EU Member State has formal legal responsibility.

      A framework for regional cooperation on the disembarkation of migrant boats—being developed by the UN High Commissioner for Refugees (UNHCR) —may offer a middle ground. While details are scarce, it seems likely that the proposal would focus first on the development of a system for determining who would rescue migrants crossing the Mediterranean, and where they would be landed. Absent consensus within the European Union on responsibility sharing for asylum claims, UNHCR would attempt to create a new framework for responsibility sharing with both Northern and Southern Mediterranean states on search and rescue. However, to prove palatable to partners, such a scheme would require strong EU support, not least through the creation of regional disembarkation centres across North Africa where migrants and refugees “pulled back” from their journey would be sent. This approach would sidestep the application of EU law. To be viable, the European Union would likely need to offer North African partner states some assurance of support, including resettling some of those found in need of protection (as with the Niger ETM).

      Who Would Do the Processing?

      Once asylum seekers are pulled back, there is the question of who would make determinations regarding their protection. There are three options.

      First, Member States’ own asylum agencies could adjudicate protection claims, as Macron has occasionally suggested. Aside from the logistical challenges of seconding officials outside Europe, the question quickly arises as to who would adjudicate which applications? Member States have very different asylum systems, which produce markedly different outcomes for applicants, and would need extensive coordination.

      As a result, there is growing interest in developing an EU asylum agency capable of undertaking assessments on behalf of Member States. This appears a neat solution. However, governments would have to agree joint procedures and standards for processing claims and have confidence in the decisions made by through a joint processing arrangement. This is, if anything, an option only in the long term, as it would be years before any such agency is operational.

      Should the regional disembarkation idea gain ground, the European Union would have no legal responsibility to undertake assessment. Most Member States would be likely to consider UNHCR a key partner to manage any external process. But doing so could require UNHCR to redeploy limited staff resources from existing resettlement operations or from pressing humanitarian situations elsewhere. Moreover, outsourcing to UNHCR could still raise the issue of trust and transferability of decisions. Many Member States remain reluctant to rely solely on UNHCR to select refugees for resettlement, preferring to send their own teams to do the final selection.

      What Happens Next?

      The issue of what happens to people after their protection claims are assessed remains at the crux of questions around the feasibility of external processing. Proposals here differ starkly.

      On the one hand, some proposals would allow those recognized as in need of protection to subsequently enter the European Union. This is the option that—even if the European Union has circumvented any legal responsibility—would be deemed necessary to host countries as it would give them assurance that they are not overly burdened with providing protection. But doing so would require Member States to agree on some sort of distribution system or quotas for determining who would be settled where—crashing back into a responsibility-sharing problem that has plagued the European Union.

      By contrast, proposals that would explicitly not allow entry to anyone who had attempted to travel to Europe via the Mediterranean, taking a page from Australia’s playbook, are meant to assuage fears that such centres would become magnets for new travellers. Those with protection needs brought to such centres would be settled in countries outside the bloc. The challenges with this model centre squarely on the difficulty finding a “safe” country that would allow the settlement of potentially unlimited number of protection beneficiaries. Neither is likely to be the case in any arrangements the European Union would seek to make with external countries.

      Finally, there is the troubling question of what to do with those denied status or resettlement in the European Union. While the International Organization for Migration (IOM) or another agency might be able to help facilitate voluntary return, some might not be able to return home or may have been denied resettlement but nonetheless have protection needs. They are at risk of becoming a population in limbo, with long-term implications for their well-being and for the host country.


      https://www.migrationpolicy.org/news/europe-pushes-outsource-asylum-again
      #schéma #visualisation

    • "L’UE devrait demander à la Tunisie ou l’Algérie d’accueillir des migrants"

      Afin d’éviter toute complicité des ONG, #Stephen_Smith propose notamment une participation des pays du sud de la Méditerranée. « L’Europe se bat un peu la coulpe et a l’impression que tout est pour elle. Or, la Libye a beaucoup de pays voisins. Pourquoi n’a-t-on pas songé à demander le soutien de la Tunisie ou de l’Algérie ? Habituellement, en cas de naufrage, la règle veut que les voyageurs soient transportés vers la prochaine terre sûre. Et, à partir de la Libye, cette terre n’est pas l’Italie. »

      http://www.rts.ch/info/monde/9678271--l-ue-devrait-demander-a-la-tunisie-ou-l-algerie-d-accueillir-des-migran
      #Tunisie #Algérie

    • Macron y Pedro Sánchez proponen «centros cerrados de desembarco» para los inmigrantes que lleguen a Europa

      Con el apoyo de Pedro Sánchez, el presidente francés expone su apuesta para la gestión de las llegadas de migrantes a las costas del sur de Europa

      En estos centros se tratarían los expedientes de los demandantes de asilo o se tramitaría su devolución a los países de origen

      https://www.eldiario.es/desalambre/Macron-propone-centros-desembarco-inmigrantes_0_785321746.html
      #Espagne

    • EU admits no African country has agreed to host migration centre

      The European Union’s most senior migration official has admitted that no north African country has yet agreed to host migrant screening centres to process refugee claims.

      Details of an EU plan to prevent migrants drowning at sea emerged on Thursday after Italy criticised the agenda of an emergency summit for not offering enough to help it cope with arrivals.

      Dimitris Avramopoulos, the European commissioner for migration, said the EU wanted to “intensify cooperation” with Algeria, Egypt, Libya, Tunisia, Niger and Morocco, as he announced the intention to create a “regional disembarkation scheme”.
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      So far no African country had agreed to host screening centres, he confirmed. “It has to be discussed with these countries, he said. “An official proposal has not been put on the table.”

      The idea for offshore migrant processing centres remains sketchy, with numerous political, practical and legal questions unanswered. It remains unclear, for example, whether migrants on a rescue ship in European waters could be returned to a north African country.

      Tahar Cherif, the Tunisian ambassador to the EU said: “The proposal was put to the head of our government a few months ago during a visit to Germany, it was also asked by Italy, and the answer is clear: no!

      “We have neither the capacity nor the means to organise these detention centres. We are already suffering a lot from what is happening in Libya, which has been the effect of European action.”

      He said his country was facing enough problems with unemployment, without wishing to add to them while Niger said its existing centres taking migrants out of detention camps in Libya are already full.

      The idea for the centres was thrown into the mix of EU migration policy before a series of crucial summits on migration in the next week.

      About 10 EU leaders will meet in Brussels on Sunday in a hastily convened emergency meeting aimed at preventing the collapse of the German coalition government.

      But the Italian government has been angered by draft conclusions for the summit, which stress the need to counter “secondary movements” – an issue that affects Germany.

      Under EU rules, a member state usually has responsibility for asylum seekers who have arrived in its territory, a regulation that has put frontline states Italy and Greece under huge pressure.

      But claimants often move to a second EU state, seeking a faster decision or to unite with family members.

      So-called “secondary movements” is the issue driving a wedge between Germany’s ruling coalition. The Bavarian CSU party has set the chancellor, Angela Merkel, a deadline of two weeks to find a solution. The interior minister, Horst Seehofer, has threatened to send away migrants at the border – a breach of EU rules that threatens to unravel the common asylum system.

      Tensions are running high after Italy’s prime minister, Giuseppe Conte, said he was not ready to discuss secondary movements “without having first tackled the emergency of ‘primary movements’ that Italy has ended up dealing with alone”.

      Italy’s far-right interior minister, Matteo Salvini, said: “If anyone in the EU thinks Italy should keep being a landing point and refugee camp, they have misunderstood.”

      The election of a populist government in Italy, combined with tensions in Germany’s ruling coalition, has created a political storm over migration despite the sharp fall in arrivals. In the first six months of this year 15,570 people crossed into Italy, a 77% drop on last year.

      The European commission president, Jean-Claude Juncker, reluctantly agreed to host the weekend summit to help Merkel, after her governing coalition came close to breaking point.

      Avramopoulos stressed that the summit would be about “consultations” to prepare the ground for decisions to be taken by all 28 EU leaders at a European council meeting next Thursday.

      Warning that the future of the EU’s border-free travel area was at stake, Avramopoulos said: “The European leadership of today will be held accountable in the eyes of future generations if we allow all these forces of populism to blow up what has been achieved”.

      https://www.theguardian.com/world/2018/jun/21/eu-admits-no-african-country-has-agreed-to-host-migration-centre
      #cpa_camps

    • IOM-UNHCR Proposal to the European Union for a Regional Cooperative Arrangement Ensuring Predictable Disembarkation and Subsequent Processing of Persons Rescued at Sea

      Approximately 40,000 refugees and migrants have arrived in Europe via maritime routes in 2018 to date. This is almost six times less than over the same period in 2016, following a peak in arrivals by sea in 2015. According to EUROSTAT, approximately 30 per cent of those arriving on the European shores were in need of international protection; moreover, some have faced extreme hardship and abuse at the hands of unscrupulous traffickers during the journey.

      Despite the reduced arrival rates, new challenges resulting from divergent EU Member State views have revealed a need to revisit regional arrangements to relieve front line states from having the sole responsibility for the disembarkation and further processing of people rescued at sea.

      IOM and UNHCR stand ready to support a common approach, and call on all countries in the Mediterranean region to come together to implement a predictable and responsible disembarkation mechanism in a manner that prioritizes human rights and safety first, delinked from the subsequent processing of status and related follow-up responsibilities, post-disembarkation, for those rescued in international waters.

      It is increasingly recognized that disembarkation cannot be the sole responsibility of one country or regional grouping. It should be a shared responsibility across the Mediterranean Basin, with due respect for the safety and dignity of all people on the move. A comprehensive approach is required to realize effective and sustainable responses.

      People on the move to and through the Mediterranean have different migratory status, with the majority of them not qualifying for international or subsidiary protection. Addressing the drivers of forced displacement and irregular migration needs to be given renewed attention through effective conflict-prevention and crisis settlement processes, strengthening good governance, rule of law, and respect for human rights efforts, stabilization and recovery, as well as poverty reduction.

      Priority efforts need to focus on strengthening protection capacities in regions of origin, including through developing sustainable asylum systems; providing sufficient needs-based support for humanitarian operations and adopting a development-oriented approach to assistance; as well as expanding opportunities for resettlement, family reunification and safe pathways for refugees which are currently well below existing needs and pledges being made. Efforts toward opening safe and regular pathways for migrants need also to be undertaken (family reunification, labour and education opportunities, humanitarian visas for vulnerable migrants).

      Against this background, with a focus on the immediate disembarkation concerns at hand, the current proposal for a regional disembarkation mechanism aims to ensure that:

      People rescued-at-sea in international waters are quickly disembarked in a predictable manner in line with international maritime law, in conditions that uphold respect for their rights including non-refoulement, and avoid serious harm or other risks;
      Responsible post-disembarkation processing, supported – as appropriate- by IOM and UNHCR, leads to rapid and effective differentiated solutions and reduces onward movement through an effective cooperative arrangement.

      Functioning of the mechanism is premised on a set of principles and common objectives:

      The effective functioning of maritime commerce requires ships’ masters to have full confidence in prompt and predictable disembarkation;
      Efforts to reduce loss of life at sea are maximized, in line with existing international obligations and frameworks, and saving lives remains the international community’s priority;
      Strengthened efforts to build the capacity of Coast Guards in Mediterranean countries (not just in Libya) to perform effective rescue operations in their respective SAR;
      National Maritime Rescue Coordination Centres (MRCC) are able to carry out their work effectively for the purposes of search and rescue operations based on long- standing and effective practices to save lives;
      People rescued at sea in the Mediterranean are quickly disembarked in safe ports in a predictable manner in line with established rescue at sea arrangements and international maritime law, coordinated through the responsible MRCCs;
      Measures for cooperative arrangements to support States providing for disembarkation are well-established;
      The right to seek asylum is safeguarded, and the human rights of all individuals such as non-refoulement are respected, including the right not to be disembarked in or transferred to a place where there is a risk of persecution, torture, or other serious harm;
      Efforts to address human smuggling and trafficking are reinvigorated, including measures to ensure protection and/or referrals for victims of trafficking and ensuring the effective prosecution of those involved in / or facilitating human trafficking or smuggling;
      Rescue at sea capacity coordinated by effective MRCCs that operate in accordance with international law is reinforced.

      As such, the proposal does not affect existing legal norms and responsibilities applicable under international law (Note 1) Rather it seeks to facilitate their application in accordance with a regional collaborative approach and the principle of international cooperation. This proposal relies on functional arrangements for intra-EU solidarity in managing all consequences of rescue, disembarkation and processing. It also relies on operational arrangements which would need to be sought and formalised through a set of understandings among all concerned States.

      https://www.iom.int/news/iom-unhcr-proposal-european-union-regional-cooperative-arrangement-ensuring-pre

      Question : c’est quoi la différence entre la proposition IOM/HCR et la proposition UE ?

    • THE LEGAL AND PRACTICAL FEASIBILITY OF DISEMBARKATION OPTIONS

      This note presents a first assessment of the legal and practical feasibility of the three different scenarios on disembarkation presented at the Informal Working Meeting of 24 June 2018. Under international maritime law, people rescued at sea must be disembarked at a place of safety. International law sets out elements of what a place of safety can be and how it can be designated, without excluding the possibility of having regional arrangements for disembarkation.


      https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/migration-disembarkation-june2018_en.pdf
      #scénario

    • #Palerme :
      ❝La Commission régionale de l’Urbanisme a rejeté le projet de pré-faisabilité du « #hotspot » à Palerme, confirmant l’avis du Conseil municipal de Palerme. L’avis de la Commission régionale reste technique. Le maire de Palerme a rappelé que "la ville de Palerme et toute sa communauté sont opposés à la création de centres dans lesquels la dignité des personnes est violée (...). Palerme reste une ville qui croit dans les valeurs de l’accueil, de la solidarité et des rencontres entre les peuples et les cultures, les mettant en pratique au quotidien. En cela, notre « non » à l’hotspot n’est pas et ne sera pas seulement un choix technique, mais plutôt un choix relatif à des principes et des valeurs".
      > Pour en savoir plus (IT) : http://www.palermotoday.it/politica/hotspot-zen-progetto-bocciato-regione.html

      –-> Reçu via la mailing-list Migreurop

    • Ne dites pas que ce sont des #camps !

      Les camps devraient être la solution. C’est en Afrique, peut-être en Libye ou au Niger, que les migrants seront arrêtés avant qu’ils puissent commencer leur dangereux voyage en mer vers l’Europe. Ainsi l’a décidé l’UE. Des camps attendront également les réfugiés qui réussiraient toutefois à arriver dans un pays de l’UE. Des camps sur le sol européen. Où seront-ils établis ? Cela n’est pas encore défini, mais ce seront des installations fermées et surveillées parce que les détenus devront être « enregistrés » et les personnes non autorisées seront expulsées. Ils ne pourront pas s’enfuir.

      L’intérêt pour les camps concerne également les responsables politiques allemands. Le gouvernement allemand veut élargir le no man’s land à la frontière germano-autrichienne afin que les réfugiés puissent être arrêtés avant d’entrer officiellement en Allemagne et avoir ainsi droit à une procédure d’asile régulière. Une « fiction de non-entrée » est créée, comme le stipule précisément l’accord. Un État qui magouille. Pendant ce temps, la chancelière Angela Merkel a déclaré que personne ne sera détenu plus de quarante-huit heures, même dans le no man’s land. Il reste encore à voir si l’Autriche y accédera. Le plan est pour l’instant plus un fantasme qu’une politique réalisable, ce qui est bien pire. Bien sûr, tous ces centres fermés de rassemblement de migrants ne peuvent pas être appelés camps. Cela évoquerait des images effrayantes : les camps de concentration nazis, le système des goulags soviétiques, les camps de réfugiés palestiniens de plusieurs générations, le camp de détention de Guantánamo.

      Non, en Allemagne, ces « non-prisons » devraient être appelées « centres de transit ». Un terme amical, efficace, pratique, comme la zone de transit d’un aéroport où les voyageurs changent d’avion. Un terme inventé par les mêmes personnes qui désignent le fait d’échapper à la guerre et à la pauvreté comme du « tourisme d’asile ». Les responsables politiques de l’UE sont encore indécis quant à la terminologie de leurs camps. On a pu lire le terme de « centres de protection » mais aussi celui de « plateformes d’atterrissage et de débarquement », ce qui fait penser à une aventure et à un voyage en mer.

      Tout cela est du vernis linguistique. La réalité est que l’Europe en est maintenant à créer des camps fermés et surveillés pour des personnes qui n’ont pas commis de crime. Les camps vont devenir quelque chose qui s’inscrit dans le quotidien, quelque chose de normal. Si possible dans des endroits lointains et horribles, si nécessaire sur place. Enfermer, compter, enregistrer.

      La facilité avec laquelle tout cela est mis en œuvre est déconcertante. Deux ans seulement après que le public européen a condamné l’Australie pour ses camps brutaux de prisonniers gérés par des sociétés privées sur les îles de Nauru et Manus, dans l’océan Pacifique, nous sommes prêts à abandonner nos inhibitions. Pourquoi ne pas payer les Libyens pour intercepter et stocker des personnes ?

      Derrière le terme allemand « Lager » (« camp ») se cache un ancien mot correspondant à « liegen », qui signifie « être allongé ». Les camps sont ainsi faits pour se reposer. Aujourd’hui, le terme de « camp » implique quelque chose de temporaire : un camp n’est que pour une courte période, c’est pourquoi il peut aussi être rustique, comme un camp de vacances pour les enfants ou un dortoir. Des camps d’urgence sont mis en place après des catastrophes, des inondations, des glissements de terrain, des guerres. Ils sont là pour soulager les souffrances, mais ne doivent pas être permanents.

      Si les responsables politiques participent activement à l’internement de personnes dans des camps en l’absence de catastrophe, alors il s’agit d’autre chose. Il s’agit de contrôle, d’#ordre, de #rééducation, de #domination. Les puissances coloniales tenaient des camps, depuis les camps de barbelés des Britanniques au Kenya jusqu’aux camps de Héréros dans le Sud-Ouest africain. C’est dans des camps que les États-Unis ont enfermé des Américains d’origine japonaise pendant la Seconde Guerre mondiale. Les responsables de ces camps n’avaient pas pour préoccupation le logement, mais bien la garde et la gestion de « personnes problématiques ».

      Dans de tels camps, la #violence extrême et la #déshumanisation des détenus allaient et vont généralement de pair avec une gestion froide. Exploiter un camp nécessite de l’#organisation. La technologie de #contrôle à distance aide le personnel à commettre des atrocités et transforme des gens ordinaires en criminels. Dans son essai controversé « Le siècle des camps », le regretté sociologue #Zygmunt_Bauman qualifie le camp de symptôme de #modernité. Pour lui, l’association d’une #exclusion_brutale et d’une #efficacité dans l’ordre semblable à celle d’un jardinier est une caractéristique de notre époque.

      Que Bauman fasse des camps de concentration nazis un « distillat » d’un problème majeur et moderne pour sa thèse lui a justement valu des critiques. Il ignore la singularité de l’Holocauste. Contrairement aux camps coloniaux, les camps de concentration étaient en effet des camps d’extermination qui n’avaient plus pour fonction d’apprêter des groupes ou de les rééduquer, ni même de les dissuader. Il s’agissait de « violence pour elle-même », comme l’écrit le sociologue #Wolfgang_Sofsky, de folie de la #pureté et d’éradication des personnes #indésirables.

      L’Europe croit être à l’abri de cette folie. Pour les gouvernants allemands, le slogan « Plus jamais de camps en Allemagne » est un slogan ridicule parce qu’il évoque des images qui n’ont rien à voir avec le présent. Dans les différents camps de migrants en Europe et à l’extérieur, il n’est certes pas question d’une extermination mais « seulement » de contrôle de l’accès et de #dissuasion. C’est ce dernier objectif qui est explicitement recherché : répandre dans le monde l’idée de camps de l’horreur au lieu du paradis européen.

      Mais il n’y a pas de raison de maintenir la sérénité. L’analyse de Zygmunt Bauman parlait de la mince couche de #civilisation par-dessus la #barbarie. La leçon tirée de l’expérience des camps du XXe siècle est la suivante : « Il n’y a pas de société ordonnée sans #peur et sans #humiliation ». La #pensée_totalitaire peut à nouveau prospérer, même dans les sociétés apparemment démocratiques.

      https://www.tdg.ch/monde/europe/dites-camps/story/31177430
      #totalitarisme

      Et ce passage pour lequel je suis tentée d’utiliser le tag #frontières_mobiles (#Allemagne et #Autriche) :

      L’intérêt pour les camps concerne également les responsables politiques allemands. Le gouvernement allemand veut élargir le no #man’s_land à la frontière germano-autrichienne afin que les réfugiés puissent être arrêtés avant d’entrer officiellement en Allemagne et avoir ainsi droit à une procédure d’asile régulière. Une « #fiction_de_non-entrée » est créée, comme le stipule précisément l’accord.

      Et sur la question de la #terminologie (#mots #vocabulaire) :

      Bien sûr, tous ces #centres_fermés de rassemblement de migrants ne peuvent pas être appelés camps. Cela évoquerait des images effrayantes : les camps de concentration nazis, le système des goulags soviétiques, les camps de réfugiés palestiniens de plusieurs générations, le camp de détention de Guantánamo.

      Non, en Allemagne, ces « #non-prisons » devraient être appelées « #centres_de_transit ». Un terme amical, efficace, pratique, comme la zone de transit d’un aéroport où les voyageurs changent d’avion. Un terme inventé par les mêmes personnes qui désignent le fait d’échapper à la guerre et à la pauvreté comme du « #tourisme_d’asile ». Les responsables politiques de l’UE sont encore indécis quant à la terminologie de leurs camps. On a pu lire le terme de « #centres_de_protection » mais aussi celui de « #plateformes_d’atterrissage_et_de_débarquement », ce qui fait penser à une aventure et à un voyage en mer.

      Tout cela est du #vernis_linguistique. La réalité est que l’Europe en est maintenant à créer des camps fermés et surveillés pour des personnes qui n’ont pas commis de crime. Les camps vont devenir quelque chose qui s’inscrit dans le quotidien, quelque chose de normal. Si possible dans des endroits lointains et horribles, si nécessaire sur place. Enfermer, compter, enregistrer.

      #shopping_de_l'asile #normalisation
      #cpa_camps

    • L’#Autriche veut proscrire toute demande d’asile sur le territoire de l’Union européenne

      A la veille d’une réunion, jeudi, entre les ministres de l’intérieur de l’UE sur la question migratoire, Vienne déclare vouloir proposer un changement des règles d’asile pour que les demandes soient étudiées hors d’Europe.

      https://mobile.lemonde.fr/europe/article/2018/07/10/l-autriche-veut-proscrire-toute-demande-d-asile-sur-le-territoire-de-

    • Record deaths at sea: will ‘regional disembarkation’ help save lives?
      ❝What is the aim of European policy on Mediterranean migration?

      Europe’s strategic ambition is clear: reduce the number of people who embark on journeys across the Mediterranean by boat. The more European countries struggle to share responsibility for those who are rescued at sea and brought to Europe, the stronger the desire to dissuade migrants from getting on a boat in the first place. Moreover, stemming the departures is said to be the only way of reducing the death toll.

      The challenge, as the European Council put it, is to ‘eliminate the incentive to embark’ on journeys across the Mediterranean. And the new migration agreement proposes a solution: setting up ‘regional disembarkation platforms’ outside the European Union. The logic is that if people rescued at sea are sent back to the coast they left, nobody will take the risk and pay the cost of getting on smugglers’ boats.
      Would this even work?

      Addressing the challenges of irregular migration is truly difficult. Still, it is baffling how the proposal for regional disembarkation platforms is embroiled in contradictions. The agreement itself is scant on specifics, but the challenges will surface as the policy makers have to make key decisions about how these platforms would work.

      First, will they be entry points for seeking asylum in Europe? The agreement suggests that the platforms might play this role. But if the platforms are entry points to the European asylum procedure, they will attract thousands of refugees who currently have no other option to apply for asylum in Europe than paying smugglers to set out to sea.

      This scenario raises a second question: what will be the possible ways of accessing the platforms? If they are reserved for refugees who have paid smugglers and are rescued at sea, access to protection will be just as reliant on smugglers as it is today. But if anyone can come knocking on the gate to the platforms, without having to be rescued first, the asylum caseload would swell. Such an outcome would be unacceptable to EU member states. As a recent EC note remarked, ‘to allow individuals to “apply” for asylum outside the EU […] is currently neither possible nor desirable.

      These two questions lay out the basic scenarios for how the regional disembarkation platforms would operate. Thinking through these scenarios it’s not clear if these platforms can ever be workable. Moreover, putting these platforms in place directly contradicts the European Council’s stated objectives:

      – dissuading smuggling journeys
      – distinguishing individual cases in full respect of international law
      – not creating a pull factor

      How does this relate to broader EU policies on migration?

      In some way, regional disembarkation platforms are a logical next step along the course the EU has been pursuing for years now. To stop refugees and other migrants from reaching its shores, the EU has been using a multi-pronged approach. On the one hand, the bloc has increased the use of aid to tackle the ‘root causes’ of migration – the logic being that if potential migrants are given other opportunities (e.g. skills training), they will be deterred from leaving. Similarly, information campaigns targeting aspiring migrants seek to deter people from setting out on dangerous journeys.

      Another major focus has been that of externalisation of border management – basically shifting border management to countries outside the EU: a key component of the EU-Turkey Deal is Turkey agreeing to take back refugees who crossed into Greece. Externalisation serves two purposes: keeping migrants physically out of Europe, but also as a deterrence measure sending potential migrants the implicit message that it won’t be easy to come to Europe.

      Regional disembarkation platforms are part of this process of externalisation. But there are key differences that make this proposal more extreme than policies pursued so far. Other externalization measures have aimed at preventing potential asylum seekers from reaching the point where they become eligible to launch a claim in Europe. The platforms will apparently serve a different role, by enabling the physical return of asylum seekers who have become Europe’s responsibility after being rescued by European ships in international waters.
      What do we know about efforts to deter irregular migration?

      The dim outlook for regional disembarkation platforms reflects more general limitations of deterrence measures in migration policy. Using decades worth of data, Michael Clemens and colleagues have shown that along the US-Mexico border greater deterrence and enforcement efforts have only reduced irregular migration when accompanied by greater legal migration pathways. Research by ODI has shown that information about deterrence measures and anti-migration messages rarely featured in migrant decision-making process. We will explore this further in our upcoming MIGNEX research project, which includes large-scale analyses of the drivers of migration in ten countries of origin and transit.
      Blocking access to asylum is not a life-saving measure

      The European Council presents regional disembarkation platforms as a strategy for ‘preventing tragic loss of life’. The irony of this argument is that these platforms will only deter sea crossings if they are dead ends where people who are rescued at sea are barred from seeking asylum in Europe. It is difficult to see how such a setup would be legally feasible, or indeed, ‘in line with our principles and values’, as the Council states.

      If the legal obstacles were overcome, there may indeed be fewer deaths at sea. But some of the deaths would simply occur out of sight instead. Refugees flee danger. Blocking access to seeking asylum puts more lives at risk and cannot be justified as a measure to save lives at sea.

      For now, the European Council glosses over the dilemmas that the regional disembarkation platforms will create. Facing the realities of the situation would not make perfect solutions appear, but it would enable an open debate in search of a defensible and effective migration policy.


      $https://blogs.prio.org/2018/07/record-deaths-at-sea-will-regional-disembarkation-help-save-lives

    • Austrian Presidency document: “a new, better protection system under which no applications for asylum are filed on EU territory”

      A crude paper authored by the Austrian Presidency of the Council of the EU and circulated to other Member States’s security officials refers disparagingly to “regions that are characterised by patriarchal, anti-freedom and/or backward-looking religious attitudes” and calls for “a halt to illegal migration to Europe” and the “development of a new, better protection system under which no applications for asylum are filed on EU territory,” with some minor exceptions.

      See: Austrian Presidency: Informal Meeting of COSI, Vienna, Austria, 2-3 July 2018: Strengthening EU External Border Protection and a Crisis-Resistant EU Asylum System (pdf): http://www.statewatch.org/news/2018/jul/EU-austria-Informal-Meeting-%20COSI.pdf

      The document was produced for an ’Informal Meeting of COSI’ (the Council of the EU’s Standing Committee on Operational Cooperation on Internal Security) which took place on 2 and 3 July in Vienna, and the proposals it contains were the subject of numerous subsequent press articles - with the Austrian President one of the many who criticised the government’s ultra-hardline approach.

      See: Austrian president criticises government’s asylum proposals (The Local, link); Austrian proposal requires asylum seekers to apply outside EU: Profil (Reuters, link); Right of asylum: Austria’s unsettling proposals to member states (EurActiv, link)

      Some of the proposals were also discussed at an informal meeting of the EU’s interior ministers on Friday 13 July, where the topic of “return centres” was also raised. The Luxembourg interior minister Jean Asselborn reportedly said that such an idea “shouldn’t be discussed by civilized Europeans.” See: No firm EU agreement on Austrian proposals for reducing migration (The Local, link)

      The Austrian Presidency paper proposes:

      "2.1. By 2020

      By 2020 the following goals could be defined:

      Saving as many human lives as possible;
      Clear strengthening of the legal framework and the operational capabilities of FRONTEX with respect to its two main tasks: support in protecting the Union’s external border and in the field of return;
      Increasing countering and destruction of people smugglers’ and human traffickers‘ business models;
      Significant reduction in illegal migration;
      More sustainable and more effective return measures as well as establishment of instruments that foster third countries’ willingness to cooperate on all relevant aspects, including the fight against people smuggling, providing protection and readmission;
      Development of a holistic concept for a forward-looking migration policy (in the spirit of a “whole of government approach“) and a future European protection system in cooperation with third countries that is supported by all and does not overburden all those involved – neither in terms of resources nor with regard to the fundamental rights and freedoms they uphold.

      2.2. By 2025

      By 2025 the following goals could be realised:

      Full control of the EU’s external borders and their comprehensive protection have been ensured.
      The new, better European protection system has been implemented across the EU in cooperation with third countries; important goals could include:
      no incentives anymore to get into boats, thus putting an end to smuggled persons dying in the Mediterranean;
      smart help and assistance for those in real need of protection, i.e. provided primarily in the respective region;
      asylum in Europe is granted only to those who respect European values and the fundamental rights and freedoms upheld in the EU;
      no overburdening of the EU Member States’ capabilities;
      lower long-term costs;
      prevention of secondary migration.
      Based on these principles, the EU Member States have returned to a consensual European border protection and asylum policy.”

      And includes the following statements, amongst others:

      “...more and more Member States are open to exploring a new approach. Under the working title “Future European Protection System” (FEPS) and based on an Austrian initiative, a complete paradigm shift in EU asylum policy has been under consideration at senior officials’ level for some time now. The findings are considered in the “Vienna Process” in the context of which the topic of external border protection is also dealt with. A number of EU Member States, the EU Commission and external experts contribute towards further reflections and deliberations on these two important topics.”

      “...ultimately, there is no effective EU external border protection in place against illegal migration and the existing EU asylum system does not enable an early distinction between those who are in need of protection and those who are not.”

      “Disembarkment following rescue at sea as a rule only takes place in EU Member States. This means that apprehensions at sea not only remain ineffective (non-refoulement, examination of applications for asylum), but are exploited in people smugglers’ business models.”

      “Due to factors related to their background as well as their poor perspectives, they [smuggled migrants] repeatedly have considerable problems with living in free societies or even reject them. Among them are a large number of barely or poorly educated young men who have travelled to Europe alone. Many of these are particularly susceptible to ideologies that are hostile to freedom and/or are prone to turning to crime.

      As a result of the prevailing weaknesses in the fields of external border protection and asylum, it is to be expected that the negative consequences of past and current policies will continue to be felt for many years to come. As experience with immigration from regions that are characterised by patriarchal, anti-freedom and/or backward-looking religious attitudes has shown, problems related to integration, safety and security may even increase significantly over several generations.”

      See: Austrian Presidency: Informal Meeting of COSI, Vienna, Austria, 2-3 July 2018: Strengthening EU External Border Protection and a Crisis-Resistant EU Asylum System (pdf)

      http://www.statewatch.org/news/2018/jul/eu-austrian-pres-asylum-paper.htm

    • Libya rejects EU plan for refugee and migrant centres

      Blow to Italy as Tripoli snubs proposal to set up processing centres in Africa

      Libya has rejected a EU plan to establish refugee and migrant processing centres in the country, adding that it would not be swayed by any financial inducements to change its decision.

      The formal rejection by the Libyan prime minister, Fayez al-Sarraj, is a blow to Italy, which is regarded as being close to his Tripoli administration.

      In June, Italy proposed reception and identification centres in Africa as a means of resolving divisions among European governments.

      The impasse came as the EU said it was willing to work as a temporary crisis centre to oversee the distribution of refugees and migrants from ships landing in Europe from Libya. Italy has said it is not willing to open its ports and may even reject those rescued by the EU Sophia search and rescue mission, a position that has infuriated other EU states.

      Speaking to the German newspaper Bild, Serraj said: “We are absolutely opposed to Europe officially wanting us to accommodate illegal immigrants the EU does not want to take in.”

      He dismissed accusations that Libya’s coastguard had shot at aid workers in ships trying to rescue people from the Mediterranean.

      “We save hundreds of people off the coast of Libya every day – our ships are constantly on the move,” he said. In practice, Libya is already running detention camps, largely as holding pens, but they are not run as EU processing centres for asylum claims.

      European foreign ministers agreed at a meeting on Monday to do more to train the Libyan coastguard by setting up the EU’s own training team inside Libya.

      The European parliament president, Antonio Tajani, said after a trip to Niger, one of the chief funnels for people into Libya, that the EU needed to plough more money into the Sahel region to reduce the need to leave the area. He said the number of people reaching Libya from Niger was collapsing.

      Tajani said: “Until 2016, 90% of irregular migrants travelled through the Niger to Libya and Europe. In just two years, Niger reduced migration flows by 95%, from over 300,000 to about 10,000 in 2018.”

      He said he would host a European conference in Brussels in October to support democratic elections in Libya scheduled for December.

      At the same time, Italy is to host a further conference in Rome in September seen as a follow-on to a conference held in May by the French president, Emmanuel Macron, that led to a commitment to hold elections this year.

      https://www.theguardian.com/world/2018/jul/20/libya-rejects-eu-plan-for-migrant-centres?CMP=Share_iOSApp_OtherSpeakin

    • UNHCR ed OIM discutono con la Commissione europea sulle piattaforme di sbarco, ma gli stati dicono no.

      Lunedì 30 luglio si svolgerà a Ginevra un incontro di rappresentanti dell’UNHCR e dell’OIM con la Commissione Europea per discutere sulle piattaforme di sbarco che Bruxelles vorrebbe imporre nei paesi di transito, come gli stati nordafricani, e negli stati di sbarco, soprattutto in Italia. Per selezionare rapidamente migranti economici e richiedenti asilo, e dunque procedere al respingimento immediato dei primi, senza alcuna garanzia di difesa, ed all’avvio delle procedure di asilo, per gli altri, senza alcuna garanzia di resettlement o di relocation ( ricollocazione) in un paese diverso da quello di primo ingresso. La Commissione dichiara che, soltanto dopo avere trovato un “approccio comune a livello europeo “, si rivolgeranno proposte ai paesi terzi. Gli stati nordafricani hanno però respinto in blocco questa proposta, e le autorità locali dei paesi di primo ingresso più interessati dagli sbarchi, confernano la loro opposizione a nuovi Hotspot. Le risorse previste per questa esternalizzazione delle frontiere sono ridicole. Per non parlare dei costi in termini di vite e di sfregio dei diritti umani.

      Un progetto che si salda strettamente con l’incremeno degli aiuti alla sedicente Guardia costiera “libica”, alla quale si affida già adesso, nella prassi quotidiana, un numero sempre più elevato di intercettazioni in acque internazionali, di fatto respingimenti collettivi, perchè realizzati con il coordinamento e l’assistenza di unità militari della Marina italiana che ha una base a Tripoli, nell’ambito della missione Nauras. Intanto la accresciuta assistenza italiana alla Marina ed alla Guardia costiera di Tripoli rischia di contribuire all’inasprimento del conflitto tra le diverse milizie ed allontana le probabilità di una reale pacificazione, premessa indispensabile per lo svolgimento delle elezioni. Le stesse milizie che continuano a trattenere in Libia, in condizioni disumane, centinaia di migliaia di persone.

      Dietro la realizzazione delle “piattaforme di sbarco” in Nordafrica, proposte anche dal Consiglio europeo del 28 giugno scorso, il ritiro dalle responsabilità di coordinamento dei soccorsi in acque internazionali da parte degli stati che fin qui ne sono stati responsabili in conformità al diritto internazionale generalmente riconosciuto. Per ragioni diverse, nè la Tunisia, ne la Libia, possono essere riconosciuti come “paesi terzi sicuri” con porti di sbarco che siano qualificabili come place of safety. Come avveniva fino a qualche mese fa, secondo il diritto internazionale, dopo i soccorsi in acque internazionali, i naufraghi vanno sbarcati non nel porto più vicino, na nel porto sicuro più vicino. Ma questa regola, a partire dal caso della nave Aquarius di SOS Mediterraneè, il 10 giugno scorso, è stata continuamente violata dal governo italiano e dalle autorità amministrative e militari che questo governo controlla. Molto grave, ma prevedibile, il comportamento di chiusura da parte di Malta, che continua a trattenere sotto sequstro due navi umanitarie, la Lifeline e la Seawatch. Sempre più spesso le dispute tra stati che negano a naufraghi un porto sicuro di sbarco rischiano di fare altre vittime

      La soluzione che si prospetta adesso con la nave SAROST 5,dopo gli appelli delle ONG tunisine, lo sbarco a Zarzis dei migranti soccorsi il 15 luglio, un caso eccezionale ben diverso da altri soccorsi operati in precedenza in acque internazionali, non costituisce un precedente, perchè la SAROST 5 batte bandiera tunisina. Dunque i naufraghi a bordo della nave si trovavano già in territorio tunisino subito dopo il loro recupero in mare. In futuro, quando i soccorsi in acque internazionali saranno comunque operati da imbarcazioni miitari o private ( incluse le ONG) con diversa bandiera, il problema del porto sicuro di sbarco si proporrà in termini ancora più gravi, con un ulteriore incremento delle vittime e delle sofferenze inflitte ai sopravvissuti, a fronte dei dinieghi degli stati che non rispettano il diritto internazionale ed impediscono la individuazione, nei tempi più rapidi, di un vero “place of safety”.

      Nel 2013 il caso del mercantile turco SALAMIS, che sotto cooordinamento della Centrale operativa (IMRCC) di Roma, aveva soccorso naufraghi a sud di Malta, in acque internazionali, si era concluso con lo sbarco in Italia, in conformità del diritto internazionale. Con lo sbarco dei migranti soccorsi dalla SAROST 5 nel porto di Zarzis,in Tunisia, per ragioni di emergenza sanitaria, si consuma invece una ennesima violazione del diritto internazionale, dopo i rifiuti frapposti dalle autorità italiane e maltesi. Stati che creano sofferenze, come strumento politico e di propaganda, fino al punto da costringere i comandanti delle navi a dichiarare lo stato di emergenza. Alla fine il governo tunisino, nel giorno della fiducia al governo e dell’insediamento del nuovo ministro dell’interno, ha ceduto alle pressioni internazionali, ed ha accettato per ragioni umanitarie lo sbarco di persone che da due settimane erano bloccate a bordo di un rimorchiatore di servizio ad una piattaforma petrolifera, in condizioni psico-fisiche sempre più gravi. Un trattamento inumano e degradante imposto da quelle autorità e di quegli stati che, immediatamente avvertiti dal comandante della SAROST 5 quando ancora si trovava in acque internazionali, hanno respinto la richiesta di garantire in tempi più rapidi ed umani un porto di sbarco sicuro.

      Di fronte al probabile ripetersi di altri casi di abbandono in acque internazionali, con possibili pressioni ancora più forti sulla Tunisia, è importante che l’UNHCR e l’OIM impongano agli stati membri ed all’Unione Europea il rispetto del diritto internazionale e l’obbligo di soccorso in mare, nel modo più immediato. Le prassi amministraive di “chiusura dei porti” non sono sorrette ada alcuna base legale, e neppure sono concretizzate in provvedimenti amministrativi, motivati ed impugnabili davanti ad una qualsiasi autorità giurisdizionale. Non si può continuare a governare tratendo in inganno il corpo elettorale, distorcendo persino le posizioni delle grandi organizzazioni internazionali. Fino ad un mese fa sia l’UNHCR che l’OIM avevano respinto la proposta della Commissione che voleva creare piattaforme di sbarco al di fuori dei confini europei. Una proposta che adesso viene ripresentata con vigore ancora maggiore, sotto la presidenza UE affidata all’Austria di Kurz, con la spinta di Orban e di Salvini verso la “soluzione finale” verso migranti ed ONG.

      Le Nazioni Unite conoscono bene la situazione in Libia. Occorre garantire a tutti i naufraghi soccorsi in acque internazionali un porto sicuro di sbarco, che non deve essere quello più vicino, se non offre la piena garanzia di una tutela effettiva dei diritti fondamentali e del diritto di chiedere asilo delle persone sbarcate. Non basta la presenza fisica di operatori dell’UNHCR e dell’OIM in alcuni punti di sbarco, come si sta verificando da mesi in Tripolitania, per riconoscere l’esistenza di un place of safety in paesi che anche secondo le grandi istituzioni internazionali, come per i tribunali italiani, non sono in grado di garantire place of safety in conformità alle Convenzioni internazionali.

      Se si dovesse decidere di riportare i migranti intercettati in acque internazionali e sbarcati nei paesi nordafricani, ammesso che posa succedere( anche se i migranti considerati “illegali” in Nordafrica saranno costretti a firmare una richiesta di resettlement, se non di rimpatrio volontario), magari per essere riportati indietro in un campo profughi in Niger, sarebbero violati i principi base di protezione delle persone, in quanto eseri umani, ai quali si ispirano le Convenzioni internazionali e la Costituzione italiana. La Convenzione di Ginevra non esclude il diritto dei richeidenti asilo a rivolgersi ad paese piuttosto che ad un altro. L’evacuazione dalle aree di crisi non esclude il diritto di accesso alle frontiere di un paese europeo perchè la richiesta di asilo sua valutata con le garanzie sostanziali e procedurali previste dalla normativa interna e sovranazionale.

      Se l’UNHCR e l’OIM cederanno alle pressioni dei governi, diventeranno complici degli abusi che i migranti continuano a subire nei paesi del nordafrica nei quali vengono respinti e detenuti.

      Le Organizzazioni non governative che, insieme ai naufraghi che soccorrono, continuano ad essere bersaglio di una campagna di odio che non accenna ad attenuarsi, continueranno, nei limiti dei propri mezzi a denunciare quanto accade ed a soccorrere le persone che in acque internazionali potranno raggiungere prima che facciano naufragio. La loro attività di ricerca e salvataggio appare tuttavia fortemente ridotta, anche per la illegittima “chiusura dei porti” decisa dal governo italiano, in assenza di qualsiasi provvedimento che ne fornisca una base legale, tale almeno da potere essere impugnato. Una lesione forse irreversibile dello stato di diritto (rule of law) alle frontiere marittime.Una responsabilità ancora maggiore per le autorità militari alle quali sarebbe affidato il coordinamento delle attività di ricerca e soccorso in mare (SAR). La percentuale delle vittime calcolate sul numero dei migranti che ancora riescono a fuggire dalla Libia non è mai stata tanto alta. Non si deve ridurre il valore del rispetto della vita umana alla riduzione numerica degli arrivi o dei soccorsi in mare.

      Dietro la conclamata esigenza di contrastare i trafficanti si cela una micidiale arma elettorale che sta permettendo il capovolgimento della narrazione dei fatti e la criminalizzazione della solidarietà. Il ruolo delle città dell’accoglienza e dei rappresentanti politici che ancora si oppongono a questa deriva disumana contro i migranti e le ONG, devono passare dalle parole ai fatti e dare concretezza alle dichiarazioni di solidarietà ed all’impegno di aprire i porti, ed aprire le città. Tutti i cittadini solidali sono chiamati ad esporsi in prima persona, saldando il ruolo delle autonomie locali con la capacità di autorganizzazione. Sarà una stagione lunga e dolorosa di conflitto, senza una rappresentanza polkitica capace di praticare una vera opposizione. Ma non ci sono possibilità di mediazione con chi dimostra di valutare una parte dell’umanità come “untermenschen” ( sottouomini), praticando l’abbandono in mare ed il respingimento collettivo verso luoghi di internamento e tortura, in modo da creare le premesse per una discriminazione istituzionale che nei territori si sta già traducendo in una violenza diffusa contro i più deboli. Oggi tocca ai migranti, dai naufraghi a quelli accolti nei centri in Italia, domani saranno nel mirino le componenti minoritarie dell’intera popolazione.

      https://www.a-dif.org/2018/07/29/unhcr-ed-oim-discutono-con-la-commissione-europea-sulle-piattaforme-di-sbarco

    • Libya rejects establishment of reception centres for irregular migrants on its territory

      Foreign Minister of the Presidential Council’s government Mohamed Sayala said Libya refuses the idea of setting up reception centres for irregular migrants on its territory, as did Tunisia, Algeria and Morocco.

      “The country’s immigrant housing centres are sheltering around 30,000 immigrants, and Libya has cooperated with the European Union to return migrants to their countries of origin, but some countries refused to receive them,” Sayala said to the Austrian newspaper Die Presse.

      “Libya has signed agreements with Chad, Niger and Sudan to enhance the security of the crossing borders in order to curb the flow of migrants,” the Foreign Minister added.

      https://www.libyaobserver.ly/inbrief/libya-rejects-establishment-reception-centres-irregular-migrants-its-t

    • Juncker says N.Africa migrant “camps” not on EU agenda

      European Commission President Jean-Claude Juncker said on Friday that a suggestion that the European Union might try to set up migrant camps in North Africa was no longer on the agenda.

      EU member states are in disagreement over how the bloc should deal with tens of thousands of migrants arriving every year in Europe, the bulk of them by sea from Turkey and North Africa.

      In June, a summit of all EU leaders asked the Commission to study ways to set up “regional disembarkation platforms” in North African countries, including Tunisia, for migrants rescued by European vessels in the Mediterranean.

      However, there has been little appetite in Africa and EU officials have long questioned the legality and practicality of such camps — a view underlined in Juncker’s blunt reply.

      “This is no longer on the agenda and never should have been,” Juncker told a news conference in Tunis with Tunisian Prime Minister Youssef Chahed.

      http://news.trust.org/item/20181026131801-1t7he
      #cpa_camps

    • Juncker says North Africa migrant ’camps’ not on EU agenda

      European Commission President Jean-Claude Juncker said on Friday that a suggestion that the European Union might try to set up migrant camps in North Africa was no longer on the agenda.

      EU member states are in disagreement over how the bloc should deal with tens of thousands of migrants arriving every year in Europe, the bulk of them by sea from Turkey and North Africa.

      In June, a summit of all EU leaders asked the Commission to study ways to set up “regional disembarkation platforms” in North African countries, including Tunisia, for migrants rescued by European vessels in the Mediterranean.

      However, there has been little appetite in Africa and EU officials have long questioned the legality and practicality of such camps — a view underlined in Juncker’s blunt reply.

      “This is no longer on the agenda and never should have been,” Juncker told a news conference in Tunis with Tunisian Prime Minister Youssef Chahed.


      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-africa/juncker-says-north-africa-migrant-camps-not-on-eu-agenda-idUSKCN1N01TU

    • Refugee centers in Tunisia ’out of the question’, president says

      The Tunisian President, Beji Caid Essebsi, has said his country will not host EU refugee reception centers. He also told DW that Tunisia was a safe country, despite a terrorist attack in the capital earlier this week.

      President Essebsi made the statement in Berlin, where he attended Chancellor Angela Merkel’s African business summit. In an interview with DW’s Dima Tarhini, the 91-year-old leader said opening refugee reception centers in countries such as Tunisia was “out of the question.”

      “Tunisia has much more experience with refugees than many European countries. After the Libyan revolution, more than 1.3 million refugees from various countries streamed into Tunisia. Fortunately, most of them returned to their home countries with our help. Europe has never experienced anything comparable. And we, unlike Europe, do not have the capacities to open reception centers. Every country needs to pull its own weight on this issue.”

      The European Union wants greater cooperation on migration with North African nations Algeria, Egypt, Libya, Tunisia, Niger and Morocco. Earlier this year, the EU migration commissioner announced a plan for a “regional disembarkation scheme”. Under the proposed deal, African countries would host migrant screening centers to process refugee claims. The Tunisian government has already expressed opposition to the idea.

      Despite terrorism, a ’safe country’

      During President Essebsi’s visit to Berlin, a 30-year-old woman blew herself up with a homemade bomb in the Tunisian capital, injuring at least eight people.

      “We thought we had eradicated terrorism, but it turns out that it still exists and that it can strike in the heart of the capital,” President Essebsi said in a statement to the press.

      The suicide attack led to renewed questions about whether Tunisia should be considered a safe country of origin for asylum seekers.

      Tarhini: In Germany, in the context of repatriating asylum-seekers, it has been questioned just how safe Tunisia really is. Tunisia is considered a safe North African country. What is your opinion on this?

      Beji Caid Essebsi: "Tunisia is a safe country; that is the truth. It is much safer than many other countries. Regarding refugees and the problem that they pose for Europe and other regions: Tunisia guarantees the freedom of its citizens, no matter what their conduct. If Tunisians abroad do something wrong and are sent back, then we will take them in. But not citizens of other countries.

      http://www.infomigrants.net/en/post/13062/refugee-centers-in-tunisia-out-of-the-question-president-says?ref=tw
      #Tunisie
      ping @_kg_

    • Les plateformes de débarquement pour migrants enterrées ?

      « Les Plateformes de débarquement en Afrique ne sont plus à l’ordre du jour et n’auraient jamais dû l’être », a déclaré le président de la Commission européenne Juncker, ce 26 octobre, lors d’une conférence de presse à Tunis avec le Premier ministre tunisien, Youssef Chahed .

      Etonnant ? Rembobinons la bande-son 4 mois en arrière...

      Les plateformes de débarquement sont une proposition de la Commission européenne faite, à Bruxelles, le 28 juin lors d’un Conseil européen. Son objectif était d’empêcher l’arrivée des personnes migrantes, dites irrégulières, sur le sol européen. Comment ? En les bloquant, en amont, dans des centres fermés, le temps d’examiner leur profil et demande. Et en y débarquant systématiquement les naufragés repêchés en Méditerranée. Ces plates-formes seraient situées sur les côtes africaines notamment en Tunisie et au Maroc. L’Egypte a été également évoquée.

      Cette proposition s’inscrivait dans l’approche dominante de « l’externalisation » de la gestion des frontières prônée de façon croissante par les institutions européennes et ses membres depuis une vingtaine d’années. Depuis 2015, cette approche constitue l’une des orientations majeures des politiques migratoires européennes.

      Pourquoi dès lors, la Commission fait-elle marche arrière quant à ce projet ? Plusieurs raisons peuvent être avancées.

      La première réside dans le fait que cette approche n’atteint pas ses objectifs (endiguer les départs et augmenter les expulsions des personnes en situation irrégulière). Il suffit de voir la situation dans les hotspots d’Italie et de Grèce depuis 2015. A Moria, sur l’île de Lesbos, MSF parle de crise humanitaire due au surpeuplement, aux infrastructures et conditions d’accueil déplorables, ainsi qu’à l’insécurité mettant à mal l’ensemble des droits fondamentaux des personnes, notamment ceux des femmes et des mineurs. Les plus vulnérables se retrouvent dans un cul-de-sac.
      « Moria est devenu pour beaucoup un lieu de transit prolongé le temps que leur demande d’asile soit étudiée », souligne Dimitris Vafeas, le directeur adjoint du camp de Moria. D’autres exemples sont ceux du Niger ou encore de la Libye qui laissent les personnes migrantes dans une situation « d’encampement » permanent ou d’errance circulaire sans fin, faute de voies légales de migrations.

      La seconde explication trouve sa source dans le fait que cette approche ne respecte pas le droit international. En effet, d’une part, selon la Convention de Genève, chacun a le droit de quitter son pays et de demander l’asile dans un pays où sa sécurité sera assurée. Le droit international, s’il autorise un pays à refuser l’immigration, prohibe l’instauration du délit d’émigration : la Déclaration universelle des droits de l’homme stipule ainsi en son article 13 le droit de « quitter tout pays y compris le sien ». De plus, le droit maritime prévoit que tout naufragé sauvé en mer doit être conduit vers le port proche le plus sûr, ce qui implique que les personnes rescapées au large des côtes européennes doivent y être conduite. Enfin, plusieurs pays, à commencer par la Libye, ne représentent en aucun cas des « lieux sûrs », au regard des conditions auxquelles y font face les migrants. Même au Maroc, il y a quelques semaines, le GADEM, association marocaine de défense des droits de l’homme, sortait un rapport dramatique faisant état des violences multiples qu’encourent les personnes migrantes au Maroc.

      La troisième raison est que la majorité des pays en développement ne veulent pas entendre parler de ces plates-formes. Ils accueillent déjà 85 % des personnes réfugiées alors que l’Europe n’en accueille que 6%. Les pays africains tentent donc de faire bloc afin d’installer un rapport de force face aux Européens. Ils savent qu’ils sont désormais des acteurs incontournables du dossier migratoire sur la scène internationale. Cependant, les sommes mises sur la table, tels que les budgets de l’APD, risquent à terme d’effriter ce bloc d’argile, même si ces montants doivent être mis en regard des transferts des diasporas (remittances), nettement plus importants et qui rendent donc les dirigeants des pays d’origine enclins à favoriser les migrations.

      Il est donc temps, vu cet échec, que la Commission européenne change de cap et axe ses politiques non pas sur l’externalisation des questions de l’asile et de la migration, mais sur le renforcement de la solidarité intra-européenne dans l’accueil et sur la mise en œuvre de nouvelles voies sûre et légales de migration. Cela lui permettrait, enfin, de respecter le droit international et de consacrer son APD à la réalisation des Objectifs de développement plutôt qu’à la lutte contre les migrations, fussent-elles irrégulières.

      https://www.cncd.be/Les-plateformes-de-debarquement

    • L’UE bat partiellement en retraite sur les hotspots en Afrique

      Le Conseil voulait débarquer les migrants sauvés en Méditerranée sur les côtes africaines. Face à l’opposition des États africains, le projet a été abandonné, mais l’UE fait toujours pression sur les pays de transit.

      Au sommet du Conseil de juin dernier, les dirigeants européens ont demandé à la Commission d’étudier la possibilité d’instaurer des « plateformes de débarquement régionales » en Afrique, afin d’y envoyer les migrants repêchés par des bateaux européens en Méditerranée.

      L’initiative a tourné court. Dans les jours qui ont suivi le sommet, le Maroc et l’Union africaine se sont mobilisés pour assurer un rejet généralisé des « hotspots » sur les territoires africains.

      Nasser Bourita, le ministre marocain aux Affaires étrangères, a accusé les dirigeants européens de réagir de manière excessive, et souligné que le nombre de migrants tentant d’entrer en Europe a largement chuté. À ce jour, ils sont 80 000 à être arrivés cette année, contre 300 000 en 2016.

      La société civile s’est aussi opposée au projet, estimant que ces camps de migrants seraient contraires aux engagements de l’UE en termes de droits de l’Homme.

      Lors d’une visite en Tunisie le 26 octobre, Jean-Claude Juncker, président de la Commission européenne, a assuré que l’UE ne tentait pas de mettre en place des camps de réfugiés dans le nord de l’Afrique. « Ce n’est plus au programme, et ça n’aurait jamais dû l’être », a-t-il indiqué lors d’une conférence de presse avec le Premier ministre tunisien, Youssef Chahed.

      Une semaine après, la porte-parole de la Commission, Natasha Bertaud, a expliqué que l’exécutif européen préférait à présent parler d’« arrangements de débarquement régionaux ». L’UE a donc commencé à préparer des accords spécifiques avec chacun des pays concernés, dont un échange de financements contre un meilleur contrôle migratoire. Le but est ainsi d’empêcher les migrants d’arriver en Europe.

      Accords en négociations

      Depuis le mois de septembre, des discussions sont en cours entre Bruxelles et le gouvernement égyptien d’Abdel Fattah al-Sissi. Un accord « cash contre migrants » devrait être finalisé avant le sommet UE-Ligue arabe qui aura lieu en février au Caire.

      S’il parait évident que l’Europe ne répétera pas son offre de 4 milliards à la Turquie, l’Égypte devrait demander une aide considérable et des prêts avantageux en échange d’un durcissement du contrôle migratoire. Des accords similaires devraient être conclus avec le Maroc, la Tunisie et la Libye.

      Le timing n’est pas dû au hasard, puisque Abdel Fattah al-Sissi succédera en janvier au Rwandais Paul Kagame à la présidence de l’Union africaine, et que le sommet de février sera centré sur l’immigration.

      Ce n’est pourtant pas parce que l’idée des « hotspots » a été abandonnée que les pays africains échappent aux pressions européennes.

      Le 1er novembre, Reuters indiquait que le ministère marocain des Affaires étrangères avait mis en place une nouvelle obligation pour les ressortissants du Congo Brazzaville, de Guinée et du Mali, qui devront à présent demander un permis de voyage quatre jours avant leur arrivée au Maroc. La plupart des migrants espérant atteindre l’Europe via le Maroc sont guinéens ou maliens.

      L’Espagne fait en effet pression sur Rabat pour réduire le nombre d’arrivées de migrants, notamment via ses enclaves de Ceuta et Melilla.

      Redéfinitions à venir

      Par ailleurs, les conditions de renvoi des migrants seront redéfinies dans le texte qui remplacera l’accord de Cotonou, mais il est clair que l’Europe ne voudra pas les rendre plus strictes. Les discussions entre l’UE et les pays d’Afrique, des Caraïbes et du Pacifique, viennent de commencer.

      L’accord, qui expire en 2020, prévoit que les États africains réintègrent les migrants qui n’obtiennent pas l’autorisation de rester en Europe, une mesure qui n’a cependant pas été mise en pratique. « Les dirigeants africains ne respecteront jamais ces articles sur la migration », indique une source proche des négociations.

      L’Union africaine n’est pas parvenue à unir ses membres pour négocier le successeur de l’accord de Cotonou sur la base d’une position commune face à l’UE, mais les avis sont plus convergents sur la question migratoire. Selon une représentante de la société civile, son plan d’action sur l’immigration est « l’un des meilleurs documents sur la migration ».

      Contrairement à l’UE, divisée entre des pays plutôt accueillants et d’autres comme la Hongrie, la Pologne ou l’Italie, qui défendent des règles extrêmement strictes, les membres de l’Union africaine sont sur la même longueur d’onde sur le sujet. « L’UE n’est pas en position de négocier sur l’immigration, mais l’Union africaine l’est », conclut cette même source.

      Pour montrer à ses citoyens qu’elle agit, l’UE pourrait donc finir par mettre en place des arrangements de contrôle migratoire fragmentés et chers.

      https://www.euractiv.fr/section/migrations/news/eu-lowers-its-ambitions-on-african-migration-control

    • EP lawyers back EU plans for migrant centres in Africa

      Lawyers working at the European Parliament on Tuesday (27 November) struggled to provide a detailed analysis of whether stalled EU plans to offload rescued migrants in north Africa were legal - but ultimately backed the controversial concept.

      “It was at least a brave attempt to piece together, sort of like bits of circumstantial evidence from a kind of a crime scene, to see what the hell this is,” British centre-left MEP Claude Moraes said of their efforts.

      Speaking at the parliament’s civil liberties committee, a lawyer from the legal service was only able to provide an oral summary of their report, citing confidentiality issues.

      But EUobserver has obtained a full copy of the 10-page confidential report, which attempted to provide a legal analysis of stalled EU plans to set up so-called ’regional disembarkation platforms’ in north Africa and controlled centres in Europe.

      The report broadly rubber stamps the legality of both concepts, but with conditions.

      It says “controlled centres and/or disembarkation platforms of a similar nature could be, in principle, lawfully established in the European Union territory.”

      It states disembarkation platforms “could lawfully be established outside of the European Union, in order to receive migrants rescued outside the territory of the Union’s member states.”

      It also says EU law does not apply to migrants rescued at high sea, even with a boat flying an EU-member state flag.

      “We can’t consider a vessel flying a flag of a member state to be an extension of a member state,” the lawyer told the MEPs.

      EU law is also not applied if the migrant is rescued in the territorial waters of an African coastal state, states the report.

      It also notes that people rescued in EU territorial waters cannot then be sent to disembarkation platforms in an non-EU state.

      Morocco and other bordering coastal states must apply the 1951 Geneva Convention and must be considered safe before allowing them to host any disembarkation platform.

      Earlier this year, the European Commission tasked the EU’s asylum support office to analyse the safety of both Morocco and Tunisia.

      But neither country has voiced any interest in hosting such platforms.

      The two countries were then presented over the summer by EU heads of state and government as a possible solution to further stem boat migrants from taking to the seas in their efforts to reach Europe.

      The concepts, initially hatched by the International Organisation for Migration (IOM) and the UN refugee agency (UNHCR), were met with disdain by north African states, who viewed them as a veiled attempt by the EU to outsource its problem back onto them.

      Furthermore, not a single EU state has expressed any interest to host a controlled centre.

      Human rights defenders have also raised alarm given the poor treatment of thousands of refugees and migrants stuck in over-crowded camps on the Greek islands.

      Attempting to replicate similar camps or centres elsewhere has only heightened those fears.

      But the EU says it is pressing ahead anyway.

      “The disembarkation arrangement, the discussion, is proceeding in the Council,” said Vincet Piket, a senior official in the EU’s foreign policy branch, the EEAS.

      https://euobserver.com/migration/143513

    • Et il y a des personnes, qui travaillent pour le HCR, ici #Vincent_Cochetel, qui croient en les plateformes de désembarquement évidemment...

      Good statement of search and rescue organisations, but I would like to see the same advocacy efforts with North African countries. A predictable regional disembarkation mechanism must be a shared responsibility on both sides of the Mediterranean.

      https://twitter.com/cochetel/status/1073190725473484801?s=19

    • African Union seeks to kill EU plan to process migrants in Africa

      Exclusive: Leaked paper shows determination to dissuade coastal states from cooperating.

      The African Union is seeking to kill off the EU’s latest blueprint for stemming migration, claiming that it would breach international law by establishing “de facto detention centres” on African soil, trampling over the rights of those being held.

      A “#common_African_position_paper” leaked to the Guardian reveals the determination of the 55-member state body, currently headed by Egypt, to dissuade any of its coastal states from cooperating with Brussels on the plan.

      The EU set plans for “regional disembarkation platforms” in motion last summer to allow migrants found in European waters to have their asylum requests processed on African soil.

      Brussels has a similar arrangement in place with Libya, where there are 800,000 migrants, 20,000 of whom are being held in government detention centres. The Libyan authorities have been accused of multiple and grave human rights abuses. A UN report recently stated that migrants in the country faced “unimaginable horrors”.

      Some northern states, including Morocco, have already rejected the EU’s proposal over the new “platforms”, but there are concerns within the African Union (AU) that other member governments could be persuaded by the offer of development funds.

      Italy’s far-right interior minister Matteo Salvini has called for the centres to be based around the Sahel region, in Niger, Chad, Mali and Sudan. An inaugural summit between the EU and the League of Arab States is being held in Sharm el-Sheikh in Egypt on Sunday and Monday, and migration is expected to be discussed.

      “When the EU wants something, it usually gets it,” said a senior AU official. “African capitals worry that this plan will see the establishment of something like modern-day slave markets, with the ‘best’ Africans being allowed into Europe and the rest tossed back – and it is not far from the truth.”

      They added: “The feelings are very, very raw about this. And it feels that this summit is about the EU trying to work on some countries to cooperate. Bilaterally, some countries will always look at the money.”

      EU officials, in turn, have been coy about the purposes of the summit, insisting that it is merely an attempt to engage on issues of joint importance.

      The leaked draft joint position of the AU notes that Brussels has yet to fully flesh out the concept of the “regional disembarkation platforms”. But it adds: “The establishment of disembarkation platforms on the African Continent for the processing of the asylum claims of Africans seeking international protection in Europe would contravene International Law, EU Law and the Legal instruments of the AU with regard to refugees and displaced persons.

      “The setup of ‘disembarkation platforms’ would be tantamount to de facto ‘detention centres’ where the fundamental rights of African migrants will be violated and the principle of solitary among AU member states greatly undermined. The collection of biometric data of citizens of AU Members by international organisations violates the sovereignty of African Countries over their citizens.”

      The AU also criticises Brussels for bypassing its structures and warns of wider repercussions. “The AU views the decision by the EU to support the concept of ‘regional disembarkation platforms’ in Africa and the ongoing bilateral consultation with AU member states, without the involvement of the AU and its relevant institutions, as undermining the significant progress achieved in the partnership frameworks and dialogues between our two unions,” the paper says.

      Confidential legal advice commissioned by the European parliament also raises concerns about the legality of establishing processing centres on African soil for those found in European waters.

      The paper, seen by the Guardian, warns that “migrants, after they have been rescued (or a fortiori after they have been brought back on to European Union territory), could not be sent to platforms outside of the European Union without being granted access to the EU asylum procedures and without being granted the possibility to wait for the complete examination of their request”.

      https://www.theguardian.com/world/2019/feb/24/african-union-seeks-to-kill-eu-plan-to-process-migrants-in-africa

  • Alain Péters, le clochard céleste | David Commeillas
    https://www.arteradio.com/son/61660068/alain_peters_le_clochard_celeste

    Il n’a laissé qu’une vingtaine de chansons, mais elles ont changé à jamais la musique de l’île de La Réunion. En ballade entre les champs de cannes à sucre et les volcans, David Commeillas part sur la piste d’Alain Péters, chanteur et poète maudit mort à 43 ans. Génie torturé, alcoolique et autodestructeur, Alain Péters a magnifiquement transformé le maloya en poésie dans les années 70. Ses chansons sont plus proches de la mélancolie de Nick Drake ou de Leonard Cohen que des clichés d’une musique des îles forcément festive… Durée : 54 min. Source : Arte Radio

    https://download.www.arte.tv/permanent/arteradio/sites/default/files/sons/24alainpetersleclochardceleste_hq_fr.mp3

    • https://lesdisquesbongojoe.bandcamp.com/track/wa-o-manman


      https://lesdisquesbongojoe.bandcamp.com

      Icône absolue de la musique traditionnelle de l’ile de la réunion, le maloya, Alain Peters est repris par l’ensemble des artistes réunionnais d’aujourd’hui. Il est a l’origine d’une oeuvre personnelle, unique et universelle à la fois pour la premiere fois édité sur vinyle.

      Dès l’age de treize ans il commence à jouer dans un orchestre de bal puis se lance dans le bouillonnement des années hippies et disco avec des groupes aux nom évocateurs comme Les Lords, Pop Decadence, Satisfaction. Vers la fin des années 1970 c’est la rencontre décisive avec un poète réunionnais , Jean Albany et l’ adoption du créole comme langue d’écriture et de la musique de l’ile , le maloya. Alain Peters fonde alors un nouveau groupe, Carrousel, au repertoire nourri de rythmes traditionnels et d’influences plus modernes. L’aventure ne durera qu’un an : le déces de son père le précipite un peu plus dans l’alcool . Le groupe se sépare et Alain plonge dans la marginalité.

      Usant et abusant de zamal ( l’herbe locale ) et d’alcool, il vit en demi-clochard chantant sa misère et sa profonde tristesse aux hasard des rencontres. Une voix mélancolique, un jeu de guitare très rythmique sur une takamba , petite guitare sahélienne, des textes doux amers chantés en créole caractérisent ses chansons. Quelques enregistrements de cette époque subsistent. On les doit à Jean Marie Pirot,un enseignant passionné qui, en 1981, s’improvise directeur de studio d’enregistrement. Pendant un an, dans son appartement, il a la patience ( les séances ne duraient jamais très longtemps) de capturer une dizaine de merveilles – piste après piste, car Péters y joue de tous les instruments. Ce sont ces enregistrements remasterisés avec quelques autres capturés ça et la que l’on retrouve pour la premiere fois en vinyle.

      Il décedera d’une crise cardiaque en 1995 à l’age de 43 ans. "Alain, il est immortel " confie avec simplicité Danyel Waro. « Il a laissé beaucoup de belles choses. C’est une valeur poétique et musicale. C’est quelqu’un que je respecte grandement. C’est un rebelle qui ne pouvait pas s’inscrire dans la réalité. C’était quelqu’un de très commun et hors du commun à la fois. Il chantait sa réalité, son abîme. C’était un vagabond. Il n’a pas d’âge. Je le sais mort depuis longtemps, mais il continue d’être en nous ».

      Le disque contient une sélection de 12 morceaux tiré du répertoire d’Alain Peters inséré dans une pochette épaisse (réplika). Les notes et textes ont été rédigé par Mazzoleni.

      http://www.bongojoe.ch/lesdisquesbongojoe
      #bandcamp #bongojoe_rds

  • Kommentar Jim Knopf - Eine verstörende Karikatur
    https://mobil.berliner-zeitung.de/politik/meinung/kommentar-jim-knopf---eine-verstoerende-karikatur-29911644


    C’est compliqué la vie, surtout quand nous ne regardons pas les choses précisément. Dans l’Allemagne d’aujourd’hui nous vivons ensemble avec le monde entier ce qui nous oblige à nous intéresser aux autres habitants de notre pays, à leur cultures et histoires. Ceci vaut autant pour les allemands dites « biologiques » comme pour les nouveaux arrivants. L’article cité est un exemple qui montre comment on peut se tromper.

    Dans mon enfance j’était un lecteur avide. Un de mes livres préférés était l’histoire de Jim Knopf , un orphelin noir qui quitte l’îlot où il a grandi. Cette île minuscule est trop petite pour un adulte supplémentaire. C’est son copain Lukas qui se porte volontaire pour partir afin d’éviter au jeune Jim de devoir quitter sa maman et ses autres amis.

    Jim ne veut pas perdre Lukas et l’obige de l’emmener avec lui, ce qui est une très bomme idée car Jim est très intelligent. Ensemble ils forment une équipe formidable qui surmonte les pires obstacles. Dans le livre il n’y a qu’une personne encore plus intelligente que Jim. C’est la princesse chinoise Li Si . Jim et Lukas la libèrent des griffes du dragon Frau Malzahn qui achète des enfants aux terribles 13 pirates afin de remplir les bancs de son école où elle torture les petits avec les mathématiques et la grammaire.

    Jim, Li Si et Lukas libèrent les enfants et aident le dragon vaincu à se transformer dans un bon dragon de la sagesse. Leur victoire est possible par la solidarité, parce qu’ils ne tuent pas et grâce à la force de Lukas, l’intelligence et le courage de Jim, et les bonnes connaissance de Li Si.

    Dans la deuxième partie de l’histoire (SPOILER ALERT) on apprend que les terribes 13 pirates sont eux aussi victimes obligés à exercer leur sombre profession parce qu’ils ne savent rien faire d’autre. Is ne savent même pas compter. En réalité ils ne sont que 12 et au fond pas terribles du tout.

    L’auteur Michael Ende publie cette histoire en 1960. On peut y identifier une critique de la pédagogie noire nazie (l’école du dragon Frau Malzahn), c’est un plaidoyer contre toute forme de racisme (la victoire est assurée quand tout le monde est solidaire sans égard de sa couleur de peau) et c’est une histoire qui donne envie d’apprendre car il faut avoir beaucoup de connaissance pour surmonter les obstacles dans les avantures fantastiques.

    Les personnages caricaturent les stéréotypes de l’époque. Michael Ende exagère les images de l’exotisme à un point où il devient évident pour chaque petit lecteur qu’on se trouve dans un monde imaginaire où il faut être solidaire et dépasser les apparences afin d’avancer vers l’essence humain de chaque personne et activer ses qualités particulières.

    Ce sont deux livres courageux qui partent du principe que les jeunes lecteurs à partir de huit ans sont capables d’ironie et savent se faire leur propre idée du monde.


    Couverture du livre

    A partir de 1961 le théâtre de marionettes Augsburger Puppenkiste produit des adaptations de livres de Michael Ende. Elles connaissent un succès tel qu’en 19756 on filme tout une deuxième fois en couleurs.
    https://www.youtube.com/watch?v=UVisP596s3U


    A 18:20 on rencontre le petit dragon Nepomuk victime die discrimantion raciale.

    Le dessin animé inspiré par les livres est une production dépourvue de ces qualités libératrices. C’est une aventure comme tant dautres qui se passent parfois en espace, parfois dans un pays de fées et pour Jim Knopf les créateurs de la série transforment les paysages de Michael Ende en terrain d’aventure standardisé. J’étais decu quand je l’ai regardé dans les années 1990 et 2000


    Version dessin animé de télévison

    D’après les critiques que j’ai pu lire le film qui vient de sortir est nettement plus réussi que le dessin animé sans pour autant posséder la qualité du spectacle de marionettes ou du livre.


    Affiche du film.

    Le Tagesspiegel publie une polémique contre le livre écrit par une femme qui ne l’a pas lu dans son enfance et qui n’a rien compris à la qualité des illustrations qui ont été crées suivant les mêmes principes caricaturales qui ont servi de repère à l’auteur du texte. Dans sa vision on est confronté il s’agit d’images qui ressemblent aux caricatures du juif éternel dans un journal de propagande nazi. Quelle erreur tragique de prendre comme insulte une expression artistique différenciée et libératrice.

    Fanon nous a enseigné que dans le contexte colonial la violence est omniprésente et qu’un masque blanc cache toujours une identité noire opprimée. Jim Knopf ne porte pas de masque. Il est un jeune noir qui lutte contre les injustices et surmonte tous les obstacles qu’il viennent de ses propres limites ou qu’ils se présentent comme de terribles pirates marchands d’enfants.

    Enfin, nous parlons de livres d’enfants qui datent d’une époque quand le rythme de la société était plus régulier et plus calme qu’aujourd’hui. Les goût changent en fonction de la situation des parents qui ont de moins en moins de disponibilité pour lire des livres aux petits. La qualitité et l’intensité des impressions qui nous bombardent font que notre regard est bien souvent moins attentif, alors les dessins et histoires aux traits plus simples nous pariassent plus abordables.

    En même temps nous risquons d’appliquer un discours politique formaté aux oeuvres culturelles qui ne viennet pas de ce petit monde. Les dessins et expressions verbales compatibles avec le bon sens du monde des médias majoritaires sont normés et forcément incompatibles avec la fantaisie et l’émerveillement. On commet une erreur quand on utilise cette grille officielle pour catégoriser l’art.
    Après il est vrai que Michael End est mort et que notre regard sur ses oeuvres change. Il serait intéressant de commencer un échange sur ses histoires et leur rapport au monde d’aujourd’hui.

    23.03.18, Von Rose-Anne Clermont

    Als ich den Trailer zum neuen Film „Jim Knopf und Lukas der Lokomotivführer“ sah und ein völlig normal aussehender schwarzer Junge auf der Leinwand erschien, war ich erleichtert. Mir blieb die verstörende Karikatur erspart, die mich noch einige Jahre zuvor mit Glubschaugen aus dem Buch angestarrt hatte, das mein deutscher Mann unserem halbschwarzen Sohn vorlas. Damals sah ich auf dem Buchdeckel dieses Klassikers der deutschen Kinderliteratur einen dunkelhäutigen Jungen mit übergroßen Lippen, und ich fragte meinen Mann: „Wer zur Hölle ist das?“

    „Das ist Jim Knopf“, antwortete er mir. „Er ist die Hauptfigur des Buches, der Held der Geschichte.“ „Warum sieht er dann aus wie eine beleidigende Karikatur?“, fragte ich weiter. Ich stellte diese Frage später auch in meinem Blog, worauf mir zahlreiche Deutsche herablassend erklärten, was in Deutschland rassistisch ist und was nicht. Ich wurde immer wieder darüber informiert, dass meine Sensibilität im deutschen Zusammenhang unangemessen wäre, und dass meine Kritik eine Projektion aus amerikanischer Perspektive darstellen würde und insofern null und nichtig sei.
    Klassische deutsche Kinderliteratur?

    Deutsche Freunde versicherten mir, dass die Lektüre dieses Buches oder auch die des Buches „Die Kleine Hexe„ ihre Kinder ganz sicher nicht rassistisch beeinflussen würde. Ich fragte trotzdem weiter nach: „Wie würdet Ihr denken, wenn Eure Kinder schwarz wären?“ Ist das entscheidende Kriterium die rassistische oder nicht rassistische Absicht des Verfassers, oder die Tatsache, dass andersartige Personen verspottet oder beleidigt werden, und das auch so erleben? Offene Münder und lange Blicke bestätigten mir, was ich vermutet hatte: Menschen, die nie mit stereotypen Vorurteilen konfrontiert waren, können das mit dieser Erfahrung verbundene Gefühl nur schwer nachvollziehen.

    Eine schwarze Freundin von mir, die mit einem Deutschen verheiratet ist und deren Kind eine deutsche Schule in San Francisco besucht, schickte mir letztes Jahr eine verzweifelte E-Mail. Sie schrieb mir, dass ihre Tochter eine frühe Ausgabe eben dieses Buches mit Illustrationen eines schwarzen Jungen mit übertriebenen Rassemerkmalen nach Hause mitbrachte. Sie fragte mich um Rat, weil auch sie sich, als einzige schwarze Mutter an der Schule, mit ihrer Kritik nicht ernst genommen fühlte, und mit dem Hinweis, es handele sich um klassische deutsche Kinderliteratur, abgespeist wurde.
    Zeugnisse von Ausgrenzung

    Meine Freundin konnte sich mit ihren Einwänden schließlich Gehör verschaffen. In ihrer multikulturellen Schule fühlten sich auch Eltern mit anderem, z. B. asiatischem Hintergrund durch diverse „klassische“ deutsche Bücher beleidigt. Ihr deutscher Ehemann wurde beim Schulleiter vorstellig, andere Eltern unterstützten ihn und schließlich wurden die Bücher aus der Schulbibliothek entfernt.

    Ich bin nicht sicher, ob dieses Vorgehen die optimale Lösung des Problems darstellte. Als Schriftstellerin und Journalistin habe ich ein Problem mit Zensur und dem Verbot von Büchern. Aber ich glaube, dass problematische Literatur auf eine Weise verwendet werden kann und muss, die dem zeitgemäßen Kontext angemessen ist. Wem nützen museale Charakterdarstellungen in der Kinderliteratur, die am Leben erhalten, was wir heute mit gutem Grund als Zeugnisse von Ausgrenzung und Ahnungslosigkeit innerhalb unserer kulturellen Tradition betrachten?

    Augsburger Puppenkiste
    https://de.wikipedia.org/wiki/Augsburger_Puppenkiste#Die_1960er/70er

    https://de.wikipedia.org/wiki/Jim_Knopf_und_Lukas_der_Lokomotivf%C3%BChrer#%E2%80%9EJim_Knopf_und_di

    #Allemagne #enfants #racisme #littérature @supergeante

    • Cher @klaus, merci pour cette analyse.
      Ce que j’ai écrit il y a quelques semaines sur Jim Bouton devrait t’intéresser :
      http://seen.li/efac

      J’espère un jour pouvoir utiliser la figure de Monsieur #Tur_Tur dans un article scientifique ou de divulgation scientifique sur les #frontières.

      Petit anecdote vécu hier soir.
      Ma maman et sa cousine sont chez moi ces jours-ci, en visite. Fausta, sa cousine, et une maîtresse d’école primaire à la retraite. Elle vit et a travaillé à Lamone, au Tessin, en Suisse. On a parlé de Jim Bouton et elle a voulu que je lui passe le livre pour qu’elle le lise ces jours-ci.
      Elle a commencé à le lire, et elle est enthousiaste.

      Mais hier soir elle m’a dit : « Je crois savoir pourquoi aujourd’hui, on n’utilise plus ce livre à l’école, pourquoi on ne le propose pas comme lecture en classe. Et pourquoi du coup moi non plus, je ne le connais pas. Car si on le proposait aujourd’hui, certainement des parents d’élèves feraient de cette lecture une polémique. Trop actuel, trop parlant sur ce qui se passe aujourd’hui. Si on lisait ce livre en classe et que les élèves iraient en parler aux parents, les parents seraient chez nous le jour suivant pour nous réprimander sur le choix de nos lectures ».

      #école #éducation #pauvre_monde #tristesse_infinie #livre #livres_pour_enfants #livre_pour_enfants #Michael_Ende #Jim_Knopf #Jim_bouton

    • Je ne croyait pas que la culture solaire avait dégénéré à ce point.

      Si on lisait ce livre en classe et que les élèves iraient en parler aux parents, les parents seraient chez nous le jour suivant pour nous réprimander sur le choix de nos lectures

      Dans le cas présent ce sont sa bêtise pure et simple et un reflexe conditionné qui ont poussé l’auteur à nous livrer une dénonciation dont ses connaissances personnelles ne mesuraint pas l’importance. C’est la partie la plus intéressante du texte quand elle raconte les réactions de ses amis à son aggression contre les pauvres dessins.

      Pour mois il est important de savoir si on peut encore vendre du contenu solidaire, antiraciste et internationaliste aux enfants, c’est à dire aux parents qui doivent ouvrir leur porte-monnaie pour payer. Actuellement c’est en cliquant sur « J’achête » quil’s décident sur le contenu des livres qu’ils vont donner à leur progéniture, enfin s’ils leur achètents encore des livres. Ceci rajoute un élément de spontanéité à l’acte de l’achat. D’après ce que tu racontes et en analysant la polémique on risque de ne plus nous adresser à un public qui décide « aujourd’hui j’irai acheter de bons livres pour les gamins » mais à des gens qui surfent pendant la pause de midi ou qui sont en train de discuter entre mères la qualité du café latte dans tel ou tel café branché de Berlin-Prenzlauer-Berg . Il faudra trouver des dessins et titres qui feront doucement passer le message anticapitaliste, pacifiste et solidaire sans effrayer ces petites bourgeoises sensibles.

      En 1960 Michael Ende pouvait se permettre de faire passer son message d’une manière plus crue. La fin de la guerre et la déstruction des villes allemandes faisait partie d’un passé plus proche que le naufrage de la RDA / #DDR aujourd’hui. A 15 ans de la guerre on venait juste de nettoyer les villes des debris des maisons effondrées sous le bombes. Les trous entre les immeubles restés debout laissaient une vue libre sur le monde.

      Là nous arrivons à une distance de 75 ans de la guerre qui nous effraye quand nous assistons à l’arrivée des rescapés des villes détruites du Levant. C’est le moment de remettre les pendules à l’heure et de redécouvrir le riche héritage de la génération aui a directement souffert du nazisme. Ils n’ont été qu’une minuscule minorité à avoir eu la conscience, la force et le courage de créer des oeuvres anti-militaristes pour les gamins après 1945, et nous sommes dans l’obligation de nous inspirer de leur travail pour prévenir le pire et monter un avenir plus heureux pour nos enfants.

      Le théâtre de marionettes Augsburger Puppenkiste et quelques rédactions de la télévison publique ont contribué à populariser ces oeuvres. Pour eux les gens qui portent des armes sont comme dans les témoignages de mon père : Tous des idiots sanglants.

      Jim Knopf de Michael Ende est l’histoire la plus populaire de joueurs de marionettes, mais c’est Max Kruse l’auteur le plus décidément antimilitariste et prolifique mis à l’écran par eux.

      Der Löwe ist los (1965) ridiculise l’armée.
      https://de.wikipedia.org/wiki/Der_L%C3%B6we_ist_los

      Blechbüchsenarmee der Augsburger Puppenkiste
      https://www.youtube.com/watch?v=8gvUajO7xPI

      Augsburger Puppenkiste - Gut gebrüllt Löwe (Folge 2 - Der Zweikampf)

      Urmel aus dem Eis (1969) est une série de pamphlets contre les chasseurs colonialistes
      https://de.wikipedia.org/wiki/Urmel_aus_dem_Eis
      https://www.youtube.com/watch?v=uf6yVWqQYUs

      Don Blech und der goldene Junker (1973) dénonce le phantôme de la guerre.
      https://de.wikipedia.org/wiki/Don_Blech_und_der_goldene_Junker

      Vorwärts! Die Straße frei! Mit Blechgeschäpper und Kriegsgeschrei
      Wir reiten nun über das Land
      Und setzen die Welt in Brand
      Ja, das ist eine Wonne
      Für Junker Hohlkopf und Scheppertonne
      Und sind auch die blechernen Hüllen lehr
      Wir jagen den Frieden vor uns her
      und werfen den Speer

      Vorwärts! Die Straße frei! Mit Blechgeschäpper und Kriegsgeschrei
      Und wenn uns nur einer sieht
      Erschreckt er sogleich und flieht
      Ja, das ist eine Wonne
      Für Junker Hohlkopf und Scheppertonne
      Wir jagen den Frieden vor uns her
      Und niemand stellt sich uns zur Wher
      Da ist es nicht schwer

      Vorwärts! Mit Kriegsgeschrei, mit Blechgeklapper und Schockerei
      Verbreiten wir Kummer und Not
      Und bringen Verderben und Tod
      Ja, das ist eine Wonne
      Für Junker Hohlkopf und Scheppertonne
      Wenn alles flieht, dann freu’n wir und sehr
      Wir jagen den Frieden kreuz und quer
      Im Tiefen Meer

      VICTORIA!

      On peut tous les acheter sur DVD et s’amuser à les regarder avec les petits ou se procurer les livres.


      Avec t Emil i Lönneberga (Michel aus Lönneberga), Fifi Brindacier (Pippi Langstrumpf) et Karlsson på taket (Karlsson vom Dach) d’Astrid Lindgren ils forment la bibliothèque d’enfants canonique de base pour une éducation libre et joyeuse.

      La littérature pour enfants qui défend une perspective libératrice a toujours été la cible d’aggressions par le droite. La protection des enfants est pour eux un cheval de guerre dans leur défense de la morale et de la famille traditionnelle.
      https://de.wikipedia.org/wiki/Astrid_Lindgren#Schriftstellerin_und_Lektorin

      Oetinger gab Pippi Langstrumpf in der Bundesrepublik Deutschland heraus, obwohl das Buch zu diesem Zeitpunkt sogar in Schweden noch stark umstritten war und zuvor von fünf anderen deutschen Verlagen abgelehnt worden war. Da er später auch alle weiteren Werke Lindgrens verlegte, wurde sein Verlag zum Wegbereiter skandinavischer Kinderliteratur in der Bundesrepublik Deutschland. Seine Tochter Silke Weitendorf berichtet in einem Interview, als Reaktion auf das Erscheinen Pippi Langstrumpfs auf dem deutschen Markt habe es Lob und Kritik gegeben. So seien von Rezensenten Bedenken geäußert worden, Pippi sei nicht „normal“ und ein schlechtes Vorbild für Kinder.

      Im April 1966 wurde in Berlin-Spandau die erste Schule nach ihr benannt. Heute tragen mehr als 150 Schulen ihren Namen, ebenso viele Straßen.

    • Encore une fois #merci @klaus !
      Malheureusement, j’ai l’impression que les livres de #Max_Kruse ne sont traduits ni en italien ni en français
       :-(
      Je lis l’allemand, mais c’est quand même pas si agréable que ça pour moi de lire en allemand, ne l’ayant fait que très rarement... Mais c’est peut-être l’occasion de m’y remettre !

    • Max Kruse en Bibliothèque rose

      Plodoc le diplodocus - Série - nooSFere
      https://www.noosfere.org/icarus/livres/serie.asp?numserie=2585

      La Bibliothèque rose n’a jamais eu la réputation de publier des ouvrages de très bonne qualité, ni même d’en surveiller la qualité d’écriture et d’illustration. Pourtant, par un de ces rares bonheurs de l’édition, une partie des Plodoc de Max Kruse (cinq volumes sur onze) est parvenue jusqu’au lectorat français dans une version soignée. Car il s’agit de romans allemands, publiés en RFA à partir de 1969, traduits par Michèle Kahn (devenue depuis écrivain pour la jeunesse) et publiés par Hachette entre 1974 et 1977.

       Le professeur Habakouk Tibatong habitait autrefois dans une petite maison de la ville universitaire de Blablatenstadt, en compagnie de son fils adoptif Tim. Ils s’enfuirent un jour pour l’île Titiwou, lorsque la municipalité décida de replacer Tim dans un foyer plus sérieux. Il faut dire que les expériences du professeur Tibatong (personnage de savant lunatique tout à fait typique d’une certaine imagerie populaire) quant à l’apprentissage de la parole aux animaux n’étaient pas toujours considérées d’un très bon oeil à Blablatenstadt : avoir une truie qui parle en guise de gouvernante n’était pas apprécié de tous les bourgeois. Au nombre des habitants de Titiwou peuvent également se compter un varan, un pingouin, un morse (quoi qu’il reste plutôt sur son rocher, au large), un pélican, et... un jeune dinosaure ! Ce dernier, Plodoc (Urmel dans la V.O.), arriva sur l’île sous la forme d’un oeuf resté bloqué dans un morceau d’iceberg, qui avait dérivé jusque là...

       Les protagonistes de cet univers pas franchement rationnel mais tout à fait réjouissant sont tous typés de façon marquée, d’une part par leur caractère (la truie est particulièrement amusante, caricature qu’elle est de nombreux humains style concierge ou femme de ménage), d’autre part par leur langage. Car Tibatong n’a pas résolu quelques problèmes liés aux palais de ses amis : le varan met des V partout, le morse sème ses phrases de O, le pingouin chéchaille, la truie ronfle et le pélican a l’accent d’un Italien d’opérette (la traductrice s’est visiblement bien amusée).

       En cinq volumes (pour la V.F.), Max Kruse a construit un petit monde gentiment délirant, bourré d’un humour facétieux et aimablement non-conformiste (voir par exemple le roi Zéro). C’est un illustrateur talentueux, Daniel Billon (élève de Jean-Claude Forest et auteur lui-même de quelques bandes dessinées), qui fut chargé d’accompagner ces textes, et il le fit avec exactement le grain de folie qui convenait : son style faussement « relâché », rococo et vaguement rétro, entre Forest et Steadman, collait formidablement à l’imaginaire de Kruse. Écrivain assez prolifique, Max Kruse (né en 1921) est également connu en Allemagne pour des séries historiques et pour la tétralogie In weiten Land der Zeit, retraçant l’évolution de l’humanité.

    • What is a border region ?

      A border region is not simply the extreme part of the sovereign territory of two or more neighbouring countries divided by a fixed jurisdictional line that separates them. It is here defined as a special area of fluxes and exchanges of a social, cultural, economic and political nature, a space where the development of multiple activities takes place and where the type and intensity of transactions have evolved in time.

      http://repositorio.ul.pt/bitstream/10451/6856/1/ICs_LSousa_Understanding_ARI.pdf

      voici une réponse typiquement turturienne... :-)

  • #Passeport_européen_de_qualifications : l’intégration par l’#éducation et l’#emploi

    Depuis les premiers jours de ce qu’on appelle souvent la crise des réfugiés en Europe, la reconnaissance des qualifications des réfugiés est devenue l’un des outils essentiels pour les intégrer aux sociétés européennes.

    Après un projet pilote en 2017 soutenu par le HCR en Grèce et qui a été une réussite, le Conseil de l’Europe réédite pour la période 2018-2020 l’initiative du Passeport européen de Qualifications pour les Réfugiés, un projet de consolidation de capacités qui a pour but d’évaluer, selon une méthodologie éprouvée, le niveau d’éducation des réfugiés démunis de documents complets, leur #expérience_professionnelle et leur maîtrise linguistique. Le Passeport européen de Qualification pour les Réfugiés décrit les #qualifications selon un format qui devrait faciliter l’utilisation de l’évaluation à la fois dans le pays d’accueil des réfugiés et au-delà. Ainsi, si les réfugiés se déplacent en Europe, leurs qualifications n’auront pas à être réévaluées dans leur nouveau pays de résidence.

    https://search.coe.int/directorate_of_communications/Pages/result_details.aspx?ObjectId=0900001680796fc0
    #compétences #intégration #travail #intégration_professionnelle #asile #migrations #réfugiés #reconnaissance_des_diplômes

  • Libyan Detention Centers • A Legal Analysis

    Detention of migrants in Libya is no post-2011 phenomenon. The detention centers, which are referred to by Libya as “holding centers” were established in the early 2000s, to deter migration to Libya and Europe. The modus operandi of the centers are punitive by nature. Dentention in the centres results in deprivation of freedom, devoid of proportionality and restraint.

    Irregular migrants, economic migrants, refugees and asylum seekers are indistinguishable in Libyan law, and are all considered “illegal migrants”. They are vulnerable to arbitrary arrest, where they are placed in detention centers regardless of their immigration status. The detention centers themselves are described as hellish and unlivable, and an environment in which they suffer various forms of ill treatment.

    The international community has turned a blind eye to Libyan migrant detention centers for more than a decade. Since the early 2000s activists and organisations, such as UNHCR, have been urging the international community, most importantly the EU and Italy, to refrain from cooperating with Libya until Libya complies with international human rights standards. Yet, the EU has strongly relied on Ghaddafi’s authoritarian regimes for their own border control.
    Although detention abuse existed prior to the 2011 revolution, the civil war which ensued exacerbated the situation, leaving 500,000 Libyans displaced. In addition to this, the civil war and regional instability brought Libya’s economy to the floor, which in turn created greater animosity toward migrants. The resultant fractured government became occupied with militias, smugglers, and state and non-state actors.

    Against this backdrop of chaos, the lack of border control post-2011 established Libya as a popular transit country, particularly for Sub-Saharan migrants and refugees, eventully making their way to Europe via the Mediterranean Sea. It is estimated that 700,000- 1 million migrants were inside Libya at the end of 2016, many coming into contact with detention centers.

    The lack of a migration framework in the country has, effectively, given state and non-state actors control within migrant detention centers. This has left migrants with a lack of safeguards to protect their human rights. In addition, the cooperation between the EU, Libyan coastguard, and Directorate for Combatting Illegal Migration (DCIM) has enabled and normalized the abusive practices towards migrants and refugees within Libya.


    http://xchange.org/map/Libya_DC.html
    #histoire #asile #migrations #réfugiés #Libye #centres_de_détention #détention #chronologie #pacte_d'amitié #externalisation #Italie #Kadhafi #cartographie #visualisation #viols #violence
    cc @fil @reka @isskein

  • 50 ans après le 22 mars 1968 : #répression violente coordonnée dans les #universités en #France ? Ils veulent recommencer #mai_68 ou le #fascisme de 1928 ?

    #recension :

    #Toulouse (#flics) :
    https://seenthis.net/messages/678981
    https://seenthis.net/messages/693354

    #Grenoble (#flics et #fachos) :
    https://seenthis.net/messages/678989
    https://seenthis.net/messages/679212
    https://seenthis.net/messages/682451
    https://seenthis.net/messages/689394
    https://seenthis.net/messages/689755
    https://seenthis.net/messages/690723

    #Montpellier (#milices_fascistes) :
    https://seenthis.net/messages/679029
    https://seenthis.net/messages/679073
    https://seenthis.net/messages/679117
    https://seenthis.net/messages/679206
    https://seenthis.net/messages/679406
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    https://seenthis.net/messages/680287
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    https://seenthis.net/messages/680868
    https://seenthis.net/messages/683854

    #Strasbourg (#flics et #milices_fascistes) :
    https://seenthis.net/messages/679151
    https://seenthis.net/messages/681346

    #Lille (#CRS et #milices_fascistes) :
    https://seenthis.net/messages/679247
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    https://seenthis.net/messages/679787
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    https://seenthis.net/messages/681401
    https://seenthis.net/messages/687645

    #Paris (#milices_fascistes et #flics) :
    https://twitter.com/lautogere/status/976791851142385664/photo/1
    https://seenthis.net/messages/679301
    https://seenthis.net/messages/680788
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    https://seenthis.net/messages/688897
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    https://seenthis.net/messages/689595
    https://seenthis.net/messages/693367
    https://seenthis.net/messages/693589
    https://seenthis.net/messages/695399
    https://seenthis.net/messages/695499

    et aussi ce qui concerne le #lycée #Arago à Paris (#flics). Quelques liens :
    https://seenthis.net/messages/696783
    https://seenthis.net/messages/696803
    https://seenthis.net/messages/696895
    https://seenthis.net/messages/697030
    https://seenthis.net/messages/697374
    https://seenthis.net/messages/698202
    https://seenthis.net/messages/701382

    #Bordeaux (#flics)
    https://seenthis.net/messages/680892

    #Dijon (#flics)
    https://dijoncter.info/?recit-de-l-occupation-de-la-maison-de-l-universite-104

    #Nantes :
    https://seenthis.net/messages/676910
    https://seenthis.net/messages/676986
    https://seenthis.net/messages/678173
    https://seenthis.net/messages/678961
    https://seenthis.net/messages/680559
    https://seenthis.net/messages/680565
    https://seenthis.net/messages/682630
    https://seenthis.net/messages/687845
    https://seenthis.net/messages/671718 (enseignants sanctionnés, voir ci dessous)

    #Nice :
    https://seenthis.net/messages/683418

    #Lyon (#flics) :
    https://seenthis.net/messages/682713
    https://seenthis.net/messages/687159
    https://seenthis.net/messages/689506
    https://seenthis.net/messages/694806

    #Marseille :
    https://seenthis.net/messages/683755

    #Nancy (#flics)
    https://seenthis.net/messages/692614

    A propos de la montée de l’extrême droite en France et de ses pratiques de plus en plus violentes :
    https://seenthis.net/messages/684368
    https://seenthis.net/messages/684448

    A propos de la répression étatique grandissante du mouvement social en France :
    https://seenthis.net/messages/699900
    https://seenthis.net/messages/700734
    https://seenthis.net/messages/700734

    Ailleurs qu’en France :
    https://seenthis.net/messages/701194

    Articles globaux :
    https://seenthis.net/messages/688187
    https://seenthis.net/messages/713881

    Dans le cadre des #Gilets_Jaunes (décembre 2018) :
    https://seenthis.net/messages/737434
    https://seenthis.net/messages/741687
    https://seenthis.net/messages/741773
    https://seenthis.net/messages/741813
    https://seenthis.net/messages/741924
    https://seenthis.net/messages/741959
    https://seenthis.net/messages/744912
    https://seenthis.net/messages/746449

    https://www.youtube.com/watch?v=053igl9JC8A

    #CRS #Violence_policière #Violences_policières #brutalité_policière #complicité_police_milice_fasciste #extrême_droite

    • Pétel Pétain (Montpellier)
      https://lepressoir-info.org/spip.php?article1196

      Durant l’après-midi et le début de soirée, une vingtaine de personnes est restée dans l’amphithéâtre, proférant insultes et menaces. « Cette nuit, ne dormez que d’un oeil » ; « Faudra pas se plaindre une fois aux urgences ».

      L’un des occupants a alors été pris à partie et frappé par certains d’entre eux, menés par le professeur d’université en droit de la santé M. François Vialla.

      Le doyen de l’université Phillipe Pétel a, tout le long de l’occupation, encouragé ce petit groupe d’étudiants à perturber celle-ci. Suite au refus de sa demande d’intervention policière par la préfecture, le ton monte : « vous nous prenez en otage, nous allons devoir répondre » s’exclame M. Pétel.

      « Pris en otage », par une centaine d’étudiants et de travailleurs, qui ont occupé pacifiquement un amphithéâtre pour s’organiser conjointement contre la série de loi scélérate de destruction du service public portée par le gouvernement Macron.

      Entre minuit et une heure, le doyen et ses adjoints contactent des étudiants en droit qui participaient à l’occupation, leur demandant de quitter l’amphithéâtre « avant que ça chauffe ». Dans les minutes qui suivent, une dizaine d’individus cagoulés, armés de bâtons et de taser le rejoint dans un coin du hall central.

      #Manifs ce vendredi à Toulouse, Rennes, Paris, ...
      #Occupations à Bordeaux, Lille...

      Appel à manifester et agir le 28 mars, fac de droit occupée de Lille
      https://twitter.com/LilleInsurgee/status/977307094062858243
      https://pbs.twimg.com/media/DZAWz80WAAAul-j.jpg:large

      #étudiants_en_lutte #AG_inter_sectorielle

    • French university protests threaten to spread after violence | World news
      Angelique Chrisafis, The Guardian, le 26 mars 2018
      https://seenthis.net/messages/680045

      Violences à la fac de Montpellier : qui sont les vrais coupables ?
      François-Xavier Lucas, Le Figaro, le 26 mars 2018
      https://seenthis.net/messages/680287

      Peste brune à la fac de Montpellier
      Émilien Urbach, L’Humanité, le 26 mars, 2018
      https://seenthis.net/messages/680319

      La mobilisation étudiante se renforce malgré la répression
      Baptiste Giraud et Maxime Lerolle, Reporterre, le 27 mars 2018
      https://seenthis.net/messages/680281

      Des étudiants de Lille 2 agressés par des militants d’extrême droite après une Assemblée Générale
      Quentin Vasseur, France Info, le 27 mars 2018
      https://seenthis.net/messages/680506

    • Reçu avec ce commentaire sur la liste GeoTamTam :

      D’après cette carte jointe (source J. LeMazier) le mouvement étudiant de protestation contre la loi ORE et qui semblait limité à quelques universités métropolitaines se diffuse . Il concerne désormais Paris et des universités de taille plus restreinte (Nîmes, Le Mans) avec des traditions plus limitées de combativité.

      La tendance est clairement à l’extension nationale.

      L’agression de Montpellier joue-t-elle un rôle ? Il est probable que le niveau central a essayé de calmer le jeu en poussant très vite Pétel à la démission et sans doute en empêchant l’enterrement des plaintes par le parquet local. Mais en dépit de cette recherche d’apaisement et parce qu’il dépasse le cadre strict de cette affaire, le mouvement continue à s’étendre. Il faudrait désormais ajouter Nancy à la carte.

    • Un splendide isolement. Les politiques françaises du maintien de l’ordre

      Tandis qu’en France, la police tenue pour coupable d’acharnement appelle à un rassemblement contre la « haine anti-flics », en Allemagne, en Suède, en Suisse, l’interaction entre police et manifestants se distingue par la maîtrise et le dialogue. La police française résiste aux nouveaux modèles de maintien de l’ordre, articulés autour de la notion de désescalade. O. Fillieule et F. Jobard expliquent les raisons de ce retranchement doctrinal.

      http://www.laviedesidees.fr/Un-splendide-isolement.html
      Un article qui date de mai 2016, relayé ces jours sur twitter par Edwy Plenel, avec ce commentaire :

      « De toutes les manifestations du pouvoir, celle qui impressionne le plus les hommes, c’est la retenue » (Thucydide). En ces temps de manifestations étudiantes, relire cette instructive étude comparative sur le maintien de l’ordre

      https://twitter.com/edwyplenel/status/980008123976036353

    • #Nantes : la fac est à nous, la fac est à toi et moi
      https://seenthis.net/messages/680565

      [Nantes - Agenda des luttes] Pour une montée en puissance du #mouvement social
      https://seenthis.net/messages/680559

      [Nantes] 22 mars : début d’une #lutte prolongée ?
      https://seenthis.net/messages/678961

      #Nantes:occupations d’amphis en soutien à Toulouse
      https://seenthis.net/messages/678173

      [16 mars - #Nantes] La situation à la fac après quatre jours de blocage
      https://seenthis.net/messages/676986

      #Nantes, 15 mars, éclaircies dans un ciel gris ?
      https://seenthis.net/messages/676910

      /.../ et y’en a surement d’autres aussi depuis mais on dirait que le flux ne marche plus depuis 5 jours ?

    • #Grenoble : un bâtiment de la fac bloqué

      La mobilisation contre #Parcoursup prend de l’ampleur sur le campus de l’agglomération grenobloise.

      La mobilisation contre la loi Orientation réussite étudiante (#ORE) et son fameux Parcoursup a franchi un cap, jeudi matin, à l’université Grenoble Alpes (UGA). Pour la première fois, un bâtiment universitaire, l’UFR Arts et sciences humaines, a été bloqué. Devant le bâtiment vide et fermé aux entrées obstruées par des poubelles et des grilles, une assemblée générale (AG) a eu lieu jeudi matin, suivie par plusieurs centaines d’étudiants (400 selon l’Unef). L’#occupation du lieu a été votée pour en faire « le quartier général » de la mobilisation, ainsi que le blocage, à partir de lundi matin, du bâtiment principal de la faculté de lettres et langues. Pour Joris Rouillon, président de l’Unef Grenoble « la mobilisation prend clairement de l’ampleur à Grenoble ces dernières semaines ». L’Unef soutient les décisions de blocage et d’occupation prises par l’AG, « à condition que cela se passe dans les meilleures conditions et que le bâtiment occupé devienne un lieu de débats ».

      L’université, dans un communiqué publié à la mi-journée, a estimé qu’il s’agit « d’un mouvement de protestation très isolé », que « le reste du campus n’est pas impacté par ce mouvement » et indique que « les cours ont lieu normalement ». Dans l’après-midi, les étudiants chargés de mettre en application les décisions de l’AG, face aux portes fermées de l’UFR et à l’absence de réponse de l’université à leur demande de remise des clefs, ont décidé de ne pas investir les lieux face à la perspective probable d’un recours aux forces de l’ordre pour les évacuer.

      « Vols et propos outrageux »

      Le blocage « simple » de l’UFR des arts et sciences humaines continuera vendredi et sera étendu à partir de lundi au bâtiment principal de la fac de lettres et langues. Ce bras de fer intervient dans un contexte tendu, après une occupation des locaux de la présidence de l’UGA par les étudiants, mardi après-midi, qui s’est prolongée en soirée. Selon l’UGA, « le bâtiment de la Présidence a été envahi puis saccagé par des individus dont certains avaient le visage dissimulé. De nombreux dégâts matériels, vols et propos outrageux ont été recensés ». L’UGA estime à 20 000 euros les dégâts, a porté plainte et condamné « avec la plus grande fermeté ces actes de violences ».

      Côté étudiant, on explique que l’occupation « courtoise » décidée en AG, s’est déroulée dans le calme, sans dégâts tout l’après-midi et on s’interroge sur l’ampleur réelle des dégâts annoncés. « Ce qui s’est passé après la fin de l’occupation étudiante, en début de soirée, sont des actes individuels que nous ne soutenons pas », insiste le syndicat Solidaires étudiants Grenoble. L’Unef « condamne toute forme de dégradation » et « regrette ce qui s’est passé », tout en indiquant que le président de l’université, Patrick Lévy, devait « rendre des comptes ».

      Au-delà de la loi ORE, les étudiants grenoblois sont mobilisés contre Patrick Lévy et demandent sa démission. Ils lui reprochent d’avoir demandé à la préfecture de l’Isère, le 22 mars dernier, l’évacuation d’un colloque sur l’agence européenne de surveillance des frontières (Frontex), organisé sur le campus et envahis par des étudiants et militants protestataires. L’évacuation musclée par la police a été qualifiée de « violente » par les étudiants qui déplorent quatre blessés soignés à l’hôpital, dont deux pour des plaies ouvertes.

      http://www.liberation.fr/france/2018/04/05/grenoble-un-batiment-de-la-fac-bloque_1641355

    • Depuis la fac de Tolbiac occupée, dont on peut suivre l’actualité sur Commune libre de Tolbiac :https://twitter.com/TolbiacLibre, deux #vidéo marrantes et critiques
      Parodie d’émission tv :
      https://www.facebook.com/Grozeille.co/posts/2037828256469842
      Auto-conférence de presse avec masques et chien
      https://www.facebook.com/Paris1Deter/videos/1804222176546044

      Une vue de l’attaque d’hier
      https://twitter.com/TolbiacLibre/status/982376528599232512
      ils avaient emmenés avec eux un reporter (ex FN)
      https://www.facebook.com/taranisnews/videos/2050679391812238

      Après avoir dûment commémoré 68, la présidence de la fac de Nanterre refuse de laisser des locaux disponibles pour la coordination nationale de ce week-end, via @paris
      https://paris-luttes.info/le-president-de-l-universite-de-9915

    • Une milice d’extrême droite attaque l’université bloquée de Paris I :

      Six personnes en garde à vue après des échauffourées au site de Tolbiac de l’université Paris-I
      Le Monde, le 7 avril 2018
      https://seenthis.net/messages/683823

      Fac de droit de Montpellier :

      Jean-Luc Coronel de Boissezon s’explique, six jours après sa mise en examen
      Guillaume Roulland, France Bleu Hérault, le 4 avril 2018
      https://seenthis.net/messages/683854

    • Les enseignants précaires de l’université disent leur ras-le-bol

      Doctorants ou même déjà titulaires d’un doctorat, ils enchaînent les vacations en attendant un poste, parfois pour 1 000 euros par mois. Les collectifs de défense se multiplient dans les établissements.

      http://www.lemonde.fr/campus/article/2018/04/06/les-enseignants-precaires-de-l-universite-disent-leur-ras-le-bol_5281438_440
      #travail #précariat #précarisation #précarité

    • A propos de la montée de l’extrême droite en France et de ses pratiques de plus en plus violentes :

      Forces de l’ordre liées à l’ultra-droite violente : la DGSI s’inquiète
      Matthieu Suc et Marine Turchi, Médiapart, le 9 avril 2018
      https://seenthis.net/messages/684368

      Fachos 2.0 ou comment les idées d’extrême droite se répandent jusque chez vous
      Stéphane François, The Conversation, le 9 avril 2018
      https://seenthis.net/messages/684448

    • Urgent. Le gouvernement aurait donné l’ordre de débloquer les facs coûte que coûte

      Une coïncidence, la vague de répression actuelle contre les facs bloquées ? Pas du tout. Au ministère de l’Enseignement supérieur et de la Recherche, Frédérique Vidal aurait donné l’ordre aux présidents d’université de faire débloquer l’ensemble des sites mobilisés par tous les moyens nécessaires, y compris par la force.


      http://www.revolutionpermanente.fr/Urgent-Le-gouvernement-aurait-donne-l-ordre-de-debloquer-les-fa

    • Nantes et #ParcoursSup :

      Parcoursup : à l’université de Nantes, devant le refus de trier les dossiers, la présidence riposte
      Laura Taillandier, L’Etudiant, le 17 avril 2018
      https://seenthis.net/messages/687845

      Paris :

      Sexe, drogue et violence : Brenard de la Villederrière est de retour à Tolbiac
      Tolbiac Automedia, Youtube, le 18 avril 2018
      https://seenthis.net/messages/687853

      https://www.youtube.com/watch?v=Lo6xe3cfIVY

      Dénonçant la « dictature macronienne », des élèves bloquent l’accès à Sciences Po
      Soazig Le Nevé, Le Monde, le 18 avril 2018
      https://seenthis.net/messages/687903

    • Les étudiant·e·s ont raison de se révolter contre l’ordre de la sélection et de la répression

      250 universitaires dont Etienne Balibar, Ludivine Bantigny, Stéphane Beaud, Frédéric Lordon, Toni Negri, Judith Revel, Danièle Linhart, Michèle Riot-Sarcey, Alessandro Stella... s’insurgent de la répression à l’œuvre aujourd’hui sur les campus. « Les mêmes arguments ou presque, un demi-siècle après 68, sont resservis, pour faire sonner l’heure de la matraque et discréditer la jeunesse » relèvent-ils.

      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/180418/les-etudiant-e-s-ont-raison-de-se-revolter-contre-l-ordre-de-la-sele

    • Un étudiant a été grièvement blessé lors de l’évacuation très violente de #Tolbiac par la police

      L’évacuation de la faculté de Tolbiac, vendredi matin, s’est déroulée dans une extrême violence de la part de la police. Un étudiant, déséquilibré par un policier, est tombé de plusieurs mètres de hauteur. Il est grièvement blessé.

      (...) Récit de l’accident, que vous retrouverez à la fin de l’article : Désiré*, présent depuis neuf jours, rapporte les détails de l’accident : « On s’échappait par les toits, à l’arrière du bâtiment, pour descendre dans une petite rue à côté. Les gars de la BAC [Brigade anti-criminalité] étaient à nos trousses. Un camarade a voulu enjamber le parapet pour se laisser glisser le long du mur. Un baqueux lui a chopé la cheville. Ç’a l’a déséquilibré, et le camarade est tombé du haut du toit, en plein sur le nez. On a voulu le réanimer. Il ne bougeait pas. Du sang sortait de ses oreilles… » Désiré* et ses camarades ont aussitôt appelé les pompiers, « en courant ». Emmené par les pompiers, dans un état d’inconscience, on ne sait pas dans quel hôpital il se trouve. Quoi qu’il en soit, la rue où a eu lieu sa chute demeure barrée par la police. Désiré*, qui est allé y jeter un coup d’œil, revient, fulminant de rage : « Les enfoirés ! Ils ont effacé toutes les traces de sang ! »

      https://reporterre.net/Un-etudiant-a-ete-grievement-blesse-lors-de-l-evacuation-tres-violente-d

    • Evacuation de l’université de Tolbiac : un étudiant annoncé gravement blessé

      Lors de l’évacuation par la police du site universitaire de Tolbiac à Paris, ce vendredi 20 avril à l’aube, un étudiant s’est grièvement blessé à la tête, annonce à « Marianne » la représentante de l’Unef dans cette université. Le préfecture maintient de son côté qu’il n’y a eu aucun blessé.

      https://www.marianne.net/societe/evacuation-de-l-universite-de-tolbiac-paris-un-etudiant-annonce-gravement-

    • Question(-piège) envoyée via formulaire électronique par le président de mon université...

      No comment.

      « Êtes-vous favorable à la liberté d’accès aux bâtiments des étudiants et des personnels permettant notamment la mise en œuvre des examens dans des conditions normales à l’Université Grenoble Alpes ? »

      Réponses proposées : "Oui, je suis favorable" "Non, je ne suis pas favorable" "Je ne me prononce pas »

      Je répète. No comment.

    • Rassemblement de soutien à Tolbiac
      Indymedia Grenoble, le 20 avril 2018
      https://seenthis.net/messages/689394

      Blessé grave à Tolbiac : un témoin avoue avoir menti, le site « Reporterre » rétropédale
      Libération, le 24 avril 2018
      https://seenthis.net/messages/689595

      « Une ligne rouge a été franchie par l’équipe présidentielle », un membre du Conseil d’Administration de Lyon 2 démissionne
      Bernard Bouché, Rebellyon, le 25 avril 2018
      https://seenthis.net/messages/689506

    • Réponse des étudiant·es de Strasbourg à une question qui leur a été posée dans un sondage... j’imagine que c’est le même genre de questions à laquelle on a eu droit à l’Université de Grenoble.


      https://twitter.com/MHoussayH/status/988860257056247808

      Pour rappel, « notre » question :

      « Êtes-vous favorable à la liberté d’accès aux bâtiments des étudiants et des personnels permettant notamment la mise en œuvre des examens dans des conditions normales à l’Université Grenoble Alpes ? »

    • Université Grenoble-Alpes : étudiants et enseignants grévistes prévoient de nouveaux blocages

      FIL INFO – Un millier de personnes, étudiants et personnels confondus, se sont réunies ce mardi 24 avril en assemblée générale afin de discuter des suites de la mobilisation contre la loi sur l’orientation et la réussite des étudiants (Ore). Outre le boycott du vote électronique, ils ont voté la poursuite des actions de blocages.


      https://www.placegrenet.fr/2018/04/24/universite-grenoble-alpes-etudiants-enseignants-grevistes-prevoient-de-nouveaux-blocages/187719

    • L’Université en danger : la situation est grave !

      La Coordination nationale des universités, réunie à Paris le samedi 5 mai 2018, a rassemblé des représentant.e.s de 38 établissements de l’Enseignement supérieur et de la Recherche. La CNU appelle à la grève illimitée jusqu’au retrait de la loi ORE, à l’arrêt de la répression policière dans les universités et à la mise en œuvre d’un plan d’urgence pour la rentrée 2018.

      https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/050518/l-universite-en-danger-la-situation-est-grave

    • Ce matin, violences policières sur le campus de Grenoble...

      Ici une vidéo, partagée sur FB, du coup, je ne sais pas si tout le monde y a accès :
      https://www.facebook.com/nicolas.marlin.73/videos/2062844813730002
      https://twitter.com/NMarlin_/status/993389402121482241
      Mais je ne sais pas comment faire autrement pour partager la vidéo...

      Dans tous les cas, ici 2 témoignages, reçus par email, d’enseignants-chercheurs de l’UGA, que j’ai anonymisé :

      Cher YYY,

      En tant que directeur du département d’histoire, et attentif au fait que les étudiants victimes des brutalités policières ce matin étaient en partie des étudiants d’histoire et que l’étudiant victime de menaces de mort est, si je ne me trompe pas, un étudiant d’histoire, je suis très inquiet.

      J’ai affiché publiquement mon hostilité viscérale à la présence policière sur un campus universitaire, qui ne fait qu’envenimer la situation, et les faits semblent malheureusement me donner raison.

      Je souhaiterais donc - et je pense être le porte-parole de mes collègues historiens - que tu sollicites la Présidence pour avoir des explications concernant les événements inqualifiables qui se sont déroulés ce matin à la galerie des amphis et les violences subies par les étudiants, qui pour partie sont des étudiants d’histoire dont j’ai la charge et qui sont en principe sous ma protection. Je souhaite aussi que le cas de l ’étudiant Tordjman, que j’ai eu en cours et qui a été menacé de mort, soit sérieusement pris en compte par la Présidence.

      Je tiens aussi à te remercier de n’avoir jamais, parfois contre vents et marées, sollicité les dites « forces de l’ordre » ou, pire encore, les vigiles, sinistres et coûteuses milices d’une époque nauséabonde, pour pacifier - je ne trouve pas d’autre terme - l’ARSH. C’est tout en ton honneur, et en l’honneur des personnes, dignes, qui t’entourent.

      Bien amicalement,
      XXX

      –-----------------------

      Chers tous,

      Je voudrais m’insurger à mon tour contre l’usage qui a été délibérément fait de la violence ce matin contre des étudiants qui n’opposaient aucune résistance et ne manifestaient aucune violence. Je peux d’autant plus l’affirmer et en être choqué que j’étais, pour un examen de licence 3, présent devant le bâtiment. Devant des policiers visiblement venus pour en découdre, les étudiants n’ont jamais montré une quelconque agressivité. Une fois l’ordre d’intervenir donné, les policiers ont fait un usage de la force disproportionné, gazant à hauteur de visages tous les étudiants présents dans le périmètre (moi y compris) et ont agressé un étudiant qui n’y était pour rien, l’immobilisant en l’écrasant à plusieurs (pratique désormais interdite, il me semble) et l’emmenant le visage en sang. Lorsque devant ce déferlement de violence inutile, j’ai tenté de m’interposer pour protéger les étudiants menacés, j’ai reçu un coup de matraque, de bouclier et des insultes.J’aimerais que la présidence (le président, tout simplement) s’explique et m’explique la raison pour laquelle il donne l’ordre aux forces du désordre de venir agresser des étudiants et des enseignants sur le campus.
      J’ai encore le goût aigre des gazes lacrymogènes dans la gorge.
      Cordialement,

      ZZZZZ

    • Et, cerise sur le gâteau... voici un message que le président de l’université de Grenoble, Patrick Lévy, a envoyé aujourd’hui...
      A gerber !

      Nouvelle action de blocage violent pour empêcher la tenue d’examens - lundi 7 mai 2018

      Mesdames, Messieurs, Chers collègues,

      Ce matin, 580 étudiants de l’UFR ARSH et de l’UFR SHS étaient convoqués pour passer leurs partiels à la galerie des amphithéâtres, bâtiment Pierre Mendès France, sur le campus de Saint Martin d’Hères de l’Université Grenoble Alpes. Aux alentours de 6h30, une vingtaine de bloqueurs ont commencé à entraver les accès au bâtiment, en usant de violence à l’égard des agents de sécurité (envoi d’excréments notamment), ce qui a contribué à faire monter la tension. Ils ont ensuite fait savoir qu’ils étaient déterminés à rester.

      Au vu des tensions depuis plusieurs semaines entre bloqueurs et étudiants désireux de passer leurs examens, je ne pouvais laisser seuls face à face des bloqueurs et des étudiants qui souhaitent aller passer leurs examens. Aussi, j’ai demandé l’intervention des forces de police. Les bloqueurs ont souhaité rester malgré la présence des forces de l’ordre, et se sont volontairement affrontés avec les forces de police, entravant par là même le passage d’étudiants qui souhaitaient malgré tout intégrer le bâtiment (entrave vers l’accès au cordon de sécurité, insultes, etc.).

      Au regard de la tournure des événements, avec un niveau de tension croissant, il était devenu impossible de laisser les étudiants passer leurs examens à l’heure prévue. Pour les protéger, et compte tenu de l’état de stress dans lequel certains ont pu être mis – évidemment défavorable au passage de leur partiel, j’ai demandé le report des examens prévus à la galerie des amphithéâtres à 8h et à 11h. Les examens organisés dans les autres bâtiments, y compris le bâtiment Stendhal, se sont tous tenus sans problème.

      Comme je l’ai dit à plusieurs reprises, je dénonce toute violence, notamment celle d’une trentaine de bloqueurs, empêchant le libre accès des personnels et de centaines d’étudiants à un bâtiment de l’université et ce faisant la tenue d’examens. Je réitère mon accord pour des discussions ouvertes et sereines, comme je le fais chaque semaine lors d’un échange avec les syndicats étudiants représentatifs.

      Afin de préserver la valeur des diplômes de l’Université et de respecter l’ensemble des étudiants, je réaffirme, comme exposé depuis le début des événements, qu’il n’y aura aucun aménagement d’épreuve. La Présidence mettra tout en œuvre avec l’appui de l’administration pour la tenue effective des examens tels que prévu dans le règlement des études de chaque diplôme.

      Bien cordialement,

      Patrick Lévy
      Président de l’Université Grenoble Alpes

    • Ta video marche meme si on a pas de compte facebook @cdb_77
      C’est dans cette fac qu’un prof ou membre du personnel cagoulé accompagné de néo-nazis est venu tabasser des élèves ? Le président à pas été suspendu pour une faute aussi grave ?

      edit : non c’etait à Montpellier.
      En tout cas ces présidents d’université on sais ce qu’illes auraient fait pendant l’occupation.

    • #Nancy : une loi antiterroriste utilisée contre le mouvement étudiant
      Stéphane Ortega, Rapports de Force, le 7 mai 2018
      https://seenthis.net/messages/692614

      À Nancy, un étudiant est poursuivi pour n’avoir pas donné le code PIN de son téléphone portable pendant sa garde à vue faisant suite à l’intervention de la police sur le campus le 3 mai. Il est accusé du refus de donner la clef d’un système de chiffrement ayant pu servir à la commission d’un délit. Une infraction inscrite dans la loi sur la sécurité quotidienne votée en France au lendemain des attentats du World Trade Center en 2001.

    • Une lettre adressée à la direction de l’ARSH (Arts et Sciences humaines) par une étudiante de l’Université de Grenoble (lettre que j’ai anonymisée) :

      Lettre adressée à la direction, l’administration et au corps professoral de l’ARSH concernant les évènements de Lundi matin contre des étudiants de l’ARSH. Par xxxx, Elue représentante étudiante de l’UFR ARSH, déléguée L3 Histoire, Présidente des Apprentis Chercheurs de l’ARSH, Apolitisée.

      Chère ARSH,
      « J’ai mal à mon Université. »
      En tant que représentante élue étudiante de l’UFR ARSH je me dois de réagir, sous la volonté des étudiants de l’UFR, à l’atteinte physique qui nous a été portée lundi matin devant la galerie des amphis et à donner voix et mots à notre communauté. Vous étiez nombreux à assister à cet évènement choquant et abusif. Il n’est plus question de politique ! Il n’est plus question de manifestants ou non manifestants ! La direction n’a pas fait de distinctions lorsqu’elle a ordonné cette intervention, elle a marché sur les libertés et les droits de chacun d’entre nous !
      Notre université fonctionne grâce à quatre principaux collaborateurs et à la teneur de leur relation : la direction, l’administration, le corps professoral, et le corps étudiant. J’aime ce mot : Relation, n’est-il pas bien commode ? Pour notre part la qualité de notre relation avec la direction est passée de médiocre, à exécrable ! Elle se résume à ceci : la direction de l’UGA a fait exactement ce qu’elle voulait faire au mépris de ses étudiants et de notre respect. Elle nous a donné rendez vous à une heure, une date et un lieu précis sur le campus pour passer un examen. Nous sommes venus, et nous nous sommes fait frapper et gazer. Il n’y a rien de plus à ajouter. Nous ne viendrons plus si c’est à cela que devons nous attendre.
      Quand un collaborateur nous tyrannise, ce n’est plus un collaborateur. Et comme un tyran ne comprend que la force, nous sommes prêts aujourd’hui à faire preuve de plus de force. La direction de l’Université se heurtait récemment à un groupe d’étudiants mobilisés pour la défense de leurs idées vis-à-vis d’une loi gouvernementale. A présent, qu’elle se prépare à se heurter à tous ses étudiants, ceux qui croient encore que nous sommes libres, ceux qui croient encore à un état de liberté, de justice et d’équité, et non de violence, ceux qui croient que nous ne sommes plus en sécurité ici, ceux qui sont blessés, outrés et scandalisés par cette intervention gratuite sur des innocents, ceux qui ont peur pour leur avenir et leurs partiels et qui ne comprennent pas pourquoi l’UGA n’est pas de leur côté, et ceux qui se battent depuis le début pour que Faculté et Egalité continuent de rimer. La direction de l’Université a en face d’elle non plus des étudiants dispersés et en désaccord, mais une seule et unique voix étudiante, celle qui crie sous vos matraques, celle qui crie colère, justice et liberté ! « Vives nos partiels, on aime se faire frapper ! ».
      Vives nos partiels, on aime se faire frapper !
      L’ensemble des élus étudiants de l’ARSH et les étudiants de l’ARSH s’accordent la plupart sous ces mots : Nombreux d’entre nous, arshiens, avons été atteint physiquement ou moralement par cette attaque. Direction de l’ARSH, administration de l’ARSH, professeurs de l’ARSH, êtes-vous de notre côté en ce temps de troubles où la direction de l’UGA ordonne ces violences ?
      Nous voici dans une situation complexe. La plupart des étudiants de l’ARSH ne veulent pas mettre en péril leurs examens et donc leur diplôme. Néanmoins, accepter de notre part de nous rendre sur les lieux des examens et à l’heure de notre convocation est d’une part un danger physique et d’autre part cela revient à accepter ce qu’il s’est passé lundi matin et à continuer d’assurer notre part du contrat avec la direction de l’UGA. Et cela, nous le refusons catégoriquement. J’espère que vous comprendrez. Par ailleurs, nous savons et reconnaissons l’immense courage, professionnalisme et entraide dont les professeurs et l’administration font preuve depuis le début de cette crise Grenobloise. Nous ne voulons pas nous positionner face à vous, mais avec vous. En respectant notre front contre la direction de l’UGA. Pour l’heure, comprenez que pour nous, nous rendre sur les lieux des convocations aux examens est en proie à plusieurs débats. Et nous paraît être, pour les raisons énoncées juste au-dessus, une très mauvaise chose. Comprenez aussi qu’en tant qu’élue étudiante non politisée, de la liste des Arshiens, je me suis entretenue avec des leaders du mouvement étudiants qui manifestent contre la loi ORE (appelés vulgairement « les bloqueurs ») afin d’assurer mon soutien et celui des étudiants de l’ARSH, non pas à leurs valeurs politiques, mais au refus et à l’opposition à la présente direction de l’UGA et ses méthodes d’agissements. Nous nous unissons contre un front commun, et pour se faire, la situation actuelle ne donne à la multitude (donc comprenant les étudiants lambda et non politisés et aussi les autres) que je représente, qu’une solution possible, semble-t-il ? Soutenir les actions contre l’UGA et refuser d’honorer notre part du contrat en tant qu’étudiant à l’Université Grenoble Alpes ? Nous sommes ouverts à la discussion, et je vous demande, chers tous, chers arshiens, de nous entendre et de répondre à mon dialogue afin que nous trouvions une solution pour la multitude arshienne. Les étudiants de l’ARSH que je représente, mes collègues, mes amis, sont inquiets et ont également envie de s’exprimer après ce Lundi. Je vous ai exposé nos positions. J’attends votre réponse, les étudiants de l’ARSH attendent votre réponse. Soyez assurés cependant, de la fermeté de nos décisions.
      Néanmoins, soyez assurés également que certain d’entre nous se sentent forcés de se rendre aux examens, et ils y iront. J’espère de tout mon coeur qui ne leur arrivera rien…

    • HALTE AUX VIOLENCES DU GOUVERNEMENT SUR LES CAMPUS UNIVERSITAIRES

      Dans le cadre du mouvement de protestation contre la loi Orientation et Réussite des Étudiants (loi dite ORE) et la sélection à l’entrée de l’université, les forces de l’ordre sont intervenues à plusieurs reprises ces derniers mois (voir la liste des sites concernés ci-dessous) dans des locaux universitaires ou les campus, soit à la demande des président.e.s d’université, soit à la suite de décisions judiciaires.

      La fréquence et la violence de ces interventions sont inédites. Diurnes ou nocturnes, annoncées ou non, elles ont donné le plus souvent lieu à des coups de matraque, des gazages, des étouffements, des insultes à l’encontre des usagers et des personnels. Ces actes de violence physique et psychologique, qui peuvent laisser de graves séquelles, sont inacceptables et le SNESUP-FSU les condamne fermement.

      Par ailleurs, nous observons que les président.e.s d’université font de plus en plus appel à des sociétés privées de sécurité qui accomplissent sous leur autorité des tâches de maintien de l’ordre, dont certaines sont susceptibles de constituer des entorses à la loi : contrôles d’identité, filtrage des étudiants, déblocages de bâtiments, interdiction d’accès aux examens... Le SNESUP-FSU tient à rappeler que les vigiles, qui doivent être agréés et titulaires d’une carte professionnelle, peuvent effectuer une inspection visuelle des bagages à main, mais, non assermentés, ils ne sont pas autorisés à procéder à des contrôles d’identité. Rappelons plus généralement que selon les termes de l’article L613-2 du code de la sécurité intérieure il est interdit aux agents des sociétés privées de surveillance et de gardiennage de « s’immiscer, à quelque moment et sous quelque forme que ce soit, dans le déroulement d’un conflit du travail ou d’événements s’y rapportant ».

      La violence n’est pas une réponse acceptable à un mouvement social légitime et au défaut de dialogue, tant au niveau local que national. Ces interventions policières violentes ne visent pas à mettre fin à des troubles à l’ordre public, mais bel et bien à intimider celles et ceux qui aujourd’hui protestent de manière non violente contre la « casse » de l’enseignement supérieur et de la recherche publique. Cette violence révèle l’incapacité du Gouvernement à répondre aux revendications légitimement exprimées.

      Le SNESUP-FSU demande au Gouvernement de mettre fin à cet usage de la force publique et rappelle son attachement au respect des franchises universitaires. Les universités sont des lieux de débat où la violence ne peut être tolérée. Le SNESUP-FSU apporte tout son soutien aux victimes et demande la levée de toutes les poursuites intentées aux étudiant.e.s et personnels interpellé.e.s. n

      Liste – non exhaustive - des sites concernés par des interventions policières violentes :

      • Toulouse Le Mirail : 9 mai • Rennes-II : 2 mai • Nancy : 25 avril & 3 mai • Lyon-II : 13 avril • Nanterre : 10 avril • Lille : 9 avril • Tolbiac (Paris-I) : 7 avril • Nantes : 4 avril • Paul-Valery (Montpellier) : 23 mars • Grenoble-Alpes : 22 mars, 23 avril & 7 mai • Strasbourg : 22 mars & 4 avril • Dijon : 16 mars • La Victoire (Bordeaux) : 7 mars

      Message reçu via mailing-list du syndicat SNESUP, 11.05.2018

    • A propos de Grenoble, je tombe là dessus, mais j’anonymise aussi :
      –----------------------------------------------
      À Grenoble, ça continue…

      Après une consultation fantoche :

      “Êtes-vous favorable à la liberté d’accès aux bâtiments des étudiants et des personnels permettant notamment la mise en œuvre des examens dans les conditions normales à l’Université Grenoble Alpes ?”

      et plus que douteuse dans sa mise en place, la présidence assurant dans son invitation de vote (mail du 24 avril) :

      La consultation est organisée par des moyens électroniques permettant d’assurer l’anonymat des réponses. Elle fait l’objet d’une déclaration à la CNIL dans le respect des obligations informatiques et libertés. Les données seront conservées une semaine.

      Or, il s’avérerait que c’était un mensonge délibéré :
      https://www.facebook.com/LICORNEGrenoble/posts/1810852848952928

      La présidence semble s’être senti pousser des ailes avec les résultats de ce vote boycotté par la plupart des organisations syndicales (toutes ?). Elle a ainsi continué à dépenser sans compter pour "sécuriser" l’entrée de certains bâtiments en déployant des effectifs d’agents de sécurité privés jamais vus sur le campus.

      Une entrée tellement sécurisée que les entreprises contractées ne laissaient pas toujours entrer les enseignants-chercheurs.

      Mais comme ces effectifs exceptionnels ne sont pas toujours suffisant pour "la mise en œuvre des examens dans les conditions normales", les examens sont délocalisés, les enseignants en charge des examens étant parfois mis au courant du lieu de l’examen à peine 24h avant leur tenue.

      Mais comme ce n’est pas encore assez normal, la présidence a fait appel à la police à plusieurs reprises, par exemple le 3 mai.

      Encore plus normal, cette lettre d’un prof, le 7 mai :

      Je voudrais m’insurger à mon tour contre l’usage qui a été délibérément fait de la violence ce matin contre des étudiants qui n’opposaient aucune résistance et ne manifestaient aucune violence. Je peux d’autant plus l’affirmer et en être choqué que j’étais, pour un examen de licence 3, présent devant le bâtiment. Devant des policiers visiblement venus pour en découdre, les étudiants n’ont jamais montré une quelconque agressivité. Une fois l’ordre d’intervenir donné, les policiers ont fait un usage de la force disproportionné, gazant à hauteur de visages tous les étudiants présents dans le périmètre (moi y compris) et ont agressé un étudiant qui n’y était pour rien, l’immobilisant en l’écrasant à plusieurs (pratique désormais interdite, il me semble) et l’emmenant le visage en sang. Lorsque devant ce déferlement de violence inutile, j’ai tenté de m’interposer pour protéger les étudiants menacés, j’ai reçu un coup de matraque, de bouclier et des insultes.J’aimerais que la présidence (le président, tout simplement) s’explique et m’explique la raison pour laquelle il donne l’ordre aux forces du désordre de venir agresser des étudiants et des enseignants sur le campus.
      J’ai encore le goût aigre des gazes lacrymogènes dans la gorge.

      Voir aussi le point de vue étudiant :
      https://twitter.com/NMarlin_/status/993389402121482241

      De ce fait, nous commençons à nous organiser un peu moins peu… et quelques initiatives commencent à se mettre en place :
      http://www.sauvonsluniversite.com/spip.php?article8306

      À part ça, tout va bien, Raphaël Enthoven et consort peuvent continuer à donner des leçons d’objectivité aux étudiants mobilisés…

    • Toulouse : l’étudiant grièvement blessé par la police témoigne
      Lundi Matin, le 10 mai 2018
      https://seenthis.net/messages/693354

      PARIS 8 OCCUPÉE : LES ÉTUDIANT-E-S DÉGAGENT UN FLIC DE LEUR FAC !
      Saint-Denis VIII Révolutionnaire, Facebook, le 10 mai 2018
      https://seenthis.net/messages/693367

      Paris 8 occupée : les étudiant-e-s dégagent un flic de leur AG !
      Paris-Luttes Info, le 11 mai 2018
      https://seenthis.net/messages/693589

    • Reçu via une mailing-list de personnels qui ont réagi aux violences policières de l’Université Grenoble Alpes (j’anonymise), 14.05.2018 :

      La question des tensions entre étudiants est en effet aussi à prendre en compte, sans la minorer : une poignée de personnes violentes (ce que les étudiants mobilisés contre la loi ORE ne sont pas), soutenues par l’#extrême_droite, comme on l’a vu dans d’autres universités, se manifeste de plus en plus régulièrement. Il semble que la présidence n’ait toujours pas porté plainte contre les tentatives d’incendie des jardins d’utopie. La question des examens est aussi une réflexion sur ce que nous pouvons faire pour ne pas créer des situations de tension.

    • Témoignage, reçu par email aujourd’hui, 14.05.2018. Témoignage que j’anonymise, comme coutume, et qui se rapporte aux événements du 7 mai sur le campus de Grenoble :

      Enseignant dans le secondaire et par ailleurs en reprise d’études, je faisais
      partie le 7 mai dernier des étudiants convoqués à leurs examens. Contrairement
      aux messages alarmistes répétés du président de l’université (qui n’était pas
      présent sur place), aucune tension n’était perceptible à mon arrivée vers 7H45
      et ce jusqu’à ce déploiement de violence inouïe de la part de forces de
      l’ordre à l’encontre d’étudiants totalement pacifiques. J’ai été (et je reste)
      profondément choqué et révolté devant un usage de la force totalement
      disproportionné : plusieurs policiers casqués, munis de matraques et de
      boucliers se ruant sans ménagement aucun (visiblement très pressés de « faire
      mal ») sur des étudiants pacifiques venus passer leurs partiels. Comme monsieur
      xxxxx, je m’insurge contre le traitement (non réglementaire d’ailleurs)
      infligé à un étudiant malmené à terre par plusieurs policiers faisant preuve
      d’un acharnement particulièrement choquant. J’ai également été amené à
      tranquilliser une étudiante particulièrement choquée et atteinte de manière
      sévère par des gaz lacrymogènes. J’ai aussi discuté avec un pompier soignant
      un de mes collègues étudiant tellement malmené qu’il en avait l’épaule démise
      (diagnostic du pompier) et je passe sur les étudiants ayant subis les gaz à
      hauteur de visage (là aussi, je doute que la déontologie policière soit
      respectée !!!) ou une autre tellement choquée qu’elle en vomissait.

    • L’université de Nanterre fera passer des examens en ligne, une AG étudiante s’y oppose

      Deux cents étudiants réunis en assemblée générale ont voté le blocage administratif de l’université pour empêcher que les partiels soient organisés à distance.


      http://www.lemonde.fr/campus/article/2018/05/15/l-universite-de-nanterre-fera-passer-des-examens-en-ligne-une-ag-etudiante-s

    • Universités : violences policières et privatisation de la sécurité

      Le gouvernement et de nombreux présidents d’université ont fait en moins de deux semaines le grand ménage de printemps sur les campus mobilisés. A coups de matraque et de « police privée » ! Universitaires et élus s’inquiètent ou s’insurgent. Billet écrit à quatre mains avec Isabelle Krzywkowski et publication de deux lettres ouvertes, de Grenoble et de Strasbourg.


      https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/160518/universites-violences-policieres-et-privatisation-de-la-securite

      https://www.youtube.com/watch?v=MtykzA_bQVs

    • Soutien à notre collègue chercheur et aux étudiant.e.s victimes de violences policières à l’EHESS le 1er mai
      L’IRIS (Institut de recherche interdisciplinaire sur les enjeux sociaux) Paris, le 14 mai 2018

      Le 1er mai 2018 vers 20h30, notre collègue Nicolas Jaoul, chercheur au CNRS (IRIS), ainsi que des étudiant.e.s, ont été victimes de violences policières attestées par différents témoignages écrits et audiovisuels. Elles/ils se trouvaient à l’EHESS au 96 boulevard Raspail, occupée depuis la veille par les étudiant.e.s, lorsque des manifestant.e.s poursuivi.e.s par des policiers se sont réfugié.e.s sur le site, aussitôt fermé par ses occupants et encerclé par la police. Nicolas Jaoul, qui cherchait une voie de sortie à l’arrière du bâtiment, s’est fait rouer de coups et mettre à terre par cinq agents de la police nationale en équipement anti-émeute. Alors qu’il n’opposait aucune résistance et déclinait son identité et sa fonction d’enseignant-chercheur, il a été insulté et a reçu des coups de pieds dans la tête. Les policiers l’ont menacé, lui disant qu’après ce qu’ils s’apprêtaient à lui faire subir, il « ne pourrait plus jamais se relever » et qu’ils allaient le « faire payer pour les étudiants », qui « font ça à cause de toutes les merdes » qu’il leur apprenait. Par ailleurs, une quinzaine de policiers, dans un état de rage manifeste, tentaient de forcer la porte cochère, bloquée de l’intérieur par les étudiants, qui ont reçu des coups de bâton-tonfa et des jets de gaz lacrymogène à quelques centimètres du visage. Les policiers se sont retirés après l’intervention sur place du Président et du bureau de l’EHESS, qui ont accepté de raccompagner jusqu’au métro les étudiant.e.s souhaitant sortir du site et inquiets de possibles représailles dans le quartier.

      De nombreux témoignages, y compris au sein du bureau de l’EHESS, soulignent l’état d’excitation des policiers, s’accordant à considérer que la résistance des étudiant.e.s empêchant l’accès du site à la police, puis l’intervention du Président ont évité ce soir-là des faits de violence dramatiques – une petite centaine d’étudiants étant encerclés, avec pour seule « échappatoire » l’échafaudage de chantier sur un bâtiment voisin.

      De nombreux membres de l’IRIS étudient et dénoncent depuis longtemps les mésusages de la force et le climat de violence discrétionnaire auxquels sont souvent confrontés les habitant.e.s des quartiers populaires, les migrant.e.s et les minorités racisées. A présent, cette violence s’exerce aussi dans nos universités. D’ailleurs, les répressions de manifestations ou d’occupations dans les universités de Grenoble, Strasbourg, Nanterre, Paris 1 ou encore Toulouse ces dernières semaines indiquent une routinisation de l’usage disproportionné de la force en première instance, sans préavis de dispersion ni aménagement de voie de retrait.

      La mission première de l’université est l’enseignement et la recherche, et cette mission s’est construite historiquement dans une perspective de liberté de pensée, de gratuité et d’ouverture sociale. Nous sommes aujourd’hui concernés par la remise en cause de ces principes, par les atteintes souvent violentes aux franchises universitaires, par la paupérisation de l’université et le tri social à l’entrée comme mode de gestion de l’insuffisance chronique de ressources.

      Dès lors, nous personnels, étudiant.e.s, chercheur.e.s, et enseignant.e.s-chercheur.e.s de l’IRIS, condamnons la politique de répression violente des mobilisations étudiantes et réaffirmons notre soutien entier à celles et ceux qui, au sein des universités et institutions de recherche, et en solidarité avec d’autres secteurs du service public, se mobilisent contre les réformes en cours, et notamment le projet de loi ORE.

      Nous tenons à souligner que les faits qui se sont déroulés le 1er mai à l’intérieur et à la sortie de l’EHESS 96 bd Raspail sont graves. Nous soutenons notre collègue, les étudiant.e.s agressé.e.s et blessé.e.s, et d’une façon générale les étudiant.e.s mobilisé.e.s, dont nous saluons le courage et l’engagement.

      Nous regrettons fortement l’état d’indifférence qui s’installe au sein de nos institutions vis-à-vis des luttes en cours et de leur traitement policier et tenons à nous en démarquer activement. Nous saluons l’attachement de la présidence de l’EHESS aux franchises universitaires et son engagement à les défendre. Aussi, nous appelons les présidences de l’EHESS, du CNRS, de l’INSERM, et de l’Université de Paris 13 à condamner fermement et publiquement ces violences policières injustifiables dans les locaux de l’EHESS et à leur sortie, rétablissant par là-même auprès du personnel et des étudiant.e.s mobilisé.e.s un climat de confiance et de sécurité.

      Signataires :

      L’IRIS

      Julie Ancian
      Aurélie Audeval
      Christelle Avril
      Anne-Claire Baratault
      Adèle Blazquez
      Etienne Bard
      Véronique Bayer
      Benoit Belloni
      Elisabeth Belmas
      Pierre Benetti
      Abdel-Halim Berretima
      Thierry Bonnot
      Véronique Bontemps
      Stefano Bory
      Elsa Boulet
      Michel Bozon
      Hélène Bretin
      Aurélien Cadet
      Pénélope Calmejane
      Julie Castro
      Chiara Calzolaio
      Mona Claro
      Guigone Camus
      Lisa Carayon
      Gaëlle Chartier
      Antoinette Chauvenet
      Isabelle Clair
      Natacha Collomb
      Pamela Colombo
      Emilie Counil
      Christel Cournil
      Christophe Coutanceau
      Sébastien Dalgalarrondo
      Gisèle Dambuyant
      Blandine Destremeau
      Helena Devillers
      Antonella Di Trani
      Antonin Dubois
      Marie Ducellier
      Emmanuelle Durand
      Franck Enjolras
      Didier Fassin
      Camille Foubert
      Tristan Fournier
      Marcos Garcia de Teresa
      Nolwenn Gauthier
      Jérémie Gauthier
      Maziyar Ghiabi
      Sabine Guez
      Déborah Guy
      Pascale Haag
      Benoit Hachet
      Ratiba Hadj-Moussa
      Boris Hauray
      Thomas Huet
      Moritz Hunsmann
      Daniele Inda
      Gaelle Krikorian
      Anouche Kunth
      Rose-Marie Lagrave
      Flavienne Lanna
      Corinne Lanzarini
      Eliane de Latour
      Michèle Leclerc-Olive
      Clémence Léobal
      Chowra Makaremi
      Hadrien Malier
      Audrey Marcillat
      Pascal Marichalar
      Marion Maudet
      Ali Mekki
      Franck Mermier
      Anne-Charlotte Millepied
      Danielle Moyse
      Julia Monge
      Bernard Müller
      Michel Naepels
      Magnifique Neza
      Barbara Niederer
      Gérard Noiriel
      Cécile Offroy
      Shahnaz Ojaghi
      Julie Pagis
      Michel Peraldi
      Constance Perrin-Joly
      Luisa Piart
      Anna Pomaro
      Giovanni Prete
      Luigigiovanni Quarta
      Paco Rapin
      Zoe Rollin
      Sahar Saeidnia
      Monique de Saint Martin
      Caroline de Saint Pierre
      Claire Salem
      Sarah Sandré
      Sara Scata
      Mohammed Sharqawi
      Constance Schuller
      Regis Schlagdenhauffen
      Nathanaëlle Soler
      Alexis Spire
      Annie Thébaud- Mony
      Cécile Thomé
      Mathieu Trachman
      Benoit Trépied
      Anne-Sophie Vozari
      Hugo Wainsztok
      Eric Wittersheim

      Reçu par email, le 17.05.2018

    • Au rassemblement à Nation, les témoignages des parents de la centaine de lycéens embarqués en garde à vue depuis hier à #Arago font froid dans le dos. Certains cherchent encore leurs enfants, des jeunes filles de 16 ans sont détenues dans des conditions brutales et indécentes.

      https://twitter.com/cmoreldarleux/status/999336371469869056

      Et à défiler :

      https://twitter.com/StephChehab/status/999364881299202048?s=19
      https://twitter.com/TaranisNews/status/999384857724772353
      https://twitter.com/TaranisNews/status/999384857724772353
      #Arago #garde_à_vue #GAV #Lycée_Arago #détention

    • Reçu via une mailing-list contre les violences policières sur le campus... Je partage ici en anonymisant.

      Voici un communiqué de XXXXX, dont l’adresse mail universitaire a été bloquée par l’université, à destination de tous les étudiant-e-s de l’UGA. Ceci n’étant pas une prise de parole personnelle, je ne donnerais suite à aucune éventuelle réponse. Bonne lecture.

      Bonsoir à toutes et à tous,
      J’ai décidé d’envoyer ce mail, à l’intégralité des étudiant-e-s de l’UGA, car il me semble que la situation que nous vivons toutes et tous aujourd’hui sur le campus est hors de contrôle, et qu’il est bien temps, de se poser, et de parler non pas avec des grands discours, mais avec des faits.
      Hélas, les faits sont révoltants. Bien que nous ne soyons pas d’accord, de toute évidence, avec les moyens d’actions que peuvent prendre nos luttes, il me semble cependant qu’il y a certaines limites qui ne peuvent nullement être dépassés. Certes, personnellement je ne suis pas tout blanc nous plus. J’ai moi-même, dans un moment de rage, lancé un fond de bouteille d’eau sur la tête d’un anti bloqueur, ce que je regrette, et je tiens à m’excuser avec cette personne qui se reconnaitra. Certes, je participe activement au blocage des examens, ce qui, de toute évidence, met à mal plusieurs personnes. Certes, j’ai moi-même confronté les actions de membres de la direction et autres sur des réseaux sociaux. Hélas, toutes ces choses, qui sont dérangeantes, en effet, ne sont rien face à ce que moi-même je subis depuis maintenant un mois, et ne sont rien face à un ensemble de choses que toutes les personnes mobilisées nous subissons depuis plusieurs semaines.
      Bien que cette liste ne soit guère exhaustive, j’ai préféré me référer uniquement aux faits que je peux démontrer avec des preuves à l’appui. Je vais diviser cette liste en plusieurs sous catégories, de choses qui me semblent inadmissibles.

      Veuillez consulter ce lien pour l’intégralité des photos servant à appuyer mon argumentaire : https://drive.google.com/drive/folders/1BnD9OPg5wpCX8VjjVPfJWJLoX6Goofli?usp=sharing

      Violences policières à l’université :

      – Le 23 avril, lors du deuxième blocage du bâtiment DLST, les forces de police sont venues pour débloquer le bâtiment. Des membres du personnel (des profs, mais aussi des services), des étudiant-e-s, ainsi que des sympathisant-e-s à notre cause, ont été chargés par les forces de l’ordre. Le résultat fût extrêmement grave : une enseignante à l’hôpital, un étudiant en garde à vue (c’était la première fois qu’il participait au mouvement), et plusieurs personnes agressées. Sur ces deux vidéos, il est possible de voir (hélas pas très clairement, la qualité de la vidéo laisse beaucoup à désirer), une étudiante se faire étrangler par un agent de police. https://www.facebook.com/alain.deraucourt/videos/10156262891188373 et https://www.facebook.com/alain.deraucourt/videos/10156262891378373

      – Le 26 avril, lors du blocage du bâtiment les Alpilles, des forces de l’ordre ont procédé à un déblocage extrêmement violent du bâtiment. Il est possible de voir sur la vidéo un policier de la BAC (brigade anti criminalité, oui ils envoient la BAC face à des étudiant-e-s) taper à plusieurs reprises et ceci avec une extrême violence, et, avec un certain sadisme que nous pouvons observer avec le geste qu’il fait avec son bras. Voici la vidéo https://www.facebook.com/GrenobleEnLuttte/videos/1910151649003227

      – Lundi 7 mai, les forces de l’ordre sont venues pour débloquer la galerie des amphis. Alors qu’une foule d’étudiant-e-s qui n’avaient rien à voir avec le mouvement, ni la grève, attendait l’ouverture du bâtiment, les forces de l’ordre ont chargé la foule et les manifestant-e-s. Des enseignant-e-s, des étudiant-e-s, grévistes ou pas, ont été matraqué-e-s, gazé-e-s, violenté-e-s par les forces de police. Encore une fois, trois personnes ont dû aller à l’hôpital. Suite à cela, l’administration du bâtiment ARSH a annulé les partiels et les a aménagés sous forme de devoir maison chronométré. Voici la vidéo : https://www.facebook.com/nicolas.marlin.73/videos/2062844813730002

      – Les violences policières ne concernent pas que Grenoble, hélas, mais l’ensemble des universités mobilisées contre le plan Vidal et son monde. Voici une vidéo des violences à Rennes : https://www.facebook.com/AG.Rennes2/videos/770955669760965

      – Suite à l’évacuation de l’université de Toulouse, un étudiant a été gravement blessé par l’explosion d’une grenade policière. (Image dans le lien plus haut)


      Violences provenant de groupuscules :
      – Le 23 mars, un groupuscule est rentré à l’occupation de Montpellier. Plusieurs étudiant-e-s ont été agressés par des barres de fers, par des barres en bois, et autres armes. Voici la vidéo https://www.facebook.com/ajplusfrancais/videos/572890946411892

      – Le dimanche 22 avril, un incendie criminel a été déclenché sur le campus, par des inconnus. Le bâtiment qui a brûlé est le jardin des utopies, qui se trouvaient à quelques mètres de la Bibliothèque Universitaire Droit-Lettre. Sur cette vidéo, commenté de manière assez pauvre, je m’excuse, nous pouvons observer la violence des flammes qui auraient pu brûler la bibliothèque si le feu n’avait pas été contenu. https://www.facebook.com/alain.deraucourt/videos/10156260293908373

      – La nuit dernière, celle entre le dimanche 13 et le lundi 14 mai, nous avons reçu des informations diverses nous alertant d’une attaque des anti-bloqueurs, qui comptaient venir à plusieurs dizaines, voire une centaine, pour nous dégager à coups de bâton et de barres de fer. Finalement une très large mobilisation des étudiant-e-s en lutte a dissuadé ce groupuscule de venir. (Images dans le lien plus haut)

      – J’ai moi-même subi plusieurs attaques sur des réseaux sociaux, dignes de d’harcèlement scolaire de lycée. Des attaques ad-hominem se moquant de mon surpoids, usurpant mon nom et mon image sans mon consentement (actes illégaux). En dehors du ridicule de ces attaques, cela s’avère extrêmement dangereux pour moi, vu que depuis que ce groupuscule me met en évidence, j’ai reçu plusieurs menaces de mort par Facebook et autres plateformes. (Images dans le lien plus haut)

      Violences provenant de membres de l’administration et des agents de sécurités :
      – Depuis le début du mouvement, Patrick Lévy, président de l’université Grenoble Alpes maintient une communication extrêmement violente, qui incite à la violence à l’égard de nous autres manifestant-e-s pacifistes. Par ailleurs, toutes les violences policières ayant eu lieu sur le campus sont de sa responsabilité, vu que seul le président de l’université peut décider de faire intervenir les forces de police sur le domaine universitaire.

      – Depuis le premier blocage du DLST, Yves Markowicz ne cesse d’utiliser les réseaux sociaux, sur lesquels il insulte continuellement les étudiant-e-s et enseignant-e-s en grève, encourageant la violence et la haine. Dans d’autres images il donne des détails sur les résultats scolaires de ses étudiant-e-s, ce qui est complétement illégal. (Images dans le lien plus haut)


      – Hier, 14 mai, j’ai été empêché pendant un temps d’accéder au bâtiment universitaire IAE, où mon partiel de Croissance et Fluctuations devait avoir lieu. Grâce à l’intervention d’Alexis Garapin, directeur d’UFR de la faculté d’économie de Grenoble, j’ai pu me rendre à mon examen. Si je n’avais pas pu, j’aurais dû rembourser 4700 euros de bourse au CROUS, mettant ainsi fin à mes études puisque je suis très précaire. Par ailleurs, l’agent de sécurité qui m’empêchait de rentrer m’a humilié devant tous mes camarades, pendant que des policiers prenaient en photo le moment où j’ai dû ramasser mes affaires qui étaient tombées. Quand j’ai pu rentrer au bâtiment, un agent de sécurité m’a suivi jusqu’à ma salle d’examen. La radio de l’agent sonnait tellement fort que presque la moitié de l’amphi écoutait les appels radio alors qu’un partiel était en cours. L’après-midi, trois vigiles faisant plusieurs fois ma taille, ont suivis tout mes déplacements à l’intérieur du bâtiment. J’ai fait une crise d’angoisse pendant que je composais, ce qui m’a empêché de composer correctement. Deux agents de sécurité m’ont même suivi dans le tram lors du retour sur le campus, plusieurs de mes camarades de classe en sont témoins. Ceci m’a vraiment mis sur les nerfs, ce qui s’est traduit par un comportement violent de ma part. Je me suis excusé auprès des camarades qui ont dû supporter ma panique et mes nerfs.

      – Le même traitement a été donné à d’autres étudiant-e-s en lutte lors des examens. L’université menace systématiquement les étudiant-e-s de commission disciplinaire, faisant en sorte que leur parole ne soit pas écoutée par leurs camarades de classe.


      Pour donner suite à toutes ces violences, inadmissibles, il est temps de faire un constat : certes, nous ne sommes pas toutes et tous d’accord avec les moyens d’action et de lutte, mais, il me semble, nous ne pouvons que nous consterner face à l’inadmissible.
      C’est ainsi, que je fais un appel à votre sens de la démocratie, votre respect de la liberté de faire grève, et vous demande de nous soutenir, massivement, sur les réseaux sociaux, dans les blocages (si ce mode d’action vous convient), dans les assemblées générales et dans les dates de mobilisation.
      Je vous invite à venir demain, mercredi 16 mai à 6 heures du matin devant le CLV, afin de bloquer le plus grand nombre possible de partiels, pour démontrer que notre mouvement est loin d’être minoritaire, pour protester contre l’inadmissible, pour protester contre les violences.
      Mais mon appel ne s’arrête point-là. Essayez de vous organiser, dans chaque composante, faites des réunions, des assemblées générales de composante (l’ARSH, l’IUGA et le BSHM l’ont déjà fait), décidez entre vous les modes d’actions que vous semblent légitimes et souhaitables, par exemple : bloquer des examens, organiser des grèves massives de copies, organiser des débats, des rassemblements.
      Voila le fond même de notre mouvement. Patrick Lévy pense, dans son ignorance et son mépris, que je suis le « leader charismatique » du mouvement. Rien n’est plus éloigné de la réalité, car justement, notre mouvement n’a pas de leader, n’a pas de chef, n’a pas de meneurs. Notre mouvement se crée, se modèle, s’organise, par l’auto-gestion, par des comités de mobilisations où tout le monde vote, où tout le monde débat autour des modalités d’actions, autours des moyens de lutte. Organisons-nous donc tous et toutes ensemble, contre la loi ORE, contre les violences, contre la barbarie d’une répression que n’a jamais atteint un tel degré à l’université de Grenoble.
      Mobilisons-nous donc ! Disons non aux partiels surveillés par des agents de sécurité violents. Disons non à la présence policière sur notre campus ! Disons non à la violence des anti-bloqueurs. Bref, disons non à la violence, à la barbarie, à la haine.
      Mobilisons nos enseignant-e-s, en leur envoyant ce mail, afin qu’ils et elles puissent le faire tourner entre eux et elles.
      Rendez-vous demain, et après-demain, et les jours qui suivent, à 6h devant le CLV pour continuer les blocages jusqu’à l’aménagement des examens (comme cela a été fait à l’ARSH).
      Et rendez vous le 22 mai à 10 heures devant la place de la gare de Grenoble pour la grande manifestation nationale !
      Il est temps de montrer que nous sommes une majorité !
      Non à la haine ! Non à la violence ! Non à la sélection !

    • Non, nos étudiants ne font pas « n’importe quoi » ! Lettre sur deux conceptions de l’université

      TRIBUNE LIBRE – En pleine période de manifestations liées à la loi Ore (loi relative à l’Orientation et à la réussite des étudiants), les tensions entre ses opposants et la présidence de l’Université Grenoble-Alpes (UGA) perdurent. Le président de l’Université a, mercredi 16 mai, tenu des propos sur les étudiants qui ont suscité de nombreuses réactions. Parmi elles, cette lettre, signée par bon nombre de professeur(e)s de l’UGA.

      Monsieur le Président,

      Le mépris que vous déversez depuis des semaines sur les étudiants et sur les personnels, tant par vos courriers internes que dans la presse, est insupportable.

      La goutte d’eau qui fait déborder le vase

      Non seulement vous ne vous êtes pas une fois préoccupé de l’état de santé des étudiants et des personnels blessés, physiquement et psychiquement, par les interventions policières et les vigiles que vous commanditez ;

      Non seulement vous noircissez et criminalisez à plaisir, mais heureusement jusqu’au ridicule (du « saccage » aux « excréments »), une mobilisation légitime et nécessaire ;

      Non seulement votre plébiscite nous a doublement pris pour des imbéciles, par sa formulation, puis par sa publication biaisée des résultats ;

      Mais voici que vous nous salissez publiquement dans la presse (Dauphiné libéré, 16 mai 2018). Car, oui, c’est nous insulter, nos étudiants et nous mêmes, leurs enseignants, que de prétendre qu’ils font « n’importe quoi » et cherchent à « torpiller l’université ».

      Une vision différente de l’université

      C’est l’honneur en tout cas des disciplines de sciences humaines et sociales – mais aussi de toute pratique universitaire – que de se nourrir du débat, et non de l’apprentissage par cœur de données à recracher dans des QCM. C’est aussi leur honneur de se nourrir de la pensée collective, et non de la concurrence. Par cette formule, on comprend mieux, certes, la distance incommensurable et inaliénable qui nous sépare du modèle que vous prônez, et que les étudiants refusent.

      Nous soutenons pleinement et avec enthousiasme le fait que nos étudiants « ont travaillé collectivement » pendant les examens, et même le fait qu’ils aient mangé des crêpes. Quel pédagogue ne se réjouirait pas d’un apprentissage qui se fait dans la joie ? Nous saluons leur inventivité, leur curiosité, leur ironie critique et leur goût du partage. Nous les remercions et les félicitons d’avoir ainsi su mettre en pratique et en discussion leurs cours et leurs lectures.

      Nous vous invitons, Monsieur le Président, à méditer cette pensée de Cornélius Castoriadis : « Nous appelons praxis ce faire dans lequel l’autre ou les autres sont visés comme êtres autonomes et considérés comme l’agent essentiel du développement de leur propre autonomie. La vraie politique, la vraie pédagogie, la vraie médecine, pour autant qu’elles ont jamais existé, appartiennent à la praxis. » (L’Institution imaginaire de la société, 1975, 1999, p. 112)

      Premiers signataires (en ordre alphabétique) : Jennifer Buyck – Rémi Clot-Goudard – Jean-Marc Colletta – Sylvain Coulange – Cristina Del Biaggio – Laurence Delpérié – Giovanni Depau – Catherine Frier – Nathalie Gary – Florent Gaudez – Franck Gaudichaud – Myriam Houssay-Holzschuch – Caroline Imbert – Marie-Paule Jacques – Kirsten Koop – Olivier Kraif – Isabelle Krzywkowski – Francis Lazarus – Lison Leneveler – Sébastien Leroux – Tanguy Martin-Payen – Sarah Mekdjian – Chloé Muteau-Jaouen – Judith Nelson – Martial Pisani – Marianne Prévost – Olivier Razac – Fanny Rinck – Julie Sorba – Jean-Yves Tizot

      https://www.placegrenet.fr/2018/05/24/non-nos-etudiants-ne-nimporte-quoi-lettre-deux-conceptions-de-luniversite/192678

      Et vous l’aurez vu, je suis parmi les premièr·es signataires !

    • Les médias s’empressent à parler de « 1 mio EUR » de dégâts aux bâtiments de la fac de Grenoble suite à l’occupation par les étudiant·es :
      VIDÉO - Plus « d’un million d’euros » de dégâts dans un bâtiment de la fac de Grenoble débloqué jeudi

      Après six semaines d’occupation, les opposants à la loi ORE ont quitté le #Centre_des_Langues_Vivantes (#CLV), le bâtiment qu’ils occupaient depuis six semaines. Face aux dégâts considérables, l’UGA va déposer plainte. Le CLV ne devrait pas être utilisable pour la rentrée en septembre.

      https://www.francebleu.fr/infos/education/video-le-dernier-batiment-occupe-de-la-fac-de-grenoble-debloque-les-degat

      Ici la réaction de deux collègues, reçues par email le 27.05.2018.
      Je copie-colle leur message, en l’anonymisant :

      Bonjour à tous,

      Non les étudiants n’ont pas fait 1 million d’euros de dégâts au CLV (il faudrait certainement commencer par diviser ce chiffre par 10 pour s’approcher d’un chiffre discutable)
      Pourtant, ce chiffre circule dans les médias nationaux sans aucune mise en discussion à ma connaissance (toujours l’excellent travail des journalistes qui prennent les informations données par les autorités pour la vérité)
      Ces mêmes autorités (et médias) qui versent des larmes de crocodile sur la désinformation et autres « fake news »...

      Or, la lutte politique passe d’une manière décisive par la définition de la réalité : d’où vient ce chiffre ? qui l’a produit et comment ? est-il possible de se donner les moyens d’un contre-chiffre ? etc.

      J’ajoute que si les dégradations commises aux CLV restent problématiques, ce serait une terrible défaite éthique et théorique d’accepter l’équivalence « dégradation »="dévastation" (lu dans un message de l’administration) et 100.000 (?)=1 millions (cf. la fin du 1984, d’Orwell)

      –-----------

      Bonjour à tou.te.s,
      Il est important de rappeler que le CLV était déjà classé avant les grèves contre la loi comme bâtiment à rénover. Le toit végétalisé était déjà à refaire, de même que de nombreux aspects du bâtiment. Le chiffre de 1 millions d’euros comprend nécessairement les travaux qui étaient déjà prévus.
      Par ailleurs il a été dit que les tours d’ordi avaient été volées (apparemment elles avaient été enlevées bien avant et déplacées pour que des étudiants passent le TOEIC ailleurs) et que le système d’alarme ne fonctionne plus (mais il avait été supprimé pour la galerie des amphis et potentiellement aussi pour le CLV par l’université elle-même).
      On peut aussi rappeler combien cette situation entre en écho avec un mouvement qui a été réprimé par la violence policière et dans le silence assourdissant des autorités, qui envoyaient les forces de l’ordre mais n’ont jamais ouvert de discussions.
      Pour finir le « Makhno <3 » sur le bâtiment de Science Po est à voir (et ça rime).
      Bien à toutes et tous,

    • A propos de la répression grandissante du mouvement social :

      Gérard Collomb défend sa vision du maintien de l’ordre

      Confrontés à de nouvelles formes d’affrontements, policiers et gendarmes tentent d’adapter leur méthode.
      Julia Pascual, le Monde, le 8 juin 2018
      https://seenthis.net/messages/700734

      PHOTOS - VIDEOS : revivez la visite du ministre de l’Intérieur Gérard Collomb en Dordogne
      Antoine Balandra, France Bleu Périgord, le 8 juin 2018
      https://seenthis.net/messages/700734

    • Nantes : suspension de fonctions validée pour le sociologue opposé à la loi ORE
      Guillaume Frouin, Libération, le 10 juillet 2018
      http://www.liberation.fr/france/2018/07/10/nantes-suspension-de-fonctions-validee-pour-le-sociologue-oppose-a-la-loi

      Nantes : deux enseignants sanctionnés après les blocages à l’université
      Maïa Courtois, Libération, le 2 août 2018
      http://www.liberation.fr/france/2018/08/02/nantes-deux-enseignants-sanctionnes-apres-les-blocages-a-l-universite_167

      Les textes de ces deux articles ici :
      https://seenthis.net/messages/671718

      Un article revient sur cette année de mobilisation et de répression :

      Fac : désorientation, occupation, répression
      La Brique, le 9 août 2018
      https://seenthis.net/messages/713881

    • Coups de pieds dans la tête d’un prof : Les 5 policiers voulaient le « faire payer pour les étudiants »

      A l’#EHESS, le #1er_mai 2018 vers 20h30, Nicolas Jaoul, chercheur au CNRS (IRIS), ainsi que des étudiant.e.s, ont été victimes de violences policières. Insultes, mise à terre, coups de pieds dans la tête, menaces. Nous relayons ci-dessous le communiqué de soutien de personnels, étudiant.e.s, chercheur.e.s, et enseignant.e.s-chercheur.e.s de l’IRIS.

      Soutien à notre collègue chercheur et aux étudiant.e.s victimes de violences policières à l’EHESS le 1er mai

      L’IRIS (Institut de recherche interdisciplinaire sur les enjeux sociaux) Paris, le 14 mai 2018

      Le 1er mai 2018 vers 20h30, notre collègue Nicolas Jaoul, chercheur au CNRS (IRIS), ainsi que des étudiant.e.s, ont été victimes de violences policières attestées par différents témoignages écrits et audiovisuels. Elles/ils se trouvaient à l’EHESS au 96 boulevard Raspail, occupée depuis la veille par les étudiant.e.s, lorsque des manifestant.e.s poursuivi.e.s par des policiers se sont réfugié.e.s sur le site, aussitôt fermé par ses occupants et encerclé par la police. Nicolas Jaoul, qui cherchait une voie de sortie à l’arrière du bâtiment, s’est fait rouer de coups et mettre à terre par cinq agents de la police nationale en équipement anti-émeute. Alors qu’il n’opposait aucune résistance et déclinait son identité et sa fonction d’enseignant-chercheur, il a été insulté et a reçu des coups de pieds dans la tête. Les policiers l’ont menacé, lui disant qu’après ce qu’ils s’apprêtaient à lui faire subir, il « ne pourrait plus jamais se relever » et qu’ils allaient le « faire payer pour les étudiants », qui « font ça à cause de toutes les merdes » qu’il leur apprenait. Par ailleurs, une quinzaine de policiers, dans un état de rage manifeste, tentaient de forcer la porte cochère, bloquée de l’intérieur par les étudiants, qui ont reçu des coups de bâton-tonfa et des jets de gaz lacrymogène à quelques centimètres du visage. Les policiers se sont retirés après l’intervention sur place du Président et du bureau de l’EHESS, qui ont accepté de raccompagner jusqu’au métro les étudiant.e.s souhaitant sortir du site et inquiets de possibles représailles dans le quartier.

      De nombreux témoignages, y compris au sein du bureau de l’EHESS, soulignent l’état d’excitation des policiers, s’accordant à considérer que la résistance des étudiant.e.s empêchant l’accès du site à la police, puis l’intervention du Président ont évité ce soir-là des faits de violence dramatiques – une petite centaine d’étudiants étant encerclés, avec pour seule « échappatoire » l’échafaudage de chantier sur un bâtiment voisin.

      De nombreux membres de l’IRIS étudient et dénoncent depuis longtemps les mésusages de la force et le climat de violence discrétionnaire auxquels sont souvent confrontés les habitant.e.s des quartiers populaires, les migrant.e.s et les minorités racisées. A présent, cette violence s’exerce aussi dans nos universités. D’ailleurs, les répressions de manifestations ou d’occupations dans les universités de Grenoble, Strasbourg, Nanterre, Paris 1 ou encore Toulouse ces dernières semaines indiquent une routinisation de l’usage disproportionné de la force en première instance, sans préavis de dispersion ni aménagement de voie de retrait.

      La mission première de l’université est l’enseignement et la recherche, et cette mission s’est construite historiquement dans une perspective de liberté de pensée, de gratuité et d’ouverture sociale. Nous sommes aujourd’hui concernés par la remise en cause de ces principes, par les atteintes souvent violentes aux franchises universitaires, par la paupérisation de l’université et le tri social à l’entrée comme mode de gestion de l’insuffisance chronique de ressources.

      Dès lors, nous personnels, étudiant.e.s, chercheur.e.s, et enseignant.e.s-chercheur.e.s de l’IRIS, condamnons la politique de répression violente des mobilisations étudiantes et réaffirmons notre soutien entier à celles et ceux qui, au sein des universités et institutions de recherche, et en solidarité avec d’autres secteurs du service public, se mobilisent contre les réformes en cours, et notamment le projet de loi ORE.

      Nous tenons à souligner que les faits qui se sont déroulés le 1er mai à l’intérieur et à la sortie de l’EHESS 96 bd Raspail sont graves. Nous soutenons notre collègue, les étudiant.e.s agressé.e.s et blessé.e.s, et d’une façon générale les étudiant.e.s mobilisé.e.s, dont nous saluons le courage et l’engagement.

      Nous regrettons fortement l’état d’indifférence qui s’installe au sein de nos institutions vis-à-vis des luttes en cours et de leur traitement policier et tenons à nous en démarquer activement. Nous saluons l’attachement de la présidence de l’EHESS aux franchises universitaires et son engagement à les défendre. Aussi, nous appelons les présidences de l’EHESS, du CNRS, de l’INSERM, et de l’Université de Paris 13 à condamner fermement et publiquement ces violences policières injustifiables dans les locaux de l’EHESS et à leur sortie, rétablissant par là-même auprès du personnel et des étudiant.e.s mobilisé.e.s un climat de confiance et de sécurité.

      Signataires :

      L’IRIS

      Julie Ancian
      Aurélie Audeval
      Christelle Avril
      Anne-Claire Baratault
      Adèle Blazquez
      Etienne Bard
      Véronique Bayer
      Benoit Belloni
      Elisabeth Belmas
      Pierre Benetti
      Abdel-Halim Berretima
      Thierry Bonnot
      Véronique Bontemps
      Stefano Bory
      Elsa Boulet
      Michel Bozon
      Hélène Bretin
      Aurélien Cadet
      Pénélope Calmejane
      Julie Castro
      Chiara Calzolaio
      Mona Claro
      Guigone Camus
      Lisa Carayon
      Gaëlle Chartier
      Antoinette Chauvenet
      Isabelle Clair
      Natacha Collomb
      Pamela Colombo
      Emilie Counil
      Christel Cournil
      Christophe Coutanceau
      Sébastien Dalgalarrondo
      Gisèle Dambuyant
      Blandine Destremeau
      Helena Devillers
      Antonella Di Trani
      Antonin Dubois
      Marie Ducellier
      Emmanuelle Durand
      Franck Enjolras
      Didier Fassin
      Camille Foubert
      Tristan Fournier
      Marcos Garcia de Teresa
      Nolwenn Gauthier
      Jérémie Gauthier
      Maziyar Ghiabi
      Sabine Guez
      Déborah Guy
      Pascale Haag
      Benoit Hachet
      Ratiba Hadj-Moussa
      Boris Hauray
      Thomas Huet
      Moritz Hunsmann
      Daniele Inda
      Gaelle Krikorian
      Anouche Kunth
      Rose-Marie Lagrave
      Flavienne Lanna
      Corinne Lanzarini
      Eliane de Latour
      Michèle Leclerc-Olive
      Clémence Léobal
      Chowra Makaremi
      Hadrien Malier
      Audrey Marcillat
      Pascal Marichalar
      Marion Maudet
      Ali Mekki
      Franck Mermier
      Anne-Charlotte Millepied
      Danielle Moyse
      Julia Monge
      Bernard Müller
      Michel Naepels
      Magnifique Neza
      Barbara Niederer
      Gérard Noiriel
      Cécile Offroy
      Shahnaz Ojaghi
      Julie Pagis
      Michel Peraldi
      Constance Perrin-Joly
      Luisa Piart
      Anna Pomaro
      Giovanni Prete
      Luigigiovanni Quarta
      Paco Rapin
      Zoe Rollin
      Sahar Saeidnia
      Monique de Saint Martin
      Caroline de Saint Pierre
      Claire Salem
      Sarah Sandré
      Sara Scata
      Mohammed Sharqawi
      Constance Schuller
      Regis Schlagdenhauffen
      Nathanaëlle Soler
      Alexis Spire
      Annie Thébaud- Mony
      Cécile Thomé
      Mathieu Trachman
      Benoit Trépied
      Anne-Sophie Vozari
      Hugo Wainsztok
      Eric Wittersheim

      http://www.revolutionpermanente.fr/Coups-de-pieds-dans-la-tete-d-un-prof-Les-5-policiers-voulaient

    • Arago, comico, Renzo Piano : retour sur la répression du 22 mai

      Une soixantaine de personnalités et des syndicats appellent à soutenir les victimes de la vaste opération policière et judiciaire qui a frappé les occupants de ce lycée parisien.

      Au moment où la France affiche mondialement son patrimoine historique de Mai 1968, la belle commémoration se trouve traversée par une constellation de luttes (des cheminot.e.s, étudiant.e.s, soignant.e.s jusqu’aux postier.e.s) qui répondent aux attaques historiques de Macron et de son gouvernement. La séquence de luttes hétérogènes ouverte depuis avril et le début de la grève des cheminot.e.s est la première période de conflit d’ampleur contre le plan quinquennal de restructuration de « la start-up France ». Le projet macronien fait feu de tout bois : après les salarié.e.s du privé visé.e.s par les ordonnances, les syndicalistes remuants à licencier, contre les salarié.e.s à statut – cheminot.e.s « privilégié.e.s », fonctionnaires, les entrants à l’université à mieux sélectionner, bientôt les chômeurs. Ironie du moment : on célèbre la marchandise photogénique « casseurs » de 68 et on réprime toute conflictualité sociale et politique.

      De nombreuses facs occupées contre la sélection et parcoursup sont évacuées manu militari, des partiels placés sous contrôle policier, des postiers en lutte dans le 92 et leurs soutiens sont nassés par les CRS au centre de tri de la Défense, des cheminot.e.s en grève contre le « pacte ferroviaire » évacué.e.s du centre de tri de Villeneuve-Saint-Georges. Quant aux manifestations, elles sont rituellement noyées sous les gaz lacrymogènes. Après le 1er Mai, un battage médiatique est organisé autour des « black blocs » « casseurs », et les irrationnelles pulsions destructrices contre les vitrines de banques, d’assurances ou de McDo. « ILS veulent des examens en chocolat », a dit en substance le Président, ils devraient plutôt travailler sans broncher dans un McDo franchisé. Gérard Collomb qui se félicite toujours, en bon chef de guerre, des opérations de sa police, à la ZAD où un jeune homme de 21 ans vient de perdre une main, à la frontière italienne et ailleurs contre les migrants, annonce bille en tête : pour manifester il faudra désormais dénoncer son voisin de cortège potentiel « casseur ».

      Mais voilà que la Justice vient seconder les œuvres de la Police.
      Que s’est-il passé le 22 mai au lycée Arago ?

      À la fin de la manifestation du 22 mai des travailleuses et travailleurs du secteur public, ouverte par un cortège de tête énergique malgré l’orage, une occupation s’improvise place de la Nation. Il s’agit de faire une assemblée générale à l’heure où les résultats de parcoursup sont en train de tomber, laissant sur le carreau près de 400 000 lycéen.e.s. Une centaine d’occupants sont au rendez-vous, discutent, s’organisent, et découvrent les belles arcades en pierre de taille cachées aux yeux du quidam qui entourent la cour.

      Aux alentours de 19 heures, les CRS pénètrent brutalement dans le lycée : interpellations, fouilles, contrôles d’identité. Les occupant.e.s sont embarqué.e.s dans des bus en direction du commissariat de l’Évangile dans le XVIIIe arrondissement. Un des bus plein à craquer stationne près de cinq heures dans la cour du commissariat – pas d’air, pas d’eau, pas de toilettes. Tout le monde est gardé à vue, y compris les mineurs, et dispatché dans différents commissariats, de la Goutte-d’Or jusqu’à Puteaux ou Villeneuve-la-Garenne. Les occupant.e.s du lycée Arago sont mêlé.e.s à la trentaine d’arrêté.e.s de la manifestation.
      « Nos enfants ont été enlevés »

      La loterie commence. Certains font 24, d’autres 48 heures de garde à vue. Certains sont déférés, d’autres non. Sur ordre du parquet, des procédures judiciaires sont improvisées. Certains font l’objet de rappels à la loi, d’autres d’enquêtes. Quinze personnes sont présentées en comparution immédiate. Tous ont refusé d’être jugés immédiatement et sont reconvoqués le 15 juin mais deux jeunes hommes ont été placés en détention provisoire. Les autres sortent avec des contrôles judiciaires : interdiction du XIIe arrondissement, interdiction de voir ses camarades, interdiction de manifester.

      Le traitement des mineur.e.s indigne à raison les parents d’élèves et l’opinion. Des nouvelles ne sont données aux parents que tard dans la nuit et ils ignorent quel sort sera réservé à leur enfant.

      Ce qui frappe, ce sont les conditions de la garde à vue – cellules minuscules, pleines de pisse, coups de pression des policiers ; un jeune homme reçoit une gifle – mais surtout la qualification des délits.

      En substance, deux qualifications sont retenues pour tous : « Intrusion non autorisée dans l’enceinte d’un établissement d’enseignement scolaire commise en réunion » et « participation à un groupement formé en vue de la préparation de violences contre les personnes ou de destructions ou dégradations de biens ».

      La première s’appuie sur une loi promulguée en mars 2010 pour prévenir la contestation au sein des établissements scolaires. Si le délit de « réunion » a été mis en place sous Sarkozy et visait d’abord les jeunes de banlieue regroupés dans des halls d’immeuble, il est maintenant étendu aux manifestations, aux actions politiques, et considéré comme une circonstance aggravante. La seconde qualification est la plus impressionniste : le fait délictueux n’a plus besoin d’avoir été accompli, il s’agit de le prévenir. Le fait n’a plus besoin d’être établi, comme dans le film Minority Report, il s’agit de légiférer sur un élément aussi impalpable qu’un but supposé. Le droit s’affranchit définitivement du fait. À ce régime, tout devient preuve : un K-Way bleu un jour de pluie signe d’appartenance au « black bloc », du sérum physiologique marque d’une violence inflexible contre la police.

      Ces qualifications permettent de distribuer des rappels à la loi : une mesure apparemment bénigne mais qui ne permet pas de se défendre, ne respecte aucun principe contradictoire, et pourra peser en cas de « récidive ». Celles-ci justifient des comparutions immédiates, plus sérieuses, où les peines encourues ne sont pas minces et où on risque la prison si l’on demande le report de son procès. Les deux personnes présentées en comparution immédiate ont rejoint les nombreux prisonniers de France en attente de leur procès.

      Ces procès sont l’occasion de voir à l’œuvre le nouveau TGI de Paris, véritable complexe architecturel situé Porte de Clichy, dans le XVIIe arrondissement. L’architecte Renzo Piano nous décrit son œuvre : « L’édifice ne devait pas apparaître comme obscur ou hermétique, il devait exprimer son rôle et pas sa force ; c’est un bâtiment photosensible, le verre de ses façades reflète le ciel et la ville. » C’est en effet un grand complexe panoptique, monstre de six étages, ultra-moderne, hyper-sécurisé. Les cellules sont neuves, répétitives à l’infini, alvéolaires, tellement nombreuses qu’elles isolent les détenu.e.s les un.e.s des autres. Nous approchons de l’isolation sensorielle : ni son, ni odeur, une énorme lumière dérègle toute notion de jour et de nuit. Tout est fait pour sonner, isoler, rendre docile, vulnérable ce qui est combattu.

      Une très vaste opération policière et judiciaire a eu lieu ce 22 mai. Cette journée fait suite à la répression du 1er Mai. À la manifestation du 26 mai aussi, de manière revancharde et préventive, la police a arrêté avant la manifestation une trentaine de personnes. L’État tente de remettre en ordre le cortège de tête et de prévenir toute agitation lycéenne contre la sélection.

      Le mode opératoire – interpellations, garde à vue, défèrements à cette échelle – est le produit évident d’une volonté politique. Mais, ce 22 mai, la méthode s’est mêlée à l’improvisation. Des outils policiers et judiciaires relativement inédits ont été mis en place, notamment sur des mineur.e.s. Ces mesures représentent l’extension et la systématisation de mesures ordinairement réservées à la petite délinquance et testées sur les lycéens de Seine-Saint-Denis (lycée Suger) en mars 2017. Le droit est de manière obscène utilisé à des fins politiques : si c’est habituellement le cas, là c’est visible. Ce 22 mai, une population préservée socialement a fait l’expérience d’un traitement que l’État réservait jusqu’à présent aux classes populaires et particulièrement aux banlieues. Ce qui apparaît, c’est la possibilité que ce type de mesures se banalisent, se propagent à grande vitesse à toutes les sphères de la vie sociale. Rencontrons-nous, montrons-nous, ne les laissons pas faire.
      Soyons là en particulier :

      Lors du concert de soutien qui aura le mercredi 13 juin à la Brèche (EHESS, 96 boulevard Raspail, Paris).

      Lors des procès qui commenceront ce vendredi 15 juin au tribunal de grande instance de Paris (Cité judiciaire de Paris, 29-45 avenue de la Porte-de-Clichy, métro, RER C Porte-de-Clichy).

      Signataires : Des arrêtés et inculpés du 22 mai et leurs soutiens, Sud Éducation, CNT-Sans Papiers 75, Sud Poste Haut de Seine, la CNT-Solidarité Ouvrière, la CGT-HPE, Plateforme d’enquête militante,

      Pouria Amirshahi, directeur de Politis, Nils Andersson, ancien éditeur, Bertrand Bernard, éditeur, Bastien Cabot, historien, Emmanuelle Canut, sciences du langage (Université de Lille), Elodie Cassan, professeure de philosophie, Laurence De Cock, historienne, Elsa Daillancourt, artiste, Alain Damasio, écrivain, Alèssi Dell’Umbria, auteur-réalisateur, Emmanuel Dockes, juriste, Elsa Dorlin, philosophe (Université Paris VIII), Jean-Marc Dupuis, directeur artistique, Michel Duret, directeur d’association, Stéphane Elmadjian, réalisateur, Jules Falquet, sociologue féministe (Université Paris Diderot), Fantazio, musicien, Eric Fassin, sociologue (Université Paris VIII), Jean-Louis Fournel, italianiste (Université Paris VIII), Jean-Luc Gautero, philosophe (Université Nice-Sophia Antipolis), Odile Henry, sociologue (Université Paris VIII), Sarah Hatchuel, littérature et cinéma (Université du Havre-Normandie), Régis Hébette, Directeur du théâtre de l’Echangeur, Valerie Hillion, professeure des écoles, Praline Gay-Para, auteure comédienne, Frédéric Goldbronn, documentariste, Laurent Hurard, artiste, Nicolas Jaoul, anthropologue (CNRS-IRIS), Georges Labica, philosophe, Dominique Larièpe, retraitée, Mathilde Larrère, historienne, François Lelièvre, directeur de « la Sèvre nantaise », Catherine Libert, réalisatrice, Laurence Lizé, économiste (Université Paris I Sorbonne), Olivier Long, universitaire et peintre, Seb Martel, musicien, Guillaume Meurice, chroniqueur à France Inter, Isabelle Meyrat, juriste (Université de Cergy-Pontoise), Guylaine Monnier, auteure, Yves Pagès, écrivain et éditeur, Alain Parrau, littérature (Université Paris VII), Karine Parrot, juriste (Université de Cergy-Pontoise), Evelyne Perrin, LDH94, Monique Pineau, syndicaliste Sud Santé, Emmanuelle Posse, professeur de philosophie dans le 93 et mère d’une inculpée, Zahra Pourazizi, auteure et poétesse, Philippe Poutou, syndicaliste et homme politique, Jacek Przybyszewski, artiste, Serge Quadruppani, écrivain, Nathalie Quintane, écrivaine, Gaël Quirante, Syndicaliste, Josep Rafanell I Ora, psychotérapeute, Jean Rochard, producteur de musique, Muriel Roland, artiste et pédagogue du théâtre (Université Paris VIII), Fabien Tarrit, économiste (Université de Reims Champagne-Ardenne), Isabelle Saint-Saens, membre du GISTI, Juliette Saladin, conceptrice graphique, Makis Solomos, musicologue (Université Paris VIII), Romain Telliez, historien (Université Paris 1 Sorbonne), Bruno Turcq, chercheur sur les changements climatiques (Université de Lima, Pérou).

      https://www.politis.fr/articles/2018/06/arago-comico-renzo-piano-retour-sur-la-repression-du-22-mai-38960

    • Toulouse : l’étudiant blessé s’inquiète des zones d’ombre de l’enquête

      Blessé par une grenade de désencerclement lors d’une opération faisant suite à l’expulsion de la fac du Mirail au printemps, #Guilhèm, étudiant, attend toujours les conclusions des enquêtes. Ses avocates réclament le « désarmement » de la police du quotidien.

      La vie de Guilhèm, vingt quatre ans, a basculé le 9 mai 2018, lors d’une intervention policière consécutive à l’évacuation de l’université de Toulouse. Presque deux mois après les faits, le jeune homme tenait, Vendredi 6 Juillet 2018, une conférence de presse en compagnie de ses avocates, Claire Dujardin et Sara Khoury. Il a livré son récit de l’explosion d’une grenade de désencerclement qui, le 9 mai 2018, l’aurait blessé, à proximité de la gare de Toulouse Matabiau.

      Les derniers étudiants occupant l’université du Mirail venaient d’être évacués à la suite d’une opération policière mettant un terme à un mouvement de grève et d’occupation long de plusieurs mois. « Nous étions un groupe d’étudiants pacifiques, chassés de l’université, et nous nous dirigions vers un local de la Société Nationale des Chemins de Fer (SNCF), à l’invitation de cheminots », témoigne Guilhèm, la voix encore fragile, assis entre ses deux avocates, « nous nous sommes fait encercler par des policiers et, alors que je tournais le dos, j’ai été attrapé par derrière, tiré par les cheveux et maintenu par les deux bras. Quelqu’un est venu par derrière écraser ma gorge. Plus que la violence des paroles, ce qui m’a perturbé à ce moment-là, c’est que je n’arrivais plus à respirer. J’ai essayé de me dégager de l’étreinte, mais j’ai pris au moins cinq coups de poing assez violents sur le front. À ce moment-là, j’ai les deux mains maintenues et je suis dénué de toute défense. Et là, il y a quelque chose qui a arrêté tout cela, une explosion qui m’a semblé énorme et qui m’a fait très mal à l’intérieur de moi, comme si je m’étais pris une balle ». C’est en fait une grenade de désencerclement qui vient d’exploser à côté de lui.

      D’abord amené en Garde A Vue (GAV), il est rapidement transféré aux urgences où il va être menotté, selon son récit, jusqu’à ce que les policiers soient contraints de lui ôter les bracelets afin qu’il puisse passer un scanner. Bilan, plusieurs jours d’hospitalisation, un hémo pneumo thorax, le poumon gauche décollé de la plèvre et soixante dix centilitres de sang et de l’air écoulé entre les deux, des brûlures au second degré sur les bras et dans le dos, un hématome à l’intérieur du larynx et des douleurs pendant plus d’un mois.

      Une vidéo de l’interpellation qui a causé ces lésions a été diffusée dès le premier juin 2018 sur le site Lundi Matin. On y voit aussi les policiers faire un usage abondant des gaz lacrymogènes. Au lendemain de l’opération, une version a circulé, selon laquelle deux policiers avaient aussi été blessés légèrement dans l’explosion de la grenade. Mais depuis, aucune précision n’a été donnée pour confirmer cette version.

      À ce stade, deux enquêtes ont été confiées à la sûreté départementale, l’une portant sur l’auteur des coups et l’autre visant Guilhèm pour d’éventuels faits de dégradations, selon une version de source policière relayée le 10 mai 2018 par la Dépêche du Midi et démentie par l’intéressé, l’étudiant aurait été interpellé par des forces de police après avoir détérioré une caméra dans le métro. Une troisième enquête a été confiée à l’Inspection Générale de la Police Nationale (IGPN) et le parquet toulousain, joint par Mediapart, Samedi 7 Juillet 2018, a fait savoir qu’il attendait les conclusions de l’enquête de l’IGPN pour se prononcer sur le fond.

      Du côté de Guilhèm, ses avocates s’étonnent des nombreuses zones d’ombre du dossier, « au vu des rares éléments disponibles, nous n’étions pas dans un cadre qui, légalement, permettait l’usage d’une telle arme », note Sara Khoury qui s’interroge, « pourquoi le policier, porteur ou lanceur de la grenade, n’a-t-il pas été mis en examen ». La thèse d’une explosion accidentelle de la grenade, mise en avant par les autorités, est battue en brèche. « Une grenade qui serait tombée de la poche d’un policier et qui se serait dégoupillée toute seule, c’est un peu étrange », note Sara Khoury.

      Quand bien même il s’agirait d’un accident, « les forces de l’ordre sont censées maîtriser leurs armes », ajoute Guilhèm pour qui « dans les deux cas, accident ou pas, c’est aussi grave ».

      Pour ses avocates, l’affaire doit être replacée dans un cadre plus large. « Nous avons tous en tête la mort d’Adama Traoré, mort étouffé lors d’une interpellation violente », souligne Claire Dujardin, « en France, les opérations de maintien de l’ordre sont plus dangereuses que dans d’autres pays d’Europe ».

      « Mais l’état assume complètement le fait que, lors d’une intervention policière, il y ait des morts, des blessés et des personnes qui sont mutilées », déplore sa collègue, faisant référence au rapport de l’IGPN du 26 juin 2018 qui recense les blessés et tués en France lors d’interventions policières. Pour les deux femmes, « l’état doit désarmer la police ». « Nous ne parlons pas des opérations contre les terroristes. Nous parlons du quotidien », précise Claire Dujardin.

      Aujourd’hui, Guilhèm n’a plus de douleurs physiques liées à son interpellation. Mais le simple fait de croiser des voitures de police ou de voir clignoter des gyrophares, assure-t-il, lui est encore difficile. « J’ai été sidéré par ce qui s’est passé. Je mesure un mètre et soixante dix centimètres pour cinquante kilogrammes et je n’ai à aucun moment fait preuve de violence. Qu’est-ce qui explique l’usage d’une arme contre moi ». Par une sinistre concordance des temps, le comité Vérité et Justice du département de la Haute Garonne appelait Samedi 7 Juillet 2018 à 17 heures à un rassemblement après la mort d’un jeune, dans le quartier de Breil-Malville à Nantes, « en soutien aux victimes, à leurs proches et aux révoltes ».

      https://www.mediapart.fr/journal/france/070718/toulouse-l-etudiant-blesse-s-inquiete-des-zones-d-ombre-de-l-enquete

    • Protestation contre la loi ORE à Nanterre : deux étudiants condamnés, une relaxe

      Trois étudiants étaient poursuivis pour violences contre des policiers à la fac lors des protestations contre la loi Orientation et réussite des étudiants (ORE), en avril dernier.

      Ils viennent d’être condamnés mais promettent pourtant que « la mobilisation pour la relaxe ne fait que commencer ». Déclaré coupable de violence sur un policier lors de l’assemblée générale qui avait dégénéré à l’université de Nanterre, le 9 avril dernier, Victor Mendez n’accepte pas la décision du tribunal. Micro en main devant le palais de justice, l’étudiant de 22 ans fustige les juges, qui ont « voulu faire des exemples » en lui infligeant quatre mois de prison avec sursis pour avoir mordu un policier.

      Et en condamnant son camarade Roga, 29 ans, à six mois ferme sans lui imposer un séjour derrière les barreaux : la peine est aménageable. Lui n’est plus étudiant mais il était présent dans la salle du bâtiment E ce 9 avril, alors que débutait la contestation de la loi Orientation et réussite des étudiants (ORE). Un groupe d’étudiants occupaient une salle du bâtiment, les CRS sont intervenus pour les déloger. Et la situation a dégénéré.
      Un rassemblement devant le tribunal

      Avec Victor et Roga, un troisième étudiant, Stanislas, a été jugé pour violence sur un policier lors du procès, qui a eu lieu le 19 septembre. Lui a été relaxé « au bénéfice du doute ». Avant que les trois prévenus n’entrent dans le palais de justice, ils étaient rassemblés devant les grilles avec environ 200 personnes venues témoigner de leur soutien. Une foule de laquelle émergent les drapeaux des syndicats Sud solidaires, Solidaires étudiants, SNEP Sup FSU, ceux du Parti ouvrier et du NPA. Et la banderole des postiers des Hauts-de-Seine en grève.

      Quelques minutes après le jugement, Roga a décidé d’en faire appel. Victor, lui, doit d’abord discuter de cette option avec son avocat. La « relaxe » encore espérée ne peut venir que de cet éventuel deuxième procès. En tout cas, dès jeudi, les étudiants prévoient une assemblée générale à l’université contre cette décision de justice.

      http://www.leparisien.fr/hauts-de-seine-92/etudiants-de-nanterre-deux-condamnations-une-relaxe-17-10-2018-7921008.ph

    • Procès Arago Épisode 2 : les multiples entorses policières sous silence

      Deuxième salve de procès pour les occupants du lycée Arago à Paris le 22 mai dernier contre Parcoursup. Parmi les 102 inculpés, 11 passaient devant le tribunal le 19 et 22 octobre. Malgré les vices de procédure, des conditions d’interpellation violant l’article 3 de la Convention Européenne des droits de l’homme, les procureurs ont requis des peines allant jusqu’à la prison avec sursis contre les militants anti-Parcoursup.

      22 mai 2018. La contestation anti-Parcoursup bat son plein et se joint à la manifestation de la Fonction Publique qui termine place de la Nation, à quelques centaines de mètres du lycée Arago. Une centaine de militants décident d’entrer dans le lycée pour l’occuper et tenir une Assemblée générale qui tourne court : les forces de l’ordre entrent dans le bâtiment et arrêtent l’ensemble des militants personnes présentes. Parmi eux, de nombreux étudiants, mais aussi des mineurs.

      Tous seront envoyés en garde-à-vue, pour 48 heures, dans les différents commissariats parisiens. Pour une partie d’entre eux, la soirée commence par une séquestration de 4 heures dans un bus de police : entassés, sans possibilité d’aller aux toilettes ni de boire. Aucune garde-à-vue signifiée avant ces 4 heures. Aucun moyen de contacter ses proches, y compris pour les mineurs. Dès le 22 mai s’exprime de la part de l’exécutif une volonté de frapper fort et criminaliser l’opposition étudiante et lycéenne au désastre annoncé du Plan Étudiant.

      Parmi les 300 arrestations, 102 seront inculpés. Parmi les chefs d’accusations portés à l’encontre des personnes arrêtées ce 22 mai : celui d’une « participation à un groupement en vue de commettre des violences ou des dégradations » et d’une « intrusion dans un établissement scolaire ». Dès le mois de juin, les premiers procès commencent. Les premières comparutions immédiates n’ont rien donné. Rien dans les dossiers. Pour ces procès de juin, les procureurs jouent également la montre : faute d’éléments, les procès sont reportés à décembre 2018.

      Un procès politique

      Le 19 et 22 octobre, 11 personnes ont de nouveau été appelées à passer devant le tribunal de Paris. Pour les avocats des inculpés, l’objectif est de requalifier l’inculpation - « participation à un groupement en vue de commettre des violences ou des dégradations », tout droit sorti de la législation anti-terroriste - en « infraction politique ». A deux reprises, vendredi et dimanche, les magistrats refuseront cette requête. C’est pourtant ce qui sous-tend toute l’affaire des inculpés d’Arago : punir les militants, couper les têtes du mouvement de la jeunesse, faire un exemple. Et dans la procédure judiciaire, tout est fait pour éviter que ces procès prennent l’ampleur médiatique qui devrait leur être accordée. D’abord, en étalant les procès sur une année : les procès de juin ont été reportés à décembre ; pour ceux d’octobre, 7 ont été renvoyés à septembre 2019, deux à une date ultérieure non déterminée, et pour deux, le verdict sera rendu en décembre. Puis en rendant des peines, aléatoires et arbitraires, allant de la relaxe à la prison avec sursis (requis contre deux inculpés du 22 octobre) en passant par des rappels à la loi ou des contrôles judiciaires. Plusieurs avocats de la défense ont écrit au juge pour tenter d’obtenir des éclaircissements sur la différence de traitement pour des faits similaires : la demande est restée jusqu’à maintenant sans réponse.

      « Un PV du commissariat du 4ème arrondissement avec un tampon du 18ème »

      Parmi les cas renvoyés, on retrouve ceux de deux inculpés dont les procès verbaux de garde-à-vue sont truffés d’erreur. Pour l’un, « le procès verbal a l’entête du commissariat du 4ème arrondissement alors que le tampon est celui du 18ème arrondissement. En attendant, on ne sait pas où elle a passé la garde-à-vue » raconte une mère d’inculpée, ayant assisté au procès. Sur un autre c’est la date qui n’est pas conforme : le procès verbal est daté du 23 mai alors que les garde-à-vue ont débuté le soir du 22. La défense a beau pointer les multiples entorses à la loi et les vices de procédures, le magistrat abonde dans le sens du procureur. Parmi ces entorses, la notification de garde-à-vue après 4 heures d’interpellation plutôt qu’une ou encore les 4 heures de séquestration dans un bus de la police qui violent l’article 3 de la Convention Européenne des droits de l’homme. Pour justifier les abus policiers, le procureur invoquera des « circonstances exceptionnelles », les atteintes des occupants d’Arago à la « sûreté de l’État », des arguments tout droit sortis de l’arsenal anti-terroriste pour justifier de la détention d’une centaine de militants, dont de nombreux mineurs.

      Une plainte de la proviseure d’Arago pour le « vol de 20 iPad Neuf et 2 usagés »

      Autre élément à charge qui vient s’ajouter pour un des interpellés, dont le procès du 15 juin a été renvoyé au 4 décembre prochain, une accusation de « recel de vol ». La proviseure du lycée Arago a porté plainte pour le vol de 20 iPad neufs et de deux usagés. Or, parmi tous les interpellés du 22 mai, tous ont subi une fouille au corps avant d’être embarqué en garde-à-vue dans les conditions que l’on sait. Ainsi, le mystère reste entier : comment ces iPads auraient-ils pu sortir du lycée ce jour là ?

      Pour les soutiens et les proches venus assistés au procès ce 19 et 22 octobre, outre les incohérences, il y a une « disproportion entre toutes les entorses contre la police et la très grande sévérité contre les inculpés ». Parmi les 11 inculpés passés à la barre, il a été requis une peine de deux mois de prison avec sursis, une peine de prison de deux mois avec sursis assorti d’une amende de 500 euros. Pour les autres le procès a été renvoyé à septembre 2019 ou à une date ultérieure non déterminée faute de PV conforme.

      En sortant du tribunal, les proches ont pu être accompagnés, à leur sortie du tribunal, par les services des renseignements généraux. Une manière de signer ces procès de la marque de l’État policier…


      http://www.revolutionpermanente.fr/Proces-Arago-Episode-2-les-multiples-entorses-policieres-sous-s

  • Si quelqu’un se pose la question de savoir pourquoi je ne poste rien sur ce qui est en train de se passer en ce moment en #Méditerranée... c’est que... je continue à alimenter une très longue liste de documents et informations que je mets régulièrement sur un autre fil de discussion, que vous pouvez découvrir ici : https://seenthis.net/messages/514535

    D’autres documents également avec les tag #Méditerranée #ONG #sauvetage :
    https://seenthis.net/recherche?recherche=%23sauvetage+%23ong+%23m%C3%A9diterran%C3%A9e

    #migrations #asile #réfugiés

    Je le dis notamment à @sinehebdo qui pourrait se poser la question sur mon silence...

  • Les prisons japonaises accueillent plein de dames âgées qui ont souvent tout fait pour arriver là
    http://mashable.france24.com/monde/20180319-prisons-japon-femmes-personnes-agees-pauvres

    ...près d’une femme sur cinq dans les prisons japonaises a 65 ans ou plus. Ces criminelles ont souvent commis des délits mineurs pour échapper à la pauvreté et à la solitude en passant par la case prison. Certaines sont même des récidivistes. 9 femmes senior sur 10 ont ainsi été condamnées pour vol à l’étalage.

    « La prison est une oasis pour moi – un lieu de détente et de confort »
    Une prisonnière de 78 ans qui se présente sous le nom de Madame O a volé des boissons énergétiques, du café, du thé, des boulettes de riz et une mangue. Elle explique à Bloomberg : « La prison est une oasis pour moi – un lieu de détente et de confort. Je ne suis pas libre ici, mais je n’ai à me soucier de rien, non plus. Il y a plein de gens avec qui parler. On nous fournit des repas nourrissants trois fois par jour. »

    Le situation sociale des femmes âgées au Japon est particulièrement inquiétante. 25 % d’entre elles vivent sous le seuil de pauvreté, contre « seulement » 10 % des hommes, écrit Quartz. La retraite des femmes célibataires ne leur permet pas de vivre au-dessus de ce seuil. Et ces femmes disent souvent n’avoir personne à qui se confier.

    Face à cette situation, le gouvernement japonais cherche des solutions. Il construit des prisons pensées pour les personnes âgées et a lancé un programme de soutien social aux seniors récidivistes. Il met également en place des politiques visant à augmenter le personnel soignant. Mais il y a un décalage notable entre le nombre grandissant de personnes âgées et le manque pregnant d’encadrement spécialisé acceptant ce contact permanent avec la vieillesse.

  • L’#Europe, un continent à géographie variable

    Les lycéens lillois qui, ce jour-là, pénètrent dans le bureau, attendent une réponse simple à une question simple : où donc finit l’Europe, à l’Est ?


    https://visionscarto.net/europe-geographie-variable
    #frontières #Europe #géographie_variable #géométrie_variable #frontières_européennes

    @reka et @fil : possible que ce billet ne soit pas sur seenthis.net ? Si ce n’est dans ce fil de discussion : http://seen.li/cy2v

    • La perception du centre de gravité de l’Europe, reflet de la réalité ou expression d’une volonté d’élargissement ?

      Nous proposons une analyse de la perception de l’influence européenne dans le monde fondée, non pas sur l’examen classique de la position de ses limites par rapport à celles d’autres régions, mais plutôt sur la position de son centre de gravité géométrique. Celui-ci est déduit du périmètre européen retranscrit à main levée, par des étudiants en Sciences Politiques (SPO) et en Sciences Pour l’Ingénieur (SPI) qui résident au sein de l’Europe des 27 (en France) et en dehors (au Cameroun). L’objectif est de tester l’hypothèse selon laquelle les étudiants enquêtés en SPO, à l’inverse des SPI, ont une perception de la localisation du centre de gravité européen proche de la référence calculée par l’Institut de l’Information Géographique et Forestière National (IGN) français et ce, quel que soit leur lieu de résidence. L’analyse centrographique comparée des cartes mentales des étudiants enquêtés au Cameroun et en France a révélé deux enseignements notables. Le premier pointe la proximité spatiale des résultats obtenus pour les deux groupes qui révèle, dans l’ensemble, un décalage systématique vers l’est du centre de gravité européen. Ce décalage témoigne d’une bonne connaissance des faits géopolitiques européens. Le second résultat, qui découle du premier, porte sur la perception de l’extension du périmètre européen : les étudiants en SPO enquêtés au Cameroun ont intégré l’idée d’un élargissement effectif de l’Union européenne vers l’est et vers le sud tandis que les mêmes étudiants enquêtés en France ont une perception de cette extension plutôt orientée vers le nord. Ces différences morphologiques sont le reflet d’une réalité des échanges, ils expriment probablement une volonté d’élargissement de l’Union européenne aux pays situés dans son voisinage.


      http://journals.openedition.org/espacepolitique/2602
      #cartes_mentales #représentations

    • Je complète avec cette citation, tirée du livre Eloge des frontières de Régis Debray :

      « La misère mythologique de l’éphémère Union européenne, qui la prive de toute affection societatis , tient en dernier ressort à ceci qu’elle n’ose savoir et encore moins déclarer où elle commence et où elle finit » (Debray, 2013 : 59)

  • Je mentionnais ici le très bon #film de #Andrea_Segre, #L'ordre_des_choses (L’ordine delle cose) :
    http://seen.li/dqtt

    Le film prend le point de vue de Corrado Rinaldi, un homme de loi qui aide à régulariser le débarquement des immigrants en traitant avec les autorités libyennes.

    Sur le fil de discussion en lien avec les accords entre l’#Italie et l’#UE/#EU avec la #Libye et notamment avec les #gardes-côtes_libyens.

    Je remets ici le film, également pour ajouter l’interview à Segre publiée sur Franceinfo.
    https://www.francetvinfo.fr/partenariats/lordre-des-choses-un-film-de-andrea-segre-au-cinema-le-7-mars_2621934.h
    L’interview commence par ce constat : « cette fiction que vous avez imaginée est devenue réalité » (hélas).

    Quelques passages très intéressants de l’interview :

    J’ai réalisé un documentaire, #Mare_Chiuso, qui a été distribué à partir de mars 2012 ; c’est-à-dire au moment où la Cour européenne des droits de l’Homme, basée à Strasbourg, a condamné l’Italie pour les opérations de refoulement de migrants en provenance d’Afrique sub-saharienne et les accords, conclus sous l’ère #Berlusconi, avec la Libye de Mouammar #Kadhafi. C’est une condamnation historique car elle a été unanime. L’Italie a été épinglée parce que sa marine militaire a directement participé à des opérations visant à refouler des migrants vers les côtes libyennes, sans que ces derniers n’aient eu la possibilité de demander asile. Ce qui est une violation des traités et conventions dont le pays est signataire. En 2012, Mare Chiuso s’est inscrit dans la campagne destinée à faire pression sur le gouvernement italien pour condamner politiquement la façon dont l’Italie traitait les migrants. Et j’ai compris au cours de cette campagne que le verdict de la Cour de Strasbourg avait été interprété par l’ensemble de la classe politique italienne, y compris le Parti démocrate (de centre gauche), comme un conseil implicite, à savoir celui d’organiser des opérations de refoulement sans que l’Italie ne puisse être accusée d’avoir violé les droits des migrants.

    #accord_d'amitié #traité_de_Benghazi #trattato_di_Bengasi

    C’est à la même période que les opérations de sauvetage des migrants ont été lancées dans le cadre de #Mare_Nostrum, l’opération militaro-humanitaire lancée par #Enrico_Letta, président du Conseil italien en 2013, pour secourir les migrants en mer après le naufrage meurtrier de Lampedusa. Ces opérations ont permis de positionner des navires militaires italiens dans les eaux territoriales internationales, en face de la Libye. Cette flottille a été renforcée par d’autres pays européens. La présence de tous ces navires a permis de continuer à former les garde-côtes libyens en dépit du chaos qui régnait dans leur pays.

    #Letta #3_octobre_2011

    Une certitude : le gouvernement italien est arrivé avec le soutien des Européens à conduire des opérations de #refoulement en étant pleinement conscient des conséquences humaines qu’elles entraînaient. Les fonctionnaires italiens et européens ont visité les centres de détention et se sont entretenus avec les miliciens qui les gèrent. Ils avaient une vision assez claire de la situation en Libye. Par conséquent, le choix de faire aboutir ces opérations de refoulement, coûte que coûte, est bien l’expression d’une débâcle éthique et morale.

    #push-back #milices #débâcle_éthique #débâcle_morale

    Avant l’été 2015, les Allemands et d’autres pays européens ont demandé à l’Italie d’arrêter les opérations de sauvetage parce qu’elles ouvraient les portes de l’Europe. Par ailleurs, à cette même période, tous les efforts européens se sont déplacés vers les Balkans qui étaient le théâtre d’une autre crise migratoire. À partir de ce moment, les ONG ont pris le relais pour porter secours aux migrants, mais la marine italienne a continué à coordonner les opérations de sauvetage. Quelques mois plus tard, les Européens sont revenus en Italie avec un message sans ambiguïté : « Nous avons fermé “la route des Balkans”, il faut faire de même en Méditerranée ». L’Europe se donne dès lors les moyens humains et matériels pour fermer la porte en Libye. Les autorités italiennes ont pu alors bénéficier des ressources financières et humaines émanant de l’Union européenne pour boucler les démarches entamées depuis près de quatre ans. Pour atteindre ce but, et c’est terrible, les pays européens ont accepté que la conséquence inévitable de leur nouvelle politique de refoulement serait la détention de migrants dans des centres gérés par des miliciens libyens, au mépris de leurs droits les plus élémentaires. Autrement dit, durant toutes ces années de préparation, les Européens n’avaient trouvé pour partenaires que ces miliciens, connus également pour être des trafiquants. Résultat : l’Europe a conforté le pouvoir des milices libyennes pour parvenir à ses fins, et s’est compromise sur un plan moral et éthique.

    #Méditerranée #route_des_balkans #balkans

    Dans la brochure qui était offerte dans la salle de cinéma, l’interview était plus long. Je recopie ici deux passages intéressants :

    « Quand à ces opérations de rapatriement, soi-disant volontaires, nous atteignons des sommets d’hypocrisie. C’est évident que l’on ne peut pas parler de volontariat quand on propose à un migrant, qui vit un enfer, de rentrer chez lui »

    #retour_volontaire

    « J’estime que la transformation xénophobe de la société européenne est liée à la pression que nous sommes en train de créer au niveau de nos frontières. »

    #xénophobie #racisme

    • Dans la même brochure un extrait traduit d’un texte de #Igiaba_Scego, écrivaine et journaliste d’origine somalienne :
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Igiaba_Scego

      Le texte complet, en italien, ici :
      https://lordinedellecose.it/wp-content/uploads/2017/08/Pamphlet-WEB-1.pdf

      Que je copie-colle ci-desssous :
      A noi mai

      Ho sempre amato il film Casablanca. Un classico della cinematografia mondiale. Un intenso Humprhey Bogart, una fatata Ingrid Bergman, una storia d’amore che non ha uguali nel mondo della celluloide. I loro sguardi languidi, intensi, unici sono rimasti nel cuore di molti di noi. Bogie&Ingrid in the star with diamonds, ci verrebbe da dire parafrasando i Beatles, ma c’è dell’altro. E questo altro sono i rifugiati di cui il film parla. Infatti pochi si accorgono, o addirittura non l’hanno mai saputo, che Casablanca mette in scena il dramma dei rifugiati europei in fuga dal nazismo. Una folla fatta di anarchici, ebrei, dissidenti, antifascisti, gente comune, famiglie, bambini che hanno perso ogni cosa. Nel film la città marocchina è solo un riflesso di Marsiglia, un riflesso edulcorato di quella città francese che durante la guerra pullulava di trafficanti e di miseria. Hollywood non ci mostra quella miseria,non può, non sarebbe Hollywood senza un abito da sera e un paio di tacchi a spillo, ma ecco in Casablanca nonostante il glamour spunta qua e là quella verità che negli anni ‘40 era sotto gli occhi di tutti. Ho sempre trovato particolarmente intensa la scena in cui due anziani signori parlano tra loro in inglese rifiutandosi di usare la madrelingua tedesca.
      Il motivo è semplice vogliono (ancor prima di arrivarci) abituarsi all’idioma del nuovo mondo che verrà per loro, vogliono provare a sentirsi un po’ a casa in quella lingua così straniera. C’è una scena che tutti ricordano di #Casablanca, una scena a me particolarmente cara, quella in cui i rifugiati riuniti al Rick cafè (il luogo in cui potevano trovare i trafficanti e vendersi per ottenere un visto) cantano la Marsigliese per contrastare il canto arrogante dei nazisti. L’attrice Madeleine Lebeau, che interpreta Yvonne l’amante di Bogart, ci regala un fotogramma indimenticabile dove piange gridando il nome della patria perduta, Vive La France, dice e noi tutti ci commuoviamo. Le lacrime di Madelaine sono vere, infatti lei e il marito, come i personaggi del film, avevano fatto un viaggio allucinante che li aveva portati dalla Francia occupata fino a Lisbona. Il tutto usando documenti falsi, andando incontro a respingimenti e rimanendo intrappolati in quel non luogo che per molti rifugiati era Marsiglia.La vita di Madelaine sembra quella di una rifugiata siriana di oggi, la coincidenza colpisce. Sono storie quelle di Casablanca di rifugiati europei che l’Europa ha però presto dimenticato, ma che i suoi scrittori non hanno mai perso di vista. Come non pensare ad #Hercule_Poirot di #Agatha_Christie? Quell’investigatore impomatato sempre preoccupato per i suoi baffetti era anche lui un rifugiato. La dama del giallo l’avrebbe inventato ispirandosi a uno dei tanti belgi che l’Inghilterra aveva accolto (ne accoglierà 250.000) durante la prima guerra mondiale.
      L’Europa ha dimenticato quando era lei a scappare dalle guerre. Si scappava anche dalle carestie come gli irlandesi negli Stati Uniti. E poi non ultima l’epopea degli emigranti italiani che in mancanza di tutto si riversavano nelle terze classi dei bastimenti con la speranza di trovare un paese dove ricominciare. L’Europa ha davvero la memoria corta e nel dimenticare non vuole cercare soluzioni per le migrazioni odierne che la vedono come territorio di approdo. Oggi siamo intrappolati in una narrazione binaria per quanto riguarda migranti e rifugiati provenienti in Europa dal Sud globale. Il paradigma in uso è quella del contenimento o respingimento. Ed ecco che le nostre orecchie sono bombardate da una parte da “aiutiamoli a casa loro”, “Non possiamo prenderci carico di tutta l’Africa” o un secco “non li vogliamo, se la sbrigassero da soli”, dall’altra invece si parla solo di accoglienza, dove la buona volontà si unisce a tratti ad una visone solo migratoria dell’altro condita da un paternalismo a tratti coloniale. Sono pochi a parlare oggi di diritto alla mobilità e apartheid di viaggio. Pochi a parlare di reciprocità nei diritti sia per chi scappa dalle guerre sia per chi vuole semplicemente coronare un sogno.
      Così costringiamo sia i rifugiati, sia i migranti a viaggi impossibili. Anzi ultimamente stiamo costringendo molte persone, con una schizofrenia europea che non ha pari nella storia, a fingersi rifugiate. Se scappi da una guerra forse ti tollero (formalmente) un po’, ma se vieni per trovare un lavoro o per studiare non entrerai mai (o peggio entri, ma ti farò rimanere un illegale a vita, sfruttabile da mafie e caporali).
      E ora nel Mediterraneo queste contraddizioni le stiamo pagando con i morti in mare, il terrorismo nelle città, l’ansia che non ci da tregua. Questa idea di fortezza Europa sta intrappolando gli altri fuori e gli europei dentro un recinto malefico, che ci rende sempre più deboli davanti a chi vuole la distruzione delle democrazie.
      Viviamo di fatto in un pianeta dove se nasci nel posto giusto (nel Nord del mondo ricco, il cosiddetto occidente, ma anche la Cina, il Giappone, l’Australia) hai la possibilità di andare dove ti pare, basta un visto, un biglietto aereo e un trolley. Non serve altro. Ed ecco per chi nasce nel posto giusto un ventaglio di possibilità da seguire. E lì si può pensare di andare a studiare all’estero, lavorare per un po’ in un altro paese, trasferirsi per amore (o bisogno), e si perché no farsi una meritata vacanza se questo si desidera. Si è turisti e al limite, anche quando si decide di emigrare, non si viene definiti migranti economici, ma espatriati. Gli italiani lo sanno bene, i media infatti chiamano cervelli in fuga i tanti giovani che vanno all’estero per trovare il lavoro che in Italia non si trova più. Si, cervelli in fuga, anche se molti all’estero non hanno la possibilità di usare il loro cervello, ma sono costretti a raccogliere le cipolle in Australia, fare i camerieri a cottimo a Londra o vivere l’atroce situazione di essere illegale a New York City. L’emigrazione interna, italiana ed europea, viene edulcorata con perifrasi sempre più acrobatiche, Ma questa migrazione (come quella degli spagnoli, dei portoghesi, degli slovacchi, dei polacchi, dei bulgari, oggi addirittura anche dei rumeni e degli albanesi) non fa rumore, perché (per fortuna aggiungo io) è possibile in clima di legalità di viaggio. Questo purtroppo non è possibile per somali, eritrei, ghanesi, gambiani, senegalesi, ecc. Dall’Africa o dall’Asia (Afghanistan e paesi mediorientali soprattutto) si suppone che i corpi hanno come fine ultimo la migrazione, a volte è così (molti effettivamente sono in fuga da guerra e dittatura), ma altre volte no, le situazioni sono sempre complesse e legate al singolo individuo. Non si pensa mai che un corpo del Sud globale voglia studiare, specializzarsi, lavorare per un po’ e avere la possibilità dopo un lungo soggiorno di tornare indietro, al paese, con le conoscenze acquisite. Non si pensa che un corpo del Sud anche quando fugge da guerre e dittature ha bisogno di leggi sull’asilo chiare, di un percorso burocratico facilitato e di un viaggio sicuro fatto attraverso corridoi umanitari, molto lontani dalle attuali agenzie dell’orrore guidate da trafficanti senza scrupoli. Va detto chiaramente ai nostri governanti che gli abitanti del Sud non vanno considerati parassiti da fermare ad ogni costo o vittime passive da aiutare. Hanno un passato e possono riavere un futuro. Ma invece di collaborare ad una sinergia di intenti, il Nord mette in campo per “difendersi” i fantasmi della nostra contemporaneità: i tristi muri, gli apparati securitari, le strutture extraterritoriali che gestiscono enormi flussi di denaro, gli accordi ricatto con sedicenti leader locali (spesso autonominati o da noi imposti) che come usurai chiedono sempre di più ad una Europa disunita e confusa. Chiediamo agli altri di fare il lavoro sporco, di farli morire un po’ più in là questi rifugiati/migranti, non a favore di telecamera insomma. Nessuno dice agli abitanti spaventati del Nord che un viaggio legale è sicuro per il “migrante”, il rifugiato, lo studente ed è sicuro anche per il paese di approdo, perché con un sistema legale si ha la vera percezione di chi effettivamente arriva nel nostro territorio e perché. Possiamo monitorare la situazione, evitando di farci infiltrare da presenze non gradite. E soprattutto il viaggio legale ci toglierebbe dal ricatto in cui siamo precipitati pagando tagliagole e dittatori. Inoltre nessuno parla all’europeo spaventato della contraddizione del continente che da una parte non vuole le persone del Sud (anche se poi gli studi sottolineano che l’Europa senza migranti è perduta, niente più pensioni per esempio) e dall’altra vuole le sue risorse che si prende con la forza usurpando territori e cacciando popolazioni. È utopia, mi chiedo, cambiare il paradigma di questa relazione malata tra Europa (Occidente in genere) e Sud globale? Non credo sia impossibile. Io lo dico sempre che i miei genitori dalla Somalia sono venuti in Italia in aereo (non con il barcone!), erano gli anni ‘70. e ho l’immagine anche di tanti famigliari e dei loro viaggi circolari. Si andava in Svezia, in Egitto, in Francia per tornare poi a Mogadiscio. Mio fratello Ibrahim studiava a Praga. E all’epoca nessuno di loro aveva un passaporto europeo, ma viaggiavano con il passaporto somalo che oggi invece è considerato carta straccia in qualsiasi consolato. Forse dobbiamo ridare dignità ai documenti delle nazioni del Sud del mondo. Uscire dall’idea di fortezza. E cominciare a costruire una relazione diversa. Quindi non considerare chi fugge dalla guerra come un disperato, ma come una persona che a causa della guerra ha perso momentaneamente tutto, ma che è stata studente, maestra, ingegnere, dottoressa e potrà tornare ad esserlo. E lo stesso vale per chi non è in fuga, ma cerca semplicemente fortuna. I media velatamente li considerano usurpatori, invasori. E’ chiaro che questo sguardo e questo linguaggio devono cambiare.
      Perché respingere se si possono creare ponti e scambi commerciali o culturali utili?
      Se ci si può difendere reciprocamente dai pericoli (come il terrorismo) che ci colpiscono? Inoltre non sarebbe un cambio di rotta smettere di pagare dittatori per tenere nei moderni lager giovani uomini e donne e mettere in campo invece una cooperazione che non avvalla la corruzione reciproca come purtroppo è sempre stato, ma le eccellenze? Ahinoi le barriere crescono un po’ ovunque. E non è solo il Mediterraneo il dilemma. Per gli africani, per fare un esempio, è difficile al momento attuale anche viaggiare dentro il continente africano stesso. Basta pensare ai centri di detenzione in Angola. Barriere e muri sono addirittura più alti dentro il continente che fuori. La paura del Nord contagia anche il Sud e la cattiva politica spesso sguazza (per ragioni elettorali) dentro queste inquietudini. Ma serve un approccio più sereno.
      Serve soprattutto rompere il monopolio dei trafficanti che dal 1990, attraverso ricatti e violenze, si stanno arricchendo sulla pelle dei migranti e degli europei.
      Il viaggio legale del sud aiuterebbe il nord a non alimentare un mercato sommerso fatto di crimine e terrorismo, perché lì vanno i soldi che vengono depredati ai giovani in cerca di futuro. Terrorismo che (ricordiamolo!) poi usa quel denaro per compiere attentati nelle nostre città, come abbiamo visto a Manchester, a Barcelona, a Parigi, a Londra.
      Legalizzare il viaggio ci permetterebbe inoltre di mettere a riparo anche il nostro futuro. In un momento di incertezza come questo, dove l’Italia e il Sud Europa sono esposti a mille pericoli, ci conviene fare la guerra a chi è più a sud di noi? Che Dio non voglia, ma se un giorno negassero il viaggio legale anche a noi che abbiamo ora passaporti considerati forti? Basta un cambio di rotta negli equilibri politici ed economici o qualche sfortunato evento che ci schiaccia verso il basso nella scala dei poteri globali. Nulla di così improbabile purtroppo. Negli anni ‘60 i somali, belli, eleganti, facevano belle feste davanti al mare con aragoste e branzini, se qualcuno allora avesse detto loro che i figli e i nipoti avrebbero preso un barcone (e non l’aereo come loro) per andare in Europa, facendosi ricattare, stuprare, imprigionare, non ci avrebbero creduto, Avrebbero scosso la testa dicendo “a noi mai”, avrebbero riso probabilmente. E invece è successo. Il futuro è sempre incerto amici miei. Preoccuparsi per i diritti degli altri non è buonismo, ma significa anche (oltre ad essere segno di umanità) preoccuparsi dei propri. Perché non si sa a chi toccherà la prossima volta il fato avverso. Almeno affrontiamolo tutti quanti con dei diritti in tasca. Datemi retta, lo so per esperienza, è meglio. Preoccuparsi per i diritti degli altri non è buonismo, ma significa preoccuparsi dei propri. Perchè non si sa a chi toccherà la prossima volta il fato avverso.

      #WWII #seconde_guerre_mondiale #histoire #réfugiés_européens #deuxième_guerre_mondiale #paternalisme #paternalisme_colonial #fuite_Des_cerveaux #inégalité

  • Cher @sinehebdo,
    J’ai trouvé d’autres mots pour ta longue liste... c’est le #HCR France qui les suggère : #poire #pomme #orange...

    Tu ne me crois pas ?
    Regarde cela :
    https://twitter.com/UNHCRfrance/status/973877681010937856

    Et ce jeu des #couleurs qui est incroyablement mauvais : t’es une poire ? VERT... tu passes. T’es une pomme ? ROUGE, jamais de la vie ! T’es une orange ? Attend mon gars, peut-être tu passes, mais faut attendre...

    #catégorisation #asile #migrations #réfugiés

  • Pas de justice pour les victimes de déversements pétroliers

    Un tribunal britannique porte un coup dur aux victimes des déversements pétroliers et compromet la responsabilisation des entreprises. La cour d’appel a statué le 14 février 2018 que deux communautés du delta du Niger ne peuvent pas voir leurs recours contre le géant pétrolier #Shell examinés au Royaume-Uni, parce que la société-mère ne peut être tenue pour responsable des actions de sa filiale nigériane.


    https://www.amnesty.ch/fr/themes/economie-et-droits-humains/exemples/shell-nigeria/docs/2018/shell-pas-de-justice-pour-les-victimes
    #impunité #justice #injustice #pétrole #Nigeria #Delta_du_Niger #justice_environnementale #procès

  • ITALIE ISOLÉE DANS LA TEMPÊTE MIGRATOIRE
    Article de JÉRÔME GAUTHERET

    Sur les 600 000 migrants arrivés en Italie depuis 2014, la plupart ont traversé la #Méditerranée. Des milliers d’autres y ont péri. L’île de #Lampedusa, avant-poste de l’accueil, est débordée par cette crise humanitaire fortement liée au chaos qui règne en #Libye.

    On rejoint le jardin public en poussant les portes d’une grille qui ne ferme plus depuis longtemps. Puis, après une courte promenade au milieu des agaves et des myrtes, on arrive à un étrange réseau de grottes sommairement aménagées à proximité d’un vieux puits. L’endroit est à peine mentionné par les guides de voyage, mais il mérite qu’on s’y arrête : en effet, le vrai cœur de Lampedusa est là, en ces vestiges
    à peine entretenus d’un sanctuaire millénaire, témoignage unique de ce qu’était l’île avant sa colonisation systématique, au début du XIXe siècle.

    LAMPEDUSA, UNE ÎLE AU CENTRE DU MONDE

    Avant de devenir un paradis touristique perdu au milieu de la Méditerranée, à 150 kilomètres des côtes tunisiennes, en même temps que, pour le monde entier, le symbole de l’odyssée des centaines de milliers de migrants qui, chaque année, bravent tous les dangers pour atteindre l’Europe, Lampedusa a été un havre, un lieu de repos pour les marins de toutes origines qui sillonnaient la mer.

    Marchands phéniciens, arabes ou grecs, chevaliers francs revenant de croisade, pirates barbaresques, pêcheurs en détresse : Lampedusa était leur île. Elle appartenait à tous et à personne. Chacun, du roi de France revenant de Terre sainte au plus humble pêcheur, venait s’abriter ici durant les tempêtes, prier ses dieux et reprendre des forces, en attendant l’accalmie. Aujourd’hui, une chapelle dédiée à
    la Vierge a été aménagée dans la pierre, à deux pas de la grotte, et les habitants viennent, de loin en loin, y déposer quelques fleurs ou prier, dans un calme absolu.

    La " porte de l’Europe ", pour reprendre le nom d’une œuvre d’art installée sur une plage faisant face à l’infini, à la pointe sud de Lampedusa, peut bien être présentée comme une des extrémités de l’Union européenne, un bout du monde exotique. Mais, dès que l’on pose le pied sur l’île, on est assailli par le sentiment inverse : celui d’être au centre d’un espace fluide, au sein duquel les populations ont navigué de rive en rive, depuis toujours. L’impression est encore plus
    saisissante lorsqu’on observe, grossièrement sculptées dans la roche, les traces de ce passé enfoui.

    L’homme qui nous conduit dans ce sanctuaire, un matin d’hiver, s’appelle Pietro Bartolo. Il est né sur l’île en 1956, il en est parti à 13 ans et y est revenu au milieu des années 1980, une fois achevées ses études de médecine. C’est lui qui a fondé, un peu à l’écart du bourg, le petit hôpital qui, aujourd’hui encore, constitue le seul lieu d’assistance, sur terre comme sur mer, à plus de 100 milles nautiques (185 km) à la ronde.

    En tant que directeur de l’#hôpital de Lampedusa, il a accueilli, ces dernières années, des dizaines de milliers de candidats à l’exil sur le quai minuscule qui tient lieu de débarcadère, et les a soignés. Il a aussi eu la terrible responsabilité d’ouvrir, du même geste, des centaines et des centaines de ces grands sacs verts dans lesquels on
    ramène à terre les corps des naufragés. Un film documentaire sorti en 2016, nominé pour l’Oscar, Fuocoammare. Par-delà Lampedusa, dans lequel il jouait son propre rôle, lui a valu une notoriété internationale. A sa manière, lui aussi est devenu un symbole.

    Comme c’est courant ici, l’histoire familiale de Pietro Bartolo est africaine autant qu’italienne. A l’exemple de ces milliers de Siciliens poussés par la misère qui, pendant des décennies, ont pris la mer en sens inverse des migrants d’aujourd’hui pour chercher du travail dans les colonies et protectorats d’Afrique du Nord, la famille de sa mère s’était installée un temps en Tunisie. Cette multitude d’odyssées ordinaires, dont le souvenir est entretenu par les histoires familiales, explique une bonne part des différences de perception du phénomène migratoire entre le nord et le sud de l’Italie.

    LE TEMPS DES " TURCS "

    A la tête de ce qui, à l’origine, n’était guère plus qu’un dispensaire, #Pietro_Bartolo s’est trouvé aux premières loges quand tout a changé. " Ça a commencé dans les années 1990. Les migrants, des jeunes hommes venus d’Afrique du Nord, arrivaient directement sur la plage, par leurs propres moyens, avec des barques ou des canots pneumatiques. Sur l’île, on les appelait “#les_Turcs”, se souvient-il. Les habitants accueillent comme ils peuvent les arrivants, qui gagnent ensuite la Sicile puis, pour l’immense majorité, le continent.

    Le gouvernement, lui, ne considère pas encore le phénomène comme préoccupant. D’autant plus que, depuis le début des années 1990, l’#Italie a la tête ailleurs. L’arrivée dans les Pouilles, au printemps et en été 1991, de plusieurs dizaines de milliers d’Albanais fuyant la ruine de leur pays a provoqué un choc terrible. Le 8 août, le #Vlora, un cargo venu du port albanais de Durres, est entré dans celui de Bari avec à son bord 20 000 migrants, bientôt installés dans l’enceinte du stade de la ville. La désorganisation est totale : le maire multiplie les appels aux dons et à la solidarité, tandis qu’à Rome le gouvernement cherche un moyen de renvoyer chez eux ces arrivants illégaux… Rien ne sera plus jamais comme avant.

    A l’aune de ce bouleversement venu des Balkans, qui force l’Italie, pour la première fois de son histoire, à se poser la question de l’accueil et de l’intégration, les arrivées sporadiques à Lampedusa ne sont pas perçues au départ comme beaucoup plus qu’une anecdote. Selon les souvenirs des habitants, les migrants venaient surtout des côtes tunisiennes, ils étaient jeunes et en relative bonne santé. La plupart du temps, la traversée était assurée par des passeurs, payés une fois le but atteint. Bref, la route de la #Méditerranée_centrale vivait à l’heure d’une migration "artisanale".

    Mais au fil du temps, dans les années 2000, le phénomène change de nature et d’échelle. "Il ne s’agit pas seulement de géopolitique. Il s’est produit un changement anthropologique dans la jeunesse africaine il y a une quinzaine d’années", assure le vice-ministre italien des
    affaires étrangères et de la coopération, Mario Giro, qui, avant d’entrer en politique, a consacré de nombreuses années à des missions en Afrique comme responsable des questions internationales de la Communauté de Sant’Egidio. "Avant, il s’agissait de projets collectifs : une famille se cotisait pour envoyer un de ses fils en Europe, dit-il. Désormais, ce sont des #hommes_seuls qui décident de
    partir, parce qu’ils considèrent que partir est un droit. Dans les villes africaines, la famille a subi les mêmes coups de la modernité que partout dans le monde. Ces jeunes gens se sont habitués à penser seuls, en termes individuels. Dans leur choix, il y a une part de vérité – les blocages politiques – et la perception que l’avenir n’est pas dans leur pays. Alors, ils partent."
    #facteurs_push #push-factors

    Des gouvernements européens essaient de passer des accords avec les Etats africains pour qu’ils arrêtent en Afrique les candidats à l’Europe, ce qui a pour effet de criminaliser l’activité des #passeurs. Des réseaux de plus en plus violents et organisés se mettent en place.

    VIE ET MORT DE MOUAMMAR KADHAFI

    Un acteur central du jeu régional comprend très tôt le parti à tirer de ce phénomène, face auquel les pays européens semblent largement démunis. C’est le chef de l’Etat libyen, Mouammar #Kadhafi, qui cherche depuis le début des années 2000 à retrouver une forme de respectabilité internationale, rompant avec la politique de soutien au terrorisme qui avait été la sienne dans les années 1980 et 1990.
    Grâce aux immenses recettes de la rente pétrolière, dont il dispose dans la plus totale opacité, le Guide libyen multiplie les prises de participation en Italie (Fiat, Finmeccanica) et les investissements immobiliers. Il entre même au capital du club de football le plus prestigieux du pays, la Juventus de Turin. En contrepartie, le groupe énergétique ENI, privatisé à la fin des années 1990 mais dans lequel l’Etat italien garde une participation importante, conserve le statut d’Etat dans l’Etat dont il jouit en Libye depuis la période coloniale (1911-1942).

    Bientôt, la maîtrise des flux migratoires devient un aspect supplémentaire dans la très complexe relation entre la Libye et l’Italie. " De temps en temps, tous les deux ou trois ans, Kadhafi réclamait de l’argent pour la période coloniale. Et quand ça n’allait pas assez bien pour lui, il faisait partir des bateaux pour se rappeler à nous. C’était devenu pour lui un moyen de pression de plus, et ça signifie également qu’en Libye, des réseaux étaient déjà en place", se souvient Mario Giro.
    #chantage

    Entamées à l’époque du deuxième gouvernement Prodi (2006-2008), et émaillées de moments hauts en couleur – comme cette visite privée à Tripoli du ministre des affaires étrangères italien Massimo D’Alema, un week-end de Pâques 2007, au terme de laquelle Kadhafi a affirmé que l’Italie lui avait promis de construire une autoroute traversant le pays d’est en ouest –, les négociations sont poursuivies par le gouvernement de Silvio Berlusconi, revenu aux affaires au printemps 2008. Elles débouchent sur la signature d’un accord, le 30 août de la même année. En échange de 5 milliards d’euros d’investissements sur vingt-cinq ans et d’#excuses_officielles de l’Italie pour la #colonisation, le dirigeant libyen s’engage à cesser ses reproches, mais surtout à empêcher les départs de migrants depuis ses côtes. Plus encore, les migrants secourus dans les eaux internationales seront ramenés en Libye, même contre leur gré et au mépris du droit de la mer.
    #accord_d'amitié

    L’Eglise et plusieurs ONG humanitaires peuvent bien chercher à alerter l’opinion sur les conditions dans lesquelles sont ramenés à terre les candidats à la traversée, ainsi que sur les innombrables violations des droits de l’homme en Libye, elles restent largement inaudibles. Le colonel Kadhafi peut même se permettre de pittoresques provocations, comme ses visites officielles à Rome en 2009 et 2010, où il appelle publiquement à l’islamisation de l’Europe. Le gouvernement Berlusconi, embarrassé, n’a d’autre solution que de regarder ailleurs.

    L’irruption des "#printemps_arabe s", début 2011, va faire voler en éclats ce fragile équilibre. Le soulèvement libyen, en février 2011, un mois après la chute du président tunisien Ben Ali, est accueilli avec sympathie par les chancelleries occidentales. Mais en Italie, on l’observe avec préoccupation. "Bien sûr, l’Etat libyen de Kadhafi n’était pas parfait, concède #Mario_Giro. Mais il y avait un Etat… Dans les premiers mois de 2011 – je travaillais encore pour Sant’Egidio –, alors que la France semblait déjà décidée à intervenir en Libye, le ministre des affaires étrangères du Niger m’a demandé d’organiser une entrevue avec son homologue italien, Frattini. Nous étions trois, dans un bureau du ministère, et il nous a expliqué point par point ce qu’il se passerait en cas de chute de Kadhafi. Le chaos en Méditerranée, les armes dans tout le Sahel… Tout s’est passé exactement comme il l’a dit. Mais personne n’a voulu l’écouter". Il faut dire qu’en ce début d’année 2011, le prestige international de l’Italie est au plus bas. Très affaiblie économiquement et victime du discrédit personnel d’un Silvio Berlusconi empêtré dans les scandales, l’Italie est tout simplement inaudible.

    En mai 2011, les membres du G8, réunis à Deauville, appellent Mouammar Kadhafi à quitter le pouvoir. "Lors de ce sommet, Silvio Berlusconi a plusieurs fois tenté de prendre la défense du Guide libyen, mettant en avant son aide sur le dossier des migrants et le fait qu’il s’était amendé et avait tourné le dos au terrorisme", se souvient un diplomate français, témoin des discussions. "Mais
    personne n’en a tenu compte." Le chef libyen, chassé de Tripoli en août, mourra le 20 octobre, à Syrte. Quatre semaines plus tard, le gouvernement Berlusconi 4 cessait d’exister.

    Sur le moment, entre l’euphorie de la chute de la dictature et le changement d’ère politique en Italie, ces tensions entre puissances semblent négligeables. Il n’en est rien. Au contraire, elles ne cesseront de resurgir dans le débat, nourrissant en Italie un procès durable contre la #France, accusée d’avoir déstabilisé la situation en Méditerranée pour mieux laisser l’Italie en subir, seule, les conséquences.

    CHAOS EN MÉDITERRANÉE

    Car dans le même temps, les "printemps arabes" provoquent un bouleversement de la situation en Méditerranée. Une fois de plus, c’est à Lampedusa que les premiers signes de la tempête apparaissent. Sur cette île minuscule, en hiver, on compte à peine 5 000 habitants d’ordinaire. Là, ce sont plus de 7 000 personnes venues de #Tunisie qui y débarquent en quelques jours, entre février et mars 2011. La population les accueille avec les moyens du bord, dans des conditions très précaires. Des "permis temporaires de séjours" de trois mois
    sont délivrés aux arrivants par les autorités italiennes. Ainsi, les candidats à l’exil pourront-ils circuler aisément dans tout l’espace Schengen. Plus de 60 000 migrants débarqueront en 2011 ; la grande majorité d’entre eux ne resteront pas en Italie.
    #migrants_tunisiens

    Passé les mois de désorganisation ayant suivi la chute du président tunisien #Ben_Ali, Rome et Tunis concluent en 2012 un #accord_de_réadmission, formalisant le retour au pays des migrants d’origine tunisienne expulsés d’Italie. Assez vite, se met en place une coopération qui, de l’avis de nos interlocuteurs dans les deux pays, fonctionne plutôt harmonieusement.

    En revanche, en Libye, du fait de la déliquescence du pouvoir central, Rome n’a pas d’interlocuteur. Dans un pays livré aux milices et à l’anarchie, des réseaux de trafiquants d’êtres humains s’organisent à ciel ouvert. Jusqu’à la catastrophe, qui se produit dans la nuit du 2 au #3_octobre_2013. "J’ai été réveillé à 6 heures du matin par un appel des autorités maritimes, se souvient Enrico Letta, alors chef du gouvernement italien. En quelques minutes, nous avons compris que le #naufrage qui venait d’avoir lieu près de Lampedusa était une tragédie sans précédent – le bilan sera de 366 morts. Il fallait trouver des cercueils, s’occuper des orphelins… J’ai dû presque forcer le président de la Commission européenne - José Manuel Barroso - à m’accompagner sur l’île. Quelques jours plus tard, il y a eu un autre naufrage, tout aussi meurtrier, au large de Malte. Alors que nous demandions l’aide de l’Europe, j’ai vite compris que nous n’aurions rien. Donc, nous avons décidé de nous en occuper nous-mêmes. L’émotion était si forte que l’opinion nous a suivis."

    En une dizaine de jours, l’opération "#Mare_Nostrum" est mise sur pied. Concrètement, il s’agit d’une opération navale, à la fois militaire et humanitaire, visant à lutter contre les réseaux de passeurs, tout en évitant la survenue de nouveaux drames. Ses effets sont immédiats : en moins d’un an, plus de 100 000 migrants sont secourus et le nombre de morts diminue spectaculairement. Pourtant, le gouvernement Renzi, qui succède à Letta un an plus tard, décide d’y mettre un terme, à l’automne 2014. "Ça ne coûtait pas très cher, environ 8 millions d’euros par mois, et nous avons sauvé des centaines de vie avec ce dispositif, tout en arrêtant de nombreux trafiquants, avance Enrico Letta pour défendre son initiative. Mais très vite, Mare Nostrum a été accusée de provoquer un #appel_d'air… "

    De fait, en quelques mois, le nombre de départs des côtes africaines a explosé. Surtout, une évolution capitale se produit : peu à peu, les passeurs changent de stratégie. Pour ne pas voir leurs bateaux saisis, plutôt que de chercher à gagner un port italien, ils se contentent, une fois arrivés à proximité des eaux italiennes, de débarquer les migrants à bord de petites embarcations, les laissant ensuite dériver
    jusqu’à l’arrivée des secours. La marine italienne, trouvant les migrants en situation de détresse, n’a alors d’autre choix que d’appliquer les règles immuables du #droit_de_la_mer et de les conduire en lieu sûr.

    La suppression de Mare Nostrum par le gouvernement Renzi vise à sortir de cet engrenage. En novembre 2014, est annoncée l’entrée en vigueur de l’opération "#Triton", coordonnée par l’agence européenne #Frontex. Un dispositif de moindre envergure, financé par l’Union européenne, et dans lequel la dimension humanitaire passe au second plan. Las, le nombre de départs des côtes libyennes ne diminue pas. Au contraire, en 2015, plus de 150’000 personnes sont secourues en mer. En 2016, elles seront 181’000. Et pour suppléer à la fin de Mare Nostrum, de nouveaux acteurs apparaissent en 2015 au large des côtes libyennes : des navires affrétés par des #ONG humanitaires, aussitôt
    accusés, eux aussi, de former par leur présence une sorte d’appel d’air facilitant le travail des trafiquants d’êtres humains.

    L’ITALIE PRISE AU PIÈGE

    Pour Rome, les chiffres des secours en mer sont bien sûr préoccupants. Mais ils ne disent pas tout du problème. L’essentiel est ailleurs : depuis la fin de 2013, les pays limitrophes de l’Italie (#France et #Autriche) ont rétabli les contrôles à leurs frontières. Là où, jusqu’alors, l’écrasante majorité des migrants empruntant la route de la Méditerranée centrale ne faisaient que traverser le pays en direction du nord de l’Europe, ils se trouvent désormais bloqués sur le sol italien, provoquant en quelques années l’engorgement de toutes les structures d’accueil. Et les appels répétés à la solidarité européenne se heurtent à l’indifférence des partenaires de l’Italie, qui eux-mêmes doivent composer avec leurs opinions publiques, devenues très hostiles aux migrants.
    #frontière_sud-alpine

    Considéré jusque-là comme un impératif moral par une large part de la population, l’accueil des demandeurs d’asile est l’objet de critiques croissantes. En 2015, en marge du scandale "#Mafia_capitale ", qui secoue l’administration de la commune de Rome, l’Italie découvre que plusieurs coopératives chargées de nourrir et d’héberger les migrants se sont indûment enrichies. S’installe dans les esprits une l’idée dévastatrice : l’#accueil des réfugiés est un "#business " juteux plus qu’une œuvre humanitaire.
    #mafia

    Deux ans plus tard, une série de procédures à l’initiative de magistrats de Sicile en vient à semer le doute sur les activités des ONG opérant en Méditerranée. Le premier à lancer ces accusations est le procureur de Catane, Carmelo #Zuccaro, qui dénonce en avril 2017 – tout en admettant qu’il n’a "pas les preuves" de ce qu’il avance – les ONG de collusion avec les trafiquants. Après trois mois de rumeurs et de fuites organisées dans la presse, début août 2017, le navire de l’ONG allemande #Jugend_Rettet, #Iuventa, est placé sous séquestre, tandis qu’il a été enjoint aux diverses organisations de signer un "code de bonne conduite", sous le patronage du ministre de l’intérieur, Marco #Minniti, visant à encadrer leurs activités en mer. La plupart des ONG, dont Médecins sans frontières, quitteront la zone à l’été 2017.
    #code_de_conduite

    Tandis que le monde entier a les yeux tournés vers la Méditerranée, c’est en réalité en Libye que se produit, mi-juillet, une rupture majeure. En quelques jours, les départs connaissent une chute spectaculaire. Moins de 4000 personnes sont secourues en mer en août, contre 21’000 un an plus tôt, à la même période. La cause de ce coup d’arrêt ? Le soutien et l’équipement, par Rome, des unités libyennes
    de #gardes-côtes, qui traquent les migrants jusque dans les eaux internationales, au mépris du droit de la mer, pour les reconduire dans des camps de détention libyens. Le gouvernement italien conclut une série d’accords très controversés avec différents acteurs locaux en
    Libye.
    #accord #gardes-côtes_libyens
    v. aussi : http://seen.li/cvmy

    Interrogé sur les zones d’ombre entourant ces négociations, et les témoignages venus de Libye même affirmant que l’Italie a traité avec les trafiquants, Marco Minniti nie la moindre entente directe avec les réseaux criminels, tout en mettant en avant l’intérêt supérieur du pays, qui n’arrivait plus, selon lui, à faire face seul aux arrivées. "A un moment, confiait-il fin août 2017 à des journalistes italiens, j’ai eu peur pour la santé de notre démocratie."

    De fait, l’accueil de 600’000 migrants depuis 2014 et l’attitude des partenaires européens de l’Italie, qui ont poussé à l’ouverture de "#hotspots" (centres d’enregistrement des migrants) en Sicile et dans le sud de la Péninsule, sans tenir leurs engagements en matière de #relocalisation (à peine 30 000 réfugiés arrivés en Italie et en Grèce concernés à l’automne 2017, contre un objectif initial de 160’000), a nourri le rejet de la majorité de centre-gauche au pouvoir. Il a alimenté le discours xénophobe de la Ligue du Nord de Matteo Salvini et la montée des eurosceptiques du Mouvement 5 étoiles. A quelques jours des élections du 4 mars, celui-ci est au plus haut dans les sondages.

    Depuis l’été, les départs des côtes africaines se poursuivent
    sporadiquement, au gré de la complexe situation régnant sur les côtes libyennes. Resteque des centaines de milliers de candidats à l’exil – ils seraient de 300’000 à 700’000, selon les sources – sont actuellement bloqués en Libye dans des conditions humanitaires effroyables. Pour le juriste sicilien Fulvio Vassallo, infatigable défenseur des demandeurs d’asile, cette politique est vouée à l’échec, car il ne s’agit pas d’une crise migratoire, mais d’un mouvement de fond. "Pour l’heure, l’Europe affronte le problème avec
    la seule perspective de fermer les frontières, explique-t-il. Et ça, l’histoire des vingt dernières années nous démontre que c’est sans espoir. Ça n’a pas d’autre effet que d’augmenter le nombre de morts en mer."

    Depuis 2014, selon les chiffres du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, 13’500 personnes au moins ont trouvé la mort en mer, sur la route de la Méditerranée centrale. Sans compter la multitude de ceux, avalés par les eaux, dont on n’a jamais retrouvé la trace.


    http://www.lemonde.fr/international/article/2018/02/23/l-italie-seule-dans-la-tempete-migratoire_5261553_3210.html

    Un nouveau mot pour la collection de @sinehebdo sur les mots de la migration : #Les_Turcs

    A la tête de ce qui, à l’origine, n’était guère plus qu’un dispensaire, Pietro Bartolo s’est trouvé aux premières loges quand tout a changé. " Ça a commencé dans les années 1990. Les migrants, des jeunes hommes venus d’Afrique du Nord, arrivaient directement sur la plage, par leurs propres moyens, avec des barques ou des canots pneumatiques. Sur l’île, on les appelait “#les_Turcs”, se souvient-il. Les habitants accueillent comme ils peuvent les arrivants, qui gagnent ensuite la Sicile puis, pour l’immense majorité, le continent.

    #histoire

    #abandon de l’Italie :

    Jusqu’à la catastrophe, qui se produit dans la nuit du 2 au #3_octobre_2013. « J’ai été réveillé à 6 heures du matin par un appel des autorités maritimes, se souvient Enrico Letta, alors chef du gouvernement italien. En quelques minutes, nous avons compris que le #naufrage qui venait d’avoir lieu près de Lampedusa était une tragédie sans précédent – le bilan sera de 366 morts. Il fallait trouver des cercueils, s’occuper des orphelins… J’ai dû presque forcer le président de la Commission européenne - José Manuel Barroso - à m’accompagner sur l’île. Quelques jours plus tard, il y a eu un autre naufrage, tout aussi meurtrier, au large de Malte. Alors que nous demandions l’aide de l’Europe, j’ai vite compris que nous n’aurions rien. Donc, nous avons décidé de nous en occuper nous-mêmes. L’émotion était si forte que l’opinion nous a suivis. »

    #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #frontières

    • C’est une manière de classer les étrangers en mouvement ou en attente de statut par le pays d’accueil.
      Migrants pour étrangers en mouvement. Immigrés pour étrangers sur le territoire national quelque soit leur statut.
      Demandeur d’Asile pour ceux qui font une demande de protection.
      Réfugiés pour ceux qui ont obtenu cette protection.
      Sans papiers pour ceux qui n’ont pas encore obtenu un statut qu’ils aient fait la demande ou non. Le terme administratif en France est ESI, étranger en situation irrégulière.
      Exilés pour ceux qui ont quitté leur pays d’une manière volontaire ou involontaire avec ce qui implique de difficultés et de sentiment d’éloignement de son pays.

    • Solidarietà Ue: gli altri paesi ci hanno lasciati da soli?

      Tra settembre 2015 e aprile 2018 in Italia sono sbarcate quasi 350.000 persone. A fronte di ciò, i piani di ricollocamento d’emergenza avviati dall’Unione europea prevedevano di ricollocare circa 35.000 richiedenti asilo dall’Italia verso altri paesi Ue: già così si sarebbe dunque trattato solo del 10% del totale degli arrivi. Inoltre i governi europei avevano imposto condizioni stringenti per i ricollocamenti: si sarebbero potuti ricollocare solo i migranti appartenenti a nazionalità con un tasso di riconoscimento di protezione internazionale superiore al 75%, il che per l’Italia equivale soltanto a eritrei, somali e siriani. Tra settembre 2015 e settembre 2017 hanno fatto richiesta d’asilo in Italia meno di 21.000 persone provenienti da questi paesi, restringendo ulteriormente il numero di persone ricollocabili. Oltre a queste limitazioni, gli altri paesi europei hanno accettato il ricollocamento di meno di 13.000 richiedenti asilo. La solidarietà europea sul fronte dei ricollocamenti “vale” oggi dunque solo il 4% degli sforzi italiani e, anche se si fossero mantenute le promesse, più di 9 migranti sbarcati su 10 sarebbero rimasti responsabilità dell’Italia.

      Oltre al fallimento dei ricollocamenti, neppure le risorse finanziarie destinate dall’Europa all’Italia per far fronte all’emergenza hanno raggiunto un livello significativo. Al contrario, gli aiuti europei coprono solo una minima parte delle spese italiane: nel 2017, per esempio, gli aiuti Ue ammontavano a meno del 2% dei costi incorsi dallo Stato italiano per gestire il fenomeno migratorio.

      https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-migrazioni-2018-20415
      #aide_financière

  • « Ne me demandez pas de ne pas agir si j’assiste à ça ! »
    https://la-bas.org/4950

    Ils tiennent depuis un mois ! Depuis le 30 janvier, étudiants et migrants occupent l’université Paris 8. Ces « exilé.e.s et leurs soutiens » ont réquisitionné le bâtiment A de l’université Vincennes–Saint-Denis pour « revendiquer la liberté de circulation et permettre aux exilés de s’organiser politiquement ». Cinquante ans après Mai 68, cette fac (descendante du Centre universitaire expérimental de Vincennes, créé après les « événements » de 1968) se mobilise à nouveau contre la politique d’immigration.Continuer la lecture…

    #Radio #Immigration
    http://audiobank.tryphon.eu/casts/ghgcgwc6.mp3

  • L’université de Jussieu occupée une journée par des étudiants et des migrants - Libération
    http://www.liberation.fr/france/2018/02/28/l-universite-de-jussieu-occupee-une-journee-par-des-etudiants-et-des-migr

    Mercredi, des élèves et des militants ont installé vingt-cinq personnes dans un bâtiment de l’université Paris-VI. Mais ont dû libérer les locaux pour ne pas risquer d’arrestations.

    L’université de Jussieu occupée une journée par des étudiants et des migrants

    Edit à 18 h 40 : A l’issue d’une rencontre insatisfaisante avec la présidence de l’université, les étudiants ont décidé dans l’après-midi de quitter les lieux. La présidence – qui n’a pas répondu à nos sollicitations – leur aurait laissé le choix entre partir d’eux-mêmes sans que l’identité ou la situation administrative des migrants ne soit contrôlée à la sortie de la fac, ou s’exposer à l’intervention des forces de l’ordre. Avec les migrants, ils se sont rendus à Paris-VIII, dont l’occupation du bâtiment A est toujours en cours. 

    Cette nuit, Hafez devrait dormir au chaud. A moins que la présidence de l’université Jussieu (Ve arrondissement de Paris) ne décide de faire évacuer le préfabriqué occupé depuis mercredi par des étudiants, des militants, et des migrants. Le mouvement d’occupation des universités pour y loger des « personnes en situation d’exil », entamé à Lyon cet automne et poursuivi notamment à Nantes cet hiver, a fait des émules. Après Paris-VIII, c’est désormais une deuxième université parisienne qui est occupée. Avec un double objectif : offrir un toit aux migrants, alors que le thermomètre affiche dans la capitale des températures négatives, et créer une plateforme de revendication politique, notamment contre la politique migratoire du gouvernement.

    Mercredi matin, des étudiants se sont rendus au campement de la Villette (XIXe arrondissement de Paris) pour proposer à Hafez et d’autres migrants à la rue de venir occuper un bâtiment vide de leur université. Arrivé il y a un peu plus d’un an du Darfour (Soudan) via la Libye, Hafez, 28 ans, dit ne pas avoir encore obtenu de place d’hébergement même s’il a déposé sa demande d’asile. « Ça faisait une semaine que je dormais à la Villette, il faisait très, très froid », témoigne-t-il. « C’était très difficile là-bas, abonde un jeune homme qui refuse de donner son nom ou son âge. Il fait froid. Les étudiants nous ont dit qu’il y avait beaucoup de place dans l’université, qu’on serait au chaud et qu’on aurait à manger. »

    #migrants #étudiants #occupation